Antonio D’Atena si forma sotto l’insegnamento di Vezio Crisafulli, che gli affida una tesi sull’adattamento del diritto interno al diritto internazionale e dalla sua dissertazione di laurea trae la Sua prima pubblicazione nel 1967, in Giurisprudenza Costituzionale, su “Problemi relativi al controllo di costituzionalità delle norme di adattamento ai trattati internazionali”.

IL PROFILO SCIENTIFICO DI ANTONIO D’ATENA

 

1. Antonio D’Atena si forma sotto l’insegnamento di Vezio Crisafulli, che gli affida una tesi sull’adattamento del diritto interno al diritto internazionale e dalla sua dissertazione di laurea trae la Sua prima pubblicazione nel 1967, in Giurisprudenza Costituzionale, su “Problemi relativi al controllo di costituzionalità delle norme di adattamento ai trattati internazionali”.

Già da questa sua prima pubblicazione si nota l’originalità di pensiero e l’acume critico; la sua impostazione al tema lo porta a sposare una tesi diversa da quella maggioritaria fondata sul dualismo di origine Hegeliana, secondo l’impostazione classica di Triepel, e lo fa segnalare subito non solo alla dottrina costituzionalista, ma anche a quella internazionalista; basti pensare in proposito alla considerazione che riceve questo suo scritto da parte di un Maestro del diritto internazionale del tempo, quale era Rolando Quadri.

Sin dai suoi primi scritti le ricostruzioni dommatiche presentano caratteri di marcata originalità e le fonti appaiono subito il terreno di elezione delle sue ricerche: dal lavoro sul regolamento delegato, legge abilitante e sindacato di costituzionalità (anch’esso in Giur. cost. 1967), a quello sulla riserva di legge e le tariffe ferroviarie (del 1972), che avrebbe dato, poi, lo spunto al Maestro ad assegnarmi la tesi di laurea, quando alcuni anni dopo il tema sarebbe diventato nuovamente rovente, per via di una sentenza della Corte costituzionale sulle tariffe telefoniche da lui stesso considerata (Tariffe telefoniche e riserva di legge, in Giur. cost., 1975).

In questo arco di tempo D’Atena scrive anche la sua prima monografia su La pubblicazione delle fonti normative (1970, ed. definitiva, Padova 1974) e consegue la libera docenza.

Il libro considera il fenomeno pubblicitario e il suo significato in relazione alle fonti del diritto; D’Atena offre una significativa ricostruzione storico-comparativa dell’Istituto, prendendo in considerazione l’ordinamento francese, quello tedesco e quello italiano, per giungere, dopo un confronto serrato con dottrine autorevoli tra le quali spicca per l’Italia quella di Guido Zanobini, ad una definizione dommatica della funzione della pubblicazione delle fonti, in relazione al principio di notorietà e a quello di certezza. Quest’ultimo profilo lo porta a scrivere non a caso la voce “Ignoranza della legge (diritto costituzionale)” (in Encicl.dir., XX, Milano 1970), nella quale considera il tema della scusabilità dell’ignoranza, un tema che anni dopo avrebbe formato il punto di riferimento di una celebre sentenza della Corte costituzionale che ha mitigato, in ambito penale, la portata del principio Ignorantia iuris non excusant.

 

A partire dall’inizio degli anni ‘70 inizia il percorso sul versante del diritto regionale; sono di quegli anni tre importanti contributi: Potestà regionale integrativa e disposizioni di attuazione degli Statuti speciali, in Giur.cost., 1971; Osservazioni sulla ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni (e sul collaudo dell’autonomia ordinaria), in Giur.cost., 1972; L’interpretazione degli Statuti regionali, tra “essere” e “dover essere”. (Note in margine a due commenti), in Dir.soc., 1973.

Già da questi lavori si evidenzia, non solo una linea di ricerca che continuerà ininterrottamente nel tempo, ma soprattutto una presenza diversa nel panorama del diritto costituzionale italiano.

Gli studi di diritto regionale, in Italia avevano avuto un avvio alquanto limitato, legato soprattutto all’esperienza delle Regioni speciali (si pensi agli stessi lavori di Crisafulli sul sistema regionale siciliano); non erano mancati lavori che si occupavano anche delle regioni ordinarie, basti pensare - dopo il libro di Virga - ai contributi sulla legge regionale di Galeotti, Paladin e Mazziotti e a quelli sull’organizzazione di Martines e Bartholini, ma questi erano privi di una referenza nella realtà dell’ordinamento italiano.

D’Atena inizia la sua riflessione proprio nel momento in cui le Regioni ordinarie vengono ad esistenza e l’ordinamento si regionalizza per intero, anche con un serrato confronto tra le regioni ordinarie e quelle speciali; ma, mentre per altri studiosi la realtà dell’ordinamento finisce con il prevalere limitandosi, la riflessione alla semplice registrazione degli accadimenti - l’esempio del realismo di Livio Paladin, con la metafora della “pagina bianca”, appare in tal senso significativa - D’atena, invece, segue una linea di ricostruzione dommatica del sistema costituzionale che gli consente di valutare criticamente gli atti del legislatore ordinario, non accettando supinamente quanto quotidianamente si compie per portare a compimento il disegno costituzionale.

Il suo metodo, derivato dall’insegnamento di Crisafulli, si coniuga con una profondità della ricerca che gli consente di giungere a risultati originali e, spesso, controcorrente. I risultati di questo modo di lavorare che gli valgono subito una posizione di primo piano nel panorama italiano emergono con la voce Legge regionale (e provinciale), in Encicl.dir., XXIII, Milano 1973 e con la monografia L’autonomia legislativa delle Regioni, Roma, 1974.

Lì dove si accettava la decostituzionalizzazione delle materie di competenza regionale e il ritaglio delle materie in nome dell’interesse nazionale, secondo un procedimento già operante ni confronti delle regioni speciali, D’atena difende il principio della determinazione costituzionale del riparto delle competenze come tratto distintivo del modello costituzionale e giunge a formulare su queste basi una teoria dell’interpretazione, quella della cristallizzazione delle materie, che avrebbe limitato anche la discrezionalità del giudice costituzionale, che già in quegli anni aveva operato con una certa disinvoltura sul riparto delle competenze. La tesi si colloca nell’ambito della dommatica dell’interpretazione, per la quale un testo normativo si interpreta secondo il linguaggio dell’ordinamento del momento in cui la nuova fonte entra a far parte di questo. Un punto di vista, questo, generalmente accolto e in modo pacifico. Ma D’atena nel momento in cui lo riferisce alla Costituzione non può non trarne le ulteriori conseguenze logiche in modo rigoroso, e cioè che nel caso dell’interpretazione costituzionale il significato storico normativo delle nozioni adoperate non può che rimanere cristallizzato, proprio perché la fonte costituzionale ha un carattere rigido e delimita il campo affidato al legislatore ordinario (impostazione già presente nel lavoro: La libertà interpretativa del giudice e l’intangibilità del “punto di diritto” enucleato dalla Cassazione, in Giur.cost.,1970). Non si nega che il significato delle parole adoperate dal Costituente possa variare nel tempo, ma non attraverso quell’interpretazione evolutiva descritta da Santi Romano nel suo celebre Frammenti di un dizionario giuridico, e cioè attraverso sopravvenienze normative, bensì attraverso sopravvenienze fattuali e l’intermediazione dell’interprete che conduce i nuovi accadimenti al significato delle parole adoperate dalla Costituzione.

Il metodo proposto da D’Atena, peraltro, non era privo di significato politico, dal momento che salvaguardando il significato costituzionale delle voci enumerate assicurava una tutela significativa alle stesse Regioni e comunque garantiva la verificabilità dell’argomentazione giuridica adoperata dal giudice costituzionale.

Appare ovvio che questa teorica creava una vivace attenzione da parte della dottrina e della giurisprudenza costituzionale, ma mentre il suo rifiuto da parte di quest’ultima appare, se non comprensibile, quanto meno spiegabile, se non altro da un punto di vista politico; ciò che non si spiega e l’imbarazzo con il quale la maggior parte della dottrina italiana l’abbia rifiutata senza confutarla e con la difficoltà di chi non riesce ad argomentare. Non è il caso qui di riprendere con citazioni dettagliate nomi e brani carenti di contenuto che non appaiono consapevoli del problema della destrutturazione della Costituzione, ma tutto ciò porta a dirci che la tesi dell’interpretazione della Costituzione secondo il metodo storico-normativo, in chiave vincolante, mantiene intatta la sua validità scientifica, a meno di non accettare una sostanziale decostituzionalizzazione della Carta.

 

Desidero qui ricordare un altro profilo della ricerca di grande rilievo del lavoro di quegli anni che attiene al raffronto tra regioni ordinarie e regioni speciali e allo studio della stessa specialità, l’unica che D’Atena considerava come effettivamente autentica, a fronte di un disegno regionalista calato dall’alto, piuttosto che costruito dal basso, come quello spagnolo.

Nel lavoro sull’autonomia legislativa viene in rilievo, in primo luogo, una riflessione sul tema dei principi, sia quelli generali, quali limite della competenza piena (o primaria) delle regioni speciali, che quelli fondamentali, di cui alla competenza ripartita dell’art. 117 Cost. prec. form..

L’analisi di D’Atena assume un carattere peculiare mostrando, da un lato, le relazioni tra i principi generali e i principi derogatori e dall’altro quelle tra i principi generali e i principi fondamentali. Si muove dall’assunto che “i principi generali (ai sensi e per glie effetti delle norme statutarie fondanti potestà legislative primarie) potrebbero plausibilmente identificarsi con le prescrizioni che non risultano sussumibili in prescrizioni di ordine superiore (con i summa genera, cioè, ricavabili dal corpo della legislazione). Le quali sono. per un verso, comprensive (o inclusive) di tutte, indistintamente, le statuizioni positive, che ad esso si riconducono; per l’altro verso, reciprocamente esclusive. E rappresentano, quindi, le incarnazioni - per dir così - allo stato puro, di tutti i diversi indirizzi legislativi enucleatisi all’interno dell’apparato normativo nazionale” (pag. 40).

Ciò posto risulta agevole ricostruire una corretta relazione con i principi derogatori che circoscrivono l’ambito e la possibilità di espansione dei principi più generali. Si afferma, infatti, che “principio derogato e principio derogatorio sono entità complementari, ciascuna delle quali è, per definizione, destinata ad abbracciare una classe di ipotesi suscettibile di ampliarsi o ridursi, a seconda che, rispettivamente, si restringa o si allarghi l’estensione materiale dell’altra” (pag. 41).

Sull’altro versante, quello della distinzione tra principi generali e principi fondamentali, D’Atena conduce una critica serrata a tutte le tesi quantitative che vorrebbero distinguere le due categorie di principi secondo la maggiore o minore estensione e il riferirsi a tutte le materie regionali e all’intero ordinamento giuridico o semplicemente ad alcune materie o ad una sola materia. La constatazione più interessante è che “è appena il caso di osservare che i principi inespressi suscettibili di tenere il luogo delle delle leggi-cornice non sono, in alcun modo, differenziabili dai principi generali cui deve conformarsi la competenza piena”, per cui la vera distinzione passa attraverso la previsione positiva che consente ai principi fondamentali di essere “stabiliti” con legge statale (la c.d. Legge-cornice), collegando questa impostazione anche al carattere dinamico delle prescrizioni di principio che si riferiscono a materie non omogenee e che, perciò comporta in ultima analisi una determinazione delle rispettive sfere di esercizio della potestà legislativa in via contenziosa , potendosi avere per questa via sia un arrotondamento delle competenze e sia un consolidamento normativo delle discipline.

Alla luce della ricostruzione fornita, rientra nella logica di una interpretazione sistematica, nella quale D’Atena esprime un insegnamento di alto profilo, si spiega una delle tesi più originale che sono contenute nel libro del 1974 sull’autonomia legislativa regionale. Si tratta del c.d. effetto traslativo dell’art. 117, che avrebbe riguardato parimenti le regioni ordinarie e quelle speciali, per il quale la disposizione costituzionale si sarebbe riferita anche a queste ultime, in quanto, “a differenza delle autonomie speciali (indirizzate - in via primaria ed esclusiva - ad assicurare a singole Regioni un complesso di potestà particolarmente aderenti a quelle situazioni locali che ne giustificano il regime differenziato), l’autonomia ordinaria pare rivolta a realizzare un vero e proprio trasferimento di competenze normative, dal Parlamento ai Consigli regionali. Attraverso essa, pertanto, il costituente ha gettato le linee di una riforma istituzionale destinata a reagire incisivamente, non solo sulla struttura (...), ma anche sulle attribuzioni dell’apparato centrale dello Stato (che ne sono risultate stabilmente ridimensionate” (pag. 161.)

Anche rispetto a questa tesi la reazione generale fu di un certo turbamento, ma il dibattito del tempo non era sufficiente maturo per accoglierla. Serve, però, ricordare che il prosieguo dell’esperienza poneva questo problema costantemente in evidenza; sicché, con la revisione del titolo V, attraverso l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, la tesi dell’effetto traslativo è diventata parte dell’ordinamento costituzionale. L’insegnamento di D’Atena ha avuto nel tempo un successo pieno.

 

D’Atena continuerà nel prosieguo della sua riflessione ad occuparsi costantemente dei temi del regionalismo italiano - così come di quelli che attengono ad altri campi del Diritto costituzionale - e i saggi sono a tal riguardo numerosissimi; spiccano in particolare i contributi sull’interpretazione delle materie, sugli statuti ordinari, sul completamento del trasferimento, ecc.; ma spicca in particolare il contributo su La Parabola delle autonomie speciali, nel quale si riesaminano gli effetti del mancato effetto traslativo dell’art. 117, si considera la realtà costituzionale delle regioni speciali. Accanto a questo non si può non ricordare il saggio sullo statuto siciliano (Dalla “costituzionalizzazione” alla “disoluzione” dello Statuto siciliano (Riflessioni sull’elaborazione giurisprudenziale del primo ventennio)) nel quale si valutano tutte le conseguenze deducibili dalla sentenza n. 6 del 1970. A tal riguardo, occorre considerare che quella sentenza, la quale tratta della responsabilità penale degli assessori della regione siciliana, presentava un rilevante contenuto costituzionale dovuto proprio alla qualità dell’estensore; si trattava di Vezio Crisafulli, così D’Atena dialoga con il Suo Maestro in un contesto di confronto alquanto singolare, che dà conto di un mondo universitario che sembra ormai lontano dalla realtà di oggi e del quale ho avuto la fortuna di essere testimone.

 

Tra i meriti di D’Atena bisogna ascrivere anche il lavoro del 1981 su Le Regioni italiane e la Comunità economica europea. Si tratta di un lavoro che con grande anticipo rispetto al trattato di Maastricht e - se si vuole - a quello di Lisbona, aprirà la questione della collocazione delle Regioni nel crocevia delle relazioni tra l’ordinamento sopranazionale e quello interno. Il punto di partenza è dato dalle interferenze fra le competenze comunitarie e quelle regionali; si considera, poi, il ruolo delle regioni nell’esecuzione e e nell’attuazione del diritto comunitario derivato; ed infine si valuta in concreto l’impatto dell’ordinamento comunitario sulle competenze e sulla posizione istituzionale delle regioni. La normativa europea e quella costituzionale dal 1981 sono sensibilmente cambiati e colpisce che le trasformazioni siano andate proprio nella direzione indicata da D’Atena, segno evidente che la diagnosi effettuata con così grande anticipo è stata effettivamente lungimirante e rigorosa. Basti considerare un punto: quello delle soluzioni dell’ordinamento del tempo che si basavano sulla necessaria recezione delle direttive con legge statale per consentire l’intervento regionale, e l’esercizio del potere sostitutivo congiuntamente alla tutela dell’interesse nazionale positivamente inteso; orbene D’Atena considera criticamente quest’assetto anche rispetto al quadro normativo del tempo, sostenendo la diretta riferibilità del diritto europeo derivato che insiste sulle materie regionali direttamente alle Regioni e prevedendo come rimedio adeguato l’intervento con decreto legge in caso di inerzia delle Regioni. Lo stesso può dirsi per le forme di partecipazione delle regioni alla c.d. fase ascendente, al tempo caratterizzata da forme embrionali, e la necessità di porre dei cambiamenti a livello dei trattati europei al fine di assicurare una diretta tutela davanti alla Corte di Giustizia; qui siamo di fronte ad un percorso che ancora oggi spossiamo dire che si è appena avviato. Pienamente attuale risulta, infine, la configurazione della competenza europea in termini finalistici e l’assenza per essa di precisi limiti di ordine negativo.

 

Sarebbe un errore considerare l’attività scientifica di D’Atena solo dal punto di vista del diritto regionale. Le sue pubblicazioni sono oltre 250 e vanno nelle diverse direzioni del Diritto costituzionale, spesso in ambiti ardui della disciplina, e rappresentano una produzione scientifica altamente variegata. Basti pensare, oltre a quelli già ricordati, al contributo Articolazioni dei partiti politici: livelli associativi ed organi, in Giur.it., 1973; a quello su Disposizioni riproduttive di clausole concordatarie e giudizio costituzionale, in Giur.it., 1977; od ancora, al lavoro su L’obiezione di coscienza degli operatori sanitari), in Le nuove leggi civ. comm., 1978; o su Processo penale costituzionale, imputati “laici” e doppio grado di giurisdizione, in “Processo Lockheed” (Supplemento a Giur.cost. 10/1979), Milano 1979; all’Intervento al Convegno nazionale dell’Unione Giuristi Cattolici (Roma, 6-8.12.1980), su “Violenza e diritto”, n. 32 dei Quaderni di Iustitia, Milano 1982; ai lavori sui referendum in materia di caccia; al contributo su Unità e pluralità nella disciplina costituzionale della giurisdizione. Il Tribunale superiore delle acque e la nomofilachia della Cassazione, in Giur.cost. 1995; a quello su Costituzionalismo moderno e tutela dei diritti fondamentali, in D’ATENA/LANZILLOTTA (a cura di), Da Omero alla Costituzione europea. Costituzionalismo antico e moderno, Roma 2003; al saggio su Le “promesse” costituzionali: principi, programmi e valori nel costituzionalismo, in DALLA TORRE / MIRABELLI (a cura di), Le sfide del diritto. Scritti in onore del Cardinale Agostin Vallini, Soveria Mannelli, 2009; al tema delle Interpretazioni adeguatrici, diritto vivente e sentenze interpretative della Corte costituzionale, in AA.VV., Corte costituzionale, giudici comuni e interpretazioni adeguatrici, Atti del seminario svoltosi in Roma Palazzo della Consulta, 6 novembre 2009, Milano 2010. E si potrebbe continuare.

Eppure esiste un intimo legame tra i diversi momenti così come tra i diversi temi trattati; esso è dato dalla continua applicazione del metodo interpretativo basato sul sistema costituzionale elaborato con le categorie dommatiche del giurista e con l’attenzione, per un verso, alla cultura giuridica europea e, per l’altro, alle sollecitazioni della realtà. In questo modo i dati offerti dalla Costituzione italiana sono sottoposti ad un lavorio continuo per esprimere un preciso significato normativo e si nutrono della comparazione giuridica e delle connessioni che la realtà pone in vista della sua applicazione.

La sintesi di questa esperienza giunge con le Lezioni tematiche di diritto costituzionale (I ed.1996; II ed. 1998) successivamente diventate le Lezioni di diritto costituzionale (I ed. 2001; II ed. 2006). Si consolida nelle lezioni una personalità scientifica altamente riflessiva sui temi che sono al tempo stesso di attualità nel dibattito corrente della dottrina e di approfondimento di questioni del diritto costituzionale che rappresentano un vero banco di prova per gli studiosi.

E’ emblematico lo studio sul principio democratico nel sistema dei principi costituzionali, dove la definizione del modello liberal-democratico avviene in considerazione della struttura dello Stato di diritto e della rigidità costituzionale. Lo stesso dicasi del contributo Dalla partitocrazia al pluralismo funzionale, dove il sistema dei partiti viene descritto nella congiuntura del tempo, traendosi dall’analisi le implicazioni di ordine sistematico e in particolare il percorso verso una nuova statualità. Si consideri il saggio sull’autonomia universitaria con la descrizione di un modello organizzativo autonomista in funzione della libertà di cui all’art. 33 Cost., nel quale trova spiegazione ogni specifica collocazione del singolo docente/ricercatore e quella degli organi collegiali di ambito decentrato e d’Ateneo. Un disegno costituzionale mirabile che, ahi noi, è stato ampiamente vituperato e calpestato dalla classe politica di ogni colore. Trova, infine, qui posto anche l’elaborazione sul pensiero del Suo Maestro (Teoria delle fonti, teoria dell’atto e problematicismo nel pensiero di Vezio Crisafulli), la splendida relazione del convegno di Trieste dedicata all’insegne costituzionalista nel 1993, con la quale D’Atena continua il Suo dialogo con il Maestro. Si potrebbe facilmente continuare con il lavoro sulle autorità indipendenti e il caso della commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, derivato dalla esperienza concreta, prima come componente e poi come presidente della stessa Commissione, dalla quale prende le mosse per una ricostruzione sistematica che gli consente di apprezzare i profili costituzionali insiti nella logica dell’autorità indipendente, dell’esercizio del diritto di sciopero e nella salvaguardia degli altri diritti che con lo sciopero collidono.

Si aggiunge nella seconda edizione il saggio sui principi e valori, la relazione del convegno di Teramo del 1997, che riscontra un tema che era entrato in voga presso alcuni costituzionalisti e la prospettiva di D’Atena mette in evidenza la profonda differenza tra la prospettiva giuridica e quella valoriale, collocando nella giusta prospettiva gli aspetti assiologici contenuti nei testi costituzionali.

Nelle edizioni più recenti le Lezioni di diritto costituzionale compongo un mosaico più esteso e di organico del sistema del diritto costituzionale dell’Autore, ma non mancano sensibili innovazioni, come quella del contributo sul principio di sussidiarietà. Un tema, per il quale, dopo un primo momento di scetticismo, D’Atena si apre ad una prospettiva dinamica dell’ordinamento che vede, da studioso dell’autonomia territoriale e funzionale, il senso costituzionale della preferenza per l’ambito più vicino agli interessati e approfondisce così le tecniche normative del principio in questione e soprattutto la questione della giustiziabilità, considerando il ruolo della sussidiarietà nell’ordinamento come ancora all’inizio e, di qui anche le sue conclusioni interlocutorie.

L’attuale edizione delle Lezioni del 2006 costituisce un panorama completo ed esaustivo di principi costituzionali, trattati in modo sistematico; ed anche se le Lezioni non hanno la veste del manuale (genere per il quale D’Atena ha avuto sempre un particolare rispetto - come vedremo), rappresentano uno strumento di formazione degli studenti tra i più validi, così come ho potuto sperimentare direttamente negli anni del mio insegnamento, in grado di dare ai giovani che lo apprezzano una particolare capacità critica nella trattazione del diritto costituzionale e del diritto in genere.

 

Il carattere sistematico del pensiero di D’Atena lo porta già all’inizio degli anni ‘90 a concepire un raccordo tra i diversi momenti della sua riflessione sulle regioni. In questo contesto si collocano quattro libri (Costituzione e Regioni. Studi, Milano 1991; L’Italia verso il “federalismo”. Taccuini di viaggio, Milano 2001; Le Regioni dopo il Big Bang. Il viaggio continua, Milano 2005; e Costituzionalismo multilivello e dinamiche istituzionali, Torino 2007); successivamente arriva il Suo Diritto regionale, nel 2010. siamo cioè di fronte ad una sistematizzazione - sia pure come momenti e finalità diverse - che dura un ventennio pieno; e la ragione per cui il manuale arriva solo alla fine di questo ventennio è derivata dall’evoluzione dell’ordinamento, proprio a partire dallinizio degli anni ‘90, che rende impossibile trattare la materia regionale diventata, per ragioni abbastanza note, alquanto magmatica.

 

Con Costituzione e Regioni sono messi insieme già tutti i lavori di riferimento che compongono il mosaico del primo regionalismo italiano; nel frattempo D’atena ha curato la voce Regione nell’Enciclopedia del diritto, di per sé una voce sistematica,prodotta dopo la revisione dell’intera letteratura regionale del tempo e considerando la giurisprudenza costituzionale e la prassi del tempo. Si parte dalla ricostruzione del “figurino costituzionale” della Regione, per giungere a constatare la “perversione del modello” espressioni queste che rendono bene e in modo icastico il trattamento da parte delle forze politiche del tempo della Costituzione, ma anche una filosofia centralistica incapace di sposarsi con l’assunzione di responsabilità da parte delle nuove autonomie regionali. Un passaggio centrale in tutta la sua riflessione è non a caso il pensiero di uno studioso francese (Palazzolì) che, studiando il fenomeno regionale italiano, ne descrive la spinta degli anni ‘60/’70 come una necessità della classe politica a costruire ulteriori posizioni politiche. Una lettura tipicamente francese, ma in grado di rendere l’inizio del distacco dall’idea che aveva spinto il costituentead introdurre l’istituto regionale nella Carta, volta alla trasformazione della Repubblica e alla riforma dello Stato.

I saggi che vengono raccolti nel volume spiegano puntualmente le diverse vicende cui è stata soggetta la questione regionale e l’evoluzione di quella esperienza, comunque non secondaria per il nostro ordinamento, il quale comunque getta le basi per un diverso assetto dei poteri della Repubblica. Ogni contributo ha rappresentato la verifica dei punti di arrivo della dottrina e della giurisprudenza costituzionale, che vengono sottoposte all’esame critico per fare emergere la lettura più limpida e coerente del sistema costituzionale, le sue aporie e lacune, così come i stravolgimenti subiti nell’attuazione. Il complesso dei lavori raccolti che include: gli Statuti, la legge regionale, la problematica dei principi, le funzioni amministrative regionali e il trasferimento delle funzioni, le autonomie speciali e la prospettiva europea, mostrano come D’Atena abbia coperto l’intero ambito del regionalismo con la sua riflessione e di fatto il sistema descritto considera il versante concreto dell’ordinamento e la sua evoluzione; si assiste così ad una sintesi tra visione critica e ricostruzione dommatica dell’esperienza giuridica.

Nel decennio che segue il l’ordinamento italiano, e non solo quello, viene sottoposto ad una tensione non indifferente. Gli accadimenti, i cui effetti perdurano al presente, vedono la rapida fine del sistema politico che aveva guidato la Repubblica dalla sua nascita; la rappresentanza politica si trasforma per effetto dei referendum elettorali e per il cambiamento delle leggi elettorali che segue, altri attori politici emergono. La lettura di questo cambiamento è spesso imputata al solo versante interno, e all’azione dei giudici di “mani pulite”, mentre invece una attenta considerazione meritano le trasformazioni indotte dal processo di integrazione europea e da quello di internazionalizzazione dell’economia. A questi fenomeni più che ad altri si deve la stessa trasformazione della modo di essere dello Stato apparato e la necessità di riavviare un ripensamento profondo dell’organizzazione della Repubblica e, in particolare, del suo assetto regionale. Basti considerare, in proposito, la differenza che sussiste tra la bozza prodotta dalla commissione bicamerale del 1993 e quella della commissione bicamerale del 1997, per rendersi conto del cambiamento d’impostazione con riguardo al regionalismo italiano. Si apre la stagione del federalismo.

D’Atena è forse il più attento osservatore di questa fase delle vicende istituzionali italiane e i contributi prodotti nel periodo raccolti nel volume dal significativo titolo L’Italia verso il “federalismo”. Taccuini di viaggio, Milano 2001, indica già l’idea del viaggio nel cambiamento; e sul trapianto del federalismo nel nostro ordinamento non vi è una pregiudiziale negativa, quanto una considerazione e una riflessione attenta e misurata. La considerazione dei modelli comparativi la ricostruzione teorica delle differenze tra federalismo e regionalismo, l’eventuale impatto sul sistema delle fonti e le problematiche della eventuale transizione al federalismo sono la descrizione teoretica del nuovo scenario italiano, attraverso il quale è stata percorsa la XIII legislatura che parte dalla crisi della regione, considera la riforma legislativa delle leggi Bassanini, analizza il disegno della bicamerale del 4 novembre 1997, esamina le ulteriori vicende che dalla bozza Amato portano all’approvazione delle tre leggi costituzionali: la n. 1 del 1999 sulla nuova autonomia statutaria delle regioni, la n. 2 del2001 sull’autonomia speciale e, infine, quella che sarebbe diventata la legge costituzionale n. 3 del 2001.

Questo cambiamento incide sull’attento Costituzionalista, sa che la valutazione delle vicende italiane non è agevole, ma al contempo considera come un dovere la valutazione critica degli accadimenti; nella lettura di questi contributi non siamo mai davanti ad un cronista, bensì di fronte ad un attento lettore degli accadimenti istituzionali che sa legare i cambiamenti costituzionali alla tradizione del passato, sottolineando le discontinuità del modello che si va costruendo. E’ questa la ragione per cui ancora oggi questi lavori appaiono necessari alla ricostruzione teorica del nostro secondo regionalismo.

La riflessione di D’Atena prosegue con queste caratteristiche anche nella XIV legislatura, una delle più convulse per le riforme costituzionali italiane, ma anche una delle più inconcludenti. La lettura, compiuta con i contributi raccolti nel volume Le Regioni dopo il Big Bang. Il viaggio continua, Milano 2005, della revisione del Titolo V e della sua attuazione mettono subito in evidenza la difficoltà di realizzare compiutamente il disegno riformatore. Nasce così in D’Atena l’apprezzamento realistico per l’opera della Corte costituzionale espresso nella nota alla sentenza n. 282 del 2002, con la quale la Consulta - dopo un momento di smarrimento davanti alla riforma costituzionale - intraprende il suo lavoro avendo a parametro le nuove disposizioni costituzionali. E l’apertura di credito al giudice costituzionale continuerà, in modo generoso, anche di fronte al sistema di riparto delle competenze creato dalla Corte con la sentenza n. 303 del 2003.

Certamente il nuovo sistema presentava tensioni inedite nel rapporto tra centro e periferia, al cui centro si collocava la competenza concorrente, alla quale D’Atena, dedica una attenzione particolare, perché la considera forse come l’unico strumento presente nel nuovo disegno atto a mediare appunto tra centro e periferia, in assenza soprattutto di raccordi organizzativi efficaci (vengono in rilievo qui le sue notazioni critiche sull’ipotesi di un Senato federale), ma si rende certamente conto dell’insufficienza complessiva del modello e, di qui, la valutazione della sentenza ortopedica della Corte costituzionale.

La situazione impone ben presto, accanto alla riflessione sulle nuove disposizioni costituzionali, e in particolare su quelle più innovative che riguardano il versante del rapporto delle Regioni con l’Europa e le prospettive internazionali, di considerare anche la prospettiva della riforma della riforma, mettendo in luce i limiti del disegno riformatore del ddlc 2544: il senato federale, la competenza nominata dal comma 4 dell’art. 117, la riedizione degli interessi nazionali. Il giudizio di D’Atena non è mai ideologico ed è sempre attento a valutare i contenuti che si mettono in campo, così è positivo quando si sciolgono i dubbi che il nuovo disegno del Titolo V ha creato ed è critico quando, invece, la riforma della riforma procedeva dagli errori del nuovo testo costituzionale introducendo ulteriori complicazioni. Deve fare riflettere, al riguardo, il giudizio su alcune materie del comma 3: “la discutibilissima inclusione, tra le materie di competenza concorrente, di ambiti dalla manifesta connotazione nazionale” rispetto alle quali il progetto di riforma, anziché includerle nella competenza esclusiva dello Stato, prevedeva “forme di intesa e coordinamento” tra lo Stato e le Regioni.

La ricerca e la sintesi questi anni è completata dal mirabile volume sul Costituzionalismo multilivello. Qui si riprendono le file della ricerca delle Regioni e l’Europa, si approfondisce il tema della sussidiarietà che manifesta una vera e propria passione scientifica del nostro studioso, si riconsidera il ruolo avuto dalla giurisprudenza costituzionale per l’attuazione della riforma costituzionale (quella che D’Atena definisce - forse molto ottimisticamente - “la decisione di ‘decidere’”) e si lanciano “Sette tesi per il riavvio delle riforme costituzionali”.

 

A questo punto, possiamo dire, siamo ancora oggi; ed è qui - sulla base dell’assestamento del quadro costituzionale (anche per via giurisprudenziale) e delle sue prospettive di riforma - che D’Atena decide mettere mano ad una formulazione del Diritto regionale.

Il volume esce nel 2010 ed è difficile classificarla tra i manuali. Non si tratta, infatti, di una produzione per la didattica che magari nel corso del tempo può essere rivista.

Siamo, invece, in presenza di un libro di sintesi magistrale delle ricerche di uno studioso – oggi il più eminente del panorama italiano ed uno dei più autorevoli di quello europeo – che da ben un quarantennio segue il regionalismo italiano in ogni suo aspetto e che ha preso parola su ogni vicenda che ha caratterizzato questa esperienza del nostro ordinamento.

Di conseguenza, in un percorso siffatto la stessa scrittura del manuale si realizza come una ulteriore parte della Sua ricerca.

Dietro non vi è solo la convinzione che è azzardato scrivere prematuramente un manuale di una disciplina particolarmente specialistica come il diritto regionale, ma anche l’idea che il manuale non è un prodotto oggettivo e asettico, bensì il più eminente contributo di uno studioso che di lui deve riflettere la personalità scientifica, nel comunicare idee ed informazioni, e che, perciò, richiede un accumulo di esperienza e di interiorizzazione delle conoscenze che necessariamente richiedono tempo e fatica.

La diversità che caratterizza questo manuale è, perciò, la ricchezza scientifica, la personalità dell’impostazione, l’omogeneità dell’approfondimento e la continuità del metodo. Nel ringraziare Crisafulli e Sandulli, “Maestri – come Lui dice – alla cui scuola si è formato”, non vi è una mera clausola di stile, ma il riconoscimento per un insegnamento che si è seguito in modo convinto è che ha fruttato quel metodo sistematico di interpretazione della Costituzione e dei dati dell’ordinamento, in chiave positiva, si da consentire una valutazione giuridica compiuta degli accadimenti e dei comportamenti dei soggetti istituzionali impegnati nella vicenda del regionalismo italiano.

Nel trattare gli argomenti D’Atena, in modo sintetico, ma non per questo meno efficace, ripercorre su ogni punto dell’ordinamento regionale: l’origine della questione e le soluzioni cui l’ordinamento concreto era pervenuto, il travaglio della transizione, la formulazione nuova e definitiva, così offrendo di questa la comparazione con il passato ed esaminando anche le problematiche cui la nuova disposizione ha dato vita in questo decennio di applicazione.

Se si aggiunge anche lo sforzo di indicare al lettore la letteratura che si è accumulata in questo processo storico, il manuale diventa in questo modo la testimonianza della scienza giuridica italiana e si intuiscono in molti punti anche i momenti di dialogo e di confronto con altri studiosi, che sono serviti a pervenire alle soluzioni adottate le quali manifestano sempre la loro originalità.

La chiarezza di analisi comporta una considerazione dei diversi elementi della riforma regionale: dal riparto delle competenze, alla specialità, all’asimmetria, ecc., tale da verificare la discrasia tra i progetti di riforma, anche di quelli successivi alla stessa revisione del Titolo V, e la realtà dell’ordinamento, con un progredire per frammenti che Gli fa affermare, conclusivamente, sulla nostra situazione: “Come si vede, quindi, almeno per quanto riguarda il regionalismo, il cantiere costituzionale italiano è ancora aperto”.

 

Potrei ancora continuare a lungo sull’opera scientifica di Antonio D’Atena; ma, scusandomi per le insufficienze delle mie parole, con Lui e con la Comunità scientifica, potrei dire di più, senza mai dire tutto.

 

Desidero, invece, aggiungere solo alcune notazioni che riguardano la Persona.

D’Atena ha anche avuto molte responsabilità pubbliche, nell’Università e non solo.

Penso al Suo impegno nella Commissione di Garanzia, come componente e come presidente, e alla direzione dell’Istituto delle Regioni.

Si può affermare che la limpidezza dello studioso deriva dalla limpidezza della Persona. In tutti i Suoi incarichi D’Atena ha mostrato sempre una dedizione alla cosa pubblica ineguagliabile, generosa e disinteressata, immettendo rigore e competenza nelle istituzioni alle quali ha partecipato.

 

Stelio Mangiameli

 

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