Si avverte preliminarmente che, a differenza dei due che lo hanno preceduto, il Rapporto di quest’anno ha ad oggetto un arco temporale di 18 mesi (dall’1 giugno 2001 al 31 dicembre 2002). Infatti, intendendosi, in futuro, far coincidere il periodo di riferimento dei rapporti con l’anno solare, è stato necessario, in quest’anno di passaggio, comprendere anche il secondo semestre del 2002.
Si avverte, inoltre, che, mentre i dati relativi alla generalità delle sezioni di cui esso si compone sono aggiornati al 31 dicembre 2002, i dati relativi alla sezione n. 3 (Procedimenti per l’approvazione degli Statuti regionali, nonché delle leggi statutarie delle regioni a statuto speciale) sono aggiornati al marzo 2003. Si è ritenuto di introdurre tale eccezione, per dare immediatamente notizia di interessanti soluzioni in materia di procedimenti di produzione normativa emergenti dai documenti prodotti nell’ultima fase dell’elaborazione statutaria.
Le sei sezioni in cui questa parte del Rapporto si articola offrono un quadro esauriente delle tendenze della produzione normativa regionale nel periodo di riferimento. Esse, come per il passato, sono state costruite sulla base delle risposte ai questionari fornite dai consigli regionali. Non costituiscono, tuttavia, la meccanica sommatoria di tali risposte, tentando di ricavare da esse degli elementi di interpretazione circa le linee di sviluppo della produzione normativa delle regioni ed i problemi che essa evidenzia.
Tra tali problemi, ve n’è uno che emerge con particolare nettezza. Si tratta del problema dei rapporti tra gli esecutivi ed i legislativi regionali.
Premesso che i dati che è stato possibile acquisire, non presentando caratteri di completezza e di totale omogeneità, non consentono di fornire un quadro preciso, può rilevarsi che, alcuni elementi lasciano trasparire un sensibile spostamento della produzione normativa dal Consiglio alla Giunta regionale.
Tale spostamento trova, anzitutto, espressione in alcuni indicatori di ordine quantitativo, dai quali risulta un decremento del numero delle leggi adottate (che passano dalle 924 del 1998 alle 708 del 2002) ed un aumento del numero dei regolamenti. In conseguenza di ciò, oggi i regolamenti rappresentano circa un terzo della complessiva produzione normativa regionale. E questo – si badi – sia se il computo viene effettuato a livello di atti, sia se viene compiuto, avendo riguardo ad elementi interni agli atti stessi, quali gli articoli ed i commi (rispetto ai quali i rapporti quantitativi sostanzialmente non cambiano).
E’ da avvertire che si tratta di un dato complessivo (e, quindi, non generalizzabile). Per quanto riguarda la legislazione – ad esempio – mentre in alcune regioni la tendenza di cui s’è detto presenta un andamento assolutamente evidente (in un caso, nel periodo 1998-2002, si registra un abbattimento del numero delle leggi quantificabile in ¾), in altre realtà regionali il decremento è meno marcato, o addirittura assente. E’, inoltre, da considerare che – sempre con riferimento alla legislazione in senso formale – il decremento si lega anche ai processi di semplificazione e riordino normativo, di cui il presente Rapporto dà conto. Cionondimeno, il dato sembra sintomatico di una tendenza che merita di essere registrata.
Non sembra, in particolare, azzardata l’ipotesi che, a seguito del passaggio della potestà regolamentare dal Consiglio alla Giunta (per effetto dell’interpretazione della l. cost. n. 1/1999, affermatasi nella prassi), vi sia stata una autentica “riscoperta” della fonte regolamentare. La quale, mentre in precedenza – soprattutto in alcune regioni – aveva un ruolo assolutamente marginale, si è venuta progressivamente accreditando come un ordinario strumento di produzione normativa, venendo a rivestire un rilievo crescente.
Per completare il quadro, è, inoltre, da considerare che – com’è risultato dalle risposte ai questionari e dai contributi offerti successivamente dai funzionari dei Consigli – ai regolamenti in senso formale (e, cioè, agli atti che così si autoqualificano) si affiancano numerosi atti amministrativi, variamente denominati ed intitolati (deliberazioni, direttive, indirizzi, criteri….), a contenuto normativo, la cui rilevazione è resa difficoltosa dalla circostanza che spesso si tratta di atti di tipo promiscuo, nei quali alle vere e proprie norme si affiancano contenuti strettamente provvedimentali.
Pur non agevolmente quantificabile, il fenomeno appare molto significativo. Non è, infatti, infrequente che la legge demandi a deliberazioni della Giunta il completamento della disciplina da essa posta. Non manca addirittura il caso che la legge inserisca atti del genere nei procedimenti di delegificazione: subordinando la decorrenza dell’effetto abrogativo della legge delegificata all’entrata in vigore del provvedimento amministrativo contemplato dalla legge di delegificazione.
Tali atti – che potrebbero denominarsi regolamenti travestiti – pur risalendo ad epoca anteriore, sembra abbiano conosciuto un incremento successivamente all’entrata in vigore della l. cost. n. 1/1999, confermando, quindi, la tendenza di cui si è detto.
Una tendenza, la quale trova un’ulteriore – anche in questo caso, non agevolmente quantificabile – conferma nella circostanza che talora la legge lasci al regolamento d’esecuzione la parte preponderante della disciplina sostanziale (limitandosi alla posizione di norme a contenuto molto generale).
Ma non è tutto. Non deve, infatti, dimenticarsi che, per effetto del rovesciamento dell’enumerazione delle competenze legislative, oggi l’area d’interferenza tra la normazione regionale e la normazione comunitaria registra un considerevolissimo ampliamento. Ebbene, è questo un ambito, dal quale i Consigli sono fondamentalmente tagliati fuori.
Un deficit di partecipazione consiliare si rileva, anzitutto, nella fase ascendente dei processi comunitari di decisione. Basti considerare che degli atti comunitari in itinere non sono informati i Consigli, ma le Giunte. Le quali Giunte, inoltre, non colmano, in genere, tale carenza di elementi conoscitivi (o, comunque, non la colmano in termini utili al coinvolgimento del Consiglio nel processo di decisione). Per la ragione che le informazioni circa l’attività svolgentesi nelle sessioni comunitarie della Conferenza Stato-regioni – quando ci sono – intervengono, per lo più, successivamente alle sedute. E non mettono, conseguentemente, l’organo assembleare in condizione di concorrere all’elaborazione della politica europea della regione, né delle linee che verranno portate avanti dalla regione stessa in Conferenza. La rilevanza della questione non può sfuggire; soprattutto se si considera che frequentemente l’organo regionale tenuto ad intervenire nella fase discendente (e, cioè, in sede di attuazione della normativa europea) è appunto il Consiglio (chiamato – ad esempio – ad attuare con legge direttive comunitarie). La sua estromissione dalla fase ascendente rischia, quindi, di privare tale fase di parte della sua funzione (che è quella di avvicinare le politiche comunitarie alle esigenze regionali anche al fine di propiziare l’ottemperanza delle regioni alle politiche stesse).
E’, inoltre, da segnalare che frequentemente la verifica della compatibilità tra la normativa regionale e quella comunitaria viene esercitata da strutture della Giunta (e non del Consiglio).
Quanto alla fase discendente, ci si limita a segnalare che si registrano casi in cui l’attuazione degli atti comunitari avviene in via regolamentare.
In sede di introduzione non è il caso di spingere oltre l’analisi.
Non ci si può, tuttavia, astenere da un rilievo conclusivo. Non sembra, in particolare, contestabile che la tendenza cui si è fatto cenno corrisponda ad uno dei grandi temi con cui gli Statuti regionali sono chiamati a confrontarsi.
Si ha, quindi, ragione di ritenere che, in questa fase, le rilevazioni e le analisi contenute nel Rapporto che si licenzia possano offrire un contributo non trascurabile al processo di elaborazione in corso nelle regioni.

Tratto da

Rapporto sulla legislazione 2002

INTRODUZIONE (Antonio D'Atena)


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