Si è svolto a Firenze, presso la Fondazione Spadolini Nuova Antologia, un seminario a inviti sulle riforme istituzionali organizzato dal ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali al fine di avviare un percorso di ascolto e confronto con il mondo universitario e accademico sul tema delle riforme. Il volume contenente gli atti, curato da Dario Nardella, è scaricabile in formato pdf.

Di seguito si riportano le sintesi degli interventi di:
 
-        Adele Anzon Demmig
-        Enzo Balboni
-        Franco Bassanini
-        Lorenza Carlassare
-        Enzo Cheli
-        Marta Cartabia
-        Roberto D’Alimonte
-        Antonio D’Atena
-        Leopoldo Elia
-        Giandomenico Falcon
-        Massimo Luciani
-        Pier Francesco Lotito
-        Leonardo Morlino
-        Cesare Pinelli
-        Paolo Ridola
-        Giuseppe de Vergottini
-        Niccolò Zanon
 
 
Adele Anzon Demmig
La riforma del federalismo in Germania: spunti di riflessione per l’attuazione e l’aggiornamento del regime delle competenze legislative sull’ordinamento italiano.
1. Ragioni della riforma del pluralismo tedesco; “modernizzazione” dell’assetto delle competenze legislative; restituzione del potere di Zustimmung del Bundesrat.
2. Riscrittura del regime delle competenze legislative (abrogazione della Rahmengesetzgebung e ristrutturazione della konkurrierende Gesetzgebung).
3. Konkurrierende Gesetzgebung e proposta derogatoria dei Länder.
4. Nuove materie delle competenze esclusive del Bund (es. terrorismo internazionale) e dei Länder (diritto di riunione; trattamento economico previdenziale, siano essi dipendenti pubblici o giudici).
5. L’assetto delle competenze sulle materie più controverse (istruzione scolastica e universitaria, tutela ambientale, aspetti organizzativi e procedimenti organizzativi per l’esecuzione delle leggi federali).
6. I ritocchi della Costituzione “finanziaria” e della rappresentanza tedesca nel Consiglio dei Ministri dell’UE.
7. Valutazioni d’insieme della riforma tedesca (frammentazione delle materie e dei regimi di competenza legislativa; potenziamento della flessibilità del sistema; pregi e difetti della nuova konkurrierende Gesetzgebung derogabile dai Länder).
8. Spunti di riflessione in ordine all’attuazione dell’art. 116 comma 3 della Costituzione (analogie e differenze come strumenti di “asimmetria” e rischi comuni di dannose discriminazioni).
9. Spunti per l’aggiornamento della distribuzione delle potestà legislative (correzione degli elenchi; precisazione del regime dei limiti della competenza regionale senza “devoluzioni” specifiche; clausole di flessibilità a vantaggio dello Stato; clausole di supremazia; ipotesi di legislazione statale “cedevole”).
 
Enzo Balboni
Sull’inserimento in Costituzione della Autorità (amministrative?) indipendenti.
Premesso che l’inserimento in Costituzione di Autorità Amministrative Indipendenti non è, in questo momento, né urgente né indispensabile, può essere, tuttavia, utile se si attiene al principio di costruire un tipo di attività amministrativa nelle forme del processo dunque: “amministrazione giustiziale”, ovvero: quasi-judicial administration.
Quali oggetti potrebbe avere tale attività? Quelli che attengono alla garanzia di posizioni tutelate in Costituzione sotto forma di diritti quando appaia utile consolidare un certo bilanciamento tra il circuito della democrazia/responsabilità e quello del potere/legittimazione. Da ciò l’inclusione/esclusione di talune tra le A.A.I. oggi presenti nell’ordinamento.
Quale definizione potrebbe eventualmente essere inserita in Costituzione? Quella traibile dalla legge n. 287 del 1990, là dove le si definisce sulla base dei parametri della piena autonomia e della indipendenza di giudizio e di valutazione.
 
 
Franco Bassanini
Il risultato del referendum costituzionale e il programma di governo dell’Unione sbarrano la strada a una grande riforma, ma non a una necessaria e impegnativa operazione di modernizzazione delle istituzioni e di manutenzione straordinaria della Costituzione del ’48. All’opposizione può essere proposto un pacchetto bilanciato di riforme, nel quale governo e maggioranza abbiano gli strumenti per governare, ma l’opposizione ottenga garanzie e strumenti per svolgere il suo ruolo. Sfiducia costruttiva, maggiori poteri al Premier nella guida del Governo, vere corsie preferenziali per i disegni di legge del governo in Parlamento. Dovrebbero essere bilanciati da maggioranze qualificate (tre quinti) per le revisioni costituzionali, le modifiche ai regolamenti parlamentari, l’elezione del Capo dello Stato e dei Presidenti della camera e dei membri delle Autorità indipendenti. L’opposizione dovrebbe avere il diritto di ricorrere alla Corte contro le delibere delle Giunte delle elezioni, e contro le violazioni delle norme costituzionali sul procedimento legislativo. Come previsto dal programma dell’Unione, la questione di fiducia dovrebbe essere limitata alla attuazione del programma di governo e i decreti-legge omnibus vietati e spacchettati al fine di garantire all’opposizione il potere di emendamento.
 
Lorenza Carlassare
II tema della forma di governo è intrecciato agli altri due, legge elettorale e Titolo V. La composizione del Senato è un nodo essenziale anche nel rapporto Stato-Regioni che non può prescindere dalla posizione e forza di queste nelle istituzioni statali. Con pochi senatori eletti dai cittadini (modello USA) si evita il rischio di Camere troppo diseguali e la necessità di competenze differenziate, causa di complicazioni, lentezze e conflitti; lo Stato, del resto, dovrebbe ormai legiferare solo su temi politici generali e forse la “fiducia” andrebbe riservata alla Camera. Manterrei comunque la forma parlamentare con Primo ministro rafforzato, Capo dello Stato garante, Corte costituzionale il più possibile indipendente, e – come in Francia, dove ha dato buona prova – il ricorso preventivo da parte di un numero adeguato di parlamentari (da decidere in tempi brevi).
 
Enzo Cheli
La forma di governo
Per affrontare con realismo il tema delle possibili riforme da introdurre nella nostra forma di governo è importante riflettere sia su come il nostro modello parlamentare ha funzionato nei sessant’anni della nostra storia repubblicana, sia sui caratteri che il nostro sistema politico ha assunto dopo la crisi dei partiti dell'inizio degli anni novanta e la svolta elettorale del 1993.
Oggi questi caratteri fanno registrare aspetti tanto positivi (individuabili nell’avvio del bipolarismo e nello sviluppo dell’alternanza), che negativi (riferibili all’accresciuta frammentazione tra le forze e agli eccessi di personalizzazione che si riscontrano nell’esercizio dei poteri di governo).
Dopo anni di tentativi di riforma, il risultato del referendum del giugno sorso ha segnato il rifiuto definitivo da parte del corpo elettorale del modello della “grande riforma” e induce oggi – alla luce della storia della nostra Repubblica e dei valori fissati nella nostra Costituzione – a percorrere la strada di un modello parlamentare “aggiornato” attraverso interventi graduali (ancorché coordinati) su vari livelli (legge elettorale; regolamenti parlamentari; leggi ordinamentali sugli organi costituzionali) fino al livello della disciplina costituzionale che dovrebbe prevedere: a) la differenziazione strutturale e funzionale tra le due Camere (secondo un modello simile a quello tedesco); b) il rafforzamento dei poteri del Primo Ministro e del “governo in Parlamento”; c) l’introduzione della sfiducia costruttiva; d) una maggiore distinzione tra poteri di indirizzo del governo e poteri di garanzia del Capo dello Stato (in ogni caso da non indebolire rispetto agli attuali); d) la previsione di uno “statuto dell'opposizione” da attuare, in primo luogo, attraverso il rafforzamento della qualificazione delle maggioranze per le riforme costituzionali per la modifica dei regolamenti parlamentari, sia per l?investitura dei maggiori organi di garanzia (compresi i presidenti delle Camere).
 
Marta Cartabia
Tra le patologie macroscopiche che la prassi istituzionale presenta vi sono sicuramente l’abuso del decreto legge e l’abuso della questione di fiducia. L’uso eccessivo di tali strumenti è sintomo che il governo necessita di strumenti di azione agili, tempestivi ed efficaci, che le attuali procedure parlamentari non riescono a garantire. Per evitare la tentazione di ricorrere continuamente alle scorciatoie del decreto legge o della questione di fiducia occorrerebbe agire sulle procedure parlamentari, snellendone drasticamente, di modo che il governo sia incentivato a legiferare attraverso i canali a ciò preposti dalla Costituzione. La riforma del bicameralismo, superando l’anacronistico modello del bicameralismo perfetto, potrebbe avere effetti benefici per ripristinare un corretto rapporto tra governo e Parlamento nella produzione legislativa.
Sotto altro profilo, occorre segnalare che negli anni più recenti anche la Corte costituzionale sembra aver svolto in modo non sufficientemente energico il suo ruolo countermajoritarian. Interventi che rafforzino l’indipendenza dei giudici e una reale collegialità nelle decisioni potrebbero costituire terreni di intervento di riforma. In quest’ottica l’introduzione delle dissenting opinions è un’ipotesi da prendere seriamente in considerazione.
Infine il referendum abrogativo, nella sua funzione abrogativa e demolitoria dell’opera del parlamentol, sembra aver esaurito la sua funzione. Anche la partecipazione popolare diretta richiede nuove forme espressive, in forma propositiva e costruttiva, sul modello dell’iniziativa legislativa rafforzata.
 
Roberto D’Alimonte
La riforma elettorale possibile
In Italia, collegio uninominale maggioritario e premio di maggioranza sono condizione necessaria per assicurare il bipolarismo. Nelle condizioni politiche attuali è difficile introdurre sistemi elettorali basati su collegi uninominali, ed è difficile –oltre che rischioso dal punto di vista della sopravvivenza di un assetto bipolare – introdurre il sistema elettorale tedesco. La sola strada forse percorribile è quella di un riformismo minore, che si occupi di modificare l’attuale legge elettorale. In particolare cinque sono le modifiche necessarie e urgenti: a) l’introduzione del premio di maggioranza a livello nazionale al Senato; b) l’estensione del voto ai diciottenni al Senato; c) l’esclusione dei voti delle liste sotto la soglia dal computo per l’assegnazione del premio di maggioranza; d) l’inclusione dei voti della Valle d'Aosta per l’assegnazione del premio di maggioranza alla Camera; e) l’abolizione delle candidature plurime. Su queste modifiche meglio sarebbe raggiungere un accordo bipartisan, ma in caso contrario si potrebbe e si dovrebbe procedere a maggioranza.
 
Antonio D’Atena (Versione integrale)
Sintesi dell’intervento per punti
1. Deporre l’idea della “grande” riforma costituzionale.
    1.1. Separare il tema della forma di Stato (che è maturo) da quello della forma di governo (che non lo è);
2. Affrontare preliminarmente il tema della riforma del procedimento di revisione della Costituzione, richiedendo sempre la maggioranza qualificata (e, conseguentemente, sottraendo la Costituzione alla disponibilità della maggioranza politica).
    2.1. Verificare la possibilità di coinvolgimenti delle Regioni nel procedimento di revisione costituzionale;
3. Prendere realisticamente atto che certe riforme sono impraticabili
    3.1. Senato di tipo “federale” (incompatibile con il mantenimento dell’elezione diretta e la fortissima escursione tra le rappresentanze regionali);
4. Recuperare le innovazioni da condividere della riforma bocciata dal referendum.
5. Affrontare, con la serietà dovuta, il problema delle materie (che è centrale).
6. Rafforzare gli elementi cooperativi del sistema.
   6.1. Costituzionalizzando le Conferenze;
   6.2. Attuando la cosiddetta “Bicameralina”;
   6.3. Rendendone più incisive le competenze;
7. Aprire una riflessione sull’art. 116 u.c.
   7.1. Che consente – per esempio – l’attribuzione alle Regioni di competenze sull’intera materia dell’istruzione.
 
Leopoldo Elia
Per le riforme è necessario partire dai risultati del referendum anche per quanto riguarda la forma di governo. Respinta dagli elettori a livello nazionale la forma di governo delle regioni (simul simul) e con essa quegli assetti che cumulano la insostituibilità del vertice esecutivo con i poteri propri del governo sugli organi parlamentari, nella esperienza europea è opportuno rafforzare il potere governativo (meglio il presidente del Consiglio) secondo moduli tedesco-spagnoli: a) nomina del Capo del governo; b) nomina e revoca dei ministri; c) sfiducia costruttiva; d) scioglimento delle Camere. Ma il miglioramento sostanziale della nostra forma di governo può derivare soltanto da una buona legge elettorale e dal mutamento del sistema dei partiti.
 
Giandomenico Falcon
1. Non necessità attuale di nuovi interventi in relazione al riparto costituzionale di materie di cui agli artt. 117 e 118 della Costituzione, dato il quadro interpretativo fornito dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, ed in particolare data l'elaborazione del principio di sussidiarietà legislativo, che diminuisce di molto la rigidità del riparto, consentendo allo Stato di legiferare in qualunque materia ove sia effettivamente necessario. Il sistema si va stabilizzando, e un nuovo intervento rischierebbe di riaprire una discussione difficile e di produrre nuove incertezze, e di conseguenza ulteriore contenzioso.
2. Necessità invece di intervenire con la legislazione ordinaria ad attuare il riparto esistente, in particolare in settori in cui la precedente legislatura è intervenuta con riforme accentratrici o elusive: ad esempio in materia di istruzione, di tutela del lavoro, di cultura (ivi compresi gli spettacoli), e se si vuole cautamente sperimentando un ruolo regionale in materia di pubblica sicurezza, in attuazione dell'art. 118 Cost.
3. Naturalmente ancor più necessario è attuare l'art. 119, con un ragionevole riparto di risorse tra lo Stato e le Regioni.
4. Necessità di rafforzare le strutture e gli strumenti di cooperazione, in particolare in relazione alla partecipazione delle Regioni alla formazione delle leggi, sia mediante le intese (oggi in realtà non vincolanti) sia mediante forme di partecipazione al procedimento legislativo.
5. In questo quadro, in attesa di una eventuale vera riforma del Senato – non quella ipotizzata dalla legge costituzionale bocciata dal referendum – occorre almeno dar vita alla speciale commissione prevista dalla riforma del 2001, e mai attuata.
 
Massimo Luciani
Il referendum del 25 giugno ha dimostrato che il popolo italiano ritiene necessario mantenere l’impianto fondamentale della forma di governo per come è disegnato dalla Costituzione.
Nessuna riforma costituzionale della forma di governo sembra realmente decisiva. La questione essenziale, infatti, è quella della robustezza politica delle maggioranze: se le maggioranze non fossero solide servirà a poco, per esempio, conferire esplicitamente al presidente del Consiglio il potere di revoca dei ministri; poiché mancherà sempre la forza politica di esercitarlo. Decisiva, invece, e molto urgente, è la riforma del sistema elettorale, che sola può aiutare la formazione di maggioranze chiare e stabili. Questo risultato può essere ottenuto in molti modi, anche mantenendo un impianto proporzionalista come l’attuale. Quel che conta è che: a) una parte consistente dei seggi sia assegnata in collegi uninominali (come accade nel sistema tedesco, che pure è di tipo proporzionale), per migliorare la qualità della rappresentanza; b) si corregga l’attuale normativa per il Senato, assegnando il premio di maggioranza alla coalizione vincente sul piano nazionale e poi distribuendo i seggi del premio nelle singole Regioni (in tal modo sarebbe rispettato l’art. 55 Cost.).
In questo quadro risulta meno decisiva la soglia di sbarramento, perché il potere di interdizione dei piccoli partiti della coalizione è comunque eliminato o ridotto dell’ampiezza della maggioranza parlamentare della coalizione vincente, che consente di sopportare meglio il dissenso interno.
 
Pier Francesco Lotito
È opinione ampiamente condivisa che tale argomento rientri tra le parti della vigente Costituzione da attuare, piuttosto che da riformare. Il problema si pone, dunque, a livello di strumenti normativi ordinari e di contenuti degli stessi. L’esperienza di attuazione del D.lgs. 56/2000 ha dimostrato che un meccanismo attuativo basato su formule perequative “correttive” – e che richiede un ulteriore intervento amministrativo (in forma di DPCM) che dia applicazione allo stesso – rischia di essere strumento troppo fragilmente esposto alla contingenza politico-governativa e alle pressioni regionali.
In primo luogo, occorre partire dalla considerazione che, in un sistema di finanza pubblica in deficit strutturale quale il nostro, il tema del federalismo fiscale andrebbe inquadrato nella più ampia prospettiva della gestione “federale” della finanza locale, che investe quattro dimensioni fondamentali: a) la spesa, in termini di livello assoluto e composizione della stessa; b) l’entrata, in termini di composizione e di titolarità degli strumenti fiscali; c) il debito e i limiti di indebitamento, da ancorare a strumenti di copertura reale; d) la gestione di cassa e l’adeguatezza del livello di liquidità del sistema.
In tale prospettiva l’unico intervento possibile, in termini di immediata fattibilità, non può che essere ancorato ai criteri del fabbisogno, del livello di entrate e della spesa (sterilizzata della componente sanitaria, da gestire ex se) storici, con l’introduzione di più fondi perequativi (almeno uno ordinario per la compensazione dei diversi livelli regionali di capacità fiscale e un secondo da finalizzare alle politiche di innovazione e investimento strutturale, con risorse da distribuire anche in forma asimmetrica tra le Regioni) e con la previsione di strumenti adattivi della congruità di risorse in rapporto alle nuove competenze assegnate alle Regioni.
 
Leonardo Morlino
Occorre evitare i pericoli dell’inseguire il migliore sistema elettorale possibile, ma giungere al più presto a riformare un sistema elettorale che ha dato cattiva prova.
Gli obiettivi di un sistema elettorale sono sia rafforzare il bipolarismo, che ridurre l’estrema frammentazione partitica e dare un vincitore alla contesa elettorale.
Se la strada per giungere a questi risultati è quella parlamentare, allora la ricerca di ampie intese sembra possibile solo su un riformismo minimo, che riveda: a) i premi regionali al senato; b) aggiusti verso l’alto (per quanto sarà possibile) la soglia di accesso ai seggi; c) includa gli elettori della Val d’Aosta nel calcolo del premio; ed eventualmente, d) limiti le candidature. Non più di questo.
Premesse e conclusione sembrano suggerite, per il caso italiano, dall’ampia e convergente letteratura internazionale sui sistemi elettorali. Molto sinteticamente, il complesso degli studi su tale tema suggerisce che: 1. Il sistema elettorale è una variabile indipendente; ergo, nessun progetto di costruzione partitica può partire se non è chiaro quale sia il sistema elettorale; in questa prospettiva occorre terminare la stagione delle riforme elettorali al più presto; 2. Negli attuali sistemi democratici consolidati la competizione partitica porta a un bipolarismo “naturale”; ergo il problema è evitare l’estrema frammentazione che indebolisce e mantiene debole il bipolarismo; 3. Nelle democrazie consolidate attuali i due principali schieramenti tendono a essere paritari; ergo una legge elettorale deve essere necessariamente manipolativa altrimenti non dà mai uno schieramento come vincitore; 4. Al di fuori dei pregiudizi anglosassoni a favore del bipartitismo, dietro la frammentazione partitica sta la decisione cruciale di quanto selezionare le domande, gli interessi, le identità; il caso italiano ha una storia assai difficilmente rivedibile di espressione degli interessi: ergo una certa frammentazione è ineliminabile e il vero problema è evitare l’estremo di frammentazione (sulla base della letteratura internazionale, questo è un dato quantificabile); 5. Qualsiasi soluzione si proponga deve avere una propria coerenza; ergo aggiustamenti senza criterio non sono possibili; 6. Esiste un problema importante di comunicazione delle riforme che si vogliono fare; ergo, soluzioni arzigogolate, complesse, non sono ammissibili, perché hanno un effetto delegittimante verso i cittadini, in un quadro in cui insoddisfazione e critica sono già alte.
 
Cesare Pinelli
Sintesi dell’intervento per punti
1. Perché è bene riformare la legge elettorale;
2. Riforma elettorale, forma di governo e le lezioni della passata legislatura;
3. Il doppio turno di collegio;
4. L’obiezione dell’impraticabilità politica e la controproposta del proporzionale corretto secondo il modello tedesco;
5. Come fronteggiare il dilemma: le soluzioni di un compromesso.
 
Paolo Ridola
Il professor Ridola premette che il suo intervento prenderà in esame alcune questioni di sistema e di contorno rispetto al tema della riforma del sistema elettorale, questioni importanti, peraltro, perché toccano aspetti centrali della discussione sui caratteri delle democrazie contemporanee. Un primo punto riguarda l’innesto di congegni di tipo plebiscitario sul tronco della democrazia rappresentativa.  Pur riconoscendo che trasformazioni profonde della società e della politica hanno spinto al rafforzamento delle componenti plebiscitarie delle democrazie, il professor Ridola ritiene ineludibile una valutazione problematica di tali soluzioni nel quadro dell’ispirazione fondamentale della Costituzione repubblicana. Sembra invero paradossale che inedite sfide delle società pluralistiche, così come domande crescenti di efficienza e governabilità possano comportare il ridimensionamento del tasso di pluralismo che gli assetti di governo debbono preservare. Un secondo punto tocca la questione della regolazione legislativa dei partiti. Sebbene le trasformazioni  delle democrazie e la complessità sociale abbiano messo in discussione la funzione aggregante e la legittimazione del sistema partitico, proprio la riforma elettorale del 2005, rafforzando, fra l’altro, la distorsione oligarchica dei meccanismi di selezione delle candidature, ripropone con forza la necessità di riconsiderare il tradizionale orientamento di diffidenza nei confronti di interventi legislativi sulla istituzionalità interna dei partiti, almeno per quegli aspetti (come, per l’appunto, la selezione dei candidati alle cariche elettive) che incidono più direttamente sul funzionamento delle istituzioni. Occorre poi porre mano ad una riforma del finanziamento della politica che tenga conto della necessaria connessione fra i vari aspetti della disciplina della materia, e che consideri globalmente, insieme al tradizionale meccanismo del finanziamento pubblico, la questione della trasparenza e dell’influenza dei poteri privati sul processo politico, il regime delle ineleggibilità e delle incompatibilità, il possesso dei canali di informazione, la disciplina del conflitto di interessi. Un terzo punto riguarda, infine, il significato della garanzia costituzionale dell’indipendenza del parlamentare (art.67 Cost.) nel quadro di sistemi elettorali orientati in senso maggioritario. Il tema potrà trovare collocazione essenzialmente nella riforma dei regolamenti parlamentari. Occorre tuttavia interrogarsi se regimi di favore collegati al consenso elettorale ed alle issues derivanti dalla consultazione elettorale non incontrino proprio nell’art.67 Cost. un limite, come strumento di tutela della eguaglianza delle chances in un processo politico orientato da dinamiche maggioritarie.
 
Giuseppe de Vergottini
Gli interventi di riforma devono essere realistici. Occorre quindi tenere conto dell’esito del referendum costituzionale che ha bocciato la grande riforma del centrodestra. Occorre anche tener conto del fatto che il sistema politico ha accettato la formazione di coalizione pre-elettorali, la individuazione preventiva del leader di coalizione, il voto congiunto del premier e della maggioranza, il principio di alternanza. Ha accettato quindi l’impianto della bipolarizzazione che va a tutti i costi salvata.
Il primo intervento è quindi sulla legge elettorale che deve essere riformulata con questo obiettivo. Ad un tempo andrebbero prospettate le indispensabili modifiche costituzionali per rafforzare il ruolo del presidente del Consiglio dei Ministri, specificando la sua titolarità del potere di nomina e revoca dei ministri e di decisione dello scioglimento anticipato come ammesso nella generalità delle democrazie parlamentari consolidate. L’intervento sulla legge elettorale andrebbe fatto rapidamente, e non a fine legislatura, anche in osservanza dei principi raccomandati dal Consiglio di Europa.
Sicuramente auspicabile, ma oggi poco realistico, è l’intervento sul bicameralismo con introduzione della Camera delle Regioni, la ridefinizione delle competenze legislative di Stato e Regioni e la concentrazione nella Camera elettiva nazionale del rapporto fiduciario.
 
Niccolò Zanon
La vigente legge elettorale non impedisce il bipolarismo di coalizione, ma ha il torto di aumentare il frazionismo e la competizione all’interno delle coalizioni. Apparentemente, in aprile, gli elettori hanno continuato a ragionare (e a votare) in una logica bipolare. Nel medio-lungo periodo, questa legge potrebbe pero avere l’effetto di “smontare” del tutto le aggregazioni coalizionali, favorendo la scomposizione dei poli e la fine del bipolarismo di coalizione. È inoltre certo che questa legge non favorisce per nulla (ma anzi contrasta) le spinte al bipartitismo, cioè le “aspirazioni” alla formazione di un partito dei democratici e di uno dei moderati. Chi vuole mantenere e, possibilmente, rafforzare il bipolarismo dovrebbe perciò lavorare per ottenere alcune modifiche alla legge. Sono pensabili prospettive di cambiamento radicale (irrealistiche) e ipotesi di aggiustamenti “minimali” (ma niente affatto ininfluenti), sulle quali è forse più facile prevedere un certo consenso in sede parlamentare. Tra le prospettive radicali (irrealistiche) collocherei il ritorno al mattarellum (o, addirittura, la prospettiva di un maggioritario all’inglese), o a sistemi a doppio turno (per la prevedibile opposizione del centro-destra e non solo). Tra le prospettive praticabili, indicherei interventi sulla legge vigente che alzino significativamente le soglie di sbarramento, o che agiscano sulla dimensione delle circoscrizioni, diminuendola sul modello spagnolo. Sullo sfondo, l’idea del referendum abrogativo-manipolativo (il cosiddetto referendum “Guzzetta”), che in funzione bipartitica abolisce le coalizioni e attribuisce il premio alla lista che ottiene più voti: un “grimaldello” che potrebbe funzionare da arma di pressione sul Parlamento, ma con molti rischi, incertezze e ambiguità
 

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