DOCUMENTO

SCHEMA DI DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE CONCERNENTE

“MODIFICAZIONE DEGLI ARTICOLI 55, 56, 57, 58, 59, 60, 64, 65, 67, 69, 70, 71, 72, 80, 81, 83, 85, 86, 87, 88, 89, 91, 92, 93, 94, 95, 96, 104, 114, 116, 117, 126, 127, 135, 138 DELLA COSTITUZIONE”.
(A.S. N. 2544)

AUDIZIONE

I^ COMMISSIONE AFFARI COSTITUZIONALI
SENATO DELLA REPUBBLICA


Roma, 6 novembre 2003


Il disegno di legge costituzionale d’iniziativa governativa innova e modifica non solo talune disposizioni del Titolo V, ma tutta la Parte Seconda della Costituzione riguardante l’Ordinamento della Repubblica.

Relativamente al percorso di elaborazione ed approvazione di una riforma costituzionale di tale ampiezza e rilevanza, l’ANCI ritiene di dover formulare alcune considerazioni di carattere generale.

L’ANCI ha da tempo evidenziato l’esigenza di completare e, se necessario, correggere l’assetto istituzionale, come delineato dalla legge costituzionale n.3/2001. L’invito a continuare un percorso di riforma costituzionale, che conduca ad una valorizzazione dell’autonomia e della responsabilità dei livelli di governo territoriale, è rimasto fin qui quasi inascoltato.
Il coinvolgimento dei Comuni e dell’Associazione che li rappresenta è stato assai circoscritto nel tempo e non ha consentito di formulare, in sede di Conferenza Unificata, alcuna proposta correttiva contenente gli orientamenti e le valutazioni dei Comuni.

Si ribadisce, pertanto, la necessità di avviare una concertazione sulla proposta di riforma costituzionale, la quale incide sulla forma di stato e sui rapporti tra lo Stato, le Regioni, le Province, le Città metropolitane e i Comuni e che, quindi, richiede una sostanziale condivisione fra tutti i livelli territoriali, che sono a pari titolo soggetti costitutivi della Repubblica.

L’ANCI invita il Parlamento a dare attuazione alle disposizioni della legge costituzionale n. 3 del 2001 che, a tutt’oggi, sono rimaste lettera morta, ossia la modifica dei regolamenti parlamentari per l’integrazione della Commissione bicamerale per le questioni regionali con i rappresentanti di Regioni e Autonomie locali e l’introduzione nel sistema di finanza pubblica dei principi e delle regole del federalismo finanziario e fiscale sanciti nell’art.119 della Costituzione.

Nel merito del disegno di legge costituzionale, si evidenziano le seguenti considerazioni generali.

1. Senato federale della Repubblica
Il disegno di legge ha il pregio di porre con chiarezza l’obiettivo di superare l’attuale sistema parlamentare con l’istituzione del Senato federale. Pertanto, si esprime apprezzamento per la scelta di fondo tesa al superamento del bicameralismo paritario e perfetto. Ciò rappresenta un passo imprescindibile nel cammino verso un assetto che si vuole federale ed autonomista.
Si dissente fermamente dal modello di Senato federale delineato, che offre un immagine sbiadita ed imperfetta di un organo, che aspirerebbe a rappresentare gli interessi di tutti i territori, le istanze delle comunità e dei loro governi.
Un vero Senato federale, inteso come sede di rappresentanza degli interessi territoriali, presuppone che i diversi livelli territoriali costitutivi della Repubblica siano immediatamente in esso rappresentati. Immaginare che il principio della rappresentanza territoriale possa esaurirsi nei pochi elementi, contenuti nella proposta, che dovrebbero connotare la natura federale dell’organo; o immaginare che il medesimo principio possa essere soddisfatto dall’ingresso nel Senato di soggetti di rappresentanza del solo livello regionale, significa coltivare una visione asfittica e parziale dell’ordinamento delle fonti normative, dell’idea di amministrazione (come se per chi amministra e norma, possa essere indifferente chi legifera e su cosa) e più in generale del quadro costituzionale riformato in senso federale ed autonomistico.
Il ‘pregevole’ richiamo alla rappresentanza territoriale non è tradotto in una morfologia strutturale e funzionale del Senato appropriata ed accettabile. Il regime elettorale adottato fissa un legame debole con le istituzioni territoriali, che in alcun modo risponde all’idea di rappresentanza degli interessi delle comunità e dei loro governi che l’ANCI porta avanti. Nel progetto, si rileva la debolezza, se non l’inconsistenza, dei fattori che dovrebbero connotare il Senato in senso federale (requisito per l’elettorato passivo) e la presenza di indicatori che confermano i sospetti su una scarsa ed affievolita convinzione ‘federale’ del Governo nel delineare i caratteri del Senato.
La condizione prevista per accedere all’elettorato passivo, che nelle intenzioni del Governo dovrebbe sostanziare il legame con i territori, fa solo presumere e sottintende una spinta alla regionalizzazione dei senatori nella geografia parlamentare, uno stimolo all’aggregazione per comune derivazione regionale, che potrebbe trascendere il naturale legame politico-partitico.
Ciò trova ulteriore conferma nell’introduzione nell’ordinamento parlamentare di un inedito ‘numero legale’ per la validità delle deliberazioni, ossia la presenza all’atto dell’espressione del voto di senatori eletti almeno in un terzo delle regioni.
Come si farà a rilevare il numero legale, se non vi è una suddivisione per derivazione regionale, forse anche fisica e comunque verificabile , dei senatori nell’Aula?
Peraltro, inevitabilmente i rappresentanti delle regioni con pochi seggi peseranno più degli altri e, per contro, quelli delle regioni popolose meno; ci si chiede poi: basta anche un solo senatore di una regione per integrare la regione dentro il c.d. “terzo” delle regioni, o è necessaria la presenza della maggioranza dei senatori di una regione perché si possa dire che quella regione integra il “quorum del terzo”?.

2.Procedimento di formazione delle leggi.
Si tratta di una delle norme chiave del nuovo disegno costituzionale, ma anche la più debole e controversa.
La vecchia formula “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere” che, nella sua sinteticità, esprimeva per intero il nostro bicameralismo perfetto e paritario, viene sostituita da un lungo e complesso articolato, che segna il passaggio ad un bicameralismo differenziato ed asimmetrico.
Si assegna alla Camera dei deputati la competenza a legiferare nelle materie riservate in via esclusiva allo Stato; al Senato federale della Repubblica la competenza a legiferare nelle materie cd.concorrenti.
Si prevede l’eccezione all’ordinaria procedura, prevalentemente monocamerale, stabilendo per talune materie la doppia, ma non più conforme, deliberazione da parte delle due Camere: perequazione delle risorse finanziarie, individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane, il sistema elettorale di Camera e Senato ed ogni altra caso in cui la Costituzione rinvii espressamente alla legge dello Stato.
Si disciplina l’ipotesi di deliberazioni di testi non conformi da parte dei due organi, prevedendo un’unica lettura, conclusa la quale, se sussistono difformità, si attiva una procedura su iniziativa dei Presidenti delle due Camere che hanno facoltà di convocare una commissione mista paritetica incaricata di proporre un testo limitatamente alle disposizioni su cui vi è disaccordo. Il testo predisposto è sottoposto all’approvazione delle due Camere e su di esso non sono ammessi emendamenti.
Si rimette ai Presidenti delle due Camere la decisione insindacabile sulle questioni di competenza circa l’esercizio della funzione legislativa.
Fuor di dubbio, tale norma presenta gravi profili di criticità: sia di ordine generale, relativi al modello di sistema parlamentare a cui si sono ispirati gli estensori del testo; sia di ordine sostanziale, se si guarda al possibile funzionamento del ‘mono-bicameralismo’ prospettato.
Se è politicamente legittimo optare, nella varietà di sistemi che l’esperienze parlamentari degli altri Paesi offre, quello che si ritiene più affine o migliore per il nostro assetto istituzionale, non è politicamente sostenibile costruire un sistema parlamentare che presenta incongruenze ed aporie così ingombranti.
Se ne indicano alcune: come si fa a ripartire la competenza legislativa fra Camera e Senato in modo così netto, a seconda che si tratti di materia esclusiva o concorrente, pur con le marginali eccezioni indicate, se molte materie concorrenti richiamano materie esclusive (e viceversa)? Quale sarà e chi darà l’indirizzo politico-legislativo, se questo è frazionato fra due soggetti che potranno avere maggioranze politiche diverse, di cui una soltanto è legata da un rapporto di fiducia con il Governo?
Poi, la procedura immaginata nel terzo comma, nel caso di una lettura non conforme del testo da parte delle due Camere, appare non chiara: si prevede una facoltà (quindi possono non farlo?) dei Presidenti delle due Camere di convocare una commissione mista paritetica che dovrebbe predisporre un testo limitatamente alle disposizioni in cui non vi è lettura conforme. Nulla si dice su cosa succede se la commissione non raggiunge l’accordo ? Poniamo che il testo venga licenziato, si dice che è sottoposto all’approvazione delle due Camere, che possono prendere o lasciare, che succede, non si dice, se una approva e l’altra no? E se la procedura descritta non arriva a buon fine, quanto potrà durare la paralisi o cortocircuito istituzionale?
Ancora, sull’intesa fra i Presidenti per risolvere le questioni di competenza: e se non si raggiunge l’intesa, consapevoli della tendenza naturale dei Presidenti a difendere le prerogative della propria Assemblea?
Va evidenziata l’incoerenza dell’elenco delle materie per cui si conserva una doppia deliberazione, sia in ordine all’indeterminatezza del riferimento a quelle che la Costituzione individua come leggi (si tratta di ogni caso di riserva di legge o invece dei soli casi in cui si richiama esplicitamente la legge come fonte di disciplina di una certo di settore?) sia con riguardo al fatto che sono bicamerali le leggi sulle funzioni fondamentali, ma non le altre che possono interessare gli enti territoriali, il che è un grave limite all’idea di Senato federale, sia per l’assenza nell’elencazione dei disegni di legge attinenti ai bilanci e al rendiconto consuntivo dello Stato.
Le preoccupazioni in ordine alla generale funzionalità del sistema parlamentare derivanti dalla problematica ripartizione della competenza legislativa fra le due Camere e dal debolissimo collegamento dato dalla possibilità che ciascuna Camera possa proporre modifiche rispetto ai provvedimenti deliberati dall’altra, nelle materie di competenza di quest’ultima, prefigurano l’instaurazione di un regime bicamerale non solo asimmetrico (il che sarebbe in linea di massima accettabile), ma anche zoppo e fortemente duale. In tale sistema, infatti, è possibile che ciascuna Camera produca un indirizzo politico legislativo divergente, con il rischio di un cortocircuito normativo in quelle materie o settori la cui competenza a legiferare è frazionata fra concorrenza ed esclusività.
Ci si chiede come possa funzionare un sistema così potenzialmente conflittuale e privo di adeguati elementi istituzionali di interconnessione. Così come ci si chiede come possa conciliarsi il rafforzamento del premierato con la mancanza di strumenti governativi di indirizzo rispetto al Senato federale. Il rapporto fiduciario permane esclusivamente tra Primo ministro e Camera dei deputati, cementato dall’elezione della Camera attraverso l’indicazione nelle schede del candidato Primo ministro. Invece, a stretto rigore, rispetto al Senato non si può neppure parlare di maggioranza o minoranza e non vi alcun potere di indirizzo da parte del Governo. Ciò potrebbe funzionare qualora la fisionomia strutturale e funzionale del Senato fosse realmente espressione di interessi generali diversi e avesse compiti e poteri peculiari, rispetto ad una Camera depositaria della rappresentanza politica generale, soggetto quasi esclusivo di legislazione, titolare del rapporto di fiducia con l’esecutivo. Invece, le norme proposte dicono altro: rappresentano un compromesso ad elevato rischio.


3. Competenza legislativa esclusiva delle Regioni.
L’articolato cd.devolution, già approvato in prima lettura da Camera e Senato, viene assorbito nello schema pur con alcune importante correzioni, che fanno acquistare alla norma maggiore coerenza giuridica.
Viene meno il meccanismo della cd.autoattivazione da parte della Regione, e si inserisce più armonicamente l’attribuzione della competenza legislativa esclusiva alle regioni nel testo vigente dell’art.117.
Ciò detto, permangono per intero le perplessità, già da tempo, manifestate sul provvedimento che estromette lo Stato quale soggetto che garantisce una disciplina ed una tutela uniforme per tutti i cittadini in tre settori vitali, quali sanità, istruzione e sicurezza. La devolution rischia di intaccare il fine fondamentale della tendenziale uniformità qualitativa e quantitativa su tutto il territorio nazionale nell’erogazione delle prestazioni di base del welfare, con conseguenze difficilmente accettabili sul grado di coesione sociale e con gravi lesioni di alcuni principi fondamentali sanciti nella Carta costituzionale.
Preoccupa la riformulazione della norma che definisce la competenza legislativa esclusiva delle regioni in tutte le materie non espressamente assegnate dal 117 allo Stato. Preoccupa la possibile deduzione per sottrazione da parte del legislatore regionale di una competenza in materia di ordinamento degli enti locali. Ribadiamo su tale punto che al di fuori degli ambiti materiali riservati al legislatore statale in via esclusiva (art.117, secondo comma, l.p), vi è solo l’autonoma potestà normativa dell’ente locale che si esplica nella forma statutaria e regolamentare.


4. Capitale della Repubblica federale.
Si precisa che Roma è la capitale della Repubblica federale e dispone di forme e condizioni particolari di autonomia, anche normativa, nelle materie di competenza regionale e nei limiti e con le modalità stabilite dallo Statuto della Regione Lazio.
L’ampliamento della disciplina costituzionale su Roma capitale, con il riconoscimento di uno status speciale, non può comportare l’attribuzione ‘impropria’ alla fonte statutaria regionale della sua concreta disciplina. Tale ipotesi che attribuisce allo statuto regionale il compito di definire i poteri più ampi della Capitale – pur apprezzabile per il riferimento al riconoscimento della potestà legislativa – non è condivisibile. Proprio in un ordinamento di tipo federale è importante che l’assetto della “Capitale della Repubblica” sia deciso dalla legge dello Stato, con il coinvolgimento della Regione, ed in modo da salvaguardare comunque l’autonomia delle Istituzioni locali.


5. Corte costituzionale.
Si condivide la previsione di una componente espressione delle autonomie territoriali nell’organo di giurisdizione costituzionale, in seguito ad un ampliamento della sua composizione.
Tale previsione risolve parzialmente il problema di un maggiore raccordo dell’organo di garanzia costituzionale con le nuove funzioni delle Regioni e delle Autonomie locali.
Sussiste, di fatti, un problema di effettività delle attribuzioni costituzionali dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane. La percezione dell’esigenza di un nuovo assetto del regime di tutela costituzionale emerge, d’altronde, anche dalle previsioni contenute nell’art. 9 della l. 131/03, che però risultano fortemente condizionate dalla veste vigente delle norme costituzionali di accesso alla Corte.
Lo stesso giudice costituzionale ha costantemente affermato che l’ente locale non può adire direttamente la Corte, sia in via di azione che nel giudizio per conflitto di attribuzione, poiché “nessun elemento letterale o sistematico consente di superare la limitazione soggettiva che si ricava dall’art. 134 Cost. e dall’art. 39 della legge 87 del 1953”.
Di conseguenza, appare indispensabile prevedere espressamente in Costituzione una possibilità di accesso al giudice costituzionale da parte degli enti locali, previsione contemplata in altri ordinamenti europei (come Germania e Spagna), prevedendo un filtro nella fonte costituzionale o rinviando alla legge ordinaria.
In mancanza di tale previsione risulterebbe, infatti, alquanto compromessa la pari dignità costituzionale di Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, come prevista dall’art.114 della Costituzione.


6. Riconoscimento delle Conferenze.
La previsione di un Senato federale non risolve il problema di un adeguato e proficuo sistema di raccordi istituzionali tra lo Stato, le Regioni, le Province, le Città metropolitane ed i Comuni.
Numerose problematiche interistituzionali hanno natura politico-amministrativa e possono trovare soluzione solo in una sede di concertazione come le Conferenze , quale luogo principale di raccordo tra i diversi livelli di governo. Pertanto, si ritiene opportuno promuovere una riflessione seria sull’istituto che porti ad un suo diretto riconoscimento costituzionale.

Sulla base di tali considerazioni, non si può sottacere che il disegno di legge costituzionale rappresenta un passo indietro nel cammino verso un sistema istituzionale federale, ad eccezione dell’opzione di fondo evidenziata, consistente nella trasformazione del bicameralismo paritario.
Il progetto presentato rappresenta nel merito, sia per le regioni che per gli enti territoriali, un forte arretramento, anche rispetto al testo costituzionale in vigore.
Non vi è dubbio alcuno che la previsione oggi contenuta nell’art. 11 della l. cost. n. 3 del 2001, che prevede l’integrazione della Commissione bicamerale per le questioni regionali, configura un sistema assai più rispettoso del nuovo ordinamento della Repubblica in senso federale.
Il progetto, pertanto, costituisce indiscutibilmente un passo indietro, ad eccezione della opzione di fondo indicata all’inizio. Arretramento tanto più forte se si tiene conto che comunque l’entrata in vigore a regime di questa parte del progetto è rinviata in ogni caso alla XVI legislatura, mentre l’effetto immediato non potrà non essere quello di mettere la parola fine ad ogni tentativo di dare attuazione a quanto previsto dall’art. 11 della l. cost. n. 3 del 2001.
Ciò detto, l’Associazione intende attivarsi per l’apertura di un dialogo che miri a una riscrittura del testo almeno nella parte, per gli enti territoriali essenziale, concernente la seconda Camera, la sua composizione e i suoi poteri.


PROPOSTA DI EMENDAMENTO

ART. 3

Sostituire l’art.3 con il seguente:

(Elezione del Senato federale della Repubblica)

“Il Senato federale della Repubblica è composto da duecento senatori,dai senatori elettivi assegnati alla circoscrizione Estero e dai senatori a vita.
Cento senatori sono eletti a suffragio universale e diretto, su base regionale, contestualmente all’elezione del Consiglio regionale. A tal fine ad ogni Regione sono attribuiti due seggi, al Molise e alla Valle d’Aosta uno. La ripartizione dei restanti seggi si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risultante dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.
Cinquanta senatori sono espressi dalle Regioni. A tal fine ad ogni Regione è attribuito un seggio. La ripartizione dei restanti seggi si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti. Sono senatori di diritto i Presidenti di Regione. I restanti seggi sono ricoperti da componenti dell’esecutivo regionale, eletti secondo le modalità indicate dalla legge approvata dalle due Camere.
Cinquanta senatori sono espressi dai Comuni, dalle Province e dalle Città metropolitane. Agli enti locali di ogni Regione sono attribuiti un numero di seggi pari a quelli determinati in base al comma precedente. Sono senatori di diritto i sindaci delle Città metropolitane. I restanti seggi sono ricoperti da rappresentanti eletti da assemblee composte da sindaci e presidenti di Provincia, secondo le modalità indicate dalla legge approvata dalle due Camere.
La cessazione per qualunque motivo dalla carica regionale o locale comporta la cessazione dalla carica di senatore”.


PROPOSTA DI EMENDAMENTO

ART.11
(Formazione delle leggi)

Al comma 1 dell’art.11 abrogare le seguenti parole: “ivi compresi i disegni di legge attinenti ai bilanci e al rendiconto consuntivo dello Stato”.

Al comma 3 dell’art.11 aggiungere dopo le parole “dalle due Camere” le seguenti parole: “per l’esame dei disegni di legge attinenti ai bilanci e al rendiconto consuntivo dello Stato”.


PROPOSTA DI EMENDAMENTO

ART.29
(Capitale della Repubblica federale)

Sostituire l’art.29 con il seguente:

“Roma è la capitale della Repubblica federale. Per il più efficace assolvimento della funzione di capitale, la Città di Roma dispone di autonomia finanziaria e di risorse aggiuntive, ai sensi dell’art.119, e di potestà normativa, anche legislativa, nelle materie di competenza regionale”


PROPOSTA DI ARTICOLO AGGIUNTIVO

ART.34 bis

Aggiungere un terzo comma all’art.127 della Costituzione:

“Il Comune, la Provincia e la Città metropolitana, quando ritenga che una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o della Regione, leda la sua sfera di competenza costituzionalmente garantita, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell’atto avente forza di legge”.


PROPOSTA DI ARTICOLO AGGIUNTIVO

ART.34 ter

All’art. 134 della Costituzione modificare l’ultimo periodo del primo alinea nel modo seguente:
“sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli in cui siano parti lo Stato, le Regioni, le Città metropolitane, le Province e i Comuni.”


PROPOSTA DI ARTICOLO AGGIUNTIVO

ART.34 quater

“La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni, le Province, le Città metropolitane e i Comuni è l’organo di consultazione istituzionale fra i soggettivi costitutivi della Repubblica.
La Conferenza è composta, secondo le modalità stabilite dalla legge, dal Primo Ministro, o da un suo delegato, che la presiede, dai ministri, dai Presidenti di Regione, dai Presidenti di Provincia, dai sindaci delle Città metropolitane, e dai sindaci dei Comuni non metropolitani. Promuove intese ai fini dell’esercizio delle rispettive funzioni di governo e svolge le altre funzioni previste dalla legge”.


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