Documento presentato dal Presidente dell'ANCI al Presidente della Corte dei Conti


Il dato di partenza, pacificamente acquisito e tradotto nel tempo in passaggi normativi, è il graduale superamento dei controlli preventivi di legittimità sugli atti sia dello Stato che delle Autonomie territoriali.

Parallelamente e di conseguenza è cresciuta l’enfasi sulla centralità e sull’importanza dei controlli interni, con l’assegnazione della relativa attività alla sfera dell’organizzazione e dell’azione amministrativa degli enti; esaltazione del ruolo dei controlli interni, anche in chiave di autocorrezione e di autotutela dell’ente.

In questa fase è anche emerso un ruolo precipuo della Corte dei Conti nella sfera del controllo successivo (così la l.n.20/94). Forma di controllo esercitata da un organo ausiliario sia dello Stato, che delle regioni e degli enti locali e finalizzato esclusivamente ad un attività di referto agli organi assembleari.

Ricordiamo che tale funzione di controllo, come precisò la famosa sent. n.29/95 della Corte costituzionale, deve atteggiarsi quale attività di carattere eminentemente collaborativo e ausiliario, non atta a vincolare l’autonomia degli enti locali.

In quella pronuncia, peraltro, rilevava una fisionomia della Corte dei Conti abbastanza limpida, secondo cui tale organo in quanto espressione dello Stato-Comunità, oggi si potrebbe dire della Repubblica, per la sua neutralità, indipendenza e terzietà è il garante degli equilibri economico-finanziari e della corretta gestione delle risorse collettive, sotto il profilo dell’efficienza, dell’economicità e dell’efficacia dell’agire amministrativo statale, regionale e locale.

In tale linea evolutiva dell’assetto dei controlli pubblici, si colloca l’abrogazione, con la riforma del 2001, degli articoli 125 e 130 della Costituzione, abrogazione che recide l’aggancio costituzionale con un modello, seppur in stato di irreversibile obsolescenza, di controllo di tipo gerarchico e preventivo.


All’indomani della riforma costituzionale, si è aperto un dibattito in ordine alle tipologie di controllo sugli enti locali costituzionalmente ammissibili, posto che la Costituzione contempla espressamente il solo controllo sostitutivo del Governo, nelle fattispecie e secondo i princìpi enunciati dall’art. 120, secondo comma, nonché, implicitamente il controllo sugli “organi di governo” attribuito alla legislazione esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lett. p).

La Costituzione non prevede nient’altro.

In base a tale considerazione, alcuni (vd Cammelli) sostengono la tassatività delle tipologie di controllo, che trova ubi consistam nei principi contenuti nell’art. 114 Cost., per cui“l’amministrazione italiana è ormai in gran parte una amministrazione autonoma”, per cui i condizionamenti esterni all’esercizio delle funzioni degli enti costitutivi della Repubblica sarebbero da “riconoscere solo se, e nei limiti in cui, la stessa Costituzione ne operi un esplicito richiamo”.

Altri (vd. Bin, Corpaci) hanno invece ribadito come l’abrogazione delle disposizioni costituzionali in materia di controllo non abbia scalfito l’orientamento della giurisprudenza costituzionale, teso ad ammettere forme di controllo sulle autonomie territoriali ultronee rispetto a quelle testualmente previste dalla Costituzione, purché “sia rintracciabile in Costituzione un adeguato fondamento normativo o un sicuro ancoraggio a interessi costituzionalmente tutelati”.

Come spesso accade, in medio stat virtus , e la lettura del diritto positivo nella prospettiva di una sua ulteriore sistematizzazione, deve tener conto e bilanciare entrambe le interpretazioni: da un lato il potenziamento, la valorizzazione delle autonomie territoriali, che trova una sua estrinsecazione nell’autonoma regolazione dei controlli interni e dall’altro la sopravvivenza o la revisione di un sistema dei controlli, in particolare esterni, che hanno ancora oggi ratio in princìpi costituzionali il cui vigore è rimasto immutato, a partire da quelli fondati sugli artt. 97 e 81, fino a giungere alla cornice costituzionale in materia di finanza degli enti autonomi tracciata dall’art. 119.

Quindi, abbiamo ora e in prospettiva un robusto sistema di controlli interni, ove si esplica l’autonomia dell’ente, e una tipologia di controllo esterno e successivo sugli equilibri finanziari e sulla gestione finanziaria e il funzionamento dei controlli interni esercitato in chiave collaborativa e ausiliaria dalla Corte dei conti.

Va a questo punto fatto un inciso e operata una puntualizzazione.

Nel ricercare i necessari riferimenti costituzionali da porre a fondamento di una funzione di controllo di carattere finanziario della Corte, si è convenuto che nella declinazione della nozione e della materia “coordinamento della finanza pubblica”, rientrante nella legislazione a competenza concorrente, possa inscriversi un ruolo proprio della Corte.

Si può, infatti, ritenere che nell’ambito dei processi di coordinamento della finanza pubblica, intesa come coordinamento statico ossia normativo e coordinamento dinamico ossia procedurale, possa assolvere un ruolo incisivo la Corte dei Conti. L’assunzione di questo compito da parte dell’organo non dovrebbe però comportare una duplicazione o triplicazione di controlli da parte di soggetti diversi, in alcuni casi aventi la medesima finalità e riguardanti gli stessi atti. Il coordinamento finanziario. sotto tale profilo, dovrebbe esaurirsi in controlli di limite o di chiusura del sistema.

S’impone, pertanto, da subito una razionalizzazione delle discipline, una riduzione ad unità che porti, in particolare, ad una unificazione delle procedure di trasmissione dei dati e delle modalità nello svolgimento delle verifiche, in modo da semplificare la vita amministrativa e contabile degli enti che, alla luce delle recenti disposizioni, appare gravata da incombenze eccessive. Peraltro, un applicazione intelligente dell’idea di ‘coordinamento’ implica una riassetto efficiente e coerente del sistema, che investa sia i rapporti fra i livelli di governo sia i rapporti fra i soggetti deputati a garantire l’equilibrio dei flussi finanziari. Indubbiamente, in una prospettiva, che pare molto di là da venire, di attuazione dell’art.119 della Costituzione, e in un’ opera obbligata di institution building, volta alla individuazione di luoghi di cooperazione in materia di programmazione economica e finanziaria, la Corte potrebbe assumere un ruolo inedito che oggi, per certi aspetti, appare anticipato da una tendenza normativa e istituzionale confusa, approssimativa e contraddittoria.


Alla luce di ciò, va valutato se e quando l’attribuzione alla Corte dei Conti della funzione di controllo successivo sugli enti locali, che sempre più la legge ha sostanziato quale organo della Repubblica, depurandolo dai caratteri di organo ausiliario dell’Amministrazione centrale, appare in linea e in sintonia con il nuovo assetto costituzionale.

Fuor di dubbio, la legge 131/2003 fornisce precise indicazioni e in due distinte disposizioni affronta e detta regole riguardanti la materia generale dei controlli sugli enti locali.

L’art. 2, contenente la delega per l’adeguamento della normativa statale alla Costituzione riformata, elenca tra i principi e criteri direttivi “ l’attribuire agli statuti dei comuni e delle province la potestà di individuare i sistemi di controllo interno (lett. e); l’individuare i principi fondamentali dell’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali ai fini dell’attivazione degli interventi previsti dall’art. 119, 3° e 5° co., Cost. (lett. f); mantenere fermo il sistema di controllo sugli organi degli enti locali (lett. m)”.

Il legislatore riconosce così la centralità della potestà statutaria e, quindi, del potere normativo degli enti locali, attestandosi sulla prevalente linea di tendenza che riserva all’autonomia organizzativa e normativa dell’ente locale la materia dei controlli interni.

Invece, l’articolo 7, commi 7, 8 e 9 regola direttamente i controlli intestati alla Corte dei conti, e assai più ampiamente della scarna disposizione dell’art. 148 T.U.E.L. (“La Corte dei conti esercita il controllo sulla gestione degli enti locali, ai sensi delle disposizioni di cui alla legge 14 gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni ed integrazioni”).

Alla Corte dei conti è assegnato il compito di effettuare le verifiche relative al rispetto degli equilibri di bilancio da parte di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, in relazione al Patto di stabilità interno ed ai vincoli di appartenenza all’Unione europea; tale verifica, avente per oggetto gli andamenti generali del sistema di finanza territoriale, sfocia in una funzione di referto al Parlamento.

Alle sezioni regionali, invece, è assegnato il compito di verificare il perseguimento degli obiettivi posti da leggi statali o regionali di principio e di programma e la sana gestione finanziaria e il funzionamento dei controlli interni. Le verifiche sul controllo di gestione hanno come esito una relazione all’organo assembleare dell’ente. Questa seconda funzione, ma si deve ritenere anche la prima, ha come essenza fondamentale l’attuazione del principio di collaborazione, richiamato espressamente nella legge 131/03 e, come sappiamo, ormai scritto con inchiostro indelebile dalla stessa Corte Costituzionale

Inoltre, sotto il profilo organizzativo, la previsione dell’integrazione delle sezioni regionali di controllo della Corte con due componenti designati rispettivamente dal consiglio regionale e dal Consiglio delle autonomie locali, componenti che assumono lo status magistratuale, conferma l’intento di realizzare un rapporto di stretta collaborazione con le autonomie territoriali.

Va aggiunto, in quanto integrante la previsione suindicata, che all’indomani dell’approvazione della legge 131/03, con deliberazione del 3 luglio 2003, la Corte dei Conti a sezioni riunite ha proceduto a modificare il regolamento disciplinante la “sezione autonomie”, così altrimenti denominata “Sezione delle autonomie”.

Nella suddetta deliberazione alla “Sezione delle autonomie”, diretta espressione delle sezioni regionali di controllo, è assegnato proprio il compito di effettuare le verifiche, ai fini del coordinamento della finanza pubblica sugli andamenti complessivi della finanza regionale e locale per la verifica del rispetto degli equilibri di bilancio da parte di comuni, province, città metropolitane e regioni, in relazione al patto di stabilità interno e ai vincoli che derivano dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, anche sulla base dell’attività svolta dalle sezioni regionali. Gli esiti della verifica confluiscono in un referto annuale al Parlamento.

Pertanto, appare chiaro che nella Sezione delle autonomie trova strutturazione un legame soggettivo, e si vuole funzionale, della Corte con le sue sezioni regionali, dipendenza che trova espressione principale nell’ attività di indirizzo e di coordinamento.

Va anche riconosciuto che in questi ultimi due anni la Sezione delle autonomie ha tempestivamente elaborato indirizzi, criteri e obiettivi, ai quali la stessa Sezione o le sue articolazioni regionali devono improntare l’esercizio della duplice funzione di verifica successiva sull’attività degli enti locali.

Le deliberazioni adottate rappresentano indubbiamente una fonte imprescindibile per comprendere la lettura, come dire teleologica, che la Corte dà della sua funzione, del modo di relazionarla con l’autonomia degli enti su cui insiste e con lo stesso principio regolativo generale di collaborazione.

Con la deliberazione n. 1 del 2004 “ Indirizzi e criteri generali per le attività di controllo sulla gestione, comuni a più sezioni regionali” si assegna alla Sezione delle autonomie il compito di programmare, dare impulso e coordinare analisi comuni fra le sezioni, affermando che la comparazione tra l’agire di diverse amministrazioni nello svolgimento di una medesima funzione è strumento essenziale del controllo sulla gestione. “Attraverso detto sistema, consistente, appunto, nel raffrontare su base omogenea le opzioni e gli effetti di identiche gestioni in realtà territoriali diverse, la Corte dei conti rafforza la sua funzione ausiliaria nei confronti delle assemblee elettive e dei governi locali”. “E la collaborazione della Sezione potrà non esaurirsi nella mera esposizione dei dati, ma estendersi anche a prospettare nei modi dovuti – e nel pieno rispetto della discrezionalità politica- anche soluzioni alternative a quelle adottate e rivelatesi non soddisfacenti”. Ancora “il ruolo intestato alla sezione delle autonomie che, se da una parte, è chiamata ad individuare quei settori nevralgici che meritino di essere esaminati attraverso analisi “ a rete”, dall’altra, ponendosi al servizio delle sezioni regionali, deve costituire la sede presso la quale raccogliere ed elaborare, con il sussidio anche delle tecniche specialistiche e la collaborazione eventuale di esperti esterni, le informazioni e i dati da queste provenienti, effettuando le necessarie comparazioni, individuando gli standards, i parametri, le medie nazionali o infraregionali così da fornire alle sezioni regionali utili spunti di riflessioni per valutare, in un contesto più generale, le performances delle singole amministrazioni.”

Quindi, si espande e in qualche modo sembra deviare dal tracciato originario, fissato dalla legge n. 20/94, la funzione di verifica avente come esito un resoconto sul controllo di gestione e sul funzionamento dei controlli interni da sottoporre alla libera valutazione dell’organo consiliare, sino a prospettare l’utilizzo di metodi comparativi per operare raffronti, arrivando ad ipotizzare una sorta di bench marking, per capire a quali criteri ciascun Comune si è attenuto, con quali conseguenze, etcc.

A tal proposito, si possono fare alcune succinte considerazioni.

E’ di tutta evidenza il rapporto ‘organico’ sussistente fra la Sezione delle autonomie e le sezioni regionali che si declina nell’attività di coordinamento, di indirizzo sulle articolazioni regionali, che potrebbe limitarne l’autonomia e, per ciò che ci interessa, condizionare e ostacolare l’emersione degli interessi territoriali e lo stesso rapporto con le autonomie locali, stigmatizzato dall’integrazione delle sezioni regionali con rappresentanti espressione delle stesse. Il rapporto ‘organico’ crea nei fatti una circolarità nell’espletamento delle due funzioni, previste dalla legge n.131/03 e soggettivamente e oggettivamente distinte. Va, inoltre, detto che né nelle deliberazioni della Sezione delle autonomie né nei modelli relazionali posti in essere dall’organo di controllo contabile trova puntuale e necessaria regolazione il principio di collaborazione. Tale principio ha avuto un riconoscimento importante nell’integrazione delle sezioni regionali con i rappresentanti delle Autonomie territoriali; però, considerata la saldatura fra Sezione delle autonomie e sezioni territoriali, dovrebbero trovare ulteriore specificazione, ipotizzando, secondo opportune forme e modalità, un integrazione anche della Sezione delle autonomie con le sensibilità delle autonomie territoriali.

Un altro aspetto fortemente critico, connesso con lo svolgimento della funzione di verifica sul controllo di gestione, deriva dall’orientamento normativo, contrastato dalle Autonomie territoriali, che introduce sia la saldatura di uno stretto raccordo fra l’organo deputato al controllo di regolarità contabile e la Corte, sia l’assoggettamento ad una valutazione delle sezioni regionali dei referti redatti dalle strutture preposte al controllo di gestione.

Si tende così a strutturare in modo più o meno palese un legame, un nesso funzionale tra attività di controllo interno e controllo esterno successivo. Le forme e i meccanismi che regolano e scandiscono tale legame hanno trovato formalizzazione in interventi normativi, succedutisi negli ultimi anni, che hanno previsto momenti di scambio fra gli enti locali, i suoi organi deputati al controllo interno, e la Corte.

Tale raccordo informativo, formativo, etcc viene costruito e ammesso nella misura in cui si muova nell’alveo del principio di collaborazione.

Su questo bisogna fare una ulteriore considerazione.

Primo. Sembra così scardinarsi l’assunto teorico, confermato da ultimo dalla stessa legge n.131/03, secondo cui il sistema dei controlli interni rientra nella sfera organizzativa dell’ente, sicché ogni sottrazione di autonomia potrebbe profilare vizi di incostituzionalità.

Secondo. Posto che si possa ammettere una sorta di sovraordinazione della Corte sui controlli interni, una sorta di controllo di secondo grado, questa dovrebbe comunque esplicarsi secondo il principio di collaborazione, che non è, come tutti sappiamo, un principio astratto, ma tutt’altro un principio che presenta una sua puntuale formalizzazione in regole, parametri, comportamenti, passaggi che allo stato non sembrano trovare rispondenza nella disciplina non organica prodotta in materia.

E veniamo, a questo punto, ad una riflessione conclusiva sul de jure condendo, e in particolare sulla proposta normativa di disciplina del sistema di garanzie negli enti locali, contenuta nella bozza di schema di decreto legislativo attuativo della delega ex art.2 l.n.131/03. Tale proposta presenta, a nostro avviso, taluni profili di illegittimità derivanti dall’inosservanza dei principi direttivi contenuti nell’atto di delega e gravi ragioni di dissenso nel merito delle soluzioni adottate.

In estrema sintesi ed evidenziando i profili critici più vistosi, non è condivisibile, anche tenendo conto della fisionomia generale della Corte, la previsione secondo cui nell’organizzazione del sistema di controlli interni l’ente locale“tiene conto dei parametri e degli indirizzi metodologici formulati dalla Corte dei conti in armonia con quelli adottati in ambito europeo e sulla base degli studi condotti in materia dal Ministero dell’Interno e dei contributi forniti dai consigli delle Autonomie locali o, se non istituiti dalle associazioni rappresentative degli enti locali”. La saldatura del legame, alla cui pericolosità abbiamo già fatto cenno, fra controllo interno e controllo della Corte dei conti di fatto mette in crisi la stessa concezione e natura del controllo interno, autonomo e dispiegato esclusivamente in base a principi e regole generali e uniformi contenute nella normativa di riferimento.

L’assoggettamento agli indirizzi della Corte dei Conti condurrebbe, peraltro, ad una attribuzione di prerogative rilevanti nell’ambito della strutturazione organizzativa dell’ente non compatibile con l’autonomia dello stesso.

Ad una sovraordinazione sulle diverse tipologie di controllo interno, si somma un raccordo più stretto con l’organo di revisione economico-finanziaria che ne lede autonomia, indipendenza e neutralità. Tale previsione determinerebbe una rigidità operativa non sostenibile ed una stretta correlazione organo di revisione – Corte dei Conti, che non può essere considerata corretta. Vanno evidenziate, inoltre, le perplessità sulla previsione relativa alle categorie di soggetti tra cui si può attingere per la costituzione dell’organo di revisione: superare il riferimento agli ordini professionali, soggetti alla vigilanza del Ministero della Giustizia, come considerato anche dalla disciplina delle società commerciali recentemente riformata, e, più in generale, dalla riforma delle professioni in fieri, con la previsione dell’ingresso di magistrati della Corte dei Conti in quiescenza, direttori generali e segretari generali sempre in quiescenza, può compromettere le caratteristiche di indipendenza e le garanzie che soltanto – al di là di ogni considerazione sulle competenze tecniche – gli iscritti negli ordini professionali possono assicurare; inoltre, appare inopportuna la possibilità di nomina di soggetti in quiescenza che, nel corso della loro attività lavorativa, possano aver avuto rapporti d’ufficio con lo stesso ente soggetto a controllo, ovvero nel quale possano aver svolto il loro rapporto d’impiego.

Alla luce di quanto detto, e manifestata ancora una volta una certa preoccupazione sulla lentezza con cui il Ministero dell’Interno sta procedendo, che non fa ben sperare in ordine ad un esito utile e positivo della delega, si possono fare alcune considerazioni.

In primo luogo, va ribadito con forza che l’affermazione secondo cui l’attività degli enti locali è fuori da ogni controllo è falsa: va ricordato che, oltre al controllo del giudice e al vaglio democratico, oltre ai controlli e agli obblighi esogeni sempre maggiori sulla gestione finanziaria e amministrativa, si aggiungono i controlli interni all’ente che si imperniano sostanzialmente su organi, quali il collegio dei revisori dei conti, il nucleo di valutazione, l’ufficio del controllo di gestione e, per certi aspetti peculiari, il difensore civico; a questi si sommano, e spesso lo si dimentica, i controlli interni di legittimità, che si articolano attraverso il visto di legittimità contabile e il visto di regolarità tecnica, forieri, qualora essi siano stati determinanti nell’approvazione dell’atto, di responsabilità diretta da parte dei dirigenti che li appongono.

Si tratta, quindi, di un sistema che non ha affatto abolito i controlli; semmai li ha aumentati. In passato, non esisteva alcun controllo interno, salvo quello del segretario comunale e un solo effettivo controllo esterno, quello del Comitato regionale di controllo, che pratiche poco trasparenti e legami politici, consentivano, spesso, di vanificare.

A tutto questo, si tenta di aggiungere dell’altro, secondo una logica di mera sovrapposizione all’esistente. Invece si dovrebbe avviare un processo teso al riassetto normativo del sistema con una visione chiara e lucida dello scenario finale verso cui tendere.

In particolare, sulla posizione delle Autonomie locali rispetto al ruolo della Corte dei Conti, si possono abbozzare alcuni scenari che riflettono diverse soluzioni del problema.

Una prima ipotesi: il ruolo e le funzioni della Corte si ritraggono, tornando al quadro di competenze, come definite dalla legge n.131/03, intese e applicate in senso letterale, cancellando altri obblighi, vincoli e legami fra gli apparati interni all’ente locale e la Corte, rigettando il modello di controlli, interni e esterni, come delineato dalla bozza di schema di decreto legislativo.

Una seconda ipotesi: nella prospettiva di una coerente attuazione dell’art.119 della Costituzione, relativamente alla fase del coordinamento dinamico, la Corte dei Conti dovrebbe farsi promotrice di un ripensamento della propria fisionomia attuale, nell’ottica di un superamento in una unicità strutturale della funzione giurisdizionale con la funzione di controllo, separazione tale da condurre ad una trasformazione della funzione di controllo in funzione di garanzia. Infatti, la titolarità in capo alla Corte delle due funzioni, giurisdizionale e di controllo, che insistono sui medesimi soggetti determina problemi di ordine teorico generale e di concreta applicazione. Non possono e non devono sussistere interferenze fra il controllo successivo di gestione e l’accertamento giurisdizionale di responsabilità; il controllo esterno dà collaborativo, non può in alcun modo trasformarsi in una fase istruttoria per l’avvio di giudizi di responsabilità.

Che una seria riflessione sia necessaria lo dimostra da ultimo l’incertezza emersa all’indomani dell’approvazione della Legge finanziaria 2005, incertezza, peraltro, riassunta nella stessa deliberazione delle Sezioni riunite in sede ci controllo del 15 febbraio 2005 contenente “Linee di indirizzo e criteri interpretativi sulle disposizioni della legge 30 dicembre 2004, n.311 in materia di affidamento d’incarichi di studio o di ricerca ovvero di consulenza (art.1 , commi 11 e 42)”.

Nel documento si legge “i commi 11 e 42 stabiliscono la trasmissione alla Corte dei conti degli atti di conferimento degli incarichi e prevedono che l’affidamento dei medesimi, senza il rispetto delle previsioni della legge, costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. La legge impone l’invio degli atti alla Corte senza altra specificazione. Poiché la Corte svolge funzioni di controllo e giurisdizionali, è necessario individuare se gli atti debbano essere trasmessi alle Sezioni centrali e regionali di controllo o alle Procure regionali…”.

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