In seguito alle Circolari diramate dal Ministero dell’Economia n. 8/2006 e 9/2006 del 17.02.06 inerenti l’applicazione delle norme della Finanziaria concernenti il Patto di stabilità e il contenimento delle spese di personale, l’ANCI intende fare chiarezza e dare altresì alcune indicazioni operative in materia di rispetto degli obblighi di cui al comma 198.
 
In particolare, l’ANCI concorda con il Ministero dell’Economia in merito all’esclusione dal computo delle spese di personale soggette al taglio di cui al comma 198 di alcune tipologie di spese che non gravano sul bilancio dell’Ente: spese per lavoro straordinario ed altri oneri di personale connessi all’attività elettorale, per cui è previsto il rimborso da parte del Ministero dell’Interno; spese a carico di finanziamenti comunitari o privati (è chiaro che vale in questo caso il principio generale in base al quale tutto ciò che non è a carico del bilancio dell’Ente è da considerarsi al netto del taglio, anche se i finanziamenti dovessero provenire da altra fonte, es. contributi regionali); spese per l’esercizio di funzioni delegate da parte della Regione (ovviamente il riferimento alle funzioni delegate dalla Regione va inteso in termini esemplificativi, tutte le spese di personale connesse a funzioni delegate, a prescindere dall’Ente che delega tali funzioni, sono da considerarsi al netto) e di alcune tipologie di spese obbligatorie per l’Ente (spese sostenute per l’adempimento degli obblighi di cui alla legge n. 68/99 - assunzione delle categorie protette) e spese sostenute in virtù di una disciplina autorizzatoria (proroga dei contratti di formazione lavoro).
 
Sicuramente non è condivisibile l’indicazione del Ministero dell’Economia secondo la quale vanno ricompresi nel taglio delle spese di personale quelle sostenute ai sensi dell’art. 110 , commi 1 e 2. Tale previsione appare del tutto illegittima perché il comma 3 di tale disposizione stabilisce espressamente che le spese sostenute a tal fine “non vanno imputate al costo contrattuale e del personale”. Per considerare tali voci rientranti nel taglio sarebbe stata necessaria una deroga espressa, ai sensi dell’art. 1, comma 4 del TUEL, ove si statuisce che “… le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe al presente testo unico se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni”.
Lo stesso Ministero dell’Economia in pareri resi a singoli Comuni ha sempre affermato che tali spese non sono spese di personale.
In secondo luogo resta fermo per l’ANCI che sono escluse dal computo di cui al comma 198 le spese per le assunzioni a tempo indeterminato autorizzate dal DPCM, nella misura in cui per effetto del rispetto del comma 198 gli Enti siano del tutto impossibilitati ad effettuare le assunzioni autorizzate. In particolare, occorre chiarire i termini dell’addizionalità dei vincoli posti dal comma 198 rispetto alla disciplina limitativa delle assunzioni prevista dal comma 98 dell’art. 1 della legge n. 311/2004
E’ fuor di dubbio che l’espressione utilizzata dal legislatore “Fermo restando il conseguimento delle economie di cui....” vada intesa nel senso che quanto previsto dal comma 198 (il taglio dell’1% rispetto alle spese di personale 2004) si aggiunge alla disciplina prevista dal comma 98. Dunque innanzitutto l’Ente deve garantire che nell’effettuare assunzioni a tempo indeterminato siano rispettati i vincoli posti dal DPCM: a titolo esemplificativo, se l’Ente può, ai sensi del dpcm, effettuare n. 3 assunzioni, è chiaro che non potrà a nessun titolo effettuarne 5 anche se questo dovesse consentire comunque il rispetto del comma 198 (taglio dell’1%).
Diverso e più delicato è il caso in cui l’Ente, per effetto delle disposizioni di cui al comma 198, non potrebbe effettuare le assunzioni autorizzate dal DPCM. Ciò riguarda, in particolare, gli Enti di piccole e piccolissime dimensioni per i quali i margini di manovra per operare il taglio dell’1% sulle spese di personale è molto ridotto. Si tratta molto spesso di Enti che non hanno attivato collaborazioni, contratti a tempo determinato, Enti le cui risorse per la contrattazione decentrata sono al limite minimo definito dalla contrattazione nazionale e per i quali ciascun dipendente è infungibile. E’chiaro che si tratta di situazioni “patologiche”, rispetto alle quali occorre adottare una lettura della norma che tenga conto dei principi cardine del nostro ordinamento.
Innanzitutto, da un punto di vista strettamente letterale, occorre rilevare che il legislatore al comma 198 utilizza l’espressione “Fermo restando……”; gli Enti locali, cioè, devono comunque garantire i risparmi previsti dalla finanziaria 2005, le modalità di conseguimento di tale risparmio sono quelle definite dal DPCM, dunque attuando le disposizioni in esso previste (realizzando le assunzioni) gli Enti garantiscono il conseguimento del citato risparmio.
Se così non fosse, se cioè si accettasse una lettura restrittiva della norma si avrebbe che per effetto del sovrapporsi di norme successive gli Enti si trovano in una condizione di blocco assoluto delle assunzioni che rischia di protrarsi sine die.
A tal proposito giova ricordare quanto sancito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 390/2004 a proposito del blocco delle assunzioni disposto dal legislatore in attesa dell’emanazione del DPCM: “La circostanza che il medesimo comma 11 disponga che << fino all'emanazione dei decreti (…) trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 4» – e cioè il «divieto di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato», fatte salve le eccezioni ivi previste – non costituisce violazione di alcuna norma costituzionale: si tratta, infatti, non solo di un divieto temporalmente limitato, ma anche e soprattutto di un divieto funzionalmente collegato all'accordo da raggiungere in sede di Conferenza unificata, quale strumento destinato a disciplinare, con il concorso delle autonomie regionali e locali, la materia delle assunzioni del personale a tempo indeterminato (…), ma la sua legittimità va affermata considerando il carattere strumentale di quel temporaneo divieto ai fini della efficacia ed effettività della futura disciplina che scaturirà in sede di Conferenza unificata.
E’ chiaro, dunque che il blocco assoluto delle assunzioni è costituzionalmente legittimo e accettabile nella misura in cui è temporalmente limitato, diversamente diventa assolutamente lesivo della dignità in primis e dell’autonomia costituzionale degli Enti Locali.
Ma c’è di più. 
Sempre nella stessa pronuncia la Corte Costituzionale ha stabilito che mentre è illegittima la definizione da parte del legislatore statale di vincoli puntuali alle assunzioni, è costituzionalmente legittima la previsione di un accordo con le autonomie locali per stabilire le modalità di conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica. Se gli Enti, per effetto di una norma successivamente intervenuta, non possono effettuare le assunzioni concordate e definite nel DPCM avremmo il paradossale effetto di vanificare il percorso giudicato costituzionalmente legittimo dalla Corte.
Alla luce di tali considerazioni le assunzioni a tempo indeterminato autorizzate dal DPCM non possono che essere considerate al netto del taglio da operare ai sensi del comma 198.
 
Suggerimenti operativi
 
L’esternalizzazione di servizi
 
Ai fini del rispetto del comma 198 si suggerisce agli Enti di procedere all’esternalizzazione dei servizi.
In particolare si richiama l’attenzione sulla possibilità di costituire Istituzioni ai fini della gestione di servizi.
La circolare della Ragioneria Generale dello Stato n. 8/2006 del 17.2.2006 indica chiaramente le istituzioni comunali e provinciali, di cui all’articolo 114, comma 2, del d.lgs 267/2000, tra le “amministrazioni pubbliche” nei confronti delle quali i trasferimenti effettuati dagli enti locali non incidono sui limiti di spesa imposti dal patto di stabilità.
Si può ritenere, dunque, che le spese per trasferimenti di risorse alle istituzioni rientrino nelle esclusioni di cui all’articolo 1, comma 142, lettera c), della legge 266/2005.
La costituzione di un’istituzione comporta la riqualificazione della spesa del personale dall’intervento 01 all’intervento 05; personale che prima era impiegato presso l’ente locale e poi viene trasferito all’istituzione. Tale ridefinizione determina una riduzione dei costi del personale ai fini dell’articolo 1, comma 198, della legge n. 266/2005, dato che le istituzioni non sono soggette alle regole sul patto di stabilità.
Tenuto conto che i trasferimenti alle istituzioni non rientrano nel patto di stabilità e che tali trasferimenti contemplano le spese del personale che viene da essa direttamente gestito, si può ritenere che si sia in presenza di una vera e propria esternalizzazione. Dunque, le spese del personale dell’ente locale assegnato all’istituzione devono essere sottratte dall’ammontare delle spese di personale.
Infatti, sia nel caso di trasferimento di attività che nel caso di distacco, comando o assegnazione del personale, il trasferimento corrente al pertinente intervento 05 comprende anche il capitale di dotazione e il sostegno alle spese di funzionamento, comprensive del personale; ciò implica che i corrispondenti capitoli dell’intervento 01, relativi al personale trasferito, vengono ridotti in misura corrispondente alla quota parte del trasferimento relativo alle spese di funzionamento connesse al personale.
La circolare n. 8/2006 della Ragioneria Generale dello Stato, d’altronde, stabilisce chiaramente che le spese vanno considerate in maniera alternativa e dunque una stessa spesa non può contemporaneamente essere considerata sia ai fini delle regole sul patto, sia ai fini delle regole sul personale.
Pertanto, una volta che le spese di personale relative al personale trasferito all’istituzione confluiscono nel trasferimento corrente, dal punto di vista finanziario le stesse non rientrano nell’ambito dell’applicazione dell’articolo 1, comma 198, della legge 266/2005.
 
Ruolo della Giunta e responsabilità dirigenziale
 
Sarebbe opportuno che la Giunta, nell’ambito delle specifiche competenze di attuazione degli indirizzi generali di governo ed in particolare del bilancio di previsione, deliberi in materia di rispetto del dettato di cui al comma 198. Trattandosi infatti di un intervento di riduzione della spesa complesso, che può implicare scelte alternative di tenore molto diverso (l’amministrazione può scegliere, secondo quanto previsto dal comma 200, di incidere sulle somme variabili della contrattazione decentrata e/o può scegliere di non instaurare più rapporti di collaborazione o altre forme contrattuali) è opportuno, a tutela della delicata posizione del Responsabile finanziario dell’Ente e di chi all’interno dell’Ente è chiamato a vigilare sul rispetto degli adempimenti di cui al comma 198, che l’amministrazione dia concrete indicazioni sulle modalità di realizzazione degli obiettivi previsti dal citato comma 198, fermo restando che, come di recente ribadito dalla Corte Conti, Sentenza n. 7/2006 del 31 gennaio 2006 - Sezione giurisdizionale Toscana, vertendosi in materia di funzioni rimesse alle competenze dei responsabili amministrativi dell’ente locale, in applicazione del noto principio della separazione delle funzioni gestionali da quelle di indirizzo politico la responsabilità di atti adottati contra legem resta in capo al funzionario che firma l’atto.
In merito al concetto di responsabilità si fa presente infine che il legislatore ha previsto un meccanismo di attenuazione del danno risarcibile compensato dai "vantaggi comunque conseguiti dall'amministrazione o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità " ( v. art. 1 co1 bis l. 14/01/1994 n. 20 ).
Di recente, la Corte Costituzionale si è piu' volte pronunciata in materia di responsabilità amministrativa, salvaguardandone l'impianto normativo.
Nella sent. del 20/XII/1998 n. 371, la Corte Costituzionale ha ritenuto costituzionalmente legittima la norma (art. 1 l. 20/1994 ) che ancora la responsabilità amministrativa e contabile alle sole ipotesi di colpa grave e dolo. La ratio della norma in questione consiste nel " predisporre, nei confronti dei dipendenti e degli amministratori pubblici, un assetto normativo in cui il timore della responsabilità non esponga all'eventualità di rallentamenti ed inerzie nello svolgimento dell'attività amministrativa ".
Inoltre non si può non considerare come il comportamento delle amministrazioni, e dei soggetti che per le stesse operano, deve essere coerente con le funzioni ed i servizi assegnati allo stesso ente, ed in conformità ai generali ed irrinunciabili canoni di buona amministrazione, ribaditi dall’art. 78, primo comma, Tuel, e dall’art. 1, primo comma, della legge n. 241/1990 (cfr. Corte dei conti, sezione giurisdizionale Abruzzo, 11 aprile 2003, n. 198, e sezione giurisdizionale Umbria, 31 luglio 2000, n. 424).
È pertanto evidente che sotto tale prospettiva occorre considerare anche gli atti che, assicurando le prestazioni di personale soggetto al comma 198, dovessero determinare il mancato rispetto di quanto dallo stesso disposto, naturalmente entro i documentati limiti in cui le stesse prestazioni e le conseguenti spese risultino necessarie per il corretto svolgimento delle funzioni e dei servizi di cui sopra, e certamente almeno in relazione ai servizi indispensabili ovvero a quelli correlati a diritti soggettivi del cittadino.
A proposito, infine, del concetto di dolo e colpa grave, si fa presente che secondo giurisprudenza consolidata le ipotesi di dolo e colpa grave non sussistono in relazione all’applicazione di norme rispetto alle quali vi sono interpretazioni molto variegate e diverse e giurisprudenza variabile.
 
  
Il Controllo della Corte dei Conti
 
Non appare condivisibile la previsione contenuta nella circolare n. 9/2006 del Ministero dell’Economia secondo cui: ”Inoltre, configurandosi gli adempimenti previsti dalle norme in esame quali misure per assicurare il coordinamento degli interventi in materia di finanza pubblica, gli effetti degli stessi potranno essere oggetto di valutazione da parte delle sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti nell’ambito dell’attività di verifica di cui ai commi da 166 a 170 del medesimo art. 1 della più volte richiamata legge finanziaria per il 2006”.
Il legislatore, infatti, ha previsto all’’art. 1, comma 166, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per l’anno 2006), che gli organi degli enti locali di revisione economico finanziaria trasmettono alle competenti sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti una relazione sul bilancio di previsione dell’esercizio di competenza e sul rendiconto dell’esercizio medesimo.
La relazione, ai sensi del comma 167, deve dare conto:
1)     del rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno;
2)     dell’osservanza del vincolo posto in materia di indebitamento dell’art. 199, ultimo comma, della Costituzione;
3)     di ogni altra grave irregolarità contabile e finanziaria alle quali l’amministrazione non abbia adottato misure correttive.
La trasmissione delle predette relazioni è finalizzata, ai sensi del successivo comma 168, a consentire, anche sulla base delle stesse, da parte delle dette sezioni, accertamenti su eventuali comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria o il mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto.
Tale disposizione si incardina nell’ambito del sistema già tracciato dall’art. 7 della legge n. 131/2003 e, anzi, ne costituisce una specificazione.
La prima riflessione da fare relativamente alla disposizione legislativa in oggetto è che il legislatore opera una scelta precisa ed individua in maniera puntuale quale è l’oggetto del controllo e quindi quali devono essere i contenuti della Relazione.
Alla luce del quadro costituzionale e legislativo vigente, dunque, non possono immaginarsi spazi interpretativi che consentano di ipotizzare controlli che si estendano oltre l’ambito puntualmente definito dal legislatore, anche in nome del principio di coordinamento degli interventi in materia di finanza pubblica.
Un’interpretazione estensiva della norma, infatti, implicherebbe il rischio concreto di estendere l’ambito del controllo a qualunque tipo di attività dell’Ente, a dispetto di ogni previsione costituzionale e legislativa. L’attività di controllo sugli Enti è strettamente connessa all’autonomia degli stessi e dunque non può che essere limitata a quanto esplicitamente previsto dal legislatore. In mancanza di una espressa previsione legislativa, infatti, non sono ipotizzabili tipologie ed ambiti di controllo sull’attività degli Enti frutto di qualsivoglia ragionamento interpretativo.
Il problema si pone, in particolare, in merito alle disposizioni concernenti le riduzioni sulla spesa di personale di cui al comma 198. Tali disposizioni costituiscono un ambito a se stante rispetto alle norme sul rispetto del Patto di stabilità la cui disciplina è contenuta nei commi che vanno da 138 a 150. Le disposizioni di cui trattasi non individuano espressamente la sanzione alla quale verrebbe assoggettato l’ente non rispettoso del limite di spesa sul personale.
La non applicabilità delle sanzioni previste per il mancato rispetto del Patto di stabilità al mancato rispetto delle riduzioni di spesa per il personale previste dal comma 198 è del tutto pacifico se si considera che:
a)            il mancato rispetto delle condizioni costituenti il Patto di stabilità interno per il 2006 ex commi 138 e seguenti, legge n. 266/2005, è espressamente sanzionato per effetto del richiamo (“continuano ad applicarsi”) alle disposizioni della Finanziaria 2005 – ed in particolare al comma 33, art. 1, legge n. 311/2004 – effettuato dal comma 150. Ciò testimonia il fatto che quando il legislatore ha voluto prevedere conseguenze derivanti dal mancato rispetto delle norme sul Patto lo ha fatto espressamente, per cui ove non l’abbia previsto si deve intendere che non sono applicabili dette sanzioni;
b)            il comma 138 richiama espressamente le norme sul Patto di stabilità recate dalla Finanziaria 2005 stabilendo che a tali fini gli enti soggetti “concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2006-2008 con il rispetto delle disposizioni di cui ai commi da 139 a 150”. Non sono in alcun modo considerati i commi 198 e seguenti, che devono pertanto considerarsi avulsi da tale ambito;
c)            la Ragioneria dello Stato con la circolare 17 febbraio 2006, n. 8, chiarisce espressamente che “devono essere determinati quattro obiettivi programmatici di spesa per l’anno 2006: due con riferimento alle spese correnti, per la gestione di competenza (impegni di competenza) e per la gestione di cassa (pagamenti in conto competenza e in conto residui) e, analogamente, altri due con riferimento alle spese in conto capitale”. È di immediata evidenza che la limitazione di cui ai commi 198 e seguenti non costituisce un obiettivo del Patto di stabilità, per cui non è possibile allo stesso riferire le relative conseguenze.
 
Detto ciò, il legislatore, nel delineare gli ambiti di controllo della Corte dei Conti cita il rispetto del Patto di stabilità ma non cita le disposizioni in merito al rispetto degli obblighi di cui al comma 198, per i quali è invece previsto al comma 204 un puntuale sistema di controllo .
L’oggetto della verifica da parte della Corte dei Conti, infatti, è già definito puntualmente dal legislatore e non possono immaginarsi, alla luce dell’attuale quadro legislativo che regola la materia dei controlli negli enti locali, interpretazioni estensive che risulterebbero essere più che lesive dell’autonomia costituzionalmente garantita degli Enti Locali.
Né è possibile far rientrare il rispetto degli adempimenti di cui al comma 198 nell’ambito di quei “comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria” che, ai sensi del comma 168, possono dar luogo a “specifica pronuncia” oltre alla vigilanza “sull’adozione da parte dell’ente locale delle necessarie misure correttive”.
In merito al concetto di “sana gestione finanziaria” si ritiene di dover fare riferimento alla autorevole pronuncia del Consiglio di Stato per il quale esso è un canone fondamentale recepito dall’ordinamento interno a livello costituzionale (artt. 81 e 97 Cost.) - ed in coerenza anche con l’art. 188 C, commi due e tre, del trattato istitutivo della Ce, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 2, punto 43, paragrafi 2 e 3 trattato di Amsterdam 2 ottobre 1997 (ratificato con legge 16 giugno 1998, n. 209) - dove si definisce il principio fondamentale della sana e corretta finanza pubblica: l’obiettivo primario di una gestione della spesa pubblica razionale e compatibile con le risorse effettivamente a disposizione viene ad estrinsecarsi nella necessaria copertura finanziaria dei provvedimenti di spesa, siano essi legislativi che amministrativi (sez. IV, 8 novembre 2000, n. 5982). Da ciò consegue che il primario riferimento della sana gestione finanziaria è il rispetto degli equilibri di bilancio.
Alla luce di tali considerazioni non si può, dunque, affermare che il rispetto degli adempimenti di cui al comma 198 rientri nel concetto di sana gestione e, dunque, non risulta affatto condivisibile la previsione contenuta nella Circolare n. 9/2006 del Ministero dell’Economia per due ordini di ragioni: innanzitutto perché il rispetto del limite di cui al comma 198 non è citato espressamente dal legislatore come oggetto di controllo da parte della Corte dei Conti, in secondo luogo non si può far rientrare nel più ampio concetto di sana gestione il rispetto del comma 198.
 
 

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