SENATO DELLA REPUBBLICA
      ———– XV LEGISLATURA ———–
    
N. 1020
 
 

DISEGNO DI LEGGE
d’iniziativa dei senatori VITALI, BIANCO, AMATI, CALVI, LATORRE, MALABARBA, SINISI, BARBIERI, BELLINI, BENVENUTO, BETTINI, BOBBA, BOCCIA Maria Luisa, CAFORIO, CARLONI, CASSON, D’AMBROSIO, DE PETRIS, DONATI, ENRIQUES, FRANCO Vittoria, GAGLIARDI, GARRAFFA, GASBARRI, GIAMBRONE, LIVI BACCI, LUSI, MAZZARELLO, MELE, MONTINO, MORANDO, MORGANDO, NEGRI, PIGLIONICA, PISA, PROCACCI, RIPAMONTI, RONCHI, ROSSA, RUSSO SPENA, SCALERA, SERAFINI, SODANO, TECCE, TREU e ZANDA
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 26 SETTEMBRE 2006
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Delega al Governo per l’attuazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione in materia di funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane e per l’adeguamento delle disposizioni in materia di enti locali alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3
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Onorevoli Senatori. – La netta affermazione dei NO al referendum costituzionale del 25 e 26 giugno 2006, con una partecipazione al voto che ha superato il 60 per cento e ha sorpreso molti osservatori, ha confermato il testo della Costituzione in vigore e in particolare il Titolo V relativo a regioni, province e comuni così come modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.  3.
    Le Commissioni Affari costituzionali della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica hanno avviato di recente una indagine conoscitiva sulle eventuali modifiche e sull’attuazione del Titolo V, e il Governo ha annunciato l’intenzione di presentare un disegno di legge di accompagnamento alla legge finanziaria per il 2007 per dar vita ad un nuovo codice delle autonomie locali che adegui il testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267, al Titolo V della Costituzione.
    Riteniamo pertanto opportuno presentare un disegno di legge sulla medesima materia per poter contribuire così all’elaborazione del provvedimento che dovrà essere approvato dalle Camere, esercitando fino in fondo la prerogativa parlamentare anche quando il Governo annuncia la propria volontà del tutto legittima di presentare una propria proposta.
    Il necessario punto di partenza è la legge 5 giugno 2003, n.  131, la cosiddetta «legge La Loggia», che fu approvata nella scorsa legislatura con un ampio grado di convergenza tra la maggioranza e l’opposizione.
    L’articolo 2 di quella legge prevedeva, infatti, una delega al Governo per l’attuazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione (funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane) e per l’adeguamento delle disposizioni in materia di enti locali alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.  3.
    Il Governo giunse a definire uno schema di decreto legislativo che non fu però approvato a causa della fine della legislatura. Ora si tratta di riproporre la delega al Governo, anche se in termini aggiornati e modificati.
    Le modifiche più rilevanti che il presente disegno di legge contiene rispetto all’articolo 2 della legge n.  131 del 2003 sono le seguenti.
    Al comma 2 dell’articolo unico del presente disegno di legge si amplia la portata della delega, che viene riferita «alla revisione complessiva delle disposizioni in materia di enti locali, per adeguarle alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.  3».
    Al comma 4, lettera b), si stabilisce, come principio e criterio direttivo, che l’individuazione delle funzioni fondamentali dei comuni, delle province e delle città metropolitane avvenga «in base ai principi di sussidiarietà, di adeguatezza e di differenziazione, in modo da assicurarne l’esercizio da parte di enti locali che, per le caratteristiche dimensionali e strutturali, ne garantiscano l’ottimale gestione, anche mediante l’attribuzione a forme associative o a livelli di governo più ampi delle funzioni che, in base a questi principi, eccedano le capacità operative dei singoli enti».
    Il Titolo V della Costituzione, entrato in vigore nel 2001 ha introdotto questi princìpi nel nostro ordinamento costituzionale che ora si propone coerentemente di attuare.
    Sono principi che comportano una vera e propria rivoluzione amministrativa, in un paese retto per lunga tradizione dall’opposto principio di uniformità e che, nel tener fede a questa tradizione, si dimostra più realista del re, se si considera che persino lo Stato dove l’uniformità è nata e si è consolidata, la Francia, tende ormai a discostarsene in misura significativa; inoltre – nonostante il mutamento di indicazioni costituzionali – ancor oggi le leggi conferiscono al comune italiano più grande (2.770.000 abitanti) i medesimi poteri attribuiti al comune più piccolo (che di abitanti ne ha 28).
    Dall’applicazione di questi princìpi possono derivare effetti importanti nel sistema di governo locale in termini di efficienza, di efficacia e di semplificazione.
    Infine al comma 4, lettera g), si prescrive la revisione delle «disposizioni in materia di città metropolitane al fine di realizzare nelle aree metropolitane di cui all’articolo 22 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267, sistemi di governo adeguati e differenziati».
    Si tratta di permettere finalmente anche in Italia che si realizzino sistemi di governo adeguati alle problematiche delle principali aree urbane, come da tempo avviene in altri paesi europei come Francia, Belgio, Olanda, Gran Bretagna, Danimarca, Germania, Spagna e Portogallo.
    Se dalla legge 8 giugno 1990, n. 142, vale a dire la legge sull’ordinamento delle autonomie locali che introdusse la normativa nella legislazione italiana, non si è realizzata nessuna città metropolitana, le cause principali sono tre.
    La prima è una legislazione inadeguata, modificata con la legge 8 marzo 1999, n.  50, poi entrata a far parte del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali. All’articolo 23, comma 2, del testo unico si prevede ad esempio che «il sindaco del comune capoluogo e il presidente della provincia convocano l’assemblea dei rappresentanti degli enti locali interessati», e la necessità di questo duplice e concomitante impulso ha costituito finora un ostacolo rilevante.
    La seconda è che mancano le disposizioni relative al sistema finanziario e fiscale delle città metropolitane e alle loro specifiche funzioni amministrative.
    La terza è che ha finora prevalso la difesa ad oltranza – da parte di ciascuno dei soggetti istituzionali coinvolti – dei propri tradizionali assetti e delle proprie competenze. Una difesa che può essere superata solo rendendo evidenti, attraverso disposizioni legislative adeguate, i vantaggi che derivano per i territori che decidono di dar vita alle città metropolitane le quali nel frattempo sono state elevate ad un rango costituzionale con ben tredici disposizioni del Titolo V.
    Nel procedimento di istituzione delle città metropolitane si ritiene opportuno mantenere la norma che attribuisce l’iniziativa agli enti locali interessati, superando le attuali disposizioni paralizzanti, e la possibilità di dar vita ad ordinamenti differenziati tra le diverse città per organizzazione, articolazione interna e funzioni.
    Roma è capitale della Repubblica, e sulla base dell’articolo 114 della Costituzione la legge dello Stato ne deve disciplinare lo specifico e peculiare ordinamento.
    Per quanto riguarda le altre aree territoriali nelle quali possono essere istituite le città metropolitane riteniamo necessario mantenere l’elencazione prevista dal comma 1 dell’articolo 22 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267, attualmente in vigore. Il concetto di area metropolitana è infatti di natura qualitativa e non semplicemente quantitativa, e si riferisce agli aggregati urbani che non corrispondono più ai vecchi confini amministrativi come in tutta Europa, dove esistono forme speciali di governo in tutte le principali aree urbane e non solo nelle grandi metropoli.
    Ciò consentirebbe anche in Italia di avere governi metropolitani in grado di rendere più efficace l’amministrazione delle grandi città, anche al fine di promuovere politiche urbane come previsto dai criteri di programmazione dei fondi strutturali 2007-2013.
    La citata legge n.  131 del 2003 conteneva altre importanti questioni su cui non si ritiene opportuno intervenire in questa sede, ma che dovranno essere oggetto di attenzione specifica.
    L’articolo 7 della citata legge, infatti, si riferiva all’attuazione dell’articolo 118 della Costituzione in materia di esercizio delle funzioni amministrative. È un tema essenziale che andrà senz’altro riproposto poiché può consentire di attuare finalmente nel nostro ordinamento il principio di sussidiarietà tra le istituzioni.
    L’articolo 1, infine, attribuiva una delega al Governo per la ricognizione dei princìpi fondamentali della legislazione concorrente tra Stato e regioni che si traggono dalla legislazione vigente.
    Con la sentenza n.  280 del 28 luglio 2004 la Corte costituzionale ha richiamato i concetti messi a fuoco nella individuazione dei «princìpi fondamentali». Essa ha ricordato che non tutte le disposizioni che in tal senso si autoqualificano, né «il loro compiuto tenore letterale» costituiscono in ogni caso «principi della legislazione dello Stato», ma soltanto «i nuclei essenziali del contenuto normativo» che tali disposizioni esprimono. In più occasioni la Corte ha richiamato quanto affermato nella sentenza n.  65 del 16 marzo 2001 sul fatto che il principio fondamentale deve essere colto ad un livello di maggiore astrattezza rispetto alla regola positivamente stabilita.
    I princìpi fondamentali della legislazione concorrente sono dunque terreno tipico delle leggi-quadro, che è opportuno non siano di delega al Governo ma di iniziativa parlamentare, e che riguardino materie omogenee.
    Con l’indagine conoscitiva disposta dalle Commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato sono in discussione anche modifiche all’attuale Titolo V. Per non dover attendere l’esito di quel dibattito è opportuno iniziare dalle materie elencate nel secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione sulle quali non interveniva la proposta di modifica approvata dalla Casa delle Libertà nella scorsa legislatura e sottoposta a referendum.
    Si tratta di materie importanti, sulle quali non dovrebbero esserci dubbi circa la loro collocazione nell’ambito della legislazione concorrente tra Stato e regioni, per le quali potrebbe essere subito intrapreso il percorso di definizione dei necessari princìpi fondamentali.

DISEGNO DI LEGGE
 
Art. 1.
    1. Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, di concerto con il Ministro dell’interno, il Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali e il Ministro dell’economia e delle finanze, uno o più decreti legislativi diretti alla individuazione delle funzioni fondamentali, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, essenziali per il funzionamento di comuni, province e città metropolitane, nonché per il soddisfacimento di bisogni primari delle comunità di riferimento.
    2. Con i decreti legislativi di cui al comma 1, si provvede, altresì, nell’ambito della competenza legislativa dello Stato, alla revisione complessiva delle disposizioni in materia di enti locali, per adeguarle alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.  3.
    3. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 1, dopo l’acquisizione dei pareri del Consiglio di Stato e della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.  281, di seguito denominata «Conferenza unificata», da rendere entro trenta giorni dalla trasmissione degli schemi medesimi, sono trasmessi alle Camere per l’acquisizione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari, da rendere entro quarantacinque giorni dall’assegnazione alle Commissioni medesime. Acquisiti tali pareri, il Governo ritrasmette i testi, con le proprie osservazioni e con le eventuali modificazioni, alla Conferenza unificata e alle Camere per il parere definitivo, da rendere, rispettivamente, entro trenta e quarantacinque giorni dalla trasmissione dei testi medesimi.
    4. Nell’attuazione della delega di cui ai commi 1 e 2, il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
        a) garantire il rispetto delle competenze legislative dello Stato e delle regioni, l’autonomia e le competenze costituzionali degli enti territoriali ai sensi degli articoli 114, 117 e 118 della Costituzione, nonché la valorizzazione delle potestà statutaria e regolamentare dei comuni, delle province e delle città metropolitane;
        b) individuare le funzioni fondamentali dei comuni, delle province e delle città metropolitane in base ai princìpi di sussidiarietà, di adeguatezza e di differenziazione, in modo da assicurarne l’esercizio da parte di enti locali che, per le caratteristiche dimensionali e strutturali, ne garantiscano l’ottimale gestione, anche mediante l’attribuzione a forme associative o a livelli di governo più ampi delle funzioni che, in base a questi princìpi, eccedano le capacità operative dei singoli enti;
        c) prevedere, nel rispetto delle competenze regionali, il sostegno alle forme associative, anche tramite accordi e forme di coordinamento con le regioni;
        d) prevedere strumenti che garantiscano il rispetto del principio di leale collaborazione tra i diversi livelli di governo locale nello svolgimento delle funzioni fondamentali che richiedono per il loro esercizio la partecipazione di più enti, allo scopo individuando specifiche forme di consultazione e di raccordo tra lo Stato e i livelli di governo locale;
        e) attribuire all’autonomia statutaria degli enti locali la potestà di individuare sistemi di controllo interno, al fine di garantire il funzionamento dell’ente, secondo criteri di efficienza, di efficacia e di economicità dell’azione amministrativa, nonché forme e modalità di intervento, secondo criteri di neutralità, di sussidiarietà e di adeguatezza, nei casi previsti dagli articoli 141, commi 2 e 8, 193, comma 4, 243, comma 6, lettera b), 247 e 251 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267;
        f) procedere alla revisione delle disposizioni legislative sugli enti locali, comprese quelle contenute nel citato testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267, per adeguarle al sistema costituzionale degli enti locali definito dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.  3, attraverso la modificazione, l’integrazione, la soppressione e il coordinamento formale delle disposizioni vigenti, anche al fine di assicurare la coerenza sistematica della normativa, l’aggiornamento e la semplificazione del linguaggio normativo;
        g) rivedere le disposizioni in materia di città metropolitane al fine di realizzare nelle aree metropolitane di cui all’articolo 22 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267 sistemi di governo adeguati e differenziati;
        h) ridefinire la disciplina dei casi di ineleggibilità, di incompatibilità e di incandidabilità alle cariche elettive per gli amministratori di comuni, province e città metropolitane;
        i) mantenere ferme le disposizioni in vigore relative al controllo sugli organi degli enti locali, alla vigilanza sui servizi di competenza statale attribuiti al sindaco quale ufficiale del Governo, nonché, fatta salva la polizia amministrativa locale, ai procedimenti preordinati alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica;
        l) coordinare e ridefinire le disposizioni volte ad assicurare la conformità dell’attività amministrativa alla legge, allo statuto e ai regolamenti;
        m) valorizzare le forme associative anche per la gestione dei servizi di competenza statale affidati ai comuni;
        n) garantire il rispetto delle attribuzioni delle Università, delle istituzioni scolastiche e delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura;
        o) indicare espressamente sia le norme implicitamente abrogate per effetto dell’entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.  3, sia quelle anche implicitamente abrogate da successive disposizioni;
        p) rispettare i princìpi desumibili dalla giurisprudenza costituzionale e fare salve le competenze spettanti alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano.
    5. La decorrenza dell’esercizio delle funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane che, a seguito dell’adozione dei decreti legislativi di cui al comma 1, sono attribuite ad un ente diverso da quello che le esercita alla data di entrata in vigore dei medesimi decreti legislativi, è stabilita dalle leggi che determinano i beni e le risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative da trasferire. A tale fine il Governo, in conformità ad accordi da definire in sede di Conferenza unificata, su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, di concerto con il Ministro dell’interno, con il Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali e con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentiti i Ministri interessati, presenta al Parlamento uno o più disegni di legge collegati alla manovra finanziaria annuale, ai sensi dell’articolo 3, comma 4, della legge 5 agosto 1978, n.  468, e successive modificazioni, per il recepimento dei suddetti accordi. Ciascuno dei predetti disegni di legge è corredato della relazione tecnica con l’indicazione della quantificazione e della ripartizione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative, ai fini della valutazione della congruità fra i trasferimenti e gli oneri conseguenti all’espletamento delle funzioni conferite. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano fino alla data di entrata in vigore delle norme concernenti il nuovo sistema finanziario in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione.
    6. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, il Governo può emanare, nel rispetto dei princìpi e dei criteri direttivi indicati al comma 4, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi medesimi.
    7. I provvedimenti collegati di cui al comma 5 non possono comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
 

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