Abstract
Il capitolo propone un monitoraggio della finanza degli enti territoriali, imperniato sull’evoluzione del quadro normativo e sull’analisi dei dati finanziari per il 2004.
La parte normativa si concentra soprattutto sulla  legge finanziaria per il 2005 e su alcune sentenze della Corte costituzionale con le quali, da un lato, le materie conferite alle regioni sono state difese da ingerenze del governo centrale e, dall’altro, è stata ribadita chiaramente l’importanza della funzione di coordinamento e controllo della finanza pubblica in capo allo Stato.
L’analisi dei dati finanziari propone invece una serie di indicatori sulle spese e sulle entrate, calcolati sia per l’Italia nel suo complesso che per aree geografiche.
Quelli sulle spese considerano, in primo luogo, il livello di decentramento della spesa pubblica, come risulta dalla distribuzione tra Stato, dalle regioni e dagli enti locali del totale delle erogazioni finali di cassa della pubblica amministrazione. Ci si concentra poi sulle spese delle regioni, mettendone in evidenza la dinamica, la distribuzione per settori di intervento e, per quanto riguarda la struttura economica, l’importanza dei trasferimenti da esse effettuati a favore degli enti locali, un dato rappresentativo dello stato di attuazione del principio di sussidiarietà.
Per le entrate – e di nuovo per le regioni – una volta descritto il peso delle principali fonti di finanziamento, si prendono in esame due aspetti: il livello di autonomia finanziaria, sia tributaria (tributi propri su entrate correnti), che di spesa (entrate libere da vincoli di destinazione sul  totale entrate); l’efficacia del sistema di perequazione nei confronti delle regioni ordinarie, in termini di riduzione del divario di entrate tributarie pro capite tra il nord e il sud del paese.
I risultati almeno in parte sono da considerare positivi. Ad esempio, il significativo livello di autonomia tributaria delle regioni ordinarie (pari a circa il 47%) e la costanza nel tempo del rilevante contributo finanziario verso le regioni a minore capacità fiscale, assicurato dal fondo perequativo. Altri, invece, sono certamente più problematici. Ad esempio, l’immobilità del livello di decentramento - per altro fermo su valori significativi visto che gli enti territoriali gestiscono circa il 50% della spesa pubblica -, la riduzione della quota della spesa pubblica complessivamente destinata al mezzogiorno, la riduzione delle spese regionali in settori importanti ma meno protetti rispetto alla sanità o all’amministrazione generale, come la tutela del territorio o il sostegno alle attività produttive. Preoccupanti sono anche due fatti nuovi manifestatisi nel 2004: il conflitto, non ancora risolto, tra Stato e regioni e tra regioni, circa il riparto del fondo perequativo; la questione della compatibilità della legge italiana istitutiva dell’Irap, con l’art. 33 della Direttiva 77/388/CEE in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle tasse sulla cifra di affari. Una sentenza negativa dell’Alta corte di giustizia, allo stato attuale ancora non emanata, farebbe venire meno la principale entrata tributaria delle regioni - privandole di circa 30 miliardi, essenziali per la copertura delle spese sanitarie - senza che siano state definite fonti di finanziamento sostitutive.
 

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