AVVERTENZA: Lo studio riproduce il capitolo XV del "Quarto Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia", in corso di stampa
 
 


SOMMARIO: 
 
- Note
 
 
 
1.          Premessa
 
Sono passati più di venti anni da quando si è iniziato a parlare della necessità di incentivare la capacità di movimento delle piccole e medie imprese lungo le traiettorie tecnologiche, esercitando forme consapevoli di richiesta e collaborazione con l’offerta di scienza e tecnologie. Tale percorso, negli ultimi dieci anni, si è intrecciato con un processo di devoluzione di competenze alle regioni, sia pure a fronte di politiche nazionali che non hanno mostrato una univoca interpretazione dalla revisione del titolo V della Costituzione.
Nei paragrafi che seguono si è comunque tentato di verificare se sia oggi possibile una caratterizzazione delle politiche regionali relative alla ricerca industriale e precompetitiva, soprattutto con riferimento alle iniziative promosse a sostegno delle imprese di piccola o media dimensione. La trattazione è limitata dagli elementi che sono stati utilizzati per questa verifica: lo stato del processo di decentramento, l’evoluzione della legislazione regionale, le programmazioni regionali esistenti, l’esame di alcune forme di relazione territoriale, il posizionamento delle regioni italiane rispetto alle altre regioni della UE. Si è deciso inoltre di dedicare un ultimo paragrafo al tema della valutazione, per tre motivi: il primo perché essa è prevista, in ambito legislativo, sin dal 1997; il secondo perché si ritiene, confortati dalle esperienze europee, che il processo di valutazione debba essere considerato parte integrante degli interventi e della loro capacità di evolvere nel tempo aumentando la propria efficacia ed efficienza; il terzo perché nel percorso verso una economia, o una società, della conoscenza si ritiene che la valutazione debba essere considerata parte ineludibile delle prassi adottate.
 
 
1.1    Venti anni tra teorie e prassi
 
L’attenzione per il ruolo delle regioni nelle politiche per l’innovazione trova in Italia le sue radici in un dibattito avviatosi sin dagli anni ’80 (1), nel corso del quale si affiancò al tentativo di quantificare il peso dell’innovazione all’interno del processo economico, l’interesse per identificare le modalità in cui il processo innovativo si mostra, interagisce ed evolve.
Tale dibattito fu condotto con un interesse specifico ad individuare la collocazione della realtà italiana nell’ambito dei diversi modelli teorici, e con una forte attenzione alle conseguenze in termini di politiche economiche che ne sarebbero dovute derivare, traducendosi con una certa sistematicità in indicazioni di modalità di intervento sia sul piano dell’ingegneria istituzionale che su quello degli specifici strumenti da adottare. Allora, come oggi, si partiva dalla considerazione della particolarità del tessuto industriale italiano, caratterizzato da poche grandi imprese da un lato e dalla piccola dimensione di impresa dall’altro, quest’ultima operante all’interno delle traiettorie tecnologiche disponibili, ma spesso collocata in posizioni tutt’altro che di avanguardia.
In quegli anni Franco Somigliano (2), uno degli economisti più attenti a questi aspetti della politica industriale, suggeriva di non limitare gli interventi alla disseminazione delle informazioni sulle tecnologie disponibili, ma di tenere conto delle diverse caratteristiche settoriali e territoriali delle imprese, auspicando azioni in grado di “attivare la domanda di informazioni disponibili da parte delle pmi, e di aumentare nel contempo la loro capacità di convertirle in soluzioni applicative a livello produttivo e di commercializzazione” (3). I suggerimenti dell’autore giungevano a identificare due ipologie di interventi:
a) informazioni tecnologiche, ma anche assistenza all’acquisto (e alla vendita) di brevetti, allo studio dei mercati, alle tecniche di marketing e ad interventi finanziari di partecipazione al capitale di rischio, ricerca di partners, crediti garantiti ecc.:
b) erogazione a livello periferico di crediti agevolati e contributi diretti, a supporto delle spese per attività innovativa delle imprese (incluse quelle per acquisto di brevetti o per affidamento di commesse di ricerca esterna), finanziati da fondi pubblici nazionali, basati su istruttorie e delibere regolate da elevati criteri di automaticità” (4).
Parte di questi suggerimenti troveranno ascolto solo quindici anni più tardi, con i D.l.gs n.112 e n. 123 del 31 marzo 1998.
 
 
1.2       Il decentramento degli interventi per la ricerca industriale.
 
L’art. 19 del D.l.gs. n.112 del 31 marzo 1998 prevede una delega (5) alle regioni per le erogazioni degli incentivi e la verifica di condizioni e contesti per l’applicazione degli interventi relativi alla politica industriale e alla ricerca industriale, materie mantenute comunque nella competenza statale. Resta infatti a livello nazionale la formulazione delle politiche e della loro declinazione in via fondamentale, lasciando al livello territoriale una competenza esecutiva rispetto alle erogazioni o limitata a quell’insieme di interventi non rilevanti, ma congruenti, con le politiche decise a livello nazionale. Le modalità di programmazione, attuazione e controllo di questi interventi vengono definite lo stesso giorno, con diverso provvedimento (D.l.gs n. 123 del 31 marzo 1998).
Successivamente, tuttavia, un maggior grado di autonomia regionale sembra riconosciuto con la legge n. 340 del 24 novembre 2000 (6), dove all’art.19, c.1, viene attribuita alle regioni la possibilità di “…modificare, alla stregua degli stessi princìpi, nei limiti delle disponibilità finanziarie previste dalle singole leggi e in conformità alla normativa dell’Unione Europea, ai sensi dell’articolo 2 del citato decreto legislativo n. 123 del 1998, le disposizioni delle leggi vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, con riguardo sia alle spese ammissibili, sia alla tipologia e alla misura delle agevolazioni, sia alle modalità della loro concessione ed erogazione”.
Nel 2001, inoltre, con l.cost. n. 3 del 18 ottobre (7), l’autonomia delle regioni sembra ancora rafforzata alla luce della riformulazione dell’art. 117 del Titolo V della Costituzione, per il quale la ricerca scientifica e tecnologica e il sostegno all'innovazione per i settori produttivi divengono materia concorrente tra Stato e Regioni per la quale, quindi, spetta a queste ultime “la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”. L’art. 117, inoltre, non annovera la legislazione di incentivazione per i settori produttivi tra le materie di competenza esclusiva dello Stato o di competenza concorrente. Di conseguenza, poiché lo stesso articolo stabilisce che “Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato” anche tale più generale materia diviene di diretta competenza regionale e, quindi, a maggior ragione non più limitatamente alla delega per le erogazioni contenuta nel decreto n. 112/1998.
Nel 2003, con quanto stabilito dall’art.1, c.2 della l. n. 131 (8), viene chiarito che “Le disposizioni normative statali vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge nelle materie appartenenti alla legislazione regionale continuano ad applicarsi, in ciascuna Regione, fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni regionali in materia”, demandando quindi alle sole regioni la scelta tra mantenersi nell’ambito di quanto stabilito a livello statale o passare a una maggiore caratterizzazione regionale degli interventi. Si può quindi dire che, almeno dal punto di vista legislativo, sembra si sia andati ben oltre i suggerimenti dati da Momigliano agli inizi degli anni ’80, optando per una forte l’autonomia delle regioni nell’elaborare fisionomie specifiche di intervento.
Si deve però sottolineare che, nella pratica, si è rilevata una generale adesione alle tipologie di intervento elaborate a livello ministeriale o interministeriale e che l’operato delle Regioni, sia coordinato con il MIUR, sia coordinato nell’ambito alla Conferenza Stato–Regioni, si è generalmente tradotto nella scelta di queste ultime ad operare in autonomia solo sotto la soglia progettuale definita “de minimis” (9). D’altro canto anche l’intervento nazionale non si è sempre limitato alla definizione dei principi fondamentali, o al sostegno alla ricerca industriale di “frontiera tecnologica”. Una parte di esso è risultato concretamente volto a predisporre interventi per la costituzione di soggetti o enti di ricerca e trasferimento tecnologico operanti a livello territoriale, ovvero:
-        i Centri di Eccellenza Universitari, con la funzione di fornire spazi di ricerca interdisciplinare con la finalità di incontrare più facilmente le necessità di sviluppo settoriali o territoriali (10);
-       i distretti tecnologici (11), progetti finanziati dal CIPE, promossi dal MIUR (ora MUR - Ministero per l’Università e la Ricerca) anche se su proposta concordata a livello regionale;
-       gli ILO (Industrial Liason Office) promossi nell’ambito della programmazione universitaria quali uffici di raccordo tra gli atenei e il tessuto produttivo del territorio circostante e non solo (12);
-       i progetti per la costruzione di piattaforme tecnologiche, la cui fonte di finanziamento, sempre nazionale, ha a che fare con progetti di rilevanza strategica finanziati attraverso fondi FSRIT (13), ma anche di pertinenza del Ministero del Tesoro, Bilancio e della Programmazione Economica (14).
Hanno, inoltre, avuto un orientamento territoriale gli interventi predisposti in occasione dei bandi MIUR finalizzati alla promozione di specifiche filiere tecnologiche circoscrivibili a definiti insediamenti regionali, e i programmi finanziati dai fondi strutturali, in particolare nelle aree Obiettivo1 (15). Per questi ultimi è infatti competenza del MIUR, oltre che la realizzazione del Programma Operativo Nazionale, anche il coordinamento delle Misure Regionali dedicate alla ricerca, all’innovazione e al trasferimento tecnologico, con lo specifico obiettivo di favorire l’integrazione tra interventi ricadenti sullo stesso territorio ed evitare effetti di spiazzamento reciproco.
Alcuni elementi contenuti nella successiva l. n. 80/2005 (16), inoltre, possono suggerire che la devoluzione di competenze dallo Stato alle Regioni, e le modalità di coordinamento previste, fossero ancora considerate come un processo in via di definizione. L’art. 6, infatti, nel destinare con il c.1, il 30% del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese (17) a sostenere attività, programmi e progetti strategici di ricerca e sviluppo da realizzare congiuntamente ad enti pubblici di ricerca, considera prioritari (c.4, lettera c), oltre che i progetti strategici ed i distretti tecnologici, anche gli investimenti in ricerca svolti da pmi a fini di ricerca industriale e sviluppo precompetitivo, pur versandosi in materia di competenza concorrente con le regioni. La stessa legge demanda al CIPE la determinazione delle priorità e della tempistica degli interventi (comma 9), mentre nomina l’attività di coordinamento con le Regioni esclusivamente a proposito degli interventi destinati allo sviluppo dei distretti tecnologici (comma 10). Con l’art. 8, invece, procede alla riforma della l. n. 488/1992, uno degli strumenti principali dell’intervento nelle aree depresse delle regioni, sostituendo parte del finanziamento in conto capitale con il finanziamento con capitale di credito, parte agevolato e parte ai costi di mercato. Infine premia con l’art. 9 l’attività di concentrazione della microimprenditorialità verso imprese di piccola e media dimensione.
E’ quindi ragionevole sostenere che la ripartizione di competenze tra livello nazionale e livello regionale non può essere ricondotta ad una ripartizione fondata sugli aspetti legati all’eccellenza scientifica o all’avanzamento del tessuto produttivo nell’ambito delle singole frontiere tecnologiche, oppure ad aspetti legati alla territorialità degli interventi, o alle diverse dimensioni di impresa; attraverso ogni singola declinazione delle politiche in obiettivi, priorità, strumenti e quantità di risorse impiegate (preponderanti quelle messe a disposizione a livello nazionale anche per interventi aventi come obiettivo specifiche ricadute territoriali (18)), si è di volta in volta operato riducendo drasticamente l’ambito di azione delle regioni.
 
 
 2.    Il ruolo delle regioni
 
E’ legittimo chiedersi se tale conclusione abbia visto le regioni in posizione subordinata (e quindi senza una adeguata capacità di contrattazione) o se tale evoluzione sia stata il risultato di concordate strategie di intervento. E’ ovvio infatti che il permanere di una forte centralità, pur in presenza di norme che hanno previsto un significativo decentramento di funzioni, può essere il risultato di una scelta consapevole quanto più in sede regionale si siano riscontrate difficoltà all’assunzione delle politiche per la ricerca e l’innovazione nella propria programmazione o si sia ritenuto conveniente concorrere, sia pure con limitata capacità di indirizzo, alle risorse ingenti resesi disponibili a livello nazionale, essendo i bilanci regionali in una situazione di limitata capacità di spesa (19).
Per esaminare questo aspetto la scrivente ha considerato 174 provvedimenti legislativi regionali (20) dedicati interamente o parzialmente ad interventi di incentivazione alle imprese per l’attività di ricerca, innovazione e trasferimento tecnologico (21). Il periodo di riferimento va dal 1954, con una legge della regione Sardegna, a tutto il 2006, e l’analisi delle loro caratteristiche è stata principalmente condotta comparando due periodi, assumendo come spartiacque il 1998, anno della nuova definizione delle competenze tra stato e regioni.
 
 
2.1 La legislazione regionale per la ricerca e l’innovazione
 
Come si può osservare dalla Tab.1, dove è presentata una prima classificazione dei provvedimenti, negli otto anni successivi al d.l.gs n.112/1998, si è registrato un grosso incremento di attività normativa rispetto agli oltre quaranta anni precedenti (106 leggi pari al 60,9% della normativa considerata rispetto a 68 leggi precedenti, pari al 39,1%). Di questa corposa produzione legislativa post 1998 solo il 18,9% è dovuto alla legislazione di riordino conseguente al processo di decentramento, mentre quasi il 50% è dovuto al recepimento della materia “ricerca e innovazione” nell’ambito delle leggi di bilancio (25,5%) e di incentivazione alle imprese (23,6%), oltre a un 16% derivante dall’emanazione di leggi specifiche. Bassa è invece la presenza di norme relative alla ricerca e all’innovazione all’interno di leggi di sviluppo settoriale (5,7%), o dedicate alla costituzione di enti o agenzie regionali (5,7%) o emanate per intervenire sulle politiche di sviluppo (1,9%).
Il confronto con il periodo precedente (sia pure di dimensione temporale incomparabile), mostra una certa diversità di distribuzione. Nella molto più modesta produzione legislativa dei quaranta anni precedenti emerge infatti il dato delle leggi specifiche per ricerca e innovazione (35,3%), immediatamente seguite dalle leggi di incentivo alle imprese (30,9%). Più alta è anche la percentuale di leggi che istituiscono enti regionali (10,3%) e la considerazione della materia nell’ambito delle leggi sulla materia dello sviluppo regionale (7,4%).
Nel complesso, comunque, l’insieme di 174 provvedimenti si distribuisce tra il 26,4% di leggi per l’incentivazione delle imprese, il 23,6% specificamente dedicato a ricerca e/o innovazione o trasferimento tecnologico, il 17,2% di leggi dato da leggi di bilancio, il 13,8% di riordino legislativo e il 19% di leggi per lo sviluppo territoriale, la costituzione di enti regionali, lo sviluppo di settore o altri interventi.
I dati suddivisi per singola regione, presentati in Tab.2, forniscono qualche ulteriore indicazione. Sino al 1998 la Basilicata, il Molise, la Sicilia, la Toscana, la provincia autonoma di Trento e l’Umbria non avevano emanato leggi esclusivamente dedicate alle attività di ricerca, sviluppo e innovazione ed in particolare in Molise, nell’insieme della legislazione considerata, nessuna legge si riferiva anche parzialmente a tale oggetto. Alla fine del 2006 sono invece la Sicilia e l’Umbria a non aver approvato leggi specifiche ma a essere intervenute esclusivamente nell’ambito di provvedimenti su altre materie.
Come anticipato inizialmente, la prima normativa esclusivamente dedicata al sostegno alla ricerca, l’innovazione e il trasferimento tecnologico (22) è stata emanata dalla Sardegna (23) nel 1954, seguita dal Friuli V.G. (24) nel 1977-78 e da altre 5 regioni e la provincia autonoma di Bolzano nel periodo 1984–1992 (25), periodo che coincide con la seconda riforma dei fondi strutturali e con una maggiore integrazione degli interventi per la ricerca e l’innovazione nell’ambito dei programmi regionali cofinanziati dalla UE. Nel periodo successivo (1993–1997), coincidente con una nuova riforma dei regolamenti di cofinanziamento europei e l’avvio di una nuova programmazione delle politiche di coesione, si aggiungono altre sette regioni: Calabria (26), Campania (27), Lazio (28), Liguria (29), Lombardia (30), Marche (31) e Puglia (32). Seguono poi, nell’ultimo periodo, le regioni: Basilicata (33), Molise (34), Toscana (35), provincia autonoma di Trento (36) con l’eccezione già ricordata di Umbria e Sicilia.
Le caratteristiche abbastanza eterogenee della legislazione specifica (Tav.A), che va dalla emanazione di provvedimenti quadro, al recepimento di norme nazionali, all’intervento puntuale di istituzione di (o partecipazione a) centri o enti di ricerca o di innovazione, rafforza l’idea che un trasferimento progressivo di competenze, lasciando anche alle regioni la possibilità di iniziativa nel forzare o rallentare i tempi, sia stato, dal 1998, una necessità. La presenza di leggi organiche, dedicate a delineare e organizzare aspetti generali della materia, si registra infatti soprattutto nel periodo dal 1999 in poi, ma anche in questo caso in modo differenziato: si va da leggi “cornice” di inquadramento procedurale e metodologico, a leggi che tentano di disciplinare l’intera materia, fino a leggi di rinvio che, appunto, rinviano la “gestione” della materia a successivi provvedimenti di ordine regolamentare o esecutivo (come nel caso della Campania (37)).
 
 
2.2    Gli strumenti per la promozione della ricerca e l’innovazione
 
L’eterogeneità rilevata può indurre a chiedersi se le regioni abbiano anche apportato modifiche, o abbiano utilizzato in modo specifico, gli strumenti comunque previsti a livello nazionale, in particolare con riferimento a quanto contenuto nel d.lgs 123/98 e nel d.lgs 297/1999, art. 4 (38).
Se si analizza l’insieme dei 174 provvedimenti (Tab. 3) si può osservare che nel complesso lo strumento più presente resta il contributo in conto capitale o a fondo perduto (26,7% dei casi ), mentre altri provvedimenti citano in modo generico lo strumento del contributo senza specificarne la natura (14%). Se si considerano congiuntamente questi due dati (poiché in buona parte dei casi è ragionevole supporre che il termine generico “contributo” sia da considerare quale “contributo a fondo perduto”), questo tipo di strumento è presente nel 40,7% dei provvedimenti esaminati ed in tutte le normative regionali.
Le agevolazioni al credito e il sostegno o la partecipazione a fondi di garanzia sono presenti in un ugual numero di provvedimenti (9,1% il primo, 9,5% il secondo), mentre i contributi in conto interessi non sono uno strumento particolarmente utilizzato (7% dei casi). In complesso il sostegno ad azioni di indebitamento da parte delle imprese è comunque contenuto nel 25,5% della normativa considerata. Lo strumento della partecipazione ad enti o società, con o senza l’indicazione di un termine, risulta abbastanza diffuso (17,3%) e, pur considerando che in parte sono così catalogati quei provvedimenti con i quali la regione approva la propria partecipazione in Agenzie, Società Finanziarie Regionali o Consorzi, andrebbe forse letto congiuntamente al dato sugli strumenti finalizzati alla capitalizzazione e all’ingegneria finanziaria. L’insieme di queste due tipologie, essendo la seconda la meno rappresentata tra tutte nell’ambito normativo (3,3% dei casi nei relativi a Emilia R. (39), Liguria (40), Molise (41), Piemonte (42) e Puglia (43)), ammonta al 20,6% dei casi. Si ricorda che la “strumentazione finanziaria”, pur essendo strumento sollecitato dalla UE, e presente in almeno la metà dei programmi regionali cofinanziati, non rientra tra quelli citati con l’art. 4 del D.lvo. 297/99 e viene spesso indicato nelle leggi in modo non dettagliato (Tab. 4). E’ comunque questo un carattere distintivo di alcune politiche regionali rispetto a quelle nazionali.
Infine, considerando che, sia pure indirettamente, la molteplicità di strumenti di intervento presente nella legislazione può essere una indicazione sulla complessità e flessibilità delle strategie elaborate dalle regioni, si osserva che solo Emilia R. e Piemonte riprendono nella legislazione tutti gli strumenti citati, mentre i provvedimenti di Friuli V.G., Sicilia, Sardegna, Toscana, provincia autonoma di Bolzano e Veneto non prevedono nella legislazione interventi di capitalizzazione e ingegneria finanziaria. Abruzzo, Campania, Lazio, Umbria e la provincia autonoma di Trento non hanno legiferato a proposito di interventi o strumenti collegati ai Fondi di garanzia, mentre nel caso della regione Abruzzo, gli strumenti previsti dalla legislazione si collocano in due sole tipologie: i contributi in conto capitale e le partecipazioni, per altro puntuali, in enti di ricerca. Negli altri casi sono presenti insiemi diversi dei vari strumenti (44).
Tutte le regioni hanno avuto, o hanno ancora, la gestione delle erogazioni dei contributi. Tuttavia alcune di esse hanno delegato, su specifici interventi, questa fase anche attraverso le Società Finanziarie Regionali (12 regioni, con esclusione di tutte le regioni Ob. 1), a banche o Istituti di Credito (45), ma è anche presente il ricorso ad altri Enti (parchi scientifici, consorzi di distretti industriali, altri enti locali). In particolare, dalle leggi esaminate, sembrerebbe che solo la regione Campania eserciti totalmente ed indipendentemente dalla tipologia di strumento utilizzato, il ruolo di ente erogatore.
 
 
2.3    La programmazione regionale
 
A rafforzare l’idea che da una visione della programmazione nel campo della ricerca e dell’innovazione quale adempimento effettuato solo se esplicitamente richiesto si stia passando ad una più decisa e consapevole adozione di strategie, sta il dato relativo all’inserimento di questa funzione nell’ambito della normativa regionale: sui 174 interventi legislativi regionali censiti (46), ben 63 citano o istituiscono strumenti di programmazione regionale per la ricerca e l’innovazione. Di essi 41 sono emanati dopo il 1998, ma deve essere detto che sin dal 1984, anno di prima introduzione di queste misure nell’ambito delle politiche di coesione, le regioni hanno comunque mostrano una certa attenzione alla materia, con l’eccezione della provincia autonoma di Trento (47), i cui atti precedono tale data, e della Valle d’Aosta e del Trentino A.A., che non hanno adottato alcuna misura in tal senso (Tab. 5). Nel complesso delle regioni, comunque, vista la recente adozione e il carattere pluriennale (48) dei documenti di programmazione, essi non consentono di individuare in modo sistematico specifiche strategie (49).
Non solo: come mostrato in Tab. 6, seppure quasi tutte le regioni e la provincia autonoma di Trento si sono, nel tempo, dotate di almeno un documento strategico dedicato alle politiche per l’innovazione (50), tali documenti non sono diretta conseguenza del processo di decentramento, piuttosto, nella maggioranza dei casi, derivano dalle sollecitazioni ricevute a livello regionale dal lato della programmazione europea (51) anche attraverso l’istituzione di un insieme di programmi a questo finalizzati (52). Sino al 2000 queste sollecitazioni sono state indirizzate alla elaborazione di strategie di avanzamento tecnologico con una attenzione particolare alla identificazione e diffusione di best practice, ed hanno avuto adesione spontanea. Con il Consiglio europeo di Lisbona del 2000 la UE è passata da una strategia di adeguamento al suo interno a una strategia di competitività verso l’esterno legata all’avanzamento delle frontiere tecnologiche. L’attenzione agli aspetti legati alla ricerca e all’innovazione ha così cessato di essere un adempimento facoltativo, tanto che per le regioni Ob.1 (periodo 2000 – 2006) la adozione di una strategia specifica è divenuta un adempimento propedeutico alla attivazione delle misure di intervento per l’innovazione presentate nei POR (53) e che tutte le regioni sono state sollecitate ad affiancare alla elaborazione delle programmazioni strategiche veri e propri esercizi di prospezione tecnologica (54).
Resta il fatto che i documenti si presentano soprattutto come esercizio di analisi generale del contesto regionale, mostrando una certa debolezza nelle correlazione tra analisi del contesto e scelta degli interventi (55). Sembra inoltre che le programmazioni abbiano carattere fortemente centrato sui soli elementi presenti territorialmente, rischiando di rendere le indicazioni contenute quasi un elemento “separato” rispetto alle politiche nazionali ed europee, pur contemporaneamente influenti nelle stesse aree. In alcuni casi, invece, ad una programmazione pluriennale strategica, con un carattere di dichiarazione di intenti molto generale, fanno seguito progetti esecutivi annuali, ai quali viene rinviata la definizione concreta delle attività da porre in essere (56).
Si è allora verificato se un più definito orientamento strategico potesse emergere nell’ambito della programmazione pluriennale che coinvolge tutte le regioni ormai da più di un ventennio e che, a partire dal 1984, ha spinto affinché la ricerca, l’innovazione e il trasferimento tecnologico fossero elementi presenti nelle politiche di sviluppo territoriale: si intende qui riferirsi alle misure contenute nei Programmi Operativi Regionali (POR) (57) e nei Documenti Unici di Programmazione (DocUP) (58) che sono il presupposto per l’accesso ai fondi UE disponibili per le politiche di coesione europea.
 
 
2.4    La programmazione regionale cofinanziata dalla UE
 
Rivestendo in quasi tutte le regioni le programmazioni europee un carattere di coordinamento tra le diverse tipologie di intervento esistenti, dettato dalla possibilità per questa via di accrescere le risorse disponibili, nella Tab. 7 si è provato a classificare, secondo l’obiettivo/strumento prevalente (sia pure con schematizzazione che potrebbe in certi casi sembrare sommaria) le iniziative previste nell’ambito dell’ultima programmazione, quella relativa al periodo 2000 – 2006.
A partire dalle categorie individuate si può osservare che, in generale, la quasi totalità delle regioni italiane ritengono le imprese loro interlocutrici prioritarie ed hanno optato per politiche indirizzate alla domanda piuttosto che al sostegno all’offerta (in particolare pubblica) o a interventi di valorizzazione dei risultati di ricerca attraverso la loro diffusione, in primo luogo informativa, presso le imprese. Tuttavia si rileva che nei casi di Calabria, Campania, Molise, e Sicilia vengono proposte anche misure rivolte al finanziamento di centri di ricerca ed Università, al loro potenziamento, ammodernamento o alla riorganizzazione dell’attività. Ciò suggerisce che nei casi in cui il tessuto di imprese (e quindi la domanda per innovazioni) venga ritenuta debole, per qualità o quantità, per settore o per strutture, le risorse vengono ancora impiegate attraverso interventi a sostegno dell’offerta presente sul territorio, piuttosto che su altri obiettivi di intervento.
In tutte le regioni, infatti, con la sola eccezione della regione Marche, l’obiettivo di incrementare le azioni di finanziamento della ricerca industriale e precompetitiva, condotta dalle imprese in cooperazione con Enti di ricerca ed Università, viene esplicitato in almeno una misura. Il sostegno alla domanda delle imprese viene attuato, in quasi tutte le regioni, anche con la presenza di misure a supporto delle attività di investimento innovativo e/o di finanziamento di servizi per l’innovazione delle pmi. Fanno eccezione, per quanto riguarda il sostegno agli investimenti, la Campania (59) e il Veneto, nonché, per i servizi innovativi, Campania, Lazio, Molise e Sardegna. Per quanto riguarda la regione Marche, l’insieme delle iniziative adottate incentiva prioritariamente servizi di consulenza, investimenti per l’ammodernamento degli impianti e acquisto di brevetti o tecnologie, privilegiando, sembrerebbe, il rapporto imprese – imprese, piuttosto che quello tra imprese, università e centri di ricerca.
Vengono introdotti con questa programmazione, anche nuovi strumenti di intervento: le misure dedicate alla adozione di strumenti di ingegneria finanziaria (venture capital o private equity) sono presenti in 14 regioni con l’eccezione di Basilicata, Calabria, Campania, Friuli V.G., Valle D’Aosta e Veneto.
L’osservazione congiunta di questi elementi suggerisce quindi le seguenti considerazioni:
-        è ormai dato diffuso a livello regionale che le politiche di innovazione debbano avere una specifica attenzione alla domanda delle imprese, sia essa mirata ad avanzamenti nella traiettoria tecnologica o ad avanzamenti dei suoi confini;
-        il sostegno alla domanda presenta diverse modalità: dall’incentivare la collaborazione con gli enti di ricerca (pubblici e privati), a servizi rivolti a testare le possibilità innovative delle imprese (audit tecnologici, supporto alla brevettazione o all’acquisto di tecnologie), fino al supporto alle attività di investimento collegate all’innovazione (di processo o di prodotto);
-        dove il tessuto imprenditoriale risulta debole, si ricorre ancora a politiche di potenziamento dell’offerta di ricerca (e per questa via di innovazione) e si affida all’offerta l’azione di animazione territoriale;
-        appare particolare il caso della regione Campania, unica regione dove la politica innovativa si mostra, almeno nella prima parte della programmazione, decisamente volta all’offerta, poiché accanto al finanziamento a strutture di ricerca non sono previsti sostegni agli investimenti innovativi, ai servizi all’innovazione né le possibilità di ricorso a strumenti finanziari innovativi (60);
-        l’esame degli interventi promossi attraverso la programmazione cofinanziata dalla UE testimonia la presenza di differenziazioni nelle strategie regionali, con maggiore o minore rilevanza di interventi dedicati all’offerta di scienza e tecnologia, dettate prevalentemente dalle differenze esistenti (in particolare tra Centro Nord e Sud) in termini di struttura industriale. Ciò chiama a interrogarsi se la capacità di promozione dell’economia della conoscenza dipenda da elementi strutturali del tessuto produttivo, invece che essere essa lo strumento per la risoluzione delle criticità presenti nel territorio (61), magari per questa via favorendo la nascita e crescita di imprese con caratteristiche adatte all’economia della conoscenza.
E’ possibile, infine, che l’avvio della sperimentazione di politiche innovative, piuttosto che di politiche per l’innovazione, sia presente nelle misure mirate allo sviluppo della e-governance, intesa sia come costituzione di reti telematiche all’interno del sistema regionale che come elemento di innovazione delle politiche regionali e degli strumenti di governance. La Tab.7 mostra che meno della metà della programmazione regionale introduce misure finalizzate all’e-governance nell’ambito degli interventi di coesione, ma va tenuto presente che questo tema (coordinato a livello nazionale dal Ministero dell’Innovazione Tecnologica) è stato affrontato in quasi tutte le regioni ancora una volta utilizzando anche le opportunità rese disponibili da altri programmi europei (come per esempio quelli delle Azioni innovative, sempre finanziati dal FESR).
 
 
2.5    Le relazioni territoriali
 
Si è pensato in questa sede di verificare se elementi di relazione territoriale potesse essere indicata anche dallo sviluppo di qualche forma di concertazione stabile tra i soggetti potenzialmente coinvolti dalle politiche, magari anche ridefinendo per questa via la forte caratterizzazione territoriale alla quale sembrano richiamarsi le strategie con l’integrazione di Enti con caratteristiche nazionali o transnazionali.
Un primo esame dei 174 provvedimenti selezionati (Tab. 8) indica che solo 11 regioni hanno attivato, nell’ambito delle leggi esaminate, luoghi formali di concertazione (62) con i soggetti del territorio potenzialmente coinvolti dalle politiche per la ricerca e l’innovazione. Esse sono: Emilia Romagna, Friuli V. G., Lazio, Liguria, Lombardia, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia e provincia autonoma di Trento. Essi coinvolgono, appunto, soggetti appartenenti allo specifico territorio, in questo senso interpretando in senso restrittivo la necessità di costruire relazioni tra domanda (regionale) e un’offerta che potrebbe invece avere carattere sovraregionale o internazionale.
E’ diffusa, inoltre, in tutte le regioni, con la sola esclusione della Valle d’Aosta, una forma ben più strutturata di cooperazione, o connessione, tra la regione e i soggetti del settore ricerca e innovazione, ovvero quella che prevede relazioni formalizzate con enti terzi partecipati (63). La caratteristica principale di questi enti è che essi affiancano, alla partecipazione di capitale pubblico, la partecipazione del capitale di soggetti appartenenti al mondo finanziario, imprenditoriale e del settore della ricerca, divenendo così una sede strutturata di dialogo tra le parti interessate, caratterizzata anche da un certo grado di permanenza (64). In alcuni casi, comunque, come in quello dell’Abruzzo, si tratta di una partecipazione a sostegno a grandi progetti di ricerca (Consorzio Gran Sasso); in altri, invece, l’ente costituito fornisce servizi e riceve dalla regione l’affidamento della gestione di interventi settoriali, anche con una certa autonomia realizzativa, come nel caso:
-        del Lazio nel suo rapporto con la Filas, Finanziaria Regionale di Sviluppo;
-        del Veneto, dove vi è un deciso affidamento della realizzazione delle politiche innovative alle società a partecipazione di maggioranza pubblica Veneto Sviluppo Spa, Veneto Innovazione SpA (costituita nel 1988) e, più recentemente, a Veneto Nanotech Scpa.
-        della provincia autonoma di Trento, dove il Consorzio Innovazione di Impresa, che è uno dei risultati del progetto RITTS, formato da Istituto Trentino di Cultura, Università di Trento e dalla Tecnofin, ha il compito della fornitura di servizi per l’innovazione alle pmi;
-        dell’Emilia Romagna con l’ERVET (società per la valorizzazione economica del territorio) cui si aggiunge la società ASTER, i cui soci, oltre alla regione, sono gli EPR nazionali, Università regionali e le principali associazioni del mondo dell’imprenditoria.
Per evitare, comunque, l’impressione che la concertazione regionale si limiti ai soli enti presenti territorialmente, nella Tab. 8 è stata affiancata, alle precedenti modalità di concertazione, anche l’attività di programmazione negoziata con le altre amministrazioni nazionali. Essa si è basata, negli ultimi quattro anni, soprattutto sulle risorse fornite dal Fondo per le aree sottoutilizzate ed è avvenuta in sede CIPE, conducendo alla formalizzazione di Intese di Programma e, in via esecutiva, di Accordi di Programma Quadro (APQ). Sono stati riportati questi ultimi per la loro natura maggiormente esecutiva anche se, come nel caso dei distretti tecnologici, che sono il contenuto prevalente di tali accordi, essa non è garanzia di tempi di realizzazione né della realizzazione stessa. (65).
 

 
3.      La valutazione
 
3.1    Il tema della valutazione nella legislazione nazionale
 
Si è detto che a livello europeo un elemento non eludibile delle strategie e delle programmazioni è stato quello di dotare le varie tipologie di intervento di metodologie di valutazione. Si ricorda, per esempio, che nell’ambito dei Programmi promossi nelle politiche di coesione sono previsti fondi specifici per l’affidamento ad enti terzi sia dell’azione di monitoraggio degli interventi, sia di esercizi di valutazione intermedi e finali (66). Altrettanto approfonditi sono i lavori promossi dalla UE anche rispetto a singoli programmi di intervento, come nel caso dei programmi Regional Innovation Strategies (RIS) e Regional Innovation Technology Transfer Strategies ad Infrastructures (RITTS) prima citati (67) e, a seguito della adozione della strategia di Lisbona nel 2000, è stato sviluppato l’European Innovation Scoreboard (EIS) (68), per consentire comparazioni tra stati e tra singole regioni sia nel suo livello più sintetico di “graduatoria finale” sia a livello dei singoli elementi che concorrono alla sua costruzione (benchmark). La logica che sottende tali esercizi è stata, ed è, una logica di verifica ed apprendimento permanente, tanto è vero che da essi vengono tratte sistematiche conclusioni e conseguenze in termini di programmazione successiva (69).
Diversa è la situazione a livello nazionale. Solo con la l. 266 del 1997, art. 1, è stato reso obbligo per il Governo il presentare, ogni anno, una valutazione sull’efficacia (70) degli strumenti di incentivazione utilizzati. Questa relazione, predisposta dal Min. per lo Sviluppo Economico (prima Attività Produttive) a partire dal 1998 (71), risponde con una notevole serie di dati relativi alla tipologia ed entità degli incentivi, secondo le diverse istituzioni responsabili (stato e regioni) e i diversi settori di intervento più che offrendo una valutazione di efficacia (e quindi di impatto) degli interventi in senso strettamente economico o gestionale. Nel 1998, con il già citato D.l.gs. n.123, il contenuto della l. n. 266/97 viene ripreso, estendendo a “ciascun soggetto competente” l’obbligo di monitoraggio degli interventi e di valutazione di efficacia, e prevedendo l’elaborazione di una relazione annuale (72).
Interessanti sono le indicazioni metodologiche che vengono date nel decreto, che non si riferiscono a un generico “processo di valutazione”, ma differenziano, funzionalmente, la valutazione di efficacia, il monitoraggio e la selezione. In particolare: il monitoraggio viene funzionalmente distinto dalle usuali procedure di controllo ed ispezione, che sono disciplinate separatamente nell’art. 8; la selezione non viene confusa con una generica “valutazione ex ante” dei progetti, ma identificata puntualmente con tre tipologie possibili di procedura per la determinazione dei singoli progetti ammissibili ai diversi incentivi (procedure automatica (73), valutativa (74) e negoziale (75)).
Per quanto riguarda specificamente gli interventi per la ricerca e l’innovazione, qualche elemento relativo alla presenza di processi monitoraggio e valutazione di efficacia viene ripreso nel DM MIUR n. 593/2000, relativo ai soli interventi promossi dal MIUR nell’ambito della ricerca, ma in esso sono le procedure di selezione a rappresentare il tema centrale, declinate con una certa complessità di dettaglio. Non si trova invece traccia di obbligatorietà dell’azione di monitoraggio o di una valutazione di efficacia e/o di impatto: anzi, quest’ultima viene richiamata, nel merito dei risultati raggiunti dal punto di vista economico e finanziario, negli art. 5 (76) e 13 (77), nei quali, però, essa concerne il singolo progetto ammesso e non l’insieme dell’intervento di incentivazione e viene affidata al singolo beneficiario, il quale la deve presentare entro due anni dalla fine del progetto, pena l’esclusione da ulteriori finanziamenti.
Tale scelta genera almeno tre ordini di perplessità:
-        la prima nel merito della dimensione scelta per la valutazione, cioè il singolo progetto e non l’intervento nel suo insieme, che sembrerebbe eludere la richiesta legislativa originaria a meno di ipotizzare la possibilità di passare, per una qualche forma di aggregazione, da valutazioni singole e non necessariamente metodologicamente comparabili, a una valutazione di insieme;
-        la seconda relativa al fatto che sia la presenza di una valutazione, e non le conclusioni che essa raggiunge, a consentire il successivo accesso a nuovi finanziamenti per lo stesso soggetto o per la stessa tipologia progettuale;
-        la terza relativa alla scelta del soggetto valutatore, anche se confinata nel merito della performance del singolo progetto, poiché la fondamentale caratteristica dell’indipendenza del valutatore rispetto al soggetto valutato è ovviamente impossibile da realizzare se essi sono la stessa persona.
L’operato del CIVR – Comitato Interdisciplinare per la Valutazione della Ricerca, purtroppo, come testimoniato dalle relazioni annuali disponibili (78), non ha posto l’attenzione su questi aspetti, e non ha prodotto uno specifico esercizio di valutazione così come avvenuto invece per la valutazione dell’operato degli Enti di Ricerca. L’attenzione del Comitato si è focalizzata, in relazione alla ricerca industriale, sulla fase di definizione dei criteri, in particolare per le procedure di selezione, senza giungere ad analogo approfondimento per quanto relativo alla valutazione di impatto degli interventi. Nell’ultima relazione prodotta è presente una valutazione (79) che ha considerato, in analogia con la relazione prodotta dal Min. Sviluppo economico, la quantità di domande pervenute e finanziate sui diversi dispositivi nazionali di legge in vigore. In tale occasione il CIVR ha preso atto del ritardo nell’attivazione di quanto previsto dalla riforma del D.l.gs 297/99 (di fatto operativo solo a partire dal 2003) e dei problemi di efficienza esistenti in fase di selezione derivanti dalla inadeguatezza delle risorse amministrative e scientifiche disponibili presso il Ministero (80).
 
 
3.2    La valutazione nella normativa regionale
 
Paradossalmente è stato il livello regionale, poiché ogni regione deve effettuare, nell’ambito dei POR o dei DocUP, una attività di monitoraggio e valutazione dell’intervento, a diffondere le esperienze di valutazione sull’intero territorio nazionale, sia pure con metodologie non sempre comparabili. Altrettanto paradossalmente, poiché nell’ambito dei programmi cofinanziati dalla UE trovano coordinamento la maggior parte delle attività previste nelle normative regionali, accrescendo in tal modo le risorse disponibili, le regioni potrebbero disporre, per la via della valutazione presente nei programmi di coesione, di un esame della attività da loro svolta anche per la diffusione dell’innovazione, e della ricerca, nelle pmi. Essendo, inoltre, dal 1998 chiamate ad inviare al Ministero per lo Sviluppo Economico i dati relativi a domande acquisite, ammesse e finanziate (con relativi importi) in riferimento alle diverse leggi di incentivazione dell’industria (e della ricerca industriale) esse sono ora tenute alla gestione delle necessarie basi di dati.
Un esame di questa rilevante produzione di attività valutativa esula però dagli obiettivi che si pone questo studio. In questo caso è stata effettuata una verifica sulla presenza di riferimenti all’attività di valutazione nell’ambito del 174 provvedimenti legislativi considerati, soprattutto quale espressione di una necessità delle regioni di dotarsi di particolari strumenti e/o obblighi di valutazione aggiuntivi o sostitutivi di quelli già esistenti in via nazionale o europea.
Non stupisce perciò in modo particolare che, su 174 provvedimenti che si occupano totalmente o parzialemte di ricerca e innovazione, solo 75 contengano riferimento a una delle diverse fasi del procedimento valutativo (selezione, monitoraggio, risultato e impatto). Precisamente, in 50 di essi si fa riferimento all’attività di selezione evidenziando la scelta tra le diverse procedure possibili, in 45 ad azioni di monitoraggio (forse come integrazione di una assenza a livello della legislazione nazionale), in 16 alla presenza di forme di valutazione di impatto e in 6 a una verifica dei risultati ottenuti (Tab. 9).
Tra coloro che hanno esplicitato nelle norme il riferimento alle attività di selezione, 35 casi su 50 hanno previsto procedure di tipo valutativo, 8 di tipo negoziale, 3 di tipo automatico (81). Nei 43 casi in cui la selezione non è risultata automatica, essa risulta affidata prevalentemente a organismi interni all’amministrazione regionale (21) rispetto ad organismi esterni (18).
Anche nel caso dell’attività di monitoraggio, la prevalenza (25 casi) vede l’affidamento ad organismi interni all’istituzione regionale o nei quali i singoli membri sono scelti e nominati dalla regione, rispetto all’affidamento all’esterno (17 casi) (82).
Nei 16 casi di presenza di indicazioni per la valutazione di impatto, essa viene affidata in 7 casi a organi interni all’amministrazione regionale (tra cui Giunta Regionale e assessorato, per esempio), in due casi ai beneficiari dell’intervento e negli altri casi a enti o istituzioni con rapporti già esistenti con la Regione (Agenzie, Osservatori, Nuclei di valutazione). Anche in questo caso, quindi, si può dire che il criterio dell’indipendenza tra la figura del valutatore e del valutato non viene presa in seria considerazione.
Su sei provvedimenti, infine, che si occupano della fase di verifica dei risultati raggiunti, tutti relativi a legislazioni interamente dedicate alla R&S, in 4 casi vi sono indicazioni sul tipo di organismo incaricato della valutazione di risultato ed in tre di essi la scelta cade su organismi esterni all’ammnistrazione; in ben due di questi casi, comunque, il riferimento è al beneficiario dell’intervento, ed in un solo caso al nucleo di valutazione degli investimenti pubblici.
Rispetto ai soli 41 provvedimenti specificatamente dedicati alla ricerca e innovazione (Tab. 10), il numero di leggi che contengono riferimenti ai momenti della selezione, del monitoraggio o della valutazione di risultato o di impatto si riduce a 22 (comunque una quota superiore rispetto alla totalità degli interventi), di cui 17 presentano riferimenti alla selezione, 11 ad attività di monitoraggio, 6 alla valutazione di risultato e 5 alla valutazione di impatto.
In particolare, escludendo ogni riferimento a Umbria e Sicilia che non hanno provvedimenti specifici, si può osservare che:
-        Toscana, Marche, Molise, Basilicata, Calabria, Sardegna non hanno ritenuto opportuno inserire nei provvedimenti legislativi alcun riferimento al processo di valutazione;
-        Provincia autonoma di Bolzano, Veneto, Lombardia e Lazio esplicitano riferimenti alla sola della selezione degli singoli progetti o interventi;
-        Puglia e Liguria si riferiscono solo alla presenza di forme di monitoraggio degli interventi;
-        Emilia R. e Piemonte considerano la selezione, il monitoraggio e alla valutazione di impatto ma escludono la valutazione di risultato, mentre la Valle D’Aosta e la Campania affiancano a selezione e monitoraggio la sola valutazione dei risultati escludendo quella di impatto;
-        la provincia autonoma di Trento inserisce nelle norme la selezione e la valutazione di impatto;
-        Il Friuli V.G. prevede forme di valutazione sul 50% delle leggi considerate e, per esse, risulta sempre presente un riferimento alla valutazione di impatto degli interventi;
-        non c’è presenza di procedura automatica di ammissione delle domande;
-        nel caso della valutazione di impatto, su 5 casi rilevati 4 fanno riferimento agli organismi a cui viene affidata tale funzione, demandata a Comitati (interni e/o esterni all’amministrazione regionale) o a una Agenzia Regionale.
Sia per gli interventi nazionali, quindi, che per quelli regionali, le conclusioni che si possono trarre non sono molto diverse, né diverse da quella presentata nel Rapporto MET 2004 (83) (che ha però preso a riferimento a un insieme di interventi solo in parte coincidente con quello riportato nella Tav. A), ovvero che il processo valutativo viene vissuto più come un vincolo procedurale per l’accesso ai finanziamenti che come strumento di verifica sull’efficacia (e non solo sull’efficienza) delle modalità di intervento e di utilizzo delle risorse.
 
3.3    Due esercizi di valutazione: il RRSII e il RNSII
 
Prima di concludere questo studio si vogliono presentare due esercizi di valutazione della capacità di innovativa e competitiva delle regioni.
Il primo è il il Revealed Regional Summary Innovation Index (RRSII) (84), calcolato la prima volta nel 2001 e l’ultimo dei quali pubblicato nel 2006, che determina il posizionamento delle regioni italiane nell’Europa composta da 25 stati e con una rilevazione che riguarda 208 regioni. Oltre ad osservare che le regioni italiane compaiono solo a partire dal 44esimo posto (il Lazio, a cui fa seguito però solo il 71esimo posto della Lombardia, il 73esimo del Piemonte e l’81esimo dell’Emilia R.) si può osservare che le regioni del Mezzogiorno si collocano verso il fondo della classifica (a partire dalla Campania (152), Basilicata (159), Molise (165), Sicilia (177), Sardegna (184) e Calabria (186) (85)) (Tab. 4).
Il secondo, il Regional National Summary Innovation Index (RNSII) (86), è un esercizio analogo, sia pure con alcune varianti metodologiche, che viene svolto con riferimento al solo territorio nazionale (87) dalla FILAS – Finanziaria della Regione Lazio, anch’esso con periodicità annuale. Nella Tab. 11 vengono presentati anche i posizionamenti derivanti dal calcolo di questo indice e si può osservare che il dato europeo trova riscontro sostanziale nell’indicatore sviluppato dalla FILAS: nel 2002 ai primi 4 posti figurano infatti rispettivamente Lombardia, Piemonte, Lazio ed Emilia R e, nel 2006 vi sono ancora le stesse regioni, sia pure con diverso posizionamento (Lombardia, Lazio, Emilia R. e Piemonte). In entrambi gli anni le regioni meridionali sono posizionate agli ultimi posti della classifica (88).
Entrambi gli esercizi possono essere considerati indicatori dell’impatto delle condizioni e delle politiche per la ricerca e l’innovazione (soprattutto considerando l’evoluzione nel tempo dei posizionamenti) e, a spiegare l’uniformità del risultato raggiunto, nonostante le differenze metodologiche esistenti, è la scelta degli elementi scelti per testimoniare la capacità competitiva esistente a livello regionale: la competenza ed istruzione del “capitale umano”, l’entità della spesa sia pubblica che privata per la ricerca e lo sviluppo, la composizione del tessuto industriale (più o meno innovativa in termini di prodotti per la vendita) e la quantità dei prodotti del settore della conoscenza (in termini di brevetti e proprietà intellettuale).
E’ quindi evidente che, più che la numerosità degli interventi finanziati o il loro singolo risultato, sono alcune condizioni “strutturali”, quali la composizione del tessuto industriale e la presenza di infrastrutture di ricerca, a condizionare sin dall’inizio la distribuzione della spesa di ricerca e la possibilità di ottenimento dei risultati in termini di brevetti e proprietà intellettuale e per questa via il risultato generale dell’indicatore. La Tab. 12 mostra per esempio come, con riferimento al settore industriale, sia riconducibile al Nord Italia il 62% del valore aggiunto prodotto nelle imprese industriali e di servizio (ed il 72% di quello prodotto da imprese industriali con più di venti addetti), mentre nel Mezzogiorno la distribuzione vede prevalere il settore delle costruzioni e le ridotte dimensioni di impresa(sotto i 20 addetti).
Politiche tese (siano esse europee, nazionali o regionali) a privilegiare la connessione tra settore pubblico e settore imprenditoriale, in assenza di interventi correttivi della situazione strutturale non potranno che condurre a impatti assai diversi nei diversi territori, con molta probabilità contribuendo ad alimentare il divario di capacità di crescita tra le regioni del nord rispetto a quelle del Mezzogiorno piuttosto che a ridurlo. In questo senso le indicazioni europee, a fronte dell’accresciuto numero dei paesi membri, della conseguente limitatezza di risorse e della necessità di rispettare gli obiettivi nazionali ed europei posti in un arco di circa 10 anni (2000 – 2010) dal Consiglio di Lisbona, paiono operare una scelta diversa dal passato. Esse infatti invitano le regioni a concentrare risorse e interventi per la ricerca e l’innovazione solo nelle aree, anche limitate, che presentano caratteristiche esplicite di capacità di utilizzo adeguato (89), sembrerebbe così rinviando l’obiettivo di uno sviluppo più omogeneo del territorio ad altre, successive o contestuali, politiche o alla possibilità di una spontanea e progressiva contaminazione delle aree limitrofe. Allo stesso tempo invitano alla costituzione di reti per l’innovazione di natura transregionale e transnazionale, quasi a voler rompere quei non predittivi confini territoriali che le strategie ed esperienze innovative regionali sembrano essersi implicitamente date.
 
 
4.         Conclusioni
 
Al termine di questo, pur limitato, esame di alcune caratteristiche delle politiche regionali per la ricerca e l’innovazione, le conclusioni non possono che delineare un quadro complesso.
Negli ultimi quindici/venti anni le Regioni hanno potuto sperimentare programmazioni ed elaborazioni di strategie e costruire momenti concertativi o consultivi con imprese (o associazioni di imprese), Enti pubblici di Ricerca, Università, centri di ricerca privati, società finanziarie. Non solo. Negli ultimi anni hanno potuto sperimentare anche strumenti di intervento parzialmente innovativi seppure nel contesto della programmazione cofinanziata dalla UE.
L’Unione Europea ora sta chiedendo di passare da politiche di adeguamento interno tra i paesi membri a politiche capaci di competere sul terreno internazionale con i paesi terzi. In questo quadro la struttura industriale esistente potrebbe divenire un vincolo alla scelta, e all’efficacia, degli strumenti di intervento delle regioni, piuttosto che spingere ad utilizzare interventi e strumenti che possano intervenire sulle criticità esistenti. Le regioni che possono contare su una struttura industriale di per sé già vitale, con politiche che fondano la competitività su specializzazioni di prodotto e sulla qualità, potranno supportare con sempre maggior efficacia le risorse e le occasioni già presenti, mentre nelle regioni dove questa autonoma vitalità delle imprese non è abbastanza consistente, il rischio di ricorrere ancora a politiche dedicate all’offerta di ricerca e tecnologia deve tener presente che la loro efficacia quale alternativa è stata più volte messa in discussione.
E’ il caso, infine, di formulare due ulteriori osservazioni:
-        la necessità di evitare il rischio di circoscrivere il problema dell’innovazione, e dell’economia della conoscenza, alle sole politiche per la ricerca e l’innovazione, siano esse locali o nazionali, soprattutto quando queste sono basate, prevalentemente, sul sostegno della domanda delle imprese; è evidente che, in assenza di contemporanei ed efficaci interventi sui nodi che determinano differenze strutturali in termini di tessuto economico ed opportunità sociali, ciò non potrà che condurre ad una accentuazione delle differenze che non è detto siano colmabili in modo spontaneo;
-        la necessità di interrogarsi su modalità innovative di intervento, capaci di interpretare le opportunità scientifiche e tecnologiche come strumenti aggiuntivi per la risoluzione delle criticità locali;
-        la necessità di considerare il fatto che, se la domanda può essere rilevata a livello locale, le imprese non collocano la loro attività in un contesto a priori territorialmente limitato, né tantomeno ciò caratterizza l’attività di ricerca o innovazione tecnologica;
-        la necessità di passare da una visione della valutazione intesa quale selezione degli interventi e rendicontazione delle azioni compiute a una visione che la veda esercizio di apprendimento continuo rispetto all’efficacia o meno degli interventi.
Se è vero che la strategia proposta dalla UE, sembra sempre più focalizzata su un’economia della conoscenza intesa solo come presenza crescente di imprese ad alto livello tecnologico, è altrettanto vero che la strategia UE ha già adottato, in questi anni, attraverso la pratica della valutazione dalle proprie prassi, una metodologia di apprendimento continuo, ulteriormente migliorabile ma sicuramente coerente con l’idea più ampia di una società basata sulla conoscenza e l’apprendimento permanente. Si può quindi riscontrare, in sede di politiche UE, un tentativo di uniformità tra mezzi e fini che rende più chiare e conseguenti le azioni che le concretizzano. E’ questo l’elemento che pare più assente dalle politiche istituzionali italiane, siano esse nazionali o regionali, e che probabilmente ne condiziona anche la chiarezza nelle strategie e negli obiettivi perseguiti.
 
 
 
 
 
NOTE
 
(1)        Si vedano ad esempio: F. Momigliano “Determinanti ed effetti dell’attività innovativa: revisione di teorie e implicazioni di politiche pubbliche per l’innovazione industriale”, in Economia e Politica Industriale, n. 35, 1982; E. Filippi, F. Momigliano “La politica per l’innovazione in Italia: l’esperienza del primo periodo di applicazione della L. 46/82, in L’Industria, n. 4, 1985; F. Malerba, “L’attività di ricerca e sviluppo nell’industria italiana”, in L’Industria, n. 1, 1987; M.G. Colombo, S. Mariotti “L’innovazione di processo nell’industria italiana”, in L’Industria n. 1, 1987.
(2)        F. Momigliano, “Determinanti ed effetti dell’attività innovativa: revisione di teorie e implicazioni di politiche pubbliche per l’innovazione industriale”, in Economia e Politica Industriale, n. 35, 1982.
(3)        Cfr. Ibidem, p.38.
(4)        Cfr. Ibidem, pag. 39
(5)        La delega concerne le materie indicate alle lettere a), n), o), p), q), r), s), t), u), v), z), aa) dell’art. 18 dello stesso Decreto.
(6)        “Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1999”, G.U. n. 275 del 24 Novembre 2000.
(7)        “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione”, G.U. n. 248 del 24 Ottobre 2001, art. 3, comma 1, quarto capoverso.
(8)        “Disposizioni per l' adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”, G.U. n. 132 del 10 Giugno 2003.
(9)        L’eventualità che incentivi di importo superiore dovessero essere approvati in sede UE alla luce delle normative sugli “aiuti di stato” ha forse indotto a considerare gli interventi oltre la soglia “de minimis” di carattere sovraregionale.
(10)     (DM. N. 11 del 13.1.2000).
(11)     In particolare questo intervento, finanziato con le risorse delle Aree sottoutilizzate ripartite in sede CIPE previo accordo tra il MIUR e le Regioni, mostra caratteristiche analoghe alla precedente esperienza dei Parchi Scientifici e Tecnologici: la distribuzione delle risorse è avvenuta sull’intero territorio nazionale indipendentemente dalla rilevazione di specifiche condizioni territoriali inerenti lo strumento di intervento. Ciò ha condotto ad una estrema difficoltà nell’utilizzo delle, ingenti, risorse stanziate; cfr. C. Cavallaro “I distretti tecnologici e le regioni” in ISSIRFA, “Regioni e attività produttive - IV Rapporto sulla legislazione e la spesa 1998 – 2004”, Milano, Giuffrè Editore, 2006.
(12)     DM n. 262 del 5.8.2004.
(13)     DM MIUR del 10 maggio 2000.
(14)     FISR – DM MTBPA del 16 ottobre 2000.
(15)     Si tratta delle Regioni: Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna
(16)     “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonche' per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali.
(17)     Istituito con l. 311 del 20 dicembre 2004, art. 1, c. 354.
(18)     Le relazioni annuali del Ministero dello Sviluppo Economico indicano una ripartizione tra risorse nazionali e regionali per gli incentivi all’industria di oltre il 75% a livello nazionale; resta quindi un 23 – 25% regionale tra risorse proprie e risorse “conferite”.
(19)     Ci si riferisce qui agli obiettivi di contenimento della spesa (in particolar modo quella di investimento) richiesta agli enti locali ai fini di perseguire gli obiettivi di contenimento del deficit dettati dalle decisioni europee.
(20)     Nel sito www.issirfa-spoglio.cnr.it sono stati censiti 174 provvedimenti legislativi regionali che non comprendono, quindi, la mole altrettanto rilevante di provvedimenti dedicati al settore dell’agricoltura, allevamento e pesca e del diritto allo studio.
(21)     Come visibile al sito www.issirfa-spoglio.cnr.it sono state considerate sia normative quadro che altre tipologie all’interno delle quali fossero però identificabili specifiche normative per la ricerca e l’innovazione.
(22)     Come si noterà dalla lettura dei titoli dei provvedimenti sono state classificate in questo senso non esclusivamente le legislazioni “quadro” sulla materia, ma quelle legislazioni che avessero la materia quale oggetto esclusivo anche se non in senso onnicomprensivo.
(23)     Provvidenze dirette a promuovere e favorire gli studi, le ricerche e le pubblicazioni interessanti l'industria e il commercio.
(24)     Interventi per lo sviluppo della ricerca scientifica e dell'istruzione universitaria nonché modifiche alla legge regionale 8 luglio 1977, n. 33; Interventi per la costituzione ed il funzionamento del Centro di ricerca applicata nel settore meccano - tessile di Pordenone.
(25)     Abruzzo - l.r. 5 settembre 1991, n. 55, Incentivi regionali per la promozione dell'innovazione del sistema delle piccole e medie imprese (abrogata con l.r. 32/1995); Emilia R. - l.r. 5 settembre 1988, n. 37, Sostegno dell' iniziativa del polo scientifico e tecnologico di Bologna; Piemonte - l.r. 1 dicembre 1986 , n. 56, Interventi regionali per la promozione e la diffusione delle innovazioni tecnologiche nel sistema delle imprese minori e l.r. 3 settembre 1991, n. 51, Partecipazione della regione Piemonte all' Agenzia per l' Innovazione SpA.; provincia autonoma di Bolzano - l.p. 11 marzo 1986, n. 13, Interventi della Provincia autonoma di Bolzano in favore della ricerca e dello sviluppo nel settore industriale, legge abrogata nel 1992 dalla l.p. 10 dicembre 1992, n. 44, Interventi della provincia autonoma di Bolzano in favore della ricerca e dello sviluppo nel settore industriale; Valle d’Aosta - l.r. 30 dicembre 1992, n. 86, Intervento regionale per l'attività di ricerca e sviluppo di nuovi prodotti e processi produttivi svolta da imprese industriali e Veneto - l.r. 6 settembre 1988 , n. 45, Costituzione di una società a partecipazione regionale per lo sviluppo dell' innovazione e collaborazione con il CNR per studi e ricerche in materia di interesse regionale.
(26)     L.r. 9 marzo 1995, n. 7 Partecipazione della regione al Consorzio Cies - Centro di Ingegneria Economico e Sociale.
(27)     L.r. 31 dicembre 1994, n. 41 Promozione della ricerca scientifica in Campania.
(28)     L.r. 10 settembre 1993, n. 49 Promozione e sviluppo dei parchi scientifici e tecnologici nella regione Lazio.
(29)     L.r. 1 settembre 1995, n. 45 Partecipazione della regione Liguria alla Società per Azioni "Parco Scientifico e Tecnologico della Liguria".
(30)     L.r. 20 aprile 1995, n. 28 Interventi della regione Lombardia per la promozione e lo sviluppo delle ricerche biotecnologiche.
(31)     L.r. 9 settembre-1993, n. 25 Finanziamento del programma d'iniziativa comunitaria stride concernente il potenziale regionale in materia di ricerca, tecnologia ed innovazione.
(32)     L.r. 5 luglio 1996, n. 12 Diritto agli studi universitari; Titolo IV - Funzioni della Regione e dell'Università.
(33)     L.r. 2 gennaio 2003, n. 4 Disciplina delle attività di ricerca, sviluppo tecnologico ed innovazione.
(34)     L.r. 23 novembre 2004, n. 27 Istituzione dell'Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l'Innovazione dell'Agricoltura nel Molise 'Giacomo Sedati' (ARSIAM).
(35)     L.r. 26 gennaio 2004, n. 1 Promozione dell'amministrazione elettronica e della società dell'informazione e della conoscenza nel sistema regionale. Disciplina della “Rete telematica regionale toscana”.
(36)     L.p. 2 agosto 2005, n. 14 Riordino del sistema provinciale della ricerca e dell'innovazione. Modificazioni delle leggi provinciali 13 dicembre 1999, n. 6, in materia di sostegno dell'economia, 5 novembre 1990, n. 28, sull'Istituto Agrario di San Michele sull'Adige, e di altre disposizioni connesse.
(37)     Delibera G.R. n. 3960 del 9 settembre 2002, l.r. n.5 del 28 marzo 2002. Promozione della ricerca scientifica in Campania – Approvazione del regolamento dei Piani Annuali di Attuazione; Delibera G.R. n. 4060 dell’11 settembre 2002, Regolamento per la concessione delle agevolazioni nello specifico settore della ricerca a favore delle PMI ai sensi della l. 598/94.
(38)     L’art. 4 identifica i seguenti strumenti: contributi a fondo perduto, credito agevolato, contributi c/interessi, crediti di imposta, prestazioni di garanzie, atti di programmazione negoziata, bonus fiscale.
(39)     Lr n.3/99, art. 49, c. 4, lettera d).
(40)     Lr. n.43/94, art. 6 e lr. 21/2000.
(41)     Lr n.16/2000 e lr. 28/2003
(42)     Lr n.34/2004, art.4.
(43)     Lr n.3/2001 e lr 3/3004.
(44)     La prevalenza dello strumento dei contributi a fondo perduto risulta indirettamente confermata anche dal conto economico consolidato della provincia autonoma calcolato dal Dipartimento per lo Sviluppo Economico del Min. del Tesoro, che vede pesare tale forma di sostegno alle imprese, nel periodo tra il 1996 e il 2005, per l’88% delle erogazioni effettuate dalla PA nel suo insieme. I dati disponibili, però, non consentono (trattandosi di spese consolidate e regionalizzate) di scorporare i trasferimenti effettuati dalle amministrazioni regionali rispetto a quelli effettuati dalle amministrazioni centrali. Si veda il sito www.dps.tesoro.it> Banche Dati CPT.
(45)     Emilia R., Lombardia, Piemonte, province autonome di Trento e di Bolzano, ma anche Sardegna, Sicilia e Puglia.
(46)     Per l’elenco dei provvedimenti normativi considerati si veda www.issirfa-spoglio.cnr.it > Osservatorio sulle regioni > La normativa regionale per la ricerca e l’innovazione. Per strumenti di programmazione si intende o la approvazione di documenti di programmazione specifici per la ricerca e l’innovazione.
(47)     L.p. 3 aprile 1981, n. 4 Provvedimenti organici per il settore industriale e per la salvaguardia e l' incremento dell'occupazione; artt. da 52 a 54bis, da 57 a 61, da 67 a 78; Titolo VII, ricerca, sviluppo trasferimento; abrogata con l.p. 6/99
(48)     Solo nel caso della provincia autonoma di Trento il documento di programmazione ha carattere annuale ed ha finalità di valutazione dell’attività svolta oltre che di presentazione delle politiche avviate e in fase di avvio.
(49) Si rimanda per le valutazioni di alcune regioni a: N. Buratti, P, Sonetti, S. Cedolina “Analisi delle strategie regionali di innovazione: valutazione comparativa, individuazione di best practices, suggerimenti di policy”, marzo 2005, in www.impresaprogetto.it, sito del DITEA – Univ. di Genova; oppure al Cap. 8 del documento di Valutazione intermedia del PON “Ricerca e Sviluppo”, condotta dall’ISMERI e presente sul sito www.ponricerca.miur.it; “Finanza e innovazione - Terzo quaderno Finanza Innovativa e politiche regionali per la R&S in Italia”, in http://www.finlombarda.it - La Comunicazione – Forum Finanza e Innovazione; o, più in generale, P. Magnatti “L’intervento del FESR nelle politiche regionali per l’innovazione”, 2005, sul sito
http://www.regione.piemonte.it/industria/seminar/dwd/rapporto_inno.pdf .
(50)     Con l’esclusione di Valle D’Aosta, Trentino A.A., Friuli V.G, Molise e provincia autonoma di Bolzano.
(51)     Come già sostenuto in C. Cavallaro ”La promozione dell’innovazione e del trasferimento tecnologico nelle piccole e medie imprese”, in ISSIRFA, “Regioni e attività produttive - 3° Rapporto sulla Legislazione e sulla spesa”, Milano, Giuffrè Editore, 2004, pag.113.
(52)     Ci si riferisce qui alle esperienze del Regional Innovation Strategies programme e del Regional Innovation Technology Transfer Strategies ad Infrastructures programme, entrambi promossi nell’ambito delle azioni innovative di cui all’art. 10 del Regolamento FESR 1989.
(53)     Programmi Operativi Regionali, nei quali confluiscono le risorse della UE a finanziamento delle politiche di coesione.
(54)     Per prospezione tecnologica (o technology foresight) si intende l’analisi del posizionamento tecnologico di un settore produttivo, territorio, regione, paese etc. nonché l’anticipazione della possibile evoluzione nel medio-lungo periodo e le conseguenti ricadute socio - economiche. In Italia, diverse analisi di foresight a livello regionale e subregionale sono state condotte dalla Fondazione Rosselli : www.fondazionerosselli.it
(55)     Come rilevato anche in sede di valutazione intermedia della programmazione del PON e del suo coordinamento con le azioni regionali di coesione per le aree dell’Obiettivo1 - cfr. cap.8 del documento di Valutazione intermedia del PON “Ricerca e Sviluppo” prima citato.
(56)     In tale procedura vi è il rischio evidente di spostare la funzione di programmazione da una sede politica (il Consiglio Regionale) ad una sede esecutiva, la Giunta Regionale, che con deliberazioni, regolamenti, o bandi per lo svolgimento delle specifiche attività, di fatto costruisce la fisionomia della strategia, conoscibile quindi, nel suo insieme, solo ex post.
(57)     Programmi Operativi Regionali, proposti dalle regioni Ob. 1 alla UE e da essa approvati ai fini dell’erogazione dei Fondi Strutturali a sostegno delle politiche di coesione europea.
(58)     Documenti Unici di Programmazione, da adottarsi da parte delle regioni che accedono ai fondi Ob. 2 e 5 bis.
(59)     La Campania rinvia l’attenzione a questi interventi a un periodo successivo alla prima fase di programmazione.
(60)     Deve essere ricordato che la programmazione mira alla costituzione dei Centri di competenza, la cui funzione è, successivamente alla loro costituzione, quella di attivare sinergie con gli altri soggetti presenti sul territorio e, ancora successivamente, di intersecare la propria attività con le politiche dedicate ai distretti tecnologici o con le specifiche politiche settoriali.
(61)     Ovviamente questa conclusione è legata alla fase ex ante di programmazione e potrà essere smentita dalla valutazione dei risultati conseguiti al termine della programmazione.
(62)     Si intendono Comitati consultivi, Commissioni di consulenza, Consulte, conferenze permanenti, coordinamenti tecnici a supporto delle politiche di innovazione.
(63)     Si va dalle Agenzie per l’innovazione, dai PST ai BIC, ai poli scientifici e tecnologici e a veri e propri enti di ricerca (come nel caso del Lazio - Centro di ricerca sulla variabilità del sole - o dell’Abruzzo – Consorzio di ricerca del Gran Sasso).
(64)     Una sede di tale natura, se da un lato rende possibile la partecipazione di soggetti non necessariamente residenti nel territorio regionale, ma comunque interessati alle politiche intraprese, non è scevra dai rischi derivanti dai legittimi, ma magari specifici, interessi dei sottoscrittori (con esclusione delle istituzioni pubbliche partecipanti, ovviamente).
(65)     Cfr. C. Cavallaro “ I distretti tecnologici e le regioni” in ISSIRFA, “Regioni e attività produttive – IV Rapporto sulla legislazione e sulla spesa. 1998 – 2004: un bilancio”, Milano, Giuffrè Editore, 2006.
(66)     I documenti di tali esercizi sono rinvenibili sia sul sito del PON – MIUR http://www.ponricerca.miur.it , sia nei diversi siti regionali nelle pagine dedicate ai POR e ai DocUP, ma anche il sito http://ec.europa.eu/regional_policy/sources/docgener/evaluation/tech_en.htm
(67)     Si veda ad esempio: http://ec.europa.eu/regional_policy/sources/docgener/evaluation/rado_en.htm .
(68)     http://trendchart.cordis.lu/scoreboards/scoreboard2005/scoreboard_papers.cfm
(69)     Più sporadicamente alcuni esercizi sono stati effettuati anche in alcuni casi di regioni italiane. Si veda ad esempio “ Analisi di benchmarking tra alcune regioni europee” realizzata, a partire dalle misure utilizzate nel Regional Innovation Scoreboard, dalla Regione Emilia Romagna - http://www.regione.emilia-romagna.it/wcm/ERMES/Canali/amministrazione_regionale/
controllo_strategico/link_benchmarck/benchmark_europa.pdf; oppure per la regione Lombardia sul sito http://www.artigianato.regione.lombardia.it/sito-old/paralleli/. 
(70)     E’ interessante sottolineare che l’art. 1 richiama l’efficacia, non il monitoraggio, la realizzazione (o collaudo) degli interventi o l’efficienza della spesa, per questa via dichiarando un esplicito interesse all’impatto degli incentivi, piuttosto che al funzionamento delle procedure
(71)     Disponibili sul sito http://www.sviluppoeconomico.gov.it, area tematica Incentivi alle imprese le relazioni sino al 2001.
(72)     Art. 11.
(73)     L’art. 4 definisce selezione automatica quella la cui procedura non ha bisogno di effettuare anche un’istruttoria tecnica, economica o finanziaria del programma di spesa.
(74)     L’art. 5 definisce selezione valutativa quella per la quale l’insieme delle iniziative ammissibili è definito mediante valutazione comparata e sulla base di parametri predeterminati.
(75)     L’art. 6 definisce la selezione con procedura negoziale quella che avviene nell’ambito di interventi di sviluppo territoriale o settoriale e di forme di programmazione concertata.
(76)     Progetti autonomamente presentati per la realizzazione di attività di ricerca in ambito nazionale, c.38.
(77)     Specifiche iniziative di programmazione, c. 2.
(78)     www.civr.it > relazioni annuali
(79)     Si veda la relazione per il periodo 2001 – 2003 sul sito www.civr.it > relazioni annuali
(80)     Nel caso nazionale, quindi, se si vogliono rintracciare procedure di valutazione (o di monitoraggio) con un certo fondamento metodologico e un orientamento non centrato esclusivamente sul controllo della realizzazione delle attività previste, è necessario prendere in considerazione quanto realizzato nell’ambito degli interventi cofinanziati dalla UE. Queste valutazioni hanno però il difetto di essere territorialmente limitate ai soli interventi nelle regioni Ob. 1 (Mezzogiorno).
(81)     Un caso non ha esplicitato le modalità di selezione.
(82)     Sono state qui considerate anche le indicazioni sull’ affidamento di tale compito alla Giunta Regionale ( ben 19 casi); se si considerassero solo le modalità di affidamento a terzi, l’attività di monitoraggio risulterebbe molto meno presente di quanto riportato in Tab. 11.
(83)     A. Silvani, G. Sirilli, F.Tuzi “L’innovazione e la ricerca nella politica delle regioni”, in Rapporto Met “Le politiche industriali nelle regioni italiane”, Donzelli Editore, 2004.
(84)     Si veda http://trendchart.cordis.lu > European Innovation Scoreboard. L’indicatore europeo considera 7 variabili: laureati occupati in settori di ricerca e innovazione; persone coinvolte in processi di apprendimento continuo; spesa pubblica in ricerca e sviluppo; spesa privata in ricerca e sviluppo; percentuale di occupati in settori a medio e alta tecnologia sul totale degli occupati; occupati nei settori ad alta tecnologia sul totale degli occupati; brevetti europei.
(85)     Le conseguenti posizioni relative tra le sole regioni italiane sono riportate nella seconda colonna di Tab. 4.
(86)     L’indicatore sviluppato dalla Filas utilizza 8 diversi gruppi di variabili relative a: istruzione, occupazione, spesa in ricerca e sviluppo, brevetti, innovazione nelle imprese, diffusione delle nuove tecnologie, performance dinamicità e qualità delle imprese, competitività; i valori relativi alle singole variabili vengono indicati nella pubblicazione. All’ultimo dato disponibile, relativo al 2006, è stato affiancato anche quello elaborato nel 2002, allora calcolato in modo metodologicamente comparabile con l’indicatore UE.
(87)     Nel sito http://www.osservatoriofilas.it si possono trovare i diversi esercizi di valutazione promossi dalla regione Lazio, ad oggi il più completo e comparabile esercizio svolto su un piano esclusivamente nazionale .
(88)     Vanno evitate comparazioni improprie tra i due dati, la cui differenza non va considerata in senso dinamico essendo nel frattempo stata modificata la struttura dell’indicatore.
(89)     COM (2005), n. 299 “Politica di coesione a sostegno della crescita e dell’occupazione: linee guida della strategia comunitaria per il periodo 2007-2013”.
 
Tabelle:
 

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