BOZZA NON CORRETTA


COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 5a (PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA


Resoconto stenografico

AUDIZIONE



Seduta pomeridiana di giovedì 7 ottobre 2004
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI GIANCARLO GIORGETTI


La seduta comincia alle 14,20.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso e sul canale satellitare della Camera dei deputati.
(Così rimane stabilito).


Audizione dei rappresentanti della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome.



PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 126, comma 2, del Regolamento del Senato, l'audizione dei rappresentanti della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome.
Vorrei ringraziare i numerosi rappresentanti delle autonomie territoriali presenti, che testimoniano l'importanza del disegno di legge finanziaria con specifico riferimento alla finanza regionale.
Do la parola al presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome, onorevole Enzo Ghigo, che inviterà, se del caso, anche gli altri auditi ad esporre la propria posizione.

ENZO GHIGO, Presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome. Ringraziando le Commissioni per averci convocato, cercheremo oggi di riassumere, nel corso del mio intervento e di quelli che mi succederanno, lo stato della discussione al quale siamo arrivati sul disegno di legge finanziaria, in modo particolare con riferimento alle vicende del fondo sanitario.
Essendo, come voi ben sapete, la sanità una delle voci principali del bilancio dei trasferimenti alle regioni, noi constatiamo, nel corso di questo anno, una cifra, impostata sulla legge finanziaria, di 88, 2 miliardi di euro. Tale cifra è indubbiamente superiore rispetto a quella destinata lo scorso anno; infatti, il fondo sanitario per il 2003 ammontava a circa 81 miliardi di euro e questo di quest'anno è stato quindi sensibilmente incrementato.
Nondimeno, a fronte di tale evenienza, che è indubbiamente significativa e che noi consideriamo un fatto positivo, vi è una intera partita, oggetto di valutazione nostra e del Ministero del tesoro, avente ad oggetto non tanto il disegno di legge finanziaria quanto la base di partenza sulla quale calcolare il «famoso» incremento di spesa del 2 per cento.
Ci riferiamo in modo specifico all'anno 2004, essendo noto a tutti che i fondi sanitari, destinati negli anni sia da questo Governo sia da quelli che lo hanno preceduto, erano sempre sottostimati rispetto al costo reale della sanità. Occorre considerare oltretutto, quale cosa acclarata in tutti i Paesi europei, che la sanità presenta dinamiche di incremento di costo ben superiori al 2 per cento (qualcuno arriva a sostenere che addirittura si attesti al 7 per cento annuo). Nel nostro Paese questa cifra non è così distante dalla realtà: vi è infatti un incremento costante negli anni ben superiore al 2 per cento.
Stiamo addivenendo con il ministero, e tale profilo è già presente nel disegno di legge finanziaria, all'inserimento di regole per il contenimento della spesa e di meccanismi che riprendono l'accordo interistituzionale precedente, ai sensi del quale, nel caso in cui le regioni non riuscissero a contenere il costo della sanità nella propria regione entro le cifre stabilite, sarebbe previsto da parte loro il ricorso a finanze proprie.
Tanto è vero che il disegno di legge finanziaria di quest'anno prevede l'abolizione del «blocco» delle aliquote aggiuntive, in modo da dare questa possibilità alle regioni, che non fossero in grado di coprire il fondo, che però è sostanzialmente incrementato, partendo dal consuntivo per l'anno 2004.
In buona sostanza, riteniamo che si siano compiuti passi in avanti; crediamo tuttavia che questo fondo non sia sufficiente. Conseguentemente, dal momento che la spesa reale per la sanità nell'anno 2004 è comunque superiore, stiamo interloquendo con il ministero per verificare la possibilità che, nel caso specifico, si prenda atto di un forte incremento del fondo, ma al contempo occorre necessariamente segnalare che le risorse messe a disposizione non sono sufficienti.
Pertanto, anche in relazione al tema dei contratti, che dovranno essere stipulati nel corso di quest'anno e che esplicano effetti retroattivi in relazione agli anni precedenti - non vorrei dilungarmi sul punto - siamo in presenza di una materia, anche dal punto di vista dell'impostazione contabile, non così semplice da rappresentare.
Ciò che mi preme tuttavia sottolineare in senso positivo è che relativamente al tema della sanità si evince un significativo sforzo da parte del ministero, nell'affrontare il tema cercando di fare finalmente chiarezza, e non dichiarando invece la disponibilità di risorse lontane dalla realtà; si attesta invece la necessità del fondo sanitario per il buon funzionamento della stessa sanità nel nostro paese.
Il ministero ci sta «ascoltando» e siamo fiduciosi di poter giungere ad una soluzione: le nostre preoccupazioni non sono tanto proiettate sul 2005 quando invece per gli anni 2006 e 2007, dal momento che mantenere l'incremento del 2 per cento per questi ultimi anni è praticamente impossibile! Vorrei ribadirlo in questa sede.
Infine, vi è il tema della definizione del consuntivo per il 2004: si tratta di argomenti sui quali stiamo lavorando con il ministero.
Per quanto riguarda gli altri temi vorrei citarne rapidamente i titoli, dando la parola ai miei colleghi. Vi è una riflessione di carattere generale sul tetto del 2 per cento, perché riteniamo che questo, sia pure con qualche tipo di considerazione statistica positiva, rappresenti un limite obiettivamente difficile da «tenere», dal momento che le dinamiche della spesa sono ben superiori al 2 per cento.
Un ulteriore aspetto da ritenersi fondamentale, come forse si ricorderà, riguarda il fatto che nella passata legge finanziaria, all'articolo 3, venne previsto il «blocco» all'indebitamento volto a finanziare leggi a destinazione privata. Nel corso dell'approvazione della «manovrina» di quest'anno, tale «tetto» fu eliminato e fu invece prorogata la possibilità di compiere questi investimenti per l'intero anno 2004.
Noi chiediamo che si trovi un sistema per prorogare questo tipo di investimenti anche per l'anno 2005 e, lo dico da subito, anche per il 2006. Questo per una semplice ragione, ovvero per il fatto che molti cofinanziamenti di fondi europei che riguardano le aree dell'obiettivo 1 e dell'obiettivo 2, quindi quasi l'intero territorio nazionale, vengono compiuti attraverso l'indebitamento. Alcuni settori dei bandi di finanziamento europeo sono diretti anche ai soggetti privati. Conseguentemente, vi è il rischio che entri in difficoltà il sistema di cofinanziamento dei fondi europei.
Dal momento che ormai quasi tutte le regioni hanno raggiunto livelli di performance molto positivi, arrivando ad acquisire premi di performance, nell'utilizzo dei fondi europei - ricordatevi quando anni fa accadeva il contrario - il non poter accedere alla possibilità di indebitamento, ovviamente per le regioni che possono farlo nell'ambito dei vincoli previsti dal Patto di stabilità, per finanziare tali leggi è assai problematico.
Se il presidente consente, cederei la parola all'assessore al bilancio della regione Lombardia, Colozzi, e quindi al collega D'Ambrosio, presidente della regione Marche.

ROMANO COLOZZI, Assessore al bilancio della regione Lombardia. Tornando al tema degli investimenti, vorremmo far notare anche la nuova norma sul Patto di stabilità interno prevista all'articolo 6. Essa ci appare molto discutibile perché per le regioni, come voi sapete, già da anni era previsto un meccanismo per definire il Patto di stabilità interno, basato non sui saldi ma sulla spesa, diversamente da quanto accadeva negli enti locali.
A distanza di alcuni anni anche il ministero ha riconosciuto che quel meccanismo, adoperato fino ad oggi per le regioni, era più utile proprio rispetto all'altro, tanto è vero che in questo disegno di legge finanziaria è previsto anche per il sistema delle autonomie il «tetto» basato sulla spesa e non sui saldi.
La novità è rappresentata tuttavia dal fatto che invece di prorogare anche per quest'anno il Patto di stabilità vigente, che, vorrei far notare, è già molto severo, perché comporta una diminuzione reale della spesa corrente attorno al 3 per cento annuo, viene ulteriormente inasprito, inserendo all'interno del Patto di stabilità stesso anche le spese per investimenti e per i cofinanziamenti dei fondi europei.
A noi pare che questo sia difficilmente comprensibile, in un momento nel quale tutti stiamo sostenendo che la politica degli investimenti dovrebbe probabilmente essere potenziata nel contesto economico attuale. Molti infatti stanno discutendo circa la capacità del sistema di sopportare la cosiddetta ed innovativa, «regola Brown» del 2 per cento, che viene ritenuta troppo severa ed applicabile.
Faccio notare, però, che quella prevista per il nostro Patto di stabilità è molto più severa e ne stiamo già subendo gli effetti da tre anni. Non vorrei dilungarmi troppo in proposito, lo dico solo per far capire che, effettivamente, così come concepito ed articolato ai sensi dell'articolo 6 del disegno di legge finanziaria, questo Patto di stabilità rischia di rivelarsi dirompente.
Non dimentichiamo, peraltro, che il rispetto del Patto di stabilità, in base alle norme vigenti, è uno dei requisiti essenziali per poter accedere all'intero finanziamento del fondo sanitario. Quindi, il rispetto del Patto di stabilità, per noi, non costituisce soltanto un parametro di buon Governo, ma rappresenta un elemento strutturale per non far «saltare» soprattutto i conti delle regioni in difficoltà.
Procedendo più rapidamente, vorrei richiamare l'attenzione sull'articolo 10, in materia di rinegoziazione dei mutui: pur condividendo lo spirito della norma, nella misura in cui intende perseguire la finalità di rendere meno oneroso il debito, riducendo gli oneri a carico della finanza pubblica, riteniamo che il meccanismo previsto sia assolutamente inaccettabile.
La norma in esame, infatti, pone la totalità dei benefici derivanti dalla rinegoziazione - limitatamente, peraltro, ai mutui coperti con risorse statali -, a vantaggio dello Stato, scaricando sui bilanci regionali i costi per le operazioni finanziarie necessarie alla rinegoziazione dei mutui stessi.
Da parte nostra, se possiamo dirci disponibili a concorrere all'effettuazione di tale prevista «opera di pulizia», mostriamo alcune perplessità sui meccanismi adottati, e non riusciamo a comprendere le ragioni per cui chi si assume questo onere debba anche pagare ed essere danneggiato dall'operazione stessa. Vorrei, quindi, soffermarmi sull'articolo 22, relativo alla sanità, e del quale ha già parlato il presidente Ghigo, per svolgere due osservazioni, la prima delle quali riguarda il meccanismo previsto per gli IRCCS.
Mi riferisco alla novità - che noi riteniamo e crediamo possa essere positiva -, in base alla quale è reso obbligatorio il pareggio di bilancio anche per i suddetti Istituti, a partire dal 2005, prevedendo addirittura meccanismi di decadenza automatica del direttore generale, in caso di inadempienza. Alla luce del richiamato disposto, riteniamo, però, opportuno svolgere alcune considerazioni. Il rischio che si profila, infatti, è quello di dar luogo ad un quadro normativo forse confuso, posto che in questi anni si sono susseguiti ripetuti interventi in materia, ad opera di provvedimenti normativi incrociati. Ne ricordo soltanto uno, il più recente, adottato lo scorso anno, in virtù del quale si autorizzavano gli IRCCS ad alienare il proprio patrimonio per far fronte ai debiti pregressi.
Per evitare il rischio menzionato, riteniamo, allora, essenziale stabilire quanto prima - è una richiesta che avanziamo espressamente a queste Commissioni - esplicitamente ed una volta per tutte che, per la totalità dei debiti pregressi, contratti fino al 2004, sia lo Stato - titolare della gestione degli IRCSS, sino alla loro trasformazione in fondazioni -, a ripianare i debiti pregressi. È questa la posizione che, peraltro, stiamo già sostenendo in un confronto con il Governo a livello amministrativo. Mi sembra, però, che una definizione chiara anche dal punto di vista legislativo sia a questo punto imprescindibile, così da precisare bene i contorni di quel passaggio che è stato previsto, come tutti sanno, dal decreto attuativo sulle fondazioni in cui, appunto, gli istituti debbono essere trasformati. In assenza di questa norma, tra i rischi che possibili, correremo soprattutto quello di svuotare una riforma così tanto dibattuta, al punto di pregiudicarne l'attuazione.
Un altro profilo per noi determinante è quello di cui all'articolo 22, comma 8, laddove viene regolato il meccanismo delle anticipazioni in sanità. Ancora una volta, in via normativa, viene riconosciuta la possibilità di corrispondere alle regioni anticipazioni sul dovuto nel settore sanitario, nella misura del 95 per cento del fondo sanitario, solo in presenza e all'indomani della delibera del CIPE per la ridistribuzione del fondo. In proposito, riteniamo essenziale individuare, per via legislativa, termini perentori per la deliberazione del Comitato, decorsi inutilmente i quali, debbano scattare automatismi per l'erogazione della quota percentuale. Un meccanismo molto simile, del resto, era previsto anche per l'anno in corso, ma seppure il necessario e preliminare accordo con il Governo sulla delibera CIPE fosse intervenuto nel febbraio 2004, ancora oggi quella delibera non è stata adottata, con il risultato di impedire, in via amministrativa, l'erogazione del 95 per cento.
La conseguenza è stata quella di provocare un'emergenza di cassa che abbiamo fatto presente al ministro; il credito maturato dagli enti regionali, in questo momento, ammonta, infatti, già ad alcune decine di miliardi di euro, somma che pur non essendo messa in discussione in linea di principio, in quanto già destinata alle singole regioni, di fatto, in termini di cassa non viene erogata. Posso citare un esempio soltanto, per far comprendere la dimensione reale del problema, richiamando il caso specifico della regione Lombardia, di cui sono assessore al bilancio: i crediti vantati dalla regione nei confronti dello Stato, per un ammontare di circa 3 miliardi e mezzo di euro, hanno un costo in termini di acquisto del debito che si attesta attorno agli 89 milioni di euro. Capite come non sia molto logico, dal punto di vista del sistema della finanza pubblica integrato, spostare l'acquisto del debito in capo ad enti tenuti a sopportare un costo di acquisto superiore a quello dello Stato. Se per quest'ultimo, infatti, il costo si attesta al di sotto dell'1 per cento, per la regione il valore sale, collocandosi tra il 4 ed il 5 per cento.
Da ultimo, abbiamo notato come, ancora una volta - era già accaduto lo scorso anno - , la finanziaria dimentichi di prorogare i meccanismi di copertura della legge n. 59, e del decreto n. 112 e seguenti: mi riferisco alla legge Bassanini ed ai decreti attuativi che, come voi sapete, hanno previsto trasferimenti funzionali dallo Stato alle regioni, la cui copertura finanziaria è garantita da misure contenute in appositi decreti, mentre dal 31 dicembre 2004 è previsto il passaggio di questa partita nel meccanismo di federalismo fiscale, di cui al decreto legislativo n. 56 del 2000.
Per le note vicende, però, il decreto suddetto ha avuto sinora una vita piuttosto stentata: sotto queste condizioni, pertanto, in mancanza dell'inserimento di una esplicita norma di proroga al 31 dicembre 2005, per l'anno prossimo verrebbe a mancare la copertura finanziaria di tutte le funzioni trasferite al sistema delle autonomie.

VITO D'AMBROSIO, Presidente della regione Marche. Signor presidente, vorrei svolgere due osservazioni generali ed una molto specifica. In primo luogo, mi sembra opportuno rilevare come il presunto aumento del 2 per cento previsto verrà, secondo unanimi stime, totalmente compromesso dalle previsioni sull'aumento del tasso di inflazione. Quindi, nella migliore delle ipotesi, si verificherà semplicemente un'invarianza dei dati.
Vorremmo poi sapere - i dati sono quelli ricavati dall'audizione del ministro Siniscalco - come e dove siano distribuiti i circa sette miliardi e mezzo di euro che si prevede di risparmiare come minori spese per trasferimenti ad altri enti (quindi al di fuori dei ministeri). Apprezzeremmo, pertanto, chiarimenti in proposito, poiché l'entità della «tosatura» che si prevede di effettuare pare profilare il rischio che ci siano strappate grosse fette di programmazione. Credo sarebbe un nostro diritto sapere dove, come, e con quale tipo di prospettive siano distribuite tali risorse.
Vorrei portare, ora, alla vostra attenzione un punto specifico, diventato un leit motiv dei miei incontri con il Governo. Si verifica questa vicenda, come tutti loro sanno, dal 2002 le regioni hanno potuto porre mano alla leva fiscale con ulteriori addizionali IRAP e IRPF per far fronte al deficit della sanità. Lo hanno fatto dal 2002 ad oggi sette regioni; di questi introiti che sono stati tutti tranquillamente incassati nella cassa del Ministero dell'economia, nemmeno 1 euro è stato restituito alle regioni. Stiamo parlando di una cifra molto più vicina ai 3 miliardi che ai 2 miliardi e di euro; posso affermare che nel bilancio della mia regione sono 150 milioni per il 2002, altrettanti per il 2003 e un pochino di più per il 2004.
Di fronte alla richiesta, credo ragionevole, delle regioni di avere questi soldi, c'è stato un riconoscimento esplicito, ma fuori verbale, nell'incontro sul DPEF da parte del Vicepresidente del Consiglio e nell'ultima riunione con il Governo, il ministro Siniscalco ha dato, specificatamente a me, l'assicurazione che comunque questa finanziaria gradualmente avrebbe previsto questa somma; però, la somma non c'è, non è prevista, è prevista solo per il 2005 e non abbiamo nessun tipo di assicurazione.
Faccio presente che questi sono nostri introiti per avere i quali o per far fronte alle necessità abbiamo dovuto far ricorso ad anticipazione di cassa; infatti, la mia regione lo ha dovuto fare, pur vantando un credito di 700 milioni di euro, e tutto ciò, ovviamente, costa e non poco. Questo è un altro punto su cui abbiamo la necessità che almeno la risposta del Governo sia concretizzata, altrimenti ci troveremmo veramente in grandissima difficoltà.
Le regioni che vantano questi crediti sono: Piemonte, Lombardia, Veneto, Marche, Umbria, Lazio e Puglia; quindi, nord, centro e sud, governate da giunte sia di centro destra sia di centrosinistra.
Su altri aspetti specifici interverrà, se il presidente consente, l'assessore Palese della regione Puglia e, poi, l'assessore Bissoni dell'Emilia Romagna sul tema della sanità.

ROCCO PALESE, Assessore alla sanità della regione Puglia. Signor presidente, vorrei fare una considerazione di carattere generale affermando che è apprezzabile che il Parlamento abbia deciso di stralciare le norme della finanziaria che riguardano aspetti che nulla hanno a che vedere con finanziaria, come sarebbe altrettanto auspicabile se in un ambito generale di riordino di tutta la materia della finanza pubblica si arrivasse, un giorno, alla non emendabilità del provvedimento.
Fatta questa premessa, non aggiungo considerazioni su ciò che già è stato espresso sia dal presidente Ghigo sia gli altri colleghi che mi hanno preceduto. Ritengo che sia positivo che la proposta del Governo, rispetto all'integrazione del Fondo sanitario nazionale, abbia come presupposto quello di integrare il 2 per cento di quella che è la spesa realmente consuntivata nel 2004, anche se non è sufficiente questo sforzo, va aggiornato su quelle che sono le partite ancora aperte riguardanti l'integrazione dei contratti.
Una sollecitazione, però, emerge; infatti, dai dati delle proiezioni che riguardano gli eventuali disavanzi sulla sanità del 2004, appare, ancora una volta, che oltre il 50 per cento dell'intero disavanzo riguarda la spesa farmaceutica ed è riferito solo a sei regioni.
L'altro elemento riguarda il patto di stabilità interno (articolo 6); infatti, già l'assessore della regione Lombardia Colozzi esprimeva elementi di criticità su questo; quindi penso che bisogna fare molta attenzione sull'articolo 6 perché nel nostro paese, dato non esistono più i controlli sugli atti amministrativi, i due punti fermi sono: il patto di stabilità e quello che prevede il titolo V della Costituzione rispetto al divieto di indebitamento per spese diverse da quelle per investimento; quindi, il patto di stabilità proposto, bisogna cercare di renderlo applicabile.
Esistono una serie di norme differenziate - al contrario di tutti gli altri Stati europei - con un patto di stabilità interno plurimo rispetto ai parametri; infatti, i comuni hanno due-tre diverse tipologie, le province ne fanno un'altra e le regioni un'altra ancora; quindi, bisogna cercare quanto meno di omogeneizzare il dato di applicabilità e di controllo, perché al contrario anche questo ultimo tassello rispetto ai controlli viene meno.
In riferimento al problema delle aree sottoutilizzate ritengo che sia auspicabile che nel passaggio dal sistema contributivo al sistema dei finanziamenti ci possa essere una fase transitoria.
Concludo evidenziando il problema delle politiche sociali perché rispetto all'anno scorso c'è una sottrazione di circa 500 milioni di euro sul Fondo delle politiche sociali; quindi penso che sarebbe necessaria un'integrazione.

GIOVANNI BISSONI, Assessore alla sanità della regione Emilia-Romagna. Tratterò il problema della sanità seguendo l'impostazione e il ragionamento introdotto dal presidente Ghigo, approfondendo meglio, però, alcuni aspetti e alcune cifre.
La valutazione comune delle regioni è che ipotizzare un andamento della spesa sanitaria con una crescita del 2 per cento all'anno è un obiettivo inabbordabile che non si prefigge nessun servizio sanitario né di questo paese né di altri paesi europei.
Peraltro in una situazione in cui - cosa, ovviamente, nota anche alla Commissione - la spesa sanitaria nazionale non è una di quelle che desta maggiore preoccupazione nel panorama europeo; infatti, resta comunque una spesa sanitaria tra le più basse in Europa.
Il 2 per cento è ritenuto una scommessa impossibile per le regioni, ma nonostante ciò abbiamo, però, accolto l'invito a farci carico delle difficoltà complessive e a ragionare almeno per il 2005 nell'ambito di questa impostazione, a condizione, però, che il calcolo della spesa del 2004 - siamo peraltro ancora in corso di esercizio - sia un'individuazione corretta.
Le regioni hanno individuato in 88 miliardi 340 milioni la base di calcolo su cui applicare il 2 per cento e questo è un impegno su cui le regioni sono disponibili a misurarsi; mentre
non siamo in grado di accettare la scommessa sul 2006-2007, perché sarebbe facile accettarla oggi, ma anche registrare che sarebbe impossibile rimanere poi dentro quella impostazione.
Questa cifra, però, si deve collegare ad alcune altre valutazioni che sono strettamente connesse, altrimenti sarebbe una scommessa persa in partenza anche per il 2005: la prima è quella che i flussi di cassa siano corretti; infatti, è già stato richiamato dal collega Colozzi, come di fatto ancora oggi rispetto al 2004 riceviamo, in trasferimenti mensili, le quote riferite all'accordo Giarda dell'anno 2000, neppure all'accordo Vegas del 2001 e questo di fatto rischia di vanificare l'intesa sulla cifra.
Il secondo elemento è il seguente. Una volta stimati correttamente la base di calcolo per il 2004 e il 2 per cento per il 2005, è necessario che l'anno in corso, il 2004, copra correttamente tutti gli oneri contrattuali riferiti agli arretrati e ai contratti in corso di rinnovo, cioè quelli della dirigenza e della convenzionata. Mettendo gli oneri contrattuali arretrati di competenza 2004 sull'esercizio in corso, assistiamo uno sfondamento record del fondo sanitario. Le valutazioni delle regioni sostanzialmente sono coincidenti con quelle contenute nella relazione tecnica, predisposta dal Governo, che accompagna il disegno di legge finanziaria. Emerge un fabbisogno per il 2004 calcolato intorno ai 91 miliardi, vale a dire 10 miliardi in più del fondo sanitario. All'interno di questa cifra, ovviamente, c'è una quota che le regioni assumono nell'ambito della propria responsabilità e competenza ma è impensabile che noi possiamo accettare per il 2005 una scommessa costituita da una cifra pari a quanto speso, aumentata del 2 per cento, con un disavanzo record di questo tipo. Nel mese di luglio, quando saranno disponibili i consuntivi delle aziende sanitarie, si verificherà il primo tracollo dell'intesa raggiunta. Nessuna azienda sanitaria, nessuna regione sarebbe in grado di sobbarcarsi disavanzi di questa natura. Per questo motivo, riteniamo che l'impegno a noi richiesto dal Governo, nell'ambito di un'intesa complessiva relativa al 2005, possa tradursi in realtà se risolve il problema di cassa e se affronta il tema del 2004.
Inoltre, vorrei sottolineare un elemento di novità che sarebbe significativo e, cioè, che le regioni non pongono più un problema di arretrati, come accadde in occasione degli accordi del 2000 e del 2001. Nessuna regione pone il problema degli arretrati degli anni 2001, 2002 e 2003 perché il sistema sta andando, gradualmente, per così dire, verso una situazione di assunzione di responsabilità. Perciò, ad oggi, le regioni non pongono un problema di arretrati ma il problema dell'anno in corso. Infatti, se si vuole far partire, con qualche credibilità, l'anno 2005, bisogna affrontare il tema dell'enorme impatto che deriverà dal rinnovo contrattuale.
Un discorso a parte - già svolto, in precedenza - riguarda gli IRCCS, i policlinici e le aziende miste. Non è un tema che riguardi soltanto le regioni ma è un problema complessivo perché, attualmente, queste strutture non rientrano nella responsabilità delle regioni. Vorrei ricordare che in tutti gli IRCCS ci sono gestioni commissariali, con commissari nominati dal Governo. Le regioni si fanno carico del finanziamento ordinario, sulla base delle attività assistenziali che svolgono, ma non possono farsi carico dei disavanzi fino a che la piena responsabilità di quegli istituti non sia ricondotta ad esse. Perciò, con l'unica eccezione di questi istituti, non c'è un ragionamento da parte delle regioni relativamente ai disavanzi pregressi ma la richiesta di un adeguamento del fondo in corso. Naturalmente, ci rendiamo conto della enormità delle cifre riguardanti il 2004. C'è la disponibilità, da parte delle regioni, al raggiungimento di una intesa, in base alla quale, come ripeto, non tutto l'onere graverà sulle casse dello Stato, che preveda modalità di copertura, anche poliennali e diluite negli anni, che potranno essere studiate. Certamente, però, se non affrontiamo quel tema, le regioni non sono in grado di accettare la scommessa del 2 per cento, per il 2005.
Infine, vorrei richiamare un aspetto sul quale stiamo ragionando, insieme al Ministero, cioè la possibilità di concludere intese bilaterali tra il Governo e singole regioni nelle quali esistono alcuni problemi strutturali, oggettivamente di più difficile soluzione rispetto a quelli di altre regioni. Questi problemi, infatti, pongono la necessità di concludere anche particolari accordi bilaterali idonei per affrontare un processo di risanamento finanziario e di qualificazione dei servizi in determinate realtà.
Quindi i temi del 2004, della correttezza della individuazione del fondo 2005 e delle garanzie di cassa, rappresentano, complessivamente, gli aspetti possibili di una intesa, la quale però, deve prevederli tutti, altrimenti le regioni non riescono ad accettarla. Peraltro, vorrei ricordare che quella intesa contiene in sé alcuni automatismi molto più forti rispetto al passato per quanto riguarda il monitoraggio della spesa, gli interventi di controllo sulle aziende, gli interventi in corso d'anno a correzione dell'eventuale andamento negativo e gli impegni delle regioni a farsi carico di eventuali «sforamenti», fino a veri e propri automatismi e commissariamenti. Accettare una scommessa così forte richiede senso di responsabilità ma ci devono essere, perlomeno, le condizioni che la rendano credibile. Altrimenti, la legge finanziaria riporterà quanto Governo e Parlamento stabiliranno, ma le regioni non saranno nelle condizioni di assumere autonomamente impegni e di partecipare a questa intesa.

PRESIDENTE. Prima di passare alle domande da parte dei componenti di queste Commissioni, desidero un chiarimento.
Le regioni hanno definito un livello, nell'ipotesi che delle code contrattuali si faccia carico lo Stato, sostanzialmente, in 88,2 miliardi e hanno definito anche un aumento del 2 per cento sul 2005. Esse ritengono di potere affrontare il 2005 e, per il 2006 e 2007, la previsione del Governo, fin d'ora, è sostanzialmente ottimistica. Se ne può trarre la conclusione che, per quanto riguarda il 2005, le regioni potranno non ricorrere a quella facoltà, nuovamente concessa loro quest'anno, di applicare addizionali e compartecipazioni? Non è necessario rispondere immediatamente, ma credo che il tema possa essere interessante.
Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire.

ANTONIO BOCCIA. Ogni qualvolta incontriamo i rappresentanti della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome provo un po' di nostalgia. Tuttavia, noto che gran parte dei problemi sono ancora sul tappeto e dovremo compiere uno sforzo per risolverli.
Volevo approfondire una questione perché, questa mattina, il ministro Siniscalco ci ha fornito alcuni dati e alcune informazioni relativamente all'applicazione del 2 per cento e alle conseguenze, al riverbero che ci sarà nel bilancio dello Stato e nei rapporti tra bilancio dello Stato resto del mondo. Abbiamo avuto una conferma relativamente a questi 7 miliardi e mezzo di euro il cui onere graverà su regioni, province e comuni e altri enti non meglio specificati. Ho ascoltato la domanda da parte dei rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome volta a capire che cosa noi sappiamo. A mia volta, io ho preparato una domanda per capire che cosa le regioni sappiano. Scopriamo insieme che si tratta di un oggetto misterioso. Da qualche giorno, siamo alle prese con oggetti misteriosi, ma questo è un oggetto misterioso abbastanza pesante. Mi pare che la questione sia prevalentemente questa. Infatti, è vero che nei 1.930 milioni di euro di riduzione del bilancio dello Stato ci possono essere riverberi che indirettamente, per qualche verso, possono ancora interessare le regioni. Infatti, sono previsti forti contenimenti in agricoltura, nelle infrastrutture, nei trasporti e - questo è più preoccupante - nel lavoro e nelle politiche sociali. Sappiamo che nel bilancio dello Stato sono previsti contenimenti di spesa. Anzi, il ministro afferma che sarà autorizzata una spesa in più ma, dal momento che questo aumento di spesa oltrepassa il 2 per cento, in questi settori ci sarà una revisione del bilancio dello Stato. Invece, riguardo ai 7 miliardi e mezzo non abbiamo alcuna informativa.
Vorrei sapere se, nell'incontro tenutosi in sede di Conferenza Stato-regioni con il Governo, voi non avete avuto alcuna informazione in ordine a questo ammontare di 7,5 miliardi? Infatti, al di là di ogni ragionamento che ho ascoltato, in particolare quello del presidente Ghigo, la cui meticolosa precisione mi ricorda quella con la quale affrontava questi argomenti il collega Brizio, quando ero presidente della Conferenza, questi sono sì temi importanti, ma penso anche che la «partita» più grande si giochi con riferimento ai guai che devono arrivare, non tanto con quelli che già conoscete.
Ritorno allora alla questione posta dal presidente, che rappresentava la mia seconda domanda: il 2 per cento su 88 miliardi può «reggere», se nei 7 miliardi e mezzo non si vanno ulteriormente a ridurre le disponibilità del sistema regionale.
Invece, se andiamo ad incidere con quei 7,5 miliardi, ho l'impressione che non rimarranno nemmeno nell'incremento del tetto del 2 per cento.
È un gioco al massacro, perché è bene che sappiano che quest'anno noi abbiamo 3 miliardi e rotti di eccedenza - dovremo spiegare cosa significa - ; abbiamo un «fuori bilancio» di più di 3 miliardi di euro che, con una «spugna», che adesso si mette in campo, si sana!
Non so se tale impostazione non trasferisca eccedenze ulteriori rispetto a quelle che con il Fondo sanitario oggi, e con il Fondo trasporti ieri, dovevamo registrare, per non trasferire l'eccedenza anche sui bilanci delle regioni. Anche perché, ed è l'ultima cosa che vorrei dire, abbiamo avuto stamattina un'informazione secondo cui, ai fini dei bilanci che normalmente le regioni approvano entro il 31 dicembre, siamo in presenza di un bilancio virtuale, nel quale vi sono poste per capitoli virtuali.
Nel corso dell'esame parlamentare, con emendamenti presentati dal Governo ed «altro», quindi l'emendabilità è una prerogativa alla quale tiene più il Governo che il Parlamento, trasformeremo questo bilancio virtuale in uno reale. E badate bene, però: quando lo approveremo, non diventerà, e nemmeno con l'approvazione della legge finanziaria, un bilancio reale!
Infatti, come giustamente dice il ministro, soltanto con la Nota di variazione, approvata, come sapete, dopo che è stata approvata la legge finanziaria, sarà possibile scrivere i reali capitoli di bilancio. Conosceremo probabilmente al Senato, verso il 10-15 di dicembre, nella Nota di variazione che sarà presentata in quella data dal Governo a seguito dell'approvazione in seconda lettura del disegno di legge finanziaria, quali sono le somme precise delle diverse unità previsionali di base e dei capitoli di bilancio. Per questa ragione, vi trasmetto questa ulteriore preoccupazione; noi faremo il possibile per fare chiarezza e trasparenza, ma seguite anche voi questa evoluzione, perché altrimenti farete anche voi ipotesi di bilancio rituali e fittizie, in attesa di avere dati precisi in ordine a questi sette miliardi e mezzo di euro, che piomberanno in testa al sistema delle autonomie.

MICHELE VENTURA. Vorrei fare una domanda, tenendo conto dei tempi ristretti a mia disposizione. Non ho compreso, ed invece occorrerebbe farlo, per quale ragione il presidente Ghigo abbia dato un quadro di carattere generale. Non ho poi assolutamente compreso l'assessore regionale della Puglia quando ha detto che la manovra finanziaria dovrebbe essere inemendabile, perché è al servizio..

ROCCO PALESE, Assessore al bilancio della regione Puglia. Non questa!

MICHELE VENTURA. Non questa: e cosa allora?

ROCCO PALESE, Assessore al bilancio della regione Puglia. La manovra finanziaria futura.

MICHELE VENTURA. L'ipotetica manovra finanziaria futura...

ROCCO PALESE, Assessore al bilancio della regione Puglia. Non ho detto che questa manovra debba essere inemendabile; ho detto soltanto che l'unica riforma della quale il Paese necessita - se fossimo corretti con la nostra coscienza dovremmo essere consapevoli di questo: io ho il coraggio di dirlo, anche se sarò probabilmente uno sprovveduto - è l'inemendabilità della legge finanziaria, dopo aver fatto un contestuale riordino. Certamente non questa!
La riprova è in quanto avviene ogni anno, quando il Parlamento è «bloccato» per quattro o cinque mesi, dove succede di tutto, così come accade anche nelle regioni, quando si approvano i bilanci.

MICHELE VENTURA. Non volevo suscitare una tale reazione: mi chiedevo soltanto per quale ragione si fosse scomodato, venendo sin qui a discutere.
Vorrei concentrarmi sulla questione relativa alla sanità: questo è un profilo sul quale, se ho ben capito, 81 miliardi di euro diventano 88,2, e, con i rinnovi contrattuali per il 2004, si dovrebbe chiudere con 91 miliardi. Il ministro Siniscalco, ed il Governo in generale, ci hanno sempre risposto che sanità, previdenza ed altro erano fuori dal calcolo «stretto» del tetto del 2 per cento.

VITO D'AMBROSIO, Presidente della regione Marche. Questa è una cosa che sentiamo per la prima volta! A noi ha detto il contrario: la sanità è dentro rigorosamente, mentre la previdenza ed i contratti stanno fuori.

MICHELE VENTURA. Allora vuol dire che noi ogni tanto abbiamo informazioni che mutano di volta in volta, anche perché, presidente D'Ambrosio, in quel 2 per cento vi è da calcolare il «taglio», perché non è sul dato preventivo fatto lo scorso anno.
L'operazione dei 7,5 miliardi di euro va calcolata alla luce degli effetti del «tagliaspese» - decreto-legge n.168 convertito in legge nell'estate scorsa - che abbassa ulteriormente tale dato, perché il calcolo viene fatto a partire da quella base.
Ora, indipendentemente se la questione del tetto del 2 per cento sia dentro o fuori del bilancio è ciò che vorrei sapere, per comprendere - e queste audizioni servono anche per vedere come la Commissione debba orientarsi - cosa occorra fare.
Vorrei capire se la questione che riguarda i rinnovi contrattuali possa essere in qualche maniera considerata nuovamente recuperata, ed in una qualche forma, anche perché credo vi sia un problema di liquidità immediata da parte del Governo; anche per trovare una soluzione in qualche modo di mediazione, che consenta di venire incontro alle esigenze delle regioni. Qui infatti non si affronta chiaramente un tema, del quale tutti abbiamo notizia, che è quello secondo cui alcune regioni presentano bilanci, sul piano sanitario, ormai fuori controllo. È questione che riguarda un rapporto probabilmente di altro tipo. Ero interessato soprattutto a comprendere su tale questione che cosa le regioni pensassero, in modo da poter suggerire qualcosa per svolgere un ruolo costruttivo.
Per il resto, sono d'accordo con l'onorevole Boccia: fino a quando non avremo la documentazione sulle unità previsionali di base, nessuno è in grado di dire dove saranno effettuati i veri tagli, anche in relazione al «tetto» del 2 per cento.

GIANCARLO PAGLIARINI. Lo dico tutti gli anni e dunque lo ripeto anche in questa sede, condividendo quanto osservato dall'assessore al bilancio della regione Puglia, dottor Palese: la legge finanziaria dovrebbe essere inemendabile. Qualora, pertanto, il contenuto del disegno di legge non fosse accolto dal Parlamento, il Governo dovrebbe prendere atto delle mutate condizioni e «tornarsene a casa», passando le consegne ad uno nuovo.
Vorrei ora soffermarmi su un altro aspetto, di particolare rilievo. Se l'articolo 119 della Costituzione fosse recepito, forse, i problemi, che pure esisterebbero, registrerebbe una sensibile diminuzione. Ci è stato ricordato, in questa sede, che la Conferenza unificata Stato-regioni, deve fornire all'Alta Commissione di studio per il federalismo fiscale le linee guida sui meccanismi strutturali del federalismo fiscale stesso. In mancanza delle linee guida - ci è stato detto - quella Commissione non può fare alcunché. A me risulta, che voi, un anno e sei mesi fa, abbiate già fornito quelle linee, esattamente in data 18 giugno 2003: vorrei che mi sia ora data conferma di ciò, unendo, se possibile, anche un commento e il vostro punto di vista - a me sempre particolarmente a cuore - sui motivi del ritardo.

PRESIDENTE. Non essendovi altri interventi, do la parola ai nostri ospiti per la replica.

VITO D'AMBROSIO, Presidente della regione Marche. Signor presidente, ritengo opportuno che sul tema specifico della sanità sia il dottor Bissoni a riprendere la parola, a meno che, invece, per ragioni di collegamento e vicinanza geografica, non voglia essere l'assessore Rossi a rispondere all'ex assessore Ventura. Per quanto riguarda, invece, la questione sollevata dall'onorevole Boccia, potrei anticipare alcune risposte, demandando al collega Colozzi fornire i chiarimenti richiesti dall'onorevole Pagliarini.
Vede, onorevole Boccia, il problema sostanziale è non sapere con certezza quanto si verificherà ed è questo che ci irrita maggiormente. Se la riduzione di risorse, pari a sette miliardi e mezzo di euro, fosse accompagnata dall'indicazione pianificata degli interventi, individuando esplicitamente i settori interessati (trasporti, sanità - settore in cui si probabilmente le misure ammonteranno a 2 miliardi, mentre circa 500 milioni di euro riguarderanno i servizi sociali, somma prevista originariamente per il fondo per gli anziani non autosufficienti), potremmo arrabbiarci molto, ma avremmo almeno la possibilità di disporre di un quadro chiaro. Potremmo così, in ragione delle nostre esigenze di bilancio, di fronte ad una cifra invariata proporre una diversa distribuzione dei pesi, in base alle diverse priorità regionali. Ma questa possibilità non ci è stata concessa. La regola di cui si è finora discusso è infatti troppo fumosa, non ci riconosce la possibilità di individuare con precisione quali siano esattamente gli ambiti di applicazione, ma soprattutto, ciò che ci sembra molto preoccupante, lascia aperta la strada a qualunque tipo di soluzione.
Per cui si arriverà non ad una inemendabilità della legge finanziaria, ma ad un risultato ancora peggiore, cioè ad una legge finanziaria «virtuale».
In secondo luogo, vorrei richiamare la vostra attenzione su un ulteriore questione. Formalmente, stiamo discutendo di manovra finanziaria e, quindi, altrettanto formalmente le discussioni svolte in questa sede non dovrebbero interessare la «manovrina» di luglio, di cui al decreto n. 168.
La verità, invece, è che la manovrina di luglio ha già pesantemente messo in ginocchio le regioni, diminuendo in modo consistente la nostra capacità di manovrare risorse. Il risultato di tutto ciò appare evidente. Imporre a settembre una riduzione significativa delle spese, significherà per le regioni dovere addirittura chiedere indietro fondi a soggetti a cui siano già stati assegnati, non impegnati, si badi bene, ma «assegnati».
Queste sono le difficoltà di fronte alle quali ci troviamo. Alla luce dei problemi appena evidenziati, vorrei dare una prima ipotesi di risposta alla domanda cardine posta dal presidente Giorgetti, quando esprimendo perplessità, si chiedeva se, a fronte della riduzione di risorse, per far fronte alle esigenze di spesa fossimo costretti ad usare un'altra volta la leva fiscale. La risposta è: presidente, dobbiamo cercare di fornire risposta alle richieste dei nostri cittadini erogando loro i servizi necessari, in base a quanto rientra nelle nostre competenze, peraltro di molto cresciute. Il meccanismo previsto dal disegno di legge finanziaria porta inesorabilmente ad una soluzione di questo tipo. Le porto un esempio immediato. In questo momento è in corso una pesante vertenza, aperta con i sindacati dei pensionati, proprio sulla questione degli anziani non autosufficienti, per risolvere la quale avevo, direi ragionevolmente, avanzato previsioni anche sulla quota che avrebbe dovuto venire alla mia regione, finanziando il fondo appositamente istituito. Ma se questo fondo viene cancellato completamente, delle due l'una: o agli anziani non autosufficienti della mia regione verrà concesso nulla o poco più di nulla, oppure, per poter concedere loro qualcosa, si dovrà intervenire con altri strumenti.
Non si può pensare che i sette miliardi e mezzo vengano sottratti - sia pure intervenendo non su assegnazioni concrete, ma prospettive di spesa - senza che si verifichino contraccolpi terribili altrove. A nessuno piace utilizzare la leva fiscale, ma ancora meno piace dire no alle richieste dei cittadini che si attendono da noi una risposta alle loro esigenze concrete.

ROMANO COLOZZI, Assessore al bilancio della regione Lombardia. Riguardo alla questione posta dall'onorevole Boccia, sarebbe utile tenere presente un punto fondamentale: ovvero, il meccanismo che lo Stato si trova ad alimentare quest'anno, per la prima volta, è quello che noi stiamo usando da anni. Si tratta, pertanto, di un sistema già molto collaudato, anzi, come ho cercato di evidenziare poco fa, per quanto ci riguarda, il nostro vincolo stava non nella regola aurea ma nel patto di stabilità interno. La sostanza, in ogni caso, era identica. Quanto alle percentuali di incremento, si prevedeva la possibilità di accrescere i livelli di spesa, prendendo a riferimento quella dell'anno precedente ed aumentandola - in base alle norme che voi avete approvato con le ultime finanziarie - un anno dell'1, 7 per cento e l'altro addirittura dell'1, 6. Cogliendo occasione per fare giustizia, anche riguardo a molte affermazioni che ho sentito fare in questo periodo, vorrei chiarire un punto essenziale: non è vero che esistono buchi sconosciuti o bilanci fuori controllo nella finanza regionale. I nostri bilanci, anche come tecnica di tenuta della contabilità, sono tali per cui il Parlamento è in grado di conoscere esattamente la nostra condizione .
Dico le cose semplicemente come stanno. Chiunque voglia uscire dal Patto di stabilità, traendone tutte le conseguenze, lo faccia, però ...

ANTONIO BOCCIA. Eppure esiste ancora qualcuno che non redige il rendiconto della spesa sanitaria...

ROMANO COLOZZI, Assessore al bilancio della regione Lombardia. Se il problema riguarda il mancato rispetto - da parte di alcuni - delle leggi del paese, allora, dovrebbe essere posto in diversa sede, esistendo altri strumenti per intervenire. In generale, è ovviamente possibile che non tutte le dichiarazioni contabili siano attendibili, come appunto accade nel caso del falso in bilancio. Tuttavia, non possiamo neppure garantire con legge che non si dichiarino falsità nelle scritture contabili. Vorrei osservare solo che, applicando le leggi vigenti in questo paese, le regioni hanno l'obbligo del pareggio di bilancio. Per risparmiare, ritengono opportuno non accendere mutui per investimenti finché la cassa lo consente (nella situazione attuale, però, come abbiamo documentato, è sempre più raro). In ogni caso, la voce di «disavanzo» - lungi dall'esserne priva - è dotata di apposita copertura che il bilancio prevede, e che non è stata attivata solo per risparmiare spesa corrente.
Riassumendo, abbiamo già sperimentato la tecnica di cui si discute. Quanto, poi, alle vostre osservazioni, le condivido, sono giustissime. Finché non verranno forniti chiarimenti sulle riduzioni di spesa e le voci interessate, con l'indicazione delle unità previsionali di base, non potremo valutare compiutamente le misure previste con la manovra per il 2005. Diversamente - a meno che non si voglia applicarlo in modo eccessivamente schematico e algebrico, spalmandolo sulle singole voci di spesa - non potremo comprendere quali siano gli effetti concreti del tetto del 2 per cento. Per quanto ci riguarda, in questi ultimi anni abbiamo tenuto il tetto fissato, in ragione di precisi obblighi stabiliti in via normativa: fermo restando questo vincolo, si è comunque ritenuto opportuno intervenire, decurtando alcune spese del 60 per cento, incrementandone altre del 2. La valutazione finale sul provvedimento dipenderà da quale tecnica Parlamento e Governo intenderanno usare.
Per quel che riguarda l'impatto, mi sembra abbia già risposto il presidente D'Ambrosio. Tuttavia, i sette miliardi non rappresentano, a mio avviso, un'incognita indeterminabile: per risolvere il dilemma, occorrerà piuttosto considerare le risorse trasferite al sistema delle autonomie e alle regioni, individuare il tendenziale e calcolare il «delta» tra questo tendenziale ed il consuntivo 2004, maggiorato del 2 per cento. Quindi, vedrete che arriveremo esattamente grosso modo ai 7 miliardi e mezzo di euro equamente ripartiti fra province, comuni, comunità montane e regioni. Per le regioni probabilmente di questa quota il 60 per cento è sulla sanità ed è il delta tra ciò che ci viene erogato e il tendenziale 2005; quindi, non so se sono stato chiaro, ma credo che il meccanismo è sostanzialmente questo.
In relazione al quesito posto dall'onorevole Pagliarini, ritengo che il meccanismo previsto dalla finanziaria di tre anni fa, quella che ha istituito la Conferenza unificata Stato-regioni, assegnava a questo organismo l'approvazione delle linee di indirizzo; infatti, circa un anno e mezzo fa abbiamo approvato come regioni e sistema delle autonomie un documento congiunto, chiedendo che fosse messo immediatamente all'ordine del giorno della Conferenza unificata, ma non è mai stato messo neppure all'ordine del giorno e i motivi sono evidenti; perché nel momento in cui fosse stato discusso e approvato l'Alta Commissione aveva dai 30 ai 60 giorni di tempo per dare le linee di indirizzo e attivare l'articolo 119 della Costituzione; quindi, mi sembra evidente che non si è voluto attivarlo.
Le valutazioni politiche, questa forse non è la sede giusta per farle, ma i fatti sono andati in questa direzione; quindi, se il Governo fosse pronto a discuterlo - il ministro La Loggia ha in mano il documento - può metterlo all'ordine del giorno in modo che inizi l'interlocuzione.
Ripeto, questo è un tema molto delicato perché ci troviamo in questa strana situazione in cui l'articolo 119 della Costituzione non è attuato e, non è neanche in via di attuazione, il precedente meccanismo dei trasferimenti è stato abolito con la legge n. 133 e con il decreto n. 56 del 2000, quest'ultimo è semi bloccato perché è stato attuato con unico decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che, però, è stato impugnato presso il TAR che poi, in via incidentale, l'ha segnalato per eventuali vizi di incostituzionalità alla Corte costituzionale; però, nello stesso tempo i meccanismi previsti dal decreto n. 56 del 2000 sono tali che non si può dire, come a volte si sente anche nei dibattiti giornalistici, «sterilizzare» perché bisogna fare una norma sostanziale da cui dipendono i finanziamenti delle regioni; infatti non essendoci più i precedenti, non si può rimanere senza nessuna norma perché mancherebbe il meccanismo sostanziale per garantire le risorse al sistema delle autonomie.
Riguardo alla leva fiscale, noi abbiamo visto molto positivamente l'accoglimento del nostro emendamento - presentato per tre anni di seguito - tendente ad abolire questo blocco, non perché siamo desiderosi di attivare la leva fiscale - infatti, le regioni che l'hanno attivata quando avranno la possibilità, ovviamente, la toglieranno - ma perché, il solo fatto di aver bloccato questa possibilità prevista dalle leggi precedenti ha portato ad un aumento del costo del debito; quindi, soprattutto in una situazione come quella attuale, in cui le operazioni che vanno nella direzione di alzare il rating - perché come voi ben sapete le regioni sono tutte valutate dalle agenzie di rating - per noi è positivo perché porterà ad un suo abbassamento.
Comunque è chiaro che l'utilizzazione o meno della leva fiscale dipenderà molto dalle politiche che i singoli presidenti di regione riterranno di fare sui propri territori.

GIOVANNI BISSONI, Assessore alla sanità della regione Emilia-Romagna. Intanto vorrei che fosse chiaro che noi non parliamo di un fondo per il 2005 di 88 miliardi come prevede la finanziaria, ma parliamo di 88 miliardi come base di calcolo su cui applicare il 2 per cento; quindi la proposta delle regioni ammonta a 90 miliardi e 106 milioni di euro.
Il Governo si è dichiarato disponibile a ragionare di una copertura più elevata di 88 miliardi, ma si tratta di capire come, però il confronto è aperto; quindi, la nostra scommessa sul 2005 parte, non da 88 miliardi, ma da 90 miliardi e 106 milioni di euro.

Questa somma basterà ad evitare tasse in sede locale? Questo non è completamente escluso perché se ragioniamo di un fondo da 90 miliardi, quindi il 2 per cento in più, significa che anche rispetto alla regione migliore, nell'anno migliore, la sanità scommette su un contenimento della spesa pari a circa il 50 per cento dell'incremento che noi annualmente registriamo.
È evidente, quindi, che c'è un grande lavoro da fare e non tutto è possibile, probabilmente, in termini di efficienza; quindi la leva fiscale locale, come eventuali altre manovre, non è assolutamente esclusa per fare tornare i conti della sanità; infatti, l'intesa ha, al suo interno, ipotesi di sblocco della leva fiscale e anche, al limite, automatismi qualora la regione non intervenga per coprire un disavanzo che, comunque, è impossibile, in questo momento, escludere; infatti, il 2 per cento è una scommessa che nessuno in questo paese, ma non solo in questo paese, è riuscito a vincere in campo sanitario.
Sempre facendo riferimento alla relazione tecnica allegata alla finanziaria, se prendiamo le cifre che ci sono scritte, con 2 miliardi di contenimento arrivano direttamente dalle previsioni della sanità. Le regioni hanno chiesto, quindi, che quella scommessa debba essere accompagnata dagli altri impegni che ho richiamato, senza i quali, è evidente che costruiremmo un sistema sanitario che non per recuperare inefficienze o un qualche briciola, ma come struttura avrebbe al suo interno una doppia modalità di finanziamento: fondo sanitario nazionale e una leva fiscale regionale che diventa elemento strutturale di finanziamento della sanità; quindi, questo è il rischio che stiamo correndo.
Viste le difficoltà che abbiamo, intanto si tratta di trovare le risorse di 90 miliardi su cui stiamo ragionando, poi avere norme chiare che garantiscano i trasferimenti di cassa ed infine la questione degli investimenti che finora non è stata toccata.
In finanziaria c'è un miliardo per gli investimenti in salita, quel miliardo serve a dare seguito agli accordi già previsti negli anni precedenti; quindi, non ci sono soldi per investimenti aggiuntivi.
La situazione è particolarmente drammatica perché la sanità è in contabilità economica, le aziende sanitarie avevano tre modalità di finanziamento: indebitamento, infatti, tutte le aziende hanno già raggiunto l'indebitamento che corrisponde al 15 per cento delle proprie entrate; i fondi d'ammortamento e il finanziamento pubblico esterno di Stato o regioni.
Gli ammortamenti per abbassare il disavanzo della sanità sono già due anni che vengono «sterilizzati»; quindi, le aziende hanno esaurito la capacità propria di indebitamento, hanno sterilizzato gli ammortamenti, non c'è finanziamento pubblico; quindi, nella sanità stiamo assistendo a un blocco degli investimenti che non è rappresentato soltanto dalla costruzione dell'ospedale, ma che è arrivata, con il blocco degli ammortamenti, anche alla sostituzione e all'innovazione tecnologica.
Questo degli investimenti è un grande problema che nella finanziaria non è affrontato, perché, ripeto, il miliardo serve a coprire quegli accordi che erano già stati predisposti tra il Governo e le singole regioni ed è il vecchio programma dell'articolo 20 per capirci.

ANTONIO BOCCIA. Il programma del 1988, signor presidente, faceva leva anche sul dovere, assunto dalle regioni, di ristrutturare la rete degli ospedali e di chiuderne alcuni. In tal senso, alcune regioni, non tutte, sono un po' deficitarie. Da questa ristrutturazione potremmo ricavare immobili da vendere.

ENRICO ROSSI, Assessore alla sanità della regione Toscana. Proverei a riportare la questione sull'incipit del presidente Ghigo riguardo alla sanità. Evidentemente, ci sono differenti valutazioni, circa l'impostazione e il risultato finale, relativamente al 2005. Le regioni, in base ai calcoli che hanno effettuato, affermano che necessita una previsione di spesa di oltre 90 miliardi di euro, per poter avere una cifra sostenibile. Il Governo ha presentato una proposta di una previsione di circa 88,6 miliardi di euro, se non ricordo male. La mia valutazione, che mi sembra coincida con quella espressa dai rappresentanti di tutte le regioni e dal presidente Ghigo, è che sia stato compiuto uno sforzo apprezzabile ma ancora insufficiente. Tuttavia, a mio avviso, la vera questione ancora aperta è costituita dal 2004, una spada di Damocle, anche per quelle regioni che hanno effettuato la ristrutturazione della rete ospedaliera e hanno chiuso il 2003 positivamente. Quando redigeranno i consuntivi (mi raccomando: non approvate la norma contenuta nell'articolo 22 del disegno di legge finanziaria, secondo la quale i consuntivi dovranno essere presentati ad aprile, perché i consuntivi si fanno a giugno o a luglio) più o meno tutte le regioni dovranno constatare un disavanzo che, ad una prima contabilità di carattere generale, rispetto allo stanziamento per il 2004 è intorno ai 10 miliardi di euro. Le regioni, infatti, prevedono di spendere 91 miliardi e lo stanziamento per il 2004 è stato di 81 miliardi.
Qualunque sia la causa cui lo si voglia attribuire (in qualche modo, le regioni già hanno provveduto o stanno provvedendo, almeno in parte), cioè i contratti, i livelli di assistenza o altri capitoli specifici su cui è bene che si sviluppi la discussione, questo sfondamento di 10 miliardi di euro, di cui dovrà esserci il consuntivo (non ad aprile ma a luglio), è tale da assorbire interamente l'incremento che è stato previsto per il 2005. In altri termini, quei 10 miliardi annullano l'incremento previsto per il 2005.
La situazione della sanità è abbastanza critica e mi sembra che molte regioni già abbiano compiuto sforzi importanti per tenere sotto controllo la spesa. Se esaminate i consuntivi del 2003 potete apprezzare i risultati di questo sforzo. Se vogliamo tenere sotto controllo la situazione della sanità, quindi, credo che occorra individuare un meccanismo che consenta, da un lato, di incrementare lo stanziamento previsto per il 2005, all'incirca sino alla cifra proposta dalle regioni, cioè 90 miliardi di euro. Tuttavia, ancora più importante o, almeno, parimenti importante è individuare un meccanismo che consenta di superare un anno particolarmente difficile, come il 2004, con uno stanziamento aggiuntivo, già richiesto dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome: fu richiesto uno stanziamento dell'ordine di 5 miliardi di euro nei mesi di aprile e maggio di quest'anno. Questa dimensione di stanziamento, a qualunque titolo si voglia attribuire lo sfondamento - ai contratti, ai livelli essenziali di assistenza o a quant'altro - dovrebbe consentire alle regioni di fare fronte ad una annata nella quale, maturando contratti e convenzioni, esso si produce in modo più significativo. Alcune regioni già hanno imposto prelievi fiscali, ma credo di poter affermare che, se questo sfondamento si produce, non bastano le imposte già decise, le quali, comunque, devono essere contenute nell'ordine dello 0,5 per cento di IRPEF o di incremento di IRPEF. Questa situazione tenderà a riprodurre un deficit di difficile gestione e un peggioramento complessivo dei conti generali della sanità, tale da mettere in discussione, a mio avviso, i fondamenti stessi della sanità e del servizio sanitario nazionale che noi abbiamo conosciuto.
In sintesi, a mio avviso, si deve effettuare un intervento che accolga le richieste delle regioni per il 2005, quindi intorno a 90 miliardi di euro, cioè la cifra necessaria, in base a quanto abbiamo conteggiato, per far fronte alle spese per il 2005. Inoltre, è importantissimo individuare una modalità di fondo aggiuntivo per il 2004, intorno ai 5 miliardi di euro circa, vale a dire quanto richiesto dai presidenti delle regioni e province autonome, nei mesi di aprile e maggio di quest'anno. Anche se non dovesse gravare nell'immediato sulle casse dello Stato, esso consente comunque alle regioni di sapere di disporre di un credito, previsto dalla legge finanziaria, con il quale governare i bilanci 2004 che, viceversa, senza questo credito salterebbero, credo, in tutte le regioni. Lo affermo nonostante io rappresenti una regione che, tutto sommato, ha concluso positivamente i bilanci 2003.
In base ai miei conti e alle mie proiezioni, vi assicuro che, pur avendo mantenuto la stessa sorveglianza sulla spesa generale ed un buon andamento del settore farmaceutico, il 2004 è un anno da deficit record. Noi abbiamo chiuso il 2003 in pareggio, anzi, con un utile di 7 milioni di euro. Il 2004 è l'anno disastroso. Deve esserci un provvedimento che, in qualche modo, tenda a coprire questo disavanzo, anche se non nell'immediato ma scaglionato nel tempo. Faccio riferimento - non so se sarà possibile, anche alla luce degli obblighi previsti dal patto di stabilità - al ripianamento del 1999, i cui finanziamenti sono arrivati successivamente ma hanno consentito di computare e conteggiare. Quindi, è necessario un meccanismo che consenta - come affermato dal presidente Ghigo - di prevedere un intervento speciale relativamente alla questione del 2004. Questo mi sembra il punto cruciale per evitare che la situazione si aggravi ulteriormente e aumenti il novero delle regioni che presentano queste difficoltà.

VITO D'AMBROSIO, Presidente della regione Marche. Desidero rispondere all'onorevole Ventura. Noi chiediamo, se non altro, che sia inserito nel disegno di legge finanziaria un meccanismo in base al quale l'anticipazione del 95 per cento scatti relativamente al fondo che è stato stabilito anche automaticamente, come affermato dall'assessore Colozzi, in precedenza. Quest'anno, abbiamo il 95 per cento di anticipo rispetto ai fondi stabiliti con l'accordo del 3 agosto 2000, incrementati del 3,5 per cento l'anno. Questo è il dato, perché non c'è stata una delibera CIPE. Stabilire un termine per la delibera CIPE o prevedere un meccanismo automatico certamente servirebbe, perché c'è anche una tragedia di cassa.

ANTONIO BOCCIA. Signor presidente, intervengo sull'ordine dei lavori per chiedere che il programma delle audizioni sia integrato con l'audizione dei rappresentanti della Conferenza dei rettori delle università italiane.

PRESIDENTE. Non essendovi obiezioni, provvederò ad informare il Presidente della Camera, ai fini di acquisire la necessaria intesa ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del regolamento. Ringrazio i rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome. Ricordo che le audizioni riprenderanno domani pomeriggio. Temo che non ci sia la possibilità di anticipare i lavori delle Commissioni riunite al mattino, a causa dello svolgimento dei lavori dell'Assemblea.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,45.






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