Consiglio di Stato

Adunanza Generale dell’11 aprile 2002

N. Sezione .2340/2001.

N. Gab.4/02 Il Consiglio

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OGGETTO


MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI

Quesito concernente la validità e l’efficacia dei D.M. 1° agosto 1985, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n. 298 del 19.12.1985.


Vista la richiesta di parere, formulata con atto 4 ottobre 2001, dal Ministero per i Beni e le

Attività Culturali sulla validità e sull’efficacia dei D.M. 1 agosto 1985 – Gazz. Uff. 19.12.1985 n. 298;

Visti gli atti ;

Visto il decreto in data 13 marzo 2002 con il quale il Sig. Presidente del Consiglio di Stato ha deciso che il parere sul quesito suindicato sia devoluto all’Adunanza generale del Consiglio di Stato;

Udito il relatore, Consigliere Carlo Malinconico;

PREMESSO:

Con relazione del 4 ottobre 2001, il Ministero per i beni e le attività culturali chiede di conoscere il parere del Consiglio di Stato sul quesito di cui all’oggetto.

1. Riferisce, in particolare, il Ministero che è sorta questione circa l’operatività attuale e, in caso positivo, anche sul contenuto, dei decreti ministeriali del 1° agosto 1985, adottati dal Ministero dei beni culturali con riferimento al Piemonte.

La Regione Piemonte ha assunto posizioni oscillanti in materia, prima definendo inefficaci detti decreti alla luce della sentenza n. 153/1986 della Corte Costituzionale (vedi circolare n. 16/PET del 30 luglio 1986) poi sostenendone, invece, la validità, sia pure limitatamente agli effetti della dichiarazione di notevole interesse pubblico ai sensi della legge n. 1497/1939 (nota 30.10.1998, n. 19945).

Il Ministero riferente, Ufficio centrale per i beni ambientali e paesaggistici da parte sua, in conformità all’avviso espresso dall’Avvocatura distrettuale dello stato di Torino, ha ritenuto che i "Galassini" siano tuttora validi ed efficaci come dichiarazione di notevole interesse pubblico ex lege n. 1497/1939 (nota n. SG/113/3492 del 12.2.1999). Non, invece, con riferimento all’altro contenuto, costituito dal vincolo di inedificabilità, atteso che i predetti "Galassini" erano stati pubblicati successivamente all’entrata in vigore della legge n. 431/1985.

Il Ministero, quindi, nel mentre suggeriva alla Regione di annullare la circolare n. 16/PET del 30 luglio 1986, sopra richiamata, ribadiva l’obbligo di acquisire l’autorizzazione, ai sensi dell’articolo 7 della legge n. 1497/1939, per qualsiasi intervento da eseguirsi nelle aree individuate dai predetti "Galassini" ed escludeva, altresì, che potesse ritenersi sanata la realizzazione di interventi, dal 1986 in poi, non preceduti da autorizzazione ai fini ambientali. Detto avviso era poi condiviso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato con parere 6 maggio 1999, n. 5528.

2. Si poneva, in tale susseguirsi di diverse interpretazioni nell’ambito della citata Regione, il problema delle opere già realizzate senza il rispetto dell’articolo 7 della legge n. 1497/1939 e cioè senza previa autorizzazione, come a suo tempo avvalorato dalla Regione con la citata circolare regionale per pretesa inefficacia del vincolo demaniale dei "Galassini". Per tali opere, infatti, risultava ormai scaduto il termine per la presentazione delle domande di sanatoria, mentre, ad avviso dell’Ufficio centrale, non risultavano applicabili le norme sulla concessione in sanatoria del Sindaco. La conclusione di detto Ufficio era che dovesse essere disposta la riduzione in pristino ai sensi dell’articolo 15 della legge n. 1497/1939, anche in assenza di danno.

3. Sopravvenuto l’articolo 162 del decreto legislativo n. 490 del 29 ottobre 1999, i comuni interessati dai richiamati procedimenti rilevavano che i "Galassini" erano decaduti in forza di tale disposizione.

Il Ministero, tuttavia, contestava tale interpretazione, rilevando che l’articolo 162 confermava il divieto assoluto di modifica scaturente dai "Galassini" pubblicati prima del 6 settembre 1985, mentre all’articolo 160 confermava la validità degli elenchi delle bellezze naturali, ivi compresi i "Galassini", pubblicati successivamente a tale data.

4. Intanto, con circolare 3 aprile 2000, n. 174, la Regione, all’esito di un procedimento avviato a seguito di un incontro con le amministrazioni interessate presso la Presidenza del Consiglio in data 3.6.1999, indicava ai comuni il procedimento da seguire per il rilascio dell’autorizzazione ambientale, senza applicazione della misura di riduzione in pristino.

Il Ministero, tuttavia, manifestava contrarietà alla soluzione così prospettata, in considerazione dell’interpretazione data, agli istituti in questione, dalla giurisprudenza amministrativa e penale (nota 19.4.2000).

5. Con circolare n. 570 del 21 luglio 2000, la Regione comunicava a tutti i Comuni che la Giunta regionale, con delibera 18.7.2000, aveva confermato totalmente la circolare del 30 luglio 1986, sostenendo, quindi, l’inefficacia dei decreti ministeriali di vincolo. Da tale circolare l’assessore faceva discendere il non luogo a procedere sulle richieste di autorizzazione.

Replicava il Ministero per i beni culturali ambientali, con circolare 14.11.2000 in Gazzetta Ufficiale n. 61 del 14.3.2001, che confermava l’efficacia di tutti i "Galassini".

Il Ministero referente osserva che tale conclusione appare confermata dalle decisioni nn. 1022, in data 22.12.1993, e 288, in data 16.3.1995, della IV Sezione del Consiglio di Stato.

6. Affermata l’operatività della dichiarazione di notevole interesse pubblico risalente ai predetti "Galassini", il Ministero referente ricostruisce gli orientamenti espressi in sede consultiva e giurisdizionale a proposito degli interventi realizzati senza autorizzazione.

In particolare, il Ministero ricorda:

a) un primo orientamento , che esclude il rilascio dell’autorizzazione in sanatoria e che ritiene necessitata l’applicazione della sanzione della riduzione in pristino (Consiglio di Stato, II, 15.2.1989, n. 28; Avvocatura Generale dello stato, 1.12.1990, n. 89775; circolare ministeriale n. 1795 IIG dell’8.7.1991).

A tali orientamenti si è attenuto il Ministero, che ha finora annullato tutti i provvedimenti che autorizzano, ai sensi degli artt. 7 della legge n. 1497/1939 e 151 del citato T.U., opere realizzate abusivamente. L’orientamento medesimo è stato confermato da altri pareri del Consiglio di Stato, dell’Avvocatura Generale, nonchè da diverse sentenze della Corte di Cassazione;

b) un secondo orientamento, costituito da diverse decisioni della VI Sezione, in data 28.1.2000 e 31.10.2000, che sostiene la legittimità del rilascio della autorizzazione "ex post" ai fini ambientali, ferma restando l’applicazione della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 164 del T.U. A tale ultimo orientamento ha aderito l’Avvocatura Generale dello Stato con il parere n. 67783 del 8.6.2001.

7. In conclusione il Ministero per i beni e le attività culturali chiede il parere del Consiglio di Stato, ove possibile in Adunanza Generale, sui seguenti quesiti:

a) se i decreti ministeriali del 1° agosto 1985 relativi al Piemonte siano da ritenersi efficaci, con il conseguente obbligo di autorizzazione ex art. 151 del T.U.;

b) in caso affermativo, quale possa essere la soluzione giuridicamente percorribile per gli interventi realizzati in assenza di autorizzazione ai fini ambientali.

CONSIDERATO:

1. Il primo quesito è rivolto a conoscere se i decreti ministeriali del 1° agosto 1985, cc.dd. Galassini, relativi al Piemonte, emanati ai sensi dell'articolo 2 del decreto ministeriale 21 settembre 1984 e pubblicati nella Gazzetta ufficiale del 19 dicembre 1985, n. 298, siano da ritenersi efficaci con la conseguenza di rendere necessaria l’autorizzazione ai sensi dell'articolo 151 del Testo unico emanato con il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, che recita (Alterazione dello stato dei luoghi) " 1. I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di beni ambientali inclusi negli elenchi pubblicati a norma dell'articolo 140 o dell'articolo 144 o nelle categorie elencate all'articolo 146 non possono distruggerli né introdurvi modificazioni, che rechino pregiudizio a quel loro esteriore aspetto che è oggetto di protezione. 2. I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo dei beni indicati al comma 1, hanno l'obbligo di sottoporre alla Regione i progetti delle opere di qualunque genere che intendano eseguire, al fine di ottenerne la preventiva autorizzazione".

Detto quesito va risolto in senso affermativo.

Deve, infatti, essere ribadito in proposito l'orientamento da tempo ormai assunto dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, nel senso di ritenere che ai decreti ministeriali adottati ai sensi del citato d.m. 21 settembre 1984 si ricollegano due distinti effetti: la dichiarazione di notevole interesse pubblico e l'imposizione del divieto assoluto di edificazione sulle aree che ne costituiscono oggetto.

Come la stessa giurisprudenza ha chiarito, il secondo effetto è ricollegabile solo ai decreti ministeriali pubblicati anteriormente alla data di entrata in vigore della legge n. 431 del 1985. Il primo effetto, invece, si ricollega ai decreti ministeriali comunque adottati, anche posteriormente alla predetta legge, trattandosi di esercizio del potere statale previsto dall'articolo 82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, potere che la Corte costituzionale ha definito concorrente con quello delegato alle regioni dall'articolo 82 medesimo (VI, 22 dicembre 1993, n. 1023, e, da ultimo, VI Sez., n. 3242/2001).

Né è condivisibile la tesi, prospettata da numerose amministrazioni comunali, circa una pretesa decadenza dei decreti ministeriali in questione per effetto dell'entrata in vigore dell'articolo 162 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490.

La richiamata disposizione attiene, infatti, esclusivamente al divieto di edificabilità conseguente ai decreti ministeriali pubblicati anteriormente al 6 settembre 1985, data di entrata in vigore della legge n. 431 del 1985. Ai decreti in esame trova, invece, applicazione, ai più limitati effetti della dichiarazione di notevole interesse pubblico, la diversa disposizione dell'articolo 160 del medesimo Testo unico, che legittima gli elenchi compilati ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497, cui vanno ricondotti i "Galassini", di cui al presente parere, pubblicati in data successiva all'entrata in vigore della legge n. 431 del 1985.

2. Con il secondo quesito, invece, si chiede di conoscere, in caso di risposta affermativa al primo quesito, quale sia la soluzione giuridicamente percorribile per gli interventi realizzati in assenza di autorizzazione ai fini ambientali.

Come la richiesta di parere ricorda, sul punto v'è stato recentemente un mutamento nella giurisprudenza del Consiglio di Stato. Mentre, infatti, detta giurisprudenza si era espressa fino all'anno 1990, sia in sede giurisdizionale che in sede consultiva, nel senso dell'inammissibilità di un'autorizzazione successiva, la più recente giurisprudenza della VI Sezione, riesaminata funditus la questione, si è espressa in senso opposto. Detta giurisprudenza, cioè, ha ammesso l'autorizzazione successiva, quale espressione di un potere sotteso all'articolo 15 della legge n. 1497 del 1939 ed analogo a quello dell'articolo 7 della stessa legge, concernente l'esercizio ordinario dell'autorizzazione preventiva. La stessa giurisprudenza ha, peraltro, rimarcato gli effetti divergenti con riferimento all'applicazione della sanzione pecuniaria, ricollegabile al caso di compimento di attività soggette ad autorizzazione senza la preventiva acquisizione di quest'ultima (tra le tante decisioni della VI Sezione n. 5373/2000 e 3242/2001).

Ritiene l'Adunanza generale che tale ultimo orientamento sia da condividere, in considerazione del fatto che, anche alla luce del riesame delle argomentazioni addotte a sostegno dell'inammissibilità dell'autorizzazione a posteriori, nessuna delle argomentazioni stesse appare preclusiva del rilascio di detta autorizzazione.

3. Per la verità la tesi dell’impossibilità dell’autorizzazione in sanatoria, relativamente all’utilizzazione del territorio oggetto di vincolo a tutela delle bellezze naturali e dell’ambiente, fu sostenuta dal Ministero dei beni culturali, giusta la circolare ministeriale8 luglio 1991 n. 1795/II/G.

In questa si precisa che l’articolo 13, L. 28 febbraio 1985 n. 47, invocato da alcune amministrazioni regionali o locali per adottare autorizzazioni paesaggistiche in sanatorio, "...si applica alle opere edilizie abusive iniziate dopo l’entrata in vigore della medesima (articolo 31)", da questa premessa si trae, nella citata circolare, la conseguenza secondo la quale "...emerge chiaramente che l’autorizzazione, ai fini della sanatoria concerne esclusivamente la conformità agli strumenti urbanistici, mentre nulla è detto per le eventuali violazioni della normativa di tutela ambientale". Nella citata circolare si esprime la seguente conclusione: "...deve ritenersi applicabile – oltre la normativa di cui agli art. 4, 7, 9 e 10 della citata legge 47/1985 per le ipotesi specificamente contemplate – la disciplina generale desumibile dalla legge 1497/1939, la quale non prevede la possibilità della sanatoria di opere realizzate senza autorizzazione ex art. 7 della legge medesima ed impone, in relazione alle specifiche situazioni, l’applicazione delle sanzioni previste dal successivo art. 15. A conforto di tale conclusione è indicata, nella medesima circolare, il parere del Consiglio di Stato, Commissione speciale 9 maggio 1977 n. 5. Tuttavia il parere suindicato non afferma che sia preclusa l’adozione dell’autorizzazione in sanatoria ma precisa che relativamente ad un immobile costruito in zona vincolata senza autorizzazione "...occorre soltanto un provvedimento dichiarativo che assolva il costruttore dalla conseguenza della esecuzione dell’opera senza autorizzazione; cioè un provvedimento dichiarativo che assolva il costruttore dalle conseguenze della esecuzione dell’opera senza autorizzazione; cioè un provvedimento che dichiari la non applicabilità della misura dell’indennità". Questa conclusione è prospettata sul presupposto che "... il Ministero ritenga, per effetto del suo discrezionale apprezzamento, l’inesistenza di qualunque danno..." al bene paesaggistico.

Relativamente all’instaurazione di un procedimento amministrativo preordinato all’emanazione dell’autorizzazione in sanatoria si precisa nel parere che "Non occorre dunque una autorizzazione in sanatoria, ma un atto di verifica da parte dell’autorità che dovrebbe applicare la misura dell’indennità...., della inesistenza del danno, il che impedisce l’applicazione della misura indennitaria".

Secondo il parere citato quindi non è tanto preclusa l’autorizzazione in sanatoria quanto è sufficiente un atto conclusivo di un procedimento di verifica circa la conformità dell’immobile alle prescrizioni paesaggistiche è l’inesistenza del danno all’interesse per il quale fu posto il vincolo.

Tuttavia l’impostazione desumibile dal parere potrebbe essere superata in rapporto all’esigenza di evitare qualunque dubbio sulla lecita alienabilità del bene immobile, edificato in sostanziale conformità alle disposizioni preordinate alla salvaguardia di interessi paesaggistici o ambientali.

La presenza dell’autorizzazione in sanatoria preclude invero l’insorgenza di dubbi sulla stipulabilità di contratti relativi a beni immobili edificati in zone di interesse paesistico o ambientale.

4. A sostegno dell'inammissibilità dell'autorizzazione successiva alla realizzazione degli interventi, per i quali l'autorizzazione stessa è richiesta, è stata addotta innanzitutto la tipicità degli atti amministrativi. Non essendo stata prevista dal legislatore tale forma di esercizio del potere autorizzatorio, non sarebbe possibile all'amministrazione fare esercizio di un potere atipico, che si tradurrebbe nell'applicazione analogica della disciplina in tema di autorizzazione paesistica di carattere preventivo alla fattispecie - non codificata - dell’autorizzazione a sanatoria, da rendersi in epoca successiva alla modificazione del bene vincolato.

Tale considerazione non può essere condivisa.

È stato, in proposito, correttamente osservato in sede giurisdizionale (VI Sezione, decisione n. 5373/2000) che il principio di tipicità degli atti amministrativi non può essere interpretato con un rigore tale da escludere in radice la possibilità di modificare il momento nel quale effettuare le medesime valutazioni alla base dell’esercizio del potere amministrativo conferito dalla legge. Il valore della tipicità degli atti amministrativi, che è di diretta derivazione dal principio di legalità, non può essere inteso, né è stato inteso dalla più accreditata dottrina, nel senso della necessaria nominatività degli atti autoritativi, quanto piuttosto nella tipicità della causa del potere esercitato e delle finalità d'interesse pubblico perseguite con l'atto amministrativo. La stessa autotutela dell'amministrazione, su atti e su beni pubblici, sarebbe pregiudicata da un concetto di tipicità tanto angusto da richiedere l'espressa previsione del singolo provvedimento per ciascuna occasione di esercizio del potere conferito.

Del resto, la dottrina e la giurisprudenza da tempo ormai univocamente ammettono, facendo leva sull’identità sostanziale del potere esercitato e sul principio di economia dei mezzi giuridici, la possibilità di autorizzazioni postume a carattere (totalmente o parzialmente) sanante, con le quali si duplichino, in un tempo successivo, le medesime valutazioni che avrebbero dovuto essere nella fisiologia oggetto di verifica a carattere preventivo.

Ed è stato esattamente ricordato, nella richiamata pronuncia della VI Sezione, che, ben prima della positivizzazione dell’istituto, per effetto della legge n.47/1985, la prassi, la dottrina e la giurisprudenza amministrativa erano concordi nel dare ingresso a forme di licenza edilizia, concessione ed autorizzazione in sanatoria. Ed a tale considerazione di carattere generale occorre attenersi, ad avviso dell'Adunanza generale, sempre che, naturalmente, non vi sia un espresso divieto normativo, anche implicito, di adozione dell'atto a posteriori o che l'esercizio successivo del potere autorizzatorio trovi ostacoli, di fatto o di diritto, derivanti da un'alterazione dei presupposti di esercizio o di effettività del potere medesimo.

5. Ora, con riferimento all’autorizzazione paesistica, la possibilità di una verifica ex post di compatibilità paesistica dell’intervento non è contraddetta né dalla peculiarità della fattispecie né dal sistema normativo.

Quanto al primo profilo deve considerarsi che, in linea generale, la valutazione d'impatto paesaggistico, propria della fattispecie autorizzatoria di cui all’articolo 7, non muta in relazione al fatto che l’opera sia stata realizzata o meno.

All’obiezione, talora opposta, secondo cui la realizzazione dell’opera potrebbe mutare la situazione dei luoghi, rendendo difficoltoso, o addirittura impedendo, l’accertamento nel caso in cui l’intervento si risolva nella cancellazione del bene tutelato, si è correttamente replicato, nel menzionato precedente giurisdizionale, che la valutazione di compatibilità mira proprio a verificare la mancata produzione di effetti pregiudizievoli in relazione allo stato dei luoghi antecedente all’edificazione e che costituisce onere dell’interessato, in tale evenienza, dimostrare l’assenza di impatto negativo, attraverso la produzione della documentazione relativa alla condizione precedente dei luoghi e così consentire la comparazione tra stato antecedente e stato posteriore all’edificazione.

Il giudizio dovrà essere conseguentemente negativo, con correlativa possibilità di demolire le opere, laddove detto raffronto non si riveli possibile stante il mancato assolvimento del descritto onere da parte del privato, così come nel caso in cui la realizzazione dell’opera abbia cancellato il bene sottoposto a tutela.

6. Ulteriore elemento a favore dell'ammissibilità dell'autorizzazione successiva si trae implicitamente dalla constatazione che la procedura sanzionatoria dell'articolo 15 della legge n.1497/1939 pone un'alternativa tra la demolizione a spese del contravventore delle opere abusivamente eseguite ed il pagamento di un'indennità, equivalente alla maggior somma tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la commessa trasgressione.

La previsione di quest'alternativa affida alla valutazione discrezionale dell’amministrazione, basata sull’esistenza e sulla consistenza del pregiudizio ambientale, la scelta tra la misura ripristinatoria e quella pecuniaria, con la conseguenza che l'esercizio proporzionato del potere sanzionatorio imporrà il ricorso alla sanzione pecuniaria, e non alla demolizione, ogniqualvolta l’opera si armonizzi con il contesto ambientale - dovendosi in tal caso escludere un qualsiasi profilo di vulnus sostanziale - o comunque nel caso in cui il pregiudizio si presenti marginale, sicché la misura della demolizione risulti comunque eccessiva.

Ora, la decisione, discrezionalmente assunta, di non procedere alla demolizione per effetto della compatibilità dell’opera con il contesto paesaggistico oggetto di tutela contiene in sé un'implicita autorizzazione al mantenimento in vita dell’opera. Tale scelta discrezionale replica, nella sostanza, sia pure ai fini della scelta della sanzione da applicare e con un'inversione della sequenza procedimentale, lo stesso apprezzamento previsto in via preventiva dall’articolo 7 della legge in parola.

In definitiva la circostanza che il legislatore non preveda la necessità di un provvedimento formale in sanatoria, reputando sufficiente, al fine di salvaguardare l’esistenza in vita dell’immobile, la scelta di non accedere alla sanzione della demolizione, non esclude la possibilità che detta valutazione di compatibilità paesistica, alla base dell’esito del procedimento sanzionatorio, sia esplicitata attraverso una determinazione sostanzialmente riconducibile al paradigma di cui all’articolo 7.

L'autorizzazione successiva, in altri termini, si traduce semplicemente in una, non preclusa, inversione nella sequenza procedimentale di cui all’articolo 15, facendo sì che la verifica di compatibilità, piuttosto che essere desumibile dalla non adozione della misura ripristinatoria, condizioni a monte l’esito del procedimento sanzionatorio, nel senso di rendere non più praticabile la soluzione radicale dell’abbattimento delle opere abusive (Cons. Stato, sez. VI, 28 gennaio 2000, n.421; id., n. 5373/2000). Tale conclusione, del resto, é in linea con la giurisprudenza della Corte di cassazione penale, che, da un lato, ha confermato la natura di sanzione amministrativa e non di pena accessoria della riduzione in pristino disposta dal giudice penale (VI, 19 dicembre 1997, Poli) e, dall’altro, ha affermato che tale misura radicale non va disposta dallo stesso giudice penale quando già sia intervenuta la sanatoria da parte dell’amministrazione (III, 6 luglio 1998, Capolino).

7. Non v'è, dunque, alcuna necessità di ricorrere analogicamente alla previsione dell'articolo 13 della legge 8 febbraio 1985, n. 47, per rinvenire il fondamento del potere di autorizzazione successiva ai fini di tutela paesistica. E divengono, per tale stessa ragione, superabili le argomentazioni contrarie all'ammissibilità di detta autorizzazione successiva, tratte dalla specificità della previsione di concessione in sanatoria, prevista dal citato articolo 13, in precedenti pronunce del Consiglio di Stato (Sez. II, parere 15 febbraio 1989, n. 28).

8. È stato, anzi, efficacemente osservato nei richiamati precedenti giurisprudenziali, che la soluzione opposta finirebbe, proprio con riferimento all'intreccio tra autorizzazione connessa al vincolo paesistico e autorizzazione in sanatoria, ai sensi dell'articolo 13 della legge n.47/1985, ad imporre la demolizione delle opere abusive, in contraddizione con il meccanismo sanzionatorio, articolato e duttile, di cui all’articolo 15 della legge n. 1497 del 1939.

La preclusione della piena legittimazione dell’immobile, in ipotesi non incompatibile con il contesto paesistico, confliggerebbe con il principio, generalmente condiviso, di piena autonomia dei due procedimenti, alla stregua del quale il rilascio della concessione in sanatoria deve conseguire all’esclusivo accertamento della conformità dell’opera alla normativa urbanistica.

D'altra parte risulterebbe incoerente o sproporzionata la conseguenza dell’impossibilità di positiva definizione del procedimento di sanatoria, con correlativa obbligatoria demolizione del bene, derivante dal dato formale del mancato conseguimento del titolo preventivo ai fini paesaggistici nonostante una valutazione sostanziale di compatibilità ambientale.

Sicché, anche l’esame sistematico della disciplina di cui agli articoli 7 e 15 della legge n.1497/1939 e dell’articolo 13 della legge n.47/1985 conferma la possibilità, e la coerenza col sistema, di un'autorizzazione postuma, in parte equipollente alla fattispecie di cui all’articolo 7. Autorizzazione tesa ad esplicitare la verifica di compatibilità ambientale, già implicita nel meccanismo sanzionatorio di cui all’articolo 15, così conferendo a tale valutazione postuma effetti anche ai fini della favorevole definizione del separato procedimento di cui all’articolo 13 della legge n.47/1985.

9. Va, peraltro, precisato che è condivisibile anche l'ulteriore precisazione del richiamato recente orientamento giurisprudenziale, secondo cui, pur se ammessa sul piano dell’an, l’autorizzazione postuma non necessariamente costituisce un pieno equipollente, sul versante degli effetti, dell’autorizzazione preventiva.

La valutazione di compatibilità paesaggistica, in altri termini, non esclude che il legislatore possa configurare l'illecito, sia esso penale o amministrativo, come un illecito formale, a prescindere dalla concreta lesione del bene tutelato, sanzionando così il semplice pericolo di attività oggettivamente suscettibili di arrecare danni al bene protetto, secondo una logica di "tutela anticipata". È, cioè, ammissibile che il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, annetta, alla violazione del dovere di far precedere la realizzazione di determinate attività da un titolo di assenso, l’applicazione di sanzioni amministrative,.

Restano, così, superati anche l'ulteriore argomentazione e i legittimi timori in merito al rischio di avallare, generalizzandole, iniziative private intraprese senza il conforto della preventiva autorizzazione, nell’auspicio di una verifica positiva di stampo postumo.

L’autorizzazione in sanatoria, infatti, non costituendo un equipollente perfetto dell’autorizzazione preventiva, pur precludendo la possibilità di pervenire alla demolizione dell’edificio, lascia intatto il potere-dovere della competente amministrazione di infliggere la sanzione pecuniaria di cui all’articolo 15 della legge n.1497/1939, fermi gli ulteriori eventuali profili di responsabilità delineati dall’ordinamento.

La mancanza di equipollenza tra autorizzazione preventiva e postuma comporta l'effetto di rendere applicabile, in tali casi, la sanzione pecuniaria di cui all'articolo 15 della legge n. 1497 del 1939.

Infatti, la circostanza che l’amministrazione, esercitando un potere nella sostanza conferito dallo stesso articolo 15, abbia verificato la compatibilità ambientale in via postuma, se da un lato esclude la compromissione sostanziale dell’integrità paesaggistica, dall’altro non cancella la violazione dell’obbligo, discendente dall’articolo 7, di conseguire in via preventiva il titolo di assenso necessario per la realizzazione dell’intervento modificativo dell’assetto territoriale.

10. L'Adunanza generale non ha motivo in subiecta materia per discostarsi dall’orientamento recentemente espresso dalla Sezione IV (decisione 2 giugno 2000, n.3184), secondo cui la sanzione pecuniaria di cui all’articolo 15 della legge n.1497/1939, nonostante il termine "indennità", non costituisce un'ipotesi di risarcimento del danno ambientale, ma rappresenta una sanzione amministrativa, applicabile sia nel caso di illeciti sostanziali, ovvero in caso di compromissione dell’integrità paesaggistica, sia in ipotesi di illeciti formali. Ipotesi, quest'ultima, che si realizza in caso di violazione dell’obbligo di conseguire l’autorizzazione preventiva, a fronte di un intervento però sostanzialmente compatibile con il contesto paesistico oggetto di protezione.

La previsione della misura dell'indennità pecuniaria per qualsivoglia tipo di violazione, sia sostanziale che formale, e dunque la funzione deterrente, (Cons. Stato, Sez. VI, 2 giugno 2000 n. 3184), oltre che ripristinatoria, della misura medesima, costituisce un primo indice della natura sanzionatoria e non risarcitoria dell'indennità in questione. Natura confermata, altresì, dal criterio legislativo di commisurazione della sanzione stessa. Secondo l’articolo 15, infatti, l’indennità è pari <>. Il concetto di <> viene in rilievo, nella norma, solo al fine della quantificazione della sanzione, e dunque in sede di quantum debeatur e non di an debeatur. Il danno, inoltre, non è criterio esclusivo di commisurazione dell'indennità, essendo alternativo al profitto conseguito dalla violazione.

Ne consegue che in ipotesi di realizzazione di un’opera senza la prescritta autorizzazione paesistica, ove detta opera sia in concreto conforme alle prescrizioni ambientali, e dunque non sia produttiva di danno alcuno, l'indennità verrà commisurata al profitto conseguito dall’abuso.

Le considerazioni svolte nella richiamata decisione, con riguardo alla disciplina originaria di cui all’art.15 della legge n.1497/1939, risultano confermate, e per certi versi rafforzate, dalla nuova disciplina dettata dall’articolo 164 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n.490, recante il Testo unico delle disposizioni in materia di beni culturali ed ambientali: "In caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti da questo Titolo, il trasgressore è tenuto, secondo che la Regione ritenga più opportuno, nell’interesse della protezione dei beni indicati nell’art.138, alla rimessione in pristino a proprie spese o al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato ed il profitto conseguito mediante la trasgressione. La somma è determinata mediante perizia di stima".

La nuova formulazione, sostitutiva dell’art.15 della normativa del 1939, conferma gli indici dai quali si è ricavata la caratterizzazione sanzionatoria e non riparatoria della fattispecie (mancata specificazione del riferimento ad illeciti sostanziali, quantificazione dell’importo in relazione al profitto oltre che al danno); in più, avendo riguardo al semplice pagamento di una somma di denaro, la norma è spogliata dal riferimento al termine "indennità", che si è visto essere argomento, peraltro non decisivo, a conforto della matrice necessariamente sostanziale degli illeciti considerati.

11. Infine il Ministero richiedente fa richiamo all'ordinanza n. 46 della Corte costituzionale in data 6 marzo 2001.

Detta ordinanza dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 13 e 22 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, con riferimento all'articolo 3, primo comma, della Costituzione. Il giudice remittente dubitava che fosse rispettosa dei principi costituzionali la scelta di escludere, con riferimento al reato ambientale, di cui agli articolo 1 e 1-sexies del decreto-legge n. 312 del 1985, convertito con modificazioni nella legge n. 431 del 1985, l'effetto estintivo delle violazioni di natura strettamente urbanistica, collegato al rilascio della concessione in sanatoria a norma dell'articolo 13 della legge n. 47 del 1985.

La Corte ha avuto modo di ribadire che il differente trattamento dei reati ambientali, stante la loro distinzione ed autonomia rispetto alle violazioni urbanistiche, rientra nella discrezionalità del legislatore. La Corte ha, altresì, aggiunto che tale scelta è tutt'altro che palesemente irragionevole o arbitraria, attesa la particolare natura dei beni paesaggistico-ambientali, considerata tra i principi fondamentali della Costituzione come forma di tutela della persona umana. Ha aggiunto che non può essere irragionevole la scelta di mantenere "soprattutto a fini di prevenzione generale, la punibilità di un comportamento modificativo del territorio, che ha comportato un rischio per l'ambiente in mancanza di preventiva autorizzazione, attesa la irreparabilità di talune trasformazioni e la mancanza di controlli durante l'esecuzione di opere non autorizzate".

Nè si potrebbe condividere una diversa conclusione postulando il superamento del doppio sistema sanzionatorio, da parte dell’art. 164 d.lvo 29 ottobre 1999 n. 490.

Infatti l’art. 20 l. 28 febbraio 1985 n. 47, richiamato dall’art. 163 del citato decreto legislativo , conferma il sistema della concorrenza delle sanzioni (penale e amministrativa) a tutela dei valori ambientali, che interessano nella specie.

Per altro verso l’art. 20, già citato, non è compreso tra le norme abrogate dall’art. 166 d. lvo n. 490. Il che consente, in conclusione, di ribadire che la possibilità di rilascio dell'autorizzazione postuma vale a verificare la compatibilità paesaggistica dell'intervento, ma non esclude l'illecito, proprio per il rischio che è implicito in ogni intervento su bene tutelato, che non sia preceduto dalla richiesta autorizzazione.

12. In conclusione, con riferimento al secondo quesito posto dal Ministero, deve rilevarsi che la soluzione giuridicamente percorribile per gli interventi realizzati in assenza di autorizzazione ai fini ambientali sta nella verifica effettiva della compatibilità ambientale anche per detti interventi sulla base dei parametri tipici dell'autorizzazione preventiva. Non sarebbe quindi legittimo l'annullamento degli atti di assenso basato sulla semplice constatazione dell'insussistenza del potere di rilascio di un'autorizzazione postuma. Resta, invece, ferma la verifica della legittimità degli atti di assenso alle modifiche e, quindi, del corretto esercizio del potere esercitato all'atto dell'autorizzazione postuma.

In secondo luogo, alla constatazione della sussistenza di un intervento non preceduto dalla dovuta autorizzazione, consegue l'esercizio del potere sanzionatorio, nella forma dell'irrogazione della sanzione pecuniaria. La verifica della legittimità degli atti soggetti al controllo dell'amministrazione statale, che è diretto innanzitutto al controllo delle caratteristiche del potere esercitato, deve, dunque, estendersi anche all'aspetto della natura non pienamente equipollente dell'autorizzazione postuma e della necessaria conseguenza, che vi si ricollega, dell'applicazione della sanzione pecuniaria.

P. Q. M.

Nelle considerazioni che precedono è il parere dell'Adunanza generale.

Per estratto dal verbale

IL SEGRETARIO GENERALE

Visto:

IL PRESIDENTE

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