Cons. St., Sez. consultiva per gli atti normativi, Ad. 17 maggio 2004, n. 3075/04 (parere)


CONSIGLIO DI STATO
Sezione Consultiva per gli Atti Normativi
Adunanza del 17 maggio 2004
N. della Sezione: 3075/2004
OGGETTO:
Ministero dell’interno. Schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente “Regolamento recante modifiche ed integrazioni al d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, in materia di immigrazione”.
La Sezione
Vista la relazione n. 27-25/A/-106 del 19 dicembre 2003, trasmessa con nota del 22 dicembre 2003, con la quale il
Ministero dell’interno – Ufficio affari legislativi e relazioni parlamentari ha chiesto il parere sullo schema di regolamento in oggetto;

Vista la nota del 17 marzo 2004, pervenuta il 24 marzo 2004, di trasmissione dei relativi concerti delle amministrazioni competenti;
Visto il parere interlocutorio reso dall’Adunanza del 5 aprile 2004 e la nota di risposta del direttore dell’Ufficio affari legislativi e relazioni parlamentari prot. n. 27-25/A-106 del 27 aprile 2004, pervenuta il 4 maggio 2004;
Esaminati gli atti e udito il relatore ed estensore, consigliere Luigi Carbone;

PREMESSO e CONSIDERATO:
1. Con relazione prot. n. 27-25/A/-106 del 19 dicembre 2003, il Ministero dell’interno ha trasmesso lo schema di regolamento in oggetto, chiedendo il prescritto parere del Consiglio di Stato.
Con successiva nota del 17 marzo 2004, pervenuta il 24 successivo, il Ministero ha trasmesso:
- le adesioni delle Amministrazioni proponenti;
- le adesioni delle Amministrazioni concertanti (Ministro per la funzione pubblica, Ministro per gli affari regionali, Ministro per le pari opportunità, Ministro degli affari esteri, Ministro della giustizia, Ministro dell’economia e delle finanze, Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Ministro delle attività produttive, Ministro del lavoro e delle politiche sociali e Ministro della salute);
- il parere espresso dal Garante per la protezione dei dati personali del 4 marzo 2004.

2. Con parere interlocutorio reso dall’Adunanza del 5 aprile 2004 la Sezione, preso atto dell’avvenuta integrazione della prescritta documentazione, inizialmente carente, ha iniziato l’esame dello schema e ha ritenuto necessaria, ai fini dell’espressione del parere, una serie di atti e di chiarimenti. Di conseguenza, ha chiesto al Ministero dell’interno di:
1) trasmettere la proposta del Vice Presidente del Consiglio dei Ministri;
2) sciogliere la non univocità della nota sottoscritta dal Capo del Dipartimento per gli affari regionali, con la quale da un lato “si conferma il parere positivo a suo tempo espresso” e, dall’altro, “si rappresenta l’esigenza di tenere adeguato conto degli emendamenti proposti dalle Regioni ordinarie e di quello della Regione Friuli-Venezia Giulia”, richiedendo altresì al Ministero di esaminare i suddetti emendamenti e di dar conto del loro eventuale mancato accoglimento;
3) esaminare le osservazioni del settore legislativo del Ministro delle pari opportunità e riferire in ordine ad esse;
4) dare conto delle osservazioni della Ragioneria Generale dello Stato di cui alla nota n. 77049 del 24 giugno 2003;
5) assumere una posizione in relazione al parere negativo della Conferenza unificata espresso nella seduta del 10 dicembre 2003 ed agli atti ad esso allegati; in particolare, riguardo a quel parere si è ha rilevato che:
a) dal verbale della riunione emerge che il rappresentante del Governo ha opposto la mancanza di norme primarie idonee a legittimare “alcune” delle proposte modificative;
b) la Conferenza ha prospettato preliminarmente l’incostituzionalità dello strumento normativo utilizzato, in relazione agli artt. 117 e 118 Cost., chiedendone l’adeguamento anche alla luce della riforma del titolo V della parte II della Costituzione operata con la l. cost. n. 3/2001;
c) quanto al contenuto dello schema, la Conferenza ha proposto una serie di emendamenti, ritenendo inoltre necessario utilizzare l’occasione della modifica del regolamento di cui al d.P.R. n. 394 del 1999 per risolvere anche altre questioni (all. A);
d) anche l’Associazione nazionale dei Comuni d’Italia (ANCI) e l’Unione delle Province d’Italia (UPI) hanno proposto emendamenti allo schema di regolamento in esame (rispettivamente all. B-C e all. D);
6) esaminare il parere del 4 marzo 2004 del Garante per la protezione dei dati personali;
7) esaminare il problema delle eventuali interrelazioni tra lo schema in esame e quello concernente il “regolamento relativo alle procedure per il riconoscimento della status di “rifugiato”, in relazione al quale la Sezione ha emesso la pronuncia interlocutoria n. 200/04 del 26 gennaio 2004;
8) pronunciarsi in ordine alla eventuale incidenza sul contenuto dello schema trasmesso sia delle pronunce della Corte costituzionale già emesse o di prossima emanazione che delle misure modificative dell’attuale normativa primaria di cui si prospetta l’adozione.

3. Con la nota a firma del direttore dell’Ufficio affari legislativi e relazioni parlamentari prot. n. 27-25/A-106 del 27 aprile 2004, pervenuta il 4 maggio 2004, il Ministero ha fornito parzialmente risposta ai quesiti sollevati con il predetto parere interlocutorio.
In particolare, il Ministero:
1) in relazione ai punti 1) e 2) del parere interlocutorio, ha allegato l’atto attestante la coproponenza della Vicepresidenza del Consiglio e la nota di assenso del Dipartimento per gli affari regionali;
2) in relazione ai punti 3), 4), 5) e 6) del parere, ha affermato che gli avvisi in questione avrebbero costituito “oggetto di approfondita analisi ed attenta considerazione”, “unitamente al parere definitivo di competenza di codesto Consesso, una volta espresso ed acquisito”, “in sede di esame definitivo del regolamento da parte del consiglio dei Ministri”;
3) non ha fornito nessun cenno di risposta in relazione ai punti 7) e 8) del parere;
4) ritiene non fondati i “profili di incostituzionalità del provvedimento lamentati dalla Conferenza Unificata, per contrasto con gli articoli 117 e 118 della Costituzione”, con motivazioni di cui si dirà infra, al punto 6 del presente parere.

4. La citata nota ministeriale non può far considerare adempiute le richieste istruttorie avanzate dalla Sezione. In relazione ad essa va osservato quanto segue.
Le funzioni consultive del Consiglio di Stato sull’attività normativa del Governo assumono, alla stregua dell’evoluzione dell’ordinamento degli ultimi anni, un rilievo particolare nell’ambito delle funzioni di “consulenza giuridico-amministrativa” che la Costituzione, all’articolo 100, conferisce all’Istituto accanto a quelle di “tutela della giustizia nell’amministrazione”. In particolare, dopo la conferma di tali funzioni come parte integrante della “disciplina dell’attività di Governo” introdotta dalla legge n. 400 del 1988, le relative modalità di esercizio sono state riformate dalla legge n. 127 del 1997, segnando una generale trasformazione delle funzioni consultive dal sostegno all’attività di mera gestione dell’amministrazione pubblica al ruolo di organo ausiliario nell’attività di “regolazione”, soprattutto secondaria.
Tali funzioni sono permeate dalle stesse caratteristiche di autonomia e neutralità di quelle giurisdizionali (cfr., amplius, il parere Ad. Gen. n. 4/03 del 2 ottobre 2003) ed il loro rafforzamento appare coerente con il nuovo ruolo che i Consigli di Stato dei paesi occidentali stanno assumendo nel processo di miglioramento della “qualità della regolazione”, non soltanto sotto i profili di mera legittimità formale ma anche con il ricorso a strumenti moderni e innovativi come l’analisi di impatto della regolamentazione (AIR), processo fortemente incoraggiato anche da autorevoli organizzazioni internazionali come l’OCSE e la stessa UE, anche per la regolazione di fonte regionale.
La posizione di terzietà e garanzia del Consiglio di Stato come organo consultivo del Governo con rilevanza costituzionale e la recente evoluzione legislativa conferiscono al parere dell’Istituto sugli schemi di regolamento un ruolo distinto da quello degli altri avvisi, “interni” al procedimento di formazione della volontà normativa del Governo. A differenza di questi, il parere del Consiglio di Stato si pone al termine del processo di decision-making e va fornito al Governo subito prima della deliberazione finale del Consiglio dei Ministri o del Ministro, su uno schema definitivo, che abbia tenuto conto di tutti gli apporti endoprocedimentali interni al processo di formazione della decisione normativa (cfr. la pacifica giurisprudenza consultiva di questo Consiglio di Stato, ribadita sin dai primi pareri di questa Sezione per gli atti normativi: 22 settembre 1997 n. 106, n. 107, n. 108, n. 110 e n. 117; 20 ottobre 1997 n. 145).
L’unica eccezione a questa regola generale può essere costituita soltanto dai pareri delle Camere parlamentari, laddove previsti, poiché tali avvisi costituiscono il frutto di una valutazione di natura ontologicamente differente da quella prevista per il parere del Consiglio di Stato dall’art. 17 della legge n. 400 del 1988 o dall’art. 17 della legge n. 127 del 1997. Tali pareri, infatti, negli sviluppi più recenti della prassi, vengono considerati non come atti endoprocedimentali in senso tecnico ma piuttosto come pareri in funzione “politica”, di indirizzo del Parlamento al Governo, in quanto tali estranei al procedimento amministrativo inteso come serie di atti funzionalmente collegati in vista del provvedimento finale, sicché rientra solo nella responsabilità politica del Governo il tenerne o meno conto.
L’assetto sopra descritto è ribadito dalla più recente legislazione: l’art. 2, comma 3, della legge 5 giugno 2003, n. 131, in relazione ai decreti legislativi di adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale n. 3 del 2001, di riforma del Titolo V della Costituzione, ha confermato la specificità del parere del Consiglio di Stato sull’attività normativa. La legge in parola ne ribadisce espressamente la collocazione al termine del processo di formazione della volontà del regolatore laddove afferma, anche per i decreti legislativi in questione, che i relativi schemi, ormai definiti nella fase “interna” al Governo, “dopo l’acquisizione dei pareri del Consiglio di Stato e della Conferenza unificata”, “sono trasmessi alle Camere”.
Alla stregua di quanto esposto, non sembra possano essere condivise le affermazioni del Ministero riferente, che assume di poter sottoporre al parere del Consiglio di Stato un testo che non tiene ancora conto di tutti gli avvisi – diversi da quelli delle Camere – cui faceva riferimento il parere interlocutorio della Sezione del 5 aprile scorso: tali avvisi, come si è visto, accompagnano il processo di redazione dello schema e questo avrebbe dovuto necessariamente tenerne conto prima di essere sottoposto al Consiglio di Stato.
In tale situazione, tuttavia, la Sezione – pur in presenza di un adempimento solo parziale della pronuncia interlocutoria di questo Consiglio di Stato e della rilevata incompletezza dell’iter “interno” di formazione dello schema in oggetto – non può non considerare anche l’esigenza di adottare al più presto la normativa attuattiva richiesta dalla riforma del 2002, dopo il lungo tempo trascorso dalla data di approvazione in via preliminare da parte del Consiglio dei Ministri (laddove, come si é detto, lo schema di intervento sottoposto a questo Consiglio di Stato è stato corredato degli atti di concerto necessari soltanto con nota pervenuta il 24 marzo 2004).
Pertanto, si ritiene istituzionalmente doveroso rendere comunque un parere allo stato degli atti, tenendo conto direttamente anche delle osservazioni formulate dalle altre amministrazioni, facendo presente che:
- per le osservazioni da cui l’amministrazione riterrà di discostarsi si dovrà, comunque, fornire espressa motivazione nelle premesse del provvedimento, ai sensi della circolare della Presidenza del consiglio dei ministri 2 maggio 2001, n. 1/1.1.26/10888/9.92., pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 105 del 3 maggio 2001, recante guida alla redazione dei testi normativi (cfr., in particolare, il punto 2.2.4 a pag. 22);
- ove la valutazione degli avvisi delle altre amministrazioni, che il Ministero dell’interno ha omesso di effettuare preliminarmente all’invio a questo Consiglio, dovesse condurre ad una versione finale del d.P.R. anche parzialmente diversa, nella sostanza, dallo schema oggetto del presente parere come integrato dalle osservazioni ivi contenute, su tale nuova versione non si potrà considerare espresso il parere di questo Consiglio ed essa dovrà, quindi, essere nuovamente sottoposta al suo esame.

5. Prima di procedere all’esame delle singole disposizioni del testo, è necessario chiarire alcuni profili di carattere generale in relazione al fondamento del potere di intervento regolamentare dello Stato sulla materia in esame.
Tale verifica va compiuta, in primo luogo, in relazione all’oggetto principale dell’intervento di novella del d.P.R. n. 394 del 1999 come determinato dall’articolo 34, comma 1, della legge n. 189 del 2002, che ha espressamente disposto che “entro sei mesi dalla data della pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale si procede, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, all’emanazione delle norme di attuazione ed integrazione della presente legge, nonchè alla revisione ed armonizzazione delle disposizioni contenute nel regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394. Con il medesimo regolamento sono definite le modalità di funzionamento dello sportello unico per l’immigrazione previsto dalla presente legge”.
Dall’esame dello schema si ricava che non tutti i cambiamenti proposti derivano dalla necessità di adeguare il d.P.R. n. 394 del 1999 alla nuova disciplina di cui alla legge n. 189 del 2002. Svariate modifiche attengono, invece, a settori del regolamento non incisi direttamente dalla modifica della legge primaria.
Peraltro, tale capacità di intervento rientra, ad avviso della Sezione, nell’esercizio del potere di normazione secondaria proprio del Governo, che è sempre libero di apportare miglioramenti alla normativa di secondo livello nell’ambito delle finalità attuative e integrative del quadro legislativo.
Considerando, però, l’espressa finalità dello schema di adeguamento del d.P.R. n. 394 del 1999 alla riforma legislativa, le ulteriori modifiche estranee alla suddetta necessità devono fondarsi su un intento migliorativo della disciplina che va evidenziato espressamente, nella relazione finale, attraverso una specifica motivazione.
Peraltro, questi chiarimenti sono in gran parte già forniti dalla relazione allo schema in esame, che sovente confronta le modifiche introdotte con l’assetto precedente e con le problematiche che esso, oggi, pone, spiegando come si ritiene che esse potrebbero risolversi con il nuovo regime. Si tratta, allora, soltanto di verificare la completezza di tale supporto motivazionale in relazione a tutte le modifiche apportate dallo schema le quali non si esauriscano nell’adattamento del regolamento alle modifiche legislative.

6. Rilievo preliminare presenta, altresì, la questione del fondamento costituzionale del potere di intervento regolamentare dello Stato, anche in relazione al parere negativo della Conferenza Unificata espresso nella seduta del 10 dicembre 2003 e agli atti ad esso allegati.

6.1. Le questioni di costituzionalità poste da tale Organismo riguardano due profili distinti:
a) quello della sussistenza di un potere regolamentare dello Stato ex art. 117 Cost., “in considerazione del fatto che con lo stesso vengono disciplinate anche materie di competenza regionale”;
b) quello della presunta violazione dell’art. 118, terzo comma, Cost., che in questa materia impone, secondo la Conferenza, “specifiche modalità rafforzate di coordinamento fra lo Stato e le Regioni” (la norma richiamata così recita: “La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell'articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali”; la lettera b) del secondo comma dell’art. 117 Cost. si riferisce, appunto, alla materia “immigrazione”).

6.2. La menzionata nota del direttore dell’Ufficio affari legislativi del Ministero dell’interno del 27 aprile 2004, ha ritenuto, come si è detto, di poter superare i descritti profili, sulla base delle seguenti considerazioni:
a) in relazione ai “profili di incostituzionalità del provvedimento lamentati dalla Conferenza Unificata, per contrasto con gli articoli 117 e 118 della Costituzione”, si afferma di avere “ritenuto che lo strumento normativo prescelto (regolamento di esecuzione) sia collegato alla fonte legislativa primaria (art. 34 l. n. 198/02), concernente la materia immigrazione che rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, lett. b)”;
b) in relazione all’ulteriore profilo di illegittimità adombrato dalla Conferenza Unificata, in riferimento all’articolo 118, terzo comma, Cost., lo si reputa non sussistente “in quanto lo stesso demanda la definizione della disciplina delle forme di coordinamento fra lo Stato e le Regioni nella materia dell’immigrazione ad una normativa primaria e non a regolamenti di esecuzione della legislazione statale”.
La prima affermazione può essere condivisa, anche se richiede un più congruo sostegno motivazionale; sulla seconda questione, l’Amministrazione riferente vorrà tener presente le osservazioni che seguono.

6.3. La disciplina della “immigrazione” rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi della menzionata lettera b) del secondo comma dell’art. 117 Cost., esclusivamente dedicata a tale materia. Questa lettera appare consequenziale alla precedente lettera a), relativa a “diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea”.
A tali settori sono poi connessi, nel testo unico in esame, quelli dell’“ordine pubblico e sicurezza” e della “cittadinanza, stato civile e anagrafi”, anch’essi rientranti nella competenza esclusiva dello Stato (rispettivamente, lettere h) e i) del secondo comma dell’art. 117).
Come è noto, ai sensi del sesto comma dello stesso articolo 117 Cost., lo Stato ha in tali casi anche una piena potestà regolamentare.
Pur in presenza di una indubitabile competenza dello Stato ad intervenire con il regolamento in oggetto, si pone tuttavia l’esigenza di una definizione dell’ambito delle materie relative all’immigrazione e allo status dei cittadini extracomunitari in relazione ad altre materie – oggetto di competenze concorrenti o anche esclusive delle Regioni – con cui questi soggetti, una volta entrati a far parte della comunità nazionale, vengono fisiologicamente a contatto.
Tale esigenza non era presente al momento dell’entrata in vigore del d.P.R. n. 394 del 1999, di cui lo schema in oggetto costituisce la novella, poiché quella normativa è anteriore alla riforma costituzionale di cui alla l. cost. n. 3 del 2001. Essa potrebbe quindi avere disciplinato, con fonte di livello secondario, profili che ricadono, ora, nella competenza (concorrente o esclusiva) delle Regioni, con conseguente divieto per lo Stato di intervenire ulteriormente con norme regolamentari, ancorché “cedevoli” (cfr. i pareri dell’Adunanza generale di questo Consiglio di Stato nn. 1 e 5 del 2003).

6.4. La Sezione rileva che quella dell’immigrazione appare configurarsi come una “materia”, ai sensi del secondo comma dell’art. 117 Cost., il cui ambito può essere sufficientemente definito in relazione al suo specifico contenuto.
Esso ricomprende, in linea di massima, il complesso delle misure atte a definire, da un lato, le condizioni per l’ingresso nel territorio nazionale, per la loro permanenza, per la loro espulsione, dall’altro il sistema dei diritti degli stranieri immigrati, le loro opportunità, i sistemi di integrazione sociale, previdenza, assistenza, ovvero la “condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea” nella (sola) misura in cui essa può essere differenziata da quella dei cittadini italiani o di altro Paese dell’Unione, nel rispetto dei principi e delle norme che la Costituzione riferisce agli individui e non ai soli cittadini dello Stato.
Si tratta, in altri termini, di un complesso organico di norme che, se da una parte è volto ad assicurare una serie di garanzie al sistema nazionale, dall’altra disciplina e favorisce l’integrazione sociale degli immigrati.

6.5. Alla stregua di tale delimitazione della “materia” dell’immigrazione, essa non sembra potersi ricondurre ad un settore “trasversale”, abilitativo all’esercizio della potestà legislativa anche in materie connesse, secondo i canoni della giurisprudenza costituzionale applicabili ad altri settori dell’ordinamento (primo fra tutti, la tutela dell’ambiente di cui alla lettera s) dello stesso comma: cfr., pur se con esiti diversi, C. cost., n. 407 e n. 536 del 2002) che giungano a delineare “una sorta di materia «trasversale», in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale”.
In particolare, nel caso dell’immigrazione appare difficile ricondurre gli effetti della trasversalità sino a configurare un “valore costituzionalmente protetto” il quale – come accade invece per la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema nella sentenza n. 536 del 2002 – esprima a tal punto “una esigenza unitaria” da porre “un limite agli interventi a livello regionale che possano pregiudicare gli equilibri” e da legittimare lo Stato a “dettare standards di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale anche incidenti sulle competenze legislative regionali ex art. 117 della Costituzione”.

6.6. Pur se non costituisce propriamente un settore “trasversale”, tuttavia la “materia” dell’immigrazione si proietta comunque su ambiti materiali che normalmente vengono considerati di competenza regionale, sino a ricomprenderli all’interno della materia di competenza esclusiva dello Stato, in ragione della prevalenza dei profili ad essa inerenti. Tale proiezione avviene, soprattutto, riguardo all’esercizio di funzioni (e delle relative risorse) che spesso vedono impegnati i livelli di governo diversi da quello statale.
Occorre, allora, rilevare in concreto la sussistenza di un potere regolamentare dello Stato nelle norme dello schema che incrociano competenze proprie delle Regioni, evidenziandone la connessione “assorbente” con le materie di competenza esclusiva statale sopra ricordate, richiedendo se del caso un ulteriore sostegno motivazionale e soprattutto risolvendo, comunque, i problemi di coordinamento con le Regioni sul versante delle funzioni amministrative.
In altri termini, pur trattandosi di “materia” e non di “settore trasversale”, la normativa sull’immigrazione può ricomprendere – e quindi rendere oggetto di un regolamento statale – anche ambiti di competenza regionale, purché la loro disciplina, in quanto materia “di confine”, sia funzionale alla regolamentazione organica della materia medesima.
La “capacità di assorbimento” della competenza normativa statale nel caso in esame appare ancora più evidente che in altri casi pure riconosciuti dalla recente giurisprudenza della Corte costituzionale, a partire dalla sentenza n. 303 del 2003, poiché la materia assorbente – quella dell’immigrazione, ma anche quelle dell’asilo e della condizione giuridica dei cittadini extracomunitari – rientra in questo caso nella competenza normativa esclusiva dello Stato.

6.7. Quanto sopra affermato non esclude la necessità – rilevata dalla medesima giurisprudenza costituzionale (cfr. soprattutto, oltre alla sent. n. 303 del 2003, la sent. n. 6 del 2004) – di risolvere il potenziale conflitto tra competenze normative statali e regionali trasferendo, in coerenza con il sistema delineato dalla legge, la necessità di un coordinamento e di una leale collaborazione dalla potestà legislativa all’esercizio delle funzioni amministrative.
Quando, infatti, l’esercizio del potere legislativo statale – ancorché esclusivo – impinge in modo significativo sulla competenza regionale, il criterio procedurale dell’accordo (di cui alla citata sentenza n. 303) e quello amministrativo del coordinamento diventano in qualche modo regole che si impongono o per una necessità riguardante la garanzia dei diversi soggetti istituzionali (accordo per la potestà legislativa) ovvero per la ragionevolezza delle scelte connesse con l’azione amministrativa.
Accanto a tale considerazione generale, esiste proprio nella materia dell’immigrazione un’attenzione speciale della Costituzione per il coordinamento delle iniziative statali con quelle di regioni ed enti locali, rendendo tali forme di coordinamento particolarmente significative e di fatto necessarie. Il già menzionato terzo comma dell’art. 118 Cost. afferma, infatti, che: “La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell'articolo 117”. Se, quindi, gli strumenti di coordinamento sono già possibili per tutte le materie in base alla legislazione ordinaria, appare evidente che l’esplicita menzione costituzionale di tale coordinamento in materia di immigrazione (lettera b) è il segno della speciale rilevanza che ad esso è attribuita dal legislatore costituzionale.

6.8. Occorre, allora, individuare i modi e le forme della disciplina di tale coordinamento, superando il rilevo del riferente Ministero dell’interno secondo cui, se essa non è prevista in sede legislativa, non è possibile prevederla neppure con fonti diverse.
Come è noto, la Corte costituzionale, nell’affermare una “concezione procedimentale e consensuale della sussidiarietà e dell’adeguatezza”, ha imposto come condizione per consentire un certo ampliamento della potestà legislativa dello Stato in materia concorrente la previsione con legge di adeguate forme di intesa “forte” tra Stato e Regioni, in una “disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese che devono essere condotte in base al principio di lealtà”.
A differenza che nei casi affrontati dalla recente giurisprudenza costituzionale, però, in quello di specie la “disciplina concertativa” si incardina in una materia di competenza esclusiva dello Stato, sia pure con le particolarità e le intersezioni con le funzioni regionali di cui si è detto.
Nella materia dell’immigrazione non si pone, quindi, il problema di ampliare in senso “verticale” la potestà legislativa dello Stato, condizionando la legittimità di tale ampliamento alla previsione legislativa del metodo del raccordo e dell’intesa per disciplinare una funzione amministrativa allocata per esigenze unitarie a livello centrale. Non si tratta di imporre alla legge statale concorrente, a condizione della sua stessa legittimità, di prevedere quale metodo per l’esercizio delle funzioni il raccordo mediante intesa con le Regioni. In linea di massima, nel settore in esame la potestà legislativa resta ricondotta a quella (esclusiva) statale anche in presenza di attività che vanno ad inerire in ambiti materiali rientranti sulla potestà legislativa regionale (semprechè non li si disciplini e non li si conformi con una completezza tale da reintrodurre una disciplina sostitutiva di quella complessiva regionale) quando è evidente l’intento di assicurare, con tale misura, i diritti degli immigrati in modo tendenzialmente unitario.
Ma, allora, le “forme di coordinamento fra Stato e Regioni” richieste dall’articolo 118, terzo comma, Cost., sembrano costituire – più che un contenuto essenziale della legislazione “di settore” (che resterebbe comunque libera di prevederle già a quel livello) – un elemento sicuramente opportuno per il funzionamento in concreto di un sistema regolato dalla potestà normativa esclusiva dello Stato ma, in parte, incidente su materia regionale. Tale elemento “di sistema” potrebbe, quindi, trovare ingresso con norma regolamentare, che nelle materie di competenza esclusiva resta affidata allo Stato: l’unica condizione posta dall’art. 118 è che le “forme di coordinamento” in questione siano comunque “disciplinate” da una “legge statale”, ma a tal fine sarebbe sufficiente che il regolamento preveda il ricorso a forme tipiche e già disciplinate da una fonte primaria (come, ad esempio, gli accordi di cui all’articolo 4 del decreto legislativo n. 281 del 1997: cfr. infra, il punto 17).

6.9. Alla stregua di quanto esposto, appare evidente che l’art. 118, terzo comma, Cost., non può essere inteso soltanto, come sembra fare la riferente amministrazione, nel senso che per l’introduzione di “forme di coordinamento” nella materia dell’immigrazione è necessaria la presenza di una norma di legge statale e che, nell’assenza, se ne può senz’altro prescindere, anche al di là dell’applicazione del principio di ragionevolezza.
Al contrario, la norma costituzionale – costituendo un indice della speciale rilevanza del coordinamento nella materia dell’immigrazione – sembra suggerire il ricorso a tali forme, quando le stesse non siano già imposte da una specifica norma di legge e le singole fattispecie evidenzino che in tal modo può pervenirsi a un risultato più efficace per i cittadini e gli immigrati, nonché ad una migliore utilizzazione delle risorse, secondo un criterio di ragionevolezza, sia nella fase della preparazione o progettazione delle iniziative, sia nella fase della loro realizzazione.
In qualche modo – quanto meno limitatamente a poteri partecipativi e di iniziativa – in tale direzione sembra già muoversi lo schema di regolamento in esame, di cui vanno però verificate le ulteriori potenzialità, assicurando che almeno in questa sede possano prevedersi forme di leale collaborazione laddove richiesto dall’intersezione della materia immigrazione con materie di specifica competenza regionale.
L’introduzione di tale elemento non può che rafforzare l’esercizio del potere regolamentare dello Stato nelle norme dello schema che incrociano competenze proprie delle regioni, laddove una diversa interpretazione potrebbe, invece, evidenziare un vizio di legittimità della norma primaria, per violazione dell’art. 118, co. 3, nella parte in cui non ha previsto, irragionevolmente, il coordinamento necessario.

6.10. Alla stregua di quanto sopra esposto, possono essere tratte le seguenti conclusioni:
a) si può ritenere, ad avviso della Sezione, che la materia “immigrazione” si estenda anche a profili strettamente connessi con materie rientranti nella competenza (concorrente o residuale) delle Regioni, con il limite che le materie introdotte non pongano in essere una disciplina che dia una regolamentazione sostanzialmente esaustiva delle scelte regionali, o comunque lesiva del complesso significativo di tali scelte regionali e della relativa autonomia;
b) sembra, pertanto, potersi affermare che, sussistendo la competenza primaria, sussista anche il potere regolamentare;
c) nel regolamento possono trovare ingresso forme di coordinamento o di accordo con le Regioni e gli enti locali; tali forme, anche in mancanza di una previsione legislativa, non sono illegittime ed appaiono anzi opportune tutte le volte che la fattispecie posta in essere appaia capace di incrociare in modo significativo le scelte regionali;
d) in tali casi potrà, peraltro, farsi ricorso alle forme di coordinamento già previste in via generale dalla disciplina statale (d. lgs. n. 281 del 1997).

7. Un’ulteriore considerazione di ordine generale va effettuata in relazione alla possibilità, per un intervento di fonte regolamentare, di introdurre nuovi oneri amministrativi in capo ai destinatari della normativa.
Alcune previsioni dello schema in oggetto sembrano, infatti, introdurre adempimenti o requisiti non necessari al perseguimento delle finalità legislative (cfr. ad esempio, infra, ai punti 10, 13, 15 e 16). Ciò sia nel caso esse siano il frutto dell’esercizio dell’autonomo potere di normazione secondaria proprio del Governo, sia nel caso dispongano l’attuazione del dettato legislativo seguendo un’opzione più onerosa di quella che sarebbe stato possibile esercitare.
La Sezione ritiene che le norme suddette possano violare una regola generale che ha un valore assoluto di principio e che acquista un valore più pregnante quando vengono in rilievo veri e propri diritti dei cittadini stranieri.
Pertanto, gli oneri amministrativi introdotti dallo schema andranno espunti nel caso in cui, senza un effettivo fondamento legislativo, possano comprimere la sfera d’azione dei destinatari sino ad incidere sulla loro condizione giuridica.
Inoltre, anche laddove non si incida su diritti, le modificazioni apportate in ragione dell’autonoma potestà regolamentare del Governo devono comunque conformasi il più possibile al generale principio del buon andamento dell’attività amministrativa di cui all’art. 97 Cost., che si manifesta anche attraverso un principio di semplificazione, o almeno di “non aggravamento”, degli oneri amministrativi cui deve ispirarsi il procedimento, senza imporre atti o comportamenti non strettamente necessari a carico dei privati destinatari degli interventi o delle stesse pubbliche amministrazioni tenute ad attuare la nuova normativa.
In altri termini, nell’esame del testo, per le innovazioni che non si fondano su una espressa disposizione legislativa della l. n. 189 del 2002 e in generale laddove si rinvengano oneri procedimentali non direttamente imposti dall’attuazione della legge, va verificato se essi possano incidere sui diritti della persona e se per essi sussista una congrua giustificazione sotto il profilo della ragionevolezza.

8. Un’ultima osservazione preliminare va formulata in relazione alla tecnica redazionale dello schema in oggetto.
L’intervento, che si compone di 44 articoli, non contiene norme a sé stanti, ma soltanto sostitutive di disposizioni del d.P.R. n. 394 del 1999.
Questa Sezione condivide la tecnica di drafting utilizzata che, conformandosi alle più recenti raccomandazioni in materia, reca la sostituzione di interi articoli o commi del testo novellato, invece che indicarne soltanto le aggiunte, le modificazioni o le soppressioni.
Considerato, però, che svariati articoli del d.P.R. n. 39 del 1999 non vengono modificati dallo schema in esame, per cui di essi non vi è traccia nell’intervento di novella, e che quindi non vi è corrispondenza tra la numerazione degli articoli dello schema e quella degli articoli del d.P.R. novellati, si rappresenta la necessità di ripubblicare al più presto un testo unificato del d.P.R. n. 394 del 1999 come risulterà modificato e integrato dalla nuova disciplina.

9. Venendo all’esame dell’articolato, una prima osservazione riguarda la disposizione dell’articolo 1 dello schema, concernente l’accertamento della condizione di reciprocità.
Come è noto, l’accertamento di tale condizione, specie in riferimento alle persone fisiche, nella fase precedente alla riforma prevista dalla legge n. 40 del 1998 ha costituito un ostacolo rilevante all’integrazione degli immigrati regolarmente soggiornanti, spesso impedendo loro l’accesso alle professioni, al lavoro autonomo, a borse di studio universitarie ecc.
Per ovviare a questi inconvenienti, prendendo atto della contraddizione esistente tra l’avvio di politiche di integrazione e la persistenza della norma dell’articolo 16 delle disposizioni preliminari al codice civile, l’articolo 2 del t.u. n. 286 del 1998, accanto all’affermazione del godimento dei diritti in materia civile a favore degli stranieri regolarmente soggiornanti, ha disposto che nei casi in cui “il presente testo unico o le convenzioni internazionali prevedano la condizione di reciprocità essa è accertata secondo i criteri e le modalità previste dal regolamento di attuazione”.
La suddetta disposizione, non modificata dalla legge n. 189 del 2002, va quindi letta, se non come una implicita abrogazione dell’articolo 16, come una limitazione della possibilità di applicazione della condizione di reciprocità ai soli casi in cui essa è richiamata dalle norme del testo unico, che disciplina esaustivamente la materia dei diritti civili degli stranieri, o dalle convenzioni internazionali.
In questo senso, l’articolo 1 del regolamento approvato con d.P.R. 394 del 1999, specificava che per le “persone fisiche straniere” l’accertamento della condizione era consentito nei soli casi previsti dal testo unico, in tal modo chiarendo che dalla nuova disciplina restavano escluse le persone giuridiche, ma confermando l’intento di restringere l’area applicativa della condizione di reciprocità.
In questo quadro, e anche alla stregua dei principi interpretativi esposti retro, al punto 7, la modifica introdotta dall’articolo 1, comma 1, primo periodo del nuovo regolamento appare contrastare con la disposizione, di rango primario, dell’articolo 2 del testo unico, ancora vigente nella originaria formulazione, laddove, nel disciplinare le modalità di accertamento della condizione di reciprocità, si riferisce non solo ai casi previsti dal testo unico, ma aggiunge a questi quelli previsti “da altre disposizioni di legge”, in tal modo consentendo l’accertamento della condizione anche in tutte quelle fattispecie nelle quali, in base alle norme di settore previgenti, era possibile richiamare la condizione di reciprocità, che si era inteso invece implicitamente abrogare con la previsione dell’articolo 2 del testo unico.
Per questa via, sembra quindi che si persegua una reintroduzione generalizzata, con norma regolamentare, della condizione di reciprocità, e quindi di ostacoli e incertezze applicative all’affermazione del principio di uguaglianza nel godimento dei diritti civili, affermato dal testo unico all’articolo 2, oltre che dalla giurisprudenza costituzionale.
La Sezione è, pertanto, dell’avviso che dall’articolo 1, comma 1, primo periodo dello schema, debba essere espunto l’inciso: “, ovvero da altre disposizioni di legge”.

10. L’articolo 2 dello schema modifica l’articolo 2 del d.P.R. n. 394 del 1999, relativo ai rapporti con la pubblica amministrazione e al riconoscimento dei certificati.
In relazione a tale articolo la Sezione formula le seguenti osservazioni:
- al comma 2, il termine “legalizzazione” appare utilizzato in questa sede – come pure in altre disposizioni dello schema – in senso atecnico ed improprio. Esso è, infatti, riferito dal t.u. sulla documentazione amministrativa n. 445 del 2000 soltanto a firme o fotografie (artt. da 30 a 34), non ad interi certificati. Il testo attualmente vigente si limita, invece, ad un’opera di “autenticazione”, da parte dell’Autorità consolare italiana, avente ad oggetto soltanto la traduzione in lingua italiana dei certificati o attestazioni rilasciati dallo Stato estero. In assenza di ulteriori elementi, appare necessario che, in luogo del generico termine “legalizzazione”, l’ulteriore attività di accertamento prevista dalla novella a carico delle Autorità italiane sia descritta espressamente (come peraltro accade a pagina 3 della relazione), chiarendo le attività svolte dagli uffici del Ministero degli esteri;
- al comma 2-bis, il regolamento prevede, come casi di impossibilità di documentazione mediante certificati o attestazioni, quello della “mancanza di un’autorità riconosciuta” e quello della “non affidabilità dei documenti”. Tale seconda previsione appare eccessivamente generica e sembra attribuire all’autorità amministrativa una discrezionalità valutativa di ampiezza non prevista dalla legge, che all’articolo 4, comma 2, parla espressamente di “documentazione falsa o contraffatta” e non semplicemente “non affidabile”;
- sempre al comma 2-bis, la Sezione ritiene condivisibile l’osservazione, riportata tra gli allegati del parere della Conferenza Unificata, che ritiene eccessivo porre interamente a carico degli interessati le spese per le verifiche integrative sulla certificazione delle Autorità straniere. Appare quindi opportuno sostituire l’inciso “effettuate a spese degli interessati” con quello “prevedendo una compartecipazione delle spese da parte degli interessati”;
- al comma 2-ter, lo schema regolamentare limita l’applicazione di una norma di rango legislativo qual è l’articolo 33, comma 4, del t.u. sulla documentazione amministrativa n. 445 del 2000, il quale prevede che “le firme sugli atti e documenti formati nello Stato e da valere nello Stato, rilasciati da una rappresentanza diplomatica o consolare estera residente nello Stato, sono legalizzate a cura delle Prefetture”. La relazione allo schema – anche in questo caso, ad integrazione di quanto disposto dalla legge n. 198 del 2002 – ritiene tale procedimento “a rischio della certezza della stessa documentazione”, assumendo che, “in taluni casi, gli uffici consolari e diplomatici non sono autorizzati, in base alla propria normativa nazionale ad emettere atti”. L’esigenza contenuta nella motivazione – che sembra potersi realizzare con le ordinarie regole di coesistenza delle diverse fonti nell’ordinamento – conduce, in realtà, nell’articolato ad una conseguenza ulteriore, e non giustificata, che ribalta i termini della questione e di fatto elude la norma primaria del t.u. sulla documentazione, prevedendone l’applicazione del “solo in presenza di accordi internazionali vigenti per l’Italia che così prevedano” (accordi che la stessa relazione riconosce come non ancora adottati, comportando così la piena disapplicazione della norma primaria). La Sezione ritiene, quindi, necessario, espungere il comma in questione, ovvero consentire in ogni caso l’operatività della norma del t.u. sulla documentazione amministrativa salvo che (come afferma la relazione) non vi sia un divieto espresso previsto dalla normativa di uno Stato estero, individuato dal Ministero degli esteri e comunicato al Ministero dell’interno.

11. L’unica modifica sostanziale introdotta dall’articolo 3 dello schema all’articolo 3 del d.P.R. n. 394 del 1999 (che disciplina le comunicazioni allo straniero) è quella relativa al suo comma 3.
Innanzitutto, non appare chiaro (né la relazione lo spiega) perché si sopprima interamente l’ultimo periodo del comma della versione precedente, lasciando così non disciplinati i casi del diniego del visto di ingresso o di reingresso.
La spiegazione potrebbe rinvenirsi – ma non giustificarsi – nell’intento di sopprimere il riferimento alla sintesi in lingua araba (nel qual caso sarebbe stato, allora, sufficiente riprodurre il periodo sopprimendo soltanto tale riferimento).
In realtà, anche l’esclusione di ogni riferimento ad un documento in lingua araba, rispetto alla normativa regolamentare vigente, appare alla Sezione non ragionevole, né fondata su un’analoga previsione legislativa. Va, pertanto, reintrodotto l’intero periodo finale del comma 3 dell’articolo 3 nella dizione ora vigente, anche in considerazione dell’entità e della rilevanza della presenza di immigrati di lingua araba nel nostro Paese.

12. In relazione all’articolo 4 dello schema, che novella l’articolo 5 del d.P.R. n. 394 del 1999 sul rilascio dei visti di ingresso, appare opportuno segnalare l’utilità di inserire, nel comma 4 del testo ora vigente – per il quale non si prevedono modifiche – un inciso secondo cui le “adeguate forme di pubblicità” dei requisiti e delle condizioni per l’ottenimento dei visti sono assicurate, da parte delle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane, “anche in forma elettronica” e si riferiscono a “tutti” i requisiti necessari. Tale inserimento si adeguerebbe, peraltro, alla commendevole prassi già seguita da molti uffici diplomatici.

13. Un’osservazione di tipo preclusivo va, invece, formulata in relazione all’articolo 5 dello schema, laddove introduce nuovi requisiti per i visti per ricongiungimento familiare all’articolo 6, comma 1, lettere d) e g) del d.P.R. n. 394.
Il regolamento prende le mosse dall’articolo 29, comma 1, lettera b), del t.u. n. 286 del 1998, che prevede il ricongiungimento con i figli minori “a carico” (tale lettera non è stata modificata dalla legge n. 189 del 2002). A fronte di tale dettato legislativo, lo schema in oggetto introduce invece, alla lettera d) del comma 1, un nuovo requisito a carico del richiedente rispetto a quelli già richiesti dalla vigente normativa attuativa per i visti relativi ai ricongiungimenti familiari. Tale requisito consiste nella necessaria presentazione della “documentazione attestante il sostegno economico fornito dal cittadino straniero residente in Italia al familiare residente all’estero del quale viene richiesto il ricongiungimento, verificata dallo Sportello unico”.
La Sezione ritiene che tale lettera – su cui anche la Conferenza Unificata si esprime in senso contrario – debba essere espunta dallo schema in esame.
Sul punto, appare necessario ricordare che la Corte costituzionale, in alcune delle pronunce più significative in materia di immigrazione, ha qualificato tale posizione soggettiva quale “diritto fondamentale” (cfr. le affermazioni contenute nelle sentenze nn. 28 del 1995 e 203 del 1997). Accanto a questo dato formale, è evidente come il ricongiungimento familiare rappresenti il miglior veicolo per l’effettiva integrazione dell’immigrato, che proprio attraverso i legami familiari ricostituiti sul territorio italiano riesce a sottrarsi all’emarginazione spesso indotta dalla sua condizione.
In questo senso, la legge n. 40 del 1998 e poi il testo unico avevano previsto la riforma della procedura per il conseguimento del visto (con il silenzio-assenso previsto dall’articolo 29, comma 8, del t. u.) e provveduto ad indicare all’articolo 29, comma 3, del testo unico, i requisiti espressamente richiesti, in relazione all’alloggio e al reddito. La materia è quindi interamente regolata dalla fonte legislativa ed il regolamento ora vigente (articolo 6, comma 1, del d.P.R. n. 394) si limita a richiamare le relative prescrizioni di legge.
Di fronte a tale, non modificato, assetto delle norme di rango primario, l’articolo 5 del nuovo regolamento introduce i descritti, ulteriori adempimenti che non trovano giustificazione trattandosi di un diritto fondamentale e tenuto conto della riserva di legge in tema di condizione dello straniero.
Tali oneri aggiuntivi non appaiono coerenti neppure con il principio di buon andamento descritto retro, al punto 7, poiché, in assenza di modifiche sul piano legislativo, rendono di fatto inutilmente più oneroso, sino a comprimerlo, il diritto al ricongiungimento e all’unità familiare, e in alcuni casi addirittura lo contrastano di fatto (si pensi al caso in cui il minore “a carico” sia temporaneamente mantenuto, nel Paese di origine, dai familiari dell’immigrato in Italia, al fine di permettere a quest’ultimo di assicurare l’alloggio e quel sostegno economico propedeutici, anche di fatto, al ricongiungimento ai sensi delle lettere b) e c) dello stesso comma 1 dell’attuale d.P.R. n. 394: in questo caso, imporre dei trasferimenti di somme alla famiglia di origine può risultare incompatibile con il rinvenimento degli altri requisiti essenziali per il ricongiungimento familiare).
Nello stesso senso, suscita perplessità anche la nuova lettera g) del comma 1 che lo schema si propone di introdurre, imponendo la presentazione della “documentazione concernente la condizione economica nel Paese di provenienza dei familiari a carico di cui all’articolo 29, comma 1, lettere b-bis) e c) del testo unico, prodotta dalle locali autorità o da soggetti privati, valutata dall’autorità consolare alla luce dei parametri locali”.
Il testo della disposizione, oltre a risultare eccessivamente generico e come tale passibile di applicazioni gravemente difformi da parte dei singoli uffici, appare non fondarsi sul dettato normativo che richiede, per le citate lettere b-bis) e c), che lo stato di indigenza economica non sia considerato in sé, ma rapportato a “documentati gravi motivi di salute”, che costituiscono quindi l’effettivo oggetto delle attestazioni.

14. All’articolo 9 dello schema, che novella l’articolo 9 del d.P.R. n. 394, relativo alla richiesta di permesso di soggiorno, la Sezione rileva che, al comma 1, se la scelta tra presentazione al Questore o sportello unico è libera (come sembra potersi ricavare dalla relazione di accompagnamento), allora appare necessario unificare le procedure retrostanti alle due strutture di contatto con i privati, prevedendo comunque l’invio da parte dello sportello al questore, senza ulteriori oneri per l’interessato.
Al comma 1-quater dello stesso articolo, appare opportuno inserire espressamente un termine ragionevole entro il quale i codici fiscali si possono considerare “non consegnati” e vanno quindi annullati.

15. L’articolo 11 dello schema novella l’articolo 11 del d.P.R. n. 394, relativo al rilascio del permesso di soggiorno.
La Sezione – mentre ritiene opportuna l’introduzione (con lettere da c-bis) a c-sexies) di nuove cause di rilascio del permesso di soggiorno) – è dell’avviso che la lettera c-bis) limiti, senza ragione, il diritto di ingresso per partecipare al processo penale a carico dell’imputato straniero, sia in relazione al tempo di permanenza sia in relazione al tipo di reati, poiché la possibilità di soggiorno viene riferita solo ai reati di cui all’articolo 380 c.p.p.. Va invece riaffermata – anche alla stregua della giurisprudenza della Corte costituzionale sul punto – la necessità di garantire in modo pieno ed effettivo il diritto di difesa in questi casi, senza apporvi limiti, peraltro con norme regolamentari.
Appare, inoltre, questa la sede per suggerire al Ministero l’opportunità di valutare l’inserimento anche di altri casi non contemplati dalla disciplina di fonte primaria ma comunque meritevoli di una disciplina ad hoc: è nota, ad esempio, la lacuna giuridica relativa alla situazione dei giovani, figli di genitori stranieri senza permesso di soggiorno, la cui presenza nel territorio italiano è, di fatto, possibile per sino al compimento del 18° anno di età, consentendosi anche la frequenza nelle scuole dell’obbligo, per la quale non è richiesto lo stato di famiglia. Appare, in questi casi, quantomai opportuno prevedere ulteriori forme di regolarizzazione di posizioni di giovani ormai inseriti nella società nazionale, ovviamente laddove sussistano gli elementi di tale inserimento (ad esempio, la regolare frequenza per uno o due anni delle scuole italiane) e facendo salve tutte le cautele del caso.

16. All’articolo 12 dello schema, che novella l’articolo 13 del d.P.R. n. 394 sul rinnovo del permesso di soggiorno, appaiono condivisibili i rilievi critici della Conferenza Unificata, secondo cui comporta un arretramento dell’intera normativa e un aggravio burocratico e di spese di gestione di tutto il sistema l’estensione della procedura del contratto di soggiorno presso gli sportelli unici per l’immigrazione anche per tutti coloro che devono rinnovare un permesso di soggiorno per lavoro subordinato ottenuto anteriormente alla legge n. 198 del 2002, nonché per ogni variazione del rapporto di lavoro subordinato, laddove la medesima legge n. 198 potrebbe essere interpretata in modo tale da prevedere la stipula di un contratto di soggiorno solo ai fini del primo rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato e dei successivi rinnovi di quelli ottenuti attraverso questa procedura.
Appare, inoltre, condivisibile la proposta modificativa effettuata da uno dei documenti allegati (senza intestazioni) al parere della Conferenza Unificata (pag. 4), che mira ad introdurre un regime semplificato per il rinnovo del permesso di soggiorno.
In particolare, la Sezione fa propria l’osservazione di inserire, nel nuovo comma 2-bis, una disposizione secondo cui il rinnovo del permesso in questione presuppone, “nel caso di lavoratore straniero con rapporto di lavoro sorto anteriormente all’applicazione dell’art. 5-bis del testo unico, la sussistenza della dichiarazione e dell’impegno di cui all’art. 8-bis del presente regolamento”.
In tal modo, pur nel rispetto della nuova disciplina del contratto di soggiorno per lavoro, si terrebbe conto di situazioni di integrazione ormai pacifiche e consolidate, evitando di imporre oneri amministrativi che in questo caso non appaiono direttamente funzionali al perseguimento delle finalità della riforma.
Parimenti condivisibili, ad avviso della Sezione, appaiono le proposte di completare il suddetto regime semplificato sopprimendo, al comma 3, le parole successive a “quale ricevuta” ed aggiungendo due commi, 3-bis e 3-ter, all’articolo 13 del d.P.R. n. 394, secondo i quali:
- “ 3-bis. In sede di presentazione della richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno è sufficiente l’attestazione da parte della rappresentanza diplomatica o consolare dello Stato di appartenenza che lo straniero ha presentato domanda per il passaporto o altro documento di viaggio e che la stessa risulta pendente. L’esibizione del passaporto o altro documento di viaggio è richiesta solo ai fini del rilascio del rinnovo del permesso di soggiorno”;
- “3-ter. Sino alla comunicazione dell’eventuale provvedimento di diniego del permesso di soggiorno lo straniero può proseguire il rapporto o i rapporti di lavoro in corso e può instaurare nuovi rapporti di lavoro se ciò è ammesso dalle norme vigenti per il tipo di permesso di cui ha chiesto il rinnovo”.
Le semplificazioni suddette, coerenti con l’assetto legislativo della materia, appaiono inoltre idonee a produrre effetti positivi non soltanto per i privati, italiani e stranieri, ma anche per le amministrazioni pubbliche, alla stregua del principio generale di buon andamento. Difatti, in tal modo si consente ad esse di concentrare le proprie risorse umane e organizzative sui casi nuovi e su quelli che richiedono maggiore lavoro istruttorio, evitando dispersioni relative al riesame di situazioni meno delicate e maggiormente consolidate e conseguenti, gravi ritardi a carico di soggetti da tempo integrati nel Paese e dei loro datori di lavoro.
Per le stesse ragioni qui esposte, la Sezione è dell’avviso che debba essere espunto il comma 1 dall’articolo 32 dello schema, che introduce un articolo 36-bis nel d.P.R. n. 394 – imponendo, con un onere amministrativo di cui non si ravvede la necessità e che si pone, anzi, in contrasto con il principio di flessibilità e di mobilità dei lavoratori – che “per l’instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro … deve essere sottoscritto un nuovo contratto di soggiorno per lavoro, anche ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno, di cui all’articolo 13”.
Questo Consiglio di Stato raccomanda, altresì, l’adozione, in questo e in altri articoli analoghi (tra cui in particolare gli artt. 17 e 36-bis del d.P.R. n. 394), di ulteriori misure di semplificazione, anche con il ricorso a strumenti telematici, che possano alleggerire il carico di lavoro degli Sportelli unici per l’immigrazione in casi come quelli di cui al presente articolo. Ad esempio, appare ragionevole ipotizzare il ricorso, per situazioni in cui i dati dei cittadini stranieri siano da tempo in possesso anche delle Autorità locali (ad esempio, in caso di cittadini residenti da almeno un dato numero di anni), all’apporto informativo ed elettronico degli uffici pubblici comunali per le procedure amministrative, che potrebbero gestire informaticamente e quasi automaticamente, su mero impulso dello Sportello, i dati relativi alle situazioni davvero “fisiologiche”, quali ad esempio i rinnovi di permessi e di carte di soggiorno successivi alla seconda o terza reiterazione. Andrebbe, ovviamente, fatta comunque salva la sussistenza di ragioni di particolare cautela, oltre che la possibilità di avocare immediatamente la trattazione della pratica informatizzata per motivi di ordine pubblico.

17. Un’unica, articolata osservazione deve, poi, essere formulata per tutti quei casi in cui è stata richiesta, in sede di Conferenza Unificata, l’intesa delle Regioni in materia di:
- definizione delle quote di ingresso per motivi di lavoro (articolo 23 dello schema e 29 del d.P.R. n. 394);
- predisposizione e svolgimento dei programmi che prevedano attività di istruzione e di formazione professionale nei Paesi di origine, la partecipazione ai quali costituisce titolo di prelazione sulle quote di ingresso (articolo 29 dello schema e 34 del d.P.R. n. 394);
- svolgimento di periodi temporanei di addestramento presso datori di lavoro per motivi di formazione professionale (articolo 37, comma 9 dello schema e 40, comma 9, del d.P.R. n. 394);
- limitazione degli ingressi per motivi di formazione professionale o di riconoscimento delle qualifiche professionali acquisite mediante la fissazione di quote annuali stabilite con decreto del Ministero del lavoro (articolo 40 dello schema e 44-bis del d.P.R. n. 394).
In tutti questi compiti appare particolarmente significativa l’interferenza della materia-immigrazione con materie tipiche delle competenze, normative e amministrative, Regionali o locali.
In relazione ad essi, il parere negativo della Conferenza Unificata ha chiesto la previsione di un obbligo di intesa con le Regioni e, comunque, l’introduzione di forme di coordinamento tra lo Stato (che secondo lo schema resta, invece, l’unico punto di riferimento per queste materie) e le Regioni. Ad esempio, in relazione all’articolo 29 dello schema si era anche proposta la introduzione della possibilità, per le Regioni, di sottoscrivere convenzioni con il Ministero per la promozione di programmi di istruzione e formazione che valorizzino i fabbisogni locali.
Come si è più ampiamente detto retro, al punto 6, in questi casi – contrariamente a quanto ritenuto dal Ministero riferente – sembra configurabile la previsione, con regolamento, di forme di coordinamento tra lo Stato e le Regioni.
Quanto alla scelta di una specifica forma di tale coordinamento tra le tipologie generali previste dal d.lgs. n. 281 del 1997, la Sezione ritiene che sia preclusa quella della “intesa” – pure richiesta specificamente dal parere della Conferenza Unificata – di cui all’art. 3 del suddetto decreto legislativo. Difatti, il comma 1 di quella norma dispone espressamente che le relative disposizioni “si applicano a tutti i procedimenti in cui la legislazione vigente prevede un’intesa nella Conferenza Stato-Regioni”, con ciò imponendo, per l’intesa, un fondamento di rango legislativo che nella fattispecie non sussiste.
Del tutto opposto è, invece, il discorso relativo agli accordi di cui all’articolo 4 dello stesso d.lgs. n. 281 del 1997, il cui dettato generale si attaglia efficacemente a tutti i casi sopra elencati, laddove si dispone che “Governo, Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano, in attuazione del principio di leale collaborazione e nel perseguimento di obiettivi di funzionalità, economicità ed efficacia dell’azione amministrativa, possono concludere in sede di Conferenza Stato-Regioni accordi, al fine di coordinare l’esercizio delle rispettive competenze e svolgere attività di interesse comune”.
Questa ricostruzione esegetica appare confermata dal diverso trattamento che, nello stesso terzo comma dell’art. 118 Cost. (più volte richiamato retro, al punto 6), viene riservato alle materie dell’immigrazione e dell’ordine pubblico (lettere b e h) – per le quali ci si limita a disporre che “La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni”, lasciando un’ampia discrezionalità attuativa alla disciplina di settore – e la materia della tutela dei beni culturali, per la quale invece lo stesso comma tipizza anche la forma di intervento ed afferma che la legge “disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento” nella materia, con un riferimento costituzionale esplicito e vincolante al ricorso a “forme di intesa”.
Ad avviso di questo Consiglio di Stato, il più flessibile strumento di coordinamento costituito dall’accordo Stato-Regioni ben può – e nei casi indicati deve – essere introdotto dallo schema di regolamento in oggetto nei casi suindicati, prevedendo il tentativo di conclusione dell’accordo in via necessaria e non facoltativa, in coerenza con la necessità che il coordinamento assuma comunque una forma “forte”, secondo la terminologia utilizzata dalla recente giurisprudenza costituzionale (cfr. sent. n. 303 del 2003).
Resta, certo, aperta la possibilità che un accordo non venga raggiunto entro un tempo ragionevole: a differenza che per l’intesa, in questi casi il decreto legislativo n. 281 del 1997 – che prevede l’accordo come uno strumento di tipo facoltativo – non indica un procedimento per la ricomposizione del contrasto e profila la possibilità, per il Governo dello Stato, di adottare comunque le misure volute anche con il dissenso delle Regioni.
Tale eventualità va, pertanto, considerata anche nei casi di specie, in cui come si è visto non appare possibile prevedere una formale intesa in assenza di una disposizione legislativa ai sensi dell’articolo 3, comma 1, del d.lgs. n. 281.
Appare, però, evidente che l’adozione di una delle misure sopra indicate in assenza di accordo – pur se formalmente possibile – ne indebolirebbe inevitabilmente la forza di resistenza in una eventuale sede contenziosa, dinanzi al giudice amministrativo, sub specie di fondamento motivazionale del provvedimento adottato in carenza di assenso delle Regioni: in quel caso assumerebbero, allora, portata decisiva gli equilibri, le motivazioni e in generale la ragionevolezza sottostante all’una o all’altra posizione.
Appare, parimenti, consentito – e anche a questa osservazione il riferente Ministero dovrà adeguarsi, alla stregua di quanto affermato retro – il ricorso ad altre forme, ancora più flessibili, di coordinamento dei diversi livelli di Governo. Ad esempio, non si ravvisano ragioni per impedire la “possibilità” della stipulazione di “convenzioni” tra Regioni e Ministero per la promozione di programmi di istruzione e formazione che valorizzino i fabbisogni locali, come richiesto dalla parere della Conferenza Unificata (pag. 3) a proposito dell’articolo 29 dello schema di cui si è già detto. Peraltro, le Regioni possono già ora intraprendere tali attività di promozione anche in assenza di convenzioni con il Ministero, nell’ambito delle loro competenze e della loro riconosciuta capacità di diritto internazionale (cfr. artt. 5 e 6 della legge n. 131 del 2003): pertanto, la riconduzione di tali iniziative sotto l’egida di convenzioni con il Ministero appare garantire anche quest’ultimo e le sue esigenze di coordinamento unitario.

18. Un’ulteriore osservazione va svolta in relazione al delicato rapporto tra lo Sportello unico per l’immigrazione e gli uffici delle Autorità locali – che anche il parere della Conferenza unificata solleva espressamente riguardo alla situazione delle Regioni a statuto speciale e delle Province Autonome – in relazione agli articoli 22, 24 e 27 del testo unico e agli articoli 40 e 41 del d.P.R. n. 394.
La Sezione non può che evidenziare l’esistenza di una lacuna normativa sulla questione, in cui la composizione dello Sportello unico non tiene conto della circostanza che alcune competenze dello Sportello potrebbero essere attualmente esercitate da uffici regionali, provinciali o comunali, che invece non appaiono rappresentati nella struttura statale.
Particolarmente rilevante è, poi, la lacuna evidenziata dalla Conferenza Unificata, poiché non si tiene conto dell’esistenza che gli Statuti speciali prevedono, di regola, strutture regionali competenti nelle medesime materie e dotate di competenza esclusiva.
La questione richiede senza dubbio un approfondimento da parte del Governo, che dovrà anche considerare la proposta di inserimento di un articolo 30-septies prospettata dal parere della Conferenza Unificata (pag. 2 s.) ed in ogni caso valutare espressamente, dandone adeguata motivazione, la possibilità di integrare la composizione dello Sportello unico – che lo schema fonda tutta su funzionari di amministrazioni dello Stato – con funzionari delle Regioni o delle altre Autorità locali. In quella sede di approfondimento, un riguardo particolare dovrà essere fornito, come si è detto, alla situazione delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, che in quel territorio esercitano le funzioni che altrove sono esercitate dai funzionari statali la cui presenza viene assicurata nello Sportello medesimo.

19. La Sezione ritiene di dover evidenziare, tra le proprie osservazioni, la perplessità che suscita la mancata considerazione degli oneri per il bilancio dello Stato che deriverebbero dallo schema in oggetto, in particolare quelle relative al Comitato per i minori stranieri e – soprattutto – quelle relative alla messa a regime dello Sportello unico per l’immigrazione.
Di tale perplessità si fa carico anche la nota della Ragioneria generale dello Stato del 24 giugno 2003, prot. n. 77049, che impone quantomeno la necessità di integrare la relazione illustrativa del provvedimento in oggetto dando conto delle motivazioni che assicurerebbero l’invarianza della spesa.

20. Sono, altresì, da condividere – e vanno pertanto fatte proprie da questo Consiglio di Stato – le osservazioni contenute nella nota del Garante per la protezione dei dati personali del 4 marzo 2004, prot. 4888.

21. Restano, infine, aperte, e vanno ribadite come formali osservazioni, le questioni sollevate con il precedente parere interlocutorio cui il Ministero non ha fornito alcun cenno di risposta (cfr. retro, al punto 2, i profili di cui ai numeri 7) e 8) ).
La competente amministrazione dovrà, pertanto, nella stesura definitiva dello schema:
- esaminare, e darne espressamente conto nella relazione di accompagnamento, il problema delle eventuali interrelazioni tra lo schema in esame e quello concernente il “regolamento relativo alle procedure per il riconoscimento della status di “rifugiato”, in relazione al quale la Sezione ha emesso la pronuncia interlocutoria n. 200/04 del 26 gennaio 2004;
- pronunciarsi, anche qui almeno in sede di relazione, in ordine alla eventuale incidenza sul contenuto dello schema trasmesso sia delle pronunce della Corte costituzionale già emesse o di prossima emanazione che delle misure modificative dell’attuale normativa primaria di cui si prospetta l’adozione.

P.Q.M.

Nelle esposte considerazioni è il parere della Sezione.

Per estratto dal verbale
Il Segretario dell’Adunanza
(Elvio Piccini)

Visto:
Il Presidente della Sezione
(Alessandro Pajno)

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