Consiglio di Stato
Sezione Consultiva per gli Atti Normativi
Adunanza 31 gennaio 2005
N. della Sezione: 11996/2004

OGGETTO:Schema di decreto legislativo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori, a norma dell’art. 3 della legge 29 luglio 2003, n. 229.
Parere del consiglio di Stato - Sezione Consultiva per gli Atti Normativi
Adunanza del 31 gennaio 2005 N. della Sezione 11996/04
La Sezione

Vista la relazione prot. n. 98711/ 26/1/2 in data 1° dicembre 2005 pervenuta il 16 dicembre successivo, con la quale il Ministero del lavoro e delle politiche sociali chiede il parere in merito allo schema di regolamento in oggetto;
Esaminati gli atti e uditi i relatori ed estensori Consiglieri Alessandro Pajno, Carmine Volpe, Luigi Carbone, Roberto Chieppa, Roberto Garofoli e Carlo Deodato;
PREMESSO E CONSIDERATO:
1. Lo schema di decreto legislativo in esame sottopone al parere del Consiglio di Stato il testo di decreto legislativo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori, in attuazione della delega contenuta nell’art. 3 della legge 29 luglio 2003, n. 229 e in recepimento di alcune direttive comunitarie in materia.
Tale schema costituisce uno dei primi provvedimenti della nuova fase di codificazione finalizzata alla semplificazione e al riordino (ora denominato “riassetto”) normativo.
La prima anticipazione di tale processo si è avuta con lo schema di decreto legislativo concernente il “Codice dei diritti di proprietà industriale”, oggetto del parere n. 2/2004 del 25 ottobre 2004 dell’Adunanza generale del Consiglio di Stato.
Con parere n. 11602/2004, reso nell’adunanza del 20 dicembre 2004, la Sezione consultiva per gli atti normativi ha poi espresso il parere sullo schema di decreto legislativo recante il “Riassetto delle disposizioni vigenti in materia di consumatori – Codice del consumo”.
Rispetto ai due citati precedenti la peculiarità dello schema in esame è costituita dalla circostanza che il riassetto delle disposizioni vigenti riguarda una delle materie espressamente nominate dall’art. 117, comma 3, della Costituzione fra quelle di legislazione concorrente Stato – Regioni (“tutela e sicurezza del lavoro”, compresa nel citato comma 3 al pari della “tutela della salute”) , in cui la potestà legislativa spetta alle Regioni, salvo che per la determinazione dei principî fondamentali, riservati alla legislazione dello Stato.
Trattandosi del primo “Codice” concernente la disciplina di una materia di legislazione concorrente, assume particolare rilievo il parere della Conferenza unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 281 del 1997, che allo stato non risulta ancora essere stato acquisito.
Al riguardo va ricordato che costituisce orientamento pacifico, espresso dal Consiglio di Stato in sede consultiva, quello secondo cui il ruolo neutrale e di garanzia svolto dal Consiglio nell’esercizio della funzione consultiva rende necessario che il parere sia reso al termine del processo di redazione degli atti normativi, subito prima della determinazione finale del Consiglio dei Ministri o del Ministro, su uno schema definitivo, che abbia tenuto conto di tutti gli apporti endoprocedimentali interni al processo di formazione della decisione normativa (cfr. Cons. Stato, Sez. atti normativi, n. 106, 107, 108, 110, 117 e 145 del 1997; n. 3075 del 2004; principio confermato da ultimo dall’Adunanza generale nel citato parere del 25 ottobre 2004, in cui è stato anche rilevato che unica eccezione a tale regola può essere costituita dai pareri delle Commissioni parlamentari, laddove previsti, poiché tali avvisi costituiscono il frutto di una valutazione di natura ontologicamente differente da quella propria del parere del Consiglio di Stato).
Tale orientamento non può essere derogato in un caso, quale quello di specie, in cui il parere della Conferenza unificata è di particolare importanza perché attinente ad una materia che - come si è detto - rientra fra quelle di competenza concorrente Stato – Regioni.
Nel sospendere l’emissione del richiesto parere in attesa della trasmissione di quello della Conferenza unificata e delle eventuali successive modifiche allo schema di regolamento in oggetto, si formulano fin da ora le seguenti osservazioni sullo schema in esame, al fine di facilitare il compito di valutazione di alcuni degli aspetti in cui assume rilievo il riparto di competenze normative tra Stato e Regioni e di accelerare l’iter di redazione dello schema di decreto legislativo con riferimento ad altre questioni di centrale importanza nel delineato riassetto della disciplina in materia di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori.
2.1. La menzionata nuova fase di “codificazione” si caratterizza, rispetto ai “testi unici misti” di cui all’abrogato art. 7 della legge n. 50 del 1999, dall’abbandono dell’inclusione nei testi di disposizioni di rango regolamentare e dalla capacità innovativa attribuita al legislatore delegato.
Soprattutto con riferimento a tale ultimo aspetto, appare fondamentale individuare l’esatto limite della potestà legislativa statale in una materia di legislazione concorrente, tenendo conto nel contempo dei principî fissati dal legislatore delegante e della necessità di attuare le direttive comunitarie.
In primo luogo deve ritenersi che i criteri di delega fissati dall’art. 3 della legge n. 229 del 2003 debbano necessariamente essere letti alla luce del nuovo quadro costituzionale, introdotto a seguito della legge costituzionale n. 3 del 2001 e dei principî derivanti dalla giurisprudenza della Corte costituzionale.
Tale lettura “costituzionalmente orientata” è imposta non solo dall’espresso richiamo al “rispetto delle competenze previste dall'articolo 117 della Costituzione”, contenuto nel criterio di delega di cui alla lettera i) del comma 1 del citato art. 3, ma soprattutto in considerazione del principio di gerarchia delle fonti, che impone una interpretazione delle norme di rango primario compatibile con quelle costituzionali sovraordinate.
Va anche sottolineato come in presenza di una legge delega, in ipotesi ritenuta in contrasto con il quadro costituzionale, la valutazione del Consiglio di Stato, nella sede consultiva sugli atti normativi, non può estendersi alle scelte operate dal Parlamento in sede di delega, ma va limitata allo schema di decreto legislativo in oggetto, rappresentando al Governo gli eventuali punti di criticità e segnalando quelli direttamente risolvibili attraverso il testo in esame ed una attuazione secundum constitutionem della delega, e demandando ovviamente ogni ulteriore e decisiva valutazione alla Corte costituzionale (cfr. Cons. Stato, Sez. norm., n. 1354/2002 del 1° luglio 2002, in materia di fondazioni bancarie).
Ciò premesso, si ritiene che i criteri di delega contenuti nel citato art. 3 della legge n. 229 del 2003 non si pongano in contrasto con l’art. 117 della Costituzione, che affida al legislatore statale il compito di determinare i principî fondamentali nella materia in esame.
Si è infatti in presenza di criteri di delega che per lo più attengono ai principî fondamentali della materia, ad ambiti di legislazione esclusiva dello Stato (ad esempio, per le sanzioni penali) o alla ricognizione con mero riordino delle disposizioni di dettaglio vigenti, oltre che al necessario adeguamento alla normativa comunitaria.
Anche il criterio di cui alla lett. b) del citato art. 3, relativo alla determinazione delle misure tecniche ed amministrative, può essere ritenuto rientrante fra i principî fondamentali, se inteso quale attribuzione allo Stato del potere di determinare standards di tutela da garantire sull’intero territorio nazionale e non derogabili in peius dalle Regioni e di stabilire, in via generale, le modalità di tale determinazione.
2.2. All’indicato fine di agevolare la valutazione degli aspetti dello schema in esame che riguardano il rapporto di competenze normative tra Stato e Regioni, devono a questo punto essere precisati i limiti cui il legislatore (delegato) statale deve attenersi nell’attività di codificazione di una disciplina inerente ad una materia di legislazione concorrente.
E’ noto che il nuovo art. 117 della Costituzione ha configurato un modello di distribuzione delle competenze legislative fra Stato e Regioni diametralmente opposto rispetto a quello previsto anteriormente alla revisione del titolo V della Costituzione: il legislatore statale non vanta più una competenza generale, compressa solo nelle materie attribuite alla potestà piena o concorrente delle Regioni, ma è titolare del potere legislativo esclusivo nelle sole materie enumerate nel secondo comma dell’art. 117, mentre, nelle ulteriori materie indicate nel terzo comma, è riservata ad esso solo la determinazione dei principî fondamentali, restando affidata alle Regioni la disciplina di dettaglio.
Con le sentenze n. 282 del 2002 e n. 1 del 2004 la Corte costituzionale ha affermato che la nuova formulazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione induce a muovere «non tanto dalla ricerca di uno specifico titolo costituzionale di legittimazione dell’intervento regionale, quanto, al contrario, dalla indagine sulla esistenza di riserve, esclusive o parziali, di competenza statale», in quanto «la potestà legislativa dello Stato sussiste solo ove dalla Costituzione sia ricavabile un preciso titolo di legittimazione».
Nelle materie di legislazione concorrente l’art. 117 della Costituzione consente al legislatore statale e a quelli regionali di intervenire in una stessa materia, ponendo un vincolo negativo di contenuto alla legge statale, che deve prevedere solo norme di principio e un vincolo positivo di conformità alla legge regionale, che non può disattendere le norme statali di principio.
Nel previgente quadro costituzionale, la giurisprudenza costituzionale aveva ritenuto possibile che il legislatore statale dettasse disposizioni di dettaglio anche in materie di legislazione ripartita, sia pur riconoscendone, sulla base del principio di continuità, il carattere suppletivo e “cedevole” al sopraggiungere della legislazione regionale competente (Corte cost. n. 373 del 1995, n. 214 del 1985, n. 13 del 1974).
La stessa giurisprudenza affermava che le leggi regionali potevano essere abrogate, oltre che da leggi regionali sopravvenute, anche per effetto del sopravvenire di nuove leggi statali recanti norme di principio, con le quali la legge regionale (di dettaglio) preesistente fosse incompatibile secondo il meccanismo previsto dall’art. 10 della legge n. 62 del 1953; veniva anche ammesso che la legge statale, allorquando interveniva a modificare i principî di disciplina di una materia di competenza regionale (con effetto eventualmente abrogativo delle leggi regionali preesistenti divenute incompatibili, ai sensi del citato art. 10 della legge n. 62 del 1953), potesse altresì, al fine di garantire l’attuazione immediata dei nuovi principî, recare una normativa di dettaglio, immediatamente operativa, idonea a disciplinare la materia fino a quando non venisse sostituita da una legislazione regionale conforme ai nuovi principî (v. Corte cost., a partire dalla sentenza n. 214/1985: sentenze n. 226 del 1986, n. 165 del 1989, n. 378 del 1995, n. 425 del 1999, n. 507 del 2000, ordinanza n. 106 del 2001; entrambi i principî ribaditi, con riferimento al sistema precedente, da Corte cost. n. 376/2002).
Si è così verificato che in molte materie, pur attribuite alla competenza regionale, la mancanza di una compiuta disciplina dettata da leggi regionali ha fatto sì che continuassero a spiegare efficacia leggi statali previgenti, non solo come fonti da cui si desumevano i principî fondamentali vincolanti per le Regioni (secondo la previsione dell’art. 9, primo comma, della legge n. 62 del 1953, come modificato dall’art. 17 della legge n. 281 del 1970), ma anche come disciplina di dettaglio efficace in assenza dell’intervento del legislatore regionale.
Veniva infine ammesso che, anche in assenza di una specifica legge statale “cornice”, i principî potessero essere desunti dalla legislazione vigente e ciò al fine di non precludere, per effetto dell’inerzia statale, le competenze legislative delle Regioni; tale principio è stato ribadito dalla Corte anche con riferimento al quadro vigente, in cui “specie nella fase della transizione dal vecchio al nuovo sistema di riparto delle competenze, la legislazione regionale concorrente dovrà svolgersi nel rispetto dei principî fondamentali comunque risultanti dalla legislazione statale già in vigore” (Corte cost. n. 282/2002).
La Corte ha anche precisato che a seguito dell’entrata in vigore del nuovo Titolo V, parte II, della Costituzione, in base al principio di continuità, restano in vigore le norme preesistenti, stabilite in conformità al passato quadro costituzionale, fino a quando esse non vengano sostituite da nuove norme dettate dall’autorità dotata di competenza nel nuovo sistema, fermo rimanendo che le Regioni possono sollevare questione di legittimità costituzionale delle norme che siano ritenute in contrasto con le attribuzioni ora ad esse spettanti (Corte cost. n. 376/2002).
Al fine di adeguare l’ordinamento al mutato quadro costituzionale, l’art. 1 della legge n. 131 del 2003 ha conferito una delega al Governo per la ricognizione dei principî fondamentali della legislazione statale nelle diverse materie di competenza concorrente.
La legittimità di tale delega è stata vagliata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 280/2004, con cui è stata data una lettura “minimale” – ritenuta l’unica conforme a Costituzione – dell’oggetto della delega, in termini di “mera ricognizione” e non di innovazione-determinazione dei principî fondamentali vigenti. L’art. 1, comma 4, della legge n. 131 del 2003 è stato così ritenuto una norma dichiaratamente di “prima applicazione”, finalizzata a predisporre un meccanismo di ricognizione dei principî fondamentali, allo scopo esclusivo di “orientare” l’iniziativa legislativa statale e regionale, utilizzabile transitoriamente fino a quando il nuovo assetto delle competenze legislative regionali, determinato dal mutamento del Titolo V della Costituzione, andrà a regime, e cioè fino al momento della “entrata in vigore delle apposite leggi con le quali il Parlamento definirà i nuovi principî fondamentali”.
Date le reciproche implicazioni tra attività ricognitiva e attività di coordinamento normativo, la Corte ha assimilato tale delega a quella di compilazione dei testi unici – piuttosto frequenti a partire dalla legge 15 marzo 1997, n. 59 – per il coordinamento e la semplificazione di una pluralità di disposizioni vigenti in una determinata materia.
Con la stessa sentenza è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 5 e 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, perché con tali disposizioni il Governo era stato autorizzato, nella sostanza, ad operare una ricognizione dei principî di disciplina delle funzioni legislative statali di tipo “trasversale” attraverso un’attività ricognitiva che – secondo la Corte - rischiava di mascherare, in realtà, un’attività largamente discrezionale di ridisegno delle diverse materie regionali e delle varie funzioni ad esse attinenti, peraltro in assenza di appositi principî direttivi.
Per completezza si ricorda che l’art. 3 della stessa legge n. 131 del 2003 ha invece previsto la delega ad adottare testi unici meramente compilativi delle disposizioni legislative vigenti non aventi carattere di principio fondamentale (di carattere, quindi, cedevole) nelle materie di legislazione concorrente.
2.3. Il descritto quadro costituzionale pone un rilevante problema di carattere interpretativo: l’ammissibilità di una normativa statale di dettaglio in materie di legislazione concorrente, nei limiti e secondo i principî, descritti in precedenza ed affermati dalla Corte costituzionale con riferimento al sistema previgente.
La dottrina maggioritaria ritiene che l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, nel disporre che nelle materie di legislazione concorrente «spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principî fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato», pone una riserva di competenza che non può essere derogata senza incidere sul regime di validità della legge statale.
Rispetto al regime precedente andrebbe, infatti, considerato che lo Stato non dispone più, come già detto, della competenza legislativa generale e, di conseguenza, è privo di “titolo di legittimazione” (termine utilizzato da Corte cost. n. 1/2004) ad adottare una normativa di dettaglio in materia concorrente, anche qualificando la stessa come cedevole rispetto alla sopravveniente disciplina regionale.
Con la citata sentenza n. 282 del 2002 la Corte sembra condividere tale principio, nel punto in cui viene affermato che la «nuova formulazione dell’art. 117, terzo comma, rispetto a quella previgente dell’art. 117, primo comma, esprime l’intento di una più netta distinzione fra la competenza regionale a legiferare in queste materie e la competenza statale, limitata alla determinazione dei principî fondamentali della disciplina».
E’ vero che con successive pronunce la Corte ha ritenuto costituzionalmente legittimo il recupero della competenza statale in ordine ad una legislazione di dettaglio, ma ciò è avvenuto sulla base del diverso principio di sussidiarietà, invocabile come titolo di competenza legislativa solo in ipotesi eccezionali e subordinatamente al rispetto di gravosi oneri procedimentali (Corte cost. n. 303/2003).
Né appare invocabile a fondamento dell’opposta tesi, tendente a ritenere ancora ammissibile l’intervento statale con disposizioni cedevoli di dettaglio in materia di legislazione concorrente, la sentenza n. 196 del 2004 sul condono edilizio, in cui l’affermata applicabilità della normativa statale in assenza dell’esercizio della potestà legislativa regionale nel termine fissato appare essere stata dettata unicamente dall’esigenza di pronunciare una sentenza “auto-portante”, che non lasciasse lacune nella delicata disciplina del nuovo condono edilizio, inerente a materie non solo di legislazione concorrente ma anche di legislazione esclusiva dello Stato.
2.4. Traendo le conclusioni dal descritto quadro costituzionale e fatte salve le eventuali nuove indicazioni provenienti dalla giurisprudenza costituzionale, sembrerebbe quindi che nelle materie di legislazione concorrente:
- il legislatore statale può adottare solo norme costituenti principî fondamentali e non anche disposizioni di dettaglio, benché cedevoli;
- le disposizioni di dettaglio preesistenti restano in vigore con il carattere della cedevolezza, fino a quando esse non vengono sostituite da nuove norme dettate dall’autorità dotata di competenza nel nuovo sistema, fermo rimanendo che le Regioni possono sollevare questione di legittimità costituzionale delle norme che siano ritenute in contrasto con le attribuzioni ora ad esse spettanti;
- in relazione a tali disposizioni di dettaglio preesistenti, lo Stato non dispone della legittimazione ad innovarle, ma può solo svolgere un’attività meramente ricognitiva, fermo restando il carattere di cedevolezza delle suddette disposizioni.
A tali principî va aggiunto che:
- nelle materie di legislazione concorrente, avendo lo Stato perduto la potestà regolamentare, le leggi previgenti, attributive della potestà regolamentare allo Stato, debbono ritenersi venute meno a seguito della emanazione del nuovo titolo V della Costituzione che esclude che lo Stato possa disciplinare le materie predette nella loro intera estensione e, per giunta, a livello regolamentare (Cons. Stato, Ad. gen., 11 aprile 2002, n. 1/2002; 17 ottobre 2002, n. 5/2002);
- in sede di attuazione delle direttive comunitarie nelle materie attribuite alle Regioni o alle Province autonome in via esclusiva o concorrente, il potere sostitutivo attribuito allo Stato in caso di inadempimento da parte delle Regioni presuppone la possibilità che lo Stato possa intervenire in via preventiva adottando una normativa di carattere cedevole e ad efficacia differita alla scadenza dell’obbligo comunitario di attuazione della direttiva nei confronti delle sole Regioni inadempienti (Cons. Stato, Ad. gen., 25 febbraio 2002, n. 2/2002).
2.5. Tornando allo schema in esame e al fine di trarre indicazioni dalle considerazioni svolte, si osserva che il testo del decreto è stato predisposto in assenza di una tecnica legislativa che proceda per principî fondamentali, come imporrebbe l’oggetto della disciplina inerente ad una materia di legislazione concorrente.
Come si desume dalla lettura delle singole disposizioni e delle stesse relazioni di accompagnamento, nello schema sono comprese disposizioni che costituiscono principî fondamentali, norme di dettaglio e disposizioni adottate in attuazione delle direttive comunitarie.
Come rilevato in precedenza, i limiti del legislatore statale (in questo caso del legislatore delegato) parrebbero diversi a seconda della tipologia delle norme.
Nello schema è presente una norma (art. 1, comma 5) che, da un lato, afferma un generico carattere di cedevolezza per le disposizioni, non individuate, afferenti a materie di competenza legislativa delle Regioni e delle Province autonome e, dall’altro lato, prevede una specifica clausola di cedevolezza e di efficacia differita per le disposizioni di recepimento delle direttive comunitarie.
Sulla base delle considerazioni svolte, sembrerebbe invece necessario indicare quali sono i principî fondamentali della materia (sui quali la delega consente un intervento innovativo) e quali sono le disposizioni di dettaglio, oggetto di mera attività ricognitiva.
Inoltre, l’attribuzione del carattere di cedevolezza e di efficacia differita a tutte le disposizioni di recepimento delle direttive comunitarie non appare conforme ai suddetti principî, in quanto alcune di tali disposizioni costituiscono principî fondamentali, che non devono essere né cedevoli né ad efficacia differita, ma devono invece essere rispettati dalle Regioni nell’esercizio della propria potestà normativa.
Peraltro, il riassetto della disciplina, previsto nella delega, risponde all’esigenza di una semplificazione normativa e tale semplificazione deve contribuire a garantire il principio della certezza del diritto, soprattutto nell’attuale fase di attuazione di una riforma costituzionale, già ricca di incertezze, in parte risolte solo ex post grazie all’intervento della Corte costituzionale.
Non sembra rispondere al suddetto principio di certezza del diritto lasciare all’interprete l’individuazione dei principî fondamentali e delle norme di dettaglio; tale modo di procedere non consente, già in questa fase consultiva, un adeguato controllo sulle innovazioni introdotte rispetto alla disciplina previgente e sull’attività di ricognizione effettuata per le disposizioni di dettaglio, con il rischio di mascherare in realtà un’attività di ridisegno di disposizioni, oggi sottratte alla competenza statale (rischio evidenziato, sotto altri profili, da Corte cost. n. 280/2004, cit.).
Appare quindi necessario rendere esplicita, nel testo del decreto, l’appartenenza di ciascuna disposizione ad una delle seguenti tipologie di norme:
1) disposizioni contenenti principî fondamentali, che possono essere anche di recepimento delle direttive comunitarie, nelle quali è possibile un intervento innovativo alla luce dei criteri di delega fissati dall’art. 3 della legge n. 229 del 2003 e dall’art. 20 della legge n. 59 del 1997, come successivamente modificato e che costituisce anche criterio di delega, ai fini della semplificazione normativa, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della legge n. 229 del 2003;
2) disposizioni di dettaglio di recepimento delle direttive comunitarie, per le quali è consentito allo Stato un intervento innovativo, che abbia i caratteri della cedevolezza e dell’efficacia differita alla scadenza del termine di recepimento e per le sole Regioni inadempienti, descritti in precedenza e già affermati dal Consiglio di Stato (Ad. gen., 25 febbraio 2002, n. 2/2002);
3) disposizioni di dettaglio previgenti, per le quali è consentita una mera attività ricognitiva e a cui deve essere attribuito il carattere di cedevolezza.
Queste costituiscono le ragioni che inducono la Sezione ad esprimere il presente parere interlocutorio nell’auspicio che tali osservazioni possano agevolare, anche nella fase di acquisizione del parere della Conferenza unificata (tuttora in corso), un adeguamento del testo ai principî richiamati.
3. Al fine di una compiuta valutazione di alcune questioni di centrale importanza nel delineato riassetto della disciplina in materia di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori, si formulano sin da ora le seguenti ulteriori osservazioni sullo schema in esame, con riserva di un esame completo dello stesso dopo l’acquisizione del parere della Conferenza unificata e dopo le eventuali modifiche apportate al testo anche alla luce di quanto evidenziato in precedenza.
Si osserva che nel testo vi sono alcuni rinvii a decreti ministeriali, cui viene demandato il compito di definire specifici aspetti della materia (v., fra gli altri, l’art. 20, commi 3, 4, 5 e 8; l’art. 40, commi 4 e 5).
Al riguardo, si chiede all’Amministrazione di voler esprimere il proprio avviso in ordine alla natura, regolamentare o meno, di tali provvedimenti, tenendo presente che in materia di legislazione concorrente lo Stato ha ormai perso la potestà regolamentare (v. Cons. Stato, Ad. gen. 11 aprile 2002, n. 1/2002; 17 ottobre 2002, n. 5/2002, cit.).
4. Si segnala inoltre che in alcune disposizioni dello schema sono mancanti, rispetto alle direttive comunitarie e alle disposizioni previgenti, i riferimenti alla consultazione e partecipazione dei lavoratori nell’ambito dell’attività del datore di lavoro di prevenzione per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro (vedi, ad esempio, l’art. 6, comma 1, lett. k) dello schema in relazione all’art. 6, comma 2, lett. c) e comma 3, lett. c) e all’art. 11 della direttiva 89/391/CEE e all’art. 3, comma 1, lett. s) del d.lgs. n. 626 del 1994).
Nel capo VI dello schema (artt. 25 – 27) sono contenute disposizioni in materia di consultazione e partecipazione dei lavoratori (nel titolo è indicato per errore “dei datori di lavoro”), limitate alla figura e alle attribuzioni del rappresentante per la sicurezza e all’attività svolta dagli Enti bilaterali.
In proposito, sembra opportuno che l’Amministrazione esponga il fondamento e le ragioni di tali scelte, avuto riguardo al contenuto delle direttive comunitarie e delle disposizioni previgenti.
5. Sempre nella logica, attenta al rispetto del nuovo riparto tra Stato e Regioni delle attribuzioni legislative, pare opportuno considerare la coerenza del meccanismo di deregolazione contemplato dall’art. 5, comma 1, lettera l), dello schema di decreto legislativo, laddove in particolare qualifica come “norme di buona tecnica” le “disposizioni legislative relative ad elementi di natura tecnica o costruttiva” contenute nei decreti presidenziali ivi elencati.
Occorre valutare, infatti, la compatibilità, con i nuovi parametri costituzionali di riparto della potestà legislativa, di una soluzione normativa idonea di fatto ad escludere che sulla disciplina di dettaglio, certo contenuta nei decreti presidenziali elencati nel citato articolo 5, comma 1, lettera l), possa incidere l’intervento legislativo regionale.
A ciò si aggiunga, sotto altro profilo, che le norme di buona tecnica, al pari delle “buone prassi” di cui alla successiva lettera m) dello stesso articolo 5, comma 1, concorrono ad integrare, per effetto del riferimento che alle stesse opera l’articolo 32, la base precettiva della nuova fattispecie contravvenzionale di cui all’articolo 174, comma 2, lettera d).
A tenore dell’art. 32, infatti, “gli ispettori che effettuano attività di vigilanza impartiscono disposizioni esecutive ai fini dell’applicazione delle norme di buona tecnica e delle buone prassi di cui all’articolo 5 lett. l) e m), qualora ne riscontrino la mancata adozione e salvo che il fatto non costituisca reato”.
Il successivo art. 174, comma 2, lettera d), quindi, punisce con l’arresto o con l’ammenda “l’inosservanza delle disposizioni legittimamente impartite ai sensi dell’articolo 32”.
Pare necessario, sul punto, valutare la coniugabilità di siffatta tecnica di costruzione del precetto penale - connotata dal richiamo a cascata delle norme di buona tecnica e delle buone prassi, da un lato, e delle “disposizioni esecutive” impartite ex articolo 32 dagli ispettori che ne riscontrino la mancata adozione, dall’altro - con i principî costituzionali di riserva di legge e, soprattutto, di tassatività e determinatezza della fattispecie incriminatrice; principî, come è noto, in forza dei quali la formulazione del precetto penale, oltre a dover essere contenuta nella norma di rango legislativo, salve specificazioni di tipo tecnico rimesse alla previsione subprimaria, deve anche rispondere a requisiti di chiarezza e certezza.
Anche su tale punto si chiede che l’Amministrazione esprima il proprio punto di vista.
6. In diverse disposizioni dello schema non vengono riprodotte o vengono riprodotte solo in parte le norme contenute nel d.lgs. n. 626 del 1994.
Anche la relazione illustrativa omette alcune informazioni che sembrano, viceversa, essere necessarie al fine di un controllo completo ed esauriente della coerenza del provvedimento con la legge delega.
Sulla premessa che la maggior parte delle disposizioni risulta costituita dalla riproduzione di norme già presenti nell’ordinamento (con l’eccezione di quelle direttamente attuative di direttive comunitarie e di quelle radicalmente nuove), sembra opportuno che l’Amministrazione illustri le ragioni per le quali alcune disposizioni previgenti non sono state riprodotte o sono state significativamente integrate e modificate.
Posto, infatti, che la delega, fra i diversi principî direttivi, imponeva il riordino, il coordinamento, l’armonizzazione e la semplificazione della normativa esistente, si rivela utile acquisire le predette informazioni, al fine di verificare il corretto esercizio della delega, con riferimento al predetto criterio, nelle numerose ipotesi in cui la disciplina vigente risulta modificata nel provvedimento in esame.
A titolo meramente esemplificativo e senza alcuna pretesa di esaustività, si segnalano, fra le disposizioni omesse nello schema, l’art. 11, comma 4 del d.lgs. n. 626 del 1994; gli artt. 72 decies, comma 5, 75, comma 2, 76, comma 4, 78, commi 5 e 6, e 88 quater, d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626 e 26, comma 1, ultimo periodo, e comma 2, d.lgs. 13 agosto 1991, n. 277, e, fra quelle che contengono integrazioni ed innovazioni rilevanti (rispetto alle norme attualmente vigenti e qui riprodotte), gli artt. 81, 83, 87, 88, 89, 108, 110, 114, 119, 123 e 130 dello schema in esame.
Inoltre, al comma 3 dell’art. 44 non viene riproposta l’ulteriore condizio-ne - prevista dall’art. 8, comma 3, del d.P.R. n. 303 del 1956, affinché l’organo di vigilanza possa consentire l’uso dei locali sotterranei e semisotterranei anche per altre lavorazioni per le quali non ricorrono le esigenze tecniche - , consistente nella circostanza che le dette lavorazioni “non espongano i lavoratori a temperature eccessive”.
Al comma 1 dell’art. 52 si prevede che “i ponteggi metallici di altezza superiore a 24 metri e le altre opere provvisionali, costituite da elementi metallici, o di notevole importanza e complessità in rapporto alle loro dimensioni ed ai sovraccarichi”, devono essere eretti in base ad un progetto con un dato contenuto. Tuttavia, l’art. 32, comma 1, del d.P.R. n. 164 del 1956 si riferisce ai “ponteggi metallici di altezza superiore a 20 metri”. La nuova norma, quindi, esenta dal relativo obbligo i ponteggi di altezza superiore a 20 metri e non superiore a 24 metri, attualmente, invece, sottoposti all’obbligo in virtù del citato art. 32, comma 1.
All’art. 55 non viene riproposto il comma 2 dell’art. 37 del d.P.R. n. 164 del 1956, secondo cui “I vari elementi metallici devono essere difesi dagli agenti nocivi esterni con verniciatura, catramatura o protezioni equivalenti”.
Al comma 1 dell’art. 75, tra gli elementi in relazione ai quali devono essere analizzati i posti di lavoro, da parte del datore di lavoro, all’atto della valutazione del rischio di cui all’art. 7, non sono previste le “condizioni ergonomiche e di igiene ambientale”, espressamente considerate dall’art. 52, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 626 del 1994.
Vorrà, pertanto, il Ministero proponente precisare ed esplicitare, per ciascuna norma, le ragioni delle evidenziate modifiche.
7. Si ribadisce, infine, l’esigenza di acquisire con ogni sollecitudine il parere della Conferenza unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 281 del 1997; ciò al fine di consentire alla Sezione la sollecita formulazione del proprio parere definitivo e la successiva espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari.
8. Sulla base delle precedenti osservazioni, si sospende l’emissione del presente parere in attesa della trasmissione del parere della Conferenza unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 281 del 1997, dei chiarimenti richiesti e del testo dello schema con le eventuali modifiche apportate, accompagnato da una aggiornata tabella di raffronto con le disposizioni delle direttive comunitarie e del d.lgs. n. 626 del 1994.
P.Q.M.

Sospende l’espressione del parere in attesa dell’adempimento di cui in motivazione.

Per estratto dal Verbale
Il Segretario della Sezione (Licia Grassucci)

Visto:
Il Presidente della Sezione(Pasquale de Lise)

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