Consiglio di Stato

Sezione Consultiva per gli Atti Normativi

Adunanza del 4 aprile 2005

N. della Sezione: 1363/2005



OGGETTO:
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI.
Schema di regolamento concernente la disciplina del funzionamento del fondo per la promozione del libro e di prodotti editoriali, nonché i criteri e le modalità di accesso e di assegnazione dei relativi contributi, ai sensi dell’art. 9, comma 3, della legge 7 marzo 2001, n. 62.
La Sezione
Vista la relazione trasmessa dal Ministero per i beni e le attività
culturali, con nota n. UDC 7255 in data 14 marzo 2005;
Esaminati gli atti e udito il relatore ed estensore Consigliere Paolo De Ioanna;
PREMESSO e CONSIDERATO:
1. La legge 7 marzo 2001, n. 62 (“Nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla legge 5 agosto 1981, n. 416”) reca una serie di misure di regolazione e di promozione economica del settore oggetto dell’intervento; in particolare, con l’art. 9 viene istituito un fondo finalizzato alla assegnazione di contributi, con riferimento ai contratti di mutuo stipulati per lo sviluppo dell’attività di produzione, distribuzione e vendita del libro e dei prodotti editoriali di elevato valore culturale, nonché per la loro diffusione all’estero.
Il comma 2 dell’art. 9 individua due distinte categorie di soggetti che possono accedere ai benefici del fondo: gli editori che intendono realizzare e commercializzare prodotti editoriali di elevato valore culturale e i soggetti che presentano piani di esportazione e commercializzazione di prodotti editoriali italiani all’estero (tale seconda categoria, quindi, può essere costituita anche da soggetti che non presentano la veste giuridica dell’impresa editoriale).
La disciplina del funzionamento del fondo, nonché dei criteri e delle modalità di accesso e di assegnazione dei contributi è rimessa ad una fonte regolamentare, proveniente dal Ministero per beni e le attività culturali, d’intesa con il Ministero del tesoro (ora dell’economia e delle finanze) e con il Ministero degli affari esteri per gli aspetti attinenti alla diffusione all’estero dei prodotti editoriali.
Lo schema in esame costituisce l’esercizio di questo potere regolamentare, ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988.
Le risorse del fondo destinate all’apertura di librerie nei comuni e nelle circoscrizioni comunali che ne sono privi e alla ristrutturazione di librerie o all’apertura di nuove librerie caratterizzate da innovazione tecnologica sono trattate distintamente ed attribuite alle Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentita la Conferenza unificata.
2. La suindicata norma primaria aveva in qualche modo cercato di tenere conto del contesto di un forte decentramento, a Costituzione invariata, già realizzato, ma naturalmente non poteva aver considerato le problematiche sul riparto di competenze che si sono aperte in relazione al nuovo Titolo V della Costituzione.
In via preliminare è quindi necessario porre il tema del fondamento costituzionale dell’esercizio del potere regolamentare in esame. La disposizione sulla quale si fonda tale esercizio si inserisce in un complessivo intervento di riordino, regolazione ed incentivazione del settore dei prodotti editoriali, concepito prima delle modifiche costituzionali relative al Titolo V.
Il Ministero procedente ritiene di poter argomentare in ordine alla costituzionalità dell’esercizio del potere regolamentare statale nella materia de qua, materia certamente di natura concorrente, facendo leva soprattutto sulle indicazioni recate dalla sentenza della Corte cost. n. 303 del 2003.
Tale pronuncia avrebbe ammesso una deroga al divieto di norme statali di dettaglio nelle materie “concorrenti” ogni qual volta, secondo il principio di legalità, si tratterebbe di profili che esigono un livello di adeguatezza gestionale statale, secondo il principio di sussidiarietà verticale, enunciato nell’art. 118 della Costituzione; ora, sulla base di questa lettura, gli interessi che si intendono proteggere attraverso il sostegno del libro e dei prodotti editoriali di elevato valore culturale sfuggirebbero ad ogni forma di attribuzione territoriale; non sarebbe cioè configurabile alcuna forma preventiva, determinata o determinabile, di distribuzione e tutela territoriale di questi interessi, se non per gli incentivi all’apertura e alla ristrutturazione delle librerie, attività queste per le quali la stessa legge n. 62 del 2001 prevede il conferimento alle regioni ed alle Province autonome di una quota separata del fondo.
Ora, fermo quanto si osserverà infra, al punto 5, non sembra che tale prospettazione possa essere condivisa, poiché le conclusioni cui è pervenuta la Corte costituzionale con la sentenza sopra richiamata possono valere a legittimare una competenza legislativa statale (anche al di là delle materie e degli ambiti contemplati espressamente dall’art. 117, secondo comma, Cost.), sia pure circondata, nel suo esercizio, da una serie di garanzie procedurali intese ad assicurare soprattutto l’osservanza del principio di leale collaborazione, ma non valgono certo a fondare una potestà regolamentare dello Stato, in contrasto con il disposto del sesto comma del citato art. 117, come risulta chiaramente proprio dalla sentenza n. 303 del 2003, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 15 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190 che, per l’appunto, attribuiva allo Stato un potere regolamentare in materia ritenuta estranea alla competenza legislativa esclusiva dello Stato stesso.

3. La questione va, pertanto, trattata sotto un diverso profilo.
Essa coincide con la stessa possibilità, logico-pratica, di circoscrivere l’ambito di un intervento rivolto a sostenere i libri e i prodotti librari di elevato valore; ora sembra fuori discussione che, in ragione della natura concorrente di questa competenza materiale, lo Stato non ha il monopolio nella definizione dell’alto valore culturale applicato ai libri ed alle attività editoriali; in altri termini, lo Stato potrebbe legittimamente fornire criteri generali di orientamento per circoscrivere tale ambito di interventi, riservandosi, ad esempio, di attribuire solo a determinati prodotti un profilo di tutela culturale statale; tuttavia, il punto cruciale consiste nello stabilire se tale tutela può tradursi anche nella attribuzione di fondi statali e nella contestuale e preventiva determinazione, sempre con fonte secondaria statale, dei criteri delle modalità di tale attribuzione.
In altri termini, mentre una funzione di orientamento metodologico ben può essere attribuita alla fonte statale primaria ai fini della migliore definizione dell’area dei prodotti editoriali di alto valore culturale e scientifico, è necessario accertare se tale funzione “generale” possa tradursi anche nella distribuzione diretta, con fonte secondaria statale, di fondi tratti dal bilancio dello Stato.

4. Al riguardo va rilevato un profilo, che potrebbe apparire di difformità, tra la formulazione del comma 2 dell’art. 9 della legge e le scelte operate nello schema di regolamento in esame.
La disposizione legislativa stabilisce che possono accedere al fondo: a) gli editori che intendono realizzare e commercializzare prodotti di elevato valore culturale e scientifico; b) i soggetti che presentano piani di esportazione e commercializzazione di prodotti editoriali italiani all’estero.
La disposizione quindi apre un doppio e distinto canale di accesso al fondo, lasciando prevedere che i requisiti di ammissione debbano essere distinti; del resto, anche i soggetti ammessi sono distinti: gli editori per i profili di realizzazione e commercializzazione di prodotti di elevato valore culturale e scientifico; i soggetti, anche non operanti in forma imprenditoriale, per i piani di esportazione e commercializzazione.
Invece, la formulazione dell’art. 4 (in particolare del comma 5) dello schema lascia intendere che per accedere al fondo occorra possedere i requisiti di cui ai commi 3 e 4, che si configurano come requisiti tutti volti a circoscrivere il profilo dell’elevatezza del valore culturale e scientifico; il comma 5 recita poi che, agli effetti della valutazione dei prodotti di cui al comma 4 (di elevato valore culturale e scientifico), la Commissione si attiene alla verifica dell’efficacia dei piani di esportazione di libri, prodotti editoriali multimediali, contenuti digitali, anche ceduti attraverso piattaforme digitali di gestione dei diritti d’autore, e diritti sulle opere italiane.
Dunque, sembra che la distinzione soggettiva del comma 2 dell’art. 9 della legge risulti superata, mentre lo schema di regolamento si incentra solo sul profilo dell’elevatezza del valore culturale e scientifico; solo questi prodotti possono essere considerati ai fini del sostegno all’esportazione ed alla commercializzazione all’estero; in fase attuativa della norma primaria, lo schema in esame ha inteso sovrapporre i due criteri di accesso, facendo leva essenzialmente sul primo: quello dell’elevatezza del valore culturale e scientifico, che deve comunque permeare e caratterizzare in modo prevalente tutte le iniziative. In altri termini, solo i prodotti che presentano detto requisito possono essere ammessi al fondo ed essere poi considerati anche dal punto di vista della loro capacità di promozione sull’estero.
Può darsi che la formulazione della norma regolamentare (con la conseguente “torsione” interpretativa) sia connessa alla necessità di attrarre la normativa de qua in un ambito tale da rendere legittimo, dal punto di vista costituzionale, l’esercizio del potere regolamentare statale.
Mentre infatti il solo profilo della promozione della esportazione e commercializzazione all’estero dei prodotti librari ed editoriali, in quanto tale, non configura un ambito gestionale che deve essere necessariamente gestito dallo Stato, ma può ben essere regolato da strumenti primari e secondari regionali, la scelta di prodotti di elevato valore culturale e scientifico potrebbe effettivamente porsi come un’area che lo Stato può comunque decidere di definire e presidiare, senza che, nel sistema costituzionale del nuovo Titolo V, si rinvenga un criterio idoneo ad impedire che lo Stato promuova, anche in termini economici, lo sviluppo dei prodotti librari ed editoriali di elevato valore culturale e scientifico.

5. Resta tuttavia l’obiettiva difficoltà di disegnare un intervento statale, diretto e specifico, a livello regolamentare, con il quale si distribuiscono fondi di bilancio, in un’area di competenza legislativa materiale che è certamente concorrente (valorizzazione dei beni culturali; ricerca scientifica).
Va ribadito che il richiamo alla sentenza n. 303 del 2003 della Corte costituzionale non appare conclusivo: la sussidiarietà verticale evocata nella sentenza viene infatti declinata, nella argomentazione della Corte, in un ambito di competenze materiali (quello dei grandi lavori pubblici) nel quale si intrecciano competenze esclusive statali e competenze concorrenti; la Corte è stata chiamata a dipanare con la citata sentenza n. 303, una vicenda assai complessa che attiene ad un fascio di competenze assai diverse dall’area del beni culturali e della loro promozione.
Pur presentando l’area ora in esame elementi di ricostruibilità meno problematici di quelli risolti dalla Corte costituzionale con la evocata sentenza n. 303 del 2003, è tuttavia ragionevole sostenere che non è possibile rinvenire un criterio che assegna solo allo Stato la possibilità di definire i requisiti che connotano l’elevatezza culturale e scientifica di una iniziativa libraria ed editoriale; soprattutto poi se questi requisiti non sono assunti in via generale (ad esempio, per il riconoscimento di titoli di studio o accademici) ma ai fini della loro utilizzazione diretta per scopi di promozione economico-commerciale. Ed è proprio tale ultimo profilo, legato in sostanza ad un disegno di incentivazione economica, che lascia aperte molte perplessità sulla legittimità costituzionale dell’esercizio del potere regolamentare in esame. D’altra parte, risulta parimenti difficile ricostruire con certezza il criterio opposto: che cioè sia impedito comunque allo Stato di intervenire per incentivare prodotti culturali di elevato contenuto culturale e scientifico.

6. Peraltro, lo stesso parere favorevole della Conferenza unificata può valere a dimostrare che, in questa delicata fase di attuazione del Titolo V, una iniziativa prefigurata nel precedente assetto costituzionale, se ricondotta entro un ambito relativo alla sola valorizzazione economica di prodotti di elevato valore culturale e scientifico, possa comunque avere corso, anche nella sua fase di attuazione regolamentare statale; e del resto, in materie analoghe (si pensi alla ripartizione del Fondo unico per lo spettacolo), la Corte costituzionale ha avuto modo di sottolineare l’esigenza prevalente di riconoscere continuità all’ordinamento giuridico (v. sentenze n. 255 e 256 del 2004), ammettendo la possibilità sia di interventi statali di natura regolamentare che di atti di natura provvedimentale. Tuttavia la stessa giurisprudenza della Corte costituzionale è stata per altri versi assai più attenta e rigorosa nella difesa delle prerogative regolamentari delle Regioni, soprattutto in materia di leggi statali che distribuivano fondi a destinazione territoriale determinata o determinabile, senza scopi nitidi e ricostruibili di perequazione finanziaria nelle materie riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, di competenza esclusiva statale.
In questa ottica può sottolinearsi che effettivamente il carattere del fondo de quo non appare segnato da alcuna vocazione territoriale e quindi assume in concreto la valenza prioritaria di una iniziativa destinata a promuovere su tutto il territorio nazionale una qualità (l’elevatezza culturale e scientifica) comunque non legata a parametri di riequilibrio territoriale e di perequazione finanziaria e non finalizzata prioritariamente a trasferire fondi su territori determinati o determinabili.
La realtà è che si versa in un’area nella quale risulta difficile definire con certezza il confine delle competenze materiali, mentre il fulcro di un assetto di tipo federalista (consistente nei meccanismi di riparto fiscale e di perequazione ex art. 119 Cost.) è ancora lungi dal trovare un equilibrio attuativo. In queste condizioni appare comunque apprezzabile la cautela con la quale l’Amministrazione dei beni culturali ha cercato di utilizzare fondi statali già stanziati per finalità di ordine generale, di indubbio rilievo culturale ed economico, ponendo l’accento prevalente sul profilo qualitativo della tutela e della incentivazione di prodotti di elevato valore culturale e scientifico.

7. Passando ad esaminare il testo dello schema si osserva:
a) l’operatività del fondo assume, in sostanza, il valore di un sostegno ad iniziative già avviate (v. art. 7, comma 3); ora, è da escludere che le autorizzazioni di spesa relative agli anni finanziari 2003 e 2004 possano aver generato impegni: è ragionevole ritenere che i relativi stanziamenti (di parte corrente), stante la vigente disciplina contabile, siano andati in economia; in questo contesto, segnato dalla impossibilità di recuperare alcun fondo stanziato prima dell’esercizio in corso, vengono ammesse al contributo sui contratti di mutuo iniziative e spese avviate e sostenute dopo l’entrata in vigore della legge e relative ai due anni precedenti alla data di presentazione delle domande. Ora è indubbio che un meccanismo di sostegno economico, fondato su un contributo sui contratti di mutuo già stipulati, ha bisogno tecnicamente di una operatività legata ad iniziative già avviate; tuttavia, trattandosi di un meccanismo sostanzialmente inedito e privo della definizione legislativa dei criteri di ammissione ai relativi benefici, appare di dubbia trasparenza e opportunità, anche sotto il profilo della par condicio tra gli operatori, da un lato, definire in modo estremamente dettagliato i criteri di ammissione e, dall’altro, far retroagire l’ambito di applicazione dell’incentivazione solo alle iniziative avviate nei due anni precedenti alla data di presentazione delle domande di ammissione al contributo. Dal momento che non è possibile recuperare alcuna forma di residui di stanziamento, mentre si dà avvio ad una forma di incentivazione del tutto nuova e si determinano per la prima volta i criteri di ammissione al beneficio, sarebbe più trasparente far concorrere in modo paritario tutte le iniziative che hanno avuto corso, ad esempio, entro i sei mesi precedenti ed i sei successivi all’entrata in vigore del regolamento de quo; il regolamento farebbe da spartiacque ad un periodo di dodici mesi entro il quale possono essere prese in considerazione sia iniziative già avviate che iniziative nuove.
b) Non è chiaro che cosa debba intendersi per “ prodotti già ammessi al contributo che determinano una spesa superiore alla disponibilità annuale” del fondo (art. 5, comma 3). E’ come se si facesse riferimento ad un errore di previsione nella concessione del contributo: infatti, se la spesa risulta superiore a quella ammessa, non si vede per quale ragione l’impegno assentito non debba comunque rimanere entro i limiti autorizzati; non si comprende sulla base di quale criterio logico-giuridico il Direttore generale debba procedere comunque ad una ulteriore selezione delle domande, ma soprattutto non appare trasparente la ragione reale di tale ulteriore selezione.
c) Proprio il carattere molto analitico dei criteri di ammissione delle spese al contributo (art. 7), se declinato insieme all’operatività retroattiva del meccanismo di finanziamento (riferito ai due anni precedenti alla data di presentazione delle domande) e al predetto meccanismo di ulteriore selezione, disegna un contesto che aggiunge ulteriori elementi di perplessità sulla opportunità e trasparenza di tale meccanismo.

P.Q.M.
Nelle esposte considerazioni è il parere.

Per estratto dal Verbale
Il Segretario della Sezione
(Licia Grassucci)

Visto
Il Presidente della Sezione
(Pasquale de Lise)

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