Consiglio di Stato

Sezione Consultiva per gli Atti Normativi

Adunanza del 19 aprile 2004

N. della Sezione: 6849/2004

OGGETTO:
Ministero delle politiche agricole e forestali. Schema di regolamento del Ministro delle politiche agricole e forestali, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, recante: “Disposizioni volte a favorire l’accesso al mercato dei capitali da parte delle imprese agricole ed agroalimentari”, adottato ai sensi dell’art. 66, comma 3, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria per il 2003 e per il triennio 2003-2005).
La Sezione
Vista la relazione trasmessa con nota n. 5706 DM 202 in data 9 aprile 2004,
con la quale il Ministro per le politiche agricole e forestali ha chiesto il parere del Consiglio di Stato in merito allo schema di regolamento in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore ed estensore Consigliere Paolo De Ioanna;
PREMESSO
1. Si tratta dello schema di regolamento interministeriale recante la disciplina degli aiuti per favorire l’accesso al mercato dei capitali delle imprese agricole ed agroalimentari. Lo schema è stato predisposto sulla base dell’art. 66, comma 3, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria per il 2003 e per il triennio 2003-2005): tale disposizione istituisce un regime di aiuti diretto a facilitare l’accesso al mercato dei capitali da parte delle imprese agricole e agroalimentari, in conformità a quanto disposto dagli orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato in agricoltura e, in particolare, dalla comunicazione delle Comunità europee 2001/C235 03 del 23 maggio 2001, recante aiuti di Stato e capitale di rischio (Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee C/235 del 21 agosto 2001). Le misure in esame intendono ovviare alla carenza di finanziamenti azionari e di prestiti partecipativi a favore delle piccole e medie imprese che operano nel settore della produzione, trasformazione e/o commercializzazione dei prodotti della filiera agroalimentare. La tecnica è quella della costituzione di un Fondo di investimento nel capitale di rischio e per la partecipazione ad altri fondi privati che a loro volta operano con prestiti partecipativi al capitale di rischio.

2. Lo schema risulta approvato dalla Commissione europea, con decisione C(2004) 169fin del 3 febbraio 2004. La Commissione ha ritenuto che le misure in esame soddisfino le condizioni stabilite dalla stessa Commissione in materia di aiuti di Stato e capitale di rischio. L’articolazione delle misure riprende nella sostanza i meccanismi di aiuto che la Commissione, in questo settore, reputa compatibili con la tutela della concorrenza. La costituzione di strumenti societari, nella forma di società di capitali, appare connessa a tali metodologie assentite in sede comunitaria. Si tratta di operare con strumenti coerenti con la logica del mercato, destinati alla partecipazione a progetti strettamente finalizzati al finanziamento di iniziative che utilizzano il capitale di rischio entro una logica di rendimento a breve. Lo schema ha la natura del regolamento interministeriale; la procedura di adozione ed i riferimenti recati dall’epigrafe e dalle premesse appaiono corretti.


CONSIDERATO
1. Lo schema in esame configura uno strumento statale di intervento diretto sul mercato. Alla luce del nuovo contesto costituzionale, la questione preliminare da affrontare consiste nello stabilire se lo Stato può utilizzare un tale schema ovvero deve limitarsi ad indirizzare, promuovere e coordinare le attività delle autonomie regionali e locali nella materia in questione.
Al riguardo occorre utilizzare le chiare indicazioni ermeneutiche contenute in alcune recenti sentenze della Corte costituzionale. In primo luogo la sentenza n. 14 del 2004, la quale affronta direttamente il tema, definito cruciale dalla Corte, del rapporto tra le politiche statali di sostegno del mercato, segnatamente nella filiera agroalimentare, e le competenze legislative delle regioni nel nuovo titolo V della parte II della Costituzione.

2. La Corte inquadra il problema nel contesto dei rapporti con l’Unione europea: la questione va trattata entro l’area degli aiuti di Stato e nell’ambito del fascio di temi riconducibili alla concorrenza, la cui disciplina si articola a livello comunitario e statale. Dal punto di vista interno, la Corte rileva che la concorrenza [art. 117, secondo comma, lett. e)] – proprio perché accomunata a moneta, tutela del risparmio e dei mercati finanziari, sistema valutario, sistemi tributario e contabile dello Stato, nonché perequazione delle risorse finanziarie, costituisce una delle leve della politica economica statale – non può essere intesa solo in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in senso dinamico, comportante l’adozione di misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo autopropulsivo del mercato e ad instaurare assetti concorrenziali, dove mancano o appaiono carenti.
Secondo la Corte, il nuovo titolo V attribuisce allo Stato gli strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo dell’intero Paese. L’intervento statale si giustifica dunque per la sua rilevanza macroeconomica: lo Stato può adottare misure idonee, quanto ad accessibilità a tutti gli operatori economici ad impatto complessivo, ad incidere sull’equilibrio economico generale. Appartengono invece alla competenza regionale gli interventi sintonizzati sulle realtà produttive regionali. La Corte, in questa ottica, ha ritenuto compatibili con il titolo V il ruolo dello Stato nel Fondo di mutualità e solidarietà per i rischi in agricoltura ed il connesso potere regolamentare; gli interventi del Fondo sono infatti diretti a tutte le imprese operanti a livello nazionale ed intendono stimolare gli investimenti ed il mercato: si tratta quindi di indici dell’attinenza dell’intervento alla funzione di stabilizzazione macroeconomica propria dello Stato e della sua riconducibilità alla complessiva materia “tutela della concorrenza” nel suo profilo dinamico e promozionale.
Secondo questa impostazione la Corte ritiene compatibili con il nuovo contesto costituzionale: la concessione da parte dello Stato di contributi per taluni settori produttivi, individuati con legge statale, nell’ambito degli aiuti de minimis consentiti dalla Comunità; gli interventi finanziari a sostegno di determinate tipologie di investimenti per le imprese agricole; i finanziamenti di nuovi patti territoriali e contratti di programma riguardanti il settore della pesca ed agroalimentare. Si tratta, infatti, di una gamma di interventi uniti dal filo di una strategia unica volta ad incidere sui fattori della produzione su scala nazionale e ad accrescere la competitività complessiva del sistema economico.

3. La sentenza ora richiamata costituisce la chiave interpretativa entro la quale collocare – e valutare positivamente – la coerenza costituzionale della norma primaria che supporta l’esercizio del potere regolamentare in esame.
Tuttavia la questione merita qualche riflessione aggiuntiva, soprattutto in una fase come quella attuale segnata dalla esigenza di costruire, con gradualità ma entro coordinate chiare, un nuovo assetto legislativo coerente con il tessuto costituzionale delineato dalla riforma del titolo V: tessuto che peraltro va ricollocato e spiegato all’interno del più complessivo quadro costituzionale e, soprattutto, dei fondamentali ed immutati principi posti nella prima parte della Carta costituzionale. E’ rilevante osservare che la Corte, come già ricordato, connette la materia della tutela della concorrenza [art. 117, secondo comma, lett. e)] ad una serie di altre competenze anche esse attribuite in via esclusiva allo Stato: tutela del risparmio e dei mercati finanziari, moneta, sistema valutario, sistemi tributario e contabile dello Stato, perequazione finanziaria; e nella competenza esclusiva statale rientra la cruciale questione della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali e civili da riconoscere a tutti i soggetti che appartengono alla stessa comunità nazionale. Ora, una visione dinamica dello svolgimento di queste competenze statali deve trovare un punto limite, a protezione del valore costituzionale dell’autonomia delle regioni e degli enti locali; un tale limite può essere ricostruito muovendo, a monte, dalla predeterminazione del demos comune dei livelli delle prestazioni essenziali di cittadinanza e, a valle, dall’autonomia impositiva riconosciuta al sistema delle regioni e degli enti locali, autonomia che supporta il telaio delle competenze concorrenti ed esclusive attribuite a questi soggetti. I due percorsi ricostruttivi si delimitano e si sostengono reciprocamente.

4. Al riguardo assumono un rilievo particolare anche le sentenze della Corte Cost. n. 376 del 2003 e n. 16 e 49 del 2004. Nella prima, la Corte chiarisce che il coordinamento finanziario può richiedere l’esercizio di poteri di ordine amministrativo, di regolazione tecnica, di rilevazione di dati e di controllo, ossia di poteri puntuali affinché la finalità del coordinamento possa essere concretamente realizzata. L’azione di Governo deve comunque rispettare in ogni caso l’ambito delle sfere di autonomia, non potendo il Governo incidere sulle scelte autonome degli enti quanto alla provvista o all’impiego delle risorse proprie (autonomia impositiva ed autonomia finanziaria). Si conferma così un rapporto di reciproca delimitazione e integrazione tra la sfera delle competenze attribuite e lo schema generale di finanziamento di queste competenze, fissato dal comma quarto dell’art. 119 Cost. Si tratta di un rapporto che probabilmente costituisce la linea ermeneutica più proficua per declinare e sciogliere i complessi nodi attuativi della riforma del titolo V. Nelle altre due sentenze, la Corte sottolinea che lo Stato non può agire con la tecnica della istituzione di Fondi a valenza nazionale quando intende organizzare e finanziare attività che rientrano tra le funzioni ordinarie delle regioni e degli enti locali, funzioni per le quali lo Stato deve assicurare l’integrale copertura finanziaria attraverso i richiamati meccanismi del quarto comma dell’art. 119 Cost.: compartecipazione a tributi erariali; tributi propri; fondo perequativo senza vincoli di destinazione. La perequazione speciale, prevista dal quinto comma del citato art. 119, deve porsi come elemento esterno ed aggiuntivo che può intervenire solo dopo che lo Stato abbia assolto all’obbligo di assicurare il finanziamento integrale delle funzioni ordinarie trasferite. Questa linea ricostruttiva sembra confermare che la questione cruciale per una corretta impostazione della fase di attuazione del titolo V è quella della previa, chiara ed univoca predeterminazione dei contenuti e delle modalità procedurali con le quali vanno determinati i livelli essenziali delle prestazioni di cittadinanza che lo Stato deve garantire in modo uguale a tutti gli appartenenti alla comunità nazionale su tutto il territorio, a prescindere dalla regione di residenza. La perequazione, come tutte le altre competenze esclusive statali, in senso sia statico che dinamico, come la tutela macroeconomica della concorrenza, va correlata, sempre dinamicamente, al profilo dei livelli essenziali civili e sociali, la cui determinazione è un prius – logico oltre che pratico – per fornire la base finanziaria ed il perimetro delle materie nelle quali il legislatore statale può assumere, come nel caso in esame, funzioni di regolazione diretta, primaria e secondaria. In definitiva, l’utilizzo della tecnica dell’istituzione di Fondi a valenza nazionale deve sempre essere valutata con grande cautela e deve sempre essere correlata a funzioni che con ragionevole certezza non possono essere articolate ed organizzate a livello regionale, sia pure entro un quadro di criteri e di priorità generali fissati dalla legge statale, sia in quanto riflettono scelte non connotate dalla valenza locale che in quanto richiedono schemi di finanziamento che chiamano in gioco responsabilità fiscali e quindi politiche dello Stato.
Occorre tuttavia sottolineare che la tipologia degli strumenti ammessi in sede comunitaria per promuovere e stimolare lo sviluppo di mercati competitivi, anche in campo agricolo, è assai articolata e può concretizzarsi in misure che integrano strumenti di tratto marcatamente centralistico, come quella in esame, e misure destinate ad intercettare esigenze legate alle caratteristiche socio-economiche di determinate aree regionali. Tutto ciò implica in ogni caso un rilevante grado di coordinamento degli interventi per evitare la duplicazione (in sede centrale e regionale) e la sovrapposizione di misure, stanziamenti ed obiettivi, con effetti finali di dispersione complessiva di risorse pubbliche. Al di là quindi di una ricostruzione, in sede di giurisprudenza costituzionale, di uno schema concettuale di riparto delle competenze che accerti, caso per caso, la coerenza costituzionale di singoli interventi del legislatore statale, appare necessaria, a monte, una incisiva azione di coordinamento, promossa dal Governo nazionale ed effettivamente concertata con le regioni e gli enti locali.

5. Con specifico riguardo allo schema regolamentare in esame, va rilevato che il regime di aiuti previsto è affidato all’ISMEA (ente pubblico economico); è l’ISMEA che dovrà istituire il Fondo di investimento nel capitale di rischio ed affidare la sua gestione ad una costituenda società di capitali; la società di capitali che gestisce il Fondo realizza il proprio profitto sulla base degli utili netti derivanti dalla gestione del Fondo. Il Fondo ha lo scopo di supportare i programmi di investimento di piccole e medie imprese operanti nel settore agricolo ed agroalimentare, con l’obiettivo di promuoverne la nascita e lo sviluppo e di favorire la creazione di nuova occupazione, attraverso operazioni finanziarie finalizzate all’espansione del mercato di capitali di rischio (art. 1, comma 2).

6. Il parere favorevole della Commissione europea fa presente che le autorità italiane hanno assicurato che nella gestione del Fondo verranno applicate le migliori prassi e che la vigilanza avverrà in forme regolamentari. Nello schema in esame però non si rinviene alcuna disposizione che regoli il rapporto tra i Ministeri vigilanti ed il Fondo; in altri termini, non si comprende in quale modo i Ministeri vigilanti abbiano contezza, anche documentale, dei risultati del Fondo, che è alimentato direttamente dal bilancio dello Stato, al di là naturalmente delle risultanze contabili specifiche della costituenda società di capitali. Occorre, pertanto, risolvere nel testo la questione delle modalità con le quali l’ISMEA ed i Ministeri intendono vigilare sul buon uso delle risorse pubbliche, almeno a livello di controllo dei risultati attesi e di quelli effettivamente conseguiti. Il fatto che una funzione pubblica venga realizzata nelle forme della società di capitali non libera definitivamente ed automaticamente l’autorità di governo e quella amministrativa (nel presente caso l’ISMEA), dalla responsabilità di vigilare sul buon uso delle risorse assegnate dal bilancio dello Stato. In altri termini, la forma della società lucrativa non costituisce una barriera dietro la quale non è più ricostruibile alcuna forma di obbligo-potere di vigilare da parte dell’autorità politico-amministrativa preposta alla cura di quell’interesse. E’ una questione che il legislatore ordinario non si è posto in modo esplicito, ma che deve trovare la sua disciplina in sede regolamentare. In particolare, occorre considerare che il capitale sociale della costituenda società è interamente pubblico e che il Fondo effettua le operazioni finanziarie sulla base della partecipazione di un investitore privato, stabilita al 30% dell’operazione nelle zone “ disagiate” ed al 50 % nel resto del Paese. Dunque la veste societaria è l’involucro di una attività che utilizza fondi prevalentemente pubblici, sia pure dentro schemi nettamente finalizzati alla profittabilità delle imprese che essi sostengono.

7. Al riguardo non è ultroneo ricordare che una recente ordinanza delle Sezioni unite della Cass. Civ. (n.19667/2003) ha chiarito che sussiste comunque
la giurisdizione contabile, in materia di danno erariale, della Corte dei conti anche nei confronti degli amministratori degli enti pubblici economici e delle società di capitali a prevalente partecipazione pubblica. Ed il danno patrimonialmente valutabile si ricostruisce anche sulla base di un rapporto di natura extracontrattuale: quando si comprovi la violazione di regole tecniche di condotta accurata e diligente nell’utilizzo dei fondi a disposizione. La questione è delicata, in considerazione della natura sostanzialmente imprenditoriale che la Commissione europea intende consentire per questo tipo di interventi sul capitale di rischio, per non considerarli aiuti di Stato; peraltro è la stessa Commissione che fa riferimento alle norme regolamentari sulla vigilanza in ordine al buon uso delle risorse assegnate.

8. Non sembra quindi in conflitto con tale caratterizzazione sostanziale degli interventi in esame la previsione di una norma che configuri una procedura informativa che consenta all’ISMEA e attraverso detto ente pubblico economico, ai Ministeri vigilanti, di accertare e valutare lo stato e la qualità degli utilizzi delle risorse gestite dal Fondo. Uno schema potrebbe essere costituito dall’inserimento nel testo di un articolo del seguente tenore: “Art…. (Relazione all’ISMEA): “1. Gli amministratori responsabili del Fondo, ogni anno, trasmettono all’ISMEA, insieme al bilancio della società di capitali costituita ai sensi dell’art. 1, anche una relazione che illustra gli obiettivi programmati ed i risultati conseguiti. 2. Nel bilancio dell’esercizio dell’ISMEA, redatto ai sensi dell’art. 7, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 2001, un’apposita sezione è dedicata alla illustrazione dei risultati previsti ed ottenuti attraverso le iniziative di sostegno all’accesso al mercato dei capitali disciplinate nel presente regolamento”.

9. Deve, inoltre, essere meglio chiarita quale sia la funzione della costituenda società di gestione del risparmio che viene evocata nell’art. 1, comma 1, secondo periodo, dello schema in esame; deve stabilirci se si tratta di uno strumento “ulteriore” o della eventuale forma particolare che può assumere la società di capitali che deve gestire il Fondo. Se, come sembra, si versa nella seconda ipotesi, la disposizione andrebbe riscritta in modo più esplicito. Ad esempio: “Per la gestione del Fondo l’ISMEA è autorizzato a costituire un’apposita società di capitali, anche nella forma di una società di gestione del risparmio, in conformità con le disposizioni di cui all’art. 33 e seguenti del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.”

10. Infine, si segnala che la rinuncia alla propria quota di rendimento, prevista dal comma 5 dell’art. 4, qualora, nel caso di partecipazioni indirette, il rendimento atteso risulti inferiore al tasso IRS a cinque anni aumentato di 200 punti base, appare non del tutto coerente con la decisione della Commissione europea che ha assentito il regime di aiuti in esame. Non sembra che tale rinuncia fosse presente nel testo trasmesso alla Commissione e la sua ammissibilità appare dubbia trattandosi di un intervento che si configura, in definitiva, come un contributo a fondo perduto.

P.Q.M.
Esprime parere favorevole con le osservazioni di cui in motivazione.
Per estratto dal Verbale
Il Segretario della Sezione
(Licia Grassucci)

Visto
Il Presidente della Sezione
(Pasquale de Lise)

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