Consiglio di Stato

Adunanza della Sezione Prima 16 marzo 2005
Numero sezione 9771/2004

OGGETTO:
Ministero dell’interno.
Richiesta di parere nel procedimento avviato dal Governo per l’annullamento straordinario, ai sensi dell’art.138 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n.267, dello Statuto del Comune di Genova nella parte in cui estende agli stranieri extracomunitari il diritto di elettorato per le elezioni comunali e per la partecipazione ai referendum comunali.

Vista la relazione del Ministero dell’interno, Dipartimento per gli affari interni e territoriali, Direzione centrale dei servizi elettorali, trasmessa con nota n. 2004002855, in data 4 agosto 2004, con la quale è chiesto il parere del Consiglio di Stato in ordine alla questione indicata in oggetto.


ESAMINATI gli atti e udito il relatore-estensore Consigliere Marcello Borioni;
RITENUTO in fatto quanto esposto dall’Amministrazione riferente;
PREMESSO
L’art.138 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n.267, prevede che “il Governo, a tutela dell’unità dell’ordinamento, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’interno, ha facoltà, in qualunque tempo, di annullare, d’ufficio o su denunzia, sentito il Consiglio di Stato, gli atti degli enti locali viziati da illegittimità”.
Con riferimento alla norma predetta il Ministro dell’interno ha chiesto il parere del Consiglio di Stato, intendendo proporre l’annullamento straordinario dello Statuto del Comune di Genova, approvato con deliberazione consiliare n.105 del 27 luglio 2004, nella parte in cui estende agli stranieri extracomunitari il diritto di elettorato, attivo e passivo, per le elezioni del consiglio comunale, del sindaco, dei consigli circoscrizionali, nonché per la partecipazione ai referendum comunali.
In considerazione della natura e degli effetti dell’atto, visti anche alla luce della riforma del Titolo V della Costituzione, operata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3, la Sezione, con parere interlocutorio n. 9771 del 2004, ha invitato il Ministero dell’interno a dare comunicazione al Comune di Genova dell’avvio del procedimento e della facoltà di presentare, entro i successivi trenta giorni, memorie e documenti.
Eseguito tale adempimento, l’Amministrazione riferente ha fatto pervenire le osservazioni presentate dal Comune di Genova e proprie considerazioni integrative.
CONSIDERATO:
La Sezione ha già avuto occasione di esaminare se l’istituto dell’annullamento straordinario da parte del Governo nei confronti di atti amministrativi adottati dai Comuni, previsto dall’art.138 del D. Lgs. 18 marzo 2000, n.167, sia compatibile con le prerogative riconosciute agli enti locali dal nuovo Titolo V della Costituzione (Sez. I, 23 febbraio 2005, n.12068) ed è pervenuta alla conclusione affermativa per le ragioni e nei limiti di seguito indicati, che il Collegio condivide.
E’ stato osservato, nel predetto parere, che prima della riforma, la Corte Costituzionale ha più volte riconosciuto la conformità della norma alla Costituzione, ravvisando nel potere governativo di annullamento uno strumento di tutela dell’ordinamento unitario della pubblica amministrazione (Corte Cost. 13 gennaio 1966, n.4; 13 luglio 1963, n.128; 10 dicembre 1960, n.73 e n.74; 5 maggio 1958, n.23; 26 gennaio 1957, n.24).
Ma, come pone in evidenza il Comune di Genova nelle sue osservazioni, nell’originario dettato costituzionale i Comuni erano qualificati come “enti autonomi nell’ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica” (art.128), mentre ora sono definiti, come le Province, le Città metropolitane e le Regioni, “enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni, secondo i principi fissati dalla Costituzione” (art. 114).
Il riconoscimento dell’autonomia “secondo i principi fissati dalla Costituzione” pone, in effetti, il problema in termini nuovi, poiché l’esercizio del potere di annullamento nei confronti di atti adottati da enti la cui autonomia è garantita dalla Costituzione richiede che l’istituto trovi anch’esso fondamento nella Costituzione (Corte Cost. 21 aprile 1989, n.204).
Sotto questo profilo non è decisiva la mancanza di una espressa previsione costituzionale, perché la fonte legittimante può essere implicita nelle norme o nei principi costituzionali, dovendo l’autonomia degli enti locali, anche se costituzionalmente garantita, armonizzarsi “con i precetti e i principi tutti ricavabili dalla Costituzione” (da ultimo, Corte Cost. 2 dicembre 2004, n.372; 13 gennaio 2004, n.2).
In tal senso la Corte Costituzionale si è espressa più volte quando, prima della riforma del Titolo V, ha riconosciuto conformi alla Costituzione, nella quale non compariva nessuna disposizione esplicita in tal senso, norme che attribuivano ad organi statali poteri di ingerenza nei confronti della Regioni, già definite dal previgente art.115 della Costituzione come “enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”, poteri che si traducevano nell’adozione di atti di indirizzo e coordinamento e nell’esercizio di poteri sostitutivi (fra le altre, Corte Cost. 14 dicembre 1998, n.408).
Si tratta allora di accertare se il citato art.138 possa conservare, alla luce delle norme e dei principi costituzionali vigenti, un proprio ambito di applicazione.
La risposta di segno positivo emerge dall’art.117, comma 2, della Costituzione, che attribuisce alla potestà legislativa esclusiva dello Stato determinate materie, all’evidente fine di assicurare, nei settori ad esse corrispondenti, l’unitarietà e la coerenza dell’ordinamento giuridico.
La riserva di legge statale, estesa alla potestà regolamentare in virtù del parallelismo sancito dal successivo sesto comma, rende palese che, negli ambiti definiti dalle materie enumerate dall’art.117, il principio di unitarietà dell’ordinamento assume nella Costituzione valore primario, con la conseguenza che, negli stessi ambiti, le autonomie riconosciute dall’art.114, comma 2, sono definite e limitate dalla disciplina emanata dallo Stato.
Ne deriva che, nei settori la cui cura è affidata, in via primaria, alla responsabilità dello Stato, la situazione non è dissimile da quella precedente riforma, sicché, come allora, nulla si oppone a che lo Stato, nel regolamentare la materia, preveda la possibilità di un suo intervento diretto a tutela dell’unitarietà dell’ordinamento.
Questa conclusione non trova ostacolo nell’art.114, comma primo, del nuovo testo costituzionale, che ha attribuito rilevanza costituzionale all’autonomia dei Comuni, allineandoli allo Stato con le Province, le Città metropolitane e le Regioni, come sottolinea il Comune di Genova. Il punto è se, ciò nonostante, lo Stato mantenga, anche sul piano funzionale, una posizione nei confronti degli enti locali tale da consentirgli di procedere, in modo diretto e unilaterale (in sostanza, in via di autotutela), all’annullamento di atti illegittimi che risultino lesivi del principio anzidetto.
La Corte Costituzionale ha già avuto occasione di rilevare che il predetto art.114 non comporta affatto una equiparazione fra gli enti in esso indicati, che, anche nel nuovo quadro costituzionale, dispongono di poteri profondamente diversi fra loro; ha anche specificato che, dopo la revisione del Titolo V, è pur sempre riservata allo Stato, nell’ordinamento generale della Repubblica, un ruolo peculiare desumibile non solo dalla proclamazione di principio di cui all’art.5 della Costituzione, ma anche dalla “evocazione di un’istanza unitaria” che è resa manifesta, fra l’altro, dall’art.120, comma 2, della Costituzione (Corte Cost. 24 luglio 2003, n.274).
Questa norma riconosce allo Stato, e per esso al Governo, il potere di ingerirsi in modo diretto, pure se in via surrogatoria e temporanea, all’interno di aree rientranti nella sfera di autonomia coperta da garanzia costituzionale, a tutela degli interessi e dei valori indicati nella norma, fra i quali è compresa “la tutela dell’ unità giuridica”, che non figurava nel testo del previgente art.120.
La stessa Corte ha ripetutamente affermato che l’esplicita previsione di poteri sostitutivi per le situazioni indicate nella norma citata, che consentono anche l’invasione di competenze proprie degli altri enti elencati nell’art.114, non toglie che lo Stato, intervenendo in sede legislativa su materie di propria competenza, possa introdurre poteri sostitutivi aggiuntivi (da ultimo, Corte Cost. 2 marzo 2004, n.73; 27 gennaio 2004, n.43).
Per la stessa ragione deve ritenersi che lo Stato possa, nell’esercizio della sua competenza legislativa esclusiva, prevedere interventi meramente caducatori che non incidano su prerogative costituzionalmente garantite.
In tale quadro va letto l’art. 138 del D. Lgs. n.267/2000, che attribuisce al Governo la facoltà di annullare “a tutela dell’unità dell’ordinamento…gli atti degli enti locali viziati di illegittimità”.
Ad avviso della Sezione, la definizione dell’intervento attraverso una clausola di contenuto indeterminato, quale è quella contenuta nel citato art.138, presenta profili di incompatibilità con la riforma, poiché l’indeterminatezza del presupposto farebbe dell’annullamento straordinario uno strumento caratterizzato da così ampia discrezionalità da risultare lesivo dell’autonomia degli enti locali avente fondamento nella Costituzione.
Nella sentenza n.229/1989 sopra citata, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art.2, comma 3, lett. p), della legge 23 agosto 1988, n.400, nella parte in cui prevede l’annullamento straordinario da parte del Governo degli atti amministrativi delle Regioni e delle Province autonome, proprio in considerazione del fatto che l’istituto “è suscettibile di incidere sulla…sfera costituzionalmente garantita” essendo “caratterizzato dal massimo della discrezionalità e svincolato da qualsivoglia tipizzazione dei contenuti e degli interessi generali da affermare in sede di adozione del provvedimento demolitorio”.
Tuttavia, l’istituto non appare contrastante con la vigente Costituzione se ricondotto in margini di operatività che assicurino la salvaguardia delle prerogative degli enti locali costituzionalmente garantite e il suo collegamento ad interessi e valori costituzionalmente tutelati, fra i quali l’unitarietà dell’ordinamento giuridico, la cui cura compete, in via prioritaria, allo Stato.
In questo senso ed entro tali limiti è da ritenere che l’art.138 del D. Lgs. n. 267/2000 possa ricevere un’interpretazione non incompatibile con la disciplina costituzionale vigente, fermo restando che, sul punto, la parola risolutiva spetterà, ai sensi degli artt.134 e segg. della Costituzione, alla Corte Costituzionale se e quando sarà investita della questione (cit. Cons. Stato, Sez. I, 22 febbraio 2004, n.12068).
Ciò premesso, si tratta di accertare se rientri nell’indicato ambito di applicazione del predetto art.138 il caso in esame, in cui il Governo intende annullare gli artt. 19, 30, 38 e 49 dello statuto del Comune di Genova, come modificato con deliberazione consiliare 27 luglio 2004, n.105, nelle parti in cui consentono l’esercizio del diritto di elettorato attivo e passivo nelle elezioni comunali e in quelle circoscrizionali agli apolidi e ai cittadini di Stati non aderenti all’Unione europea legalmente soggiornanti in Italia e residenti nel Comune.
La Sezione è consapevole che la partecipazione degli stranieri alle elezioni amministrative costituisce un importante passaggio per realizzare l’obiettivo della loro integrazione nella comunità territoriale nella quale vivono e lavorano.
Si tratta di un’esigenza ampiamente avvertita sul piano internazionale, come dimostrano, per gli stranieri comunitari, l’art.19 del Trattato istitutivo della Comunità europea; per gli stranieri non comunitari, la Convenzione di Strasburgo del 5 febbraio 1992 e, da ultimo, la risoluzione del Parlamento europeo 15 gennaio 2003, n.136.
E sono numerose anche le iniziative dei Comuni e dalle Province intese a coinvolgere gli stranieri, sia pure con modalità e in forme diverse, nella vita pubblica locale, fino a giungere, come nel caso in esame, ad ammetterli ad esercitare l’elettorato, attivo e passivo, nelle elezioni per la nomina degli organismi rappresentativi della comunità comunale e di quella circoscrizionale.
Questa possibilità è, tuttavia, resa problematica dall’intreccio di norme che si occupano della materia a livello sia costituzionale sia ordinario e la complessità è accentuata dalla circostanza che la predetta Convenzione di Strasburgo, pur se non è stata ratificata dal Parlamento nella parte in cui ammette gli stranieri non comunitari all’elettorato nelle consultazioni locali, è richiamata, nella stessa parte, dall’art.9, comma 4, del D. Lgs. 25 luglio 1998, n.286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”).
Le difficoltà che si incontrano nell’accertare se e in quale limiti l’ordinamento vigente consenta agli enti locali di riconoscere agli stranieri il diritto di elettorato in sede statutaria è testimoniata dai numerosi progetti di legge presentati al Parlamento da più parti politiche.
Dato atto doverosamente atto degli interessanti contributi offerti dall’Amministrazione riferente e dal Comune di Genova, la Sezione osserva, anzitutto, che l’art.48 (diritto di voto) e l’art.51 (accesso alle cariche elettive) della Costituzione offrono ai cittadini la garanzia costituzionale del diritto di elettorato attivo e passivo, ma, contrariamente a quanto sostiene l’amministrazione riferente, non precludono al legislatore ordinario di estendere gli stessi diritti, in tal caso privi di copertura costituzionale, a soggetti privi della cittadinanza italiana.
Ciò può avvenire in base all’art.10, comma 2, della Costituzione (“La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”) e, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, in base all’art.117, comma 2, lett.a, della Costituzione (“Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: a)…diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea”).
Ne sono riprova, in materia di elezioni amministrative, e tanto interessa in questa sede, l’art.1 del D. Lgs. 12 aprile 1996, n.197, con il quale è stato riconosciuto ai cittadini degli Stati membri dell’Unione europea, in conformità alla direttiva 94/80/CE del 19 dicembre 1994, il diritto di votare nelle elezioni comunali e di essere eletti consiglieri comunali (art.1) e l’art.9, comma 4, del D. Lgs. 25 luglio 1998, n.286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”), che consente agli stranieri non comunitari di “partecipare alla vita pubblica locale, esercitando anche l’elettorato quando previsto dall’ordinamento e in armonia con le previsioni del capitolo C della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica locale, fatta a di Strasburgo il 5 febbraio 1992”.
Il Comune di Genova si richiama, nelle sue osservazioni, a quest’ultima norma, sostenendo che le norme statutarie costituiscono parte integrante dell’ordinamento e, come tali, assolvono la condizione (“quando previsto dall’ordinamento”) alla quale è subordinata l’ammissione alle elezioni locali degli stranieri non comunitari.
Questa tesi non può essere condivisa, perché l’osservanza della riserva di legge, che nella specifica materia elettorale relativa ai Comuni è posta anche dall’artt.117, comma 2, lett.p della Costituzione, richiede che siano indicati dalla fonte primaria almeno i criteri di base per l’esercizio della normazione secondaria e tale presupposto non può ritenersi realizzato con il semplice rinvio all’ordinamento, tanto più che la Convenzione di Strasburgo del 1992 è stata ratificata dal Parlamento ad eccezione del capitolo C, concernente il diritto di voto degli stranieri nelle elezioni locali (cfr.art.1 della legge di ratifica 8 marzo 1994, n.203).
Inoltre, in virtù del parallelismo stabilito dall’art.117, comma 6, della Costituzione, la competenza dello Stato si estende alla potestà regolamentare, il che, pur a voler ritenere possibili interventi della potestà statutaria del Comune che non siano di mera attuazione, accentua l’esigenza che la legge statale delimiti adeguatamente l’esercizio di tale potere normativo.
Se fosse diversamente, d’altra parte, si assisterebbe alla proliferazione di una varietà di situazioni nei singoli Comuni del tutto incoerente con la stessa ragion d’essere della riserva esclusiva in favore dello Stato e si perverrebbe al risultato che i Comuni disporrebbero nella materia spazi di discrezionalità di cui non usufruiscono per quanto concerne l’ammissione all’elettorato dei cittadini di Stati aderenti all’Unione europea.
Da ultimo, va considerato che il citato D. Lgs. n.267/2000 è stato emanato prima dell’entrata in vigore della riforma del Titolo V (legge cost. 18 ottobre 2001, n.3), quando la condizione degli stranieri era disciplinata dal solo articolo 10, comma 2, della Costituzione, il quale impone che la materia sia regolata da una legge conforme a norme o a trattati internazionali. Questo presupposto mancava allora e manca tuttora, non essendo stato ratificato il capitolo C della Convenzione di Strasburgo predetta, onde è da escludere, anche per questa ragione, che all’art.8 possa essere attribuito il significato prospettato dal Comune.
Da quanto precede consegue che il citato art.9, comma 4, del D. Lgs. n.286/1998 potrà assumere forza precettiva soltanto in connessione con un ulteriore intervento del legislatore statale, al pari di quanto accaduto per l’ammissione all’elettorato dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea.
D’altra parte sarebbe incoerente con la ragion d’essere della riserva esclusiva in favore dello Stato, che persegue finalità di uniformità almeno tendenziale della disciplina sul territorio nazionale.
Il Comune di Genova rivendica, in via subordinata, la legittimità delle proprie norme statutarie nella parte in cui riconoscono agli stranieri non comunitari l’elettorato attivo e passivo nelle elezioni dei consigli circoscrizionali.
Giova osservare, in via preliminare, che anche in tale limitata prospettiva le norme statutarie incidono sulla condizione giuridica degli stranieri non comunitari, in quanto concorrono a definirne la capacità giuridica nel campo pubblicistico, e, sotto tale profilo, non è rilevante la tipologia dell’organo da eleggere, con la conseguenza che almeno i vincoli dei quali si è detto, derivanti dalle riserve di legge di cui all’art.10, comma 2, e all’art.117, comma 2, lett.a, della Costituzione, permangono anche in tema di elezioni circoscrizionali.
Secondo il Comune, che si richiama ad un recente parere di questo stesso Consiglio (Sez. II, 28 luglio 2004, n. 8007), le norme statutarie troverebbero legittimazione nell’art.17, comma 4, del D. Lgs. 18 agosto 2000, n.267 (Testo unico sull’ordinamento degli enti locali), per il quale “gli organi delle circoscrizioni rappresentano le esigenze della popolazione della circoscrizione nell’ambito dell’unità del comune e sono eletti nelle forme stabilite dallo statuto e dal regolamento”.
Si tratta di un’interpretazione non condividibile perché, a parte le considerazioni già esposte circa l’inidoneità del generico rinvio ad altre fonti a soddisfare le riserve di legge, la norma citata demanda alla potestà statutaria e regolamentare del Comune la definizione delle “forme” del procedimento elettorale, alle quali non è riconducibile il riconoscimento del diritto di elettorato, che non attiene a profili formali del procedimento bensì al contenuto sostanziale della capacità giuridica degli stranieri.
In realtà, nel quadro normativo concernente l’ordinamento comunale la posizione degli stranieri trova considerazione nell’art.8, comma 5, dello stesso citato D. Lgs n.267/2000, che così recita: “lo statuto, ispirandosi ai principi di cui alla legge 8 marzo 1994, n.203 e al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286, promuove forme di partecipazione alla vita pubblica locale dei cittadini dell’Unione europea e degli stranieri regolarmente soggiornanti”.
La legge n.203/1994 ha per oggetto la ratifica della citata Convenzione di Strasburgo del 1992 limitatamente ai capitoli A e B, che prevedono forme di partecipazione di carattere propositivo e consultivo, mentre l’ammissione degli stranieri all’esercizio dell’elettorato nelle consultazioni locali è previsto dal capitolo C.
Il D.Lgs. n.286/1998, come già rilevato, consente agli stranieri non comunitari che sono titolari della carta di soggiorno di “partecipare alla vita pubblica locale, esercitando anche l’elettorato quando previsto dall’ordinamento e in armonia con le previsioni del capitolo C della Convenzione” di Strasburgo del 1992 (art.9, comma 4).
Dalla lettura combinata delle norme ora citate emerge che l’esercizio dell’elettorato è assoggettato ad una normativa autonoma e distinta rispetto a quella concernente le altre forme di partecipazione alla vita pubblica locale, che sono state rese operative dalla predetta legge n.203/1994.
Tanto sarebbe sufficiente per escludere che l’esercizio dell’elettorato nelle consultazioni circoscrizionali rientri tra le forme di partecipazione previste dai capitoli A e B della Convenzione di Strasburgo; ma, in tal senso, depone anche il disposto letterale dell’art.6 della Convenzione, che, riferendosi in modo ampio e onnicomprensivo alle “elezioni locali”, attrae nell’ambito di applicazione della norma tutti i procedimenti di nomina di organi elettivi preposti alla cura di interessi generali sul territorio dell’ente locale.
Sicché se il Comune si articola in unità amministrative “minori” al cui vertice è posta un’assemblea elettiva rappresentativa della comunità locale, quale è il consiglio circoscrizionale, l’ammissione degli stranieri non comunitari alle elezioni rientra nell’elettorato che l’art.9, comma 4, del D. Lgs. n.286/1998 consente “quando previsto dall’ordinamento”.
Va pure considerato che l’art.17 del D. Lgs. n.267/2000 attribuisce alle “circoscrizioni” anche funzioni “di gestione dei servizi di base, nonché di esercizio delle funzioni delegate dal comune”, e ciò comporta che il consiglio circoscrizionale, del quale è pacifica la natura di organo comunale, sovraintende o, comunque, partecipa all’esercizio di potestà pubbliche.
La possibilità che lo straniero influisca in via mediata, attraverso il voto, o direttamente, se eletto, sull’esercizio di funzioni amministrative di competenza della circoscrizione e, se delegate, di funzioni di competenza comunale, sottolinea che esiste anche una linea di demarcazione sostanziale fra l’esercizio dell’elettorato e le altre forme di partecipazione che, esprimendo contributi di natura meramente consultiva o propositiva, non toccano la sfera delle potestà pubbliche.
Questo profilo non può essere sottovalutato, anzitutto, perché il predetto art.17 consente una delega di funzioni senza limiti di contenuto e, pertanto, le circoscrizioni possono essere chiamate a gestire, sotto la propria responsabilità, un’ampia gamma di funzioni amministrative attribuite dall’ordinamento ai consigli comunali. In secondo luogo, perché la possibilità di influire, in modo diretto (elettorato passivo) o indiretto (elettorato attivo), sull’esercizio di funzioni amministrative assume particolare rilievo ai fini della configurazione della condizione giuridica degli stranieri, come dimostra la circostanza che l’accesso all’impiego nella pubblica amministrazione è consentito di regola, ed entro certi limiti, ai soli cittadini degli Stati membri dell’Unione europea, (art. 38 del D. Lgs. 30 agosto 2001, n.165, corrispondente all’art.37 del D. Lgs. n.29/1993; artt.2 e 3 del D.P.C.M. 7 febbraio 1994, n.174).
Per le ragioni esposte, la Sezione ritiene che la conclusione cui è pervenuta in precedenza circa l’appartenenza della materia alla potestà esclusiva dello Stato e circa l’insufficienza dell’art.9, comma 4, del D. Lgs. n.286/1998 a soddisfare la riserva di legge, valga anche per i procedimenti elettorali di nomina dei consigli circoscrizionali.
E’ significativo, in tal senso, che l’art.4 della legge 5 giugno 2003, n.131 (“disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3), includa, nel contenuto degli statuti degli enti locali, la disciplina delle “forme di partecipazione popolare”, ma non fa alcun cenno alla materia elettorale.
La conclusione è che il Comune di Genova, nell’ammettere i cittadini di Stati non aderenti all’Unione europea all’elettorato attivo e passivo nelle elezioni comunali e in quelle circoscrizionali, ha invaso un’area che la Costituzione riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.
Per conseguenza sussistono i presupposti (tutela dell’unità dell’ordinamento giuridico, illegittimità dell’atto) che tuttora legittimano, per le considerazioni iniziali, l’esercizio del potere di annullamento straordinario da parte del Governo ai sensi dell’art.138 del D. Lgs. n.267/2000.

P.Q.M.
Nei sensi che precedono è il parere.

Per estratto dal verbale

Il Segretario della Sezione
(Licia Grassucci)

Visto
Il Presidente della Sezione
(Giovanni Ruoppolo)

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