REPUBBLICA ITALIANA

N.1176/2005
Reg. Dec.
N. 2757 Reg. Ric.

Anno 2004

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E
sul ricorso in appello n. 2757 del 2004 proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici è ex lege domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

c o n t r o
l’Agenzia Territoriale per la casa della Provincia di Torino, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dagli avv.ti Angelo Clarizia e Giuseppe Di Chio, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, Via Principessa Clotilde, n. 2;
e con l’intervento
- dell’Associazione Nazionale Venezia-Giulia e Dalmazia, Centro Studi Padre Flaminio Rocchi, in persona del Presidente in carica, e dei signori Virgilio Rocchi e Virgilio Biasi, rappresentati e difesi dall’avv. Gian Paolo Sardos Alberini, presso il cui studio sono elettivamente domiciliati, in Roma, Via G. Pierluigi da Palestrina, n. 19; e
- della Federcasa, in persona del suo legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avv. Angelo Clarizia presso il cui studio è elettivamente domiciliata, in Roma Via Principessa Clotilde, n. 2;
per l’annullamento
della sentenza n. 1571 del 26 febbraio 2003, resa inter partes dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio sul ricorso n. 5948 del 2002 del registro generale di quel Tribunale;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Agenzia Territoriale per la casa di Torino;
Visto l’atto di intervento in giudizio dell’Associazione Nazionale Venezia-Giulia e Dalmazia, del sig. Virgilio Biasi e della Federcasa;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Relatore alla pubblica udienza del 16 novembre 2004 il Consigliere Dedi Rulli; uditi l'avvocato dello Stato De Felice per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, l'avv. A. Clarizia per l’appellata Agenzia e per la Federcasa e l’avv. Manzi (per delega dell’avv. Sardos Albertini) per l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

F A T T O
Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, l’Agenzia Territoriale per la casa della Provincia di Torino impugnava la direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 21 febbraio 2002 con la quale si precisava che la cessione in proprietà di tutti gli alloggi, comunque assegnati in uso ai profughi, andava effettuata alle condizioni di miglior favore previste dalla L. 24 dicembre 1993, n. 960, e n soltanto quelli realizzati ai sensi della L. 4 marzo 1952, n. 137; la predetta direttiva era altresì impugnata per la parte in cui si davano istruzioni alle Prefetture in ordine al riconoscimento tardivo della qualifica di profugo, nonché la circolare DICA/5075/III/19.10.1961 del 18 maggio 1999.
Il Tribunale adito, dopo aver disatteso l’eccezione pregiudiziale di inammissibilità del gravame per carenza di interesse sollevata in quella sede dalla difesa erariale, lo ha accolto ritenendo fondata la doglianza relativa alla violazione dell’art. 117 della Cost., della L.R. 28 marzo 1995, n. 46,ed al vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti ed illogicità manifesta.
Con atto notificato in data 12 marzo 2004 la Presidenza del Consiglio di Ministri ha proposto appello avverso la predetta decisione, ridendola erronea e lesiva dei propri interessi.
In particolare, l’Amministrazione, dopo aver ricordato la normativa in materia, ripropone l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto di posizione giuridica soggettiva,perché la direttiva impugnata ha contenuto e finalità meramente interpretative di disposizioni legislative statali, così che una eventuale lesione delle posizioni dei soggetti coinvolti potrebbe eventualmente verificarsi solo nel momento della cessione concreta degli alloggi di cui trattasi.
D’altra parte, se l’interpretazione delle disposizioni in esame fosse errata, l’Amministrazione interessata non sarebbe obbligata al suo rispetto.
Sotto il profilo pregiudiziale aggiunge ancora che la direttiva di cui si discute non può essere oggetto di impugnazione da parte delle Amministrazioni sottordinate (come si pone l’Agenzia Territoriale per la Casa appellata) che si trovano in posizione di soggezione organizzativa e non di interesse protetto, altri essendo i procedimenti previsti all’interno della P.A. per la soluzione di eventuali conflitti di interessi. Né sono stati impugnati gli eventuali atti applicativi delle disposizioni così interpretate dall’amministrazione,con la conseguenza che la vicenda deve ritenersi ormai definitivamente conclusa.
Trattasi, infine, di immobili di proprietà dello Stato di cui l’Agenzia ha la mera gestione.
Le questioni pregiudiziali così sollevate si possono riproporre anche in relazione ai singoli motivi del ricorso di primo grado che, prima di essere infondati nel merito, appaiono inammissibili per difetto di posizione giuridica tutelata e di interesse.
Ancora sotto il profilo della inammissibilità, la difesa erariale rileva il difetto di contraddittorio nei confronti dell’Agenzia del Demanio, soggetto al quale il gravame andava notificato atteso che le questioni prospettate interessano anche alloggi di proprietà dello Stato ed in gestione all’Agenzia ricorrente in primo grado.
Nel merito sostiene, oltre la inammissibilità del primo motivo di ricorso, anche la sua infondatezza,sul rilievo che la circolare impugnata formula indicazioni interpretative in relazione all’art. 45, terzo comma, della L. n. 388 del 23 dicembre 2000,che appaiono pienamente conformi sia ai principi generali sia a quelli costituzionali di ripartizione delle competenze legislative tra Regioni e Stato. A sostegno della affermata infondatezza nel merito delle argomentazioni svolte dal giudice di primo grado,si richiamano anche alcune pronunzie intervenute in materia che non sono di ostacolo all’interpretazione della normativa sopravvenuta fornita nella circolare
Analogamente da non condividere appare quella parte della sentenza impugnata relativa ai soggetti-profughi legittimati a chiedere la cessione degli immobili alle condizioni di favore stabilite dalla legge n. 560 del 1993. Sul punto l’Amministrazione afferma che le indicazioni contenute nella circolare in esame non sono altro che richiami ad orientamenti già espressi e ad istituti più volte esaminati sia in dottrina sia in giurisprudenza.
Si richiama, infine, la legge 24 dicembre 2003, n. 350, che, ai commi 223 e 224 dell’art. 4, contiene una conferma testuale della piena legittimità della circolare.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri conclude, dunque, per l’accoglimento dell’appello e l’annullamento della sentenza di primo grado.
Per resistere al giudizio si è costituita l’Agenzia Territoriale per la casa della provincia di Torino che, con memoria del 21 maggio 2004, controdeduce tutti i motivi di appello prospettati da controparte, unitamente alle numerose eccezioni pregiudiziali, sostenendone la infondatezza, e chiede che la sentenza si confermata.
Si sono, altresì, costituite in giudizio l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia e la Federcasa, la prima ad adiuvandum delle posizioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e la seconda in appoggio alle ragioni dell’Agenzia appellata.
Tutte le parti hanno depositato ulteriori memorie difensive.
Alla pubblica udienza del 16 novembre 2004, su richiesta delle parti, la controversia è stata spedita in decisione.

D I R I T T O
1. Il giudice di primo grado ha assunto a base della soluzione di accoglimento le seguenti considerazioni:
- la direttiva impugnata assume natura di atto di coordinamento amministrativo che incide in una materia di competenza regionale e che si pone in contrasto anche con la normativa regionale,
- la stessa pone sul medesimo piano alloggi disciplinati da un diverso regime giuridico (alloggi costruiti per i profughi ai sensi della L. 4 marzo 1952, n. 137, ed alloggi di edilizia residenziale pubblica, costruiti per finalità diverse, agli stessi assegnati) ai fini dell’applicazione del beneficio della cessione alle condizioni di favore previste dalla L. 24 dicembre 1993, n. 560;
- estende il beneficio dell’acquisto agli eredi non riconosciuti profughi, riaprendo così i termini per il riconoscimento della detta qualifica.
Nel contestare l’interpretazione della disciplina in materia fornita dal T.A.R., la Presidenza del Consiglio dei Ministri, dopo aver riproposto tutte le eccezioni pregiudiziali sollevate in primo grado, afferma che la direttiva qui contestata non è che applicazione rigorosa dell’art. 45, comma 3, della L. 23 dicembre 2000, n. 388, immune dai vizi denunciati in quella sede.
2. La soluzione - necessariamente preliminare rispetto al merito della controversia - delle eccezioni pregiudiziali sollevate in limine dalla difesa erariale, anche relativamente ai singoli motivi di ricorso, presuppone - in primo luogo - l’esatta verifica della natura della circolare contestata in relazione al suo contenuto e, successivamente, quella della posizione dell’originaria ricorrente nei confronti del detto provvedimento.
Le eccezioni stesse, sotto i vari aspetti svolti nell’atto di appello, non appaiono condivisibili.
Quanto al primo profilo, osserva il Collegio che la circolare di cui si discute, per la parte relativa all’estensione delle condizioni di “miglior favore” prevista dall’articolo unico, comma 24, della legge n. 560 del 1993, contiene una interpretazione dell’art. 45, comma 3, della L. 23 dicembre 2000, n. 388, risolutiva, ad avviso dell’amministrazione, di alcune problematiche sorte sulla base della precedente disciplina in materia. Si afferma, infatti, che il legislatore è intervenuto, con norma innovativa, senza prendere in considerazione alcun criterio distintivo di tipo oggettivo, fondato sulla natura e sull’origine dell’immobile assegnato in locazione. Interpretazione la cui correttezza sarà esaminata in seguito.
Rispetto a detto contenuto, interpretativo di una disposizione normativa non dichiarata incostituzionale e quindi vigente, l’Agenzia, in quanto titolare in proprio di alloggi di edilizia residenziale pubblica ed Ente gestore di quelli di titolarità dello Stato con precisi obblighi e responsabilità rispetto al detto patrimonio (controllo della sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi dei soggetti interessati alla cessione e determinazione del relativo prezzo) è una delle “Amministrazioni territorialmente interessate” richiamate nella circolare; sotto tale profilo non vi è dubbio che l’Ente, in quanto obbligato al rispetto del contenuto della direttiva che lo investe direttamente, è titolare di un interesse diretto e conforme ai propri fini istituzionali alla tutela del patrimonio di edilizia residenziale pubblica.
3. In relazione alla eccepita inammissibilità per mancata notifica del gravame all’Agenzia del Demanio, si osserva come, qualunque sia la sua posizione (sia essa controinteressata o cointeressata), il contraddittorio risulta essere stato correttamente costituito con la notifica del ricorso a due controinteressati ed il giudice di primo grado non ha ritenuto provvedere alla sua integrazione.
4. Può, a questo punto, passarsi all’esame nel merito della controversia.
La questione sostanziale da risolvere attiene alla corretta interpretazione dell’art. 45, terzo comma, della L. 23 dicembre 2000, n. 380 in relazione all’art. 1, comma 24, della L. 24 dicembre 1993, n. 560.
Appare opportuno, per una migliore comprensione della controversia, puntualizzare, sia pure in via di estrema sintesi, i dati normativi di riferimento nei quali inquadrare la fattispecie in esame.
Il problema dell’esodo dei profughi giuliani e dalmati verso l’Italia, iniziato nel 1943, venne affrontato con un primo intervento legislativo nel 1952 con la legge del 4 marzo, n. 137. Allora, identificata la categoria, si erano previsti due tipi di intervento:
- l’obbligo, a carico degli I.A.C.P. e dell’U.N.R.R.A casa, di riservare ai profughi un’aliquota del 15% degli alloggi costruiti ed abitabili dal 1° gennaio 1952 (art. 17); ed analogo obbligo era previsto a carico dell’I.N.C.S. in favore dei profughi dipendenti statali, il tutto per un quadriennio;
- per il medesimo quadriennio, la costruzione, a spese dello Stato, di fabbricati a carattere popolare, la cui gestione era affidata agli I.A.C.P., da assegnare in locazione ai profughi all’epoca ricoverati presso i centri di raccolta amministrati dal Ministero dell’Interno (art. 18).
Entrambi gli interventi sono stati, nel tempo, oggetto di proroghe legislative sulle quali si sono peraltro inserite sia l’unificazione dei vari settori dell’edilizia residenziale pubblica ex lege 22 ottobre 1971, n. 865, sia la L. 26 dicembre 1981, n. 734, il cui art. 34 ha, tra l’altro, introdotto, in via permanente, l’obbligo della riserva ai profughi del 15% degli alloggi compresi nei programmi di intervento in materia di edilizia economica e popolare di competenza regionale.
A questo punto è intervenuta la legge 24 dicembre 1993, n. 560 il cui articolo unico, al comma 24, espressamente disponeva: “gli assegnatari degli alloggi realizzati ai sensi della legge 4 marzo 1952, n. 137 e successive modificazioni……..ne possono chiedere la cessione in proprietà entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge beneficiando delle condizioni di miglior favore contenute nell’art. 26 delle norme approvate con Decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 195, n. 2 come sostituito dall’art. 14 della legge 27 aprile 1962, n. 231” e cioè al prezzo pari al 50% del costo di costruzione di ogni singolo alloggio alla data di ultimazione della costruzione stessa ovvero di assegnazione dell’alloggio, se anteriore.
In ordine a detta ultima disposizione sorgevano difficoltà interpretative aventi ad oggetto l’estensione da attribuire all’indicato comma ventiquattro, opponendosi due diverse interpretazioni:
- l’una, secondo la quale la possibilità di acquisto agevolato ivi prevista andava limitata ai soli alloggi costruiti appositamente in favore dei profughi e, dunque quelli di cui all’art. 18 della L. n. 137 del 1952;
- l’altra che riteneva la detta disposizione applicabile anche agli alloggi comunque loro assegnati ex art. 17 della legge stessa.
E la giurisprudenza prevalente sul punto era orientata in senso negativo alla seconda soluzione.
In tale contesto normativo e giurisprudenziale è intervenuta la L. 23 dicembre 2000, n. 388 che, con l’art. 45, terzo comma, espressamente dispone: “Il termine per la domanda di cessione di immobili a profughi di cui agli articoli 1, 17 e 18 della legge 4 marzo 1952, n. 137, e successive modificazioni, nonché di cui all'articolo 1, comma 24, della legge 24 dicembre 1993, n. 560, è prorogato sino al 30 dicembre 2005. Le disposizioni di cui all'articolo 5 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 542, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 dicembre 1996, n. 649, si applicano a tutti gli immobili destinati ai profughi di cui alla predetta legge 4 marzo 1952, n. 137, e successive modificazioni; tra i predetti immobili sono ricompresi anche quelli realizzati nelle regioni a statuto speciale, o di proprietà dell'ex Opera Profughi, dell'ex EGAS e dell'ex Ente Nazionale Tre Venezie. Gli immobili citati nel presente comma sono esclusi dall'applicazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo.”
La norma non è chiara nella sua formulazione atteso che, intitolata in rubrica, “cessione in proprietà di alloggi di edilizia residenziale pubblica di proprietà statale nella Regione Friuli-Venezia Giulia” cui fanno riferimento anche i primi due commi, ad una prima lettura sembra limitata alla Regione indicata anche nel successivo terzo comma.
In realtà, il riferimento ivi contenuto agli alloggi realizzati nelle Regioni a statuto speciale (e quindi tutte) o di proprietà dell’ex Opera Profughi, dell’ex Egas e dell’ex Ente Nazionale delle Tre Venezie milita per la sua valenza generale, estesa, cioè, a tutti gli alloggi cui si riferisce.
La disposizione, di valenza sicuramente innovativa rispetto alla previgente disciplina, unifica gli interventi previsti dagli artt. 17 e 18 della legge del 1952 ed espressamente dispone che le condizioni di miglior favore per la determinazione del prezzo di cessione si applicano a tutti gli immobili destinati ai profughi.
E, d’altra parte, già l’interpretazione restrittiva data all’art.1, comma 24, della legge n. 560 del 1993 non convinceva pienamente, atteso che il riferimento agli alloggi realizzati in forza della legge n. 137 del 1952 (e quindi anche quelli ancora da costruire) che non distingueva quelli ricadenti nella previsione dell’art. 17 o dell’art. 18, non appare sufficiente ad individuare in via esclusiva gli alloggi costruiti per essere destinati esclusivamente ai profughi da quelli da assegnare loro in forza della quota di riserva di cui all’art. 18. Ed il criterio utilizzato dalla Corte dei Cassazione, 1° Sez. civile, nella decisione n. 13949 del 13 dicembre 1999, riferito alla sola determinazione del canone di locazione, pur se indubbiamente valido, non può ritenersi, da solo, sufficiente ad invertire il giudizio di prevalenza degli interessi connessi all’intera categoria di profughi che appare permeare tutta la normativa in materia indipendentemente dal tipo di assegnazione di cui i singoli siano stati beneficiari per fatti e circostanze del tutto estranei dalla loro disponibilità.
Quanto fin qui detto rispecchia, peraltro, l’evoluzione del quadro legislativo (in particolare la L. n. 865 del 22 ottobre 1971 fino alla L. n. 560 del 1993) che ha ricondotto nell’unico genus di edilizia residenziale pubblica gli alloggi di cui si discute, sulla base del principio per cui il criterio distintivo va ricercato non nel tipo di finanziamento (statale o meno) attivato per la loro realizzazione, bensì nella finalità loro propria (cfr., in termini, Cons. di Stato, IV° Sez., n. 1930 del 10 aprile 2002).
Ed a conferma della interpretazione dell’art. 45 della L. n. 388 del 2000, così come fin qui precisata, si pongono i commi 223 e 224 della L. 350 del 24 dicembre 2003 che, contrariamente a quanto sostenuto dall’Agenzia territoriale appellante, nell’affermare (comma 223) che “le disposizioni di cui all’art. 5 del D.L. 23 ottobre 1996, n. 542, si applicano a tutti gli immobili destinati ai profughi di cui alla L. 4.3.1952, n. 137, e successive modificazioni” senza alcuna distinzione, dimostra l’intenzione del legislatore di non voler discriminare soggetti che abbiano ottenuto alloggi costruiti con i fondi destinati appositamente a tal fine da coloro che quegli alloggi avevano ottenuto in forza della riserva nell’assegnazione prevista in loro favore, mentre il comma successivo è limitato alla espressa conferma dello specifico vincolo di destinazione proprio degli immobili di cui trattasi.
5. Tale essendo l’interpretazione del dato normativo di riferimento, nessuna violazione dei principi di cui all’art. 117 della Cost., sotto il profilo della violazione delle competenze legislative regionali in materia, è dato rinvenire nella circolare impugnata, che, come precisato nei punti precedenti, deve ritenersi atto amministrativo meramente interpretativo di disposizioni statali non dichiarate incostituzionali (e quindi vigenti) relativamente agli immobili di proprietà dell’Azienda territoriale; per quelli di proprietà dello Stato appare indubbia la competenza della Presidenza del Consiglio.
Non senza rilevare che la legge n. 388 del 2000 è anteriore alla modifica del titolo V della Costituzione. Non è ravvisabile perciò alcuna violazione delle competenze regionali.
D’altra parte gli alloggi in esame costituiscono pur sempre un patrimonio pubblico destinato all’assistenza ai profughi, così appare ragionevole la volontà del legislatore statale di accomunare, sotto un’unica disciplina, beni che, comunque, soddisfano i medesimi interessi.
6. Analogamente da non condividere appare quella parte della decisione impugnata che ha ritenuto illegittima la circolare in esame relativamente all’ambito soggettivo di applicazione della disposizione di favore fin qui esaminata.
Il giudice di primo grado ha, al riguardo, affermato che la possibilità di cessione degli immobili anche a coloro che non avevano richiesto (o non avevano ottenuto) il riconoscimento della qualifica di profugo, prevista nella circolare, si risolverebbe in una sostanziale riapertura di termini ormai scaduto ovvero in una sanatoria non sancita né autorizzata da noma alcuna.
Sul punto, ed a parte i profili irricevibilità ed inammissibilità della censura, va osservato che la direttiva qui contestata si limita a ricordare ai Prefetti competenti in materia, disposizioni già impartite e già dagli stessi seguite e contenute nella precedente circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri (n. 5075/III/19.10.1961 del 18.5.1999) relativa al riconoscimento tardivo della qualifica di profugo, peraltro non impugnata.
In altre parole, si richiamano, per il profilo che qui interessa e senza nulla aggiungere, gli istituti della dichiarazione implicita, del provvedimento adottato ora per allora, dei principi civilistici in materia successoria (da sempre riconosciuti sia in dottrina che in giurisprudenza) in favore di soggetti che, pur non in possesso del riconoscimento formale della qualifica, perché familiari conviventi ovvero all’epoca minori, sono stati - di fatto – assistiti come profughi, istituti – tutti – già puntualmente precisati alle pgg. 2 e 3 della ricordata circolare del 1999.
7. Per le svolte considerazioni, l’appello proposto merita accoglimento e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado deve essere respinto.
Le spese e gli onorari dei due gradi di giudizio, che si liquidano in dispositivo, seguono, come di regola, la soccombenza.

P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quarta, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso indicato in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.
Liquida in complessivi € 4.000 (quattromila euro) le spese e gli onorari dei due gradi di giudizio, spese che pone a carico della parte soccombente.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma il 16 novembre 2004, in camera di consiglio, con l'intervento dei magistrati:
Stenio Riccio Presidente
Dedi Rulli Consigliere, est.
Bruno Mollica Consigliere
Carlo Deodato Consigliere
Nicola Russo Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Dedi Rulli Stenio Riccio

IL SEGRETARIO
Rosario Giorgio Carnabuci

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
22 marzo 2005
(art. 55, L. 27.4.1982 n. 186)
Il Dirigente
Antonio Serrao

N.R.G. 2757/2004

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