N. 2520/2004
Reg. Dec.
N. 7642 Reg. Ric.
Anno 1994
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
D E C I S I O N E
sul ricorso n. 7642/94 proposto dal Comune di Frosinone, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Loreto Gentile, con il quale è elettivamente domiciliato in Roma, viale Regina Margherita n. 46, presso lo studio dell’avv. Ruggero Frascaroli;
c o n t r o
- il Commissario regionale ad acta dott. Arch. Adriano Mariottini, non costituito in giudizio;
– la Regione del Lazio, in persona del Presidente pro tempore della Giunta Regionale, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la stessa legalmente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
e nei confronti
di Alfredo Testani, non costituito in giudizio;
di Giacinto Testani, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Sezione di Latina, n. 224/94, pubblicata in data 1° marzo 1994, resa tra le parti, con la quale è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall’attuale appellante, concernente formazione e approvazione del primo programma pluriennale di attuazione del Piano Regolatore Generale.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Lazio;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 16 dicembre 2003 il Consigliere Giuseppe Carinci;
Uditi gli avv.ti Loreto Gentile, per l’appellante, e l'Avvocato dello Stato Elefante, per l'Amministrazione resistente;
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue.
F A T T O
Con ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo di Latina, il Comune di Frosinone ha impugnato, denunciandone l’illegittimità, le delibere del Commissario ad acta n. 7 del 24 aprile 1992, di adozione del primo programma pluriennale di attuazione, e n. 48 del 22 ottobre 1992, di controdeduzione alle osservazioni formulate e di definitiva approvazione.
Il Tribunale amministrativo ha ritenuto il gravame inammissibile, osservando che trattavasi dell’impugnazione di atti emessi dal Commissario ad acta nominato dalla Regione, direttamente imputabili al Comune, che si rivelava, quindi, non legittimato a impugnarli.
Il Comune di Frosinone non ha condiviso la decisione e ha interposto appello con atto notificato in data 5/29 luglio 2003, depositato il 29 del successivo mese di settembre. Nel gravame ha dedotto i seguenti motivi.
1) Il Commissario ad acta non ha agito come organo del Comune, ma della Regione, cui spettano ope costitutionis funzioni legislative ed amministrative in materia urbanistica. Invero il potere sostitutivo non trova, nella generalità dei casi, la propria fonte nell’art. 130 della Costituzione, ma nei precedenti artt. 117 e 118, che attribuiscono alla Regione funzioni legislative e amministrative in materia urbanistica e, correlativamente, la competenza all’adozione degli strumenti urbanistici. Ai fini dell’imputazione formale, il Commissario ad acta ha quindi agito nella qualità di organo della Regione e non del Comune, donde la rilevanza esterna, rispetto a quest’ultimo, degli atti oggetto d’impugnazione e il possesso da parte dello stesso della legittimazione ad agire, con conseguente ammissibilità del ricorso in primo grado.
2) Il Comune ha poi richiamato tutte le censure sollevate in primo grado, riproponendole in questa sede nei termini appresso sintetizzati.
– Il programma approvato dal Commissario ad acta non contiene tutte le indicazioni previste dall’art. 3 della legge regionale n. 35 del 28 luglio 1978.
– L’elaborato non è corredato degli atti concernenti lo stato di attuazione dello strumento urbanistico generale e manca l’individuazione degli effettivi fabbisogni insediativi, con conseguente violazione dell’art. 4, nn. 1 e 4, della stessa legge regionale n. 35 del 28 luglio 1978.
– Non è stato tenuto conto, per quanto riguarda il fabbisogno abitativo, del limite massimo commisurato al 30% della popolazione residente, limite che risulta ampiamente superato. E’ stato inoltre stabilito un rapporto di 100 mc/ab vano, senza tener conto che la normativa del P.R.G. fissa il rapporto di 90mc/ab.
- Nelle norme di attuazione dello strumento approvato sono state incluse, senza che sia stato dato conto dei fabbisogni insediativi, tutte le lottizzazioni, approvate e non, e anche i sub-comprensori del P.R.G. non ancora perfezionati.
– Le norme del piano pluriennale ammettono, nelle zone B di completamento, anche interventi di nuova edificazione per il completamento dei lotti, con il computo a posteriori dei nuovi metri cubi eventualmente realizzati, e superamento, quindi, del fabbisogno ipotizzato. Nel centro storico si consentono interventi previo loro inserimento nel relativo piano particolareggiato, senza alcuna ulteriore precisazione.
– Per tutte le zone agricole sono resi possibili non solo gli interventi ex art. 9 della legge 28.1.977, n. 10, ma anche qualsiasi altro tipo di realizzazione, di talchè le stesse risultano tutte edificabili, ancorché non ricomprese nel piano pluriennale.
– Risulta omessa qualsiasi previsione in ordine all’edilizia pubblica, con evidente violazione dell’art. 13 della legge 28.1.1977, n. 10, e degli artt. 3 e 13 della legge regionale n. 35 del 28 luglio 1978.
– Non viene data indicazione, nemmeno in linea di massima, delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria da realizzare, e manca la previsione del fabbisogno finanziario, la cui copertura non può ritenersi assicurata con i soli oneri posti a carico dei privati.
Si è costituita in giudizio la Regione Lazio, la quale chiede il rigetto dell’appello e la conferma dell’impugnata decisione, osservando, in particolare, che il Commissario ad acta è stato nominato dalla Regione in sostituzione dell’organo competente ad adottare lo strumento urbanistico in questione. Il Commissario ha cioè assunto la veste di un organo straordinario e temporaneo del Comune, al quale vanno quindi imputati i relativi atti, in quanto volti a disciplinare interessi pubblici a esso pertinenti.
All'udienza del 16 dicembre 2003 la causa è stata assegnata in decisione.
D I R I T T O
Come esposto in narrativa, il Comune di Frosinone ha impugnato la decisione con la quale il Tribunale amministrativo di Latina ha ritenuto inammissibile il ricorso che l’Ente aveva proposto avverso l’approvazione in via sostitutiva, da parte del Commissario ad acta nominato dalla Regione, del primo programma pluriennale di attuazione dello strumento urbanistico comunale. Il Tribunale ha ritenuto che gli atti impugnati erano direttamente imputabili all’Ente comunale, che si rivelava pertanto non legittimato a impugnarli, donde la decisione di inammissibilità.
L’appellante, dopo aver ricordato che la Regione possiede attribuzioni legislative e amministrative in materia urbanistica, come previsto dagli art. 117 e 118 della Costituzione, sostiene che, in virtù appunto di tali attribuzioni, gli atti emanati dal Commissario ad acta non possono che essere formalmente imputati alla Regione, di cui lo stesso Commissario costituisce organo straordinario. Il che dimostrerebbe la rilevanza esterna degli atti stessi, rispetto al Comune, e il conseguente possesso da parte di questo della legittimazione ad agire, donde l’erroneità dell’impugnata sentenza.
Le censure si appalesano infondate.
Sulla questione, in realtà, non esiste un univoco indirizzo giurisprudenziale. In particolare, in un caso concernente la procedura di rilascio di una concessione edilizia, è stato ritenuto che la relazione che s’instaura tra il Commissario nominato per l’adozione degli atti e il Comune è di carattere intersoggettivo e non interorganico. Sulla base di tale osservazione è stata riconosciuta la possibilità dell’impugnazione da parte di quest’ultimo degli atti emanati in via sostitutiva dal primo (Cons. St., Sez. V, n. 1332 del 6.10.1999).
La decisione è però rimasta piuttosto isolata e il Collegio ritiene di seguire la prevalente giurisprudenza che condivide la tesi opposta. (Sez. VI, 16/10/2002, n. 5647; Sez. IV, 22/6/2000, n. 3536; Sez. IV, 8/6/2000, n. 3280).
Non va messo in dubbio che nel vigente ordinamento, l'imputazione di un interesse ad un Ente pubblico avviene attraverso l'attribuzione di concreti poteri, idonei a consentirne la cura anche mercè l'attivazione degli strumenti di tutela in via d'azione e per la difesa della sfera di competenze. Né va revocato in dubbio che l’attività che viene esercitata dal plesso organizzatorio “Regione – Comitato regionale di controllo” trovi collegamento con le previsioni dell’art. 130 della Costituzione.
Nel caso in esame non può, però, trascurarsi che gli atti impugnati in primo grado sono stati posti in essere dal Commissario ad acta appositamente nominato dalla Regione Lazio, su decisione del Comitato regionale di controllo sugli atti degli Enti locali. Ciò è avvenuto perché il Comune di Frosinone si era reso inadempiente in ordine all’approvazione del programma pluriennale di attuazione, atto di specifica competenza comunale, secondo le esplicite statuizioni dettate dall’art. 1 della legge regionale 28 luglio 1978, n. 35, e il richiamo alle previsioni dell’art. 13 della legge 28 gennaio 1977, n. 10. Trattasi, quindi, dell’adozione di atti rispetto ai quali l’attivazione degli strumenti di tutela per la difesa della propria sfera di competenze – cui il Comune fa particolare richiamo – poteva essere esercitata semmai, dallo stesso ente, nei confronti degli atti con cui era stato provveduto alla nomina del Commissario ad acta e all’assegnazione della specifica funzione, in quanto determinazioni riferibili all’esercizio dell’attività del controllo sostitutivo. Non più nei confronti degli atti emanati successivamente dal Commissario.
E’ chiaro, infatti, che il Commissario ad acta è intervenuto a colmare una lacuna dell’azione comunale non riconducibile ad alcun altro soggetto, sicché è indubbio che la posizione dallo stesso rivestita sia proprio quella di un organo comunale, sia pure di natura straordinaria. Il suo rapporto con il Comune è stato, quindi, di carattere interorganico, e non intersoggettivo. Correttamente, perciò, il giudice primo grado ha ritenuto inammissibile l’impugnativa, non riconoscendo al Comune la legittimazione a impugnare atti appartenenti alla propria sfera di competenza.
Il commissario ad acta, in effetti, non è stato chiamato a svolgere attività dell'Amministrazione di controllo, ma, in aderenza al potere che gli era stato conferito, si è limitato ad esercitare, in via sostitutiva, le specifiche competenze che la legge attribuisce direttamente all’ente comunale.
E’ utile richiamare, a tal proposito, quanto già affermato da questa stessa Sezione, secondo cui l’attività della Regione, nell’ambito dell’esercizio dell’attività di controllo sostitutivo degli enti locali, si esaurisce nell’atto stesso della nomina del Commissario ad acta e nell'individuazione delle funzioni da svolgere in luogo dell’Ente inadempiente, atteso che il Commissario non svolge alcuna attività propria dell’Amministrazione di controllo, ma è chiamato a esercitare il potere che dalla legge è stato attribuito all’ente sostituito che si è reso inadempiente (Cons. St., Sez. IV, n. 3536 del 22.6.2000).
Invero i provvedimenti emanati da un commissario ad acta sono imputabili direttamente ed esclusivamente all'Amministrazione sostituita. Al riguardo è stato precisato che gli atti posti in essere dal commissario ad acta, insediato in un Comune in virtù del controllo sostitutivo da parte dell'organo tutorio regionale sono, nei riguardi dei terzi, atti propri del Comune a tutti gli effetti, sostanziali e processuali (Cons. Stato, V Sez., 8 luglio 1995 n. 1034).
In ragione delle su esposte considerazioni il Comune appellante si appalesa, quindi, realmente privo di legittimazione per instaurare validamente la controversia in esame, per cui correttamente il giudice di primo grado ha ritenuto inammissibile l’impugnativa con sentenza che merita di essere qui confermata.
La conferma della decisione di inammissibilità pronunciata dal giudice di prime cure determina l’assorbimento di tutte le ulteriori censure riproposte in questa sede.
Le spese del giudizio seguono la regola generale della soccombenza e si liquidano nel dispositivo.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso specificato in epigrafe, respinge l’appello e conferma la pronuncia di inammissibilità del ricorso originario.
Condanna il Comune ricorrente a pagare in favore della Regione costituita le spese del giudizio, che liquida complessivamente in Euro 3.000,00 (tremila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma il 16 dicembre 2003, dalla IV Sezione del Consiglio di Stato, riunita in camera di consiglio con l’intervento dei seguenti signori:
Stenio RICCIO Presidente
Dedi RULLI Consigliere
Giuseppe CARINCI Consigliere, estensore
Vito POLI Consigliere
Anna LEONI Consigliere
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giuseppe Carinci Stenio Ricci
IL SEGRETARIO
Marta Belloni
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/04/2004
(art. 55, L. 27.4.1982, 186)
Il Dirigente
Giuseppe Testa

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