N.398/2004
Reg. Dec.
N. 7790 Reg. Ric.
Anno 2002
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
D E C I S I O N E
sul ricorso in appello iscritto al NRG 7790 dell’anno 2002 proposto da TARANTINI VITANTONIO, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni e Gianluigi Pellegrino, con i quali è elettivamente domiciliato in Roma, via Giustiniani, n.18;
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del Consiglio in carica; CONFERENZA PERMANENTE PER I RAPPORTI TRA STATO, REGIONI E PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO, in persona del legale rappresentante in carica e MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del ministro in carica, tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domiciliano ope legis in Roma alla via dei Portoghesi 12;
e nei confronti di
REGIONE PUGLIA, in persona del Presidente della giunta regionale in carica, rappresentata e difesa dal prof. Avv. Pier Luigi Portaluri, con il quale è elettivamente domiciliata in Roma, viale Gorizia n. 25/d, presso lo studio dell’avv. Giulio Micioni;

nonché
REGIONE EMILIA ROMAGNA, in persona del Presidente della giunta regionale in carica, rappresentata e difesa dall’avv. Rosaria Russo Valentini, con il quale è elettivamente domiciliata in Roma, Corso Vittorio Emanuele II, n. 284;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sezione terza ter, n. 6252 del 10 luglio 2002;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, della Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano, del Ministero della Salute e della Regione Puglia;
Visto l’atto di intervento ad opponendum della Regione Emilia Romagna;
Visti gli atti tutti di causa;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive tesi difensive;
Relatore alla pubblica udienza del 28 ottobre 2003 il consigliere Carlo Saltelli;
Uditi gli avvocati Pierluigi e Giovanni Pellegrino per l’appellante, l’avvocato dello Stato Salvatorelli, per le amministrazioni statali, l’avvocato Portaluri P.L. per la Regione Puglia e l’avvocato R. Russo Valentini per la Regione Emilia Romagna;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

F A T T O
Con ricorso giurisdizionale notificato il 18/19 marzo 2002, a mezzo del servizio postale, il dott. Vitantonio Tarantini, nella asserita qualità di titolare di una struttura sanitaria di medicina fisica e riabilitazione (fisiokinesiterapia), operante nell'ambito del servizio sanitario nazionale e regionale, e precisamente nell’AUSL BA/2 della regione Puglia, chiedeva al Tribunale amministrativo regionale del Lazio l'annullamento della decreto del presidente del Consiglio dei Ministri in data 29 novembre 2001, avente ad oggetto "Definizione dei vitelli essenziali di assistenza", nella parte cui aveva escluso dall'erogabilità a carico del Servizio Sanitario Nazionale diciassette prestazioni incluse nel nomenclatore tariffario (ed esattamente: esercizio assistito in acqua; idromassoterapia; ginnastico vascolare in acqua; diatermia a onde corte e microonde; agopuntura con moxa revulsivante; ipertermia NAS; massoterapia distrettuale riflessogena; presso terapia o presso – depresso terapia intermittente; elettroterapia antalgica; ultrasuonoterapia; trazione scheletrica; ionoforesi; laserterapia antalgica; mesoterapia; fosforosi terapeutica; fotochemioterapia extracorporea; fotoforesi extracorporea).
Con un solo articolato motivo, denunciando “Violazione artt. 117 e 118 Cost. Rep. nuovo testo – Illegittimità per illegittimità costituzionale dell’art. 6 L. 405/01 nonché dell’art. 13 D. L.vo 502/92 – Carenza assoluta di motivazione – Violazione L. 241/90 – Eccesso di potere per irrazionalità e violazione art. 97 Cost. Rep. – Illegittimità derivata”, il ricorrente osservava che, poiché per effetto della nuova formulazione dell’articolo 117 della Costituzione, la “tutela della salute” rientrava tra le materie oggetto di legislazione concorrente, il relativo intervento normativo dello Stato poteva considerarsi ammissibile soltanto se realizzato con le garanzie dello strumento legislativo; pertanto, essendo stata invece affidata la definizione dei livelli essenziali di assistenza ad una fonte secondaria, non solo era illegittimo il relativo provvedimento, per quanto era costituzionalmente illegittimo anche l’articolo 6 del decreto legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito con modificazioni dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, che lo aveva previsto.
L’impugnato decreto, poi, secondo la tesi del ricorrente, lungi dal limitarsi a stabilire principi e direttive (che avrebbero dovuto poi trovare applicazione ed attuazione in ambito regionale sulla scorta di apposite determinazioni degli organi regionali), conteneva invece puntuali norme di dettaglio, individuando le singole tipologie delle prestazioni escluse dalla erogabilità a carico del Servizio Sanitario Nazionale, invadendo quindi inammissibilmente la relativa potestà regionale in materia; ciò senza contare che non vi era alcuna motivazione a giustificazione delle scelte, effettuate senza il benché minimo supporto istruttorio: il ricorrente chiedeva, perciò, anche la condanna delle intimate amministrazioni al risarcimento del danno subito dall’applicazione del provvedimento impugnato, da determinarsi sulla base (della diminuzione) del fatturato (storico), relativo alle predette diciassette prestazioni escluse.
Con motivi aggiunti, notificati il 23 aprile 2002, oltre ad illustrare le già dedotte censure di carenza di istruttoria e di difetto di motivazione del decreto impugnato con il ricorso originario, il ricorrente chiedeva all’adito Tribunale anche l’annullamento della delibera della Giunta regionale della Puglia n. 810 dell’8 aprile 2002, avente ad oggetto “Entrata in vigore del DPCM 29 novembre 2001 – Determinazione dei livelli essenziali di assistenza – Prime disposizioni applicative”, rilevando, innanzitutto, che essa era stata adottata da un organo incompetente (giacchè ai sensi delle previsioni contenute nello statuto regionale tuttora vigente, approvato con legge n. 349/71, la potestà regolamentare spettava esclusivamente all’organo consiliare), e che, in ogni caso, essa conteneva l’acritico recepimento, per giunta con effetto retroattivo, delle disposizioni contenute del predetto decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001, violando così, sia la propria funzione di modularne l’attuazione secondo le specifiche esigenze regionali, sia l’affidamento che era stato legittimamente riposto nell’efficacia della precedente normativa e nel vigente nomenclatore tariffario, tuttora valido, efficace e non modificato.
L’adito Tribunale, sezione III^ ter, con la sentenza n. 6252 del 10 luglio 2002 respingeva il ricorso, ritenendo infondati tutti i motivi di censura spiegati.
L’interessato, con atto di appello notificato il 18/19 settembre 2002, ha chiesto la riforma della predetta statuizione, fondata sull’erroneo e superficiale esame delle censure svolte in primo grado, frettolosamente disattese, a suo avviso, con motivazione insufficiente e non condivisibile.
Nel giudizio di appello si sono costituiti la Regione Puglia, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Conferenza permanente per i rapporti fra Stato, Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano nonché il Ministero della Salute; è altresì intervenuta ad opponendum la Regione Emilia Romagna: tutti hanno dedotto l’inammissibilità e l’infondatezza dell’avverso gravame, chiedendone il rigetto.
Con ordinanza n. 4885 del 18 ottobre 2002 la IV^ Sezione del Consiglio di Stato ha sospeso l’esecutività della sentenza impugnata, avendo ritenuto sussistente il “prescritto fumus boni iuris", anche con riguardo ai sollevati profili di costituzionalità (che tuttavia necessitano del maggior approfondimento proprio della sede di merito)”.
D I R I T T O
I. E’ controversa la legittimità: a) del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001, avente ad oggetto “Definizione dei livelli essenziali di assistenza”, nella parte in cui ha escluso dall’erogabilità a carico del Servizio Sanitario Nazionale diciassette prestazioni di fisiocinesiterapia, ed esattamente: esercizio assistito in acqua; idromassoterapia; ginnastico vascolare in acqua; diatermia a onde corte e microonde; agopuntura con moxa revulsivante; ipertermia NAS; massoterapia distrettuale riflessogena; presso terapia o presso – depresso terapia intermittente; elettroterapia antalgica; ultrasuonoterapia; trazione scheletrica; ionoforesi; laserterapia antalgica; mesoterapia; fosforosi terapeutica; fotochemioterapia extracorporea; fotoforesi extracorporea; b) della delibera della Giunta regionale della Puglia n. 810 dell’8 aprile 2002, che ha recepito il predetto decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001.
Il dott. Vitoantonio Tarantini, titolare di una struttura privata sanitaria di medicina fisica e riabilitazione (fisiocinesiterapia), operante nell’ambito del Servizio Sanitario, Nazionale e Regionale, e precisamente nell’AUSL BA/2 della Regione Puglia, chiede la riforma della sentenza della III^ sezione ter del Tribunale amministrativo regionale del Lazio che ha, a suo avviso erroneamente, ritenuto legittimi i provvedimenti sopra citati, riproponendo a tal fine tutte le censure svolte in primo grado.
Resistono al gravame la Regione Puglia, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Conferenza permanente per i rapporti fra Stato, Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano; è intervenuta ad opponendum la Regione Emilia Romagna.
II. Al riguardo la Sezione osserva quanto segue.
II.1. Deve essere innanzitutto esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sotto il profilo della carenza di interesse e del difetto di legittimazione passiva del dott. Vitantonio Tarantinia, sollevata dal Ministero della salute con la memoria difensiva del 16 ottobre 2003, sul presupposto che i soggetti incisi dall’impugnato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001 sarebbero stati esclusivamente gli assistiti e non già le strutture private esercenti le prestazioni di medicina fisica e fisiocinesiterapia.
L’assunto non può essere condiviso.
Deve essere innanzitutto rilevato che nessuna delle amministrazioni appellate ha contestato che il dott. Vitantonio Tarantini sia effettivamente titolare di una struttura privata di medicina fisica e fisiokinesiterapia operante nell’ambito dell’AUSL BA/2 della Regione Puglia, abilitata a fornire agli utenti del servizio sanitario le diciassette prestazioni che, per effetto delle disposizioni contenute nel decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001, sono state escluse dalla erogabilità a carico del Servizio Sanitario Nazionale.
Ciò posto, ad avviso della Sezione, proprio le considerazioni svolte dall’appellato Ministero della Salute, secondo cui l’esclusione dall’erogabilità a carico del Servizio Sanitario Nazionale delle predette diciassette prestazioni di fisiokinesiterapia trova fondamento nella necessità di controllare la spesa pubblica in materia sanitaria, ponendo freno all’iperprescrizione di terapie di medicina fisica e riabilitativa, dimostrano l’interesse ad agire, concreto ed attuale, del ricorrente, non potendo in alcun modo dubitarsi che, indipendentemente dalla problematica dei limiti di estensione della tutela del diritto alla salute (unico profilo attinente al diretto interesse degli assistiti), la nuova normativa incida proprio sulla diretta attività della struttura di medicina fisica e di riabilitazione di cui è titolare il ricorrente, facendo contrarre il numero delle richieste di erogazione delle prestazioni escluse: ciò consente di escludere, sotto altro profilo, che il ricorrente abbia agito inammissibilmente a tutela degli interessi dei potenziali assistiti fruitori delle sue prestazioni, come erroneamente prospettato dal ministero della salute.
E’ appena il caso di rilevare che l’interesse a ricorrere sussiste, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale (C.d.S., sez. IV, 10 novembre 1999, n. 1671; 22 maggio 2000, n. 2924; sez. V, 7 settembre 2001, n. 4680) non solo quando dall’annullamento dell’atto derivi un vantaggio diretto ed immediato, ma anche nel caso in cui il vantaggio sia successivo ed eventuale, sicché il richiesto annullamento sia strumentale ad una ulteriore attività dell’amministrazione dalla quale il ricorrente possa ottenere un risultato positivo (in tale ottica deve intendersi, ad avviso della Sezione, l’impugnativa del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001 in relazione ai dedotti profili di difetto di motivazione e di carente istruttoria).
Sussisteva e sussiste pertanto, sotto l’esaminato, l’interesse del dott. Vitantonio Tarantini ad impugnare il predetto decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001.
II.2. Passando all’esame del merito del gravame, la Sezione osserva che nei confronti del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001 (“Definizione dei livelli essenziali di assistenza”) sono stati sollevati sostanzialmente tre motivi di censura: il primo, attinente al grado della fonte (secondaria) utilizzata per la definizione dei predetti livelli essenziali di assistenza; gli altri due riguardanti invece il contenuto del provvedimento, in relazione all’esclusione dall’erogabilità a carico del Servizio Sanitario Nazionale delle indicate diciassette prestazioni di medicina fisica e riabilitazione, per difetto di motivazione e carenza istruttoria.
II.2.1. Giova evidenziare che il predetto decreto reca la classificazione dei livelli di assistenza (all. 1); la ricognizione della normativa vigente, con l’indicazione delle prestazioni erogabili, delle strutture di offerta e delle funzioni (1.B.); la indicazione delle prestazioni totalmente escluse dai LEA (all. 2 A) e di quelle parzialmente escluse dai LEA in quanto erogabili solo secondo specifiche indicazioni cliniche (all. 2 B); la indicazione delle prestazioni incluse nei LEA che presentano un profilo organizzativo potenzialmente inappropriato o per le quali occorre comunque individuare modalità più appropriate di erogazione (all. 2 C); le indicazioni particolari per l’applicazione dei livelli in materia di assistenza ospedaliera, assistenza farmaceutica, assistenza specialistica e integrazione socio sanitaria, nonché in materia di assistenza sanitaria alle popolazioni delle isole minori ed alle altre comunità isolate (all. 3) e la indicazione delle linee guide relative al ruolo delle Regioni in materia di LEA (all.4).
Si tratta evidentemente di un atto amministrativo generale, espressione del potere pararegolamentare dell’esecutivo, caratterizzato da un’amplissima discrezionalità (non meramente amministrativa, ma anche tecnica), finalizzato alla concreta tutela degli interesse pubblici (con particolare riguardo al controllo della spesa pubblica in materia sanitaria), che peraltro trova fonte nell’articolo 6 del decreto legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito con modificazioni dalla legge 16 novembre 2001, n. 405.
La sua natura giuridica esclude de plano la fondatezza dell’eccepito difetto di motivazione, stante la puntuale previsione dell’articolo 3, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241 che, com’è noto, non richiede motivazione per gli atti a contenuto generale.
Parimenti infondata, ad avviso della Sezione, è anche la censura di carenza istruttoria.
Deve essere rilevato che essa, così come formulata, nel senso cioè che la scelta di escludere dall’erogabilità a carico del Servizio Sanitario Nazionale alcune prestazioni di fisiokinesiterapia non sarebbe stata supportata dalla necessaria attività istruttoria volta a stabilire l’utilità delle prestazioni escluse per la salute pubblica, è innanzitutto smentita in punto di fatto dalla circostanza che l'impugnato decreto si fonda – in realtà – sugli intervenuti Accordi della Conferenza Stato – Regione, di cui alla seduta del 22 novembre 2001 (pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale del 23 gennaio 2002, suppl. ord. n. 19), in cui si dà espressamente contezza delle predecedenti riunioni finalizzate alla definizione dei livelli essenziali di assistenza, sia dal punto di vista tecnico (tavolo tecnico di lavoro, anche con riguardo agli aspetti finanziari, riunioni del 30 e 31 ottobre 2001, sfociate in una proposta di accordo, trasmessa ai Presidente delle regioni e ai Ministri della salute e dell’economia e delle finanze), sia dal punto di vista politico (riunioni tenutesi presso il Ministero dell’economia e delle finanze, in cui la predetta proposta di accordo è stata approvata, procedendosi altresì alla relativa stesura definitiva).
E’ ovvio, peraltro, che tale attività istruttoria, propedeutica all’emanazione dell’impugnato decreto (atto generale, finalizzato alla cura degli interessi pubblici, in primis quello finanziario, quale mezzo per rendere effettivo e concreto il diritto alla salute) ha sicuramente tenuto conto anche degli interessi privati in gioco (significativo è che la proposta d’accordo sia stata comunque inviata ai Presidenti delle Regioni, legittimi rappresentanti delle comunità stanziate sui relativi territori), ma non nel senso preteso dall’appellante di una valutazione specifica dei singoli interessi particolari, bensì nel senso di assicurare, nell’ambito delle risorse finanziare disponibili, la più ampia possibile tutela del diritto alla salute dei cittadini, nel rispetto dei principi costituzionali di uguaglianza e solidarietà.
Per completezza, poi, deve osservarsi che la censura in esame, nella misura in cui ridonda in un ulteriore profilo di difetto di motivazione, è infondata alla luce di quanto già detto e, per altro verso, è inammissibile, impingendo nel merito delle scelte – discrezionali – dell’amministrazione, ivi compresa quella di controllo della spesa pubblica, concretizzandosi – in definitiva – in un mero apodittico e soggettivo dissenso rispetto alle scelte operate.
II.2.2. Resta da esaminare il primo motivo di censura, con il quale l’appellante ha sostenuto che la definizione dei livelli essenziali di assistenza non poteva avere luogo nella forma del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, trattandosi di una fonte secondaria, dovendo per contro rivestire la forma dell’atto legislativo.
La Sezione rileva al riguardo che i livelli essenziali delle prestazioni concernenti di diritti civili e sociali, di cui all’art. 117, comma 2, lett. m) della Costituzione, tra cui devono ricomprendersi anche i livelli essenziali di assistenza (quale criteri per la concreta individuazione delle soglie minime di prestazione idonee a garantire, nel rispetto dei fondamentali principi di uguaglianza e solidarietà, la tutela del diritto costituzionalmente garantita alla salute, ex art. 32 della Costituzione) non costituiscono una “materia” in senso stretto, ai fini del riparto delle competenze legislative fra Stato e Regioni, rappresentando piuttosto “una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni gratuite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle (così, Corte Costituzionale, sentenza 26 giugno 2002, n. 282).
Ciò posto, non può negarsi che effettivamente solo al legislatore statale spetti la definizione dei predetti livelli essenziali di assistenza, coerentemente al vigente tessuto normativo di riferimento ed in particolare all’articolo 1, commi 1, 2, 3, 7 e 8, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (espressamente richiamato in motivazione dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001), che solennemente stabilisce, per un verso, che “Il Servizio Sanitario Nazionale assicura, attraverso le risorse finanziarie pubbliche individuate ai sensi del comma 3 e in coerenza con i principi e gli obiettivi indicati dagli articoli 1 e 2 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, i livelli essenziali ed uniformi di assistenza definiti dal Piano sanitario nazionale nel rispetto dei principi della dignità della persona umana, del bisogno di salute, dell’equità nell’accesso all’assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, nonché dell’economicità nell’impiego delle risorse” (comma 2) e, sotto altro profilo”, che “l’individuazione dei livelli essenziali ed uniformi di assistenza assicurati dal Servizio Sanitario Nazionale, per il periodo di validità del Piano Sanitario Nazionale, è effettuata contestualmente all’individuazione delle risorse finanziarie definite per l’intero sistema di finanza pubblica nel Documento di programmazione economica e finanziaria” (comma 3, primo periodo).
Dunque, ad avviso della Sezione, anche a prescindere da ogni altra considerazione, è la natura stessa dell’atto di definizione dei predetti livelli essenziali di assistenza, quali momento di sintesi dei contrapposti interessi pubblici in gioco (per un verso la tutela del diritto alla salute, nel rispetto dei principi di uguaglianza, solidarietà, equità e della dignità umana, e per altro verso, l’invalicabile limite della concreta disponibilità finanziaria), ad imporre che essi abbiano veste legislativa, espressione della contrapposizione dialettica tra le forze parlamentari di maggioranza e di opposizione rappresentativa di tutti i cittadini e perciò unico strumento idoneo ad assicurare il giusto contemperamento degli interessi in gioco e a conseguire l’effettivo interesse pubblico.
Del resto l’articolo 3 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, stabilisce al comma 2 che “la legge dello Stato, in sede di approvazione del piano sanitario nazionale di cui all’art. 53, fissa i livelli delle prestazioni sanitarie che devono essere, comunque, garantiti a tutti i cittadini”.
Tali conclusioni, ad avviso della Sezione, trovano ulteriore conferma anche nella recente sentenza della Corte Costituzionale n. 88 del 27 marzo 2003, intervenuta a dirimere un conflitto di attribuzioni tra la Provincia Autonoma di Trento e la Regione Emilia – Romagna, da un lato, e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, dall’altro, in relazione ad un decreto del Ministro della salute del 14 giugno 2002 (avente ad oggetto “Disposizioni di principio sull’organizzazione e sul funzionamento dei servizi per le tossicodipendenze delle aziende sanitarie locali – Sert. T, di cui al decreto ministeriale 30 novembre 1990, n. 444”), nella quale il giudice delle leggi ha espressamente affermato che “l’inserimento nel secondo comma dell’art. 117 del nuovo Titolo V della Costituzione, fra le materie di legislazione esclusiva dello Stato, della , attribuisce al legislatore statale un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di una adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto. La conseguente forte incidenza sull’esercizio delle funzioni nelle materie assegnate alle competenze legislative ed amministrative delle Regioni e delle Province Autonome impone evidentemente che queste scelte, almeno nelle linee generali, siano operate dallo Stato con legge, che dovrà inoltre determinare adeguate procedure e precisi atti formali per procedere alle specificazioni ed articolazioni ulteriori che si rendano necessarie nei vari settori”.
Alla luce di tali precisazioni, la censura in esame si concretizza nello stabilire se la funzione esclusiva di cui è competente lo Stato nella materia di cui alla lett. m), del comma 2, dell’articolo 117 della Costituzione di determinare dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti sul territorio nazionale, sia stata correttamente esercitata, con riferimento ai livelli essenziali di assistenza, attraverso l’articolo 6 del decreto – legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito con modificazioni dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, attribuendo ad un emanando decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (poi intervenuto in data 29 novembre 2001, oggetto della presente impugnazione) il compito di definirli.
Sennonché, ancor prima di esaminare detta problematica, la Sezione deve evidenziare che nelle more del giudizio è sopravvenuto l’articolo 54 della legge 27 dicembre 2002 (“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello stato – legge finanziaria 2003) che testualmente dispone: “Dal 1° gennaio 2001 sono confermati i livelli essenziali di assistenza previsti dall’articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni (comma 1). Le prestazioni riconducibili ai suddetti livelli di assistenza e garantite dal Servizio sanitario nazionale sono quelle individuate all’allegato 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 33 dell’8 febbraio 2002, con le esclusioni e i limiti di cui agli allegati 2 e 3 del citato decreto, con decorrenza dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto (comma 2). La individuazione di prestazione che non soddisfano i principi e le condizioni stabiliti dall’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, nonché le modifiche agli allegati richiamati al comma 2 del presente articolo sono definite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano (comma 3)”.
Per effetto del combinato disposto dei primi due commi di detto articolo il contenuto dell’impugnato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001 (e dunque la definizione dei livelli essenziali di assistenza, espressamente richiamati dal comma) sono stati legificati a decorrere dalla stessa data di entrata in vigore del decreto, con la conseguenza “formale” che non ne è più predicabile l’illegittimità per non essere stati assunti nella forma legislativa, sicuramente occorrente secondo le osservazioni svolte in precedenza.
Detta sanatoria, peraltro, non pone alcun problema di legittimità (costituzionale) circa l’asserito effetto retroattivo che la caratterizzerebbe, atteso che invero sotto il profilo temporale della decorrenza temporale degli effetti della definizione dei livelli essenziali di assistenza, vi è una semplice conferma della decorrenza già fissata con il contestato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Il gravame nei confronti di quest’ultimo deve essere pertanto dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto – com’è evidente – alcun vulnus può più provenire in via diretta ed immediata dall’impugnato decreto, il cui contenuto è ormai sussunto nella ricordata disposizione legislativa statale; né una tale decisione rende le ragioni dell’appellante prive di tutela, atteso che saranno autonomamente ed utilmente impugnabile tutti i provvedimenti, statali o regionali, con i quali sarà disconosciuto il diritto al rimborso – a carico del Servizio sanitario nazionale – delle prestazioni di fisiokinesiterapia escluse dai predette livelli essenziali di assistenza.
II.2.3. Ugualmente improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse deve ritenersi – ad avviso della Sezione – il gravame interposto nei confronti della delibera della Giunta regionale della Puglia n. 810 dell’8 aprile 2002, con sono stati recepiti i livelli essenziali di assistenza di cui al più volte citato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001.
E’ sufficiente al riguardo rilevare che per effetto dell’articolo 18, comma 1, della legge regionale 9 dicembre 2002, n. 20 (“Assestamento e variazione del bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2002”), la Regione Puglia ha dichiarato espressamente di garantire “i livelli di assistenza di cui all’articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, le cui prestazioni sono indicate nell’allegato 1 al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001, con le esclusioni di cui agli allegati 2°A, 2B e 2C e con le indicazioni e linee guida di cui agli allegati successivi”.
La natura legislativa di tale disposizione, che significativamente rientra anch’essa nell’ambito della manovra di finanza pubblica regionale per l’assestamento e la variazione al bilancio per l’esercizio finanziario 2002, priva di qualsiasi effetto la impugnata delibera della Giunta regionale, anche sotto il profilo della decorrenza degli effetti della definizione dei livelli essenziali di assistenza, sia in considerazione della successiva delegificazione degli stessi, sia in considerazione del fatto che essi rappresentano, come già precisato, la soglia minima delle prestazioni erogabili dal Servizio sanitario nazionali, derogabili in melius dalle Regioni, sulla base di autonome e discrezionali determinazioni (nel rispetto tuttavia dei vincoli finanziari), insindacabili salvi i profili di irragionevolezza o di irrazionalità che, nel caso in esame, non sembrano neppure emergere.
III. Alla stregua delle considerazioni fin qui svolte, l’appello deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
Sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta) dichiara improcedibile l’appello per sopravvenuta carenza di interesse.
Dichiara integralmente compensate fra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 ottobre 2003, con l’intervento dei signori:
TROTTA GAETANO - Presidente
BARBAGALLO GIUSEPPE - Consigliere
SALVATORE COSTANTINO - Consigliere
PATRONI GRIFFI FILIPPO - Consigliere
SALTELLI CARLO - Consigliere, rel.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
04/02/2004
(Art.55, L. 27.4.1982 n. 186)
Il Dirigente

MASSIMA
Il D.P.C.M. 29 novembre 2001, recante la definizione dei livelli essenziali di assistenza è atto generale, come tale sottratto all’obbligo di motivazione, ai sensi dell’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
I livelli essenziali delle prestazioni concernenti di diritti civili e sociali, di cui all’art. 117, comma 2, lett. m) della Costituzione, tra cui devono ricomprendersi anche i livelli essenziali di assistenza (quale criteri per la concreta individuazione delle soglie minime di prestazione idonee a garantire, nel rispetto dei fondamentali principi di uguaglianza e solidarietà, la tutela del diritto costituzionalmente garantita alla salute, ex art. 32 della Costituzione) non costituiscono una “materia” in senso stretto, ai fini del riparto delle competenze legislative fra Stato e Regioni, rappresentando piuttosto “una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni gratuite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle: essi devono essere pertanto fissati con legge.
E’ improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il gravame avverso il D.P.C.M. 29 novembre 2001, essendo nelle more intervenuto l’articolo 54 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), che ha sussulto a livello di fonte primaria (legislativa) i livelli essenziali di assistenza, contenuti nella predetta fonte secondaria.

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