N.6730/2004
Reg. Dec.
N. 5936 Reg. Ric.
Anno 2003
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
D E C I S I O N E
sul ricorso in appello iscritto al NRG. 5936 dell’anno 2003 proposto dalla CASA DI CURA S. FRANCESCO S.R.L., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Nicola Calvani, con il quale è elettivamente domiciliata in Roma, Via Ettore Rolli n. 24 – C/11 presso lo studio dell’avv. Arturo Sforza;
CONTRO
REGIONE PUGLIA, in persona del Presidente pro-tempore della Giunta regionale, rappresentata e difesa dagli avv. ti prof. Francesco Paparella e Pietro Quinto, con i quali è elettivamente domiciliata in Roma, Corso Trieste, n. 88 presso lo studio dell’avv. Giorgio Recchia;
E NEI CONFRONTI DI
CONGREGAZIONE DELLE ANCELLE DELLA DIVINA PROVVIDENZA, in persona del legale rappresentante pro-tempore, non costituita in giudizio;
PER L’ANNULLAMENTO
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Bari (Sez. I), n. 1079 del 5 marzo 2003;
Visto l’atto di appello con i relativi allegati.
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Puglia;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa.
Relatore alla pubblica udienza del 11 maggio 2004 il consigliere Bruno Mollica;
Uditi l’avv. Calvani per la ricorrente e l’avv. Paparella e P. Quinto per la Regione Puglia;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue;
FATTO
Con ricorso giurisdizionale amministrativo notificato tra il 13 ed il 14 novembre 2002 la Casa di Cura S. Francesco S.r.l. chiedeva al Tribunale amministrativo regionale della Puglia l’annullamento delle delibere della Giunta regionale della Puglia n. 1087 del 2 agosto 2002, recante l’approvazione definitiva del piano di riordino ospedaliero; n. 1086 del 27 luglio 2002, recante l’approvazione della prima rimodulazione del piano di riordino ospedaliero; n. 1429 del 30 settembre 2002, recante modifiche e affinamenti al piano di riordino ospedaliero, e n. 2087 del 27 dicembre 2001, recante l’approvazione del piano sanitario regionale.
La casa di cura ricorrente, sul presupposto della lesività delle previsioni del piano di riordino ospedaliero, implicanti una contrazione dei posti letto della struttura ed incidenti sul livello delle prestazioni erogabili, sollevava al riguardo sei articolati motivi di censura, lamentando l’incompetenza dell’organo giuntale ad adottare gli impugnati provvedimenti spettanti all’organo consiliare; la mancata sottoposizione del piano al parere del Ministero della Sanità; l’illegittima retroattività della nuova disciplina della materia in questione, i cui parametri, fissati per il dimensionamento della rete ospedaliera pubblica, trovavano applicazione indiscriminatamente anche per le case di cura private, senza consentire alcuna partecipazione di queste ultime al relativo procedimento (avente peraltro sostanzialmente ad oggetto la immotivata revoca della precedente autorizzazione con riduzione dei posti letto dagli attuali 1942 a 1760).
La Regione Puglia si costituiva in giudizio, eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso sotto vari profili e deducendo, nel merito, l’infondatezza delle censure svolte.
L’adito Tribunale (sez. I), con la sentenza n. 1079 del 5 marzo 2003 dichiarava improcedibile il ricorso proposto dalla Casa di Cura S.Francesco S.r.l. per sopravvenuto difetto d’interesse, stante l’intervenuta approvazione della legge regionale 9 dicembre 2002, n.20, con cui erano stati assunti e recepiti (all’art.18, commi 3 e 7) gli effetti dei provvedimenti impugnati.
Avverso tale decisione ha proposto appello, con atto notificato il 5 giugno 2003, la predetta Casa di Cura S. Francesco S.r.l., contestando innanzitutto la qualificazione della legge regionale n.20/2002 quale legge-provvedimento; criticando, comunque, la correttezza delle conseguenze processuali tratte dai primi giudici dalla predetta qualificazione; censurando, in subordine, la legittimità costituzionale della citata legge regionale; reiterando, pertanto, tutte le censure di merito sollevate con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e concludendo per la riforma della decisione appellata, con conseguente annullamento dei piani sanitario ed ospedaliero, nelle parti espressamente contestate.
La Regione Puglia si è costituita per resistere all’avverso gravame, contestando la fondatezza di tutti i motivi di doglianza e chiedendone il rigetto.
Le parti hanno illustrato ulteriormente le proprie tesi con apposite memorie difensive; in particolare, la parte appellante ha contestato anche l’indirizzo giurisprudenziale delineatosi sul punto per effetto della decisione n. 1559 del 24 marzo 2004.
DIRITTO
I. E’ oggetto di gravame la sentenza n. 1079 del 5 marzo 2003 con cui il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sez. I, ha dichiarato improcedibile il ricorso proposto dalla Casa di Cura S. Francesco S.r.l. avverso le delibere della Giuna regionale della Regione Puglia n. 2087 del 27 dicembre 2001, di approvazione del Piano sanitario 2002 – 2004; n. 1086 del 26 luglio 2002 la Giunta regionale della Puglia, di approvazione del progetto di prima rimodulazione del piano di riordino della rete ospedaliera; delibera n. 1087 del 2 agosto 2002, di adozione definitiva del piano di riordino della rete ospedaliera e n. 1429 del 30 settembre 2002, recante modifiche e affinamenti al ricordato piano di riordino della rete ospedaliera, per effetto dell’intervenuta legge regionale 9 dicembre 2000, n. 20 (Assestamento e variazione al bilancio di previsione per l'esercizio finanziario 2002), che, attraverso le disposizioni contenute nell’articolo 18 commi 3 e 7, ha sostanzialmente approvato, legificandoli, il piano sanitario e quello ospedaliero, impedendone il sindacato di legittimità, ritenendo peraltro infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla parte ricorrente nei confronti della predetta legge regionale.
La Casa di Cura appellante contesta la correttezza della qualificazione della legge regionale come legge provvedimento, sostenendo che, in ogni caso, tale catalogazione dogmatica della sopravvenienza non impediva il sindacato di legittimità delle delibere impugnate; eccepisce, comunque, l’incostituzionalità, sotto diversi profili, della legge regionale e ripropone le censure dedotte a sostegno dell’impugnazione degli atti pianificatori, chiedendone l’annullamento, previa riforma della pronuncia dichiarativa dell’improcedibilità del ricorso di primo grado.
La Regione Puglia deduce, a sua volta, l’inammissibilità dell’avverso appello anche sotto il duplice profilo della carenza di interesse, predica la correttezza della pronuncia gravata e, nel merito, la legittimità del piano di riordino della rete ospedaliera, insistendo per il rigetto dell’appello stesso.
Giova segnalare che nel corso del giudizio di appello è entrata in vigore la legge regionale 7 gennaio 2004, n.1 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2004 e bilancio pluriennale 2004 – 2006 della Regione Puglia) che, all’art.35, significativamente rubricata “Norma interpretativa e di carattere finanziario” precisa, al primo comma, che il modello organizzativo, finalizzato alla garanzia dei livelli di assistenza, così come individuato dall’articolo 18 della legge regionale n. 20 del 2002, quale unico modello avente effetti di razionalizzazione e garanzia della tutela della salute compatibile con le esigenze di equilibrio di bilancio, costituisce il necessario riferimento per le disposizione per la formazione del bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2004 e del bilancio pluriennale 2004 – 2006; stabilisce, al secondo comma, che le eventuali modifiche al modello organizzativo in termini di strutture territoriali, della prevenzione, di stabilimenti ospedalieri, con relativi accorpamenti funzionali, discipline e posti letto, comportanti effetti economici, finanziari e patrimoniali aggiuntivi devono essere disposte con legge regionale, con conseguente individuazione della copertura finanziaria; aggiunge, al terzo comma, che il Piano sanitario regionale di cui alla delibera della Giunta regionale 27 dicembre 2001, n. 2087, ed il conseguente piano di riordino della rete ospedaliera, di cui alle delibere della Giunta regionale 2 agosto 2002, n. 1087, e 30 settembre 2002, n. 1429, sono approvate.
II. Ciò precisato, l’appello è infondato e deve essere respinto.
II.1. Non vi è infatti alcun motivo per discostarsi dalle articolate e puntuali conclusioni cui è già pervenuta questa stessa Sezione, in ordine alle implicazioni processuali della sopravvenuta legge regionale n. 20 del 2002 su di un’analoga controversia pendente, sulla sua natura giuridica di legge provvedimento della predetta legge regionale e sulla compatibilità costituzionale di una legge – provvedimento, con la decisione n. 1559 del 24 marzo 2004, conclusioni che non risultano minimamente scalfite dalle nuove osservazioni e dalle ulteriori confutazioni svolte dalla parte appellante.
II.1.1. Invero, quanto alla questione della compatibilità costituzionale delle c.d. leggi-provvedimento, e cioè di atti formalmente legislativi che, tuttavia, tengono luogo di provvedimenti amministrativi, in quanto provvedono concretamente su casi e rapporti specifici, è stato puntualmente ricordato che essa, fortemente dibattuta fin dall’inizio della storia repubblicana, è stata definitivamente risolta dalla Corte Costituzionale con l’affermazione di principi ormai consolidati.
E’ stato infatti espressamente riconosciuta l’ammissibilità della categoria degli atti normativi in esame, sulla base del duplice rilievo dell’insussistenza di una riserva di amministrazione, posto che la Costituzione non garantisce ai pubblici poteri l’esclusività delle pertinenti attribuzioni gestorie, e dell’inconfigurabilità per il legislatore di limiti diversi da quelli – formali – dell’osservanza del procedimento di formazione delle leggi, atteso che la Costituzione omette di prescrivere il contenuto sostanziale ed i caratteri essenziali dei precetti legislativi (Corte Cost., 25 maggio 1957, nn.59 e 60; 21 marzo 1989, n.143; 16 febbraio 1993, n.62; 24 febbraio 1995, n.63; 21 luglio 1995, n. 347): secondo la ricostruzione dogmatica così operata dal giudice delle leggi, il valore ed il regime giuridico della legge derivano unicamente dalla sua qualificazione formale e prescindono del tutto dalla natura generale ed astratta delle disposizioni in essa contenute.
II.1.2. In ordine alla complessa questione dei rapporti con le garanzie di tutela giurisdizionale di quella particolare tipologia di leggi-provvedimento che si caratterizza per il vincolo funzionale che le lega ad un provvedimento amministrativo (quali le leggi di approvazione e di autorizzazione), è stato rilevato che quest’ultima categoria di leggi (e, in particolare, quella delle leggi di approvazione) si connota, in particolare, per il concorso della volontà legislativa con quella amministrativa nella definizione del contenuto dispositivo sostanziale definitivamente descritto nella legge e si risolve, quanto al rapporto degli effetti prodotti dai due atti ed al relativo regime degli stessi, nell’assorbimento dell’atto approvato nella legge che lo approva, della quale acquista il valore e la forza, formali e sostanziali.
In questa fattispecie, in sostanza, a differenza di quanto accade per altre categorie di leggi-provvedimento che tengono luogo dell’atto amministrativo (concretamente inesistente), la legge regola una situazione sostanziale sulla quale ha già disposto un provvedimento amministrativo.
La peculiare delineata configurazione del vincolo che lega la legge all’atto approvato presenta evidenti implicazioni in ordine al rispetto delle garanzie di tutela giurisdizionale nei riguardi dei provvedimenti amministrativi, sancite dal combinato disposto degli articoli. 24 e 113 della Costituzione.
La Corte Costituzionale ha avuto modo di osservare al riguardo che i diritti di difesa del cittadino, in caso di sopravvenuta approvazione con legge di un atto amministrativo lesivo dei suoi interessi, non vengono sacrificati, ma si trasferiscono, secondo il regime di controllo proprio del provvedimento normativo medio tempore intervenuto, dalla giurisdizione amministrativa alla giustizia costituzionale (Corte Cost. 16 febbraio 1993, n. 62): in sintesi, il sistema di tutela segue la natura giuridica dell’atto contestato, sicché la legge-provvedimento, ancorché approvativa di un atto amministrativo, può essere sindacata, previa intermediazione del giudice rimettente, solo dal suo giudice naturale e cioè dalla Corte costituzionale.
Siffatta ricostruzione concettuale dell’assetto di tutela delle posizioni incise dalla legge-provvedimento, oltre a connotarsi per la sua rigorosa aderenza al valore formale di quest’ultima ed al pertinente sistema di controlli definito dalla Costituzione, valorizza la pregnanza del sindacato costituzionale di ragionevolezza della legge, ancor più incisivo di quello giurisdizionale sull’eccesso di potere, e finisce, quindi, per riconoscere al privato, seppur nella forma indiretta della rimessione della questione da parte del giudice amministrativo, una forma di protezione ed un’occasione di difesa pari a (se non maggiore di) quella offerta dal sindacato giurisdizionale: del resto, non può non rilevarsi che, salvo il (rarissimo) caso di leggi autoapplicative (ipotesi che non ricorre nel caso in esame), la legge, per sua stessa natura, anche quando assume la veste di legge – provvedimento, trova concreta attuazione attraverso appositi atti e provvedimenti dell’Amministrazione suscettibili di impugnazione, di tal chè non può in nessun caso ritenersi che la categoria della legge – provvedimento costituisca un vulnus alle garanzie costituzionale (ex articolo 24 e 113) riconosciute al cittadino.
E’ ben noto, peraltro, che con due isolate pronunce (Corte Cost.11 giugno 1999, nn.225 e 226) la Corte ha affermato il diverso principio della sindacabilità della legittimità di un atto amministrativo, nonostante la sua sopravvenuta approvazione con legge regionale: ma tali decisioni non smentiscono il precedente consolidato indirizzo delineato.
Invero, come giustamente rilevato con la decisione n. 1559 del 24 marzo 2004, gli effetti di tali pronunce vanno circoscritte in relazione alla peculiare fattispecie ivi esaminata, relativa alla compatibilità costituzionale di una legge regionale di regolamentazione di un complesso procedimento avente ad oggetto l’adozione, la verifica e l’approvazione del piano territoriale di coordinamento di un parco naturale, suddiviso in due fasi autonome, l’una, amministrativa, di adozione del piano, con le connesse garanzie procedimentali, e l’altra, legislativa, di mera approvazione dello stesso: la Corte Costituzionale, a fronte di una compiuta regolamentazione legislativa del procedimento finalizzato all’adozione del piano, ha ritenuto che l’approvazione con legge di quest’ultimo non sottrae al sindacato giurisdizionale la verifica delle denunciate violazioni delle regole procedimentali dettate con riferimento alla fase amministrativa, in quanto preordinata alla definizione dell’oggetto della legge di approvazione ed inscindibilmente connessa alla portata dispositiva di quest’ultima, secondo la stessa presupposta disciplina normativa dell’iter formativo del piano.
Come già anticipato, la peculiarità della fattispecie esaminata in quella occasione esclude che possa assegnarsi valenza generale al principio, ivi affermato, dell’ammissibilità del sindacato giurisdizionale amministrativo di un provvedimento successivamente approvato con legge.
Quest’ultimo principio, del resto, se non restrittivamente inteso con esclusivo riferimento alla verifica della compatibilità costituzionale della legge regionale regolatrice del procedimento finalizzato all’adozione ed all’approvazione di un piano urbanistico, si rivela confliggente con le costanti enunciazioni della Corte Costituzionale circa la soggezione della legge, ancorché di approvazione di un provvedimento amministrativo, al regime di validità ed alla forza sostanziale propri degli atti legislativi.
L’affermazione della sindacabilità di un atto amministrativo anche dopo la sua approvazione con legge si risolve, infatti, a ben vedere, nell’attribuzione ad un giudice diverso dalla Corte Costituzionale della potestà di procedere ad una cognizione diretta della legittimità della legge-provvedimento (o, comunque, dei suoi effetti), nel ché si risolve la disamina della legalità di un atto dalla stessa assunto a rango legislativo.
Né vale, peraltro, riferire l’oggetto dell’indagine giurisdizionale alla delibera di adozione del piano (formalmente e sostanzialmente amministrativa), posto che gli effetti di quest’ultima sono stati, poi, definitivamente assorbiti nella legge-provvedimento di approvazione, della quale hanno così assunto valore e regime giuridico, con conseguente impossibilità di discernimento di effetti ascrivibili solo al provvedimento amministrativo, e non anche alla legge.
Giova aggiungere che, secondo la dottrina più avvertita, in particolare, deve ritenersi inconfigurabile nel nostro ordinamento la categoria delle c.d. “leggi in senso formale”, connotate cioè solo da elementi estrinseci ma prive, per il loro contenuto materiale, del valore giuridico del provvedimento legislativo, atteso che la Costituzione non vincola il contenuto dispositivo e precettivo della funzione legislativa e connette, di contro, la natura di legge alla sola formazione come tale dell’atto normativo.
Ulteriore corollario di tale impostazione teorica è che la legge, qualunque sia il suo contenuto materiale, soggiace al regime di valore suo proprio, di talché la sua validità può essere scrutinata solo dalla Corte Costituzionale, così come solo dal medesimo organo possono essere eliminati i suoi effetti.
II.1.3. Per quanto concerne il rapporto tra l’approvazione della legge-provvedimento e la pendenza di un procedimento giurisdizionale avente ad oggetto l’atto amministrativo connesso, secondo il vincolo sopra descritto, a quello normativo, è stato correttamente osservato dalla Sezione che la questione si risolve in un conflitto tra due valori costituzionali, le garanzie di tutela giurisdizionale, da un lato, e l’autonomia della funzione legislativa, dall’altro.
E’ stato osservato che la Corte Costituzionale non ha ignorato il problema e lo ha risolto (Corte Cost. 20 novembre 1995, n.492), assegnando alla pendenza di una controversia avente ad oggetto un atto amministrativo la valenza di limite specifico all'esercizio della funzione legislativa relativa a leggi in sostituzione di provvedimento (e, in particolare, del provvedimento concretamente sub iudice).
La portata di tale limite non risulta, tuttavia, definita in modo preciso dalla giurisprudenza costituzionale, sicché spetta all’operatore chiarire il suo contenuto e la natura delle conseguenze della sua violazione; possono formularsi, al riguardo, due ipotesi: 1) la pendenza del ricorso impedisce l’approvazione della legge-provvedimento; 2) solo la formazione del giudicato paralizza un intervento legislativo contrastante con il dictum giurisdizionale.
La prima opzione deve essere respinta, in quanto si risolve in un inammissibile vulnus delle prerogative delle assemblee dotate di competenza legislativa, con l’introduzione di un limite nuovo, non codificato, all’esercizio della relativa funzione e nell’assoluta ed illimitata prevalenza su quest’ultima delle esigenze di giustizia pertinenti ad un processo in corso (ciò tanto più se si tiene conto che, per un verso, le assemblea legislative sono espressione diretta ed immediata della sovranità popolare, espressa attraverso la loro elezione, e, per altro verso, che la stessa giustizia è amministrata in nome del popolo); quanto alla seconda soluzione, che individua nel rispetto del giudicato l’unico limite ammissibile ad un’iniziativa legislativa confliggente con il decisum, essa si rivela, invece, maggiormente coerente con l’assetto dei poteri delineato dalla Costituzione, e, quindi, preferibile, in quanto finalizzata ad evitare l’irrimediabile sacrificio delle garanzie di tutela giurisdizione ed a contemperare in modo equilibrato i due valori costituzionali di riferimento.
Tuttavia, deve ammettersi che la pendenza di un ricorso, avente ad oggetto proprio il provvedimento amministrativo da approvare con la legge, non si rivela del tutto indifferente ai fini del corretto esercizio della funzione legislativa.
La concreta determinazione volitiva del legislatore in una simile situazione non è, infatti, del tutto libera, nel senso che l’organo legiferante non può ignorare la pendenza del giudizio e le aspettative di giustizia del ricorrente, mentre l’eventuale, comprovata ed esclusiva finalizzazione dell’approvazione della legge alla sottrazione dell’oggetto del sindacato giurisdizionale con la conseguente privazione per il cittadino della stessa possibilità di tutela giurisdizionale, costituirebbe un evidente indice sintomatico dell’irragionevolezza della legge-provvedimento.
II. 2. Così ricapitolati, sulla base della ricordata decisione n. 1559 del 24 marzo 2004 di questa Sezione, i caratteri essenziali dell’istituto della legge-provvedimento ed i riflessi della sua approvazione sulla tutela processuale, occorre procedere allo scrutinio delle doglianze formulate dalla Casa di cura appellante all’indirizzo della sentenza gravata, con la quale è stata dichiarata l’improcedibilità del ricorso in primo grado proprio per la sopravvenienza di una legge in sostituzione di provvedimento, con l’avvertenza che l’esame delle censure relative alla natura ed alla legittimità della legge va condotto con riguardo alle difese contenute nella memoria difensiva del 26 aprile 2004, in quanto espressamente riferite alla legge regionale 7 gennaio 2004, n. 1 (da valere, ormai, quale provvedimento normativo di riferimento, ai fini della verifica della procedibilità del ricorso).
II.2.1. Va, anzitutto, affermata la natura giuridica di legge-provvedimento, implicitamente ammessa dallo stesso appellante, della disposizione contenuta nell’art.35, comma 3, della ricordata legge regionale 7 gennaio 2004, n.1, con la quale sono stati espressamente approvati il piano sanitario di cui alla delibera della Giunta regionale 27 dicembre 2001, n. 2087, ed il piano di riordino della rete ospedaliera, di cui alle delibere della Giunta regionale 2 agosto 2002, n. 1087, e 30 settembre 2002, n. 1429.
Mentre, infatti, la formulazione delle disposizioni contenute nell’articolo 18, commi 3 e 7, della legge regionale 9 dicembre 2002, n. 20, poteva anche ingenerare serie perplessità sulla natura di legge in sostituzione di provvedimento (posto che i piani sanitario ed ospedaliero erano ivi solo richiamati quali parametri di riferimento dei livelli di assistenza contestualmente stabiliti), non può, per contro, seriamente dubitarsi della “legificazione” dei richiamati atti pianificatori da parte di una norma che esplicitamente li approva, qual è quella di cui al ricordato articolo 35 della legge regionale n. 1 del 2004: con essa sono stati sussulti a livello legislativo gli effetti dispositivi propri delle delibere regionali di approvazione del piano sanitario e di quello di riordino della rete ospedaliera, sicché la portata precettiva di questi ultimi deve essere ormai riferita alla legge sopravvenuta, della quale ha assunto la forza di resistenza ed il regime di validità.
II.2.2. La tesi dell’appellante, che insiste nel sostenere che la sopravvenienza della legge-provvedimento non determina l’improcedibilità del ricorso proposto contro l’atto con quella approvato e che lo scrutinio del giudice amministrativo non incontra alcun limite nell’intervenuta “legificazione” del provvedimento impugnato, richiamando i principi contenute nelle due citate sentenze della Corte Costituzionale del 1999 (nn.225 e 226 dell’11.6.1999) e nella decisione di questa Sezione (Cons. Stato, sez. IV, 11 marzo 2003, n.1321), asseritamente conforme alle regole enunciate dalla Corte Costituzionale, non è meritevole di accoglimento.
Innanzitutto deve essere ribadito che gli effetti di una legge, ancorché contenente un precetto determinato e specifico, possono essere eliminati solo dalla Corte Costituzionale (quale giudice naturale delle leggi) e che, a fronte dell’assorbimento del disposto di un atto amministrativo in un provvedimento avente forma e valore di legge, resta preclusa al giudice ogni possibilità di sindacato diretto sull’atto impugnato dinanzi a sé, che si risolverebbe, diversamente opinando, in una sottrazione alla Corte Costituzionale della sua esclusiva competenza nello scrutinio di legittimità degli atti aventi forza di legge.
Quanto agli invocati precedenti della Corte Costituzionali è stato già ampiamente segnalato che la peculiarità della fattispecie ivi esaminata (del tutto diversa da quella oggetto della presente controversia) esclude che essi possano trovare applicazione bel caso di specie; in ordine al precedente della Sezione, occorre rilevare che, a ben leggere la motivazione, con la citata decisione non è stata affermata (come erroneamente sostenuto dall’appellante) la sindacabilità del piano sanitario regionale approvato con legge, ma sono stati enunciati i diversi principi dell’ammissibilità della legge-provvedimento nella materia controversa (identica alla presente), della conoscibilità dei soli atti attuativi del piano sanitario (concretamente impugnati, in quella fattispecie, dalla casa di cura ricorrente) e della non rilevanza della questione di legittimità costituzionale della legge che lo aveva approvato.
In sostanza, i principi ivi affermati dalla Sezione risultano del tutto coerenti con quelli qui ribaditi e non comprendono in alcun modo l’enunciazione dell’ammissibilità del sindacato diretto dell’oggetto della legge-provvedimento.
II.2.3. Egualmente infondate sono altresì le questioni di legittimità costituzionale della legge – provvedimento in esame, in ordine alla approvazione con legge del piano sanitario, sotto il profilo della irragionevolezza ovvero dell’abuso di potere legislativo da parte del legislatore regionale e per presunta violazione degli articoli 32, comma 1, e 117, comma 3, della Costituzione.
II.2.3.1. Quanto al primo profilo, la ricorrente lamenta in sostanza che la Regione Puglia avrebbe indebitamente approvato con legge i provvedimenti pianificatori sub judice al solo fine di impedire alla parte ricorrente di ottenerne l’annullamento in sede giurisdizionale e di conseguire, quindi, una decisione, nel merito, del ricorso già proposto.
Si tratta di una accusa che investe l’intero comportamento tenuto dalla Regione nella complessa vicenda controversa e che si risolve nell’addebito alla stessa di avere abusato del suo potere legislativo, per averlo arbitrariamente e strumentalmente esercitato allo scopo di evitare la pronuncia (presumibilmente sfavorevole) di un giudice già investito della questione della legittimità del piano sanitario e di quello ospedaliero e di “salvare”, quindi, l’efficacia e l’utilità delle presupposte scelte politiche.
Orbene, seppure non si può negare che l’intervenuta “legificazione” degli atti pianificatori, già impugnati dalla Casa di Cura, sia stata deliberata anche al fine di sottrarli alla cognizione del giudice amministrativo, si deve parimenti riconoscere che la strategia sottesa alla contestata iniziativa legislativa si rivela più articolata e complessa, in quanto l’ente regionale non intendeva soltanto evitare l’annullamento delle delibere impugnate, ma voleva, soprattutto, garantire adeguata stabilità ed offrire, quindi, copertura legislativa alle misure di riforma del servizio sanitario regionale, deliberate al precipuo fine di contenere la relativa spesa e di risanare le finanze regionali: ciò trova conferma nell’inserimento di entrambe le disposizioni succedutesi in corso di causa (art.18 della legge regionale n. 20 del 2002 e art. 35 della legge regionale n.1 del 2004) in leggi aventi ad oggetto l’assestamento e la formazione del bilancio regionale, annuale e pluriennale.
Lo scopo dell’intervento legislativo non era pertanto quello di conservare l’efficacia degli interventi strategici deliberati al fine di conseguire il pareggio di bilancio e di risanare il pesante deficit accumulato negli anni precedenti, proprio per effetto di una spesa sanitaria eccessiva e priva di meccanismi di contenimento: si tratta di una scelta politica e di evidente interesse generale (priva di qualsiasi manifesta ed esclusiva volontà di sovrapporsi o contrapporsi all’esercizio della funzione giurisdizionale), non irragionevole e non arbitraria, che solo occasionalmente ha inciso sulla posizione dell’interessata Casa di Cure (impedendole di ottenere la pronuncia giurisdizionale azionata), le cui doglianze al riguardo finiscono per rilevarsi del tutto soggettive, riduttive e parziali: in altri termini, la circostanza che la “legificazione” degli atti generali già impugnati dall’appellante abbia, di fatto, impedito la decisione, nel merito, del ricorso proposto non vale, di per sé, ad integrare la fattispecie di un abuso di potere legislativo, quando, come nel caso di specie, l’intervento legislativo si rivela indirizzato al conseguimento di un fine politico di primaria importanza per la corretta amministrazione della Regione.
Vanno di conseguenza disattese anche tutte le altre eccezioni di incostituzionalità logicamente riconducibili alla medesima tesi.
II.2.3.2. Quanto alla eccezione di incostituzionalità della disposizione con cui è stato "legificato” il piano sanitario regionale in quanto asseritamente contrastante con il combinato disposto degli artt.32, comma 1, e 117, comma 3, della Costituzione, si osserva, in particolare, che la Casa di Cura appellante sostiene che l’approvazione con legge del piano sanitario confligge con i principi fondamentali della materia fissati nel decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.502 e, in particolare, con la qualificazione, quali provvedimenti amministrativi generali, degli atti programmatori e pianificatori dell’assistenza sanitaria: in sostanza con la contestata “legificazione”, il piano sanitario regionale avrebbe assunto una natura giuridica diversa dal (ed un regime di validità superiore al) piano sanitario nazionale (emanato nelle forme dell’atto amministrativo).
Anche tale eccezione, ad avviso della Sezione, è manifestamente infondata.
Deve innanzitutto rilevarsi che la Casa di Cura appellante è al riguardo risulta sprovvista di legittimazione e di interesse a formulare la deduzione in esame: assumendo, infatti, la lesione di prerogative dello Stato, dovrebbe, infatti, essere solo quest’ultimo titolato a dolersi di tale violazione, e non anche un soggetto, per il quale la natura giuridica dell’atto approvativo del piano sanitario regionale si rivela, ai fini del rispetto della gerarchia delle fonti delineata dal d. lgs. n.502/92, del tutto indifferente.
In ogni caso, non può non evidenziarsi che la questione sollevata dall’appellante risulta impropriamente riferita all’affermata violazione dell’art.117 Costituzione, risolvendo in sostanza nella critica all’uso da parte della Regione di uno strumento (la legge) difforme da quello utilizzato dallo Stato (l’atto amministrativo generale) per l’approvazione del piano sanitario: non viene contestato, infatti, l’invasione da parte della Regione di sfere di competenza legislativa assegnate dall’art.117 Cost. allo Stato (nel chè dovrebbe consistere l’affermata inosservanza della disposizione costituzionale indicata come violata), ma si deduce l’illegittimità dell’approvazione del piano sanitario regionale con provvedimento avente un regime di validità superiore a quello con cui è stato adottato l’omologo atto di pianificazione nazionale, ledendosi in tal modo il corrispondente principio fondamentale (come tale, vincolante per le Regioni) stabilito nel d. lgs. n.502/99 (profilo in relazione al quale può eventualmente intravedersi un’indiretta lesione dell’art.117, comma 3, Cost.).
Sennonché, non solo l’art.1 del d. lgs. n.502/99 omette qualsiasi prescrizione circa la forma dell’atto con cui devono essere adottati i piani sanitari regionali, limitandosi, al comma 5, a rinviare alle modalità previste nei singoli statuti ed a sancire l’obbligo del rispetto dei parametri contenuti nel piano sanitario nazionale, ma nulla stabilisce anche in ordine alla natura di quest’ultimo, disponendo solo le modalità procedimentali della sua adozione, senza vincolare il Governo alla sua approvazione con atto amministrativo.
Dal delineato quadro normativo di riferimento si evince, in sintesi, che la scelta della Regione Puglia di approvare il piano sanitario con legge non solo non risulta lesiva di alcuna sfera di competenza legislativa o amministrativa riservata allo Stato dall’art.117 della Costituzione, ma non risulta neanche difforme dall’art.1 del d.lgs. n.502/99, che in nessun luogo impone l’uso dell’atto amministrativo per l’adozione del provvedimento programmatorio in questione.
La circostanza, poi, che il Governo abbia in concreto approvato il piano sanitario nazionale con atto amministrativo generale non altera i termini della questione: la Regione resta libera di usare uno strumento diverso, quand’anche provvisto di forza superiore, purché rispetti le indicazioni generali contenute nel piano nazionale (ma tale profilo non risulta contestato).
II.3. Le considerazioni fin qui svolte sono sufficienti a confutare le argomentazioni svolte dalla Casa di cura appellante con la memoria del 26 aprile 2004, con la quale sono contestate le conclusioni raggiunte con la decisione n. 1559 del 24 marzo 2004 e reiterate le censure di illegittimità costituzionale della legge regionale n. 1 del 2004, anche mediante il richiamo a decisioni della Corte costituzionale.
Per completezza deve ribadirsi e precisarsi che la tesi dell’appellante non considera che oggetto della presente controversia sono le deliberazioni della Giunta regionale, poi fatte proprie dalla legge, per cui ciò che viene in discussione è la scelta dello strumento formale di approvazione del piano sanitario regionale: ogni questione che tenda a mettere in discussione la ragionevolezza di tale scelta e la sua compatibilità con altri valori costituzionali va apprezzata in sede di giudizio (amministrativo) avverso gli atti applicativi, ovviamente se e in quanto lesivi di una posizione soggettiva della Casa di cura; conclusione questa che si ricava agevolmente, proprio considerando che le sentenze della Corte Costituzionale, invocate dall’appellante a sostegno della propria tesi, sono state pronunciate su ordinanze di rimessione rese in sede di giudizi avverso gli atti applicativi della legge-provvedimento. Ciò vale anche per la sentenza n. 225 del 11 giugno 1999, che la Corte ha pronunciato su ordinanza di rimessione emessa dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia nell’ambito del giudizio instaurato contro il diniego di concessione edilizia fondato sulla normativa introdotta con la legge regionale lombarda di approvazione del parco.
Analoghe considerazioni valgono per le altre sentenze pure richiamate con la citata memoria e, in particolare, per la sentenza 4 dicembre 1995, n. 492, nella quale la Corte Costituzionale ha ritenuto che a livello regionale è ammissibile la legificazione di scelte compiute usualmente dall' Amministrazione attiva, purché ciò avvenga nei limiti del rispetto della funzione giurisdizionale in ordine alla decisione delle cause in corso e soprattutto entro il limite generale del rispetto del principio generale della ragionevolezza e non arbitrarietà: proprio con riferimento a quest’ultima decisione la stessa Corte, ha precisato che “la legittimità di questo tipo di leggi, quindi, va accertata considerando detti limiti, non tanto riguardo ai motivi della scelta della forma legislativa per un’attività di amministrazione, quanto piuttosto in relazione al suo specifico contenuto".
Ove, poi, si aggiunga che le affermazioni della Corte sono state determinate per effetto dell’ordinanza di rimessione di questo Consiglio di Stato, resta confermata la conclusione che tutte le questioni di merito possono trovare ingresso solo nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale introdotto nell’ambito del giudizio principale contro atti applicativi, lesivi e quindi impugnabili.
Sotto questo profilo, le questioni appaiono anche sfornite, nella presente controversia, del requisito della rilevanza, posto che, come ampiamente chiarito, in questa sede va verificata solo la portata, dal punto di vista processuale, della legge regionale.
III. In conclusione l’appello deve essere respinto.
Sussistono, nondimeno, giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalla Casa di Cura S. Francesco S.r.l., avverso la sentenza n. 1079 del 5 marzo 2003 del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sez. I, lo respinge.
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 11 maggio 2004, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), riunito in camera di consiglio, con l'intervento dei signori:
Gaetano Trotta Presidente
Costantino Salvatore Consigliere
Bruno Mollica Consigliere, est.
Carlo Saltelli Consigliere
Nicola Russo Consigliere
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Bruno Mollica Gaetano Trotta

IL SEGRETARIO
Maria Cecilia Vitolla

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/10/2004
(art. 55, L. 27.4.1982, 186)
Il Dirigente
Dott Antonio Serrao



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