REPUBBLICA ITALIANA N.1425/04REG.DEC.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO N. 4644 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta ANNO 2003
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 4644/2003, proposto da Longobardi Carlo, Gargiulo Luigi, Sicignano Francesco, D’Amora Giosuè, Del Sorbo Antonio, Orazzo Pietro, Alfano Ferdinando, D’Auria Beniamino, Elefante Ciro, Sicignano Pasquale, Cannavacciuolo Salvatore, Calabrese Giuseppe, De Rosa Benito, Romano Michele e Fortunato Giovanni rappresentati e difesi dagli avv.ti M. C. Ioannucci e L. Imperlino, elettivamente domiciliati presso quest’ultimo in Roma, via Maria Adelaide n. 12;
CONTRO
-Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n.12;
-Commissione straordinaria, rappresentata e difesa come sopra;
e nei confronti
del comune di Santa Maria La Carità, non costituitosi;
per la riforma
della sentenza del TAR Campania, sez. I, n. 267 del 17.1.2003, con la quale è stato respinto il ricorso proposto dagli interessati;
Visto l’atto di appello e relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e della Commissione straordinaria;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 12.12.2003, relatore il consigliere Aniello Cerreto. Uditi altresì gli avv.ti Ioannucci e Imperlino;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto:
FATTO
Con il ricorso in epigrafe, gli interessati hanno fatto presente che con D.P.R. in data 8.2.2002 era stato disposto lo scioglimento del Consiglio comunale di Santa Maria La Carità.
Hanno rilevato che tale decreto, a parte una motivazione di stile, non addebitava al Sindaco, alla Giunta o al Consiglio alcun fatto concreto, per cui l’intera vicenda sembrava frutto di evidenti errori, di pregiudizi e scambi di persona; che la sentenza in epigrafe, che aveva respinto il ricorso degli istanti, era stata costretta a prospettare un’inconsistente ipotesi camorristica su una tangente di £.15 milioni pagata al Longobardi negli anni ’80; che al Longobardi, Consigliere comunale dal 1980 e Sindaco dal 1995, null’altro era stato possibile contestare.
Hanno dedotto che detta sentenza era erronea ed ingiusta per e seguenti ragioni:
-per infondatezza dei fatti richiamati, in quanto nessun fatto concreto era addebitabile al Sindaco, alla Giunta o al Consiglio, se non un episodio accaduto circa venti anni prima e che già allora non era stato ritenuto idoneo a desumerne elementi di contiguità;
-non avevano alcun rilievo le indagini penali definite con la sentenza del GIP di Napoli n.1765/95 del 14.12.1999, che viceversa era favorevole al Longobardi e comunque si trattava di fatti non attuali;
-neppure rilevava l’ordinanza di custodia cautelare del 2.7.2201, emessa dal GIP del Tribunale di Nappoli, con la quale era stato arrestato il Cascone, in quanto i comportamenti illeciti addebitatigli riguardavano il periodo 1985-92, allorchè costui ricopriva la carica di Sindaco, e non l’organo attualmente disciolto ed il presunto voto di scambio concerneva solo le elezioni politiche;
-il TAR si era soffermato in particolare sulla vicenda relativa al PIP ed all’inclusione nell’elenco dei richiedenti della soc. Florida, senza tener conto che si trattava solo di un elenco senza alcuna decisione di merito ed inoltre le richieste erano state presentate prima del 18.4.2000;
-le circostanze esposte nella relazione ministeriale erano insussistenti e prive di qualsiasi riscontro di fatto; in particolare era priva di fondamento l’ipotesi di contiguità tra alcuni amministratori e gli ambienti della locale consorteria, la presunta mancata repressione degli abusi edilizi era smentita dai fatti, neppure vi era stata sostanziale paralisi dell’attività amministrativa, così come non era avvenuto l’accaparramento degli appalti pubblici da parte delle organizzazioni criminali, non vi erano irregolarità poi con riferimento alla proroga del contratto di raccolta e trasporto del servizio rifiuti solidi urbani ed al rinnovo tacito dell’appalto del servizio trasporti funebri, priva di pregio era anche l’asserita soggezione dell’apparato del settore commercio.
-nella specie non era stata dimostrata alcuna alterazione nel procedimento di formazione della volontà degli amministratori dovuto all’interferenza di fattori derivanti dalla criminalità organizzata;
-l’attività posta in essere dagli organi elettivi del Comune, che aveva ereditato una situazione pregressa di ampio degrado, era stata rivolta nella direzione del risanamento e della ricostituzione delle condizioni essenziali per il regolare svolgimento della vita civile.
L’Avvocatura generale dello Stato ha richiamato, depositandola, la memoria difensiva prodotta davanti al TAR.
Con ordinanza n. 2751/2003, questa Sezione ha rigettato l’istanza cautelare proposta dagli appellanti.
Con memoria conclusiva gli appellanti hanno insistito nelle proprie doglianze.
Alla pubblica udienza del 12.12.2003, il ricorso è passato in decisione.
DIRITTO
1. Con sentenza TAR Campania, sez. I, n. 267 del 17.1.2003 è stato respinto il ricorso proposto da L. C. ed altri avverso il decreto P.R. in data 8.2.2002, con il quale è stato sciolto per la durata di 18 mesi il Consiglio comunale di Santa Maria La Carità, ai sensi dell’art. 143 del D. L.vo 18.8.2000 n.267.
Avverso detta sentenza hanno proposto appello gli interessati.
2. L’appello è infondato.
2.1. La vicenda concerne le elezioni presso il Comune di Santa Maria La Carità, nell’anno 2000, in cui vi era stata la presentazione di due liste , capeggiate da C. e L. C., con l’elezione a sindaco di quest’ultimo.
Il provvedimento di scioglimento richiama la proposta del Ministro dell’interno, che a sua volta si fonda sulle conclusioni della Commissione di indagine ex art. 1, L. 12 ottobre 1982 n. 726, che aveva evidenziato i seguenti elementi :
a) ingerenza del clan camorristico capeggiato dal noto F. Ces.. nelle elezioni del sindaco di Santa Maria La Carità e presenza di soggetti collegati alle locali consorterie malavitose quali sostenitori elettorali sia del sindaco che del maggiore esponente dell'opposizione;
b) profili di illegittimità rilevati in ordine a talune vicende amministrative nelle quali risultavano interessati soggetti collegati alla criminalità organizzata;
c) preoccupante attenzione della locale criminalità organizzata ai notevoli flussi di denaro pubblico in corso di utilizzazione da parte dell’Ente.
2.2. Dal provvedimento e dall’esito della indagine della commissione emerge che la malavita organizzata (clan Ces. e simili) era presente e operante da tempo sul territorio del Comune di S. Maria La Carità ed interessata alle vicende della “politica” locale.
Da una parte è già in qualche modo preoccupante la presentazione di solo due liste elettorali nelle ultime elezioni comunali (il che risale al 1995, mentre in precedenza vi erano state cinque liste, secondo quanto documentato in atti), dall’altra non sembra dubitabile che entrambe abbiano avuto l’appoggio della criminalità organizzata.
Certamente non è questa la sede per accertare quanto tale appoggio sia stato voluto dagli interessati, tuttavia le due liste si erano trovate ad essere sostenute da elementi camorristici, segno inequivoco dell’interesse della malavita organizzata ad interferire in modo illecito sul regolare svolgimento della amministrazione dell’Ente.
Istruttivo è il riferimento, nella predetta relazione della commissione prefettizia alle indagini del giudice penale in ordine al reato di cui all’art. 416 bis C.P., confluite in un provvedimento restrittivo a carico del C. (emesso in data 3 luglio 2001), secondo cui, anche se se non erano emersi elementi diretti a dimostrare che il C. avesse chiesto ai Ces. l'appoggio elettorale, le indagini avevano dimostrato che veniva attivamente sostenuto dal Ces. e le stesse indagini dimostravano che il suo rivale, L. C. fosse sostenuto da un altro elemento dello stesso clan, ovvero D. R., indice della frattura interna al gruppo camorristico.
Da ciò emerge il presumibile impegno malavitoso dei clan per influire sulla gestione comunale. Tale influenza va poi relazionata alla attività dei due amministratori locali, nella compagine sciolta, l’uno sindaco (il L. C.), l’altro all’opposizione (il C.).
Appare utile ricordare che la Commissione prefettizia aveva fatto riferimento ad atti da cui emergeva che il L. C. aveva ammesso di aver ricevuto più di £. 15 milioni da C. per l'approvazione della lottizzazione Martucci, nonchè £. 5 milioni per la rete fognaria oltre altra somma da distribuire all’interno del gruppo. Il che mostra come il L. C. avesse avuto pregressi rapporti criminosi con il C., nell’ambito della comune attività amministrativa già negli anni 1980-90, sicché allorquando lo stesso C. veniva poi ulteriormente indagato, nell’anno 2001, per i suoi contatti qualificati con i clan, ben poteva desumersi quella ingerenza camorristica nell’amministrazione comunale.
Rileva poi in modo negativo, la circostanza (dedotta da una testimonianza di una dipendente comunale nell’ambito del procedimento penale relativo ai già riferiti fatti degli anni ’90) che il L. C avrebbe proceduto alla bruciatura di carte attinenti l’attività amministrativa del Comune (circostanza confermata da intercettazioni telefoniche e dalle dichiarazioni dello stesso L. C.).
Del resto l’Arma dei Carabinieri, con rapporto n. 276/17 del 7.11.2001 (menzionato dalla Commissione di indagine) evidenziava confusione e sfiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini.
I risultati delle indagini di polizia indicavano nel D. R., partecipante del clan Ces., un attivo promotore della candidatura del L. C. a sindaco.
Nello stesso senso deponevano confidenze di alcuni cittadini, come precisato dalla relazione della Commissione.
La Commissione aveva evidenziato altresì la presenza tra i consiglieri comunali di parenti del noto D. R. (S. S. e B. F.).
In concreto poi la Commissione aveva rilevato, esaminando specificamente alcuni settori (edilizia, appalti ed attività contrattuale in genere dell’ente, gestione dei rifiuti solidi), una vera e propria paralisi dell’azione amministrativa in quanto influenzata dagli interessi della criminalità, con l’aggravante che l’esigua attività posta in essere riguardava soggetti collegati alla criminalità.
2.3 Detti elementi, nel loro quadro d’insieme, valgono a supportare a sufficienza il provvedimento impugnato.
Invero, come in più occasioni ritenuto da questa Sezione (V. le decisioni 3 febbraio 2000, n. 585; 2 ottobre 2000, n. 5225; 14.5.2003 n. 2590), ai sensi dell’art. 15 bis della legge 19 marzo 1990, n. 55, introdotto dall’art. 1 del decreto legge 31 maggio 1991, n. 164, convertito con legge 22 luglio 1990, n. 221, (ora trasfuso nell’art. 143 D. L. vo n. 267/2000) il potere di scioglimento dei Consigli comunali è esercitato quando “emergono elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica”.
La genericità del disposto normativo, che considera sufficiente la presenza di “elementi” non meglio specificati su “collegamenti” o “forme di condizionamento”, indica che la norma considera, per quanto concerne il “rapporto” fra gli amministratori e la criminalità organizzata, circostanze che presentano un grado di significatività e di concludenza inferiore di quelle che legittimano l'avvio dell'azione penale o l'adozione delle misure di sicurezza nei confronti degli “indiziati” di appartenere ad associazioni di tipo mafioso o analoghe (legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni). In questa logica, che non ha finalità repressive nei confronti di singoli, ma di salvaguardia dell’amministrazione pubblica di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità organizzata, trovano giustificazione i margini, particolarmente ampi, della potestà di apprezzamento di cui fruisce l'amministrazione e la possibilità di dare peso anche a situazioni non traducibili in addebiti personali, ma tali da rendere plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell'esperienza, l'ipotesi di una possibile soggezione degli amministratori alla criminalità organizzata, quali i vincoli di parentela o di affinità, i rapporti di amicizia o di affari, le notorie frequentazioni. Ugualmente ampio, secondo il modello di valutazione stabilito dalla norma citata, risulta il margine per l'apprezzamento degli effetti derivanti dai “collegamenti” o dalle “forme di condizionamento” in termini di compromissione della “libera determinazione degli organi elettivi”, del “buon andamento delle amministrazioni” nonché del “regolare funzionamento dei servizi”, ovvero in termini di “grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica” Sotto questo profilo, devono ritenersi idonee anche quelle situazioni che non rivelino né lascino presumere l’intenzione degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata, giacché, in tal caso, sussisterebbero i presupposti per l'avvio dell'azione penale o, almeno, per l'applicazione delle misure di prevenzione a carico degli amministratori, mentre la scelta del legislatore, giova ripeterlo, è stata quella di non subordinare lo scioglimento del consiglio comunale né a tali circostanze né al compimento di specifiche illegittimità.
Da quanto precede emerge, in conclusione, che lo scioglimento del consiglio comunale a detto titolo rappresenta la risultante di una valutazione complessiva che tiene conto, da un lato, della accertata o notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata, dall'altro, della carente funzionalità dell’ente in uno o più settori, sensibili agli interessi della criminalità organizzata, ovvero di una situazione di grave e perdurante pregiudizio per la sicurezza pubblica. Entro questi estremi è compresa l’ampia potestà di apprezzamento dell’amministrazione e l’atto nel quale essa trova concreta espressione può essere sindacato, come è regola generale nel giudizio di legittimità, soltanto in presenza di vizi che denotino, con sufficiente concludenza, la deviazione del procedimento dal suo fine istituzionale.
2.4. Le doglianze mosse dagli interessati si limitano a contestare aspetti marginali della vicenda, richiamando anche alcuni elementi della ponderosa documentazione apparentemente favorevoli alle loro tesi.
Piva di pregio è innanzitutto la circostanza che alcuni avvenimenti si riferiscano a circa venti anni prima (ammissione del L.C. di aver ricevuto somme di danaro per la lottizzazione Martucci, dichiarazione resa da un dipendente comunale sulla distruzione da parte di L. C. di documentazione attinente all’attività amministrativa del Comune), in quanto si tratta di aspetti indicativi della personalità di L. C. e dell’ambiente malavitoso in cui operava.
Aspetti favorevoli alla tesi degli istanti non possono desumersi neppure dalla sentenza del GIP di Napoli n. 1765/95 del 14.12.1999, la quale ha un contenuto complesso, riguardando diverse imputazioni ed in particolare per i capi di imputazione b) e c) (relativi a concorso in corruzione in atti contrari ai doveri d’ufficio, per i quali risultavano tra gli imputati sia C. C. che L. C.), viene precisata la indubbia responsabilità degli imputati, mentre gli istanti cercano di estrapolare solo alcune frasi relative al capo a).
D’altra parte, gli istanti si limitano ad asserire che l’attività posta in essere dagli organi elettivi del Comune sarebbe stata rivolta nella direzione del risanamento e della ricostituzione delle condizioni essenziali per il regolare svolgimento della vita civile, ma poi non precisano alcuna iniziativa concreta assunta in tal senso.
Non decisiva, al fine di escludere ogni collegamento tra il C. e L. C., è infine la circostanza che il C. abbia impugnato davanti al TAR Campania l’esito delle operazioni elettorali svoltesi nel 2000, con l’elezione a sindaco del L.C., ricorso poi rigettato dal TAR con sentenza n. 2866/2000, in quanto ciò non è idoneo ad escludere il condizionamento di stampo mafioso presente nell’amministrazione comunale, che anzi può essere aggravato dalla conflittualità (reale o fittizia) sussistente tra i rappresentanti delle due liste in competizione.
3. Per quanto considerato, l’appello deve essere respinto
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. V) ,respinge l’appello indicato in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 12.12.2003 con l’intervento dei Signori:
Pres. Emidio Frascione
Cons. Giuseppe Farina
Cons. Marco Lipari
Cons. Aniello Cerreto Estensore
Cons. Gerardo Mastrandrea
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Aniello Cerreto f.to Emidio Frascione

IL SEGRETARIO
f.to Rosi Graziano

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 18 marzo 2004
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL DIRIGENTE
f.to Antonio Natale

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