REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.422

Reg.Dec.2003

N. 2032 Reg.Ric.

ANNO 2002

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto dalla Seconda Università degli Studi di Napoli, in persona del Rettore p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Enrico Soprano e elettivamente domiciliato in Roma, via degli Avigonesi, n. 5

Contro

- UNASAM –Unione nazionale delle Associazioni per la Salute mentale, in persona del legale rappresentante p.t., e l’AFASP –Regiona Campania (Associazione familiari e amici dei sofferenti psichici), in persona del Presidente p.t., rappresentate e difese dagli avv. Giancarlo Violante e Roberta Buonuomo, con i quali sono elettivamente domiciliate in Roma, via Portuense, n. 104 (c/o Antonia De Angelis)

- Comune di Napoli, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Edoardo Barone, Giuseppe Tarallo e Bruno Ricci ed elettivamente domiciliato presso lo studio Grez, in Roma, Lungotevere Flaminio 46;

per l’annullamento

della sentenza del TAR Campania, sez. I, n. 5335 del 7.12.2001;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 12.11.2002 relatore il Consigliere dott. Roberto Garofoli; Uditi, altresì, l’avv. Soprano e l’avv. Violante;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

Con il ricorso proposto in primo grado l’Unione nazionale delle Associazioni per la salute mentale e l’Associazione regionale familiari e amici dei sofferenti psichici hanno impugnato l’accordo di programma concluso, ai sensi dell’art. 34 del d. l.vo n. 267/2000, tra la Regione Campania, il Comune di Napoli, la seconda Università degli studi di Napoli e l’ASL Na 1, “per il trasferimento di parte delle attività del primo Policlinico nel complesso Leonardo Bianchi”.

Avverso la delibera di Giunta regionale n. 635 dell’8.2.2001, recante l’approvazione dell’accordo ed il mandato al Presidente della Giunta regionale per la sua sottoscrizione (nonché, espressamente, avverso l’accordo medesimo ed il precedente protocollo d’intesa) le ricorrenti hanno proposto un unico ed articolato mezzo di impugnazione volto a denunciare la violazione dell’art. 34 Cost., del Piano sanitario nazionale 1998-2000, delle disposizioni di cui al progetto obiettivo “Tutela della salute mentale 1998-2000”, dell’art. 3, co. 5, della l. 23.12.1994, n. 724, come parzialmente sostituito dal comma 3 dell’art. 98 della l. 23.12.2000, n. 388, nonché l’eccesso di potere sotto più profili.

Nel dettaglio si è rimarcato che il citato accordo di programma, implicando il trasferimento del complesso Leonardo Bianchi in concessione novantanovennale (in parte alla seconda Università ed in parte al Comune di Napoli) a titolo gratuito per fini del tutto avulsi da quelli indicati dal legislatore con un espresso vincolo di destinazione, confligge con le disposizioni innanzi citate laddove impongono che i beni mobili ed immobili degli ex Ospedali psichiatrici siano destinati, attraverso la loro vendita o locazione, alla produzione di reddito da reinvestirsi prioritariamente nella realizzazione di strutture residenziali in favore dei malati di mente.

Con la sentenza gravata, il primo Giudice, respinte le sollevate eccezioni di inammissibilità e tardività e reputata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale prospettata dal resistente Ateneo universitario in relazione al citato art. 98, l. 388/2000, asseritamente implicante un vulnus agli artt. 117, 118, 119 e 97 Cost., ha accolto il ricorso sul presupposto della ritenuta incompatibilità dell’impugnato accordo di programma con il vincolo di destinazione specifica imposto dal nuovo testo dell’art. 3, l. 724/94.

Insorge l’appellante che, sostenendo l’erroneità della sentenza, ne chiede l’annullamento.

All’udienza del 12 novembre 2002 la causa è stata ritenuta per la decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato e va pertanto respinto.

Giova procedere distintamente alla disamina delle tre censure dedotte.

2. Con il primo motivo di appello si sostiene l’illegittimità della sentenza gravata nella parte in cui ha reputato ammissibile il ricorso proposto avverso un accordo di programma non ancora formalmente approvato dal Presidente della Regione.

Ad avviso dell’Amministrazione, invero, anteriormente all’approvazione richiesta dall’art. 34, d. lgs. 267/2000, si sarebbe in presenza di un mero atto endoprocedimentale, in quanto tale non suscettibile di immediata impugnativa.

La censura non merita accoglimento.

Premesso, infatti, che, anche a tener conto della prospettazione di parte appellante, andrebbe riconosciuta l’ammissibilità del ricorso per effetto della successiva approvazione dello stesso, il Collegio ritiene di dover comunque optare per una diversa soluzione ricostruttiva dei rapporti intercorrenti tra la formazione dell’accordo di programma attraverso la formalizzazione delle manifestazioni di consenso ad opera delle Amministrazioni partecipanti ed il successivo atto di approvazione.

Giova considerare che, ai sensi dell’art. 34, comma 4, d. lgs. 267/2000, l’accordo consiste nel “consenso unanime” del presidente della regione, del presidente della provincia, dei sindaci e delle altre amministrazioni interessate che hanno partecipato alla procedura: non vi è dubbio, quindi, che già a seguito della formalizzazione dell’accordo e delle manifestazioni di consenso espresse sorge un vincolo per le Amministrazioni, obbligate ad ottemperare agli impegni assunti con l’accordo, nel rispetto delle competenze proprie di ciascuna, così producendosi gli effetti giuridici derivanti dalla conclusa convenzione: in siffatta scansione procedimentale la successiva approvazione integra, dunque, una fase di sola e dovuta esternazione, utile al più per rendere opponibile ai terzi, estranei all’itinerario procedimentale, il contenuto di un accordo già concluso.

La formalizzazione prevista dall’art. 34 del T.U. citato può solo comportare, quindi, una traslazione in avanti dei termini per ricorrere, ma non precludere l’immediata impugnativa di determinazioni in sé lesive.

Come già sostenuto dalla Sezione, quindi, gli effetti discendono direttamente dall’accordo, la cui fonte “è costituita dall’atto convenzionale, su cui è intervenuto il consenso delle amministrazioni, svolgendo il decreto di approvazione solo una funzione di esternazione” (5 gennaio 2001, n. 25).

Per espressa disposizione legislativa, infatti, l’accordo di programma consiste nel consenso unanime delle amministrazioni o enti circa un quid (opera o progetto) da realizzare; tale consenso, così come avviene nel campo privatistico per l’accordo contrattuale, si forma progressivamente attraverso fasi successive che sono normalmente scandite da atti o deliberazioni degli organi degli enti e delle amministrazioni interessate, con la conseguenza che, se certo va ritenuta la natura endoprocedimentale di tali atti o deliberazioni (di cui deve essere dunque esclusa la immediata lesività e l’autonoma impugnabilità), va di contro riconosciuta la centralità della conclusione dell’accordo di programma, di per sé quindi impugnabile (Cons. Stato, sez. IV, 1 agosto 2001 n. 4206).

Applicando al caso di specie le esposte coordinate interpretative, preme osservare che la delibera di Giunta regionale n.535 dell’8.02.2001 (impugnata in primo grado) “approva lo schema di accordo di programma, chiamato a formare parte integrante e sostanziale dell’atto” e conferisce mandato al Presidente della stessa Giunta regionale di “sottoscrivere il predisposto documento”. Adempimento da quest’ultimo eseguito due giorni dopo l’adozione della deliberazione, ossia il 10 febbraio 2001, data di sottoscrizione dell’accordo da parte di tutti i legali rappresentanti dei soggetti pubblici coinvolti nel procedimento, previa autorizzazione, laddove necessaria, dei rispettivi organismi competenti (Giunta municipale di Napoli e Consiglio di amministrazione dell’Università, sentito il Senato accademico).

Orbene, l’unanime assenso espresso nelle forme di rito da tutti i soggetti in esso coinvolti, integra la conclusione dell’accordo.

3. Con il secondo motivo di appello si contesta l’interpretazione data dal Giudice di prime cure in merito alla disciplina invocata dalle Associazioni appellate a supporto delle censure dedotte in primo grado.

Giova, al riguardo, illustrare il quadro normativo di riferimento tenendo conto, peraltro, delle ragioni sottese al suo sviluppo ed alla sua genesi.

Come noto, in coerenza con una nuova concezione giuridica della stessa malattia mentale, il legislatore nazionale del 1978 ha delineato un modello organizzativo per l’assistenza al malato di mente ruotante attorno alla fondamentale scelta intesa a preferire l’utilizzo prioritario di strutture esterne: il modello implica, infatti, il superamento dell’ospedale psichiatrico e la costituzione di una rete di strutture ospedaliere, territoriali, residenziali e semiresidenziali, destinate ad assicurare il soddisfacimento delle esigenze di prevenzione, cura e riabilitazione proprie di tale categoria di pazienti, nonché, in particolare, il loro reinserimento sociale o meglio, ancor prima, il loro non sradicamento dal tessuto sociale.

A tale inversione di tendenza operativa rispondeva la previsione dell’art. 7, u.c., della l. 13.5.1978, n. 180 (legge Basaglia), che demandava alle regioni la programmazione ed il coordinamento dei servizi psichiatrici e di igiene mentale con le altre strutture sanitarie operanti sul territorio e l’attuazione del graduale superamento degli ospedali psichiatrici.

Da qui, la previsione dell’art. 64 della l. 23.12 1978, n. 833 (recante l’istituzione del servizio sanitario nazionale) che, nel ribadire l’affidamento di detti compiti alle regioni, precisava che trattamenti psichiatrici in condizioni di degenza ospedaliera non potevano comunque protrarsi oltre il 31 dicembre 1980 (termine poi prorogato più volte; ancora nella l. 724/1994, l’art. 3, comma 5, onera le regioni a chiudere i residui ospedali psichiatrici entro il 31 dicembre 1996).

Coerente con il descritto orientamento legislativo e, anzi, imposto dal riscontrato ritardo nella attuazione dello stesso, la finanziaria per il 1995 approvata con l. 724/1994 prevedeva (art. 3, comma 5) che i redditi prodotti dai beni mobili ed immobili degli ospedali psichiatrici dismessi fossero destinati per l’attuazione di quanto previsto dal progetto obiettivo Tutela della salute 1994-1996, ovvero, in generale, “per interventi nel settore psichiatrico”.

Tale previsione è stata, quindi, sostituita dall’art. 98, comma 3, della l. 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria per il 2001), che impone specificamente di destinare alla produzione di reddito, attraverso la vendita o la locazione, i beni mobili ed immobili degli ex ospedali psichiatrici, già assegnati o da destinare alle aziende sanitarie locali o ospedaliere, nonchè di utilizzare i redditi in tal modo prodotti prioritariamente per la realizzazione di strutture territoriali, in particolare residenziali, nonché di centri diurni con attività riabilitative destinate ai malati mentali, in attuazione degli interventi previsti dal piano sanitario nazionale 1998-2000 e dal progetto-obiettivo Tutela della salute mentale 1998-2000”. Solo qualora risultino disponibili ulteriori somme, dopo l’attuazione di quanto previsto innanzi, “le aziende sanitarie potranno utilizzarle per altre attività di carattere sanitario”.

L’intento del legislatore è, dunque, quello di imporre sui beni suddetti un vincolo di destinazione specifica prescrivendo modalità di gestione degli stessi improntate ad una remuneratività non già fine a se stessa, ma al contrario necessariamente propedeutica alla realizzazione di quelle strutture esterne destinate a costituire, come rilevato, il perno attorno al quale ruota l’intero modello legislativo di organizzazione dell’assistenza al malato di mente.

Ciò posto quanto al quadro normativo di riferimento, giova rimarcare che con il contestato accordo di programma l’Azienda sanitaria locale Napoli 1 si è spogliata del cespite, dell’ex Ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi, destinato a produrre il reddito a destinazione vincolata di cui al riscritto art. 3, comma 5, l. 724/1994, nel testo vigente, cedendolo in concessione novantanovennale gratuita, per una parte, alla Seconda università per l’espletamento della relativa attività di ricerca scientifica e sanitaria e connessi servizi, con possibilità per questa di procedere ad eventuali subconcessioni a soggetti privati prescelti all’interno di operazioni di finanza di progetto ai sensi della l. n. 109/1994.

Pare arduo negare la contrarietà dell’accordo, allora, con il vincolo di destinazione impresso dall’art. 3, comma 5, l. 724/1994, nel testo vigente, atteso il difetto della richiesta remuneratività specifica, non certo colmato dalla previsione dell’impegno -assunto dall’Università nel protocollo d’intesa- a fornire, in uno alla Asl, indicazioni ai progettisti per la parte d’investimento inerente l’attività psichiatrica o dell’obbligo (unico per l’Università) di destinare parte del complesso ceduto alla costituzione di un archivio museale sulla storia della psichiatria.

Alcuna remuneratività propedeutica alla realizzazione di strutture esterne è soddisfatta dallo scambio di prestazioni con l’Università.

La constatazione può di per sé risultare dirimente ed indurre, quindi, a concludere per la conferma del giudizio di illegittimità dell’accordo.

Analoga valutazione va peraltro espressa anche con riguardo alla restante parte dell’accordo, laddove la Asl Na 1 assume l’obbligo di cedere (sempre in concessione novantanovennale senza corrispettivo) una residua parte del cespite al Comune di Napoli per la realizzazione di spazi pubblici per il verde e per lo sport a servizio del quartiere.

Come correttamente osservato dal primo Giudice, il riferimento alle strutture immobiliari che il Comune di Napoli ebbe ad assegnare alla Asl, di cui alle premesse dell’accordo, e l’impegno assunto nella parte dispositiva di utilizzare le stesse “per la cura e l’assistenza di pazienti affetti da patologie psichiche” non possono condurre a diversa conclusione.

In primo luogo, per dette strutture, in numero di 11, assegnate nel 1996 (a mezzo di deliberazione di G.M. n. 4834, in atti), è previsto un canone di locazione; le stesse poi, giusta premesse del provvedimento, risultano assegnate in forza degli obblighi di legge gravanti direttamente sulle amministrazioni comunali e sono riferite ai soli pazienti provenienti dal circuito ospedaliero, laddove le realizzande residenze servono a coprire il fabbisogno soprattutto delle nuove utenze proprio alla luce del fatto che quello relativo ai pazienti già spedalizzati ha trovato copertura (sia pur non totale).

Pur a voler superare, invero, l’ostacolo rappresentato dalla formulazione testuale del citato art. 3, comma 5, l. 724/1994, a tenore del quale il reddito deve essere prodotto attraverso la vendita o la locazione degli immobili, va senz’altro garantita, pena l’inaccettabile elusione del dictum normativo, l’onerosità dello scambio e la redditività specifica per la realizzazione prioritaria di strutture territoriali, in particolare residenziali, richiesta dalla norma.

Vincoli finalistici non soddisfatti dall’accordo di programma in questione neanche supponendo che lo stesso sia intervenuto a sanare i pregressi rapporti tra i due enti, sì da dar vita ad una locazione (avente ad oggetto il Bianchi) il cui canone (corrispettivo) sarebbe costituito dalla somma corrispondente all’insieme dei canoni di locazione (nonché dei danni) che la Asl dovrebbe corrispondere al Comune per i beni concessi in godimento.

Ed invero, pur a prescindere dalla circostanza, rimarcata dal Giudice di prime cure, della mancata dimostrazione processuale dell’intervenuta rinuncia da parte del Comune ai canoni di locazione (o a risarcimenti per presunti danni), non può non ribadirsi la incompatibilità anche di un accordo siffatto con l’obbligo imprescindibile di ricavare reddito dal cespite e di destinarlo prioritariamente alla realizzazione delle strutture indicate.

4. Va, da ultimo, dichiarata la manifesta infondatezza dell’eccezione di illegittimità costituzionale reiterata dall’appellante con riguardo al citato art. 3, comma 5, l. 724/1994, nella parte in cui, imprimendo un vincolo di destinazione specifica asseritamente afferente la fase propriamente gestionale, incide nell’ambito delle competenze legislative ed amministrative spettanti alla Regione in materia di organizzazione del servizio sanitario.

Giova preliminarmente delimitare l’ambito della disamina riservata al Collegio.

Ed invero, la verifica dei presupposti per la rimessione della questione al Giudice delle leggi va condotta avendo riguardo, quale parametro di riferimento, al quadro costituzionale vigente - per quel che concerne la distribuzione di attribuzioni legislative tra Stato e Regioni - al momento di entrata in vigore della disposizione sospettata, ossia quello anteriore al varo della legge cost. n. 3 del 2001, di riforma del titolo V della Parte II della Carta fondamentale.

Alla stregua di recente decisione della stessa Corte costituzionale, infatti, “le norme che definiscono le competenze legislative statali e regionali contenute nel nuovo titolo V della Parte II della Costituzione potranno, di norma, trovare applicazione nel giudizio di costituzionalità promosso dallo Stato contro leggi regionali e dalle Regioni contro leggi statali soltanto in riferimento ad atti di esercizio delle rispettive potestà legislative, successivi alla loro nuova definizione costituzionale”.

Quanto alla sorte di pregresse norme statali in ipotesi incompatibili con il nuovo assetto costituzionale, va esclusa, quindi, la possibilità di assoggettarle a giudizio di legittimità per asserito contrasto con il nuovo riparto costituzionale di competenze; va parimenti escluso che siffatte disposizioni possano considerarsi implicitamente abrogate restando così in vigore fino a quando le Regioni non eserciteranno con apposite leggi di settore le nuove attribuzioni loro costituzionalmente assegnate.

Ciò posto, non vi è dubbio che anche l’assistenza psichiatrica, non diversamente da quella prestata a persone bisognose di altre cure mediche, attenga all'assistenza sanitaria e ospedaliera, che, ai sensi dell’originaria formulazione degli art. 117 e 118 Cost., è oggetto di competenza legislativa concorrente (C. Stato, sez. V, 07-09-1995, n. 1287): in base al previgente assetto costituzionale quindi, spetta allo Stato la enucleazione dei principi fondamentali cui le Regioni devono attenersi.

Il quadro costituzionale, peraltro, non pare al riguardo stravolto a seguito dell’entrata in vigore della legge cost. n. 3/2001, posto che, anche alla stregua del riscritto art. 117, comma 3, Cost., la tutela della salute costituisce oggetto di potestà legislativa concorrente della Regione, destinata ad esplicarsi, quindi, nel rispetto della competenza legislativa spettante allo Stato per “la determinazione dei principi fondamentali” (in termini Corte cost., 26 giugno 2002, n. 282).

Occorre dunque verificare la condivisibilità dei dubbi prospettati dall’appellante in merito alla compatibilità del citato art. 3, comma 5, l. 724/1994, con il descritto quadro costituzionale e, nel dettaglio, con i limiti in materia frapposti alla potestà legislativa statale.

La disamina va condotta tenendo contro del quadro normativo complessivo nel quale la disposizione incrimanata si inserisce, come noto caratterizzato dalla precisa e fondamentale scelta intesa a preferire l’utilizzo prioritario di strutture esterne: il modello organizzativo delineato dal legislatore statale implica, infatti, il superamento dell’ospedale psichiatrico e la costituzione di una rete di strutture ospedaliere, territoriali, residenziali e semiresidenziali, destinate ad assicurare il soddisfacimento delle esigenze di prevenzione, cura e riabilitazione proprie di tale categoria di pazienti, nonché, in particolare, il loro reinserimento sociale o meglio, ancor prima, il loro non sradicamento dal tessuto sociale.

La realizzazione delle strutture territoriali di che trattasi costituisce, pertanto, il proprium della riforma sulla salute mentale.

Non vi è dubbio pertanto che, vigente il pregresso quadro costituzionale, rientrasse nella potestà legislativa statale anche la formulazione di disposizioni volte ad assicurare l’uniforme e contestuale applicazione sull’intero territorio nazionale della riforma e del suo asse portante.

La prevista ed imposta realizzazione prioritaria su tutto il territorio nazionale delle strutture destinate a qualificare e connotare l’intero modello organizzativo delineato dalla legge di riforma risponde, quindi, ad un ineludibile interesse nazionale, peraltro non estraneo al nuovo quadro costituzionale laddove assegna alla esclusiva potestà legislativa statale talune competenze incidenti in modo trasversale sulle materie regionali: si pensi alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, di cui alla lettera m dell’art. 117 Cost.

Le osservazioni svolte valgono, pertanto, a dimostrare l’afferenza della disposizione contestata al momento genetico del disegno di riforma concernente l’assistenza al malato di mente, senza interferire, quindi, sulla sua fase propriamente gestionale, che dovrà essere assicurata dalle Regioni (per la parte che compete loro).

Come rilevato dal Giudice di primo grado, infine, va rimarcato, quanto al profilo della perequazione delle risorse finanziarie, che resta ferma l’attribuzione riservata allo Stato (cfr., ex multis, C.C. n. 124 del 1994; n. 357 del 1993; n. 356 del 1992; n. 418 del 1988; n. 245 del 1984).

5. Alla stregua delle esposte osservazioni va, dunque, respinto l’appello.

Sussistono giustificate ragioni per disporre la compensazione tra le parti delle spese del secondo grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge l’appello.

Compensate le spese del secondo grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2002 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Giovanni RUOPPOLO Presidente

Sergio SANTORO Consigliere

Luigi MARUOTTI Consigliere

Carmine VOLPE Consigliere

Roberto GAROFOLI Consigliere Est.


Presidente


Consigliere Segretario







DEPOSITATA IN SEGRETERIA


il.....................................

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione







CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)


Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa


al Ministero..............................................................................................


a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642


Il Direttore della Segreteria

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