REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 9355 del 2002, proposto dal Consorzio di bonifica integrale dei fiumi Foglia, Metauro e Cesano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Alessandro Pace e Ottavio Grandinetti, ed elettivamente domiciliato in Roma, alla piazza delle Muse n. 8, presso lo studio legale Pace-Associazione professionale;
contro
la Regione Marche, in persona del presidente pro tempore della giunta personale, rappresentato e difeso dall’avvocato Franco Gaetano Scoca, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, alla via G. paisiello n. 55;
e nei confronti
della Provincia di Pesaro-Urbino, in persona del presidente pro tempore della giunta provinciale, rappresentato e difeso dagli avvocati Guido Romanelli e Aldo Valentini, ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via Pacuvio n. 34, presso lo studio dell’avvocato Guido Romanelli;
nonché nei confronti
del signor Adamo Manzaroli, non costituitosi in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del TAR per le Marche, 2 settembre 2002, n. 979, e per l’accoglimento del ricorso di primo grado n. 140 del 2002;
Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;
Vista la memoria di costituzione in giudizio della Regione Marche, depositata in data 25 novembre 2002, integrata con una memoria depositata in data 7 marzo 2003;
Vista la memoria di costituzione in giudizio della Provincia di Pesaro-Urbino, depositata in data 26 novembre 2002, integrata con una memoria depositata in data 3 marzo 2003;
Vista la memoria depositata dall’appellante in data 7 marzo 2003;
Visti gli atti tutti del giudizio;
Vista l’ordinanza con cui la Sezione, in data 26 novembre 2002, ha respinto la domanda incidentale dell’appellante, proposta ai sensi dell’art. 33 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034;
Data per letta la relazione del Consigliere di Stato Luigi Maruotti all’udienza del 18 marzo 2003;
Uditi l’avvocato Alessandro Pace per il Consorzio appellante e l’avvocato Franco Gaetano Scoca per la Regione Marche e l’avv. Guido Romanelli per la Provincia di Pesaro e Urbino;
Considerato in fatto e in diritto quanto segue:
Fatto
1. Con la deliberazione n. 2994 dell’11 dicembre 2001, la giunta regionale delle Marche:
- ha preso atto della normativa vigente in materia di progettazione, realizzazione e gestione delle opere idrauliche di competenza regionale e delle opere e degli impianti riguardanti la difesa del suolo;
- ha rilevato che, “conseguentemente, i Consorzi di Bonifica non potranno più esigere il ruolo di bonifica per la manutenzione e l’esercizio delle opere indicate nella medesima deliberazione.
Il Consorzio appellante, col ricorso di primo grado, ha impugnato innanzi al TAR per le Marche la deliberazione n. 2994 del 2001, di cui ha chiesto l’annullamento.
Con la sentenza impugnata, il TAR ha respinto il ricorso ed ha compensato tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.
2. Col gravame in esame, il Consorzio ha impugnato la sentenza del TAR ed ha chiesto che, in sua riforma, il ricorso di primo grado sia accolto.
Si è costituita in giudizio la Regione Marche, che ha chiesto il rigetto del gravame.
Si è altresì costituita in giudizio la Provincia di Pesaro-Urbino, che ha chiesto che l’appello sia dichiarato inammissibile ovvero sia respinto, perché infondato.
Nel corso del giudizio, le parti hanno depositato distinte memorie, con cui hanno approfondito le questioni controverse ed hanno insistito nelle già formulate conclusioni.
La Sezione, con una ordinanza resa nel corso della camera di consiglio del 26 novembre 2002, ha respinto la domanda cautelare formulata dal Consorzio appellante ai sensi dell’art. 33 della legge n. 1034 del 1971.
3. All’udienza del 18 marzo 2003 la causa è stata trattenuta in
decisione.
Diritto
1. Con i primi due punti del dispositivo della deliberazione n. 2294 dell’11 dicembre 2001, la giunta regionale delle Marche
- ha rilevato l’entrata in vigore dell’art. 52, comma 1, lettera c), della legge regionale 17 maggio 1999, n. 10, per il quale “sono attribuite alle Province le funzioni amministrative concernenti ... la progettazione, la realizzazione e la gestione delle opere idrauliche”e dell’art. 16, comma 1, della legge regionale 25 maggio 1999, n. 13, per il quale “sono conferite alle Province le funzioni amministrative di competenza regionale concernenti ... la progettazione, la realizzazione e gestione delle opere idrauliche, la polizia idraulica, il pronto intervento idraulico, la polizia delle acque, il servizio idrometrico e di piena, la gestione e la manutenzione delle opere e degli impianti e la conservazione dei beni interessanti la difesa del suolo”;
- ha osservato che, poiché “le attività di bonifica fanno parte della più ampia azione pubblica per la difesa del suolo .. e il corretto uso delle risorse idriche, in una concezione globale degli interventi sul territorio”, “conseguentemente, i Consorzi di bonifica non potranno più esigere il ruolo di bonifica” per la manutenzione e l’esercizio delle opere indicate nella medesima deliberazione.
Con il terzo punto del medesimo dispositivo, la Regione ha invitato i medesimi Consorzi a formulare documentate proposte, che la Regione avrebbe valutato per elaborare i criteri e i limiti da tenere presente per l’adozione dei nuovi piani di classifica (previsti dall’art. 25 della legge regionale 17 aprile 1985, n. 13 su iniziativa dei Consorzi).
Col ricorso di primo grado, proposto al TAR per le Marche, il Consorzio di bonifica ora appellante ha impugnato la delibera regionale ed ha dedotto che essa avrebbe illegittimamente inciso sulle sue competenze e sulle fonti in base alle quali queste possono essere concretamente esercitate.
In questa sede, il Consorzio ha riproposto le originarie censure, respinte dal TAR con la sentenza impugnata, ed ha formulato quattro articolati motivi di gravame.
2. Per il suo carattere preliminare, va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado, formulata dalla Provincia di Pesaro-Urbino poiché l’impugnato atto della Regione – avendo ricostruito il quadro normativo sulle competenze dei Consorzi di bonifica operanti nel territorio regionale - non avrebbe un proprio contenuto provvedimentale.
L’eccezione va respinta.
L’art. 73 del decreto legislativo 24 luglio 1977, n. 616, ha trasferito alle Regioni “le funzioni esercitate dallo Stato concernenti consorzi di bonifica e di bonifica montana anche regionale”.
Tra tali funzioni, rientra il potere (già spettante al prefetto ed al Ministro dell’agricolture e foreste) “di vigilare sui Consorzi e di intervenire, anche in via surrogatoria, per assicurare il buon funzionamento degli enti e la regolare attuazione dei loro fini istituzionali” (art. 66 del testo unico 13 febbraio 1933, n. 215), e dunque anche il potere di emettere provvedimenti di indirizzo che specifichino le competenze spettanti ai Consorzi (al fine di evitare l’emanazione di atti illegittimi, perché invasivi della competenza di altri enti pubblici) ed evitino che i Consorzi avanzino infondate pretese creditorie nei confronti dei proprietari consorziati.
Poiché i due punti del provvedimento impugnato in primo grado costituiscono espressione del potere regionale di vigilanza e di indirizzo, va ravvisato l’interesse a ricorrere del Consorzio che lamenti l’incongrua ricostruzione del quadro normativo e la conseguente violazione delle leggi riguardanti le proprie competenze.
Può pertanto passarsi all’esame dei motivi d’appello.
3. Con primo motivo, il Consorzio ha dedotto che la delibera regionale sarebbe illegittima per violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990.
Secondo l’assunto, la Regione avrebbe dovuto comunicare l’avviso dell’avvio del procedimento, prima di disporre che i Consorzi di bonifica non possono esigere i ruoli di bonifica per la manutenzione e l’esercizio delle opere idrauliche di scolo.
La censura va respinta.
Come si è esposto in precedenza, la delibera regionale n. 2294 del 2001 è stata impugnata per la parte – ricognitiva ma di per sé potenzialmente lesiva - in cui essa, nell’esercizio dei poteri di vigilanza, ha rilevato la sussistenza di competenze delle Province, cui sono state devolute alcune delle originarie competenze dei Consorzi di bonifica.
Sotto tale aspetto, tale delibera non doveva essere preceduta da alcun avviso ai Consorzi di bonifica, poiché non ha concretamente disposto alcuna misura amministrativa nei loro confronti, né ha limitato l’esercizio dei loro poteri di riscossione: essendovi stata la sola ricostruzione del quadro normativo vigente, la mancanza di statuizioni incidenti sulle competenze dei Consorzi non rende neppure ravvisabile – per tal parte - l’esistenza di un procedimento amministrativo in senso tecnico.
Ciò comporta che correttamente la Regione ha attivato uno specifico procedimento – per acquisire le proposte dei Consorzi di bonifica - solo in relazione al punto 3 del dispositivo della delibera (di per sé avente natura soprassessoria), riguardante l’elaborazione dei criteri per l’adozione dei piani di classifica (previsti dall’art. 25 della legge regionale 17 aprile 1985, n. 13).
4. Con le altre censure, il Consorzio appellante ha lamentato che la impugnata delibera regionale ha erroneamente ricostruito il quadro normativo riguardante l’ambito delle proprie competenze e, in subordine, ha sollevato alcune questioni di legittimità costituzionale delle leggi regionali, ove esse dovessero essere interpretate nel senso riportato nella medesima delibera.
5. In particolare, col secondo motivo il Consorzio, dopo avere richiamato l’evoluzione della normativa in materia, ha lamentato la violazione di legge sotto vari profili (in particolare, del regio decreto n. 215 del 1933, del decreto legislativo n. 152 del 1999, delle leggi regionali n. 13 del 1985, 10 e 13 del 1999), poiché nell’ambito della Regione Marche le opere di bonifica risulterebbero ancora di competenza dei Consorzi di bonifica e non delle Province.
Ad avviso della Sezione, tale motivo va nel suo complesso respinto, poiché la delibera n. 2294 del 2001 ha correttamente interpretato la normativa statale e regionale rilevante in materia, caratterizzata
a) dalla originaria distinzione tra le opere idrauliche e le attività di bonifica, che è stata poi superata a seguito della ‘attrazione’ delle attività di bonifica nell’ambito del sistema idrico integrato;
b) dalla legislazione della Regione Marche che – con le riforme disposte con le leggi n. 10 e n. 13 del 1999 - ha conferito alle Province le funzioni in precedenza svolte dai Consorzi quali concessionari (dapprima dello Stato e poi della Regione).
6. Passando ad esaminare partitamente tali punti, vanno preventivamente sottolineati alcuni principi caratterizzanti l’evoluzione della normativa sulle opere idrauliche e quella sull’attività di bonifica.
6.1. Le opere idrauliche e le attività di bonifica sono state a lungo disciplinate da distinte leggi in ragione della loro obiettiva diversità.
Le opere idrauliche (che riguardano gli interventi di sistemazione di corsi d’acqua naturali preesistenti) sono state disciplinate dalla legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F sui lavori pubblici, trasfusa nel testo unico 25 giugno 1904, n. 523 (modificato, tra l’altro, dalla legge 13 luglio 1911, n. 774).
L’attività di bonifica (che riguarda la realizzazione di strutture artificiali per eliminare l’impaludamento e per raccogliere e convogliare le acque sovrabbondanti in canali artificiali di scolo, in base alle caratteristiche idrogeologiche dell’area) è stata disciplinata dalla legge 25 giugno 1882, n. 869, cui hanno fatto seguito il testo unico 22 marzo 1900, n. 195, il testo unico 30 dicembre 1923, n. 3256, e il vigente testo unico 13 febbraio 1933, n. 215.
In particolare, il testo unico n. 215 del 1933, all’art. 1, ha definito
come opere di bonifica (e “di miglioramento fondiario”) “quelle che si compiono in base ad un piano generale di lavori e di attività coordinate, con rilevanti vantaggi igienici, demografici, economici o sociali, in comprensori in cui cadano laghi, stagni, paludi e terre paludose, o costituiti da terreni montani dissestati nei riguardi idrogeologici e forestali, ovvero da terreni, estensivamente utilizzati per gravi cause d’ordine fisico e sociali, e suscettibili, rimosse queste, di una radicale trasformazione dell’ordinamento produttivo”.
In relazione alle opere di bonifica e di miglioramento fondiario, è stata prevista (su iniziativa dei proprietari o, eccezionalmente, anche d’ufficio) l’istituzione di Consorzi tra i “proprietari degli immobili che traggono beneficio dalla bonifica” (art. 54).
Il medesimo testo unico all’art. 2 ha inoltre specificamente indicato alcune categorie di opere di bonifica particolarmente rilevanti, definendole “di competenza dello Stato”, in quanto necessarie “ai fini generali della bonifica”, ed ha disposto all’art. 13 che “all’esecuzione delle opere di competenza statale ... provvede il Ministero dell’agricoltura e delle foreste, direttamente o per concessione. La concessione è accordata al consorzio dei proprietari dei beni da bonificare”.
Pertanto, il testo unico n. 215 del 1933 ha previsto che il Consorzio di bonifica possa eseguire (ovvero gestire):
- le opere “di interesse particolare” dei proprietari consorziati, cioè quelle previste anche dall’art. 38 e riferibili al loro prevalente interesse (secondo i piani approvati alla legge di settore);
- quali concessionari, le opere “di competenza dello Stato”,
- necessarie “ai fini generali della bonifica” ed elencate nell’art. 2.
In tal modo, il testo unico n. 215 del 1933:
- similmente alle leggi precedenti, ha riferito alla attività di bonifica essenzialmente la finalità di risanamento dei terreni acquitrinosi e potenzialmente malarici, nonché quella della loro sistemazione e difesa (in ragione della particolare posizione che li rendeva inospitali o comunque poco produttivi),
- nell’ambito della attività di bonifica così unitariamente considerata, ha elaborato la fondamentale distinzione tra le funzioni dei Consorzi svolte nell’“interesse particolare” dei proprietari inclusi nel comprensorio (tra i quali rileva soprattutto il diritto privato) e le funzioni pubblicistiche (finalizzate agli interessi pubblici legati alla bonifica e suscettibili di concessioni).
6.2. Senonché, successivamente le leggi statali hanno superato le risalenti concezioni sulla attività di bonifica (basate sulla sua rilevanza igienico-sanitaria o di miglioramento dei fondi agricoli) e hanno espressamente inserito tale attività nell’ambito della più ampia azione pubblica per la difesa del suolo, la tutela, la valorizzazione e il corretto uso delle risorse idriche, nonché per la tutela dell’ambiente come ecosistema (in una concezione globale degli interventi sul territorio).
L’attività di bonifica è così divenuta una delle attività di uso e di valorizzazione delle risorse idriche e di tutela dell’ambiente.
Vanno al riguardo richiamati:
- l’art. 1 della legge 18 maggio 1989, n. 183 (recante “norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo”), che ha attribuito ai Consorzi di bonifica anche il compito “di assicurare la difesa del suolo, il risanamento delle acque, la fruizione e la gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale, la tutela degli aspetti ambientali ad essi connessi” (in un sistema in cui i Consorzi concorrono a difendere il territorio ed a valorizzare il suolo e l’uso delle risorse idriche);
- l’art. 27 della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (recante “disposizioni in materia di risorse idriche”), che ha attribuito ai Consorzi la “facoltà di realizzare e gestire le reti a prevalente scopo irriguo, gli impianti per l’utilizzazione in agricoltura di acque reflue, gli acquedotti rurali e gli altri impianti funzionali ai sistemi irrigui e di bonifica”, oltre alla facoltà “previa domanda alle competenti autorità, di utilizzare le acque fluenti nei canali e nei cavi consortili per usi che comportino la restituzione delle acque e siano compatibili con le successive utilizzazioni, ivi compresi la produzione di energia idroelettrica e l’approvvigionamento di imprese produttive”, con la conseguente applicazione delle disposizioni del testo unico n. 368 del 1904 per i rapporti tra i Consorzi ed i soggetti che praticano tali usi delle risorse idriche.
Il legislatore in tal modo ha disciplinato un articolato sistema di programmazione complessiva degli interventi per la difesa del suolo, che ha luogo:
- con i piani di bacino, ai quali si devono adeguare i piani generali di bonifica (art. 17, comma 4, della legge n. 183 del 1989);
- con l’organizzazione territoriale del “servizio idrico integrato”, fondata sulla delimitazione di “ambiti territoriali ottimali”, la cui organizzazione e gestione è stata attribuita ai Comuni e alle Province (artt. 8 e 9 della legge n. 183 del 1989).
Tali riforme si sono basate su disposizioni di principio, espressamente definite quali “principi fondamentali ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione” (v. l’art. 1, comma 5, della legge n. 183 del 1989 e l’art. 33 della legge n. 36 del 1994).
Esse sono state ribadite dal decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152 (recante “disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole”), il cui art. 3, comma 6, ha previsto che “i consorzi di bonifica e di irrigazione, anche attraverso accordi di programma con le competenti autorità, concorrono alla realizzazione di azioni di salvaguardia ambientale e di risanamento delle acque, anche al fine della loro utilizzazione irrigua, della rinaturalizzazione dei corsi d’acqua e della fitodepurazione”.
6.3. Tenuto conto di tali precisazioni, ad avviso della Sezione l’impugnata delibera regionale ha correttamente interpretato le leggi della Regione Marche n. 10 e n. 13 del 1999.
Infatti, l’art. 52, comma 1, lettera c), della legge n. 10 del 1999 e l’art. 16, comma 1, della legge n. 13 del 1999 ha espressamente attribuito alle Province le funzioni amministrative concernenti “la progettazione, la realizzazione e gestione delle opere idrauliche, la polizia idraulica, il pronto intervento idraulico, la polizia delle acque, il servizio idrometrico e di piena, la gestione e la manutenzione delle opere e degli impianti e la
conservazione dei beni interessanti la difesa del suolo”).
Essi vanno interpretati sulla base delle leggi statali n. 183 del 1989 e n. 64 del 1994 e cioè nel senso che - nell’ambito delle opere idrauliche oramai rientranti nell’ambito delle competenze provinciali nella Regione Marche - vanno annoverate tutte le opere riguardanti la difesa del suolo, la tutela e la valorizzazione e il corretto uso delle risorse idriche, tra cui quelle in precedenza svolte dai Consorzi di bonifica, quali concessionari.
Sotto tale aspetto, va rimarcato come le leggi regionali abbiano disciplinato il sistema idrico integrato sotto un profilo unitario, con l’attribuzione delle competenze in materia alle Province, determinando anche un limitato ambito di competenza dei Comuni, ma senza eccettuare le funzioni in precedenza svolte – o comunque consentite - dai Consorzi di bonifica, quali concessionari dapprima dello Stato e poi della Regione Marche.
Quanto precede comporta che vanno respinte, perché infondate, le censure di violazione delle leggi statali e provinciali, dedotte in questa sede dal Consorzio appellante.
7. Col terzo motivo, il Consorzio ha dedotto che la delibera regionale – concretando anche un eccesso di potere - non avrebbe tenuto conto dei principi enunciati dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 326 del 1998 (che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcuni articoli della legge regionale 9 maggio 1997, n. 30, per la parte in cui essi avevano disposto il trasferimento alle Province delle funzioni svolte dai Consorzi di bonifica e la loro conseguente soppressione);
In particolare, il Consorzio appellante ha richiamato alcuni punti
della motivazione di tale sentenza ed ha dedotto che:
- solo il legislatore nazionale avrebbe potuto “sciogliere definitivamente l’intreccio di pubblico e di privato che nei Consorzi si esprime, per separare in modo netto le manifestazioni dell’autonomia privata dai caratteri pubblicistici impressi a tali enti dalla legislazione pre-costituzionale”;
- la Regione non avrebbe potuto ignorare la distinzione tra le opere idrauliche e le opere di bonifica, anche perché essa – privando i Consorzi di bonifica delle risorse finanziarie derivanti dai contributi di bonifica connessi alle sue funzioni – ne rende impossibile il funzionamento in ordine alle residue ed attuali funzioni.
Ad avviso della Sezione anche tali doglianze vanno respinte.
La invocata sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità degli articoli 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13 (commi 2, 3 , 4 e 5) e 15 della legge della Regione Marche 9 maggio 1997, n. 30 (che avevano integralmente attribuito alle Province tutte le competenze svolte dai Consorzi di bonifica, con la conseguente estinzione dei Consorzi e la devoluzione alla Regione dei suoi beni e del suo personale), poiché ha chiarito come solo il legislatore nazionale possa incidere sulla esistenza o meno dei Consorzi di Bonifica e modificare la disciplina riguardante i rapporti tra i proprietari dei fondi inclusi nel comprensorio.
Essa, invece, ha espressamente ammesso che il legislatore regionale possa “dar vita ad un nuovo assetto” delle funzioni in materia e “attribuire funzioni pubbliche, già esercitate dai Consorzi d bonifica, ad altri enti pubblici, in ispecie territoriali, anche in attuazione e in coerenza con i principi dell’ordinamento delle autonomie locali”.
Inoltre, neppure sono condivisibili le deduzioni (particolarmente sviluppate con gli ulteriori argomenti difensivi, svolti anche nel corso della discussione) secondo cui l’attribuzione alle Province delle funzioni riferibili al “servizio pubblico integrato” renderebbe impossibile il funzionamento del Consorzio per quanto riguarda l’attività svolta nell’interesse dei proprietari inclusi nel comprensorio, poiché:
- le eventuali difficoltà di funzionamento del Consorzio - che si limita a svolgere la sola attività “di interesse particolare” dei proprietari consorziati, in relazione alle relative opere irrigue – costituiscono circostanze di fatto che non incidono sull’ambito di applicazione delle leggi che hanno attribuito alla Provincia le funzioni di rilievo pubblicistico in precedenza svolte dal Consorzio;
- la conseguente mancata percezione dei contributi di bonifica, da parte del Consorzio, trova la sua giustificazione sulla insussistenza degli obblighi – e delle relative responsabilità – riguardanti la progettazione, la realizzazione e la gestione delle opere idrauliche facenti parte del sistema idrico integrato (sicché l’assenza degli introiti costituiti dai contributi si pone in correlazione con l’assenza nel bilancio delle relative somme di spesa).
8. Si deve pertanto passare all’esame delle censure di costituzionalità, formulate in via subordinata dal Consorzio nei confronti delle disposizioni delle leggi regionali che hanno attribuito alle Province le competenze prima attribuite ai Consorzi di bonifica e riferibili al “sistema
idrico integrato”.
In particolare, il Consorzio ha dedotto la violazione degli articoli 41, 42, 44, 117 e 118 della Costituzione, poiché:
- vi è una stretta connessione finalistica tra l’attività di bonifica integrale e la tutela del territorio e dell’ambiente;
- ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione (come modificato con la legge costituzionale n. 3 del 2001), “la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” costituisce espressione della potestà legislativa esclusiva dello Stato, sicché lo Stato può delegare le sole funzioni amministrative (e non anche quelle legislative);
- anche se l’attività di bonifica vada considerata riferibile alla materia del “governo del territorio” (per la quale la Regione Marche ha potestà legislativa concorrente, ai sensi del novellato art. 117 Cost.), le contestate leggi regionali n. 10 e n. 13 del 1999 si sarebbero poste in contrasto con i principi fondamentali, ricavabili i materia dalla legislazione statale;
- è ravvisabile una incidenza sulla liberà di iniziativa economica e sul diritto di proprietà dei partecipanti al Consorzio (che persegue fini di utilità sociale e la funzione sociale della proprietà);
- la Regione non può incidere sui “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutti il territorio nazionale” (v. il novellato art. 117 Cost., secondo comma, lettera m), né sul complesso delle norme di diritto privato;
- dall’art. 44 Cost. si evince che la forma giuridica ‘mista’ dei Consorzi di bonifica costituisce un modello per la gestione della attività di bonifica, tenuto conto anche del principio di sussidiarietà orizzontale, espresso dal novellato art. 118, quarto comma, Cost.
9. Ritiene la Sezione che tali censure (e le relative questioni di costituzionalità) vadano considerate in parte inammissibili e in parte manifestamente infondate.
9.1. Va al riguardo premesso che le contestate leggi regionali n. 10 e n. 13 del 1999 sono entrate in vigore prima delle modifiche del titolo V della Costituzione, disposte dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, sicché esse in quanto tali non rilevano nel presente giudizio: per la consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale, l’esame degli atti legislativi – per questioni attinenti alla ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni – va compiuto alla stregua dei relativi parametri costituzionali vigenti alla data di approvazione degli stessi atti legislativi e, quindi, nella formulazione anteriore alla riforma di cui alla citata legge costituzionale (Corte Cost., 9 dicembre 2002, n. 524; 18 ottobre 2002, n. 422; 23 luglio 2002, n. 376).
9.2. Vanno pertanto dichiarate inammissibili, perché non rilevanti, le questioni riguardanti il dedotto contrasto delle contestate leggi regionali del 1999 con gli articoli 117 e 118 della Costituzione, come novellati dalla legge costituzionale n. 3 del 2001.
9.3. Le questioni vanno considerate manifestamente infondate, anche ove intese come riferite alla violazione degli articoli 117 e 118 Cost., nel testo vigente al momento dell’entrata in vigore delle leggi regionali n. 10 e n. 13 del 1999.
Nel quadro normativo derivante dai previgenti articoli 117 e 118, va infatti ravvisata la competenza legislativa della Regione Marche in ordine alla determinazione delle competenze ‘pubblicistiche’ dei Consorzi di bonifica (tranne per gli aspetti riferibili all’“interesse particolare” dei proprietari consorziati).
Sotto tale profilo, nel richiamare le suesposte osservazioni sulla evoluzione che ha caratterizzato l’attività di bonifica quale componente essenziale del sistema di difesa del suolo e di tutela del territorio e dell’ambiente quale ecosistema (e salve le questioni – irrilevanti in questa sede - attinenti all’ambito delle materie riferibili alla “tutela del territorio” e attualmente soggette alla potestà legislativa concorrente della Regione), da tempo il legislatore nazionale ha in gran parte trasferito o conferito alle Regioni le originarie competenze statali (con i decreti legislativi 15 gennaio 1972, n. 11, 24 luglio 1977, n. 616, e 31 marzo 1998, n. 112).
Il decreto legislativo n. 11 del 1972:
- sulla base di una ridefinizione delle materie della agricoltura e delle foreste, ha trasferito alle Regioni le funzioni amministrative statali concernenti la bonifica integrale e montana, la sistemazione di bacini montani, la classificazione dei comprensori di bonifica integrale e montana di seconda categoria, di bacini montani e delle zone depresse, nonché i compiti di redazione, approvazione e attuazione di piani generali di bonifica e dei programmi di sistemazione dei bacini montani e delle zone depresse (art. 3);
- ha mantenuto le funzioni statali per i comprensori compresi nel territorio di due o più regioni ed riservato allo Stato le competenze relative “alla sistemazione idrogeologica” e “alla conservazione del suolo” (art. 4).
Il decreto legislativo n. 616 del 1977:
- all’art. 66, primo comma, ha mantenuto ferma l’attribuzione alla Regione delle funzioni riguardanti “la bonifica integrale e montana”;
- all’art. 69, quarto comma, ha trasferito alle Regioni “le funzioni concernenti la sistemazione idrogeologica e la conservazione del suolo”;
- all’art. 73, al primo ed al secondo comma, ha trasferito alle Regioni “le funzioni esercitate dallo Stato concernenti i consorzi di bonifica e di bonifica montana anche interregionali”, anche quando siano interessati territori di due o più Regioni (sicché esse sono succedute nelle concessioni già rilasciate dallo Stato nei confronti dei Consorzi, ai sensi dell’art. 2 del testo unico n. 215 del 1933).
Il decreto legislativo n. 112 del 1998, al capo IV (avente il titolo “risorse idriche e difesa del suolo”), all’art. 89, comma 1, ha conferito alle Regioni e agli enti locali tutte le funzioni non aventi rilievo nazionale in materia e, in particolare quelle riguardanti:
- la “programmazione, realizzazione e gestione delle opere idrauliche di qualsiasi natura” (lettera a);
- i “compiti di polizia idraulica e di pronto intervento di cui al regio decreto 25 luglio 1904, n. 523, e al regio decreto 9 dicembre 1977, n. 2669, ivi comprese l’imposizione di limitazioni e divieti all’esecuzione di qualsiasi opera o intervento anche al di fuori dell’area demaniale idrica, qualora questi siano in grado di influire anche indirettamente sul regime dei corsi d’acqua” (lettera c);
- la “polizia delle acque, anche con riguardo alla applicazione del testo unico approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1175” (lettera g).
Tale conferimento è stato disposto “ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della legge 15 marzo 1997, n. 59”, e cioè facendo espressamente rientrare tali compiti tra quelli riferibili all’art. 117 della Costituzione (nel testo antecedente alle modifiche disposte con la legge costituzionale n. 3 del 2001) e con la previsione per cui “le Regioni, in conformità ai singoli ordinamenti regionali, conferiscono alle province, ai comuni e agli altri enti locali tutte le funzioni che non richiedono l’unitario esercizio a livello regionale”.
Tali leggi devolutive di competenze vanno interpretate nel senso che esse – in coerenza con le richiamate leggi statali che hanno attratto l’attività di bonifica di rilievo pubblicistico nell’ambito del sistema del servizio idrico integrato - hanno anche consentito l’esercizio della potestà legislativa regionale sulla attribuzione alle Province delle competenze in precedenza spettanti ai Consorzi di bonifica quali concessionari.
Già con riferimento al sistema antecedente all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 112 del 1998, la Corte Costituzionale (con la sentenza n. 326 del 24 luglio 1998) ha chiarito che la materia della bonifica – in quanto inclusa in quella della “agricoltura e foreste” – si inquadrava per diversi aspetti nelle attribuzioni regionali in tema di assetto ed utilizzazione del territorio (con la conseguente possibilità di esercitare la potestà legislativa regionale, ai sensi dell’art. 117 Cost., con i limiti derivanti dai principi fondamentali della legislazione statale in materia).
A seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 112 del 1998, tale affermazione va ribadita, avendo il legislatore nazionale ulteriormente disposto che (evidentemente con leggi regionali, trattandosi di incidere sulle competenze) le Regioni conferiscono le funzioni alle Province, ai Comuni e agli altri enti locali, tranne quelle che richiedano “l’unitario esercizio a livello regionale”.
Va pertanto disattesa la tesi dell’appellante, secondo cui – in base agli invocasti parametri costituzionali - i contestati articoli delle leggi regionali n. 10 e n. 13 del 1999 non avrebbero potuto incidere sulle competenze pubblicistiche dei Consorzi di Bonifica.
9.4. Va altresì respinta anche la subordinata deduzione dell’appellante (desumibile dall’intera impostazione del gravame), per la quale – pur sussistendo in materia la potestà legislativa della Regione – le leggi regionali n. 10 e n. 13 del 1999 si sarebbero poste in contrasto con i principi fondamentali, ricavabili in materia dalla legislazione statale.
Ad avviso della Sezione, dall’esame della normativa statale e dei principi enunciati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 326 del 1998, si evince che tra i principi fondamentali della legislazione statale in materia vanno annoverati i seguenti:
- le leggi regionali non possono sopprimere i Consorzi di bonifica, né possono alterare le regole fondamentali di diritto privato, concernenti la disciplina dei rapporti fra i proprietari consorziati;
- le leggi regionali ben possono invece disciplinare le funzioni amministrative riguardanti le attività di difesa del suolo e nell’ambito del sistema idrico integrato.
Tali principi non sono stati violati dalla contestata normativa regionale, poiché essa:
- non ha soppresso i Consorzi di bonifica e non ha inciso sulla loro
dotazione del personale o sullo svolgimento delle funzioni volte a soddisfare l’”interesse particolare” dei proprietari consorziati;
- si è limitata ad attribuire alle Province le competenze relative al sistema idrico integrato, nel cui novero rientrano le attività già svolte dai Consorzi di bonifica quali concessionari, sulla base di una reductio ad unum coerente col criterio di “superamento della frammentazione delle gestioni”, enunciato dall’art. 8 della legge n. 36 del 1994, al comma 1, lettera b).
9.5. Vanno altresì respinte – in quanto manifestamente infondate – le residue doglianze di incostituzionalità:
- non si possono ravvisare indebite incidenze sulla libertà di iniziativa economica e sul diritto di proprietà dei partecipanti al Consorzio, né vi è stata una non consentita legislazione regionale nella materia di diritto privato o sulla natura dei Consorzi di bonifica, poiché i contestati articoli delle leggi n. 10 e n. 13 del 1999 hanno riguardato unicamente l’assetto delle competenze pubblicistiche dei Consorzi di bonifica e delle Province, senza alterare in alcun modo la normativa applicabile tra i proprietari e tra questi ed il Consorzio, con riferimento alle sue finalità essenziali di costituzione nell’”interesse privato”, prese in considerazione dal testo unico n. 215 del 1933;
- non è pertinente il sintetico richiamo ai “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”, avendo la normativa regionale riguardato le competenze degli enti pubblici, senza incidere sulla qualità dei servizi da svolgere in materia.
10. Per le ragioni che precedono, l’appello nel suo complesso è infondato e va respinto.
Considerata la qualità degli scritti delle parti, vanno compensate tra le parti le spese e gli onorari del secondo grado del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) respinge l’appello n. 9355 del 2002.
Compensa tra le parti le spese e gli onorari del secondo grado del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi il giorno 18 marzo 2003, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, con l’intervento dei signori:
Giorgio Giovannini Presidente
Sergio Santoro Consigliere
Luigi Maruotti Consigliere estensore
Carmine Volpe Consigliere
Chiarenza Millemaggi Cogliani Consigliere
Presidente
Consigliere Est.
Segretario


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il.........................................
(Art.55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione



CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)

Addì........................................copia conforme alla presente è stata trasmessa

al Ministero..............................................................................................

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
Il Direttore della Segreteria

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