REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.1893/05
Reg.Dec.
N. 8968 Reg.Ric.
ANNO 2004

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE
sul ricorso n. 8968/2004, proposto dalla Comunità montana Bassa Valle di Susa e Val Cenischia, in persona del presidente pro-tempore Antonio Fermentino, rappresentata e difesa dall’avv. Roberto Lamacchia del foro di Torino ed elettivamente domiciliata in Roma, viale delle Milizie n. 9, presso l’avv. Buna Maria Tomasello;

contro
La società Lyon Turin Ferroviaire, società par actins simèplifiée, con sede sociale in Chambéry (Francia) in persona del legale rappresentante Francois Robert Hartwig, elettivamente domiciliata in Roma via della Vite n. 7 presso lo studio degli avvocati Piero D’Amelio e Giovanni Sciacca che la rappresentano e difendono;
il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato presso cui è per legge domiciliato in Roma via dei Portoghesi n. 12;
il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio,
la Regione Piemonte non costituiti;
e nei confronti di
CIPE (Comitato Interministeriale Programmazione Economica) non costituito;
avverso
la sentenza n. 5598/04 con la quale il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione III bis, ha respinto il ricorso della Comunità montana Bassa Valle di Susa e Val Cenischia volto ad ottenere l’annullamento del provvedimento di autorizzazione emesso in data 7 agosto 2003 dal Ministero per le infrastrutture ed i trasporti alla s.a.s. L.T.F. di escavazione di un cunicolo esplorativo detto di Venaus; della delibera della Giunta regionale del Piemonte del 30 giugno 2003 con la quale era stata espressa intesa positiva al progetto di escavazione del predetto cunicolo, nonché di ogni altro atto o provvedimento presupposto, conseguente o connesso agli altri provvedimenti impugnati, ivi compresa la delibera CIPE del 21 dicembre 2001, n. 121 con la quale l’opera ferroviaria Torino-Lione era stata inclusa tra le infrastrutture strategiche di interesse nazionale.
Visto il ricorso con relativi allegati.
Visto la costituzione in giudizio della rubricata società ed amministrazioni.
Visti gli atti tutti di causa.
Udita alla pubblica udienza del 15 marzo 2005 la relazione del consigliere Sabino Luce e sentiti altresì l’avv. Lamacchia, l’avv. dello Stato Linda e l’avv. d’Amelio.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con sentenza n. 5598/04, del 4 marzo/12 giugno 2004, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio respingeva il ricorso (n. 12869/2003) proposto dalla Comunità montana Bassa Valle Susa e Val Cinischia contro il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero dell’ambiente, la Regione Piemonte ed il Cipe e nei confronti della Lyon Turin ferroviarie L.T.F. s.a..s per l’annullamento della autorizzazione emessa in data 7 agosto 2003 dal Ministro per le infrastrutture ed i trasporti alla s.a..s. Lyon Turin indicata, in qualità di proponente il progetto preliminare del collegamento ferroviario Torino-Lione, alla escavazione del cunicolo esplorativo del Venaus, con le prescrizioni già stabilite dalla Regione Piemonte in data 30 giugno 2003, nonché di ogni altro atto presupposto tra cui la delibera CIPE 21 dicembre 2001, n. 121. Contro l’indicata decisione la Comunità montana Bassa Valle di Susa e Val Cenischia ha proposto appello al Consiglio di Stato chiedendo, con ricorso notificato il 23 settembre 2004, la riforma dell’impugnata decisione con l’annullamento degli atti impugnati in primo grado ed in subordine, ritenuta non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della legge cosiddetta obiettivo, la sospensione del giudizio con la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Nella resistenza della dell’amministrazione delle infrastrutture e dei trasporti e della Lyon Turin ferroviarie s.a.s. il ricorso, chiamato per l’udienza odierna, all’esito è stato trattenuto in decisione dal collegio.
DIRITTO
1. Pregiudizialmente, va respinta l’eccezione d’inammissibilità del ricorso di primo grado proposto dalla Comunità appellante: la circostanza, dedotta dalla società Lyon Turin resistente, che il ricorso medesimo è stato notificato nella sede secondaria di Torino della stessa non ne ha comportato l’omessa conoscenza e la regolare instaurazione del contraddittorio in prima ed in seconda istanza.
2. La Comunità montana appellante, nelle premesse ai proposti motivi d’impugnazione, si duole di un’asserita sottovalutazione, da parte del Tribunale amministrativo regionale, delle questioni dedotte e delle motivazioni poste a base del ricorso di primo grado. La questione oggetto del giudizio- secondo l’appellante- era di rilevante importanza sotto il profilo sociale, perché, anche se riguardava l’escavazione di un cunicolo, in realtà metteva in discussione la progettazione di una delle più grandi (sotto il profilo del costo e dell’impegno richiesto) opere progettate in Italia ed in Europa: la nuova tratta ferroviaria Torino-Lione. In discussione, pertanto, era un vero e proprio avvenimento, che comportava, tuttavia, effetti collaterali negativi per gli abitanti della zona e che richiedeva ai giudici di primo grado una più attenta disamina delle ragioni di critica all’impugnata autorizzazione ministeriale. La sentenza del Tribunale amministrativo regionale, invece- sempre secondo la Comunità montana ricorrente- appariva improntata ad una aprioristica difesa dell’opera per la quale, peraltro, al momento dell’autorizzazione del Ministero, non era stato nemmeno approvato il progetto preliminare, con un affossamento, altrettanto aprioristico, delle ragioni fatte valere da essa appellante che parlava a nome dei cittadini abitanti nelle zone interessate e dei comuni, riducendo i motivi del ricorso a poco più che pretesti volti a rendere più ardua l’esecuzione dell’opera pubblica. In definitiva, la sentenza del Tribunale amministrativo regionale sarebbe viziata da un iniziale preconcetto che si tradurrebbe in una difesa dello sviluppo ad ogni costo, rispetto allo sviluppo sostenibile: tale vizio si concretizzerebbe, in relazione alla reiezione dei singoli motivi di ricorso, in un difetto di motivazione e in una decisione fondata su errati presupposti.
Ad avviso del collegio, la riassunta censura, oltre che ingenerosa nei confronti dei giudici di prima istanza, è anche del tutto destituita di ogni fondamento: il Tribunale amministrativo regionale, infatti, ha puntualmente dato riscontro a tutti i dedotti motivi di ricorso, con argomentazioni, anche se succinte, adeguate e sufficienti, oltre che, per quanto sarà osservato successivamente, pienamente condivisibili e corrette. A ciò si aggiunge che- ad avviso del collegio- la Comunità appellante, nel censurare la sentenza di primo grado, sembra incorrere nello stesso errore ad essa addebitato, apparendo chiaramente condizionata dal convincimento che nessuno sviluppo è consentito ove esso possa essere in qualche modo nocivo per l’ambiente e la salute.
3. Ciò premesso e passando ai singoli motivi di appello, va rilevato che, in primo grado, era stata, innanzi tutto, dedotta l’illegittimità, per carenza di potere, della delibera CIPE, che aveva inserito il collegamento ferroviario ad alta velocità Torino- Lione nel programma delle grandi infrastrutture, perché assunta lo stesso giorno della promulgazione della legge n. 443/2001, e cioè quando la cosiddetta legge-obiettivo non era stata ancora pubblicata. Il Tribunale amministrativo regionale ha disatteso la censura richiamando una pronunzia della Corte costituzionale (cfr. 20 ottobre 1983, n. 321), secondo cui la promulgazione della legge non costituisce soltanto il presupposto per la successiva sua pubblicazione, ma attribuisce efficacia, o se si vuole, esecutorietà immediata alla legge medesima. Di modo che la legge promulgata deve considerarsi, non solo già esistente nell’ordinamento giuridico, ma, a taluni fini, anche efficace nei confronti di alcuni organi pubblici, tra cui sicuramente il Presidente della Repubblica nonché il Governo cui evidentemente fa capo il CIPE. Nel censurare la decisione del Tribunale amministrativo regionale, la parte appellante ripropone la questione, sottolineando che la pronunzia della Corte costituzionale avrebbe esclusivamente carattere indicativo, riguardando, peraltro, un caso diverso da quello qui in esame in quanto concernente un decreto di amnistia ed indulto emesso dallo stesso Presidente della Repubblica. Occorreva, poi, considerare-sempre secondo l’appellante- quanto disposto dal d.P.R. 28 dicembre 1985, n. 1092 il quale, all’art. 5, comma 3, stabilisce che quando il Ministro Guardasigilli incontra qualche difficoltà riguardo alla forma esteriore della legge, ovvero al tenore del decreto, può sospendere il visto e l’apposizione del sigillo, facendone relazione al Consiglio dei Ministri. Se quindi il Ministro ha il potere, sia pure in casi limiti e per ragioni solo formali, di sospendere l’apposizione del visto e sigillo e, conseguentemente, la pubblicazione della legge, ciò non può che significare- così conclude la comunità ricorrente- che la legge, al momento successivo alla sua promulgazione, non ha ancora terminato il suo iter normativo. Si dovrebbe pertanto ritenere, con riferimento al caso in esame, che il CIPE, sia pure organo promanante dal Governo, non aveva né l’obbligo né la possibilità di applicare una legge che non era stata ancora pubblicata e non era entrata in vigore.
La censura è infondata e come tale va respinta.
La pubblicazione della legge costituisce, infatti, un atto diretto a dare comunicazione della stessa ai cittadini per renderne possibile la conoscenza ed imporne conseguentemente la generale osservanza. Ancor prima della pubblicazione, tuttavia, la promulgazione da parte del Presidente della Repubblica attribuisce alla stessa immediata efficacia ed esecutorietà, che si distingue dalla obbligatorietà erga omnes conseguente alla pubblicazione all’atto normativo. La promulgazione della legge non costituisce, pertanto, soltanto il presupposto della sua successiva pubblicazione, che viene attuata attraverso una serie di operazioni (il c.d. visto, l’inserzione nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti, la pubblicazione, propriamente detta, nella Gazzetta Ufficiale)- la cui eventuale sospensione non ha alcuna rilevanza per il caso qui esaminato- rappresentando, bensì, il momento conclusivo e costitutivo del procedimento formativo della volontà del legislatore. La legge promulgata, quindi, deve considerarsi già perfetta e quindi non solo esistente nell’ordinamento giuridico ma, a taluni fini, anche efficace nei confronti di alcuni organi pubblici, tra cui sicuramente il Governo ed il CIPE che ne costituisce espressione. Contrariamente, poi, a quanto ritenuto dalla Comunità appellante, l’indicato principio è stato già più volte in passato, sia pure implicitamente, affermato dalla Corte costituzionale. Per stabilire l’anteriorità o la posteriorità della legge rispetto ad un’altra la Corte, infatti, ha già statuito che occorresse fare riferimento alla data della promulgazione e non a quella della pubblicazione, sicché la legge promulgata successivamente abroga quella promulgata prima anche se pubblicata dopo; ed allo stesso modo, secondo la Corte costituzionale, ai fini dell’osservanza del termine fissato dalle leggi di delegazione, è sufficiente che l’atto (delegato) sia perfezionato con la emanazione prima della scadenza di detto termine a nulla rilevando che la pubblicazione intervenga successivamente a tale data (cfr. Corte cost. 6 luglio 1959, n. 39, 24 maggio 1960, n. 34, 12 novembre 1961, n. 01, 21 marzo 1974, n. 83). Quanto, infine, alla pretesa impossibilità che la promulgazione possa avere rilievo per norme attributive di potere pubblico, occorre considerare che nella specie non veniva in rilievo una disposizione attributiva di poteri negativamente incidenti sulla sfera di terzi, ma un precetto autorizzativo all’inserimento di opere pubbliche nel programma CIPE, ai fini del relativo finanziamento onde delineare il quadro degli interventi di preminente interesse nazionale da finanziare per garantirne l’esecuzione entro tempi ragionevolmente rapidi.
4. Con il secondo motivo di ricorso, la Comunità montana appellante ripropone, poi, la questione relativa all’asserita illegittimità costituzionale della legge cosiddetta obiettivo 21 dicembre 2001, n. 443, con riferimento agli articoli 5, 32, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione. La ricorrente lamenta, in particolare, che i giudici di primo grado, facendo riferimento- nel ritenere manifestamente infondata la sollevata questione di costituzionalità- alla sentenza della Corte costituzionale n. 303/03, avevano frainteso la vera portata del motivo di ricorso: l’incostituzionalità della legge obiettivo era stata, infatti, denunciata, non già con riferimento alla distribuzione delle competenze legislative tra Stato e Regioni, cui si era riferita la richiamata sentenza della Corte costituzionale, bensì per la mancata previsione di adeguate forme di partecipazione dei comuni e delle comunità montane al processo decisionale concernente i progetti preliminari delle opere strategiche che, sia pure di preminente interesse nazionale, ne incidono tuttavia i territori. Ne risulterebbe violata la rilevanza costituzionale degli anzidetti enti locali, chiamati ad esprimere un mero parere, peraltro nemmeno vincolante, e risulterebbe violato il principio di sussidiarietà che, anche se contemperato con il principio di unitarietà ed indivisibilità dello Stato, non può, tuttavia, consentire un procedimento ove sono del tutto pretermessi gli enti locali in presenza di indici normativi costituzionali che assicurano loro pari dignità costituzionale rispetto alla regione. In definitiva- secondo l’appellante- la legge obiettivo realizzerebbe uno scollamento tra gli interessi degli enti locali coinvolti dall’esecuzione delle opere pubbliche e quelli nazionali, laddove la risoluzione e la difesa degli interessi locali viene affidata esclusivamente alle regioni. In questo senso anche il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione di Catania, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata, della legge obiettivo. Secondo, quindi l’appellante, l’art. 1, comma 1 e 2, della legge n. 443/01, gli artt. 13 e 14 della legge n. 166/02 e l’art. 1, commi 2 e 3, del D.Lgs. 190/03 sarebbero affetti da incostituzionalità per violazione degli artt. 5 e 118 della Costituzione in tema di principi di autonomia degli enti locali, dell’art. 97 della Costituzione per il mancato coinvolgimento delle comunità montane che sono enti esponenziali degli interessi della comunità locale e violazione dell’art. 32 della Costituzione per mancata ponderazione degli interessi pubblici ambientali.
Anche tale censura è infondata e come tale va respinta, dal momento che il richiamo, fatto dai giudici di primo grado, alla sentenza della Corte costituzionale n. 303/2003, fornisce elementi di giudizio sufficienti a far ritenere manifestamente infondata la dedotta questione anche con riferimento al profilo dell’asserita compromissione da parte della legge n. 443/2001 delle attribuzioni dei comuni e degli enti locali ed al principio di sussidiarietà e di leale collaborazione tra gli enti quale codificato nel nuovo titolo V della Carta costituzionale. Al che va aggiunto che la questione di legittimità costituzionale della legge indicata, sollevata, per l’esaminato profilo, dal Tribunale amministrativo regionale di Catania è stata dichiarata inammissibile con ordinanza n. 82, del 2 marzo 2005, dalla Corte costituzionale
Come, in particolare, rilevato, dalla Corte indicata nella sentenza n. 303/03, la legge n. 443/2001 definisce il procedimento da seguire per l’individuazione, la localizzazione e la realizzazione delle infrastrutture pubbliche e private e degli insediamenti produttivi strategici di preminente interesse nazionale, da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese. Competente all’individuazione ed alla localizzazione delle infrastrutture ed insediamenti strategici è il Governo, tenuto ad operare secondo finalità di riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e d’intesa con le Regioni e le Province autonome interessate. L’iniziativa legislativa- come si legge nella relazione illustrativa al disegno di legge- ha ritenuto che la riconsiderazione dei principi della legge-quadro n. 109/1994 derivasse dalla necessità di porre rimedio ai limiti della stessa, derivanti, oltre che da una mancata visione politica d’insieme, dall’assenza di coraggio per pensare in grande un disegno per riaprire il territorio del Paese ai grandi e crescenti flussi del traffico europeo, ad un deficit giuridico caratterizzato da paralizzanti, vischiosi e paludosi ostacoli, intorno ai quali le più varie forme di particolarismo politico si sommano sistematicamente in un gioco a somma zero, con i difetti, senza i pregi, tanto del centralismo quanto del localismo non funzionale al raggiungimento di grandi obiettivi di modernizzazione strutturale. Dal che la necessità d’introdurre all’interno dell’ordinamento un meccanismo in base al quale per mirati obiettivi (da identificare, anno per anno, in un elenco da inserire nella legge finanziaria) la legge consenta di superare tutti gli ostacoli giuridici e di realizzare concretamente e velocemente i progetti-obiettivo, la cui legittimità politica e giuridica è nell’opera in sé, in quanto identificata come obiettivo strategico per cui tutte le altre leggi, causa sistematica di ostacolo, vengono conseguentemente disapplicate, restando fermi solo i principi comunitari, costituzionali, ed i principi del codice penale. La legge- obiettivo, quindi- per volontà espressa del legislatore- è ben più di un mezzo di velocizzazione delle procedure di esecuzione dell’opera pubblica; è uno strumento giuridico radicale capace di concretare, nell’ambiente istituzionale italiano, il modello giuridico dell’imperativo pragmatico.
Così ricostruita la ratio della legge in esame ed il procedimento relativo all’individuazione e localizzazione delle opere di preminente interesse nazionale, con riferimento all’esaminata eccezione d’incostituzionalità, si tratta di stabilire se la normativa abbia inciso sulle attribuzioni degli enti locali costituzionalmente garantite; si deve, in particolare, stabilire se il legislatore nazionale, alla stregua della costituzione vigente, abbia titolo per assumere e regolare l’esercizio della funzione amministrativa su materie in relazione alle quali non vanta una potestà legislativa esclusiva ma solo una potestà legislativa concorrente, appropriandosi, altresì, delle competenze amministrative ordinariamente attribuite agli enti locali, la tutela dei cui interessi è, peraltro, rimessa esclusivamente alle regione. Del problema- come rilevato dal Tribunale amministrativo regionale- si è già occupata la Corte costituzionale secondo cui il nuovo articolo 117 della Costituzione distribuisce le competenze legislative in base ad uno schema imperniato sulla enumerazione delle competenze statali; con un rovesciamento completo della previdente tecnica di riparto sono ora affidate alle regioni, oltre alle funzioni concorrenti, le funzioni legislative residuali. In questo quadro, tuttavia- secondo i rilievi della Corte- limitare l’attività unificante dello Stato alle sole materie espressamente attribuitegli in potestà esclusiva o alla determinazione dei principi nelle materie di potestà concorrente, significherebbe bensì circondare le competenze legislative delle regioni di garanzie ferree, ma vorrebbe anche dire svalutare oltre misura istanze unitarie che pure, in assetti costituzionali fortemente pervasi da pluralismo istituzionale, giustificano, a determina condizioni, una deroga alla normale ripartizione di competenze (basti pensare al riguardo alla legislazione concorrente dell’ordinamento costituzionale tedesco o alla clausola di supremazia nel sistema federale statunitense). Anche nel nostro sistema costituzionale sono, quindi, presenti congegni volti a rendere flessibile il complessivo disegno che, in ambiti nei quali coesistono, intrecciate, attribuzioni e funzioni diverse, rischierebbe di vanificare, per l’ampia articolazione delle competenze, istanze di unificazione presenti nei più svariati contesti di vita, le quali, sul piano dei principi giuridici, trovano sostegno nella proclamazione di unità e indivisibilità della Repubblica (Corte cost. 1 ottobre 2003, n. 303).
Va tenuto, poi, presente- come ha anche osservato la Corte costituzionale- che un elemento di flessibilità delle competenze costituzionali è indubbiamente riscontrabile nell’art. 118, comma 1 della Costituzione, il quale si riferisce esplicitamente alle funzioni amministrative, introducendo un meccanismo dinamico che finisce per renderne meno rigida l’attribuzione là dove prevede che le funzioni amministrative, generalmente attribuite ai comuni, possano essere allocate ad un livello di governo diverso per assicurarne l’esercizio unitario, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. E- come testualmente osserva la Corte costituzionale- è coerente con la matrice teorica e con il significato pratico della sussidiarietà che essa agisca come subsidium quando un livello di governo sia inadeguato alle finalità che si intenda raggiungere; e, se ne è comprovata un’attitudine ascensionale, deve allora concludersi che, quando l’istanza di esercizio unitario trascenda anche l’ambito regionale, la funzione amministrativa può essere esercitata dallo Stato.
Né può, poi, ritenersi che la legge obiettivo, per il fatto di consentire ai comuni, nel procedimento di localizzazione delle infrastrutture strategiche, la sola formulazione di un parere, peraltro nemmeno vincolante, possa implicare- come asserisce la Comunità montana ricorrente- un’incostituzionalità della normativa in relazione a non meglio specificate attribuzioni costituzionalmente garantite degli stessi. Evidentemente, se così non fosse stato, si sarebbe riproposto quel deficit giuridico caratterizzato dagli ostacoli, intorno ai quali le forme di particolarismo locale si sommano in un gioco a somma zero, con i difetti, senza i pregi, tanto del centralismo quanto del localismo non funzionale al raggiungimento di grandi obiettivi di modernizzazione del Paese, cui si è fatto riferimento in precedenza e che la legge obiettivo, ha voluto eliminare. Senza contare che, nella già richiamata prospettiva del principio di sussidiarietà, inteso ad armonizzare l’unitarietà della Repubblica con il decentramento regionale, la rappresentazione delle esigenze locali legittimamente è stata riservata alla regione intesa come ente rappresentativo e di sintesi di tutti gli interessi localmente definiti.
5. Con il terzo motivo di appello, la Comunità montana ricorrente si duole, ancora, di una asserita mancata adeguata valutazione delle censure proposte con il terzo motivo del ricorso di primo grado, riguardanti la dedotta violazione delle direttive comunitarie n. 85/337 e 97/11 in materia di valutazione dell’impatto ambientale. I giudici di prima istanza avrebbero fatto una lettura riduttiva delle deduzioni di essa appellante, limitandosi ad osservare che, se la tutela dell’ambiente è un’esclusiva funzione statale, non è dunque legittimo affermare che la realizzazione di opere di rilevante interesse europeo, come quella in esame, realizzi ex se un vulnus alla salute dei cittadini. Nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado si era, invece, affermato che la normativa comunitaria considera la tutela dell’ambiente come un obiettivo prioritario, fornendo criteri minimi applicativi, attraverso l’omogeneizzazione delle valutazioni d’impatto ambientale nei vari Stati membri, e prevedendo che gli Stati medesimi possono stabilire norme anche più severe a tutela dell’ambiente. Quindi, non è la realizzazione di una grande opera a rappresentare un vulnus alla salute dei cittadini, ma è il modo (e l’iter procedimentale) con cui essa viene concepita e realizzata che può determinare irrimediabili e negative conseguenze sull’ambiente. In altre parole- secondo l’appellante- mentre la normativa della Comunità europea si muove nell’ottica del pieno rispetto della salute e dell’ambiente come obiettivi prioritari della Comunità, e partendo da essi mira a consentire opere di rilevante impatto solo a condizione che non vadano ad intaccare quei diritti fondamentali, la normativa nazionale, pur ribadendo teoricamente, nella legge n. 443/2001, il rispetto delle direttive indicate, di fatto ne violerebbe la sostanza, con capovolgimento, con il decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, di prospettiva, per cui l’obiettivo principale è l’attuazione dell’infrastruttura d’interesse nazionale, mentre la tutela della salute e dell’ambiente diventano solo un orpello, o un problema burocratico, da cui sbarazzarsi nel più breve tempo possibile. Limitare, quindi- come fa la legge obiettivo- la VIA al solo progetto preliminare, escludere la convocazione della conferenza dei servizi lasciando al solo CIPE il compito di approvare il progetto, ed in ogni caso semplificare le procedure ai fini di rimuovere ogni ostacolo alla rapida realizzazione dell’opera, sarebbero tutti elementi che vanno in pieno contrasto con la filosofia ispiratrice della normativa europea, tutta caratterizzata, invece, dal principio della precauzione e dell’azione preventiva per evitare i rischi d’inquinamento all’ambiente e la salute.
Anche tale censura è, tuttavia, infondata e come tale va respinta.
La valutazione dell’impatto ambientale, quale prevista nelle indicate direttive comunitarie n. 337/85 CEE e n. 11/97/CE e dalla normativa interna di relativo recepimento, è specificamente finalizzata all’individuazione, descrizione e quantificazione degli effetti che un determinato progetto, opera o attività potrebbero avere sull’ambiente, inteso come insieme delle risorse naturali di un territorio, o sulle attività antropiche in esso presenti. La procedura tende ad accertare la sostenibilità ambientale degli interventi, verificando, per il singolo progetto, il suo inserimento ottimale nel territorio e realizzando la migliore mediazione possibile tra le esigenze funzionali dell’opera e l’impatto che la sua esecuzione effettivamente produce. Il tutto al fine di prevenire il danno ambientale, con il passaggio da un sistema di ripristino (a valle) del danno medesimo ad un sistema di previsione-prevenzione (a monte) dello stesso nella gestione del territorio e delle risorse naturali. Pertanto, come, del resto, ammette la stessa parte appellante, nella prospettiva delle direttive comunitarie, pur costituendo la tutela della salute e dell’ambiente obiettivo primario perseguita dalla Comunità, non vi è assoluta aprioristica preclusione ad ogni e qualsiasi intervento sul territorio, anche di rilevante impatto e che, in un modo o in un altro, comprometta l’ambiente e la salute. Sicché, la valutazione positiva d’impatto ambientale non può ritenersi a priori preclusa dall’eventuale valore ecologico e naturalistico dell’area in cui l’opera dovrebbe ricadere; e ciò in quanto la relativa procedura implica necessariamente che le opere da valutare abbiano comunque un’incidenza sugli elementi naturalistici del territorio, modificandolo in misura più o meno penetrante. Allo stesso modo, come ben rilevato dal Tribunale amministrativo regionale, non è legittimo affermare che l’esecuzione di opere di rilevante interesse europeo, come quella qui in esame, realizzi di per sé solo, per la sua tipologia e dimensione, un vulnus alla salute dei cittadini ed una compromissione dell’ambiente alpino; anzi, le grandi linee già in esercizio nel cuore dell‘Europa (sotto il Canale della Manica, in Francia, Germania, ecc.) e nei paesi più avanzati dimostrano che la realizzazione di ferrovie in galleria ha un impatto ambientale sulle popolazioni ben minore rispetto alle altre vie di grande comunicazione. Consegue da quanto precede l’assoluta compatibilità, per l’esaminato profilo, della legge obiettivo alle direttive comunitarie in materia di impatto ambientale, dal momento che, anche se in una prospettiva di massima accelerazione del procedimento decisionale ed attuativo dei preventivati interventi, essa fa espressamente salva la valutazione, ove necessaria, della compatibilità ambientale dell’opera, imponendo esplicitamente il rispetto delle direttive comunitarie in materia. Ed è indimostrata opinione soggettiva della Comunità appellante quella secondo cui, nella legge stessa, la tutela della salute e dell’ambiente sarebbero considerati, all’opposto, come semplici orpelli, o meri incombenti burocratici, di cui sbarazzarsi nel più breve tempo possibile. Anche per le infrastrutture strategiche, quindi, sarà nel procedimento di valutazione ambientale che si dovrà stabilire, caso per caso, se le previste alterazioni dell’ambiente possono ritenersi accettabili alla stregua di un giudizio comparativo che tenga conto, da un lato, della necessità di salvaguardare preminenti valori ambientali e, dall’altro, dell’interesse pubblico connesso all’esecuzione dell’opera (Cons. St. Sez. VI, 5 gennaio 2004, n. 1).
Né alcuna violazione alle indicate direttive comunitarie- ad avviso del collegio- può farsi derivare dal fatto che la legge obiettivo abbia previsto, per esigenze acceleratorie, l’anticipazione della valutazione dell’impatto ambientale al progetto preliminare, laddove, invece, ordinariamente, la stessa inerisce al livello definitivo di progettazione. E’ vero, infatti, che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1 e 4, n. 2, della direttiva CEE 27 giugno 1985, n. 337, i progetti pubblici e privati per i quali si preveda un impatto ambientale devono formare oggetto di valutazione prima del rilascio dall’autorizzazione all’esecuzione e con riferimento a quanto verrà effettivamente realizzato; di modo che, qualora la normativa di uno Stato membro preveda che la procedura si svolga in più fasi, consistenti l’una in una decisione principale e l’altra in una decisione di attuazione (che deve rispettare i parametri stabiliti dalla prima) gli effetti che il progetto può avere sull’ambiente devono essere individuati e valutati nel segmento relativo alla decisione principale, mentre qualora i detti effetti siano individuabili unicamente nel segmento relativo alla decisione di attuazione, la valutazione deve essere effettuata in tale ultima fase (Corte giust. Com. 7 gennaio 2004). Ciò, tuttavia, significa soltanto che, con riferimento all’esecuzione delle infrastrutture strategiche di cui alla legge n.443/2001, il progetto preliminare deve essere, per l’aspetto riguardante l’impatto sull’ambiente, adeguatamente approfondito e sviluppato e non suscettibile di successive modificazioni, in modo da implicare- per dirla con le parole della Corte comunitaria- la decisione principale sull’ottimale armonizzazione dell’opera pubblica con l’ambiente esterno. D’altra parte, occorre in proposito anche considerare che, a seguito della riforma di cui alla legge-quadro sui lavori pubblici n. 109/1994, i livelli di progettazione costituiscono mero approfondimento e sviluppo dell’idea progettuale che deva avere, a sua volta, una compiuta individuazione fin dalla definizione del livello preliminare. Il progetto preliminare, in particolare- a differenza di quello di massima e di quello esecutivo del precedente sistema, che costituivano, rispettivamente, quasi sempre, mera indicazione dei lavori da eseguire, ovvero individuazione degli stessi per il solo profilo architettonico- ai sensi della legge n. 109/1994 e relativo regolamento di attuazione, deve definire ed individuare tutti i profili e le caratteristiche più significative dell’intervento da cui non possono, poi, esorbitare i successivi sviluppi di approfondimento della progettazione. Ed anche se la legge quadro indicata ed il relativo regolamento di attuazione n. 554/1999 individuano compiutamente i contenuti degli elaborati grafici e descrittivi necessari per ritenere adeguatamente sviluppati i progetti con riferimento ai rispettivi livelli, il responsabile del procedimento può integrare e modificare i livelli progettuali qualora, in rapporto alla specifica tipologia ed alla dimensione dei lavori da progettare, ritenga le previste prescrizioni insufficienti oppure eccessive (comma 2 art. 16 legga indicata). A ciò si aggiunge il fatto che- proprio per evitare violazioni alle indicate direttive comunitarie- il decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, di attuazione della legge n. 443/2001, contiene una specifica e particolare disciplina del progetto preliminare e della sua relazione col definitivo, la quale impone che il primo livello di progettazione individui tutti gli elementi dell’opera che possono avere incidenza sull’ambiente, in modo da comportare la definitività della decisione di cui alla richiamata giurisprudenza della Corte comunitaria: il progetto preliminare, infatti, ai sensi del relativo art. 3, comma 3, deve essere corredato da uno studio di impatto ambientale e lo stesso, per l’esaminato profilo, non può essere modificato dal successivo definitivo livello di progettazione il quale, ai sensi dell’art. 4 dello stesso indicato decreto legislativo, deve essere integrato da una relazione del progettista attestante la rispondenza al progetto preliminare ed alle eventuali prescrizioni dettate in sede di approvazione dello stesso con particolare riferimento alla compatibilità ambientale ed alla localizzazione dell’opera. Dal che consegue che il complessivo sistema normativo interno,come in precedenza definito, consente- ad avviso del collegio- di realizzare l’esigenza già rappresentata dalla sezione per cui la verifica dei profili di impatto ambientale, lungi dal tradursi in un formale adempimento burocratico della procedura volta alla realizzazione dell’opera pubblica, deve poter incidere sul momento dell’approvazione definitiva della localizzazione dell’intervento; e che una valutazione ambientale spostata in avanti nel tempo rispetto all’anzidetto momento, viene da un lato deprivata a priori di tutta la sua positiva capacità di concorso alla determinazione di quelle scelte già compiute nelle decisive fasi progettuali, che l’abbiano preceduta, dall’altro rende suscettibile di snaturare le stesse fasi successive 6. Con il quarto motivo di appello, infine, la Comunità montana ricorrente censura la sentenza impugnata, laddove la stessa ha respinto il quarto motivo del ricorso di primo grado, che denunciava eccesso di potere per straripamento e per travisamento dei fatti, in relazione all’avvenuta autorizzazione del cunicolo esplorativo che, per diametro e lunghezza, costituiva un vero e proprio tunnel dell’opera principale. Secondo la ricorrente, i giudici di primo grado non avrebbero considerato che la procedura per l’autorizzazione e la realizzazione del progetto preliminare del traforo e quella per l’esecuzione del cunicolo esplorativo erano distinte e
separate: con riferimento alla realizzazione del traforo, il progetto dell’opera doveva essere sottoposto a valutazione d’impatto ambientale approvata dal CIPE; per eseguire il cunicolo esplorativo, era, invece, sufficiente l’autorizzazione del Ministro per le infrastrutture ed i trasporti. La ragione di tale diversificazione- per la Comunità ricorrente- era evidente: l’escavazione dei cunicoli esplorativi è opera di ridotto rilievo ed impatto, equiparata ad altre attività necessarie per la progettazione delle infrastrutture. Nel caso in esame, tuttavia, il cunicolo da realizzare aveva un diametro pari, se non superiore, a quello dell’opera principale (erroneamente sul punto la sentenza impugnata sostiene che il diametro del cunicolo sia di soli dieci metri); occorreva, pertanto, anche per la sua esecuzione far precedere una valutazione di impatto ambientale autorizzato dal CIPE e non dal Ministro.
Pur condivisbile per gli astratti principi enunciati, la tesi dell’appellante non può essere, tuttavia, condivisa in quanto implica un processo alle intenzioni e non è supportata da alcun elemento di prova, non bastando la semplice dimensione del diametro del cunicolo a far presumere che lo stesso costituisse una simulata anticipazione dell’esecuzione del traforo, di cui sarebbe destinato a costituire parte integrante e strutturale. Da considerare, altresì- ed il rilievo ha carattere comunque dirimente- che, nella seduta del 5 dicembre 2003, il CIPE ha approvato il progetto preliminare del nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione, sezione internazionale, tratta confine di Stato- Bruzolo il cui studio di impatto ambientale comprende, nella descrizione del progetto, anche il cunicolo esplorativo del Venaus. Ne consegue, per entrambe dette ragioni, la correttezza della conclusione del Tribunale amministrativo regionale secondo cui, trattandosi di cunicolo finalizzato alla progettazione dell’opera, era sufficiente, al momento dell’assenso, ai sensi dell’art. 3, comma 9, del decreto legislativo n. 190 del 2002, l’autorizzazione del Ministero cui era rimessa la valutazione dell’impatto ambientale da esso prodotto.
L’appello va conclusivamente respinto con la conferma della decisione impugnata e la compensazione delle spese processuali ricorrendovi giusti motivi per la complessità della lite.

P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale,sezione sesta, respinge l’appello e conferma la decisione impugnata. Spese compensate.
Ordina che la decisione venga eseguita in via amministrativa.
Così deciso in Roma il 15 marzo 2005 in camera di consiglio dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta, con l’intervento dei sigg:
Claudio VARRONE Presidente
Sabino LUCE Consigliere Est.
Luigi MARUOTTI Consigliere
Lanfranco BALUCANI Consigliere
Domenico CAFINI Consigliere
Presidente
Claudio VARRONE
Consigliere Segretario
Sabino LUCE Vittorio ZOFFOLI

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il 26 aprile 2005
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione
Maria Rita OLIVA

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)
Addì ..................... copia conforme alla presente è stata trasmessa al Ministero ...................
a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642

Il Direttore della Segreteria

N.R.G. 8968/2004

FF

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