COMUNICATO STAMPA n. 29 /2005

1° agosto 2005

Corte dei conti – Sezione delle Autonomie – Pres. F. Staderini, Rel.ri. R. Arrigoni e E. Flaccadoro – Delibera n. 7/2005, del 27 luglio 2005 – Referto sulla gestione finanziaria delle Regioni a statuto ordinario per gli anni 2003 e 2004.



Nell’anno che si è chiuso, i risultati delle politiche volte a ricondurre stabilmente sotto controllo la spesa delle amministrazioni pubbliche e, per questa via, a contenere l’indebitamento netto, sono stati insoddisfacenti. Un esito che, con caratteristiche ed accentuazioni diverse, interessa anche gli enti territoriali. In peggioramento il contributo ai saldi delle Regioni e delle Aziende sanitarie: secondo i recenti dati di contabilità nazionale (ISTAT), le Regioni passano nell’anno dall’accreditamento netto di 3.252 milioni del 2003 ad un indebitamento di oltre 650 milioni di euro. Le spese complessive crescono del 5,4% rispetto al 2003. E’ la spesa corrente in accelerazione con un incremento del 10,5%: sono i trasferimenti ad enti pubblici ( 12,2%) e i redditi da lavoro dipendente ( 11%) a conoscere l’aumento più significativo, mentre rallenta la dinamica dei consumi intermedi ( 0,4% contro il 2,9% del 2003 e l’8,6% del 2002). Più che raddoppia l’indebitamento delle aziende sanitarie raggiungendo i 5.700 milioni. Le uscite complessive delle aziende sono aumentate di circa il 9 per cento contro il 3 per cento del 2003. Un incremento imputabile, sempre secondo i criteri di contabilità nazionale, alle spese per redditi da lavoro dipendente ( 10%), per consumi intermedi ( 10,4%) e agli acquisti di beni e servizi da produttori market cresciuti nell’anno del 7,4 per cento, soprattutto per la accelerazione della spesa per farmaci.
Il referto legge tali andamenti alla luce dei risultati che emergono dai rendiconti regionali, dedicando una particolare attenzione ai meccanismi preposti al controllo della spesa (patto di stabilità interno e patto di stabilità sanitario), al ricorso ai mercati finanziari e alle difficoltà che continuano a condizionare la gestione finanziaria regionale.

Un andamento delle uscite superiore alle attese spinge a guardare con attenzione all’efficacia dei meccanismi di controllo della spesa. Tra questi, in primo luogo, al Patto di stabilità interno. Nelle Regioni a statuto ordinario i primi dati relativi al monitoraggio per il 2004 mostrano un pieno rispetto degli obiettivi. Tutte le Regioni rientrerebbero nei limiti, sia in termini di impegni che di pagamenti. Il totale della spesa soggetta al patto risulta nel 2004 inferiore, in termini assoluti, allo stesso livello registrato nel 2000. Un risultato che, solo in apparenza, contraddice gli andamenti non favorevoli in precedenza descritti. Sono infatti le categorie di spese non soggette al patto ad aver evidenziato l’incremento maggiore. Nel complesso la spesa corrente tra il 2000 e il 2004 è cresciuta di oltre il 24 per cento in impegni ( 21 per cento in termini di pagamenti). Nell’ultimo anno tali valori sono risultati in crescita anche se contenuta (rispettivamente 3% e 3,2%). L’andamento è da ricondurre in primo luogo ai trasferimenti alle aziende sanitarie cresciuti nello stesso intervallo del 26,8 per cento (del 28,6% i pagamenti) e, rispettivamente del 2,7 per cento e del 4,2 per cento nell’ultimo anno. La spesa corrente non sanitaria è cresciuta nel periodo del 16 per cento come impegni, mentre si è ridotta del 3,6 per cento in termini di pagamenti. I risultati del Patto indicano, quindi, che le Regioni sono riuscite a contenere questa limitata quota di spesa mostrando margini per un recupero di efficienza, ma anche sfruttando gli spazi di gestione della spesa, con ciò rendendo accettabile il vincolo.
A prescindere dagli esiti del Patto, come mette in rilievo l’analisi dedicata alla spesa regionale, non mancano segnali di difficoltà. E’ cresciuta la quota della spesa corrente non sanitaria “prenotata” dalla necessità di garantire copertura a spese caratterizzate, più di altre, da una elevata rigidità: alle spese per il personale dipendente e al servizio del debito va il 17 per cento del totale delle risorse non destinate a sanità, il 24 per cento nel caso delle Regioni del Sud. Aumentata del 9 per cento la spesa per il personale, si confermano forti eterogeneità nella numerosità del personale in rapporto alla popolazione: in tutte le Regioni meridionali si registrano valori superiori alla media, di oltre il 70 per cento: il numero di occupati per mille abitanti in quest’area è in media pari a 1,67 unità contro le 0,64 nel Nord e le 0,90 nel Centro.

Non positivo è il bilancio della gestione del “patto sanitario” dell’agosto 2001 visto nel complesso. Nell’ultimo triennio le aziende sanitarie hanno evidenziato squilibri per circa 9.500 milioni di euro, nonostante l’aumento di risorse previsto dall’accordo di agosto 2001. I costi sono cresciuti in media del 4,8 per cento, raggiungendo nel 2004 gli 88.934 milioni. Non si è ripetuto il buon risultato del 2003 in termini di spesa farmaceutica: ridotta nel 2003 del 5,4 per cento, essa torna a crescere a ritmi sostenuti ( 8%). La definizione degli oneri per i rinnovi contrattuali ha inciso per circa 2,6 miliardi di euro (1,8 miliardi gli arretrati). Il disavanzo nel 2004 supera i 3.550 milioni.
Un risultato di sintesi che segnala ancora forti differenze nell’efficacia delle politiche di razionalizzazione della spesa. A tre regioni (Campania, Lazio e Sicilia) sono riconducibili nel 2004 quasi 2.100 milioni di perdita (oltre il 58% dell’importo complessivo); positivi i risultati esposti dalle aziende di Puglia e Lombardia; accusano un deficit solo nell’ultimo anno quelle dell’Emilia e Toscana, soprattutto per i rinnovi contrattuali.
Sempre in campo sanitario, il monitoraggio sulla realizzazione della seconda fase del programma di investimenti evidenzia segnali positivi. E’ migliorata la capacità di programmazione della spesa da parte delle Regioni. A fine 2004 dei 12.720 milioni di euro previsti ne sono stati stanziati 10.656. Ancora parziali e con forti differenze a livello territoriale, tuttavia, i risultati in termini di realizzazioni, pari in media al 59 per cento degli interventi perfezionati. Difficoltà nell’esecuzione anche per alcuni programmi specifici (investimenti in radioterapia, per la libera professione intramoenia, per gli hospice). Ritardi di attuazione che risultano ancor meno comprensibili quando da questi investimenti potrebbero dipendere consistenti miglioramenti dei servizi e riduzioni dei tempi di attesa.

Nel 2004 è continuata la crescita del debito delle Regioni a statuto ordinario: a fine esercizio i debiti risultavano superiori di oltre il 67 per cento al livello del 2000 con un progressivo spostamento da mutui a prestiti obbligazionari (dall’11,1 per cento al 37 per cento del debito complessivo). Viene confermata la preferenza delle Regioni per il debito a tasso variabile (il 64,5%), mentre cresce in misura consistente l’ammontare di capitale oggetto di operazioni derivate: oltre 7.400 milioni di euro lo stock interessato, il 43,3 per cento del debito regionale.
La limitazione delle spese finanziabili con debito non sembra per ora aver rallentato l’utilizzo della leva esterna, sempre più necessaria per le crescenti difficoltà finanziarie. Essa, tuttavia, sembra destinata in prospettiva ad incidere sulla operatività di interventi a sostegno delle imprese, riducendo le possibilità di azione in un settore (il sostegno dei comparti produttivi) determinante per lo sviluppo territoriale.

Sulla gestione delle amministrazioni regionali hanno continuato ad influire le incertezze riconducibili alla mancata definizione del sistema di finanziamento in attuazione del nuovo testo costituzionale. Nel 2004 si sono radicalizzate le obiezioni, da parte di alcune Regioni, sul sistema introdotto con il d.lgs. n. 56 del 2000 con la presentazione di istanze di illegittimità e di incostituzionalità presso il TAR del Lazio e la Corte Costituzionale. E’ stata così disposta la sospensione dell’operatività del decreto in attesa di una sua complessiva valutazione in rapporto al nuovo disposto dell’articolo 119 della Costituzione.
Il blocco nella politica tributaria regionale ha inciso negativamente sul processo di responsabilizzazione delle amministrazioni territoriali. Si è interrotto il processo che fino al 2002, pur entro margini ancora limitati, aveva portato tutte le Regioni a ricorrere alla leva fiscale, non solo per accrescere il gettito, ma anche per finanziare trattamenti agevolati per settori o categorie economiche particolari. Di tali caratterizzazioni si dà conto nel referto sia in termini di gettito che di struttura normativa.
Un ulteriore rinvio ha subito la trasformazione in entrate proprie dei trasferimenti attribuiti alle Regioni per il “federalismo amministrativo”. Si tratta di importi di rilievo: circa 4.500 milioni di euro nel 2004 (oltre 18.300 milioni tra il 2000 e il 2004). Lo slittamento nei tempi di trasformazione non è stato privo di conseguenze: la costanza degli importi nell’ultimo biennio ha sottoposto le somme riconosciute per le politiche trasferite ad una inevitabile erosione del loro valore in termini reali; il ricorso a trasferimenti non ha poi consentito l’adeguamento conseguente “all’indicizzazione”, ad esempio, al gettito dell’IVA.
A rendere ancora più incerto il quadro complessivo è la recente, improvvisa, accelerazione nei tempi previsti per la graduale abolizione dell’IRAP (legge n. 80 del 2003) anche in ragione della possibile pronuncia di incompatibilità di questo tributo con le norme comunitarie. Una prospettiva che richiede l’individuazione di risorse sostitutive del gettito finora assicurato, ma anche il ripristino di una autonomia tributaria regionale che, con una eventuale abolizione o ridimensionamento dell'IRAP, verrebbe sostanzialmente ridotta.

L’anno che si è chiuso ha visto venire al pettine i nodi di un sistema per troppo tempo sottoposto alle incertezze di un complesso e contrastato cantiere istituzionale.
A distanza di oltre otto anni dai primi trasferimenti di funzioni e in attesa dell’operare delle nuove modifiche costituzionali all’esame del Parlamento, i nodi attuativi sono tutti ancora aperti o destinati a riaprirsi (sistema perequativo, regole di bilancio, modalità di gestione del patto di stabilità interno, sistema fiscale decentrato, finanziamento delle funzioni trasferite).
Il prolungarsi di questa fase di indeterminatezza rischia oggi, tuttavia, in un quadro di disponibilità finanziarie sempre più ridotte, di risultare non più sostenibile. La mancanza di elementi e di strumenti di responsabilità fiscale, e di un quadro di riferimento per la gestione del coordinamento a livello territoriale, riduce le possibilità di predisporre una adeguata programmazione degli interventi delle amministrazioni locali, incidendo per questa via anche sulla possibilità di intervenire sulla competitività del sistema economico complessivo.



Il Responsabile dell’Ufficio Stampa
(Avv. Cinthia Pinotti)

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