Avvertenza: lo studio che segue costituisce la riproduzione - parziale e senza note - della parte relativa al contenzioso costituzionale del Secondo rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia, pubblicato dall'ISSiRFA nel 2004. Esso riguarda esclusivamente le questioni di legittimità costituzionale ed i conflitti di attribuzione intersoggettivi, sollevati nel corso dell'anno 2003 con riferimento alle disposizioni costituzionali modificate dalla riforma del Titolo V della Costituzione e pendenti alla data della sua pubblicazione.

SOMMARIO:
- 1. Profili "quantitativi" del contenzioso.
- 2. Profili "qualitativi" del contenzioso sulle leggi.
- 2.1. I ricorsi dello Stato: ordinati per parametro.
- 2.1.1. Il rispetto dei vincoli comunitari.
- 2.1.2. Le competenze esclusive dello Stato.
- 2.1.2.1. Difesa e sicurezza dello Stato.
- 2.1.2.2. Tutela della concorrenza.
- 2.1.2.3. Sistema tributario dello Stato.
- 2.1.2.4. Ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali.
- 2.1.2.5. Ordine pubblico e sicurezza.
- 2.1.2.6. Ordinamento civile.
- 2.1.2.7. Livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
- 2.1.2.8. Norme generali sull'istruzione.
- 2.1.2.9. Organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane.
- 2.1.2.10. Tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.
- 2.1.3. Le competenze esclusive dello Stato ed i principi fondamentali delle materie concorrenti.
- 2.1.3.1. Protezione civile.
- 2.1.3.2. Tutela della salute.
- 2.1.3.3. Tutela del lavoro.
- 2.1.4. I principi fondamentali delle materie concorrenti.
- 2.1.4.1. Istruzione
- 2.1.4.2. Tutela della salute.
- 2.1.4.3. Ordinamento della comunicazione.
- 2.1.4.4. Coordinamento della finanza pubblica.
- 2.1.5. La potestà regolamentare dello Stato.
- 2.1.6. I limiti al c.d. "potere estero delle Regioni".
- 2.1.7. Il potere sostitutivo del Governo e la costituzionalizzazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni.
- 2.2. I ricorsi delle Regioni e delle Province autonome: ordinati per oggetto.
- 2.2.1. Il decreto legge 25 settembre 2002, n. 210 ("Disposizioni urgenti in materia di emersione del lavoro sommerso e di rapporti di lavoro a tempo parziale"), convertito nella legge n. 266/2002.
- 2.2.2. La legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003).
- 2.2.2.1. Art. 2.
- 2.2.2.2. Artt. 3, primo comma, lett. a), 5, 6, 7, 8, 9, 13, terzo comma, 15 e 16.
- 2.2.2.3. Art. 24, commi 1, 2, 3, 3-bis, 4, 4-bis, 5 e 9.
- 2.2.2.4. Art. 25
- 2.2.2.5. Art. 30, primo comma.
- 2.2.2.6. Art. 34, commi 1, 2, 3, 4, 11 e 13.
- 2.2.2.7. Art. 46, secondo comma.
- 2.2.2.8. Art. 90, commi 18, 20, 21 e 22.
- 2.2.2.9. Art. 91.
- 2.2.3. Il decreto legislativo 27 dicembre 2002, n. 302 ("Modifiche ed integrazioni al D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, recante testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità").
- 2.2.4. La legge 16 gennaio 2003, n. 3 ("Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione").
- 2.2.4.1. Art. 4.
- 2.2.4.2. Art. 7, primo comma.
- 2.2.4.3. Art. 9.
- 2.2.4.4. Art. 42.
- 2.2.4.5. Art. 43.
- 2.2.4.6. Art. 46.
- 2.2.5. La legge 14 febbraio 2003, n. 30 ("Delega legislativa al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro").
- 2.2.6. Il decreto legge 18 febbraio 2003, n. 24 ("Disposizioni urgenti in materia di contributi in favore delle attività dello spettacolo"), convertito con modificazioni nella legge n. 82/2003.
- 2.2.7. La legge 7 marzo 2003, n. 38 ("Disposizioni in materia di agricoltura").
- 2.2.8. Il decreto legge 28 marzo 2003, n. 49 ("Riforma della normativa interna di applicazione del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari"), convertito con modifiche nella legge n. 119/2003.
- 2.2.9. La legge 7 aprile 2003, n. 80 ("Delega al Governo per la riforma del sistema fiscale statale").
- 2.2.10. La legge 5 giugno 2003, n. 131 ("Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3").
- 2.2.10.1. Art. 1, quarto, quinto e sesto comma. - 2.2.10.2. Art. 5, primo e secondo comma.
- 2.2.10.3. Art. 6.
- 2.2.10.4. Art. 7, primo comma.
- 2.2.10.5. Art. 8, commi 1-4.
- 2.2.10.6. Art. 10, quinto comma.
- 2.2.11. Il decreto legge 27 giugno 2003, n. 151 ("Modificazioni ed integrazioni del codice della strada"), convertito con modificazioni nella legge n. 214/2003.
- 2.2.12. Il decreto legislativo 10 agosto 2003, n. 259 ("Codice delle comunicazioni elettroniche").
- 2.2.13. Il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 ("Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30")..
- 2.2.13.1. Art. 3, secondo comma.
- 2.2.13.2. Art. 4, primo, secondo e quinto comma.
- 2.2.13.3. Art. 6, sesto, settimo e ottavo comma.
- 2.2.13.4. Art. 48.
- 2.2.13.5. Artt. 49 e 50.
- 2.2.13.6. Art. 60.
- 2.2.14. Il decreto legge 30 settembre 2003, n. 269 ("Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici"), convertito con modificazioni nella legge n. 326/2003.
- 2.2.15. Il decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288 ("Riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, a norma dell'articolo 42, comma 1, della legge 16 gennaio 2003, n. 3").
- 3. Profili "qualitativi" del contenzioso per i conflitti di attribuzione.
- 3.1. I ricorsi dello Stato.
- 3.2. I ricorsi delle Regioni e delle Province autonome: ordinati per parametro.
- 3.2.1. L'art. 117 Cost.
- 3.2.2. Gli artt. 117 e 118 Cost.
- 3.2.3. Gli artt. 117, 118 e 119 Cost.
- 4. Profili "qualitativi" delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in via incidentale (ordinate per oggetto e per argomento).
- 4.1. Le ordinanze aventi ad oggetto leggi o atti aventi forza di legge dello Stato.
- 4.1.1. Opere pubbliche.
- 4.1.2. Giustizia amministrativa.
- 4.2. Le ordinanze aventi ad oggetto leggi regionali.
- 4.2.1. Sanità pubblica.
- 4.2.2. Radiotelevisione e servizi radioelettrici.
- 4.2.3. Consorzi di bonifica.
- 4.2.4. Professioni alpine.
- 4.2.5. Commercio.
- 4.2.6. Enti locali

- TABELLE


1. Profili "quantitativi" del contenzioso

Il presente rapporto è dedicato all'analisi dell'andamento e dei contenuti del contenzioso costituzionale tra Stato e Regioni dell'anno 2003, prodotto dalle innovazioni normative dovute alla riforma del Titolo V della II Parte della Costituzione (ll. cost. nn. 1/1999 e 3/2001). Pertanto, esso esamina gli atti introduttivi dei giudizi pendenti innanzi alla Corte costituzionale (ricorsi per questione di legittimità costituzionale e per conflitto di attribuzione) promossi dallo Stato, dalle Regioni e dalle Province autonome, che hanno assunto la violazione delle nuove norme costituzionali. Il quadro del contenzioso pendente è poi completato da una succinta esposizione anche delle ordinanze di rimessione fondate sui nuovi disposti del Titolo V.
Cominciando dal profilo "quantitativo" del contenzioso, va rilevato che il numero totale dei ricorsi in via principale depositati nell'anno 2003 è stato di 98, di cui 90 (quasi il 92%) fondati (tra le altre) sulle nuove disposizioni costituzionali. 36 di questi ricorsi (il 40%) sono stati proposti dallo Stato, mentre i rimanenti 54 (il 60%) dalle Regioni o dalle Province autonome.
Il numero totale dei ricorsi per conflitto di attribuzione depositati nel medesimo anno, invece, è stato di 37, di cui 22 riguardanti conflitti interorganici e 15 conflitti intersoggettivi, 12 dei quali (l'80%) sono fondati (anche) sui nuovi parametri costituzionali. La larghissima maggioranza di questi ultimi (11, pari a più del 91% ), sono stati proposti dalle Regioni o dalle Province autonome, mentre soltanto uno dallo Stato (poco più del 8%).
Quanto alle ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale, nel 2003 ne sono state depositate in totale 1196, di cui 40 (poco più del 3%) hanno invocato, tra i parametri costituzionali, le nuove disposizioni introdotte dalle ll.cost. nn. 1/1999 e 3/2001.
I dati del 2003 possono essere confrontati con quelli dell'anno precedente. Nel corso del 2002, infatti, sono stati depositati 96 ricorsi per questione di legittimità costituzionale (due in meno rispetto all'anno successivo, pari a poco più del 2%), 91 dei quali (quasi il 95%) fondati (tra le altre) sulle disposizioni del Titolo V post riforma. 55 di tali ricorsi (poco più del 60%) sono stati proposti dallo Stato, 36 (poco meno del 40%) dalle Regioni e dalle Province autonome.
Nello stesso anno di riferimento sono stati depositati nel complesso 44 ricorsi per conflitto di attribuzione (quasi il 16% in più rispetto all'anno successivo), di cui 16 per conflitti interorganici e 28 per conflitti intersoggettivi, 19 dei quali (quasi il 68%) fondati sulle disposizioni del "nuovo" Titolo V. 17 di tali ricorsi (più dell'89%) sono stati proposti dalle Regioni e dalle Province autonome, mentre soltanto due (quasi l'11%) dallo Stato.
Infine, per quanto riguarda le ordinanze di rimessione, nel 2002 ne sono state depositate 584 (più del 51% in meno rispetto all'anno successivo), 16 delle quali (meno del 3%) hanno invocato, tra i parametri costituzionali, (almeno) una delle novellate norme del Titolo V.
In sintesi, il secondo anno di vigenza della riforma del Titolo V, anzitutto, non ha comportato un sensibile aumento dei ricorsi in via principale nel loro complesso, né di quelli fondati sui nuovi disposti costituzionali, ma ha determinato il rovesciamento del rapporto Stato-Regioni (e Province autonome) nell'uso di tale strumento di sindacato di costituzionalità: all'incirca, da 3/2 nel 2002 a 2/3 nel 2003. In secondo luogo, a fronte di una diminuzione del totale dei ricorsi per conflitto di attribuzione e, in particolare, di quelli per conflitti intersoggettivi, nel 2003 vi è stato un aumento percentuale di quelli tra questi ultimi fondati sul nuovo Titolo V, i quali hanno però continuato a ripartirsi tra Stato e Regioni sostanzialmente in un rapporto analogo (all'incirca, 1/9 nel 2002, 1/11 nel 2003). Infine, pur essendo nel 2003 aumentato in assoluto il numero delle ordinanze di rimessione fondate sulle nuove disposizioni costituzionali, percentualmente esse sono rimaste (quasi) stabili.


2. Profili "qualitativi" del contenzioso sulle leggi

2.1. I ricorsi dello Stato: ordinati per parametro

Posto che nel momento in cui si scrive (2 giugno 2004) 19 dei 90 ricorsi in via principale fondati sulle nuove disposizioni costituzionali sono già stati definiti dalla Corte costituzionale, la nostra attenzione cade sulle 71 questioni ancora pendenti, di cui 19 sono state sollevate dallo Stato e 52 dalle Regioni o Province autonome.
Le prime possono essere ordinate in sette gruppi, tenendo conto del diverso parametro costituzionale (prevalentemente) invocato dallo Stato per denunciare l'illegittimità costituzionale di una legge regionale o provinciale.

2.1.1. Il rispetto dei vincoli comunitari

Un primo gruppo di ricorsi è fondato sul primo comma dell'art. 117 Cost., laddove è previsto che la potestà legislativa regionale (così come quella statale) deve essere esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario. In particolare, con il ricorso n. 49 il Governo ha impugnato l'art. 7, primo comma, della legge regionale del Lazio n. 5/2003 (recante "Norme in materia di società esercenti servizi di trasporto locale a partecipazione pubblica"), deducendo la lesione (oltre che della potestà legislativa esclusiva dello Stato in tema di concorrenza di cui all'art. 117, secondo comma, lett. e), Cost., anche) del primo comma dell'art. 117, in quanto la normativa regionale, dedicata alla disciplina della cessione con procedura concorsuale ad evidenza pubblica delle proprie azioni o quote di capitale di società che svolgono il servizio di trasporto pubblico locale, prevedendo nel caso di cessione di almeno il 15% delle azioni o quote di capitale la proroga quinquennale degli affidamenti in atto - che dunque durerebbero ben oltre il termine (31 dicembre 2003) dopo il quale i servizi di trasporto locale devono essere liberalizzati e affidati con gara - sarebbe in contrasto con la normativa comunitaria vigente (direttive 92/50/CEE e 93/38/CEE, nonché artt. 49 e segg. del Trattato UE).
Analogamente il ricorso n. 66 ha censurato l'art. 2, secondo comma, della legge della Regione Liguria n. 17/2003, contenente "Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 9 settembre 1998, n. 31 (Norme in materia di trasporto pubblico)", che introduce (all'art. 8, comma 2-bis, di quest'ultima legge), una disposizione per la quale, nel caso in cui la cessione di almeno il 40% di azioni o quote di capitale di società che svolgono il servizio di trasporto pubblico locale sia avvenuta osservando le vigenti norme relative a procedure di evidenza pubblica, gli affidamenti dei servizi di trasposto in atto possano essere prorogati per cinque anni a decorrere dalla data del 1 gennaio del 2004, termine oltre il quale, in base alla normativa comunitaria vigente (le direttive CEE cit., nonché gli art. 49 e segg. cit.), i servizi di trasporto pubblico locale devono essere affidati con gara. Anche in tale caso, quindi, il Governo ha dedotto la violazione (oltre che del disposto dell'art. 117, secondo comma, lett. e), Cost., anche) del primo comma della medesima norma costituzionale.
Risulta fondato sul primo comma dell'art. 117 anche il ricorso n. 67, con cui il Governo ha impugnato l'art. 1 (ed i correlati artt. 2 e 3) della legge della Regione Sardegna n. 8/2003 (intitolata "Dichiarazione della Sardegna territorio denuclearizzato") che, precludendo in via generale il transito e la presenza nel territorio regionale di materiale nucleare, violerebbe non solo il d.lgs. n. 230/1995 ("Attuazione delle direttive 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 92/3/Euratom e 96/29/Euratom in materia di radiazioni ionizzanti"), in quanto fonte della disciplina integrale della materia, ma anche l'art. 23 del Trattato CE, poiché, costituendo i rifiuti nucleari merce ai sensi di tale disposizione, anche per essi vigerebbe il principio della libera circolazione, che comporta il divieto di qualsiasi restrizione quantitativa (art. 28 del medesimo Trattato).
L'ultimo degli atti introduttivi che può rientrare in tale gruppo è il ricorso n. 72, che ha ad oggetto la legge della Regione Umbria n. 17/2003, con la quale viene modificata la l.r. n. 14/1994 (contenente "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio") con la previsione, derogatoria del disposto della legge dello Stato n. 157/1992 (che all'art. 18 determina degli archi temporali massimi per la cacciabilità delle diverse specie), della possibilità di anticipare la caccia di talune specie fino al 1 settembre di ciascun anno. Tale disposizione violerebbe l'art. 117, primo comma, poiché la normativa nazionale derogata è destinata a definire con precisione quello standard minimo di tutela della sopravvivenza e riproduzione delle specie che la normativa comunitaria (direttiva 79/409/CEE), pur non fissando calendari venatori, mira a garantire.

2.1.2. Le competenze esclusive dello Stato

2.1.2.1. Difesa e sicurezza dello Stato

Un secondo gruppo di ricorsi, invece, verte essenzialmente sulla difesa da parte della Stato delle competenze legislative esclusive attribuitegli dall'art. 117, secondo comma, Cost. In particolare, il ricorso n. 97 ha censurato, anzitutto, l'art. 12 della legge della Regione Emilia-Romagna n. 20/2003 (recante "Nuove norme per la valorizzazione del servizio civile. Istituzione del servizio civile regionale. Abrogazione della legge regionale 28 dicembre 1999, n. 38"), poiché, attribuendo alla Regione la competenza a trasmettere agli uffici di leva dei Comuni l'elenco dei cittadini italiani che hanno prestato servizio civile volontario al fine di eventuali richiami in servizio in caso di guerra o di mobilitazione generale, inciderebbe nella materia della "difesa", riservata alla competenza esclusiva statale dalla lett. d) dell'art. 117, secondo comma. Lo stesso ricorso, inoltre, ha impugnato la legge regionale anche nella parte in cui (all'art. 22, quinto comma) prevede che la scelta dell'obiezione di coscienza continui ad essere tutelata (dall'art. 12 cit.) pure nel periodo di sospensione costituzionale della leva, consentendo dunque che, anche quando non sarà più obbligatorio il servizio di leva, nel caso di eventuali richiami in servizio per guerre o mobilitazioni generali, coloro che hanno svolto il servizio civile, qualificandosi obiettori di coscienza, siano assegnati alla protezione civile o alla croce rossa. A parere del Governo, tale disposizione regionale, dettando norme riguardanti gli obiettori di coscienza, lederebbe la competenza esclusiva statale in materia di "difesa e […] sicurezza dello Stato".

2.1.2.2. Tutela della concorrenza

I due (già citati) ricorsi nn. 49 e 66, come accennato, hanno impugnato le disposizioni in materia di trasporti pubblici locali delle Regioni, rispettivamente, Lazio e Liguria anche perché ritenute lesive della potestà legislativa esclusiva statale in materia di "tutela della concorrenza" di cui alla lett. e) dell'art. 117, secondo comma.

2.1.2.3. Sistema tributario dello Stato

Sempre sulla lett. e), ma per la parte in cui attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva in tema di "sistema tributario […] dello Stato", sono fondati due ricorsi del Governo assai simili, poiché riguardanti leggi regionali aventi il medesimo oggetto, ovvero la disciplina delle tasse automobilistiche regionali. Il riferimento è ai ricorsi nn. 88 e 91, con cui sono state censurate alcune disposizioni delle leggi regionali, rispettivamente, del Piemonte (l.r. n. 23/2003) e della Toscana (l.r. n. 49/2003). Sulla base della (comune) premessa, mutuata dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, per cui allo stato della vigente legislazione la disciplina delle tasse automobilistiche rientra nell'ambito della competenza esclusiva dello Stato in materia di tributi erariali, la Presidenza del Consiglio ha denunciato l'illegittimità costituzionale delle norme regionali riguardanti l'individuazione delle categorie di contribuenti esenti dal tributo (rispettivamente, art. 5, secondo comma, lett. g) ed f); artt. 3, primo comma, lett. d), e 6), nonché, per quanto riguarda la disciplina piemontese, la fissazione del regime tariffario in relazione alla massa rimorchiabile (art. 6).

2.1.2.4. Ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali

Due ricorsi della Presidenza del Consiglio contro la Provincia autonoma di Bolzano, i nn. 11 e 17, si fondano, invece, sulla lett. g) dell'art. 117, secondo comma, nella parte in cui conferisce allo Stato la competenza esclusiva in materia di "ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato". In particolare, il primo ha ad oggetto l'art. 34 della legge provinciale n. 14/2002 (intitolata "Norme per la formazione di base, specialistica e continua, nonché altre norme in ambito sanitario"), che, modificando le disposizioni riguardanti i compiti dell'osservatorio epidemiologico provinciale (art. 4 della l.p. n. 7/2001), ha introdotto l'obbligo per enti, strutture, uffici e soggetti convenzionati con il servizio sanitario di rendere disponibili (secondo modalità e tecnologie definite in appositi regolamenti provinciali) "i dati anche personali, comuni e sensibili, sanitari, ambientali e gestionali di cui sono in possesso", senza ulteriori prescrizioni riguardanti le modalità delle relative richieste di dati, le competenze amministrative in proposito, la necessità o meno del consenso delle persone cui i dati appartengono, nonché la conservazione e la protezione dei dati contenuti. Tale disposizione, dunque, lederebbe non solo le competenze esclusive della Stato previste dalle lett. l) ("ordinamento civile") ed m) ("determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali") dell'art. 117, secondo comma, ma anche quella di cui alla lett. g), da cui discende la garanzia costituzionale delle competenze amministrative attribuite dalla l. n. 675/1996 (in tema di tutela della privacy) al Garante per la protezione dei dati personali.
Con il ricorso n. 17 il Governo ha impugnato le disposizioni del "Testo unico dell'ordinamento dei servizi antincendio e per la protezione civile" (l.p. n. 15/2002, artt. 5, terzo e quarto comma, 8, secondo comma, e 9, terzo comma) con cui la Provincia autonoma di Bolzano ha istituito un Centro operativo provinciale con compiti di pronto intervento in caso di calamità naturale, attribuendo al suo Presidente (carica ricoperta dal Presidente della Provincia o dall'assessore competente in materia di protezione civile) il potere di direzione e di coordinamento di tutti gli organi e servizi, compresi quelli statali, coinvolti nell'attività. Anche tale disciplina, facendo venir meno i poteri di direzione e di coordinamento dello Stato (i cui organi sono presi in considerazione solo in quanto soggetti ai poteri di un organo provinciale) sarebbe contraria alla competenza esclusiva statale in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato.
Sempre sulla lett. g) dell'art. 117, secondo comma, ma nella parte in cui attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in materia di "ordinamento e organizzazione amministrativa […] degli enti pubblici nazionali", si basa il ricorso n. 71, con cui il Governo ha censurato gli artt. 1 e 2 del "Testo unico della normativa della Regione Toscana in materia di educazione, istruzione, orientamento, formazione professionale e lavoro" (l.r. n. 32/2002). Infatti, le disposizioni che pongono tra i destinatari della disciplina del reclutamento del personale e della richiesta di avviamento a selezione anche "le sedi centrali e gli uffici periferici di amministrazioni ed enti pubblici a carattere nazionale o pluriregionale presenti nel territorio regionale" (art. 2 cit., primo e secondo comma) sono apparse al Governo lesive del menzionato parametro costituzionale.

2.1.2.5. Ordine pubblico e sicurezza

La competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di "ordine pubblico e sicurezza", sancita dalla lett. h) dell'art. 117, secondo comma, è invocata dal (già citato) ricorso n. 17, che, oltre a censurare la disciplina di istituzione del menzionato Centro operativo provinciale anche sotto tale profilo, in quanto sostitutiva della potestà legislativa dello Stato in materia, ha dedotto l'illegittimità costituzionale del Testo unico altoatesino pure nella parte in cui attribuisce al Presidente della Provincia il potere di provvedere, anche a mezzo di ordinanze in deroga alle disposizioni vigenti, per l'attuazione degli interventi conseguenti alla dichiarazione dello stato di calamità (art. 8, sesto comma) e di requisire beni mobili ed immobili senza distinzioni, non esclusi i beni dello Stato, in caso di calamità naturale (art. 18). A parere del Governo, infatti, in entrambi i casi verrebbe lesa la competenza generale ed esclusiva dell'autorità centrale in tema di ordine pubblico.

2.1.2.6. Ordinamento civile

La competenza esclusiva dello Stato in tema di "ordinamento civile" (art. 117, secondo comma, lett. l)) fonda le censure di illegittimità costituzionale anche del (già citato) ricorso n. 11, nel quale il menzionato obbligo degli enti e soggetti convenzionati con il Servizio sanitario nazionale di rendere disponibili i dati in loro possesso, è ritenuto lesivo anche di tale attribuzione statale, poiché finirebbe per incidere sulla disciplina dei diritti della personalità.

2.1.2.7. Livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali

Il ricorso n. 11, peraltro, ha invocato anche la lett. m) dell'art. 117, secondo comma, poiché la disciplina dei diritti della personalità rientrerebbe nella materia della "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali".
Sulla medesima disposizione costituzionale è fondato il ricorso n. 40, con cui il Governo ha impugnato l'art. 1 della legge della Regione Campania n. 2/2003 (recante norme in materia di "Intolleranza alimentare, ristorazione differenziata nella pubblica amministrazione, istituzione di un osservatorio regionale"), poiché, riconoscendo l'assistenza sanitaria mediante l'erogazione di prodotti dietetici in un numero di casi inferiori rispetto a quelli previsti dalla legge statale, violerebbe la competenza dello Stato in ordine alla determinazione dei livelli essenziali di assistenza sanitaria.

2.1.2.8. Norme generali sull'istruzione

La competenza esclusiva dello Stato in tema di "norme generali sull'istruzione" prevista dalla lett. n) dell'art. 117, comma secondo (oltre che quella concorrente sancita in tema di "istruzione" dall'art. 117, terzo comma) è alla base delle molteplici censure di illegittimità costituzionale sollevate nei confronti della legge della Regione Emilia-Romagna n. 12/2003 ("Norme per l'uguaglianza delle opportunità di accesso al sapere, per ognuno e per tutto l'arco della vita, attraverso il rafforzamento dell'istruzione e della formazione professionale, anche in integrazione tra loro") dal ricorso n. 64. In particolare, il Governo ha impugnato le disposizioni regionali riguardanti l'istituto dell'alternanza scuola-lavoro (art. 9, terzo comma); la definizione delle finalità della scuola dell'infanzia (art. 17); la definizione dell'educazione degli adulti e delle relative attività (art. 41); e, infine, l'approvazione da parte del Consiglio regionale dei criteri per la definizione dell'organizzazione della rete scolastica, ivi compresi i parametri dimensionali delle istituzioni scolastiche (art. 44, primo comma, lett. c)), ritenendole lesive della menzionata competenza esclusiva statale.

2.1.2.9. Organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane

Sulla lett. p) dell'art. 117, secondo comma, che attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in materia di "organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane" vertono le censure di illegittimità costituzionali mosse dal ricorso n. 77 all'art. 9, secondo comma, della legge della Regione Abruzzo n. 11/2003 ("Norme in materia di Comunità montane"), che prevede l'esercizio di un potere sostitutivo da parte del Difensore civico regionale, ai sensi dell'art. 136 del d.lgs. n. 267/2000, nell'ipotesi in cui i Consigli dei Comuni membri delle Comunità montane non provvedano ad eleggere i propri rappresentanti in seno alla Comunità montana nella prima seduta successiva al loro insediamento e, comunque, non oltre il 45 giorno dallo stesso. Secondo il Governo, infatti, tale disposizione, influendo sulle modalità di elezione dei rappresentanti dei Comuni nella Comunità montana (come determinate dalla legge dello Stato ai sensi dell'art. 27, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000), riguarderebbe la definizione delle funzioni istituzionali proprie dei Comuni e non il funzionamento o l'ordinamento delle Comunità montane, la cui disciplina rientra nella competenza legislativa regionale ai sensi dell'art. 27, commi 3 e segg., del medesimo d.lgs. n. 267/2000.

2.1.2.10. Tutela dell'ambiente e dell'ecosistema

Quattro ricorsi menzionano la competenza esclusiva dello Stato in materia di "tutela dell'ambiente [e] dell'ecosistema", sancita dalla lett. s) dell'art. 117, secondo comma. Anzitutto, il (già citato) ricorso n. 67 ha impugnato la c.d. "Dichiarazione della Sardegna territorio denuclearizzato" anche sotto il profilo della invasione di quella che la giurisprudenza costituzionale qualifica come una materia (rectius, valore) "trasversale", idoneo ad incidere anche su materie di competenza di altri enti nella forma degli standards minimi di tutela.
Nello stesso ordine di idee la (già menzionata) disposizione regionale umbra, che consente la possibilità di anticipare la caccia di alcune specie fino al 1 settembre di ciascun anno, è stata censurata nel ricorso n. 72 anche perché, derogando al nucleo minimo di tutela della fauna e dell'ambiente costituito dagli archi temporali massimi per la cacciabilità delle varie specie previsti dall'art. 18 della l. n. 157/1992, lederebbe la competenza esclusiva statale in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.
Assai simile per oggetto, ma soprattutto per le argomentazioni addotte, è il ricorso n. 78, con cui il Governo ha impugnato la legge della Regione Puglia n. 15/2003, intitolata "Modifica della legge regionale 13 agosto 1998, n. 27 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma, per la tutela e la programmazione delle risorse faunistico-ambientali e per la regolamentazione dell'attività venatoria)", poiché, dando la possibilità di effettuare il prelievo venatorio nel territorio regionale fino ad un'ora dopo il tramonto (oltre che nei confronti della già prevista categoria degli ungulati, anche) degli animali acquatici, deroga alla delimitazione temporale del prelievo venatorio fissata a livello statale (art. 18 della legge n. 157/1992 cit.) e, dunque, pregiudicherebbe quelle indefettibili misure di tutela unitaria in materia di ambiente ed ecosistema che la lett. s) dell'art. 117, secondo comma, riserva alla potestà legislativa statale.
Infine, rileva in proposito il ricorso n. 51, con cui è stata censurata la legge della Regione Toscana n. 19/2003 (recante "Disposizioni in materia di tutela della fascia costiera e di inquinamento delle acque. Modifica alla legge regionale 1 dicembre 1998, n. 88") nella parte in cui attribuisce alla competenza delle Province il rilascio delle autorizzazioni, previste dall'art. 35 del d.lgs. n. 152/1999, relative all'immersione in mare di alcuni materiali.
Secondo il Governo, la normativa regionale conferirebbe alle Province un potere autorizzatorio di cui le Regioni non sono titolari. L'art. 21 della legge n. 179/2002 ("Disposizioni in campo ambientale"), infatti, individua nella Regione l'autorità competente per il rilascio di tali autorizzazioni quando le immersioni in mare siano finalizzate al ripascimento della fascia costiera oppure si tratti di immergere materiali di escavo di fondali marini, o salmastri, ovvero di terreni litoranei emersi all'interno di casse di colmata, di vasche di raccolta o comunque di strutture di contenimento poste in ambito costiero, prevedendo peraltro specifiche procedure in caso di impiego di materiali provenienti dai fondali marini. Le norme regionali, invece, attribuendo alle Province le funzioni relative all'autorizzazione all'immersione in mare da generiche strutture ubicate in ambito costiero, peraltro anche relativamente ad ulteriori materiali (quali quelli inerti, quelli geologici inorganici ed i manufatti), da un lato, andrebbero oltre quanto il menzionato art. 21 riconosce alle Regioni in ordine alla competenza al rilascio delle autorizzazioni alle immersioni in mare, dall'altro, interferirebbero con le funzioni relative alla concessione di autorizzazioni all'immersione in mare di materiali, anche da navi o da aeromobili, attribuite allo Stato (e per esso al Ministero dell'ambiente) dall'art. 80 del d.lgs n. 112/1998 al fine di garantire una valutazione unitaria della compatibilità delle immersioni medesime con l'ambiente marino. La legge toscana, dunque, finirebbe per ledere gli standards uniformi di tutela fissati dallo Stato nell'esercizio della propria competenza esclusiva in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.

2.1.3. Le competenze esclusive dello Stato ed i principi fondamentali delle materie concorrenti

2.1.3.1. Protezione civile

Il terzo gruppo di ricorsi statali comprende quelli che hanno invocato congiuntamente e cumulativamente il secondo ed il terzo comma dell'art. 117 Cost. con riferimento alla medesima disposizione impugnata e che, pertanto, risultano fondati non solo sulla difesa delle competenze esclusive dello Stato, ma anche su quella dei principi fondamentali da esso posti nelle materie concorrenti. Rilevano in proposito alcuni atti introduttivi già presi in esame sotto altri profili. Anzitutto, il ricorso n. 17 (sulla base del presupposto dell'applicabilità dell'art. 117, terzo comma, alle Regioni speciali ed alle Province autonome, in virtù dell'art. 10 della l.cost. n. 3/2001), ha impugnato le disposizioni provinciali relative al Centro operativo ed al potere di ordinanza anche per la violazione del principio fondamentale della materia (di legislazione concorrente) della "protezione civile", per il quale spetta al Presidente del Consiglio dei ministri o, per sua delega, al Ministro per il coordinamento della protezione civile, il compito di promuovere e coordinare le attività di tutte le amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici e di ogni altra istituzione ed organizzazione pubblica e privata presente sul territorio nazionale, nonché del principio fondamentale che riserva allo Stato, e per esso al Presidente del Consiglio, il potere di provvedere a mezzo di ordinanze in deroga alle disposizioni vigenti per l'attuazione di interventi di urgenza (ll. nn. 225/1992 e 401/2001).

2.1.3.2. Tutela della salute

Analogamente, il ricorso n. 40 ha denunciato l'illegittimità costituzionale della norma regionale che determina i casi in cui è riconosciuta l'assistenza sanitaria mediante erogazione di prodotti dietetici (art. 1 della l.r. della Campania n. 2/2003) anche per la violazione del terzo comma dell'art. 117. Secondo il Governo, infatti, poiché l'assistenza sanitaria rientrerebbe nella materia concorrente della "tutela della salute" e tra i principi fondamentali della materia andrebbe ricompresa la determinazione dei livelli essenziali di assistenza, quest'ultima potrebbe essere disciplinata soltanto da norme statali.
Nella medesima prospettiva si colloca il ricorso n. 67, con cui il Governo (anche qui sulla base del presupposto dell'applicabilità dell'art. 117, terzo comma, alle Regioni speciali ed alle Province autonome, in virtù dell'art. 10 della l. cost. n. 3/2001) ha censurato la denuclearizzazione del territorio sardo (art. 1 della l.r. della Sardegna n. 8/2003) anche sotto il profilo della "tutela della salute", in quanto non rispettosa del principio fondamentale della materia per il quale restrizioni generalizzate alle attività economiche, non legate a situazioni particolari di ambiente o di operatore, vanno fondate su dati scientifici attendibili e non su valutazioni genericamente prudenziali non motivate sperimentalmente.

2.1.3.3. Tutela del lavoro

Non dissimile il percorso argomentativo che è alla base del ricorso n. 71 a proposito della disciplina della Regione Toscana in tema di reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni presenti sul territorio regionale (l.r. n. 42/2003). Infatti, le disposizioni che pongono tra i destinatari della normativa le amministrazioni statali o gli enti pubblici nazionali o pluriregionali (art. 1, primo e secondo comma) sono apparse lesive anche del principio fondamentale desumibile dall'art. 2, lett. i), del d.lgs. n. 469/1997 che, nel conferire alle Regioni le funzioni in materia di mercato del lavoro, ha escluso espressamente l'avviamento a selezione riguardante le amministrazioni centrali dello Stato e gli uffici centrali degli enti pubblici.

2.1.4. I principi fondamentali delle materie concorrenti

2.1.4.1. Istruzione

Il quarto gruppo di ricorsi concerne quelli vertenti sul terzo comma dell'art. 117 Cost. Anche in tal caso rilevano alcuni atti già esaminati sotto altri profili. Cominciando proprio da questi ultimi, il ricorso n. 64 ha censurato la legge della Regione Emilia-Romagna sul rafforzamento dell'istruzione e della formazione professionale (l.r. n. 12/2003) anche nella parte in cui (art. 7, quinto comma) prevede la concessione di assegni di studio ai docenti e dirigenti scolastici che si avvalgono del periodo di aspettativa non retribuita ai sensi dell'art. 26, comma 14, della legge n. 448/1998, poiché, alterando la regola generale fissata dalla legge statale, violerebbe il principio fondamentale da essa posto in materia di istruzione e, pertanto, il terzo comma dell'art. 117.

2.1.4.2. Tutela della salute

Analogamente, il ricorso n. 70 ha ad oggetto anche l'art. 2 della legge della Regione Lombardia n. 12/2003, poiché, escludendo dalle competenze delle ASL lombarde il rilascio di alcuni certificati sanitari, violerebbe un principio fondamentale in materia di "tutela della salute". Secondo la difesa erariale, infatti, il rilascio di certificati costituirebbe, ai sensi dell'art. 14, comma terzo, lett. q), della l. n. 833/1978, conseguenza diretta dell'attività di controllo attribuita istituzionalmente alle ASL e, in quanto tale, non potrebbe essere esclusa dall'ambito delle competenze attribuite alle stesse.

2.1.4.3. Ordinamento della comunicazione

Rilevano, inoltre, altri due ricorsi: il n. 10, in materia di "ordinamento della comunicazione", e il n. 50, in materia di "coordinamento della finanza pubblica". Il primo ha ad oggetto la legge della Regione Emilia-Romagna n. 30/2002 (recante "Norme concernenti la localizzazione di impianti fissi per l'emittenza radio e televisiva e di impianti per la telefonia mobile") in relazione ai principi fondamentali della materia statuiti dal d.lgs. n. 198/2002. Le disposizioni che estendono le norme sulla protezione dall'inquinamento elettromagnetico, contenute nella l.r. n. 30/2000, alle infrastrutture di telecomunicazioni definite strategiche dal d.lgs. n. 198/2002 sono state ritenute lesive del principio fondamentale per cui le suddette infrastrutture sono realizzabili esclusivamente in base alle procedure definite dallo stesso d.lgs. (artt. 1, primo comma, e 3, primo e secondo comma); la norma che prevede l'applicabilità delle disposizioni regionali in materia di pianificazione territoriale ed urbanistica e di trasformazione edilizia alle infrastrutture di cui al d.lgs. n. 198/2002 è stata censurata per il contrasto con il principio fondamentale per cui le medesime infrastrutture sono compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e sono realizzabili anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento (art. 1, secondo comma); infine, la disposizione che innova il regime regionale delle autorizzazioni per tutti gli impianti fissi di telefonia mobile è apparsa violare il principio fondamentale che prevede una nuova ed uniforme disciplina per i procedimenti autorizzatori relativi alle infrastrutture di telecomunicazioni per impianti radioelettrici (art. 2, modificativo dell'art. 8 della l.r. n. 30/2000). Va peraltro aggiunto che l’intero d.lgs. de quo è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo per eccesso di delega con la sentenza n. 303/2003, per cui si presume che la Corte costituzionale dichiarerà la questione inammissibile.

2.1.4.4. Coordinamento della finanza pubblica

Con il ricorso n. 50, invece, il Governo ha impugnato gli artt. 3 e 4 della legge della Regione Emilia-Romagna n. 4/2003 (recante "Disposizioni in materia di dotazioni organiche e di copertura di posti vacanti per l'anno 2003") che, prevedendo per l'anno 2003, rispettivamente, la copertura di posti vacanti nelle strutture della Giunta e del Consiglio regionale e la facoltà di assunzione di personale da parte delle ASL e dell'ARPA, senza peraltro indicare la tipologia del personale da reclutare e rimandando genericamente alla determinazione del fabbisogno annuale di personale ed alla rideterminazione delle dotazioni organiche, sarebbero invasivi della competenza dello Stato a definire i principi fondamentali nella materia del "coordinamento della finanza pubblica" e, specificatamente, in contrasto con l'art. 34, comma 11, della legge n. 289/2003 (finanziaria 2003), che prevede l'emanazione di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri per la fissazione dei criteri e dei limiti per le assunzioni a tempo indeterminato per l'anno 2003.

2.1.5. La potestà regolamentare dello Stato

Il quinto gruppo di ricorsi ne contiene, in realtà, uno solo, vertente sul sesto comma dell'art. 117 Cost., disposizione che, com'è noto, attribuisce allo Stato la potestà regolamentare nelle materie di cui all'art. 117, secondo comma, salvo delega alle Regioni, mentre a queste ultime quella in ogni altra materia, ferma restando la potestà regolamentare degli enti locali (Comuni, Province e Città metropolitane) in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. Il ricorso n. 71 (cui peraltro si è già fatto riferimento in più di un'occasione) ha censurato il "Testo unico della normativa della Regione Toscana in materia di educazione, istruzione, orientamento, formazione professionale e lavoro" anche nelle parti in cui (artt. 1 e 2, terzo comma) attribuisce alla Regione potestà regolamentare nella materia (di competenza esclusiva statale) dell'"ordinamento e organizzazione amministrativa […] degli enti pubblici nazionali".

2.1.6. I limiti al c.d. "potere estero delle Regioni"

Anche l'art. 117, nono comma, Cost. è alla base di un unico ricorso, il n. 27, con cui il Governo ha impugnato l'art. 13 della legge della Regione Veneto n. 2/2003, intitolata "Nuove norme a favore dei veneti nel mondo e agevolazioni per il loro rientro", poiché, attribuendo alla Giunta regionale il potere di "stipulare accordi con il Governo [estero] interessato" che prevedano l'erogazione di prestazioni di tipo socio-sanitario a favore dei cittadini veneti, non sarebbe rispettoso dei limiti stabiliti (oltre che dall'art. 117, secondo comma, lett. a), b) ed i), soprattutto) dall'art. 117, nono comma, al c.d. "potere estero delle Regioni". Secondo il Governo, infatti, tale disposizione, pur riconoscendo alle Regioni la possibilità di concludere intese, porrebbe due limiti chiari e precisi: l'intesa può essere conclusa soltanto "con enti territoriali interni ad altro Stato" (e quindi non con il Governo di altro Stato); inoltre, essa può essere conclusa soltanto "nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato (e quindi non prima che "casi" e "forme" anzidetti siano, rispettivamente, individuati e stabilite).

2.1.7. Il potere sostitutivo del Governo e la costituzionalizzazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni

L'ultimo gruppo di ricorsi comprende quegli atti introduttivi fondati sull'art. 120, secondo comma, Cost. e, dunque, sulla previsione di poteri sostitutivi del Governo nei confronti degli organi delle Regioni, delle Province, delle Città metropolitane e dei Comuni, per la cui disciplina la Costituzione rinvia ad una legge che garantisca il rispetto dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione. Il riferimento è, anzitutto, ad un ricorso già preso in esame sotto vari profili, ovvero il n. 40. Con esso, infatti, il Governo ha impugnato anche l'art. 4 della legge della Regione Campania n. 2/2003 ("Intolleranza alimentare, ristorazione differenziata nella pubblica amministrazione, istituzione di un osservatorio regionale") che, disponendo l'obbligo di fornire pasti differenziati ai soggetti aventi problemi connessi all'alimentazione in capo a tutte le amministrazioni che erogano il servizio mensa nel territorio campano (e, dunque, non solo a quelle regionali), travalicherebbe l'ambito di competenza riservato all'ente territoriale in violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni.
In secondo luogo, un altro atto introduttivo verte principalmente sul parametro costituito dall'art. 120, secondo comma, sottolineando gli argomenti che conducono a riconoscere in tale norma costituzionale una riserva di legge statale. Infatti, la tesi del Governo per cui dalle solenni disposizioni contenute nell'art. 114, primo e secondo comma, dall'attribuzione alla competenza esclusiva dello Stato (ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. p)) della materia "organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane", nonché dalla cogente esigenza di una disciplina unica delle modalità di esercizio dei poteri sostitutivi sin dal momento della individuazione dell'organo deliberante l'intervento sostitutivo, dovrebbe inferirsi che l'espressione "la legge definisce" di cui all'art. 120, secondo comma, stia per "disposizioni legislative dello Stato definiscono", è alla base del ricorso n. 1. Con tale atto lo Stato ha impugnato la legge della Regione Piemonte n. 24/2003, recante "Norme per la gestione dei rifiuti", nella parte in cui attribuisce alla Regione nei confronti delle Province e a queste ultime nei confronti dei Comuni, dei Consorzi di comuni, delle Comunità montane e dei Consorzi di bacino poteri sostitutivi per il caso, rispettivamente, di inadempienza o inerzia nello svolgimento delle competenze attribuite dalla medesima legge (artt. 2, comma 1, lett. i); 3, comma 1, lett. l); 11, commi 13 e 14; 12, commi 7 e 8).

2.2. I ricorsi delle Regioni e delle Province autonome: ordinati per oggetto

I 52 ricorsi per questione di legittimità costituzionale delle Regioni e delle Province autonome ancora pendenti possono essere ordinati in 15 gruppi sulla base delle leggi statali impugnate. Va peraltro premesso che, poiché in alcuni casi le disposizioni di queste ultime censurate dalle Regioni in relazione al nuovo Titolo V sono state moltissime, si è ritenuto opportuno selezionare le questioni di costituzionalità (qualitativamente e quantitativamente) più rilevanti e procedere ad una sintesi delle argomentazioni (comuni) che nei vari ricorsi sono state utilizzate per le singole questioni (in particolare, si fa riferimento alle impugnazioni di norme contenute nelle ll. nn. 289/2002, 3/2003, 30/2003, nei d.lgs. nn. 259/2003 e 276/2003, nonché nel d.l. n. 269/2003).

2.2.1. Il decreto legge 25 settembre 2002, n. 210 ("Disposizioni urgenti in materia di emersione del lavoro sommerso e di rapporti di lavoro a tempo parziale"), convertito nella legge n. 266/2002

Il primo gruppo di ricorsi comprende i nn. 7 e 9, con cui le Province autonome, rispettivamente, di Bolzano e Trento, hanno impugnato l'art. 1, secondo comma, del decreto legge 25 settembre 2002, n. 210 (recante "Disposizioni urgenti in materia di emersione del lavoro sommerso e di rapporti di lavoro a tempo parziale"), poi convertito nella legge n. 266/2002, che, sostituendo l'originario art. 1-bis della legge n. 383/2001, disciplinante la c.d. "emersione del lavoro sommerso", ha introdotto una nuova procedura di "emersione progressiva", diretta da appositi "Comitati per il lavoro e l'emersione del sommerso" (CLES), istituti presso le direzioni provinciali del lavoro esistenti in ogni capoluogo di provincia e composti di membri nominati dai Prefetti (o, nelle Province autonome, dal Commissario del Governo). Secondo le Province ricorrenti, tale disciplina sarebbe lesiva delle competenze legislative e amministrative ad esse attribuite (non solo dallo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, ma anche) dal nuovo art. 117, Cost. per il tramite dell'art. 10 della l.cost. n. 3/2001. In particolare, l'art. 117, terzo comma, individua come materia di competenza concorrente la "tutela […] del lavoro" che, estendendosi a tutto il mercato del lavoro, comprenderebbe anche i servizi per l'impiego e l'inserimento dei lavoratori nelle aziende. D'altra parte, poiché la complessiva disciplina dei rapporti di lavoro, della loro instaurazione e delle attività che i pubblici uffici possono espletare per agevolarla o consentirla non potrebbe ritenersi totalmente assorbita dalla competenza esclusiva dello Stato in materia di "ordinamento civile" (art. 117, secondo comma, lett. l)), tale disciplina, per la parte in cui essa non è ricompresa nelle competenze (concorrenti o integrative) statutarie, né in quella concorrente relativa alla "tutela […] del lavoro" ex art. 117, terzo comma, dovrebbe ritenersi compresa nella competenza residuale di cui al quarto comma della medesima disposizione costituzionale.

2.2.2. La legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003)

2.2.2.1. Art. 2

Un cospicuo gruppo di ricorsi (ben dieci) riguarda le disposizioni della legge 27 dicembre 2002, n. 289, ovvero la legge finanziaria per il 2003. La prima delle questioni proposte riguarda l'art. 2 che, avviando il programma di riforma fiscale con specifico riferimento alla disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), ha introdotto, inserendo un art. 10-bis nel testo unico delle imposte sui redditi (d.P.R. n. 917/1986), il principio secondo cui è consentita una quota di deduzione dal reddito imponibile, che dovrebbe produrre un risparmio di imposta (primo comma). Inoltre, il quarto comma della medesima disposizione, affrontando il problema dei possibili effetti del nuovo sistema sulle addizionali IRPEF regionali e comunali, prevede l'irrilevanza di tale deduzione ai fini della determinazione della base imponibile delle addizionali, fermo restando, però, quanto previsto dagli artt. 50, secondo comma, del d.lgs. n. 446/1997 ed 1, quarto comma, del d.lgs. n. 360/1998, i quali dispongono che l'addizionale, rispettivamente regionale e comunale, è dovuta se per lo stesso anno l'IRPEF, al netto delle detrazioni e dei crediti riconosciuti dal citato testo unico, è a sua volta dovuta. In altri termini, ai sensi di tale norma, quando il contribuente non deve versare l'IRPEF per l'operare della deduzione di cui all'art. 10-bis, non deve versare nemmeno l'addizionale regionale e comunale.
Secondo i ricorsi nn. 25 della Regione Emilia-Romagna e 26 della Regione Veneto, la disposizione impugnata, determinando una diminuzione delle risorse a disposizione delle Regioni senza nel contempo prevedere alcuna forma compensativa, si porrebbe in contrasto con l'art. 119, quarto comma, Cost., per il quale "le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono […] alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite".

2.2.2.2. Artt. 3, primo comma, lett. a), 5, 6, 7, 8, 9, 13, terzo comma, 15 e 16

In secondo luogo, il ricorso n. 15 della Regione Toscana ed il (già citato) ricorso n. 25 della Regione Emilia-Romagna hanno impugnato una serie di disposizioni di ordine tributario-finanziario contenute nella l. n. 289/2002, in quanto ritenute particolarmente lesive dell'autonomia impositiva delle Regioni costituzionalmente garantita.
Specificatamente, prendendo le mosse da quel consolidato orientamento della Corte costituzionale per il quale l'IRAP, già prima della riformulazione dell'art. 119 Cost., si configurava come un tributo proprio delle Regioni e precisando che la nuova versione di tale norma attribuisce allo Stato, in relazione ai tributi propri regionali e locali, soltanto la potestà di delineare "i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario", e quindi di definire gli ambiti entro cui può essere esercitata la potestà impositiva dei vari livelli di governo, le Regioni Toscana ed Emilia-Romagna hanno censurato l'artt. 3, primo comma, lett. a) (che prevede una sospensione degli aumenti delle addizionali all'IRPEF per i Comuni e le Regioni e della maggiorazione dell'aliquota IRAP sino a quando non si raggiunga un accordo in sede di Conferenza unificata tra Stato, Regioni ed enti locali sui meccanismi strutturali del federalismo fiscale); l'art. 5 (che introduce una serie di modifiche al d.lgs n. 446/1999, istitutivo dell'IRAP, destinate a ridurne il gettito); l'art. 6 (che istituisce il concordato preventivo, cui possono accedere anche i contribuenti soggetti all'IRAP, definendo per tre anni la base imponibile anche di tale imposta, con l'effetto che gli eventuali maggior imponibili, rispetto a quello oggetto del concordato, non sono soggetti all'imposta); l'art. 7 (che prevede la definizione automatica dei redditi di impresa e di lavoro autonomo per gli anni pregressi mediante autoliquidazione, anche ai fini delle addizionali IRPEF e dell'IRAP); l'art. 8 (che prevede l'integrazione degli imponibili per gli anni pregressi, anche ai fini delle addizionali IRPEF e dell'IRAP); l'art. 9 (che disciplina la definizione automatica per gli anni pregressi per tutte le imposte e tutti i periodi di imposta per i quali i termini di presentazione delle relative dichiarazioni siano scaduti entro il 31 ottobre 2002, stabilendo le percentuali da corrispondere per la definizione stessa); l'art. 13, terzo comma (il quale, a fini della possibilità per le Regioni e gli enti locali - prevista dai commi precedenti - di stabilire la riduzione dell'ammontare delle imposte e tasse loro dovute, nonché l'esclusione o la riduzione dei relativi interessi e sanzioni, qualora i contribuenti adempiano ad obblighi tributari precedentemente in tutto o in parte non adempiuti, specifica che si intendono tributi propri della Regione quelli la cui titolarità giuridica ed il cui gettito siano alla stessa integralmente attribuiti, con esclusione delle compartecipazioni ed addizionali a tributi erariali, nonché delle mere attribuzioni ad enti territoriali del gettito, totale e parziale, di tributi erariali); l'art. 15 (che prevede possano formare oggetto di definizione agevolata gli avvisi di accertamento, gli inviti al contraddittorio ed i processi verbali di constatazione non ancora definiti relativi a tutte le imposte, ivi compresa l'IRAP, stabilendo le percentuali da corrispondere per la definizione stessa); infine, l'art. 16 (che disciplina la chiusura delle liti fiscali pendenti che possono essere definite, anche ove relative all'IRAP, con il pagamento delle somme determinate dalla norma stessa).
Secondo le ricorrenti, tali disposizioni, in quanto applicabili anche all'IRAP, violerebbero, anzitutto, il secondo comma dell'art. 119 Cost., poiché esorbitanti dalla competenza esclusivamente concorrente dello Stato in materia di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (ribadita anche dall'art. 117, terzo comma, Cost.). In secondo luogo, esse violerebbero il menzionato principio di autosufficienza finanziaria sancito dal quarto comma dell'art. 119 Cost., impedendo l'ordinario esercizio delle competenze di cui agli artt. 117 e 118 Cost.

2.2.2.3. Art. 24, commi 1, 2, 3, 3-bis, 4, 4-bis, 5 e 9

Oltre agli ultimi tre ricorsi citati, quasi tutti gli atti riguardanti la legge finanziaria per il 2003 (ricorsi nn. 18 della Regione Piemonte, 19 della Regione autonoma Valle d'Aosta, 20 della Provincia autonoma di Bolzano e 22 della Regione Umbria) ne hanno censurato l'art. 24, riguardante la disciplina dell'acquisto di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni. Strettamente connesso per materia è poi il ricorso n. 73 della Regione Valle d'Aosta, che ha impugnato il decreto-legge n. 143/2003 (recante "Disposizioni urgenti in tema di versamento e riscossione di tributi, fondazioni bancarie e di gare indette dalla Consip S.p.a. e convertito nella legge n. 212/2003) nella parte in cui modifica l'art. 24 della l. n. 289/2002. Peraltro, nelle more del giudizio costituzionale tale disposizione, proprio nelle parti oggetto delle impugnative regionali, è stata abrogata dall’art. 3, comma 166, della l. n. 350/2003 (legge finanziaria 2004), per cui si presume che la Consulta dichiarerà cessata la materia del contendere in ordine a tale questione di legittimità costituzionale, di cui sembra comunque interessante dare sinteticamente conto.
Le censure mosse all'art. 24 della finanziaria per il 2003 hanno investito, in particolare, i commi 1, 2, 3, 3-bis, 4, 4-bis, 5 e 9. Il primo disponeva che le amministrazioni aggiudicatrici (come individuate nell'art. 1 del d.lgs. n. 358/1992 e nell'art. 2 del d.lgs. n. 157/1995), per l'aggiudicazione delle pubbliche forniture e degli appalti pubblici di servizi, dovessero espletare procedure aperte o ristrette con le modalità previste dalla normativa nazionale di recepimento della normativa comunitaria, anche quando il valore del contratto fosse superiore a 50.000 euro. Il secondo comma prevedeva l'esclusione dal suddetto obbligo per i Comuni con meno di 5.000 abitanti, per le amministrazioni che facessero ricorso alle convenzioni quadro definite dalla CONSIP s.p.a. o al mercato elettronico della p.a. e per le cooperative sociali. Il terzo comma (novellato dalla l. n. 28 cit.) obbligava anche "gli enti pubblici istituzionali" ad utilizzare le convenzioni quadro definite dalla CONSIP s.p.a. nelle ipotesi di acquisto di beni o servizi "caratterizzati dall'alta qualità dei servizi stessi e dalla bassa intensità di lavoro". Il comma 3-bis (introdotto dalla l. n. 28 cit.) demandava al Ministero dell'economia e delle finanze il compito di indicare con decreto quali servizi rientrassero nella nozione di cui al terzo comma. Il quarto comma sanciva la nullità dei contratti stipulati in violazione dei predetti obblighi, prevedendo inoltre che il dipendente che avesse sottoscritto un contratto in violazione delle disposizioni di cui al primo e terzo comma ne rispondesse personalmente, in via amministrativa e contabile. Il comma quinto precisava che, anche laddove la vigente normativa consentisse la trattativa privata, le pubbliche amministrazioni potessero ricorrervi solo in casi eccezionali e motivati, previo esperimento di una documentata indagine di mercato e dandone comunicazione alla sezione regionale della Corte dei conti. Infine, il comma nono qualificava le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 5 come "norme di principio e coordinamento" per le Regioni.
Tutte le ricorrenti (le Regioni speciali e le Province autonome incluse, sul presupposto dell'operatività dell'art. 10 della l. cost. n. 3/2001) hanno dedotto, in relazione alla menzionata disciplina, anzitutto, la violazione dell'art. 117, quarto comma, in quanto la materia degli appalti pubblici di servizi e di forniture, non essendo contemplata fra quelle di competenza dello Stato, né fra quelle di competenza concorrente (elencate, rispettivamente, dall'art. 117, secondo e terzo comma) dovrebbe ritenersi attribuita alla potestà legislativa residuale delle Regioni, subordinata al rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario ed internazionale, ma non a quello delle "norme di principio e di coordinamento" di produzione statale. D'altra parte, le Regioni hanno anche contestato la possibilità di ricondurre le disposizioni de quibus (art. 24, primo, secondo e quinto comma) all'esercizio della competenza esclusiva statale in materia di "tutela della concorrenza" (art. 117, secondo comma, lett. e)), che, alla stregua della migliore dottrina, comprenderebbe la disciplina dei mercati in senso proprio e gli interventi diretti ad eliminare o correggere fenomeni distorsivi (quali l'abuso di posizione dominante o la concentrazione di imprese) diretti ad impedire o comunque a disturbare il libero operare dei mercati stessi.

2.2.2.4. Art. 25

Due dei ricorsi citati, il n. 25 della Regione Emilia-Romagna e 26 della Regione Veneto hanno impugnato anche l'art. 25 della l. n. 289/2002, il quale in materia di pagamento e riscossione di somme di modesto ammontare prevede, tra l'altro, che il Ministro dell'economia detti, ai sensi dell'art. 17, secondo comma, della l. n. 400/1988, "disposizioni relative alla disciplina del pagamento e della riscossione di crediti di modesto ammontare e di qualsiasi natura, anche tributaria", applicabili anche alle Regioni. Secondo le ricorrenti, tale norma violerebbe l'art. 117 Cost. sotto due profili. Da un lato, infatti, in relazione ai crediti delle Regioni, essa non risulterebbe riconducibile ad alcuna delle competenze statali, né esclusive né concorrenti (e quand'anche l'art. 25 fosse considerata norma di "coordinamento della finanza pubblica", ai sensi del terzo comma dell'art. 117, sarebbe comunque lesivo della competenza regionale, visto che i commi secondo, terzo e quarto della stessa disposizione, dettando i contenuti normativi dei decreti ministeriali, non si limitano a porre principi fondamentali, bensì precetti di dettaglio); dall'altro, l'art. 25, prevedendo un regolamento ministeriale di delegificazione in materia regionale, contrasterebbe anche con il sesto comma dell'art. 117, che attribuisce allo Stato potestà regolamentare esclusivamente nelle materie di legislazione esclusiva.

2.2.2.5. Art. 30, primo comma

Ancora, le Regioni Toscana ed Emilia-Romagna, con i (più volte citati) ricorsi nn. 15 e 25, hanno censurato anche l'art. 30, primo comma, della legge finanziaria per il 2003 il quale, al fine di avviare l'attuazione dell'art. 119 Cost. e in attesa che vengano definite le modalità per il passaggio al sistema di finanziamento attraverso la fiscalità, stabilisce che entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge, il Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e con il Ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione e con le amministrazioni statali interessate, di intesa con la Conferenza unificata, procede alla ricognizione di tutti i trasferimenti erariali di parte corrente non localizzati, attualmente attribuiti alle Regioni, per farli confluire in un fondo unico da istituire presso il Ministero dell'economia e delle finanze e da ripartire secondo criteri fissati d'intesa con la Conferenza unificata. Tale disposizione sarebbe in contrasto con il sistema di finanziamento regionale delineato dall'art. 119 Cost. e con le competenze legislative regionali previste dall'art. 117 Cost. in tema di "armonizzazione dei bilanci pubblici" e di "coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario".
La prima disposizione, infatti, riconoscerebbe alle Regioni un'autonomia finanziaria non più dipendente e limitata dalla legislazione statale in materia di finanza pubblica, ma direttamente derivante dalla Costituzione, che delimita i poteri regionali e locali in tema di risorse, stabilendo che i tributi e le entrate proprie devono armonizzarsi con la Costituzione ed essere rispettose dei "principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario". L'art. 117, terzo comma, del resto, confermerebbe che in tema di "armonizzazione dei bilanci pubblici" e di "coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario" compete allo Stato esclusivamente la fissazione dei principi fondamentali, mentre alle Regioni spetta la produzione della normativa di dettaglio.

2.2.2.6. Art. 34, commi 1, 2, 3, 4, 11 e 13

Anche l'art. 34 della l. n. 289/2002, così come l'art. 24, è stato impugnato da ben otto dei dieci ricorsi riguardanti la finanziaria per il 2003 (di cui finora solo due non sono ancora stati presi in esame): i nn. 14 della Regione Marche, 15 della Regione Toscana, 18 della Regione Piemonte, 19 della Regione autonoma della Valle d'Aosta, 21 della Regione Campania, 22 della Regione Umbria, 25 della Regione Emilia-Romagna e 26 della Regione Veneto. In particolare, l'art. 34 è stato prevalentemente censurato laddove prevede che le amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, secondo comma, del d.lgs. n. 165/2001 (comprendente anche le Regioni, gli enti regionali e le aziende ed enti del servizio sanitario) provvedono alla rideterminazione delle dotazioni organiche sulla base dei criteri indicati dalla stessa disposizione (primo comma); che in sede di rideterminazione delle dotazioni organiche è assicurato il principio dell'invarianza della spesa e che le dotazioni organiche rideterminate non possono comunque superare il numero dei posti di organico complessivi vigenti alla data del 29 settembre 2002 (secondo comma); che sino alla redeterminazione di cui al primo comma le dotazione organiche sono provvisoriamente individuate in misura pari ai posti coperti al 31 dicembre 2002 (terzo comma); che è fatto divieto, per le amministrazioni di cui al comma primo, di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, fatte salve le assunzioni di personale relative a figure professionali non fungibili, la cui consistenza organica non sia superiore all'unità (quarto comma); che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge), previo accordo tra Governo, Regioni ed autonomie locali in sede di Conferenza unificata, siano fissati anche per le Regioni i criteri ed i limiti per le assunzioni a tempo indeterminato per l'anno 2003 (le quali devono comunque essere contenute entro percentuali non superiori al 50% delle cessazioni dal servizio verificatesi nel corso dell'anno 2002, tenuto conto, in relazione alla tipologia degli enti, della dimensione demografica, dei profili professionali del personale da assumere, della essenzialità dei servizi da garantire e dell'incidenza delle spese del personale sulle entrate correnti) (undicesimo comma); che le amministrazioni possono procedere ad assunzioni di personale a tempo determinato o con contratti di collaborazione coordinata e continuativa nel limite del 90% della spesa media annua sostenuta per le stesse finalità nel triennio 1999-2001 (tredicesimo comma).
Secondo le Regioni ricorrenti, tale disciplina, non rientrando nella materia di competenza esclusiva statale dell'ordinamento e dell'organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali (art. 117, secondo comma, lett. g), Cost.), sarebbe lesiva della competenza residuale regionale di cui all'art. 117, quarto comma, sub specie 'organizzazione amministrativa e ordinamento del personale della Regione e degli enti strumentali' (ivi compresi gli enti del sistema sanitario regionale). Al fine di avvalorare tale impostazione le ricorrenti hanno riportato un consolidato orientamento della Corte costituzionale che, già prima della riforma del Titolo V, ha riconosciuto un'ampia autonomia delle Regioni in materia di ordinamento degli uffici e di stato giuridico dei dipendenti. D'altra parte, i ricorsi in parola si sono preoccupati anche di contestare una possibile diversa impostazione della questione, argomentando che l'intervento del legislatore statale non troverebbe giustificazione neppure ove esso fosse ritenuto ispirato all'esigenza dello Stato di dettare principi per il "coordinamento della finanza pubblica" ai sensi dell'art. 117, terzo comma, poiché conterrebbe disposizioni puntuali e di dettaglio, senza lasciare alcuno spazio all'intervento legislativo in materia.

2.2.2.7. Art. 46, secondo comma

I ricorsi n. 22 della Regione Umbria e 25 della Regione Emilia-Romagna hanno impugnato anche l'art. 46 della l. n. 289/2002, riguardante la disciplina del Fondo nazionale per le politiche sociali. In particolare, le censure hanno investito il secondo comma del menzionato articolo, che attribuisce al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e d'intesa con la Conferenza unificata, il compito di disporre annualmente con propri decreti la ripartizione del Fondo nazionale per le politiche sociali non solo assicurando in via prioritaria "l'integrale finanziamento degli interventi che costituiscono diritti soggettivi", ma anche "destinando almeno il dieci per cento di tali risorse a sostegno delle politiche in favore delle famiglie di nuova costituzione, in particolare per l'acquisto della prima casa di abitazione e per il sostegno alla natalità". Tale ultima parte dell'art. 46, concretizzandosi in precise scelte di politica sociale, sarebbe lesiva della competenza residuale delle Regioni ex art. 117, quarto comma, Cost. in materia di 'politiche sociali', comprimibile, da parte statale, soltanto per la "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti […] i diritti sociali" nell'esercizio della competenza esclusiva di cui all'art. 117, secondo comma, lett. m).

2.2.2.8. Art. 90, commi 18, 20, 21 e 22

Sempre con riferimento alla legge finanziaria per il 2003, va segnalata l'impugnazione dell'art. 90, che detta una serie di disposizioni in materia di attività sportiva dilettantistica e che è stata censurata, sotto molteplici profili, dalle Regioni Valle d'Aosta, Emilia-Romagna e Toscana. Il nucleo comune delle impugnazioni si appunta sui commi 18 (secondo cui con futuri regolamenti, da emanarsi nel rispetto delle disposizioni dell'ordinamento generale, dell'ordinamento sportivo e secondo i principi generali elencati dal medesimo comma, sono individuati vari aspetti concernenti le associazioni sportive dilettantistiche, tra cui anche l'organizzazione delle attività sportive dilettantistiche, l'attività didattica per l'avvio, l'aggiornamento ed il perfezionamento nelle attività sportive), 20 (che istituisce il registro delle società e delle associazioni sportive dilettantistiche), 21 (per il quale le modalità di tenuta del registro, le procedure di verifica, la notifica delle variazioni dei dati e l'eventuale cancellazione sono disciplinate da apposita delibera del Consiglio nazionale del CONI) e 22 (ai sensi del quale l'avvenuta iscrizione nel suddetto registro è condizione per accedere ai contributi pubblici di qualsiasi natura). Tale normativa risulterebbe lesiva della potestà legislativa concorrente delle Regioni in materia di "ordinamento sportivo" (117, terzo comma, Cost.), poiché esulerebbe dalla posizione di meri principi fondamentali, e, nella parte in cui attribuisce allo Stato potestà regolamentare in materia di legislazione concorrente, sarebbe contraria al disposto dell'art. 117, sesto comma, Cost.

2.2.2.9. Art. 91

L'ultima disposizione della l. n. 289/2002, la cui impugnazione merita attenzione, è l'art. 91, che istituisce e disciplina il fondo di rotazione per il finanziamento dei datori di lavoro che realizzano, nei luoghi di lavoro, servizi di asilo nido e micronidi al fine di assicurare un'adeguata assistenza familiare alle lavoratrici e ai lavoratori dipendenti con prole. In proposito, i ricorsi nn. 15 della Regione Toscana, 25 della Regione Emilia-Romagna e 26 della Regione Veneto hanno dedotto, anzitutto, la violazione dell'art. 117, quarto comma, Cost., poiché la materia degli asili nidi e, più in generale, dei servizi sociali non rientra tra gli elenchi di cui al secondo e terzo comma della medesima disposizione. In secondo luogo, l'art. 91, disciplinando l'istituzione, la ripartizione e la dotazione del fondo per gli asili nido, si porrebbe anche in contrasto con l'art. 119 Cost., che non ammetterebbe fondi a destinazione vincolata, in quanto lesivi dell'autonomia finanziaria di entrata e di spesa costituzionalmente garantita alle Regioni.

2.2.3. Il decreto legislativo 27 dicembre 2002, n. 302 ("Modifiche ed integrazioni al D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, recante testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità")

Il solo ricorso n. 37 della Provincia autonoma di Trento ha, invece, impugnato l'art. 1, primo comma, lett. d), del decreto legislativo 27 dicembre 2002, n. 302 ("Modifiche ed integrazioni al D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, recante testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità"), che ha sostituito l'art. 5 del testo unico, per contrasto con l'art. 117, sesto comma, Cost. Successivamente, con Comunicato del 28 luglio 2003, l'art. 1, primo comma, lett. d), del d.lgs. n. 302/2002 è stato rettificato con la soppressione, nel menzionato art. 5, proprio delle parole del terzo comma ("[...] e delle Province autonome di Trento e Bolzano [...]" che avevano dato luogo al ricorso, per cui si ritiene che (anche in tal caso) la Corte costituzionale dichiarerà cessata la materia del contendere in ordine a tale questione di costituzionalità. In effetti, l'art. 5, terzo comma, del D.P.R. n. 327/2001, nella nuova formulazione, stabiliva che "le disposizioni del testo unico operano direttamente nei riguardi delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano fino a quando esse non esercitano la propria potestà legislativa in materia". Tale norma, legittimando le disposizioni regolamentari contenute nel testo unico nella materia espropriativa che (ai sensi dell'art. 8, n. 22, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), rientra nella competenza legislativa primaria della Provincia autonoma di Trento, violava l'art. 117, sesto comma, che attribuisce allo Stato potestà regolamentare soltanto nelle materie di legislazione esclusiva (di cui all'art. 117, secondo comma, Cost.).

2.2.4. La legge 16 gennaio 2003, n. 3 ("Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione")

2.2.4.1. Art. 4

Il quarto gruppo di ricorsi comprende gli otto atti introduttivi vertenti sulla legge 16 gennaio 2003, n. 3, recante "Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione". I ricorsi nn. 31 della Regione Veneto e 32 della Regione Emilia-Romagna hanno impugnato l'art. 4, che aggiunge l'art. 7-bis al d.lgs. n. 165/2001 (testo unico in materia di pubblico impiego), recante disposizioni in materia di formazione del personale, in quanto ritenuto lesivo dell'art. 117, quarto comma, Cost. In particolare, i due commi dell'art. 7-bis prescrivono per tutte le pubbliche amministrazioni (con alcune eccezioni, ma includendo Regioni, enti locali ed enti da essi dipendenti) l'obbligo di predisporre e trasmettere al Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri e al Ministro dell'economia e delle finanze un piano di formazione del personale, di cui vengono anche indicati nel dettaglio i contenuti. Secondo le ricorrenti, tali norme sarebbero invasive della competenza nelle materie dell''organizzazione delle Regioni, degli enti locali e degli enti da essi dipendenti', e della 'formazione', attribuite alle Regioni dalla clausola residuale di cui all'art. 117, quarto comma, Cost., in quanto non riconducibili né alla lett. g) dell'art. 117, secondo comma (che limita la competenza statale all'"ordinamento e [all'] organizzazione amministrativa […] degli enti pubblici nazionali"), né ad alcuna delle materie elencate nel terzo comma dell'art. 117.

2.2.4.2. Art. 7, primo comma

Le medesime argomentazioni, avvalorate dal (citato) orientamento della giurisprudenza costituzionale per cui sussiste un'ampia autonomia regionale in materia di ordinamento degli uffici e del personale, si ritrovano nei (ben) sei ricorsi (oltre ai due testé menzionati, i nn. 28 della Regione Abruzzo, 29 della Regione Toscana, 33 della Regione Liguria e 35 della Regione Campania) che hanno censurato l'art. 7, primo comma, della l. n. 3/2003, con cui è stato aggiunto un art. 34-bis nel testo unico sul pubblico impiego, recante la disciplina dettagliata dell'assegnazione di personale in disponibilità alle amministrazioni (Regioni, enti locali e relativi enti strumentali inclusi) che vogliano avviare procedure concorsuali, imponendo loro l'obbligo di comunicare tale intenzione alle amministrazioni competenti ed attribuendo al Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri ed al Ministro dell'economia e delle finanze la funzione di provvedere ad assegnare ad esse il personale in disponibilità.

2.2.4.3. Art. 9

Ed argomentazioni molto simili sono alla base dei (più volte citati) ricorsi nn. 31 della Regione Veneto e 32 della Regione Emilia-Romagna nella parte in cui riguardano l'art. 9 della l. n. 3/2003, che rimette alla potestà regolamentare del Governo la fissazione delle modalità e dei criteri con cui le pubbliche amministrazioni possono ricoprire i posti disponibili, nei limiti della propria dotazione organica, utilizzando gli idonei delle graduatorie di pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni del medesimo comparto di contrattazione. Peraltro, mentre il primo dei due ricorsi si limita a confermare anche per questa disposizione le deduzioni proposte per gli artt. 4 e 7, l'altro sottolinea la violazione dell'art. 117, sesto comma, Cost., poiché essa attribuisce allo Stato potestà regolamentare in una materia che non rientra nell'elenco di cui all'art. 117, secondo comma, Cost.

2.2.4.4. Art. 42

Quattro degli otto ricorsi sulla l. n. 3/2003 (i nn. 30 della Regione Sicilia, 31 della Regione Veneto, 32 della Regione Emilia-Romagna e 34 della Regione Marche) hanno censurato anche l'art. 42 che, delegando il Governo al riordino degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS), anziché fissare i principi fondamentali per l'attuazione del riordino da parte delle Regioni, contrasterebbe con l'art. 117, terzo comma, Cost. Per completezza va segnalato che due di questi ricorsi (quelli della Regione Emilia-Romagna e della Regione Marche) hanno impugnato non solo l'art. 42 nel suo complesso, ma anche quasi tutte le singole disposizioni recanti i principi e criteri direttivi della delega (in particolare, le lett. a), b), c), d), e), f), g), i), m), n) e p) dell'art. 42, primo comma). Limitandosi al primo tipo di censura (esemplificativa anche dell'altro), può essere evidenziato come le ricorrenti abbiano argomentato che, rientrando la disciplina degli IRCCS nelle materie di legislazione concorrente della "tutela della salute" e della "ricerca scientifica", lo Stato, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, avrebbe dovuto limitarsi a porre i principi fondamentali del loro riordino, lasciando alle Regioni la relativa normativa specifica e di dettaglio. D'altra parte, secondo le difese regionali, l'intervento del legislatore statale non potrebbe radicarsi neanche nella competenza esclusiva in materia di "ordinamento e organizzazione amministrativa […] degli enti pubblici nazionali" (art. 117, secondo comma, lett. g)), in quanto quest'ultima non si riferirebbe a tutti gli enti che nel precedente riparto costituzionale erano soggetti alla potestà legislativa statale, ma esclusivamente a quelli che, anche nell'ambito del nuovo riparto, non possono che continuare a vivere quali enti nazionali "o perché operano in materie esse stesse riservate allo Stato (come ad esempio accade per la previdenza sociale) o perché fonti legittimate prevedano in altre materie l'esistenza di enti nazionali a tutela di interessi infrazionabili": alla stregua di tale ricostruzione, dunque, gli IRCCS, che non afferiscono a nessuna delle materie esclusive statali e che hanno sempre operato su base marcatamente territoriale, non potrebbero essere qualificati quali enti pubblici nazionali.

2.2.4.5. Art. 43

Tutti i ricorsi da ultimo citati, tranne quello della Regione Sicilia, hanno impugnato anche l'art. 43 della l. n. 3/2003 che, al fine di favorire la ricerca nazionale e internazionale e poter acquisire risorse anche a livello comunitario, il Ministro della salute, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, individua, con proprio decreto, l'organizzazione a rete degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico dedicati a particolari discipline. Tale disposizione, attribuendo allo Stato un potere regolamentare in materia di legislazione concorrente, sarebbe in contrasto con le previsioni di cui all'art. 117, sesto comma.

2.2.4.6. Art. 46

Infine, ancora una volta quattro ricorsi (i nn. 28 della Regione Abruzzo, 29 della Regione Toscana, 31 della Regione Veneto e 32 della Regione Emilia-Romagna) hanno ad oggetto l'art. 46 della l. n. 3/2003, dedicato alla semplificazione in materia farmaceutica. Tale disposizione, prevedendo una disciplina puntuale e dettagliata in tema di titolarità delle farmacie convenzionate e, in particolare, una sorta di "sanatoria" per quelle in gestione provvisoria (acquisibili dall'attuale gestore alla ricorrenza di determinati requisiti), sarebbe contraria all'art. 117, terzo comma, Cost., in quanto vertente nella materia della "tutela della salute".

2.2.5. La legge 14 febbraio 2003, n. 30 ("Delega legislativa al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro")

Il quinto gruppo di ricorsi riguarda quelli vertenti sulla legge 14 febbraio 2003, n. 30, recante la "Delega legislativa al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro" (nn. 41 della Regione Marche, 42 della Regione Toscana, 43 della Regione Emilia-Romagna, 44 della Provincia autonoma di Trento e 45 della Regione Basilicata). La legge in parola è stata censurata, anzitutto, laddove delega il Governo a stabilire i principi fondamentali in materia di disciplina dei servizi pubblici e privati per l'impiego di somministrazione di manodopera, fissando, quale principio e criterio direttivo della delega, la modernizzazione e razionalizzazione del sistema del collocamento pubblico secondo una disciplina incentrata sul sostegno dell'attività lavorativa femminile e giovanile, nonché del reinserimento dei lavoratori anziani, sulla disciplina del regime di autorizzazione o accreditamento per gli operatori privati, e, infine, sul mantenimento da parte dello Stato delle competenze in materia di conduzione coordinata ed integrata del sistema informativo lavoro (art. 1, commi 1 e 2, lett. b), punti 2, 3 e 4).
In secondo luogo, è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale della norma che delega il Governo ad emanare decreti legislativi per la revisione e la razionalizzazione dei rapporti di lavoro con contenuto formativo nel rispetto dei principi e criteri direttivi della valorizzazione dell'attività formativa svolta in azienda anche in una prospettiva di raccordo tra i sistemi della istruzione e della formazione e di passaggio da un sistema all'altro, della specializzazione del contratto di formazione e lavoro al fine di realizzare l'inserimento e il reinserimento mirato del lavoratore in azienda, riconoscendo nel contempo agli enti bilaterali e alle strutture pubbliche designate competenze autorizzatorie in materia, nonché della sperimentazione di orientamenti, linee-guida e codici di comportamento, al fine di determinare i contenuti dell'attività formativa, concordati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e territoriale, anche all'interno di enti bilaterali, ovvero, in difetto di accordo, determinati con atti delle Regioni, d'intesa con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali (art. 2, comma 1, lett. b) ed h)).
In terzo luogo, è stato impugnata la disposizione che delega il Governo ad emanare decreti legislativi per il riassetto della disciplina vigente sulle ispezioni in materia di lavoro nel rispetto del principio e criterio direttivo della razionalizzazione degli interventi ispettivi di tutti gli organi di vigilanza con attribuzione della direzione e del coordinamento operativo alle direzioni regionali e provinciali del lavoro (art. 8, commi 1 e 2, lett. g)).
In proposito le ricorrenti hanno dedotto prevalentemente la violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, Cost., poiché la disciplina statale contenuta nella legge di delega, entrando nel dettaglio dei settori oggetto della stessa delega, ostacolerebbe (l'esercizio del) la potestà legislativa concorrente delle Regioni in materia di "tutela e sicurezza del lavoro" e (a fortiori) lederebbe quella residuale in tema di 'formazione e istruzione professionale'.

2.2.6. Il decreto legge 18 febbraio 2003, n. 24 ("Disposizioni urgenti in materia di contributi in favore delle attività dello spettacolo") convertito con modificazioni nella legge n. 82/2003

Il sesto gruppo di ricorsi comprende, in realtà, soltanto il n. 52 della Regione Toscana, che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 del decreto legge 18 febbraio 2003, n. 24, recante "Disposizioni urgenti in materia di contributi in favore delle attività dello spettacolo", convertito con modificazioni nella legge n. 82/2003. Tale disposizione, secondo cui, in attesa che la legge di definizione dei principi fondamentali di cui all'art. 117 fissi i criteri e gli ambiti di competenza dello Stato, i criteri e le modalità di erogazione dei contributi alle attività dello spettacolo, previsti dalla legge n. 163/1985, e le aliquote di ripartizione annuale del Fondo unico per lo spettacolo (FUS) sono stabiliti annualmente con decreti del Ministero per i beni e le attività culturali non aventi natura regolamentare, è stata censurata per la violazione degli artt. 117 e 119 Cost. In particolare, con riferimento al primo parametro, la ricorrente ha dedotto il contrasto con il quarto comma della disposizione costituzionale, poiché l'art. 1 del d.l. n. 24/2003 atterrebbe alla materia 'spettacolo', di competenza residuale delle Regioni, in quanto non contenuta negli elenchi di cui al secondo ed al terzo comma dell'art. 117, e, in subordine, quello con il terzo comma della medesima norma, qualora la disciplina dello spettacolo dovesse essere ricondotta nella materia di legislazione concorrente della "promozione ed organizzazione delle attività culturali". In tale ultimo caso, infatti, la legge dello Stato, al contrario di quanto dispone la legge impugnata, dovrebbe dettare al legislatore regionale i principi fondamentali entro cui esercitare il proprio potere regolativo. D'altra parte, la norma impugnata, laddove precisa che essa viene dettata "in attesa che la legge di definizione dei principi fondamentali di cui all'art. 117 fissi i criteri e gli ambiti di competenza dello Stato […]", appare in contrasto con l'art. 117, terzo comma, anche per un ulteriore profilo: le leggi che determinano i principi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente, infatti, non sono abilitate a fissare i criteri e gli ambiti di competenza dello Stato, ma soltanto a porre quelle regole che garantiscano un'adeguata uniformità di trattamento su tutto il territorio nazionale.
Sempre in relazione all'art. 117, la Regione Toscana ha eccepito la violazione anche del sesto comma, per il quale lo Stato ha potestà regolamentare soltanto nelle materie di sua competenza esclusiva, poiché, nonostante l'art. 1 del d.l. impugnato affidi la fissazione dei criteri, delle modalità di erogazione e delle aliquote di ripartizione del FUS a decreti ministeriali non aventi natura regolamentare, il contenuto generale ed astratto che questi ultimi avranno li connoterà, indipendentemente dal nome che gli si è inteso attribuire, quali fonti regolamentari.
Infine, per quanto riguarda il parametro dell'art. 119 Cost., la Regione Toscana ha dedotto la violazione del principio del congruo finanziamento delle competenze regionali, costituzionalizzato nel nuovo art. 119, poiché la disposizione impugnata attribuisce allo Stato la disciplina delle modalità di erogazione diretta dei finanziamenti per attività inerenti ad una materia, quale lo spettacolo, di competenza regionale (invece di trasferire le risorse disponibili alle Regioni, cui poi compete, nell'esercizio della riconosciuta potestà legislativa nel settore, disciplinare con legge la procedura per l'erogazione delle risorse stesse agli aventi diritto).

2.2.7. La legge 7 marzo 2003, n. 38 ("Disposizioni in materia di agricoltura")

Il settimo gruppo di ricorsi comprende due atti introduttivi (i nn. 46 della Regione Toscana e 48 della Provincia autonoma di Trento) aventi ad oggetto la legge 7 marzo 2003, n. 38, recante "Disposizioni in materia di agricoltura", ovvero (specificatamente) la delega al Governo per emanare uno o più decreti legislativi volti a completare il processo di modernizzazione dei settori agricolo, della pesca, dell'acquacoltura, agroalimentare, dell'alimentazione e delle foreste (art. 1); la delega al Governo per l'emanazione di un decreto legislativo recante la revisione della disciplina in materia di produzione agricola e agroalimentare con metodo biologico (art. 2); la modifica dell'art. 59 della legge n. 488/1999 (già novellato con la legge n. 388/2000) al fine di istituire il Fondo per la ricerca nel settore dell'agricoltura biologica e di qualità (art. 3). Particolarmente pregnanti sembrano (alcune del) le molteplici censure mosse dalla Regione Toscana.
Anzitutto, quest'ultima ha impugnato l'art. 1, secondo comma, lett. b), poiché dispone, quale principio e criterio direttivo della delega, che il sistema di concertazione permanente fra Stato, Regioni e Province autonome di cui alla lettera precedente (riguardante la preparazione dell'attività dei Ministri partecipanti ai Consigli dell'Unione europea concernenti le materie di competenza concorrente con le Regioni e, per quanto occorra, le materie di competenza esclusiva delle Regioni medesime) abbia per oggetto anche l'esame di progetti regionali rilevanti ai fini della tutela della concorrenza, prevedendo a tale fine un apposito procedimento di notifica al Ministero competente, e che il Governo, qualora ritenga conforme alle norme nazionali in materia di concorrenza il progetto notificato, liberi le Regioni da ogni ulteriore onere, ne curi la presentazione e segua il procedimento di approvazione presso gli organismi comunitari.
Tale disposizione (peraltro impugnata anche dalla Provincia autonoma di Trento) sarebbe contraria all'art. 117, quarto comma, Cost., poiché in base al nuovo riparto di competenze delineato dalla riforma del Titolo V la materia dell'agricoltura, non essendo materia riservata alla competenza legislativa dello Stato (ai sensi del secondo comma della disposizione citata), né attribuita alla potestà legislativa concorrente Stato-Regioni (ai sensi del terzo comma della medesima norma), sarebbe rimessa alla potestà legislativa residuale delle Regioni. D'altra parte, premessa la considerazione che già sotto il previgente Titolo V l'erogazione da parte delle Regioni di finanziamenti (prevalentemente stanziati a livello comunitario) per incentivare la produzione agricola sono sempre stati notificati direttamente alla Commissione europea al fine di valutarne la compatibilità con il mercato comune, la lettera b) in parola, da un lato, esorbiterebbe dalla previsione di cui alla lett. e) del secondo comma dell'art. 117 e, dall'altro, violerebbe il quinto comma della stessa disposizione. Infatti, sotto il primo profilo, la competenza esclusiva dello Stato in materia di "tutela della concorrenza" comprenderebbe la disciplina di interventi volti a correggere eventuali fenomeni distorsivi - quali, ad esempio, l'abuso di posizione dominante o le concentrazioni di imprese - destinati a turbare il mercato, ma non quella di un esame puntuale del Ministero sui progetti regionali, con l'eventuale potere di veto sui progetti stessi, risolventesi in un controllo sulla singola azione della Regione. Sotto l'altro profilo, la prevista estromissione delle Regioni dalla fase di negoziazione con la Commissione europea in merito ai progetti regionali è apparsa fortemente lesiva delle loro attribuzioni in tema di attuazione del diritto comunitario nelle materie di propria competenza.
In secondo luogo, risultano fondamentalmente basate sulla violazione della competenza residuale delle Regioni in materia di 'agricoltura' ex art. 117, quarto comma, le censure mosse dalla Regione Toscana a molti degli ulteriori principi e criteri direttivi della delega di cui all'art. 1 della l. n. 38/2003: favorire l'accesso ai mercati finanziari delle imprese agricole, agroalimentari, dell'acquacoltura e della pesca (lett. i)); favorire l'insediamento e la permanenza dei giovani in agricoltura (lett. l)); rivedere la normativa per il supporto dello sviluppo dell'occupazione nel settore agricolo (lett. m)); ridefinire gli strumenti relativi alla tracciabilità, all'etichettatura e alla pubblicità dei prodotti alimentari e dei mangimi (lett. n)); prevedere strumenti di coordinamento, indirizzo e organizzazione delle attività di promozione dei prodotti del sistema agroalimentare italiano (lett. r)); favorire la promozione, lo sviluppo, il sostegno e l'ammodernamento delle filiere agroalimentari gestite direttamente dagli imprenditori agricoli per la valorizzazione sul mercato dei loro prodotti (lett. s)); riformare la disciplina dei controlli sull'attività di pesca marittima e del Fondo di solidarietà nazionale della pesca (lett. v) e z)); rivedere le attività di pesca e di acquacoltura, nonché le attività connesse a quelle di pesca (lett. aa)); semplificare i procedimenti amministrativi relativi ai rapporti fra imprese ittiche e pubblica amministrazione (lett. bb)); assicurare, in coerenza con le politiche generali, un idoneo supporto allo sviluppo occupazionale nel settore della pesca (lett. cc)); infine, individuare idonee misure tecniche di conservazione delle specie ittiche al fine di assicurare lo sviluppo sostenibile del settore della pesca e dell'acquacoltura e la gestione razionale delle risorse biologiche del mare (lett. dd)).
In terzo luogo, anche l'art. 2, sesto comma, della l. n. 38/2003 è stato censurato dalla Regione Toscana, laddove prevede che sugli schemi dei decreti legislativi riguardanti la revisione della disciplina in materia di produzione agricola e agroalimentare con metodo biologico sia acquisito il (mero) parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, in quanto sarebbe contrario al principio della garanzia della leale collaborazione tra Stato e Regioni, sotteso all'art. 11 della l.cost. n. 3/2001. Tale disposizione, infatti, prevedendo che la Commissione parlamentare per le questioni regionali, integrata con i rappresentanti delle autonomie territoriali, debba sempre esprimere un parere ad efficacia rinforzata su tutti i progetti di legge riguardanti le materie di legislazione concorrente e l'autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali, impone che gli interventi normativi statali che abbiano un'incidenza diretta su materie spettanti al legislatore regionale debbano seguire un procedimento di codecisione paritaria con le Regioni.
Infine, la Regione Toscana ha impugnato l'art. 3 della l. n. 38/2003, che disciplina l'istituzione, le finalità e la ripartizione del Fondo per la ricerca nel settore dell'agricoltura biologica e di qualità, rinviando ad un futuro decreto ministeriale la definizione delle modalità di funzionamento del Fondo stesso e la tipologia dei soggetti, dei progetti e delle spese ammissibili, in quanto sarebbe lesivo dell'autonomia finanziaria regionale di cui all'art. 119 Cost. e della competenza legislativa regionale in materia di agricoltura di cui all'art. 117, quarto comma, Cost. In particolare, la ricorrente ha rinnovato l'argomentazione (già usata nel citato ricorso n. 52 in materia di spettacolo) per la quale una disposizione che attribuisce allo Stato la disciplina delle modalità di erogazione diretta dei finanziamenti per attività inerenti ad una materia, quale l'agricoltura, di competenza regionale (invece di trasferire le risorse disponibili alle Regioni, cui poi compete, nell'esercizio della riconosciuta potestà legislativa nel settore, disciplinare con legge la procedura per l'erogazione delle risorse stesse agli aventi diritto, nonché le tipologie di soggetti e di progetti ammissibili) sarebbe lesiva del principio del congruo finanziamento delle competenze regionali.

2.2.8. Il decreto legge 28 marzo 2003, n. 49 ("Riforma della normativa interna di applicazione del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari") convertito con modifiche nella legge n. 119/2003

L'ottavo gruppo di ricorsi include esclusivamente il n. 57 della Regione Emilia-Romagna, avente ad oggetto i commi 42, 43, 44 e 45 dell'art. 10 del decreto legge 28 marzo 2003, n. 49 (recante "Riforma della normativa interna di applicazione del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari", convertito con modifiche nella legge n. 119/2003) in quanto ritenuti lesivi del principio di leale collaborazione in materia di disciplina del potere sostitutivo, costituzionalizzato dal nuovo art. 120, secondo comma, Cost. La normativa impugnata, infatti, attribuendo al Commissario straordinario, nominato dal Governo e dotato di funzioni di monitoraggio e di vigilanza sull'attuazione della legge, l'esercizio del potere sostitutivo nei confronti di tutte le pubbliche amministrazioni cui competono gli adempimenti previsti dalla legge, previa delibera del Consiglio dei ministri, ma in assenza di parere della Conferenza Stato-Regioni (richiesto unicamente ai fini dell'adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di nomina del Commissario straordinario), rispetterebbe solo formalmente il principio di leale collaborazione.

2.2.9. La legge 7 aprile 2003, n. 80 ("Delega al Governo per la riforma del sistema fiscale statale")

Anche il nono gruppo di ricorsi è costituito da un unico atto, il n. 53 della Regione Toscana, con cui è stata sollevata la questione di costituzionalità degli artt. 8 e 10, quarto e quinto comma, della legge 7 aprile 2003, n. 80 (contenente la "Delega al Governo per la riforma del sistema fiscale statale"), in quanto, delegando (il primo) il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi per la graduale eliminazione dell'IRAP e richiamando (il secondo) la soppressione di quest'ultima, lederebbero le competenze regionali costituzionalmente garantite dagli artt. 117 e 119 Cost. La ricorrente, in particolare, premettendo anche in tal caso (come nel già citato ricorso n. 15) il richiamo a quel consolidato orientamento della Corte costituzionale per cui l'IRAP, già prima della riforma del Titolo V, si configurava come un tributo proprio delle Regioni e precisando che, a seguito di quest'ultima, la materia del sistema tributario delle Regioni e degli enti locali rientra nella competenza legislativa residuale delle Regioni di cui all'art. 117, quarto comma, comprimibile da parte dello Stato soltanto mediante la posizione dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (di cui agli artt. 119, secondo comma e 117, terzo comma), ha concluso che lo Stato avrebbe ormai perso il potere di emanare disposizioni istitutive, modificative o soppressive di tributi regionali.

2.2.10. La legge 5 giugno 2003, n. 131 ("Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3")

2.2.10.1. Art. 1, quarto, quinto e sesto comma

Il decimo gruppo di ricorsi comprende quelli vertenti sulla legge 5 giugno 2003, n. 131 (recante "Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3", c.d. "La Loggia", dal nome del Ministro proponente), che è stata impugnata sotto molteplici profili da tre Regioni ad autonomia speciale (Sardegna, Valle d'Aosta e Sicilia) e dalle Province autonome di Trento e Bolzano, prevalentemente sulla base del (comune) presupposto dell'applicazione dell'art. 10 della l.cost. n. 3/2001. In particolare, l'art. 1, quarto, quinto e sesto comma, della legge "La Loggia", laddove delega il Governo ad adottare entro un anno "uno o più decreti legislativi meramente ricognitivi dei principi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti, nelle materie previste dall'articolo 117, terzo comma, della Costituzione", nel rispetto dei principi di esclusività, adeguatezza, chiarezza, proporzionalità ed omogeneità e di una serie di criteri direttivi elencati nelle lettere da a) ad e) del successivo comma sesto, e consente che in tali decreti legislativi possano essere individuate anche "le disposizioni che riguardano le stesse materie ma che rientrano nella competenza esclusiva dello Stato a norma dell'articolo 117, secondo comma, della Costituzione", è stato censurato dalle Regioni Sardegna (ricorso n. 61) e Valle d'Aosta (limitatamente al quarto comma dell'art. 1 cit. - ricorso n. 62) e dalla Provincia autonoma di Bolzano (ricorso n. 59), in quanto ritenuto lesivo della riserva di legge formale del Parlamento e della relativa riserva di Assemblea, previste dall'art. 11, secondo comma, della l.cost. n. 3/2001. Secondo le ricorrenti, infatti, tale disposizione, prevedendo che i progetti di legge riguardanti le materie di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. debbano essere esaminati dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali integrata con i rappresentanti delle Regioni, delle Province autonome e degli enti locali, e che, qualora la Commissione in sede referente non si adegui al parere della Commissione per le questioni regionali, l'Assemblea deliberi a maggioranza assoluta dei suoi componenti, imporrebbe che l'individuazione dei principi fondamentali di cui al terzo comma dell'art. 117 venga effettuata dal Parlamento e non dal Governo mediante delega legislativa.

2.2.10.2. Art. 5, primo e secondo comma

La Regione Sardegna e la Provincia autonoma di Bolzano hanno impugnato nei medesimi ricorsi anche gli artt. 5, primo e secondo comma, 6, 7, primo comma, e 8, dal comma primo al quarto, della legge "La Loggia". Specificatamente, il primo comma dell'art. 5 cit. (rubricato "Attuazione dell'art. 117, comma 5, della Costituzione sulla partecipazione delle Regioni in materia comunitaria"), prevedendo che la disciplina più specifica della partecipazione delle Regioni alla fase c.d. "ascendente" dei processi di decisione comunitaria sia rimessa alla Conferenza Stato-Regioni, violerebbe non solo il terzo comma dell'art. 117, poiché legittima lo Stato ad intervenire in modo invasivo nella materia di legislazione concorrente dei "rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni", ma anche il quinto comma della medesima disposizione costituzionale: laddove quest'ultimo prevede il diritto delle Regioni di concorrere in modo decisivo ed efficace alla fase "ascendente" dei processi comunitari, la norma impugnata si limita a disporre che tale partecipazione avvenga nell'ambito delle delegazioni del Governo, senza introdurre alcuna ulteriore garanzia. D'altra parte, gli stessi parametri costituzionali sono ritenuti violati dal secondo comma dell'art. 5 che, invece di riconoscere alle Regioni un canale di accesso alla Corte di giustizia per far valere, tramite il Governo, eventuali illegittimità degli atti normativi comunitari, si limita ad attribuire al Governo la facoltà di proporre l'azione richiesta dalle Regioni, rimettendola alla sua più assoluta discrezionalità (vincolata esclusivamente allorché la richiesta della Conferenza Stato-Regioni sia stata approvata a maggioranza assoluta delle Regioni e Province autonome).

2.2.10.3. Art. 6

L'art. 6 della legge "La Loggia", recante norme sull'attività internazionale delle Regioni, è stata censurata in quanto ritenuta lesiva delle competenze regionali di cui agli artt. 117, terzo (sub specie "rapporti internazionali […] delle Regioni") e nono comma, la cui lettura sistematica, secondo le ricorrenti, imporrebbe che la legge statale di disciplina dei casi e delle forme in cui le Regioni possono procedere alla stipula di accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato si limiti a dettare norme di principio, che lascino alle Regioni il dovuto margine per l'esercizio del proprio potere legislativo. La disposizione impugnata, invece, prevedendo (tra l'altro) una complessa procedura di comunicazione dei negoziati alla Presidenza del Consiglio ed al Ministero degli affari esteri (attributario del potere di fissare principi e criteri da seguire nelle trattative), nonché, qualora queste ultime si svolgano all'estero, di collaborazione delle rappresentanze diplomatiche e degli uffici consolari italiani, pretende di introdurre una disciplina specifica, compiuta ed analitica sul tema dei rapporti internazionali delle Regioni.

2.2.10.4. Art. 7, primo comma

Il primo comma dell'art. 7 ("Attuazione dell'art. 118 della Costituzione in materia di esercizio delle funzioni amministrative") della l. n. 131/2003, il quale - con riferimento a quanto stabilito dal primo comma del nuovo art. 118 Cost. circa l'attribuzione ai Comuni delle funzioni amministrative - stabilisce che "Lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono a conferire le funzioni amministrative da loro esercitate alla data di entrata in vigore della presente legge, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, attribuendo a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato soltanto quelle di cui occorra assicurare l'unitarietà di esercizio […], è ritenuto lesivo delle (aumentate) competenze della Regione Sardegna e della Provincia autonoma di Bolzano (legislative e, parallelamente, in base agli artt. 6 dello statuto sardo e 16 di quello altoatesino, amministrative) per l'improprietà e l'ambiguità della sua formulazione. Secondo le ricorrenti, infatti, poiché molte delle funzioni amministrative statali passate (per effetto della riforma del Titolo V) nella titolarità delle Regioni e delle Province autonome sono di fatto ancora "esercitate" dallo Stato, la disposizione impugnata consentirebbe allo Stato di conferire ad altri enti funzioni amministrative ormai di competenza regionale, di cui esso non è più titolare, ma che di fatto ancora esercitava alla data di entrata in vigore della legge "La Loggia".

2.2.10.5. Art. 8, commi 1-4

I primi quattro commi dell'art. 8 ("Attuazione dell'articolo 120 della Costituzione sul potere sostitutivo") della l. n. 131/2003 sono stati impugnati dalla Regione Sardegna e dalla Provincia autonoma di Bolzano per la violazione (oltre che degli artt. 70 e 77 Cost.) delle competenze regionali e provinciali di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. In sintesi, la disciplina de qua prevede che "nei casi e per le finalità previsti dall'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, il Presidente del Consiglio dei ministri […] assegna all'ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari" e che, decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri (cui partecipa il Presidente della Giunta regionale della Regione interessata al provvedimento), sentito l'organo interessato, "[…] adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario". E' poi previsto che "nei casi di assoluta urgenza, qualora l'intervento sostitutivo non sia procrastinabile senza mettere in pericolo le finalità tutelate dall'articolo 120 della Costituzione, il Consiglio dei ministri […] adotta i provvedimenti necessari", i quali vengono immediatamente comunicati alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza Stato-Città e autonomie locali (allargata ai rappresentanti delle Comunità montane), che possono chiederne il riesame. A parere delle ricorrenti, nella denegata ipotesi in cui ai menzionati provvedimenti normativi necessari fosse riconosciuta la natura di atti di normazione primaria, essi dovrebbero essere (solo parzialmente) assimilati ai decreti legge (anche per l'assonanza del nomen con i "provvedimenti provvisori con forza di legge" previsti appunto dall'art. 77 Cost.): in tale prospettiva, la normativa impugnata sembrerebbe non solo pretendere di istituire un nuovo tipo di atto con forza di legge del Governo, non previsto dalla Costituzione, configurandolo per di più in modo assai diverso (sia per i presupposti che per la procedura di "conversione") dal modello del decreto legge di cui all'articolo 77 della Costituzione, ma anche, attribuendo al Governo (sia pure in via sostitutiva) un siffatto potere legislativo su materie innominate, risolversi in un'autorizzazione permanente per lo stesso a derogare agli elenchi di materie dell'art. 117 Cost. ed in uno svuotamento della garanzie delle competenze legislative regionali e provinciali che ivi è stabilita.

2.2.10.6. Art. 10, quinto comma

L'ultima delle disposizioni della legge "La Loggia" censurate è il quinto comma dell'art. 10 ("Rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie"), ai sensi del quale nelle Regioni speciali (e quindi anche nelle Province autonome) le funzioni concernenti l'esecuzione di provvedimenti sostitutivi del Consiglio dei ministri ex art. 120, secondo comma, Cost. siano svolte "dagli organi statali a competenza regionale previsti dai rispettivi statuti, con le modalità definite da apposite norme di attuazione". Tale disposizione è stata impugnata, oltre che per la violazione delle competenze regionali di cui agli statuti speciali (in particolare, nei ricorsi nn. 61 e 62 delle Regioni, rispettivamente, Sardegna e Valle d'Aosta), anche perché ritenuto contrastante con l'art. 10 della l.cost. n. 3/2001 (nel ricorso n. 58 della Provincia autonoma di Trento) e con l'art. 120, secondo comma, Cost. (nel ricorso n. 60 della Regione Sicilia). In particolare, la Provincia autonoma di Trento ha argomentato che la disciplina generale del potere sostitutivo di cui all'art. 120, secondo comma, non riguarderebbe le Regioni speciali e le Province autonome, poiché ai sensi dell'art. 10 della l.cost. 3/2001 le nuove disposizioni del Titolo V si applicano ad esse solo per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie di quelle già attribuite e, dunque, non per la parte in cui prevedono (all'art. 120, secondo comma, appunto) un potere statale (quale quello sostitutivo) riduttivo del livello di autonomia delle Regioni speciali. La Regione Sicilia, oltre ad aver usato in via preliminare tale ultima argomentazione, nel merito ha eccepito che la disposizione impugnata sarebbe comunque lesiva dei principi costituzionali di sussidiarietà e di leale collaborazione richiamati dal medesimo art. 120, secondo comma, Cost., in quanto essa avrebbe dovuto attribuire ogni competenza in ordine all'esecuzione dei provvedimenti del Consiglio dei ministri costituenti esercizio del potere sostitutivo alla Regione e, per essa, al suo Presidente, piuttosto che ad "organi statali a competenza regionale" (che, peraltro, sarebbero difficilmente individuabili nel tessuto normativo dello statuto siciliano).

2.2.11. Il decreto legge 27 giugno 2003, n. 151 ("Modificazioni ed integrazioni del codice della strada"), convertito con modificazioni nella legge n. 214/2003

L'undicesimo gruppo di ricorsi comprende, in realtà, un unico atto introduttivo, il n. 74 della Provincia autonoma di Bolzano, con cui sono state impugnate una (cospicua) serie di disposizioni del decreto legge 27 giugno 2003, n. 151, recante "Modificazioni ed integrazioni del codice della strada", convertito con modificazioni nella legge n. 214/2003. Le censure si sono appuntate sulle disposizioni che individuano i corpi ed i servizi cui spetta l'espletamento dei servizi di polizia stradale, nonché il personale che può effettuare servizi di scorta per la sicurezza della circolazione ed i conseguenti servizi diretti a regolare il traffico (art. 1, commi 1 ed 1-bis); che determinano le lingue che possono essere utilizzate nei segnali di localizzazione territoriale del confine del comune (art. 1, comma 2-ter); che demandano al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di stabilire il procedimento per il rilascio del duplicato delle carte di circolazione (art. 2, comma 5, lett. b)); che dettano norme di condotta per la guida (art. 3, commi 6, lett. a), 7, lett. a) e d), 8, 9, 10, lett. a), 11, lett. a) e b), 16, lett. b), c), d), ed e)); che attribuiscono al Prefetto poteri nell'ambito dei procedimenti sanzionatori delle infrazioni alle norme del codice della strada (art. 3, comma 19, lett. b); art. 4, commi 1, lett. c-bis), 1-bis, 1-ter, 1-quinquies, 1-octies; artt. 5 e 6); che attribuiscono le somme dovute a titolo di sanzione all'amministrazione cui appartiene l'organo accertatore (art. 4, comma 1-septies); infine, che disciplinano i poteri degli organi di polizia stradale per l'accertamento dello stato di ebbrezza e dello stato di alterazione psico-fisica per l'utilizzo di sostanze stupefacenti, prescrivendo che essi debbano operare secondo le direttive fornite dal Ministero dell'interno (artt. 5 e 6). Tale disciplina è stata impugnata in quanto ritenuta lesiva non solo delle competenze provinciali fissate nello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, ma anche di quelle acquisite dalla Provincia autonoma per effetto del combinato disposto degli artt. 10 della l.cost. n. 3/2001 e 117 Cost. In particolare, secondo la ricorrente, poiché la disciplina impugnata riguarda la materia della circolazione stradale, che non rientra in nessuno dei due elenchi di materie di cui al secondo ed al terzo comma dell'art. 117, sarebbe stata violata la competenza legislativa residuale delle Regioni e Province di cui all'art. 117, quarto comma.
D'altra parte, la Provincia autonoma di Bolzano si è preoccupata di contestare anche l'eventuale "aggancio" della materia de qua alle lettere h) ed l) dell'art. 117, secondo comma, che attrarrebbero la circolazione stradale nella potestà legislativa esclusiva dello Stato. Con riguardo alla prima ipotesi, infatti, si è eccepito che la nozione di "ordine pubblico e sicurezza" si riferisce non già alla circolazione stradale, né alla prevenzione degli incidenti automobilistici, ma piuttosto all'esigenza di garantire la pacifica convivenza rispetto ad atti di violenza, disordini o altri atti penalmente rilevanti; quanto alla seconda ipotesi, si è rilevato che la riconduzione della disciplina in parola alle materie "giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa" può valere esclusivamente per le norme relative all'impugnazione giurisdizionale delle sanzioni amministrative, ma non certo per quelle relative alla loro irrogazione o alle altre funzioni della polizia stradale.

2.2.12. Il decreto legislativo 10 agosto 2003, n. 259 ("Codice delle comunicazioni elettroniche")

Il dodicesimo gruppo di ricorsi comprende i nn. 79 della Regione Toscana e 80 della Regione Marche, che hanno ad oggetto una serie di articoli del decreto legislativo 10 agosto 2003, n. 259 (contenente il "Codice delle comunicazioni elettroniche"), di attuazione della delega contenuta nell'art. 41 della l. n. 166/2002 per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di telecomunicazioni. Specificatamente, il decreto de quo è stato impugnato da entrambe le Regioni negli artt. 86 ("Infrastrutture di comunicazione elettronica e diritti di passaggio"), 87 ("Procedimenti autorizzatori relativi alle infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici"), 88 ("Opere civili, scavi ed occupazione di suolo pubblico"), 89 ("Coubicazione e condivisione di infrastrutture"), 93 ("Divieto di imporre altri oneri"), 95 ("Impianti e condutture di energia elettrica - Interferenze"), nonché nell'allegato n. 13 (richiamato dall'art. 87 cit.). Secondo le ricorrenti, la materia disciplinata da tali disposizioni, riguardante l'installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica, non rientrerebbe in alcuna di quelle riservate allo Stato dall'art. 117, secondo comma, Cost., bensì nella competenza legislativa concorrente (art. 117, terzo comma), sub species "ordinamento della comunicazione" (per la natura degli impianti), "governo del territorio" (per tutti i numerosi aspetti connessi alla localizzazione degli impianti e delle opere), "tutela della salute" (per i numerosi aspetti connessi all'esercizio degli impianti e delle opere), oppure nella competenza legislativa residuale delle Regioni (art. 117, quarto comma), sub species 'urbanistica', 'edilizia', 'lavori pubblici', nonché 'industria e commercio'. Alla stregua di tale impostazione la normativa impugnata sarebbe costituzionalmente illegittima, in quanto il legislatore statale, oltre ad aver invaso senza alcun titolo alcune competenze residuali delle Regioni, avrebbe dettato una disciplina procedimentale minuziosa, dettagliata e autoapplicativa, invece di limitarsi alla produzione di principi fondamentali della materia rivolti al legislatore regionale.
D'altra parte, le disposizioni impugnate violerebbero anche l'art. 118 Cost., laddove attribuiscono direttamente agli enti locali l'esercizio di funzioni amministrative, disciplinandone il relativo procedimento. Ai sensi del parametro costituzionale invocato, infatti, nelle materie di competenza (concorrente o residuale) delle Regioni spetta a queste ultime e non allo Stato conferire agli enti locali le funzioni amministrative, disciplinandone i relativi procedimenti. In tale prospettiva le ricorrenti si sono preoccupate anche di prevenire l'eventuale obiezione (fondata sulla sentenza della Corte costituzionale n. 303/2003), per la quale, nei casi in cui la sussidiarietà legittima l'attrazione in capo allo Stato di funzioni amministrative in materie soggette a potestà legislativa concorrente, spetta ad esso la disciplina delle funzioni medesime: nel caso di specie, infatti, lo Stato non ha deciso di allocare a se stesso funzioni amministrative in materia di competenza regionale, bensì le ha direttamente attribuite agli enti locali.

2.2.13. Il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 ("Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla l. 14 febbraio 2003, n. 30")

2.2.13.1. Art. 3, secondo comma

Il tredicesimo gruppo di ricorsi include quattro atti (nn. 92 della Regione Marche, 93 della Regione Toscana, 94 della Regione Emilia-Romagna e 95 e della Provincia autonoma di Trento) vertenti sul decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, che, attuando le deleghe in materie di occupazione e mercato del lavoro di cui alla (citata) legge n. 30/2003, ha introdotto nuove disposizioni in tema di servizi per l'impiego, intermediazione e interposizione privata nella somministrazione di lavoro, contratti a contenuto formativo, tirocinio, nonché lavoro a tempo parziale e occasionale di tipo accessorio. Limitandosi all'esame dei ricorsi delle tre Regioni ordinarie, va rilevato come le censure (comuni) abbiano investito ben sette disposizioni del d.lgs. n. 276/2003. In particolare, l'art. 3, secondo comma, stabilendo che resta fermo il mantenimento alle Province delle funzioni amministrative loro attribuite dal d.lgs. n. 469/1997 in tema di mercato del lavoro, violerebbe il combinato disposto degli artt. 117, terzo comma, e 118, secondo comma, Cost., per il quale nelle materie regionali (quale è quella del mercato del lavoro, rientrante nella "tutela e sicurezza del lavoro") compete alle Regioni con propria legge operare l'allocazione delle funzioni amministrative in capo agli enti locali nel rispetto dei criteri stabiliti dall'art. 118, primo comma.

2.2.13.2. Art. 4, primo, secondo e quinto comma

L'art. 4 del d.lgs. n. 276/2003, istituendo presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un apposito albo delle agenzie per il lavoro ai fini dello svolgimento delle attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale, nonché di supporto alla ricollocazione professionale (primo comma), e riservando al medesimo Ministero l'autorizzazione all'esercizio delle predette attività con efficacia per l'intero territorio nazionale (secondo comma), violerebbe gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., in quanto, invece di limitarsi a porre principi fondamentali in materia di "tutela e sicurezza del lavoro", introduce un meccanismo di autorizzazione normato e gestito dallo Stato, senza che ricorrano le due condizioni che, secondo l'insegnamento della Corte costituzionale espresso nella sentenza n. 303/2003, costituiscono presupposti indispensabili affinché il principio di sussidiarietà legittimi l'allocazione allo Stato di funzioni amministrative in materia regionale: la espressa e puntuale motivazione delle esigenze di esercizio unitario delle funzioni medesime ed il rispetto di un procedimento di "codecisione paritaria" con le Regioni.
D'altra parte, lo stesso articolo, laddove attribuisce alla potestà regolamentare del Ministro del lavoro e delle politiche sociali la disciplina delle modalità della richiesta di autorizzazione, i criteri per la verifica del corretto andamento della attività svolte, i criteri e le modalità di revoca della autorizzazione, nonché ogni altro profilo relativo alla organizzazione e alle modalità di funzionamento dell'albo delle agenzie per il lavoro (quinto comma), sarebbe contraria anche al disposto dell'art. 117, sesto comma, Cost. che riconosce potestà regolamentare allo Stato soltanto nelle materie di propria competenza esclusiva.

2.2.13.3. Art. 6, sesto, settimo e ottavo comma

L'art. 6 del d.lgs. n. 276/2003 (rubricato "Particolari regimi di autorizzazione"), laddove disciplina la possibilità per le Regioni di concedere autorizzazioni per svolgimento delle attività di intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione professionale, con esclusivo riferimento al proprio territorio, disciplinando il procedimento per il loro rilascio e rimettendo al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, d'intesa con la Conferenza unificata, la definizione delle modalità di costituzione di una sezione regionale dell'albo nazionale (sesto, settimo e ottavo comma), sarebbe anch'esso lesivo delle competenze regionali: sia di quella legislativa concorrente di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. sia di quelle regolamentari ed amministrative di cui agli artt. 117, sesto comma, e 118 Cost. La disposizione de qua, infatti, disciplina esaurientemente funzioni amministrative afferenti alla "tutela e sicurezza del lavoro", sottraendo alle Regioni la possibilità di un esercizio coerente della propria competenza legislativa e condizionando anche l'esercizio delle funzioni regolamentari ed amministrative loro spettanti.

2.2.13.4. Art. 48

L'art. 48 del d.lgs. n. 276/2003, che individua una dettagliata disciplina del contratto di "apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione", stabilendo il limite di età dei giovani che possono essere assunti, la durata del contratto, i principi che ne disciplinano la stipulazione, i principi e criteri direttivi che devono guidare la "regolamentazione dei profili formativi" dell'apprendistato, da parte delle Regioni, d'intesa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sarebbe lesivo delle competenze legislative, regolamentari ed amministrative delle Regioni non solo qualora venisse ricondotto alla materia (di competenza residuale regionale) dell''istruzione e formazione professionale', ma anche nell'ipotesi in cui esso fosse ritenuto afferire alle politiche attive del lavoro e, dunque, alla materia (di competenza concorrente) della "tutela e sicurezza del lavoro", nella quale la normativa di dettaglio è riservata alle Regioni.

2.2.13.5. Artt. 49 e 50

Le medesime censure sono state mosse agli artt. 49 e 50 del d.lgs. n. 276/2003: al primo, in quanto esso detta una disciplina esaustiva del contratto di "apprendistato professionalizzante", stabilendo l'età dei soggetti che possono essere assunti, la durata del contratto, i principi che ne disciplinano la stipulazione, i principi e criteri direttivi che devono guidare la "regolamentazione dei profili formativi", da parte delle Regioni, d'intesa con le associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano regionale; all'art. 50, in quanto esso disciplina in maniera completa il contratto di "apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione", rimettendo la regolamentazione e la durata dell'apprendistato, per i profili attinenti la formazione, alle Regioni, d'intesa con le associazioni territoriali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro, le università e le altre istituzioni formative.

2.2.13.6. Art. 60

Assai simile, del resto, è la censura mossa all'art. 60 del d.lgs. n. 276/2003, che disciplina i "tirocini estivi di orientamento", promossi durante le vacanze estive per adolescenti o giovani iscritti all'università o ad un istituto scolastico, con fini orientativi e di addestramento pratico, stabilendo la durata massima e il periodo dei medesimi, l'importo massimo delle borse di lavoro eventualmente erogate al tirocinante, nonché le disposizioni applicabili in materia. Infatti, tale disciplina, in quanto rientrante nelle politiche attive del lavoro e, quindi, nella materia (di competenza concorrente) della "tutela e sicurezza del lavoro", sarebbe lesivo delle competenze legislative, regolamentari ed amministrative delle Regioni, poiché, invece di limitarsi a porre principi fondamentali, non lascerebbe alcuno spazio normativo per il legislatore regionale, né consentirebbe alcun coinvolgimento delle Regioni nello svolgimento delle funzioni amministrative connesse ai tirocini di orientamento.

2.2.14. Il decreto legge 30 settembre 2003, n. 269 ("Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici"), convertito con modificazioni nella legge n. 326/2003

Il quattordicesimo gruppo di ricorsi consta di sette atti introduttivi (i nn. 76 della Regione Campania, 81 della Regione Marche, 82 della Regione Toscana, 83 della Regione Emilia-Romagna, 87 della Regione Umbria, 89 della Regione Friuli-Venezia Giulia, 90 della Regione Basilicata) aventi ad oggetto l'art. 32 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269 ("Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici"), il quale, dopo la proposizione del ricorso in parola, è stato convertito con modificazioni nella legge n. 326/2003 e ulteriormente modificato dalla legge n. 350/2003 (legge finanziaria 2004). Il menzionato art. 32, sotto la rubrica "Misure per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l'incentivazione dell'attività di repressione dell'abusivismo edilizio, nonché per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni di aree demaniali", ha introdotto disposizioni di "sanatoria" edilizia, riaprendo i termini concessi per l'ottenimento del condono con un espresso rinvio, per quanto non previsto dal decreto, alla disciplina della legge n. 47/1985.
Le impugnative regionali, pur riferite all'intero art. 32, si sono specificatamente appuntate su tutte quelle disposizioni che in maniera più immediata tracciano le modalità di svolgimento del ("nuovo") condono edilizio: quelle che ne delineano l'impianto generale (primo, secondo, terzo e quinto comma); quelle che contemplano ipotesi particolari (dal comma 14 al 23); quelle che individuano i modi di operatività della disposta sanatoria (dal comma 25 al 31); e, infine, quelle che definiscono i procedimenti funzionali alla realizzazione e attuazione del condono medesimo (dal comma 32 al 50).
Tra le moltissime censure di incostituzionalità che hanno investito tali disposizioni se ne segnalano in particolare due, in quanto direttamente derivanti dalla riforma del Titolo V. Anzitutto, la normativa sul condono edilizio violerebbe l'art. 117 Cost., sia qualora si ritenesse che la materia urbanistica, non rientrando in quella (concorrente) del "governo del territorio", debba essere ricondotta alla potestà legislativa residuale delle Regioni (poiché in tal caso l'intervento statale sarebbe sine titulo), sia qualora si ritenesse che essa sia assorbita dalla nozione di "governo del territorio" (poiché in tal caso lo Stato dovrebbe limitarsi a porre i principi fondamentali piuttosto che intervenire con una disciplina - quale quella del decreto legge de quo - puntuale ed esaustiva).
In secondo luogo, le ricorrenti hanno dedotto l'illegittima compressione dell'autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali garantita dal (nuovo) art. 119 Cost.: atteso che verosimilmente tali enti dovranno far fronte a spese per l'urbanizzazione ed il recupero ambientale che gli oneri di urbanizzazione posti a carico dei beneficiari del condono copriranno solo parzialmente, la disciplina impugnata finirebbe per imporre agli enti territoriali l'impegno di somme per determinate finalità piuttosto che per altre o la necessità di recuperare entrate ulteriori per far fronte alle nuove spese.

2.2.15. Il decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288 ("Riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, a norma dell'articolo 42, comma 1, della legge 16 gennaio 2003, n. 3")

L'ultimo gruppo di ricorsi delle Regioni per questione di legittimità costituzionale comprende i nn. 96 della Regione Marche e 98 della Regione Sicilia, i quali, avendo ad oggetto il decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288 (intitolato "Riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, a norma dell'articolo 42, comma 1, della legge 16 gennaio 2003, n. 3"), sono collegati ai ricorsi nn. 30 e 34, già precedentemente esaminati. Peraltro, mentre la Regione Sicilia ha impugnato il decreto legislativo nel suo complesso, la Regione Marche ha puntualmente e dettagliatamente individuato le norme di esso ritenute incostituzionali: l'art. 1, secondo comma (che attribuisce alle Regioni le funzioni legislative e regolamentari connesse alle attività di assistenza e ricerca svolte dagli IRCCS, riservando al Ministero della salute le funzioni di vigilanza e controllo in tale materia); l'art. 2, primo, secondo e terzo comma (che, rispettivamente, prevedono la possibilità di trasformare gli IRCCS in fondazioni, la regolamentazione della partecipazione a tali fondazioni, nonché la durata illimitata delle medesime e la disciplina della successione nei rapporti a seguito della trasformazione); l'art. 7, primo, secondo, terzo e quarto comma (che, rispettivamente, disciplinano la composizione del patrimonio, l'individuazione dei ricavi, il tipo di contabilità e la redazione dello stato patrimoniale delle "Fondazioni IRCCS" e degli "Istituti non trasformati"); l'art. 8 (che definisce e disciplina le funzioni di ricerca e di assistenza delle "Fondazioni IRCCS" e degli "Istituti non trasformati"); l'art. 11, primo e secondo comma (che disciplinano, rispettivamente, la tipologia di rapporto di lavoro ed il trattamento economico del personale delle "Fondazioni IRCCS" ed il trattamento giuridico ed economico del personale degli "Istituti non trasformati"); infine, l'art. 12, secondo comma (che dispone in tema di procedure di assunzione di personale degli IRCCS di diritto privato).
Secondo le ricorrenti, tale disciplina lederebbe le competenze legislative, regolamentari ed amministrative delle Regioni sancite dagli artt. 117, terzo e sesto comma e 118, primo e secondo comma, Cost., in quanto il settore degli IRCCS sarebbe riconducibile in parte alla materia (di competenza concorrente) della "tutela della salute", in parte a quella (sempre di competenza concorrente) della "ricerca scientifica", in cui lo Stato (diversamente da quanto fatto nel caso di specie) deve limitarsi a porre i principi fondamentali della materia, senza sottrarre alle Regioni la possibilità di un esercizio coerente delle loro competenze legislative e condizionare l'esercizio delle funzioni regolamentari ed amministrative loro spettanti.


3. Profili "qualitativi" del contenzioso per i conflitti di attribuzione

3.1. I ricorsi dello Stato

Come accennato, dei 12 ricorsi per conflitti intersoggettivi fondati sulle nuove disposizioni del Titolo V soltanto uno è stato proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri per lo Stato, mentre ben 11 sono dovuti all'iniziativa delle Regioni o Province autonome (uno dei quali, peraltro, è stato già definito dalla Corte costituzionale).
L'unico conflitto di attribuzione sollevato dalla Stato (ricorso n. 36) ha ad oggetto la deliberazione 30 settembre 2003, n. 2827, della Giunta della Regione Campania (intitolata "Integrazione alle linee guida per la pianificazione territoriale in Campania"), che ha aggiunto alle linee guida approvate con la deliberazione 30 settembre 2002, n. 4459, una prescrizione (rubricata "Divieto di sanatoria"), ai sensi della quale "[…] non è ammessa la sanatoria delle opere edilizie realizzate in assenza dei necessari titoli abilitativi, ovvero in difformità o con variazioni essenziali rispetto a questi ultimi, e che siano in contrasto con gli strumenti urbanistici generali vigenti". Secondo la difesa erariale, tale deliberazione, mirante ad indurre dirigenti e/o amministratori locali a disapplicare l'art. 32 del d.l. n. 269/2003 (in materia, come visto, di "sanatoria" edilizia), sarebbe lesiva delle competenze legislative dello Stato, poiché avrebbe ignorato non solo l'insegnamento della Corte costituzionale per cui nella materia concorrente del "governo del territorio" "lo Stato ha mantenuto la disciplina dei titoli abilitativi come appartenente alla potestà di dettare i principi della materia" (sentenza n. 303/2003), ma anche che il citato art. 32 poggia sull'art. 117, secondo comma, lett. l) (sub species "ordinamento penale" e anche - seppure indirettamente - "ordinamento civile"), sul congiunto disposto degli artt. 81, primo e quarto comma, e 119, secondo comma, nonché sull'art. 120, secondo comma, Cost.

3.2. I ricorsi delle Regioni e delle Province autonome: ordinati per parametro

3.2.1. L'art. 117 Cost.

I dieci ricorsi per conflitto di attribuzione delle Regioni e delle Province autonome pendenti davanti alla Corte costituzionale possono essere classificati in tre gruppi, tenendo conto del parametro costituzionale invocato.
Due ricorsi, i nn. 9 e 35 della Provincia autonoma di Bolzano, sono incentrati prevalentemente sull'art. 117 Cost. In particolare, con il secondo dei due ricorsi citati la Provincia autonoma di Bolzano ha impugnato l'ordinanza 9 settembre 2003 del Ministro della salute, avente ad oggetto la "Tutela dell'incolumità pubblica dal rischio di aggressioni da parte di cani potenzialmente pericolosi", in quanto lesiva non solo della competenza regolamentare in materia di igiene e sanità attribuitale dallo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, ma anche di quella nella materia (concorrente) della "tutela della salute" attribuitale dal combinato disposto degli artt. 117, terzo e sesto comma, Cost. e 10 della l.cost. n. 3/2001.
Analogamente, con il ricorso n. 9 la Provincia autonoma di Bolzano ha impugnato il decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero per le parità opportunità, del 30 dicembre 2002 (recante "Nomina diretta delle consigliere/i di parità effettive/i e/o supplenti per varie regioni e province"), nella parte in cui con esso è stato indetto il bando per la nomina diretta delle consigliere/i di parità effettive/i e supplenti anche per la Provincia di Bolzano. Secondo quest'ultima, infatti, posto che in base alla disciplina vigente le consigliere ed i consiglieri di parità "svolgono funzioni di promozione e controllo dell'attuazione dei principi di eguaglianza di opportunità e non discriminazione per donne e uomini nel lavoro" (art. 1, secondo comma, del d.lgs. n. 196/2000), tale decreto sarebbe lesivo, anzitutto, delle competenze legislative e amministrative in materia di lavoro attribuitele dallo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, estese alla (più ampia) materia concorrente della "tutela […] del lavoro" dagli artt. 117, terzo comma, Cost. e 10 della l.cost. n. 3/2001. In secondo luogo, esso violerebbe l'art. 117, settimo comma, Cost. (sempre in virtù dell'applicazione dell'art. 10 della l.cost. n. 3/2001), laddove, prevedendo che "le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica […], attribuisce alle Regioni (e, quindi, anche alle Province autonome) una specifica competenza in materia di azioni dirette a realizzare la piena parità fra uomini e donne anche relativamente ai rapporti di lavoro.

3.2.2. Gli artt. 117 e 118 Cost.

Il secondo gruppo di ricorsi include sei atti introduttivi che hanno prevalentemente invocato, quale parametro di risoluzione dei conflitti, gli artt. 117 e 118 Cost. Due di essi risultano anche strettamente connessi per l'oggetto e per le argomentazioni addotte: il ricorso n. 14 della Regione Toscana, avente ad oggetto quattro note del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (rispettivamente, del 31/1/2003, del 4/2/2003, del 12/2/2003 e del 26/2/2003) che hanno riassunto in capo allo Stato le competenze relative alla gestione di tutti i porti indicati nel d.P.C.m. del 21 dicembre 1995 (il quale, in attuazione dell'art. 59, secondo comma, del d.P.R. n. 616/1977, ha provveduto ad individuare i porti e le aree, di preminente interesse nazionale, escluse dalla delega di funzioni amministrative alle Regioni prevista dal primo comma del medesimo articolo), nonché il parere del Consiglio di Stato del 15/5/2002, n. 767, richiesto dal Ministero in parola sulla questione del riparto di attribuzioni tra Stato e Regioni/enti locali in materia di porti e aree demaniali; il ricorso n. 19 della Regione Campania, riguardante una nota del medesimo Ministero del 12 marzo 2003 avente contenuto analogo a quello dei provvedimenti impugnati dalla Regione Toscana.
Secondo le ricorrenti, gli atti impugnati, ancorando il riparto di competenze nella materia in oggetto al decreto del 1995, sarebbero illegittimi non solo perché contrastanti con il disposto dell'art. 105 del d.lgs. n. 112/1998 (nella versione novellata dall'art. 9 della l. n. 88/2001), ai sensi del quale a partire dal 1 gennaio 2002 nei porti di rilevanza economica regionale ed interregionale le competenze in materia di amministrazione del demanio marittimo spettano alle Regioni, ma anche perché lesivi delle competenze (legislative ed amministrative) delle Regioni definite dagli artt. 117 e 118 Cost. Sotto tale profilo sono stati evidenziati tre elementi di novità introdotti dalla riforma del Titolo V: anzitutto, l'inserimento espresso della materia dei "porti […] civili " tra quelle di legislazione concorrente di cui all'art. 117, terzo comma, renderebbe inammissibile la riserva allo Stato delle funzioni amministrative relative alla gestione degli stessi, in quanto quest'ultimo è titolare del solo potere di dettare i principi fondamentali della materia; in secondo luogo, il nuovo modello di distribuzione delle funzioni amministrative introdotto dal novellato art. 118, primo e secondo comma, imporrebbe che esse possano essere attribuite soltanto dall'ente titolare della potestà legislativa nel settore di riferimento e che, quindi, nelle materie di legislazione concorrente siano le Regioni a distribuire le funzioni amministrative nell'ambito dei principi fondamentali sanciti dallo Stato e non quest'ultimo ad attribuire (magari a propri organi, come nel caso di specie) competenze regolate da leggi regionali; infine, la dedotta illegittimità degli atti impugnati sarebbe ancora più evidente qualora si considerino in particolare i porti turistici, che rientrerebbero ormai nella potestà legislativa residuale delle Regioni, posto che l'ambito materiale 'turismo e industria alberghiera' - precedentemente oggetto di potestà legislativa concorrente - non compare più negli elenchi di cui all'art. 117, secondo e terzo comma.
Il medesimo percorso argomentativo si ritrova nel ricorso n. 20 della Regione Campania (per molti versi anche esso connesso ai due testé citati), avente ad oggetto la nota del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio del 20 marzo 2003, con cui l'amministrazione centrale ha rivendicato, per il rilascio delle concessioni sul demanio marittimo ricadente nelle aree marine protette, la competenza dello Stato e per esso del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, affermando che in materia non è riconosciuta alcuna competenza ad altri enti territoriali. Anche in tal caso, infatti, la ricorrente, oltre ad aver evidenziato l'evoluzione in senso autonomistico della legislazione in materia di porti e di gestione del demanio marittimo (culminata nell'art. 105 del d.lgs. n. 112/1998 cit.), ha eccepito la lesione delle competenze (legislative ed amministrative) delle Regioni definite dagli artt. 117 e 118 Cost., sottolineando l'espressa attribuzione di una potestà legislativa concorrente alle Regioni in materia di "porti […] civili ", di "governo del territorio" e di "valorizzazione dei beni culturali ed ambientali ex art. 117, terzo comma, il nuovo modello di distribuzione delle funzioni introdotto dall'art. 118 e, infine, il transito nella competenza residuale delle Regioni della materia 'turismo e industria alberghiera'. In effetti, l'unica differenza argomentativa rispetto ai ricorsi nn. 14 e 19, riguarda il primo profilo: la ricorrente ha affermato che l'inammissibilità di una riserva allo Stato delle funzioni amministrative in materia di legislazione concorrente non è inficiata dalla circostanza che nel caso di specie si tratti di aree marine protette, poiché la competenza esclusiva dello Stato in materia di "tutela dell'ambiente" (art. 117, secondo comma, lett. s)), come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 407/2002, è finalizzata alla fissazione di "standards di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale, senza peraltro escludere in questo settore la competenza regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali".
Riguarda la materia dei porti anche il ricorso n. 33, con cui la Regione Toscana ha impugnato il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 2 luglio 2003, di nomina del Commissario straordinario dell'Autorità portuale di Livorno, ritenendolo lesivo delle competenze legislative ed amministrative attribuitele dagli artt. 117 e 118 Cost. in materia di "governo del territorio", "porti e aeroporti civili", "grandi reti di trasporto e di navigazione", "commercio con l'estero", 'turismo ed industria alberghiera' e 'lavori pubblici'. Secondo la ricorrente, infatti, posto il ruolo determinante che il Presidente ha nelle definizione delle scelte dell'Autorità portuale, la "menomazione" delle competenze costituzionalmente garantite alla Regione sarebbe dovuta a tre vizi del decreto in parola: anzitutto, la mancata previa intesa con la Regione, prevista dall'art. 8, primo comma, della l. n. 84/1994, per la nomina del Presidente dell'Autorità portuale, al fine di garantire la leale collaborazione degli enti interessati; in secondo luogo, la carenza delle circostanze di fatto e dei presupposti diritto per la nomina di un Commissario straordinario, non essendo prevista nell'ordinamento italiano una disposizione che consenta tale provvedimento in ragione dell'avvenuta scadenza dei termini di durata dell'organo ordinario (cui peraltro va aggiunta l'indeterminatezza della durata dell'incarico commissariale); infine, l'ampiezza delle attribuzioni assegnate al Commissario straordinario, che appare sostituire non solo il Presidente, ma anche tutti gli altri organi dell'Autorità portuale (Comitato portuale, Segretariato generale e Collegio dei revisori dei conti).
Nel medesimo gruppo va annoverato il ricorso n. 17 della Regione siciliana, avente ad oggetto la nota 13 gennaio 2003 con cui il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha formalizzato ad un proprio ispettore dell'Ufficio scolastico regionale di Milano un incarico ispettivo su scuole paritarie della Provincia di Palermo, nonché gli atti ispettivi conseguenti a tale incarico. Infatti, la ricorrente ha dedotto, oltre alla lesione delle competenze in materia di pubblica istruzione previste dallo statuto regionale siciliano e dalle relative norme di attuazione, la violazione degli artt. 117 e 118 Cost. (in relazione - naturalmente - all'art. 10 della l.cost. n. 3/2001): la funzione ispettiva che lo Stato pretende di esercitare con l'atto impugnato sarebbe contraria, da un lato, al nuovo art. 117, poiché in materia di istruzione quest'ultimo - fatta salva la potestà legislativa esclusiva dello Stato per le norme generali sull'istruzione - riserva alla legislazione statale la sola determinazione dei principi fondamentali, dall'altro, al nuovo art. 118, che sancisce e costituzionalizza i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, in forza dei quali una funzione amministrativa può imputarsi all'ente maggiore soltanto qualora sia necessario assicurarne l'esercizio unitario.
L'ultimo ricorso del secondo gruppo è il n. 37 della Regione Emilia-Romagna per l'annullamento della deliberazione del CIPE 1 agosto 2003, n. 67 ("Primo programma delle opere strategiche - legge n. 443/2001 - Metro leggero automatico di Bologna"), con cui tale organo ha proceduto all'approvazione del progetto preliminare della linea 1 della metropolitana ad automazione integrale di Bologna, in quanto ritenuta lesiva delle prerogative costituzionali della Regione sancite dagli artt. 117 e 118 Cost. e disciplinate dalle disposizioni di rango legislativo di essi attuative. In particolare, la ricorrente ha eccepito la violazione delle proprie prerogative costituzionali per tre ordini di motivi: anzitutto, l'approvazione da parte del CIPE del progetto preliminare de quo in assenza della previa intesa della Regione sul Programma delle infrastrutture pubbliche e private per gli insediamenti produttivi e strategici e di preminente interesse nazionale da realizzare nel territorio della Regione, adottato dal CIPE con la deliberazione del 21 dicembre 2001, n. 121 (intesa necessaria ai sensi dell'art. 1, primo comma, della l. n. 443/2001); in secondo luogo, la tardiva convocazione (con un preavviso inferiore alle 24 ore) del Presidente della Regione alla seduta del CIPE del 1 agosto (in violazione dell'art. 1, secondo comma, lett. c), della l. n. 443/2001); infine, l'approvazione dal parte del CIPE del progetto preliminare in parola, nonostante il dissenso regionale, senza l'attivazione delle procedure di composizione del medesimo (di cui all'art. 3, sesto comma, lett. b), del d.lgs. n. 190/2002).

3.2.3. Gli artt. 117, 118 e 119 Cost.

L'ultimo gruppo di ricorsi per conflitto di attribuzione riguarda quelli che hanno invocato congiuntamente gli artt. 117, 118 e 119 Cost. Rilevano in proposito i ricorsi nn. 3 della Regione Liguria e 13 della Regione Marche. Con il primo è stato impugnato il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 29 novembre 2002, intitolato "Limitazione agli impegni ed all'emissione dei titoli di pagamento per le amministrazioni centrali dello Stato nonché riduzione delle spese di funzionamento per gli enti ed organismi pubblici territoriali", che, in attuazione dell'art. 1, terzo e quarto comma, della l. n. 246/2002, ha provveduto ad indicare nel 15% della dotazione annuale la percentuale limite all'assunzione di impegni di spesa o all'emissione di titoli di pagamento a carico del bilancio dello Stato (art. 1), ritenendola applicabile non solo alle Amministrazioni dello Stato e agli enti od organismi pubblici non territoriali sub-statali e/o strumentali dello Stato, ma anche alle aziende sanitarie locali e alle aziende ospedaliere (art. 2). Premesso che ai sensi degli artt. 117, 118 e 119 Cost. le Regioni sono titolari della competenza legislativa concorrente in materia di 'sanità', della relativa competenza amministrativa in tema di 'organizzazione degli enti e/o organi sub-regionali e/o strumentali delle Regioni', quali sono le aziende sanitarie locali e le aziende ospedaliere, nonché, nell'ambito della propria autonomia finanziaria, della responsabilità del finanziamento delle attività e delle prestazioni sanitarie, per cui sarebbe inibito allo Stato emanare disposizioni direttamente vincolanti nei confronti di tali enti e/o organi, la Regione Liguria ha ritenuto invasivo della propria sfera di attribuzione il decreto in parola nella parte in cui (art. 2) pretende di incidere in via diretta sulla capacità di spesa di enti non statali e/o strumentali dello Stato, bensì sub-regionali e/o strumentali delle Regioni per le attività di competenza di queste ultime.
D'altra parte, secondo la ricostruzione della ricorrente, la violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost. sarebbe avvenuta anche sotto un altro aspetto: poiché costituirebbe principio sotteso alle norme costituzionali in oggetto che i poteri (residui) spettanti allo Stato nelle materie di competenza regionale debbano essere esercitati secondo il principio di leale collaborazione mediante l'utilizzo dello strumento di raccordo della Conferenza Stato-Regioni di cui al d.lgs. n. 281/1997, il decreto impugnato, in quanto suscettibile di incidere sull'accordo Stato-Regioni (firmato in data 8 agosto 2001) in materia di finanziamento del servizio sanitario e di contenimento della spesa, anche in funzione del rispetto del patto di stabilità interno e degli impegni internazionali della Repubblica, avrebbe richiesto una modifica dell'accordo stesso e/o una preventiva verifica in sede di Conferenza Stato-Regioni.
Il ricorso n. 13 della Regione Marche (che per la materia trattata presenta profili di connessione con il ricorso n. 37 della Regione Emilia-Romagna già esaminato), invece, ha ad oggetto la deliberazione del CIPE 31 ottobre 2002, n. 93, adottata ai sensi dell'art. 1 della l. n. 443/2001 e relativa al "Primo programma delle opere strategiche. Asse viario Marche, Umbria e quadrilatero di penetrazione interna", con cui è stato stabilito un complesso meccanismo per l'attuazione del progetto concernente l'asse viario Marche, Umbria e quadrilatero di penetrazione interna (di seguito indicato come "Quadrilatero"), invitando il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a curare, entro termini predefiniti, la predisposizione degli atti tecnico-amministrativi per la gara di progettazione preliminare e dello studio di impatto ambientale, la stipula del protocollo di intesa per l'individuazione delle modalità e dei tempi per la costituzione del soggetto attuatore unico con l'assunzione dei connessi impegni da parte dei soggetti interessati al progetto, nonché la consegna del progetto preliminare, completo dello studio di impatto ambientale.
Secondo la ricorrente, tale provvedimento sarebbe lesivo delle competenze attribuitele dagli artt. 117, 118 e 119 Cost., anzitutto, in quanto adottato violando il meccanismo "collaborativo" previsto dall'art. 1 della l. n. 443/2001 e, poi, in quanto incidente nella materia dei 'lavori pubblici', di esclusiva competenza regionale. Specificatamente, con riferimento al primo profilo, la Regione Marche ha dedotto non solo la mancata cancellazione dall'ordine del giorno della seduta CIPE del 31 ottobre 2002 del punto relativo all'esame del progetto "Quadrilatero" e la (conseguente) mancata partecipazione del suo Presidente a tale seduta, ma anche il contrasto del provvedimento impugnato con il contenuto dell'intesa stipulata tra Governo e Regione in data 24 ottobre 2002 (con violazione, dunque, delle disposizioni di cui al primo e secondo comma dell'art. 1 della l. n. 443/2002).
Quanto al secondo profilo, la ricorrente ha eccepito che la materia cui si riferisce la deliberazione impugnata, ovvero l'individuazione e la realizzazione delle grandi opere disciplinata dall'art. 1 della l. n. 443/2001, non rientrando negli elenchi di cui al secondo e terzo comma dell'art. 117, apparterrebbe alla competenza residuale delle Regioni, per cui interventi amministrativi da parte del CIPE risulterebbero del tutto privi di fondamento costituzionale.


4. Profili "qualitativi" delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in via incidentale (ordinate per oggetto e per argomento)

Delle 40 questioni sollevate in via incidentale e fondate sulle nuove disposizioni costituzionali 22 sono già state definite dalla Corte costituzionale, per cui si passeranno in sommaria rassegna le restanti 18, distinguendo quelle riguardanti leggi o atti aventi forza di legge dello Stato dalle quelle aventi ad oggetto leggi regionali. Entrambi i gruppi saranno a loro volta suddivisi per argomento in sotto-insiemi.

4.1. Le ordinanze aventi ad oggetto leggi o atti aventi forza di legge dello Stato

4.1.1. Opere pubbliche

Appartengono al primo segmento quattro ordinanze, classificabili in due sotto-insiemi (opere pubbliche e giustizia amministrativa). Il primo di essi comprende le ordinanze nn. 160 e 161 del TAR Puglia - sez. distaccata di Lecce, che con argomentazioni identiche hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, primo e secondo comma, del decreto legislativo n. 198/2002 ("Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell'articolo 1, comma 2, della L. 21 dicembre 2001, n. 443"). Anche se, come accennato, l’intero decreto in parola è stato dichiarato dalla Consulta costituzionalmente illegittimo per eccesso di delega con la sentenza n. 303/2003, per cui si presume che il giudizio si concluderà con una sentenza di inammissibilità, sembra comunque interessante riferire sinteticamente i termini della questione sollevata dai giudici amministrativi pugliesi.
L'art. 3, primo e secondo comma, del d.lgs. n. 198/2002 disponeva, da un lato, che le infrastrutture di telecomunicazioni, considerate strategiche ai sensi della legge di delega in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici (art. 1, primo comma, della l. n. 443/2001), erano opere di interesse nazionale, realizzabili esclusivamente sulla base delle procedure definite dal decreto medesimo, anche in deroga alle disposizioni che attribuiscono alle Regioni la competenza a disciplinare le modalità per il rilascio delle autorizzazioni alla installazione degli elettrodotti e degli impianti radioelettrici (art. 8, primo comma, lett. c), della l. n. 36/2001), dall'altro, che le infrastrutture di telecomunicazioni per impianti radioelettrici erano compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica, nonché realizzabili in ogni parte del territorio comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento. Secondo i giudici remittenti, tale disciplina era contraria agli artt. 117, terzo comma e 118, primo comma, Cost. perché avrebbe reso un guscio vuoto la competenza legislativa concorrente delle Regioni nelle materie dell'"ordinamento della comunicazione", della "tutela della salute" e del "governo del territorio", nonché i provvedimenti autorizzatori edilizi di spettanza dei Comuni.

4.1.2. Giustizia amministrativa

Il secondo sotto-insieme, inerente alla materia della giustizia amministrativa, comprende le ordinanze nn. 443 e 902 del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia, di contenuto sostanzialmente identico, aventi ad oggetto l'art. 2, quarto comma, lett. b), nonché, in parte qua, sesto e ottavo comma, del d.lgs. n. 654/1948 ("Norme per l'esercizio nella Regione siciliana delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato"), così come sostituiti dal d.P.R. n. 204/1978, ai sensi dei quali la Giunta regionale designava quattro membri del Consiglio di giustizia amministrativa in sede giurisdizionale fra i professori di diritto delle università o gli avvocati abilitati al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori. L'intero d.lgs. n. 654/1948, peraltro, è stato abrogato dal d.lgs. n. 373/2003 (contenente le nuove "Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione siciliana concernenti l'esercizio nella regione delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato") il quale, a proposito della composizione della Sezione giurisdizionale del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana (agli artt. 4, primo comma 1, lett. d) e art. 6, secondo comma), prevede che di essa facciano parte quattro componenti, designati dal Presidente della Regione, in possesso dei requisiti di cui all'articolo 106, terzo comma, della Costituzione per la nomina a consigliere di Cassazione per meriti insigni (essere professori ordinari di università in materie giuridiche o avvocati con quindici anni di esercizio, iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori) ovvero di cui all'articolo 19, primo comma, numero 2), della legge n. 186/1982 per la nomina presidenziale a consigliere di Stato (essere professori universitari ordinari in materie giuridiche o avvocati con quindici anni di esercizio, iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori, o dirigenti generali dei ministeri, degli organi costituzionali e delle altre amministrazioni pubbliche, o magistrati di Corte d'appello). Posta l'analogia tra le due discipline succedutesi nelle more del giudizio costituzionale, che potrebbe o concludersi con un ordinanza di restituzione degli atti al giudice a quo perché possa valutare la conformità a Costituzione delle nuove disposizioni o proseguire con il "trasferimento" del sindacato della Consulta su queste ultime (cfr., su questa seconda ipotesi, la sentenza della Corte costituzionale n. 84/1996), sembra comunque opportuno accennare alla questione di costituzionalità sollevata dai giudici siciliani.
Secondo questi ultimi, in subordine rispetto ad una serie di molteplici parametri (sia di matrice statutaria che costituzionale), le norme di attuazione dello statuto siciliano, laddove prevedono un organo di giustizia amministrativa composto anche con giudici laici di nomina regionale, sarebbe incostituzionale per contrasto con la riserva esclusiva di legge statale prevista dall'art. 117, secondo comma, lett. l), Cost.: poiché ai sensi di tale disposizione la giurisdizione, in generale e la giustizia amministrativa in particolare sono materie costituzionalmente riservate in via esclusiva allo Stato, una loro disciplina in sede di attuazione delle autonomie regionali richiederebbe una deroga di pari livello costituzionale.

4.2. Le ordinanze aventi ad oggetto leggi regionali

4.2.1. Sanità pubblica

Il secondo segmento, riguardante le questioni di legittimità costituzionale di leggi regionali, comprende 14 ordinanze, classificabili in sei sotto-insiemi (sanità pubblica; radiotelevisione e servizi radioelettrici; consorzi di bonifica; professioni alpine; commercio; enti locali). Rientrano nel primo di essi, le ordinanze nn. 52 e 360 della Corte di appello di Genova aventi ad oggetto la questione di costituzionalità, già proposta in termini analoghi nel corso del 2002 dal Tribunale di La Spezia con l'ordinanza n. 444, degli artt. 1 e 2 della legge della Regione Liguria n. 26/2000 ("Estinzione delle gestioni liquidatorie in campo sanitario costituite ai sensi dell'articolo 2, comma 14 della legge 28 dicembre 1995, n. 549"), ai sensi dei quali le Aziende sanitarie locali (ASL) succedono in tutti i rapporti giuridici, ancorché oggetto di giudizio, già facenti capo alle Unità sanitarie locali (USL) operanti nella Regione Liguria: tale disciplina, infatti, ponendosi in contrasto con il principio fondamentale della materia (concorrente) "tutela della salute" per cui alle Regioni è fatto divieto di far gravare sulle ASL i debiti e i crediti delle soppresse USL (art. 6 della legge n. 724/1994), violerebbe il disposto dell'art. 117, terzo comma, Cost.

4.2.2. Radiotelevisione e servizi radioelettrici

Nel secondo sotto-insieme (radiotelevisione e servizi radioelettrici) rientra, invece, l'ordinanza n. 158 del TAR Lombardia - sez. distaccata di Brescia, per la quale l'art. 8, quarto comma, della legge della Regione Lombardia n. 11/2001 ("Norme sulla protezione ambientale dall'esposizione a campi elettromagnetici indotti da impianti fissi per le telecomunicazioni e per la radiotelevisione"), così come sostituito dall'art. 3, comma 12, lett. a), della legge n. 4/2002, nella parte in cui vieta indiscriminatamente ed inderogabilmente l'installazione di impianti per le telecomunicazioni e per la radiotelevisione entro il limite di 75 metri di distanza dal perimetro di proprietà di asili, edifici scolastici, nonché strutture di accoglienza socio-assistenziali, ospedali, carceri, oratori, parchi gioco, case di cura, residenze per anziani, orfanotrofi e strutture similari, si porrebbe in contrasto con la potestà legislativa esclusiva dello Stato ex art. 117, secondo comma, lett. s), Cost. in materia di "tutela dell'ambiente [e] dell'ecosistema" e con i principi fondamentali della materia "tutela della salute" stabiliti dalla legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici (l. n. 36/2001), violando in tal modo anche l'art. 117, terzo comma, Cost.
Sotto tale profilo, in particolare, il giudice remittente ha osservato che la legge quadro, pur demandando alle Regioni l'esercizio delle funzioni relative all'individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per la telefonia mobile, degli impianti radioelettrici e degli impianti per la radiodiffusione, non attribuisce loro il potere di introdurre divieti inderogabili e limiti di distanza da osservare indiscriminatamente in tutto il territorio regionale, né le autorizza a circoscrivere tali divieti a determinate destinazioni di zona.

4.2.3. Consorzi di bonifica

Il terzo sotto-insieme include otto ordinanze del TAR Emilia-Romagna (dalla n. 613 alla n. 620), di contenuto sostanzialmente analogo, in materia di consorzi di bonifica, con cui il giudice remittente ha fatto seguito alla richiesta di riesame, contenuta nell'ordinanza della Corte costituzionale n. 13/2002 e motivata dall'entrata in vigore della riforma del Titolo V, della questione di costituzionalità dell'art. 4 della legge della regione Emilia-Romagna n. 16/1987 (integrativa della l.r. n. 42/1984 "Nuove norme in materia di enti di bonifica - delega di funzioni amministrative"), ai sensi del quale il Consiglio regionale, su proposta della Giunta, delibera la soppressione di tutti gli enti, anche di natura privata, operanti nel settore della bonifica (consorzi idraulici, di difesa, di scolo e di irrigazione) ed il trasferimento ai nuovi consorzi di bonifica delle funzioni e dei rapporti patrimoniali degli enti soppressi. Peraltro, secondo i giudici del TAR emiliano, posto che la riforma del Titolo V è entrata in vigore dopo l'adozione dei provvedimenti di soppressione degli enti di bonifica impugnati nei giudizi a quibus, il parametro di riferimento ai fini della valutazione della legittimità costituzionale del menzionato art. 4 sarebbe il riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni così come fissato dall'originario testo dell'art. 117 Cost.: infatti, il principio tempus regit actum, alla cui stregua deve essere valutata la legittimità di un provvedimento in un giudizio impugnatorio, e la necessità di valutare l'interesse al ricorso con riferimento esclusivo all'eliminazione di "quel" provvedimento deporrebbero in tal senso.
Sulla base di tale premessa, il giudice a quo ha ravvisato due profili di violazione dell'art. 117 Cost. (testo originario). In primo luogo, poiché ai sensi di quest'ultimo la materia della bonifica era di competenza concorrente, la potestà legislativa regionale andava esercitata nei limiti derivanti dai principi fondamentali della legislazione statale nella materia stessa (individuati con precisione dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 326/1998, riguardante una legge della Regione Marche in materia di bonifica), che riconoscono alle Regioni solo compiti di riassetto delle funzioni di bonifica e non anche il potere di soppressione di enti quali quelli consortili, espressione, sia pure legislativamente disciplinata e resa obbligatoria, degli interessi privati dei proprietari dei fondi.
In secondo luogo, il TAR emiliano ha eccepito anche la violazione del c.d. "limite del diritto privato", fondato sull'esigenza di garantire l'uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti tra privati e che comporta l'inderogabilità, da parte del legislatore regionale, delle norme dettate dal codice civile per regolare l'esercizio dell'autonomia negoziale privata: la disposizione impugnata, infatti, sembrerebbe diretta proprio a sopprimere un soggetto di diritto privato, qualificabile come associazione non riconosciuta, in contrasto con il suo statuto ed in violazione dell'autonomia negoziale riconosciuta dagli artt. 36 e ss. c.c.

4.2.4. Professioni alpine

La medesima premessa, fondata sul principio tempus regit actum e sulla valutazione dell'interesse al ricorso, si ritrova in un'altra ordinanza dello stesso TAR Emilia-Romagna, la n. 814, che ha sollevato, facendo seguito all'ordinanza della Corte costituzionale (n. 420/2002) di restituzione degli atti al giudice a quo in considerazione della riforma del Titolo V, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, terzo comma, della legge della Regione Emilia-Romagna n. 4/2000 ("Norme per la disciplina delle attività turistiche di accompagnamento") in relazione al testo originario dell'art. 117 Cost. In particolare, la menzionata disposizione regionale, consentendo alla nuova figura professionale della guida ambientale-escursionistica l'attività di accompagnamento di persone singole o gruppi di persone anche in ambienti montani, sarebbe in contrasto con la legge quadro n. 6/1989, che, nello stabilire i principi fondamentali in materia di ordinamento della professione di guida alpina, riserva alle guide alpine abilitate all'esercizio professionale ed iscritte nel relativo albo professionale l'attività di "accompagnamento di persone in ascensioni sia su roccia che su ghiaccio o in escursioni in montagna". In tal modo, dunque, la normativa regionale violerebbe il riparto di competenze legislative delineato dall'art. 117 Cost., nel testo anteriore all'entrata in vigore della l.cost. n. 3/2001.

4.2.5. Commercio

Entrambi gli ultimi due sotto-insiemi (commercio ed enti locali) includono, in realtà, una sola ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale. Riguarda la disciplina del commercio, in particolare gli artt. 2 e 3 della legge della Regione Veneto n. 62/1999 ("Individuazione dei Comuni a prevalente economia turistica e delle città d'arte ai fini delle deroghe agli orari di vendita"), l'ordinanza n. 678 del TAR Veneto. Anche in tal caso, come negli ultimi due esaminati, il giudice amministrativo ha fatto seguito ad un'ordinanza di restituzione degli atti da parte della Consulta (n. 166/2002) che lo invitava a valutare la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale alla stregua dei nuovi parametri introdotti dalla riforma del Titolo V, ma, al contrario di quanto avvenuto negli altri due casi, ha provveduto tenendo conto delle innovazioni dello ius superveniens.
In particolare, la menzionata normativa regionale, che ai fini delle deroghe all'obbligo di chiusura domenicale e festiva per i Comuni ad economia prevalentemente turistica e le città d'arte, stabilite con il d.lgs. n. 114/1998, individua i primi in relazione alla posizione "in territorio montano, litoraneo, lacuale, termale" ed al numero dei "posti letto in strutture alberghiere ed extra alberghiere" e le seconde con riferimento all'ubicazione "in zona montana" e ai "posti letto in strutture alberghiere ed extra alberghiere", lederebbe la potestà legislativa esclusiva in materia di "tutela della concorrenza" riconosciuta allo Stato dall'art. 117, secondo comma, lett. e), Cost.: secondo tale ricostruzione, infatti, la posizione di regole e di limiti in tema di orari e giorni di apertura di esercizi commerciali comporterebbe l'incisione della libertà di iniziativa economica, ampliata per gli esercizi situati in Comuni riconosciuti "ad economia prevalentemente turistica" o "città d'arte" e ristretta per gli altri soggetti operanti nel commercio, che non possono godere delle deroghe agli orari previste per i primi.

4.2.6. Enti locali

L'ultimo sotto-insieme riguarda una questione di legittimità costituzionale in tema di enti locali, in particolare di Comunità montane. Con l'ordinanza n. 1176 il TAR Molise ha ritenuto non manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 17 della legge della Regione Molise n. 15/2002 ("Riordino e ridefinizione delle Comunità montane"), nella parte in cui affida al Presidente della Giunta regionale lo scioglimento, la sospensione ed il commissariamento del Consiglio della Comunità montana in caso di mancata approvazione del bilancio o di mancata approvazione nei termini dello statuto della stessa, con riferimento agli artt. 114, 117 e 123 Cost. Specificatamente, partendo dalla premessa per la quale la Comunità montana non è un ente sub-regionale, bensì un ente associativo intercomunale, rappresentativo di collettività qualificate dall'appartenenza ad una zona montana e con funzioni di livello sovracomunale, e dalla constatazione che ai sensi degli artt. 28, settimo comma, e 32, quinto comma, del d.lgs. n. 267/2000 alle Comunità montane si applicano i principi previsti per l'ordinamento dei Comuni, in quanto compatibili, il TAR molisano ha argomentato che la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di "legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane" (art. 117, secondo comma, lett. p), Cost.) deve "essere estesa, per ragioni di coerenza e sistematicità dell'ordinamento, anche all'elezione ed al funzionamento degli organi della Comunità montana, di guisa che la previsione di un potere regionale di controllo sostitutivo sugli enti montani, contenuta in una legge regionale, collide con il riconoscimento della parità di rango costituzionale tra regioni e comuni di cui all'art. 114 della Costituzione, nonché con la riserva di legge statale di cui all'art. 117, secondo comma, lett. p), della Costituzione".
Inoltre, la mancata previsione nella disciplina regionale de qua di una consultazione degli enti locali, che costituiscono la base della struttura associativa della Comunità montana, si porrebbe in contrasto con il principio della consultazione tra Regione ed enti locali, di cui all'art. 123, ultimo comma, Cost.

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