Avvertenza: lo studio che segue è tratto dal  Quarto Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia , in corso di stampa.




SOMMARIO: 
1. Considerazioni generali

 
 
 
1.  Considerazioni generali
 
Anche nel 2005 i giudici amministrativi, sia in sede giurisdizionale sia in sede consultiva, non hanno fatto mancare il proprio contributo all’opera di consolidamento interpretativo ed applicativo della riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione.
Non sono, invero, mancati, specie in sede consultiva, espliciti richiami al Governo nel senso di un più rigoroso rispetto del riparto costituzionale delle competenze legislative e delle regole di buona tecnica legislativa (specie in materia di semplificazione!); né, tuttavia, sono mancati riconoscimenti al ruolo svolto dalla Corte costituzionale nei confronti dell’assestamento applicativo della riforma del Titolo V della Costituzione:<< la semplificazione deve contribuire a garantire il principio della certezza del diritto, soprattutto nell’attuale fase di attuazione di una riforma costituzionale, già ricca di incertezze, in parte risolte solo ex post grazie all’intervento della Corte costituzionale>> (1).
Proprio l’incertezza costituzionale e l’elevato grado di conflittualità, che connota i rapporti intercorrenti tra Stato, Regioni ed enti locali nella perdurante fase di attuazione del riformato Titolo V della Costituzione, rende particolarmente utile l’apporto reso dal Consiglio di Stato sia in sede consultiva sia in sede giurisdizionale.
Anche nel corso del 2005 pare, dunque, emergere quell’indirizzo generalmente adesivo, mostrato dalle sezioni consultive e giurisdizionali del Consiglio di Stato, nei riguardi delle ricostruzioni del nuovo sistema delle competenze e delle attribuzioni costituzionali elaborate dal giudice costituzionale. Prova ne sia il frequente e convinto richiamo effettuato dalle sentenze e dai pareri del Consiglio di Stato alle recentissime (ed anche meno recenti) decisioni costituzionali che, nei diversi ambiti materiali, hanno rivelato una spiccata valenza sistemica e ricostruttiva.
Proprio tale assonanza e condivisione di indirizzi interpretativi ha incoraggiato il Consiglio di Stato, specie la sezione consultiva degli atti normativi, a richiamare le autorità di governo e ministeriali, quando necessario, ad un più attento e rigoroso rispetto delle accresciute prerogative regionali nell’esercizio dei propri poteri legislativi e regolamentari.
 
 
2.  Attività consultiva. Dati quantitativi
 
Nel corso del 2005 le sezioni consultive del Consiglio di Stato hanno espresso importanti pareri su testi normativi di codificazione e di riassetto normativo intervenuti in settori di speciale rilevanza economico-sociale.
Come già evidenziato nel rapporto relativo all’anno 2004, il Consiglio di Stato oltre alla consulenza obbligatoria sulle norme regolamentari risulta direttamente coinvolto nell’opera di riassetto e semplificazione della normativa statale di rango primario così come, più di recente, confermato nella legge di semplificazione 29 novembre 2005 n. 246.
Sotto un profilo eminentemente quantitativo nell’ambito della attività consultiva obbligatoria del Consiglio di Stato nel corso del 2005 sono pervenute 112 richieste di parere su schemi di normativa primaria e secondaria. Si tratta di un dato quantitativo che, seppure in lievissima crescita rispetto all’anno 2004 (103 pareri richiesti), si colloca nella media registrata a partire dal 2001, anno di entrata in vigore della riforma costituzionale del 2001, la quale, come noto, ha comportato una forte riduzione dell’area di intervento della potestà regolamentare statale così come ridefinita e circoscritta dall’art. 117, comma 6, Cost. alle sole materie di potestà statale esclusiva (2).
A ciò si aggiunga, peraltro, che la clausola “taglia leggi” anche detta “ghigliottina” così come configurata dall’art. 14, comma 14, della legge 28 novembre 2005, n. 246 lascia presagire, come autorevolmente osservato, << un significativo recupero da parte delle fonti secondarie di nuovi spazi di azione per garantire l’integrazione ed il completamento della nuova disciplina di livello primario dettata dai decreti legislativi. E’, infatti, impensabile che questi ultimi possano far fronte da soli all’integrale riassetto di discipline spesso di confinata estensione>> (3).
Non sono mancate, del resto, richieste di parere facoltativo provenienti dal Governo e da singoli Ministeri proprio in materie di interesse regionale in presenza di quaestiones interpretative che richiedevano una consulenza tecnico-giuridica (anche di natura costituzionale) e ciò a conferma di quella posizione di assoluto distacco e di autorevole consulenza che, più volte ed a chiare note, è stata rivendicata dai vertici del Consiglio di Stato stesso (4).
Invero non sono mancate, in taluni casi, divergenze interpretative emerse all’interno delle sezioni consultive, che, tuttavia, sono state composte attraverso trattazioni congiunte da parte delle medesime sezioni che, a distanza di pochi mesi, avevano espresso sulla medesima questione pareri in aperta contraddizione (5).
 
 
2.1   Potestà regolamentare statale in materia di competenza concorrente (editoria)
 
Il parere contrassegnato con il numero 1363 e reso nell’adunanza del 4 aprile 2005 dalla sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato si occupa sia della delimitazione della materia concorrente “valorizzazione dei beni culturali” sia del fondamento costituzionale del potere regolamentare per la disciplina ed il funzionamento del fondo per lo sviluppo dell’attività di produzione, distribuzione e vendita del libro e dei prodotti editoriali di elevato valore culturale, affidato al Ministro per i beni culturali, d’intesa con altri ministri, dall’art. 9, comma secondo, della legge 7 marzo 2001, n. 62.
La suddetta norma attributiva al ministro dei beni culturali della potestà regolamentare è stata dettata dal legislatore prima della modifica costituzionale delle competenze Stato-Regioni; viene posto, pertanto, al Consiglio di Stato il problema della perdurante compatibilità della suddetta norma con il mutato quadro costituzionale.
L’Amministrazione referente, non contestando la natura concorrente (valorizzazione dei beni culturali) della materia in oggetto, giunge ad individuare il fondamento costituzionale del potere ministeriale richiamando la tesi contenuta nella sentenza n. 303 del 2003 della Corte costituzionale in quanto << gli interessi che si intendono proteggere attraverso il sostegno del libro e dei prodotti editoriali di elevato valore culturale sfuggirebbero ad ogni forma di attribuzione territoriale>>.
Il Consiglio di Stato non aderisce alla impostazione fatta propria dall’Amministrazione ritenendo che << le conclusioni cui è pervenuta la Corte costituzionale con la sentenza sopra richiamata [n. 303/2003 n.d.a] possono valere a legittimare una competenza legislativa statale[…] ma non valgono certo a fondare una potestà regolamentare dello Stato in contrasto con il disposto del sesto comma del citato art. 117, come risulta chiaramente proprio dalla sentenza n. 303 del 2003>>.
Stando al suindicato parere, dunque, pare che i giudici amministrativi non ammettano la possibilità di estendere il meccanismo dell’attrazione statale in via sussidiaria di potestà esclusivamente regolamentari.
Sotto altro ma connesso profilo, i giudici amministrativi affermano che <<non è possibile rinvenire un criterio che assegna solo allo Stato la possibilità di definire i requisiti che connotano l’elevatezza culturale e scientifica di una iniziativa libraria e editoriale>>; da qui, dunque, le perplessità sulla legittimità costituzionale dell’esercizio di un potere regolamentare statale, diretto e specifico, con il quale si distribuiscono fondi di bilancio in un ambito materiale di competenza concorrente.
Tuttavia, pur orientato ad una rigorosa difesa delle prerogative regolamentari regionali, il parere, finisce per attenuare e sfumare i dubbi di costituzionalità della norma primaria attributiva della potestà regolamentare, facendo rilevare che il <<fondo de quo non appare segnato da alcuna vocazione territoriale e, quindi, assume in concreto la valenza prioritaria di una iniziativa destinata a promuovere su tutto il territorio nazionale una qualità […] comunque non legata a parametri di riequilibrio territoriale e di perequazione finanziaria e non finalizzata prioritariamente a trasferire fondi su territori determinati o determinabili>>.
Non deve sorprendere, allora, se il parere in esame conclusivamente finisca per ammettere che <<risulta difficile definire con certezza il confine delle competenze materiali, mentre il fulcro di un assetto di tipo federalista [...] è ancora lungi dal trovare un equilibrio attuativo>>.
 
 
2.2  Circa gli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 320 del 2004 in tema di fondo di rotazione per il finanziamento in favore di datori di lavoro che realizzano nei luoghi di lavoro servizi di asili nido e micro-nidi.
 
 
Che il Consiglio di Stato sempre di più veda accreditato il proprio ruolo di autorevole e qualificato consulente giuridico è confermato dalla richiesta di parere proveniente dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali in ordine agli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 320 del 2004 con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 91, commi 1,2,3,4 e 5 della legge n. 289 del 2002(legge finanziaria 2003). Come si ricorderà in detta occasione la Corte costituzionale riconducendo la disciplina normativa in questione alle materie di potestà concorrente della istruzione e della tutela del lavoro ebbe ad affermare che << il tipo di ripartizione delle materie tra Stato e Regioni di cui all’art. 117 Cost. vieta comunque che in un materia di competenza legislativa regionale, in linea generale, si prevedano interventi finanziari statali seppure destinati a soggetti privati, poiché ciò equivarrebbe a riconoscere allo Stato potestà legislative ed amministrative sganciate dal sistema costituzionale di riparto delle rispettive competenze>>. 
La disposizione normativa annullata dal giudice costituzionale, infatti, aveva istituito per l’anno 2003 un fondo di rotazione per il finanziamento dei datori di lavoro che realizzavano nei luoghi di lavoro servizi di asili-nido al fine di assicurare un’adeguata assistenza familiare alle lavoratrici ed ai lavoratori dipendenti con prole, stanziando a tal fine la somma pari a dieci milioni di euro per l’anno 2003. Più in dettaglio l’art. 91 della legge 289 del 2002 affidava ad un successivo decreto adottato del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di concerto sia con il Ministro dell’economia e delle finanze sia con il Ministro delle pari opportunità i criteri per la concessione dei finanziamenti e la disciplina specifica per la loro erogazione; alla scadenza del termine fissato per la presentazione delle domande era stato emanato un elenco dei progetti ammessi al finanziamento mentre i soggetti beneficiati venivano invitati a sottoscrivere entro sessanta giorni la convenzione bilaterale ed a far pervenire la documentazione prevista nel citato decreto ministeriale. Nel momento in cui è stata pubblicata la sentenza di illegittimità costituzionale (11 novembre 2004) dei primi cinque commi dell’art. 91 della suddetta legge, per un gran numero di progetti era stata già stipulata la convenzione individuale con i datori di lavoro mentre altri progetti rimanevano in attesa della definizione del procedimento amministrativo.
Di fronte a tale situazione il Ministero del lavoro e delle politiche sociali pone la questione dell’impatto sortito sui procedimenti amministrativi in corso dalla sentenza n. 320 del 2004 dichiarativa della illegittimità costituzionale delle norme legislative di riferimento. Esaminata la questione dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato nell’adunanza del 12 gennaio 2005 la stessa viene sottoposta all’attenzione della commissione speciale appositamente costituita dal Presidente del Consiglio di Stato la quale esprime proprio parere nell’adunanza del 15 febbraio 2005.  
La commissione speciale alla luce del dato legislativo di rango costituzionale(art. 136 Cost.) ed ordinario (art. 30 legge n. 87 del 1953) e richiamata la stessa giurisprudenza costituzionale ed amministrativa perviene alla conclusione della <<radicale invalidità dell’elenco dei progetti ammessi al finanziamento di cui al decreto del Ministro del lavoro>>, aggiungendo che, << laddove l’amministrazione dovesse perseguire il suo operato attraverso ulteriori interventi di natura provvedimentale, essa non potrebbe farlo, poiché i nuovi atti si fonderebbero su un atto presupposto certamente illegittimo, che in ogni momento può (e deve) essere definitivamente rimosso dalla stessa amministrazione, in via di autotutela ovvero dal giudice amministrativo>>; ne consegue, stando al suddetto parere, che <<la norma in contrasto con la Costituzione non può configurarsi, nel descritto contesto, come un presupposto storico di eventi che trovano in se stessi un loro (autonomo) fondamento giuridico ma costituisce un elemento strutturale e funzionalmente immanente della successiva attività, sia amministrativa che consensuale>>.
La commissione speciale, peraltro, tiene a precisare come la radicalità degli effetti della soluzione individuata non risulti essere in contrasto con il principio di affidamento da parte dei soggetti che avevano già provveduto a stipulare le convenzioni o che comunque avevano partecipato al procedimento di ammissione del contributo in ragione dell’esistenza sia di precedenti giurisprudenziali in termini nella medesima materia (6) sia della pendenza della questione di costituzionalità dalla quale derivava l’indebolimento di ogni eventuale affidamento indotto dalla disposizione legislativa statale risultata, poi, incostituzionale.
La mancata indicazione nella sentenza n. 320 del 2004 di deroghe alla retroattività degli effetti delle pronunce di incostituzionalità ovvero di accorgimenti volti alla delimitazione temporale dei propri effetti caducatori (ai quali pure la Corte costituzionale ha fatto ricorso in precedenti e successive decisioni nella medesima materia (7)) lascia chiaramente intendere come i procedimenti di spesa non esauriti restino travolti dalla dichiarazione di incostituzionalità della norma legislativa sottostante; tale scelta del giudice delle leggi, ad avviso della commissione speciale autrice del parere, si giustifica in ragione dell’assenza sia di una lesione diretta di diritti fondamentali sia di <<effetti sconvolgenti sul piano sociale>> che pure aveva ravvisato in altre occasioni. Il parere, dunque, perviene alla conclusione che << la dichiarazione di incostituzionalità in toto e gli effetti travolgenti di qualsiasi atto compiuto dall’amministrazione in attuazione delle norme in questione devono, pertanto, ritenersi applicabili anche al caso di specie oggetto del quesito>>.
 
 
2.3  In tema di riassetto della normativa riguardante la sicurezza e la tutela della salute dei lavoratori: norme statali di dettaglio in materia di competenza concorrente
 
Dopo aver espresso un articolato parere interlocutorio (8) nell’adunanza del 31 gennaio 2005 la sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato torna sullo schema di decreto legislativo per il riassetto delle disposizioni normative vigenti in materia di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori, esprimendo parere definitivo nell’adunanza del 4 aprile 2005.
Si tratta di un parere di particolare importanza, essendo il primo a pronunciarsi su di un codice riguardante la disciplina di materie di legislazione concorrente (quali quelle della “tutela e sicurezza del lavoro” e della “tutela della salute” entrambe espressamente previste nell’art. 117, terzo comma, Cost.). Esso pone, in particolare, il problema della ammissibilità di una normativa statale di dettaglio in materie di legislazione concorrente nel vigore del nuovo riparto costituzionale delle competenza legislative.
La complessità e rilevanza istituzionale del tema rende, dunque, ragione della articolata e puntuale ricostruzione non solo del quadro costituzionale e legislativo ma anche della giurisprudenza costituzionale. 
In particolare già nel parere interlocutorio del 31 gennaio 2005 il Consiglio di Stato, alla luce delle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza costituzionale, aveva affermato che nelle materie di legislazione concorrente << il legislatore statale può adottare solo norme costituenti principi fondamentali e non anche disposizioni di dettaglio, benché cedevoli>>.
Ritiene il Consiglio di Stato che lo schema di decreto legislativo sul quale è stato chiamato ad esprimersi, non riguardando in via diretta o indiretta la disciplina intersoggettiva del rapporto di lavoro, non possa fare valida applicazione dei criteri elaborati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 50 del 2005.
Come si ricorderà, chiamata da alcune Regioni a scrutinare la legittimità costituzionale della legge delega n. 30 del 2003 (più nota come legge Biagi) ed del connesso decreto legislativo n. 276 del 2003, la Corte costituzionale con la sentenza n. 50 del 2005 ammise l’esistenza, proprio in relazione alla materia di legislazione concorrente della “tutela e sicurezza del lavoro”, di connessi ambiti di legislazione esclusiva dello Stato e di conseguenti possibili interferenze tra potestà legislativa statale e regionale. In assenza di univoci criteri costituzionalmente definiti per comporre le interferenze tra competenze regionali e statali, la Corte costituzionale fece riferimento ai due principi della prevalenza della materia e della leale collaborazione quali strumenti, in ragione della loro flessibilità, idonei a risolvere problemi derivanti dalla sovrapposizione ed interferenza in uno stesso ambito di disciplina di diverse competenze legislative.
Dissentendo dalla ricostruzione avanzata dall’Amministrazione, il Consiglio di Stato nel parere definitivo dalla medesima sezione adottato in data 4 aprile 2005 non ritiene applicabile al caso de quo né il criterio della prevalenza (il nucleo essenziale del complesso normativo in esame non essendo riconducibile alla materia dell’ordinamento civile) né, peraltro, ravvisa la prevalenza di altra materia appartenente alla legislazione esclusiva dello Stato quali quelle, ad esempio, della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali o della tutela della concorrenza previste rispettivamente dall’art. 117, secondo comma, lett. m) ed e); queste ultime, infatti, in quanto materie trasversali potrebbero riguardare aspetti specifici e puntuali della disciplina non già giustificare l’applicazione del diverso criterio della prevalenza della materia affidata alla legislazione esclusiva statale. Né infine viene ritenuto applicabile il principio di leale collaborazione stante il fallimento del tentativo di raggiungere una soluzione concordata in sede di Conferenza unificata ed il motivato parere negativo espresso dalla gran parte delle Regioni.
A conferma di quanto già rilevato nel parere interlocutorio, quello definitivo, pertanto, insiste nel richiedere all’Amministrazione una puntuale, specifica ed analitica indicazione degli eventuali e limitati ambiti riconducibili alla esclusiva competenza legislativa statale.  
 
 
2.4    In tema di potestà statutaria degli enti locali circa il riconoscimento dell’elettorato attivo e passivo agli stranieri residenti nonché sulla costituzionalità del potere di annullamento straordinario del governo degli atti illegittimi degli enti locali ex art. 138 T.U.E.L.
 
Ancora una volta Consiglio di Stato in sede consultiva viene chiamato a pronunciarsi in ordine al riconoscimento del diritto di voto amministrativo a favore dei cittadini stranieri extra-comunitari.
Trattasi di ambito tematico di particolare rilievo anche in considerazione della esigenza diffusamente avvertita (sul piano non solo locale ma anche internazionale) del più ampio coinvolgimento degli stranieri nella vita amministrativa delle comunità politiche e territoriali nelle quali vivono ed operano da periodi di tempo apprezzabili. A fronte delle iniziative assunte da diversi enti territoriali in tale direzione, occorre registrare, tuttavia, un radicale mutamento di orientamento del medesimo Consiglio di Stato.
Il consiglio dei ministri aveva richiesto un primo parere al Consiglio di Stato nell’ambito del procedimento di annullamento straordinario ex art. 138 del dlgs.vo n. 267 del 2000 dello statuto del comune di Genova, nella parte in cui veniva esteso agli straneri extra-comunitari il diritto di elettorato per le elezioni comunali e la partecipazione ai referendum comunali.
Nell’adunanza del 16 marzo 2005 la prima sezione del Consiglio di Stato, dunque, si dedica in primo luogo alla interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione di cui al citato art. 138, accreditandone la non contrarietà costituzionale e ciò nonostante il mutato quadro costituzionale che ha rafforzato ruolo e garanzie costituzionali delle autonomie territoriali.
Partendo dalla constatazione che l’art.117, comma 2, della Costituzione attribuisce alla potestà legislativa esclusiva determinate materie all’evidente fine di assicurare l’unitarietà e la coerenza dell’ordinamento giuridico e che l’art. 120, secondo comma, Cost. consente allo stesso fine l’invasione statale di competenze proprie degli enti indicati nell’art. 114 Cost., il Consiglio di Stato giunge a giustificare la perdurante legittimità costituzionale della facoltà del governo di annullare gli atti degli enti locali viziati di illegittimità. Nonostante la indeterminatezza dei presupposti e l’ampia discrezionalità che connota siffatto intervento del Governo, i giudici amministrativi ritengono, dunque, che l’art. 138 del T.U.E.L. non sia contrastante con la Costituzione << se ricondotto in margini di operatività che assicurino la salvaguardia delle prerogative degli enti locali costituzionalmente garantite e il suo collegamento ad interessi e valori costituzionalmente tutelati, fra i quali l’unitarietà dell’ordinamento giuridico, la cui cura compete, in via prioritaria, allo Stato>>.
Per quanto riguarda il merito della questione, il Consiglio di Stato, mostrando un evidente mutamento rispetto ad un indirizzo recentemente espresso, giunge ad una valutazione negativa circa la possibilità per gli statuti comunali di consentire l’esercizio dell’elettorato attivo e passivo nelle elezioni comunali ed in quelle circoscrizionali agli apolidi ed ai cittadini stranieri si Stati non aderenti all’Unione Europea.
Nell’articolato parere emesso dalla I sezione del Consiglio di Stato nel 16 febbraio 2005 si argomenta che << l’osservanza della riserva di legge che nella specifica materia elettorale relativa ai comuni è posta dall’art. 117, comma 2, lett. p della Costituzione,richiede che siano indicati dalla fonte primaria almeno i criteri di base per l’esercizio della normazione secondaria e tale presupposto non può ritenersi realizzato con il semplice rinvio all’ordinamento[…] inoltre in virtù del parallelismo stabilito dall’art. 117, comma 6, Cost. la competenza dello stato si estende alla potestà regolamentare il che pur a voler ritenere possibili interventi della potestà statutaria del Comune che non siano di mera attuazione accentua l’esigenza che la legge statale delimiti adeguatamente l’esercizio di tale potere normativo >>.
E’ bene rilevare, peraltro, come nel parere suindicato la prima sezione del Consiglio di Stato, ritenendo non condivisibile il recente parere emesso dalla seconda sezione del medesimo organo (emesso in data 28 luglio 2004, n. 8007 (9) giunga a considerare illegittime le norme statutarie sull’attribuzione dell’elettorato attivo e passivo agli stranieri extra-comunitari nelle consultazioni elettorali circoscrizionali, in ragione del fatto che l’art. 17, comma 4, del T.U.E.L. affida alla potestà statutaria e regolamentare del Comune << la definizione delle forme del procedimento elettorale, alle quali non è riconducibile il riconoscimento del diritto di elettorato, che non attiene a profili formali del procedimento bensì al contenuto sostanziale della capacità giuridica degli stranieri>>.
Alla luce delle contrastanti interpretazioni offerte dalla prima e dalla seconda sezione, il governo ha richiesto nuovo parere sul tema. La formulazione del parere è stata affidata alla trattazione congiunta della prima e della seconda sezione, le quali si sono definitivamente pronunciate in data 6 luglio 2005.
In detto parere viene ribadito che allo stato del diritto positivo, deve escludersi che, gli statuti ed i regolamenti degli enti locali possano riconoscere agli stranieri non comunitari l’elettorato attivo e passivo nelle elezioni degli organi delle circoscrizioni comunali, mancando un esplicito riconoscimento nell’ordinamento ed ogni necessaria conformazione che ne consenta la identificazione e l’esercizio, non essendo allo scopo sufficienti le previsioni di cui al d.lgs.vo 25 luglio 1998, n. 286.
Le due sezioni del Consiglio di Stato hanno, inoltre, argomentato siffatta conclusione in ragione del fatto che << deve escludersi che i diritti politici, nei quali si inquadra agevolmente il diritto di voto nelle elezioni amministrative possano avere un contenuto differenziato nell’ambito della Repubblica e che perciò come è implicito nella tesi della legittimazione degli statuti comunali, espandersi o comprimersi via via che ci si trasferisce sul territorio>>.
 
 
2.5    Sul fondamento della potestà regolamentare in materia di sicurezza della navigazione (norme tecniche per le navi da diporto destinate esclusivamente al noleggio per finalità turistiche): in tema di livelli essenziali delle prestazioni.
 
Nell’esprimere parere favorevole sullo schema di regolamento ministeriale recante norme tecniche in materia d sicurezza delle navi destinate a noleggio per finalità turistiche (10), la sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato, nell’adunanza del 10 gennaio 2005, ritiene che l’intervento della potestà regolamentare dello Stato trovi giustificazione, trattandosi di materia attinente alla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” quindi ricompressa nella competenza esclusiva statale di cui all’art. 117, comma 2 , lett m).
Il fondamentale ed indisponibile diritto alla vita, alla integrità ed alla sicurezza fisica - argomenta la sezione consultiva del Consiglio di Stato – è certamente ricompresso tra i diritti civili, stante il <<potere-dovere dello Stato di garantire in ambito nazionale le condizioni identiche della sua tutela essenziale, ponendo ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettera m) della Costituzione, le necessarie normative comuni di protezione e di sicurezza, sia legislative che regolamentari>>.


2.6 L'esercizio dei poteri sostitutivi da parte degli Uffici Territoriali del Governo ed il principio di leale collaborazione: in tema di collaborazione.
 
Sullo schema di regolamento avente ad oggetto <<Disposizioni di attuazione dell’art. 11 del d.lg. 30 luglio 1999, n.300 e successive modificazioni in materia di prefetture-Uffici territoriali del Governo>> la sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato adotta un primo parere interlocutorio in data 29 agosto 2005 e, successivamente, quello definitivo in data 12 dicembre 2005 contrassegnati dal numero della sezione n. 3583.
Il suddetto schema di regolamento si occupa dei poteri sostitutivi esercitabili dal Prefetto nei confronti delle strutture periferiche dello Stato che erogano servizi pubblici; in particolare, dopo aver previsto che il Prefetto << può chiedere ai responsabili delle strutture amministrative dello Stato l’adozione di provvedimenti volti ad evitare un grave pregiudizio alla qualità dei servizi resi alla cittadinanza >>, la stessa dispone che, << nel caso in cui non vengano assunte nel termine indicato le necessarie iniziative e previo assenso del ministro competente per materia, può provvedere direttamente, informandone preventivamente il Presidente del Consiglio dei Ministri>>.
Nel parere interlocutorio il collegio, ritenendo che il tema dei poteri sostitutivi sia << di estrema delicatezza [e finisca], in ogni caso, con l’incidere sulla autonomia regionale e locale >>, sospende l’emissione del parere, ritenendo <<opportuno e necessario>> acquisire il parere della Conferenza Unificata Stato-Regioni ed Autonomie locali.
Nel parere definitivo adottato dalla medesima sezione nell’adunanza del 12 dicembre 2005 si legge, infatti, che << il principio di leale collaborazione - e la conseguente necessità di acquisire il parere della Conferenza Unificata – non dovrebbe essere limitato alle sole forme di collaborazione istituzionalizzata, ma dovrebbe essere esteso anche al di là della espressa previsione di un obbligo legislativo, nelle situazioni nelle quali si manifesti, in qualche modo, l’opportunità di sentire, sia pure a meri fini conoscitivi (e quindi in maniera non vincolante), l’opinione degli altri soggetti istituzionali>>. Nel merito il parere definitivo, peraltro, conferma talune perplessità (pure esposte nel parere interlocutorio) in ordine alle modalità di partecipazione dei rappresentanti regionali in seno alle conferenze provinciali e dei prefetti delle altre province in seno alla conferenza regionale. 


2.7 In tema di determinazione dei livelli essenziali in materia di diritto allo studio universitario (proroga con normativa secondaria, in attesa di disciplina legislativa).

Il Consiglio di Stato chiamato dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca scientifica ad esprimere il proprio parere facoltativo in ordine al d.P.C.M. previsto dall’art. 4 della legge 2 dicembre 1991, n. 390 (relativo alla determinazione dei criteri ed i presupposti per l’assegnazione di borse di studio e la realizzazione del diritto allo studio universitario), nel parere n. 3581 adottato nell’adunanza del 29 agosto 2005, svolge alcune considerazioni, che risultano direttamente connesse con il nuovo riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni introdotto dalla riforma del Titolo V della Costituzione.
Con lo schema di decreto ministeriale sottoposto all’attenzione del Consiglio di Stato, l’amministrazione referente, pur consapevole della necessità di una nuova disciplina legislativa statale più aderente al mutato quadro costituzionale, mira a prorogare per l’anno accademico 2005-2006, apportando limitate modifiche, le disposizioni contenute in precedenti d.P.C.M. al fine di garantire il diritto allo studio universitario in attesa delle necessarie modifiche legislative.
Il Consiglio di Stato, ancor prima di svolgere talune osservazioni sul merito del provvedimento, in via preliminare, affronta e risolve positivamente il problema della sussistenza della competenza statale ad adottare il provvedimento medesimo.
Posto che il diritto allo studio rientra tra i diritti civili e sociali, il Consiglio di Stato afferma che la determinazione dei livelli essenziali delle relative prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale spettano allo Stato, stante la competenza legislativa esclusiva prevista dall’art. 117, comma secondo, lett. m) Cost.
Più in dettaglio - viene argomentato nel parere - detta competenza legislativa esclusiva dello Stato, per espresso riconoscimento della giurisprudenza costituzionale è ritenuta idonea ad investire tutte le materie, con conseguente forte incidenza sull’esercizio delle competenze regionali, fermo restando che le relative scelte, almeno nelle loro linee generali, siano operate dallo Stato con legge.
La garanzia che il nucleo costitutivo dei diritti civili e sociali venga assicurato in modo eguale entro l’intero territorio nazionale viene, dunque, assicurata proprio grazie all’intervento della fonte statale primaria.
Ora proprio la circostanza che la legge 2 dicembre 1991, n.390 non determini, come pure sarebbe necessario, i predetti livelli essenziali è ragione che induce i giudici amministrativi, nelle more della sollecitata riforma della stessa, a giustificare la legittimità del decreto oggetto del parere; il D.P.C.M., infatti, configurandosi come << anticipazione con norma secondaria dei contenuti di una disciplina non ancora disposta con la norma primaria>> sarebbe idoneo ad assicurare continuità delle prestazioni e quindi a scongiurare per via dell’interruzione delle borse di studio l’<< inattuazione, temporanea ma radicale, dello stesso dettato di cui all’art. 34 della Costituzione>>.
 
 
2.8   Il registro informatico degli adempimenti amministrativi per le imprese ed il principio di sussidiarietà
 
Il parere adottato dalla sezione consultiva degli atti normativi del Consiglio di Stato nell’adunanza del 21 marzo 2005 si pronuncia sullo schema del d.P.C.M recante il regolamento relativo alle modalità di coordinamento, attuazione ed accesso al registro informatico degli adempimenti amministrativi per le imprese e previsto dalla legge 29 luglio 2003, n. 229 (legge di semplificazione per il 2001).
L’art. 16, comma 1, della legge n. 229 del 2003 prevede, nello specifico, che detto registro sia articoli su base regionale mediante la istituzione di apposite sezioni. Da qui talune perplessità del collegio. il quale, non trascurando il parere negativo espresso dalle Regioni in sede di Conferenza unificata, manifesta riserve sul rispetto dell’ordine costituzionale delle competenze che affidano in detta materia alle regioni rilevanti poteri legislativi e regolamentari; è convinzione della sezione consultiva, infatti, che << trattandosi di registro che deve aderire alle vocazioni produttive dei diversi contesti territoriali appare logico accentuare la funzione delle Regioni nell’alimentazione e nella gestione dei dati a livello territoriale>>.
I rilievi, dunque, si concentrano sulla legittimità di una scelta legislativa che determina l’attrazione della fase organizzativa del registro nella esclusiva o prevalente responsabilità statale; da qui il suggerimento verso forme di decentramento dei compiti << sulla base del principio generale di sussidiarietà economica ed a prescindere da una puntuale delimitazione di ambiti formali e materiali di competenze legislative e regolamentari>> e la conservazione in capo allo Stato di poteri di vigilanza ed impulso.  
 
 
2.9  Sulla potestà regolamentare statale nella disciplina della gestione patrimoniale e finanziaria delle Camere di Commercio
 
Con il parere reso nell’adunanza del 10 gennaio 2005 dalla sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato viene affermata la potestà regolamentare dello Stato nella materia della gestione patrimoniale e finanziaria delle Camere di Commercio in ragione di una duplice argomentazione; rimane, infatti, intestata allo Stato sia la materia dell’ordinamento e della organizzazione amministrativa degli enti pubblici nazionali - ex art. 117, comma secondo, lett. g) - sia la competenza a garantire su tutto il territorio nazionale la tutela della concorrenza ex art. 117, comma secondo, lett. e) della Costituzione.
Occorre, infatti, tener conto in primo luogo della struttura associativo-territoriale delle camere di Commercio, la quale implica l’esercizio di funzioni generali di natura certamente pubblica e disciplinate per legge in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale nonché alimentate da forme di prelievo para-fiscale ed, in secondo luogo, dell’esigenza di organizzare, sulla base di criteri di gestione omogenei e confrontabili, un organismo di natura pubblica cui sono affidate delicate ed importanti funzioni di indirizzo, promozione, formazione e stimolo del tessuto imprenditoriale al fine della realizzazione di condizioni di mercato trasparenti nonché del mantenimento e sviluppo di condizioni di libera concorrenza.
Stando al suindicato parere, l’esistenza di una duplice competenza esclusiva statale in detta materia, pertanto, rende legittimo il potere regolamentare del governo.  
 
 
2.10 Sul Codice delle assicurazioni (riassetto delle disposizioni vigenti in materia di assicurazioni).
 
Nel parere reso nell’adunanza del 14 febbraio 2005 dalla sezione consultiva degli atti normativi in merito al codice delle assicurazioni non emergono spunti di particolare e specifico interesse in materia regionale, pur a fronte di considerazioni assai rilevanti in tema di semplificazione normativa e sistema delle fonti.
Pur ribadendo, in via generale, la necessità di un raccordo tra le normativa statale e quella regionale a seguito del nuovo assetto dei rapporti tra le fonti, viene rilevato che tale raccordo nel caso specifico non risulta rilevante, essendo la materia oggetto del codice ricompresa in competenze legislative esclusive statali ed in particolar modo in quella dell’ordinamento civile di cui all’art. 117 lett. l) Cost.; alle norme generali del contratto di assicurazione e di riassicurazione, infatti, è dedicato il capo XX del titolo III del IV libro del vigente codice civile (artt. 1882-1932). 
 
 
2.11 In tema di potestà regolamentare statale sull’istituzione del marchio “ made in Italy”.
 
Nel parere emesso nell’adunanza del 18 aprile 2005 la sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato si pronuncia in ordine alla conformità del regolamento governativo previsto dall’art. 4, comma 63, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria 2004) al riparto costituzionale delle competenze normative così come riformato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001.
Nell’ambito di un più complessivo disegno a sostegno di una campagna promozionale a favore dei prodotti integralmente prodotti sul territorio nazionale, la suindicata disposizione normativa affida ad un regolamento governativo la disciplina concreta dell’istituzione e dell’uso del marchio “made in Italy”.
Rispetto allo schema di regolamento ad essa sottoposto la sezione non ravvisa alcun aspetto di criticità in ordine al rispetto della nuova configurazione delle potestà legislative, ritenendo che il suddetto testo normativo si riferisca a materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, con particolare riferimento al profilo riguardante l’ordinamento civile di cui alla lett. l), aggiungendo, peraltro, che << non v’è dubbio che l’istituzione e l’uso del marchio “made in Italy” siano preordinai alla tutela dei consumatori che hanno così la certezza di acquistare prodotti di origine nazionale […] nonché alla tutela della concorrenza>>.
Nel parere in questione, peraltro, a conferma della titolarità statale della potestà regolamentare de qua si sottolinea come << i rapporti inerenti alla tutela del consumatore sono trasversali ad una pluralità di competenze legislative esclusive dello Stato >> che sono poi precisati nella tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali, tutela del risparmio e della concorrenza così come previsti rispettivamente alle lett. m) ed e) dell’art. 117, secondo comma Cost.


2.12 Sul Testo Unico della Radiotelevisione
 
Nel quadro del generale disegno di codificazione e semplificazione normativa in atto negli ultimi anni viene sottoposta all’attenzione della Sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato lo schema di decreto legislativo recante il “Testo Unico della radiotelevisione”, in attuazione della delega legislativa contenuta nell’art. 16, comma 1, della legge 3 maggio 2004, n.112.
Con il parere reso nell’adunanza del 16 febbraio 2005 la sezione consultiva del Consiglio di Stato svolge una serie di considerazioni e suggerimenti che tendono, a vario titolo, alla razionalizzazone, anche sotto il profilo della tecnica legislativa, dello schema del testo unico; non mancano talune indicazioni che attengono al riparto delle competenze Stato-Regioni e, più in generale, a temi di interesse regionale.
Più in dettaglio, il collegio condivide la natura giuridica di principi fondamentali delle disposizioni contenute, tra l’altro, anche nell’art. 12 del testo, come tali idonei a limitare l’autonomia legislativa regionale, trattandosi di disposizioni riguardanti <<l’obbligo delle Regioni di rispettare l’ordine internazionale ed europeo nella materia >> e che << individuano i livelli di adeguatezza per la collocazione delle competenze amministrative >>; proprio al fine di evitare ogni ambiguità e contestazione la sezione consultiva suggerisce di spostare l’art. 12 sotto il capo riguardante ”i principi fondamentali”.
In relazione, poi, all’art. 46 del testo in esame i giudici amministrativi non condividono la proposta avanzata dalla Conferenza Stato-Regioni di prevedere l’obbligo del ministero delle Comunicazioni di acquisire l’intesa con le Regioni prima di stipulare il contratto nazionale di servizio, ritenendo però opportuno l’obbligo ministeriale di trasmettere alle Regioni la bozza di contratto di servizio indicando un termine entro il quale le stesse possano formulare eventuali osservazioni.  
 
 
3.  Attività giurisdizionale
 
Anche nel corso del 2005 la giurisprudenza contenziosa dei giudici amministrativi, in prima ed in seconda istanza, si è ampiamente cimentata con questioni applicative ed interpretative di diritto regionale, avendo toccato pressoché tutti gli aspetti del riformato Titolo V.
Risulta confermato, ancora una volta, l’aumento del contenzioso promosso dagli enti locali a tutela delle nuove ed accresciute attribuzioni istituzionali.
Non di rado, infatti, comuni e province promuovono ricorsi contro atti regionali anche al fine di sollevare questioni di legittimità costituzionale di leggi regionali che ritengono lesive delle proprie sfere di competenza.
Come, del resto, rilevato nel precedente rapporto, tale fenomeno costituisce conferma emblematica dell’assenza di validi strumenti di prevenzione e risoluzione di conflitti tra i diversi livelli di autonomia territoriale, i quali tendono a proliferare in un sistema costituzionale delle competenze ancora non sufficientemente definito; d’altro canto, la giustizia amministrativa continua a rappresentare la sede naturale per (tentare di) far valere le ragioni delle autonomie territoriali infra-regionali nei confronti di scelte e politiche regionali ritenute, di frequente, accentratrici e poco rispettose delle sfere di autonomia subregionale.
Sotto altro profilo, l’intenso conflitto sul terreno della giustizia amministrativa tra Stato- regioni ed enti locali trova alimento nella mancanza del controllo obbligatorio del Consiglio di Stato sulla potestà regolamentare esercitata dalle Regioni nelle materie di potestà concorrente e residuale, la quale comporta naturalmente un aumento del contenzioso volto alla verifica della legittimità-conformità della normativa secondaria rispetto alle fonti sovra-ordinate.
Non potendo, per ovvie ragioni, dar conto in maniera esaustiva di tutta la giurisprudenza di interesse regionale si è pensato di dar conto di alcune selezionate sentenze le quali, per i temi trattati, le tecniche di giudizio adottate ovvero per gli specifici esiti interpretativi sono parse di particolare interesse.
 
 
3.1  Sulla competenza residuale delle Regioni in materia di consorzi comunali per il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti.
 
Con la sentenza 22 marzo 2005 n. 632 del Tar Piemonte, sez. II, viene rigettata la questione di legittimità costituzionale nei confronti dell’art. 11 della legge regionale del Piemonte n. 24 del 2002 per violazione dell’art. 117, quarto comma, Cost. in combinato disposto con l’art. 31, comma settimo, del T.U.E.L.
Stando alla ricostruzione del comune ricorrente di Mondovì, infatti, la suddetta disposizione regionale, laddove venisse interpretata nel senso di prevedere la costituzione di consorzi obbligatori per il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti, sarebbe in contrasto con l’art. 31, comma settimo, T.U.E.L. il quale riserverebbe la scelta di imporre la forma consortile alla sola legge statale; la suddetta norma legislativa regionale, dunque, risulterebbe incostituzionale per violazione della potestà esclusiva residuale regionale.
Il Tar Piemonte ha buon gioco nel dichiarare manifestamente infondata la sollevata questione di legittimità costituzionale e nel ribadire che <<l’art. 117, comma quarto, Cost. si riferisce alle materie individuate dalla stessa Costituzione, in specie nell’art. 117, comma secondo, e non certo a materie ulteriori, individuate dal legislatore statale; se così non fosse, infatti, la norma costituzionale perderebbe ogni forza precettiva autonoma, il che la porrebbe in contrasto con la ragion d’essere del riparto di competenze tra i vari livelli di governo che, per essere efficace, deve essere svolto proprio a livello costituzionale>>.  
 
 
3.2  In tema di requisiti per la nomina di difensore civico.
 
Da segnalare la sentenza n. 1910 del 26 aprile 2005 adottata dalla V sezione del Consiglio di Stato la quale si occupa dei requisiti per la nomina a difensore civico; più in dettaglio detta pronuncia prevede che nel caso in cui uno statuto comunale preveda che il candidato alla nomina a difensore civico offra, per preparazione ed esperienza, ampie garanzie di indipendenza, probità e competenza non possa essere negata la sussistenza di detti requisiti al soggetto che risulti in possesso di laurea in giurisprudenza nonostante lo stesso abbia, anche in un passato recente, manifestato di appartenere ad una parte politica, assumendo responsabilità organizzative o partecipando a competizioni elettorali.
 
 
3.3  Intorno alla competenza concorrente in materia di realizzazione degli impianti di produzione, distribuzione ed utilizzo dell’energia elettrica.
 
Di grande rilievo risulta essere la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, del 23 dicembre 2005 n. 7387 (confermativa della decisione del Tar Puglia 21 gennaio 2004 n. 171) la quale, tra l’altro, ritenendo infondata la questione di legittimità costituzionale del decreto legge 7 febbraio 2002, n. 7 (c.d decreto sblocca centrali convertito in legge 9 aprile 2002, n. 55) ha ribadito che << rientra nei poteri delle regioni l’individuazione di ulteriori criteri di realizzazione degli impianti di produzione, distribuzione ed utilizzo dell’energia elettrica, fermo restando che questi ultimi dovranno comunque uniformarsi agli standard stabiliti dal gestore della rete di trasmissione nazionale>>.
La disposizione normativa impugnata, infatti, si limita a prevedere la emanazione da parte dei competenti organi regionali di linee guida che dettino criteri per la progettazione tecnica degli impianti di produzione e distribuzione dell’energia nonché per la costruzione dei relativi edifici, aggiuntivi rispetto a quelli individuati dalla regole tecniche (11) adottate dal gestore nazionale e che pertanto, ove si reputasse che dette linee guida regionali fossero in concreto contrastanti con queste ultime, ne potrà essere fatta valere la relativa illegittimità con gli ordinari rimedi.
Nel giungere a tale conclusione i giudici amministrativi hanno buon gioco, potendosi valere delle argomentazioni elaborate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 6 del 2004 alla quale, non a caso, è fatto esplicito richiamo.
 
 
3.4   In tema di riparto di competenze amministrative tra giunta e consiglio comunale alla luce delle modifiche introdotte dalla riforma del Titolo V della Costituzione.
 
 
In tema di enti locali si segnala la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 3 marzo 2005, n. 832, nella quale viene affermata la legittimazione dei consiglieri comunali ad impugnare una delibera di modifica dello statuto comunale che attribuisce alla <<giunta municipale le variazioni o dismissioni di quote di partecipazione non determinanti ai fini del controllo della società>>.
E’ convincimento dei giudici del supremo collegio che, alla luce del nuovo riparto di competenze legislative introdotte dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, l’art. 6 del T.U.E.L. vada interpretato nel senso di attribuire alla potestà statutaria comunale il potere di specificazione delle attribuzioni degli organi diversi da quelli di governo (come individuati dall’art. 31, comma 1, del medesimo T.U.E.L.) cioè delle attribuzioni del direttore generale, degli incaricati a contratto in qualifiche dirigenziali e dell’organo di revisione .
 
 
3.5  Sul principio di sussidiarietà e leale collaborazione nonché sulla rilevanza costituzionale egli enti locali.
 
Le implicazioni sottese ai principi di sussidiarietà e di leale collaborazione si confermano temi ricorrenti nelle pronunce dei giudici amministrativi; esse vengono affrontate e risolte, facendo ricorso alle argomentazioni dal giudice costituzionale elaborate, soprattutto, nella nota sentenza n. 303 del 2003, la quale viene frequentemente evocata e richiamata .
Con la decisione n. 1893 adottata dal Consiglio di Stato, sez. VI, in data 26 aprile 2005 viene dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1 e 2, della legge n. 443 del 2001 (cd legge obiettivo) sollevata in riferimento, tra gli altri, agli artt.5 e 118 Cost. in ragione del mancato coinvolgimento degli enti locali nella realizzazione di opere pubbliche di interesse nazionale e, dunque, della violazione dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione. Nel dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale il Consiglio di Stato mostra di aderire a quella ricostruzione procedimentale ed ascensionale del principio di sussidiarietà (12) idoneo a garantire, attraverso l’avocazione statale, quell’esercizio unitario delle funzioni amministrative << è coerente con la matrice teorica e con il significato pratico della sussidiarietà che essa agisca come subsidium quando un livello di governo sia inadeguato alle finalità che si intenda raggiungere; e, se ne è comprovata un’attitudine ascensionale, deve allora concludersi che, quando l’istanza di esercizio unitario trascenda anche l’ambito regionale, la funzione amministrativa può essere esercitata dallo Stato>>.
I giudici amministrativi si dimostrano niente affatto indifferenti alle ragioni pratiche della soluzione elaborata dalla Corte costituzionale; in altro passo della parte motiva delle medesima sentenza, infatti, l’esclusione dell’incostituzionalità della legge obiettivo viene dedotta anche in ragione del fatto che altrimenti si sarebbe << riproposto quel deficit giuridico caratterizzato dagli ostacoli, intorno ai quali le forme di particolarismo locale si sommano in un gioco a somma zero, con i difetti, senza i pregi, tanto del centralismo quanto del localismo non funzionale al raggiungimento di grandi obiettivi di modernizzazione del Paese>>; deficit, appunto, che il legislatore statale ha inteso eliminare proprio con l’approvazione della legge obiettivo. 
 
 
3.6  La potestà regolamentare dei comuni in materia di installazione di impianti di telefonia mobile ed impianti di radiodifussione. Effetti della sentenza n. 303 del 2003 della Corte costituzionale sui procedimenti amministrativi pendenti.
 
Quello dei limiti alla potestà regolamentare comunale nella disciplina della installazione di impianti di telecomunicazione produttive di inquinamento elettromagnetico si conferma tema di grande rilievo che ha conosciuto un rilevantissimo contenzioso tra Stato, Regioni e Comuni proprio in ordine alla interpretazione e ripartizione dei poteri di pianificazione connessi alla costruzione di impianti di telecomunicazione (13) così come disciplinati dall’art. 8, commi 1 e 6, della legge n. 36 del 2001 (14)) e più di recente dell'art. 87 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche).
E’ avviso del Consiglio di Stato, sez. VI, 9 giugno 2005 n. 3040 che il legislatore statale nel riconoscere <<la competenza delle regioni quanto all’individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per la telefonia mobile, degli impianti radioelettrici e degli impianti per radiodiffusione […] ha ribadito la potestà dei comuni di adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti anche al fine di minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici>>; ne deriva, pertanto, che l’ente locale non viene << privato delle prerogative di esercizio del potere di pianificazione con riguardo anche agli impianti di telecomunicazione >> né del potere di dettare << specifiche regole di pianificazione che in ogni caso non debbono vanificare il carattere infra-zonale peculiare alle reti di telecomunicazione che forniscono servizi accessibili al pubblico>>.
 Sotto altro profilo la medesima pronuncia dichiara manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità prospettata da parte comunale nei confronti degli art. 87, coma terzo, del d.lgs n. 259 del 2003 e dell’art. 4 del d.l. n. 315 del 2003 come convertito nella legge n. 5 del 2004, in quanto intervenuta nella materia del governo del territorio, riservata alla legislazione concorrente della regione, con preclusione dell’intervento degli enti territoriali nella localizzazione delle opere ; la previsione di un unico procedimento autorizzatorio per l’installazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica, stando al ragionamento dei giudici amministrativi, mira ad assicurare a mezzo di procedure tempestive e semplificate << la parità delle condizioni concorrenziali fra i diversi gestori nella realizzazione delle proprie reti di comunicazione sull’intero territorio nazionale, oltrechè la contestuale osservanza dei livelli di compatibilità ambientale delle emissioni radioelettriche>>; ne deriva che l’oggetto della disciplina normativa in quanto connessa con le materie trasversali della tutela della concorrenza e dell’ambiente ex art. 117, secondo comma, Cost., restano naturalmente affidate alla legislazione esclusiva dello Stato. 
Nella medesima vicenda processuale, peraltro, i giudici amministrativi erano stati chiamati a pronunciarsi anche in ordine alla perdurante validità dei procedimenti amministrativi ancora pendenti al momento in cui era sopraggiunta la sentenza n. 303 del 2003 nonché sulla prospettata violazione del giudicato costituzionale ad opera dell’art. 4 delle legge n. 5 del 2004, avendo detta disposizione normativa rivitalizzato il potere dei gestori dei servizi di espandere la rete di telecomunicazione in spregio al potere di panificazione riconosciuto agli enti locali.
La decisione n. 3040 del 2005 del Consiglio di Stato, da un lato, precisa che la sentenza n. 303 del 2003 non ha prodotto effetti caducanti delle istanze presentate dagli esercenti il servizio di telefonia mobile per l’installazione di infrastrutture di telecomunicazione e ciò anche alla luce dell’art. 4 del d.l. n. 315 del 2003 che aveva disposto il recupero in via normativa dei procedimenti inerenti la realizzazione degli impianti; nella medesima sentenza viene altresì esclusa la incostituzionalità dell’art. 4 del d.l. n. 315 del 2003 convertito nella legge n. 5 del 2004 per contrasto con la sentenza n. 303 del 2003 in quanto questa << non preclude la riedizione delle disposizioni travolte dalla dichiarazione di incostituzionalità una volta che siano state emendate le accertate violazioni delle regole costituzionali sull’attività legislativa del Governo in via delegata, né la possibilità di regolamentare in via transitoria i rapporti giuridici sorti nella vigenza delle norme poi dichiarate incostituzionali>>.
Sulla medesima questione si sofferma pure la decisione del Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 giugno 2005 n. 3416 in base alla quale << il potere pianificatorio del Comune patisce due limiti: uno intrinseco, dato dalla previsione di cui all’art. 3 comma 1, della legge n. 36 del 2001, la quale attribuisce alla competenza della Regione la indicazione dei criteri localizzativi per individuare i siti in cui allocare gli impianti; uno estrinseco costituito dal fatto che la concreta individuazione dei siti deve avvenire in modo tale che la realizzazione della rete assicuri la copertura del servizio pubblico nell’intero territorio comunale>> (15).
Da tale premessa il Consiglio di Stato fa discendere l’annullamento della disposizione del regolamento edilizio comunale per aver questa previsto limiti generalizzati alla localizzazione degli impianti e non tenuto conto degli obiettivi di qualità che la Regione può legittimamente indicare ai sensi della legge quadro (art. 3, comma 1, lett. d n.1 ed art. 8, comma 1, lett e della legge n. 36 del 2001).Che la fissazione di limiti di esposizione ai campi elettromagnetici diversi da quelli stabiliti con normativa statale non rientri nell’ambito delle competenze attribuite ai comuni dall’art. 8 della legge n. 36 del 2001 è bene messo in evidenza, pure, dal Consiglio di Stato, sez. IV, 14 febbraio 2005, n. 450.
In termini del tutto analoghi la sentenza del T.a.r. Puglia- Lecce, sez. II, 2 luglio 2005 n. 3587 la quale dichiara l’illegittimità e per l’effetto provvede all’annullamento parziale di un regolamento comunale <<recante norme per il corretto insediamento territoriale degli impianti di telecomunicazione e radiotelevisivi>> in quanto lo stesso vietava in maniera pressoché generalizzata l’installazione sul territorio comunale delle SRB (stazioni radio base).
La sentenza del Tar Puglia- Lecce, sez. II n. 3585 del 2005 si occupa specificamente della portata e dei limiti della potestà regolamentare, giungendo alla conclusione che il comune possa dotarsi del regolamento anche in assenza dell’intervento del legislatore regionale. Tale conclusione viene argomentata nel modo seguente: in primo luogo, in base al principio costituzionale di sussidiarietà ex art. 118 Cost. il quale << presuppone che le funzioni amministrative sono esercitate dal livello di potere che è piu vicino ai cittadini>>; in secondo luogo, il regolamento comunale, in quanto finalizzato ad assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti di telefonia mobile, sarebbe legittimato ad intervenire, essendo questa materia di stretta pertinenza comunale; in terzo luogo, infine, poiché la finalità concorrente della disciplina statale è quella della tutela della salute (attraverso la minimizzazione dell’esposizione della popolazione locale agli effetti dei campi elettromagnetici), la stessa non può essere ritardata in ragione dell’eventuale inerzia regionale.
 
 
3.7  Sulla titolarità del potere di disciplinare il procedimento amministrativo in materie di esclusiva competenza regionale.
 
Di particolare interesse la questione dell’applicabilità delle disposizioni normative contenute nella legge statale sul procedimento amministrativo anche ai procedimenti amministrativi riguardanti ambiti materiali di pertinenza regionale (16).
Detta questione viene affrontata nella sentenza del Tar Lazio, Sez. II ter del 4 luglio 2005 n. 9806, resa nell’ambito di una controversia originata dall’impugnativa di una graduatoria comunale per l’assegnazione di licenze taxi.
Il giudice amministrativo, infatti, ha modo di pronunciarsi sulla applicabilità della disciplina normativa del procedimento amministrativo recata dalla legge 241 del 1990, di recente modificata dalla legge n. 15 del 2005, in una materia, (quale quella dalle tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale) dapprima rientrante nella competenza concorrente ed in seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione, affidata alla competenza esclusiva regionale. Con la suddetta sentenza il Tar Lazio afferma, infatti, che la materia del trasporto pubblico regionale e locale, in assenza di un concorrente titolo di legittimazione statale ( come ad esempio la tutela della concorrenza) rientra nella competenza esclusiva e residuale regionale. Pertanto, argomentano i giudici amministrativi del Lazio, essendo stata affidata dall’art. 117, secondo comma, lett. g della Costituzione alla competenza esclusiva statale la materia dell’ordinamento e della organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionale, non già la disciplina generale dell’attività e del procedimento amministrativo, rimane << dubbia l’effettiva vincolabilità per le Regioni di una disposizione di legge ordinaria come l’art. 29, comma 2, della legge n. 241 del 1990 - così come novellata dall’art. 19 della legge n. 15 del 2005- alla stregua del quale le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa, così come definite dai principi stabiliti dalla presente legge >>.
Ne deriva che i regolamenti di attuazione della legge n. 241 del 1990 vengono ritenuti inidonei <<a disciplinare materie e procedimenti di esclusiva competenza regionale e /o comunale >>; stando all’interpretazione emergente dalla suddetta sentenza, dunque, i principi stabiliti dalla legge n. 241 del 1990 potranno imporsi alle Regioni ma solo nelle materie di potestà concorrente e nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge dello Stato ovvero quale espressione del diritto al giusto procedimento, rientrante tra i livelli essenziali dei diritti civili da garantire a tutti i cittadini ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. m Cost. o infine qualificando le disposizioni della legge n. 241 alla stregua di norme interposte che, integrando il sistema costituzionale vincolano direttamente le Regioni ai sensi dell’art. 117, comma 1, Cost..
 
 
 
3.8   In tema di governo del territorio. Sulla competenza regionale alla realizzazione di misure di pianificazione del territorio per il corretto accesso al demanio marittimo.
 
Nell’ambito di una controversia avente ad oggetto il mancato riconoscimento di una concessione demaniale ad uso balneare viene sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 15 della legge della Regione Abruzzo n. 141 del 1997 per sospetta violazione dell’art. 117 comma terzo, Cost. Nel dichiarare manifestamente infondata la prospettata questione di legittimità costituzionale, il Consiglio di Stato, nella sentenza 19 dicembre 2005, n. 7177, svolge alcune interessanti considerazioni sulla delimitazione delle competenze normative tra Stato e Regioni nella materia concorrente del governo del territorio.
Richiamando talune pronunce del giudice costituzionale, il Consiglio di Stato ribadisce come la materia di potestà concorrente riguardante il governo del territorio finisca per ricomprendere nel proprio ambito tanto l’urbanistica quanto l’edilizia, non esaurendosi, tuttavia, in queste ma comprendendo, in via generale, <<tutto ciò che attiene all’uso del territorio ed alla localizzazione di impianti o attività>>.
 La suddetta pronuncia afferma, pertanto, come <<la disciplina di pianificazione dell’utilizzazione delle aree del demanio marittimo rientri nella materia di legislazione concorrente del governo del territorio la cui potestà legislativa spetta alle Regioni salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato>> e ancora che << la concreta disciplina di approvazione dei piani spetta ai legislatori regionali, i quali ben possono, proprio al fine di attuare le finalità indicate dalle leggi statali, rendere effettivo il proprio intervento pianificatorio attraverso misure di salvaguardia, che tipicamente accompagnano una corretta programmazione degli usi consentiti ed evitano che, nelle more dell’adozione dei piani, possano consolidarsi posizioni non compatibili con il buon uso del territorio>>.  
 
 
3.9  Sulla competenza legislativa regionale in tema di disciplina della cessazione di incarichi dirigenziali ASL (in tema di spoil system regionale).
 
Particolare interesse riveste l’ordinanza n. 5833 del 19 ottobre 2005 (17), con la quale la V sezione del Consiglio di Stato (in sede di giudizio di appello avverso il rigetto di una domanda cautelare disposto dal Tar Lazio, sez. III, con ordinanza n. 4774 del 2 settembre 2005) solleva questione di legittimità costituzionale delle norme regionali relative al c.d. spoil system regionale.
I giudici di Palazzo Spada hanno, infatti, motivo di dubitare della legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 55, comma quattro, dello Statuto della Regione Lazio approvato con legge regionale 11 novembre 2004, n. 1 e dell’art. 71, commi 1, 3 e 4, lett. a) della legge regionale 17 febbraio 2005, n. 9 per sospetta violazione degli artt. 32, 97, e 117, comma 2 lett. l ed art. 117, terzo comma, ultimo periodo, della Costituzione.
Più in dettaglio l’art. 55, comma quarto, dello Statuto regionale sancisce la decadenza generalizzata dalla carica dei componenti degli organi istituzionali di tutti gli enti dipendenti dalla Regione, decorso il novantesimo giorno dalla prima seduta del Consiglio regionale; l’art. 71 della legge regionale 17 febbraio 2005, n. 9, poi, in deroga alle disposizioni contenute nelle specifiche leggi vigenti in materia, ha esteso detta decadenza anche alle ipotesi in cui la carica sia in atto alla data di entrata in vigore dello Statuto disponendo l’adeguamento di diritto ai termini previsti dall’art. 55, comma 4, della durata del contratto regolante il rapporto di lavoro sottostante.
Il collegio rimettente ritiene che la cessazione dalla carica dei componenti degli organi istituzionali degli enti dipendenti dalla Regione non possa essere disposta in conseguenza del mero rinnovo del massimo organo politico rappresentativo a livello regionale.
Tale evenienza, secondo i giudici amministrativi, costituirebbe una evidente cesura nella continuità dell’azione amministrativa regionale, determinata non da una valutazione negativa dei responsabili delle cariche istituzionali ma da un evento oggettivo e di natura eminentemente politica quale quello rappresentato dalla elezione del nuovo Consiglio regionale.
Detta previsione normativa, in altri termini, appare in contrasto sia con i principi costituzionali di imparzialità e buon andamento affermati dall’art. 97 Cost. e, ove riferita ai direttori generali delle A.s.l., anche con il principio di tutela della salute di cui all’art. 32 Cost..
La normativa suddetta risulterebbe, infine, contrastare con l’art. 117, secondo comma, lett. l) nonché con l’art. 117, comma terzo, Cost; in ordine al primo aspetto, infatti, la disciplina della decadenza dalla carica esula dalla competenza legislativa regionale, in quanto, incidendo sulla disciplina del rapporto di lavoro sottostante, andrebbe ad invadere una materia affidata alla competenza esclusiva statale, quale quella dell’ordinamento civile; in ordine al secondo aspetto risulterebbe violato quel principio fondamentale della materia sanitaria (18) in virtù del quale al rapporto di lavoro del direttore generale delle A.s.l. deve essere garantita una stabilità ed autonomia in misura congrua per l’esercizio delle proprie attribuzioni.
 
 
3.10 Sui referendum abrogativi e consultivi locali.
 
Le pronunce che seguono risultano di particolare interesse, affrontando un tema (quale quello relativo alle consultazioni popolari, sia abrogative che consultive, effettuate a livello locale) particolarmente complesso e non sufficientemente indagato dalla dottrina (19) e dalla stessa giurisprudenza.
La problematicità del tema risulta confermata dalla difficoltà di individuare esattamente oggetto, portata, funzioni e limiti delle consultazioni locali le quali, peraltro, presentano spesso connotazioni variegate e multiformi.
Il Tar Liguria, sez. II., con sentenza 24 maggio 2005 n.723 ha dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo il ricorso promosso avverso il provvedimento della commissione per l’esame di ammissibilità del comune di Finale Ligure con il quale era stato dichiarato inammissibile un quesito referendario (20) non avente ad oggetto materie di esclusiva competenza locale. La giurisdizione del giudice amministrativo viene così declinata a favore di quella del giudice ordinario in considerazione della sussistenza di un diritto soggettivo pubblico dei promotori del referendum il quale << può essere affermato o negato ma non degradato né inciso da un atto amministrativo adottato dall’organo preposto al controllo>>.
Assai più articolata e complessa la sentenza del Tar Puglia, sez. II, n. 1926 del 2005, con la quale viene, previa affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo, respinto il ricorso presentato da alcuni promotori del referendum abrogativo per l’annullamento di tutto il procedimento amministrativo preordinato alla realizzazione del parcheggio multipiano interrato nel comune di Bitonto.
Non condividendo la scelta del consiglio comunale di realizzare un parcheggio interrato in una piazza del comune, alcuni cittadini, in applicazione degli artt. 46 e 48 dello statuto comunale, avevano presentato istanza di referendum abrogativo finalizzata all’annullamento di tutto il procedimento amministrativo preordinato alla realizzazione del suddetto parcheggio. La decisione del consiglio comunale di dichiarare inammissibile il referendum era stata impugnata innanzi al giudice amministrativo, il quale, a sua volta, ha rigettato il ricorso.
Nel motivare la propria decisione di rigetto, il giudice amministrativo svolge interessanti considerazioni sull’istituto del referendum abrogativo locale, mutuando principi ed argomentazioni elaborate dalla giurisprudenza costituzionale in materia di referendum abrogativo ex art. 75 Cost.
In via generale viene esclusa la possibilità di richiedere referendum abrogativi di atti non generali, ma riguardanti situazioni soggettive differenziate; sotto altro profilo, viene affermata la necessità che il quesito referendario riguardi atti suscettibili di abrogazione e che esso sia formulato in maniera inequivoca <<sì che la partecipazione popolare abbia esatta cognizione della finalità cui è preordinato il referendum abrogativo e sia chiaro l’atto che si intende abrogare>>
Il giudice amministrativo finisce così per giudicare corretta, ragionevole e adeguatamene motivata la decisione di inammissibilità del referendum abrogativo locale, adducendo ragioni di finanza pubblica locale nonché di tutela di situazione giuridiche soggettive dei terzi interessati; la scelta di realizzazione dell’opera pubblica, infatti, aveva raggiunto << fasi di sviluppo procedimentale sottratte alla libera disponibilità del comune sicché le scelte obbligate derivanti dalla volontà popolare di abrogazione […] renderebbe responsabile il comune nei confronti dei terzi >>.
 
 
3.11 Sulla titolarità della potestà regolamentare delle Regioni e sulla natura giuridica delle disposizioni statutarie.
 
Con due distinte ordinanze emesse il 10 maggio 2005 il Tar Campania, I sezione, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, della legge regionale Campania 24 dicembre 2003, n. 28 (contenente disposizioni urgenti per il risanamento della finanza regionale) per violazione degli artt. 121 e 123 Cost. in relazione alle disposizioni normative di cui agli artt. 19 e 20 dello Statuto regionale Campania (approvato con la legge 22 maggio 1971, n. 348) le quali rispettivamente riservano al consiglio regionale il potere regolamentare ed elencano le attribuzioni consiliari.
L‘art. 9, comma 1, della suddetta legge regionale, in quanto attributiva alla Giunta regionale del potere di adottare atti regolamentari per l’accreditamento istituzionale in materia sanitaria, sarebbe idonea a realizzare la migrazione del potere regolamentare dal Consiglio alla Giunta regionale e ciò in chiara violazione delle previsioni normative statutarie vigenti, le quali pretendono che resti ancorata in capo all’organo consiliare la potestà regolamentare.
 I giudici amministrativi rimettono la questione alla Corte costituzionale richiamando, altresì, la nota sentenza n. 313/2003 (21) con la quale lo stesso giudice costituzionale ebbe modo di chiarire che, nonostante l’avvenuta eliminazione della riserva di competenza regolamentare in capo all’organo consiliare da parte della legge costituzionale n. 1 del 1999, la diversa allocazione del potere regolamentare non può che essere disposta dallo statuto regionale il quale in parte qua non ha subito alcuna modifica rispetto alle previsioni originarie.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 119 del 2006 (22), ribadendo che lo statuto << nell’ordinamento regionale costituisce fonte sovraordinata rispetto alla legge regionale>>, ha provveduto ad accogliere la questione di legittimità costituzionale e, per l’effetto, ad annullare l’art. 9, comma 1, della legge regionale 24 dicembre 2003, n. 28, nella parte in cui non esclude gli atti di natura regolamentare dai provvedimenti ivi attribuiti alla competenza della giunta regionale.
 
 
3.12 Il principio di leale collaborazione tra Stato, Regione e comune nella tutela paesaggistica.
 
Chiamata a pronunciarsi sulla competenza della Soprintendenza per i beni architettonici e il paesaggio e per il patrimonio storico, artistico e demoetnoantropologico ad annullare il provvedimento comunale autorizzatorio alla sopraelevazione e ristrutturazione di un edificio ad uso residenziale ubicato in zona coperta da vincolo, il Tar Sardegna, sez. II, con la sentenza 14 ottobre 2005, n. 2034 svolge talune interessanti considerazioni in relazione all’esercizio delle funzioni amministrative nella materia della tutela del paesaggio.
Richiamando precedenti pronunce dal consiglio di Stato adottate in subiecta materia (23), i giudici amministrativi affermano che << la funzione della Soprintendenza non ha il senso di un controllo di legalità, ma di cogestione del vincolo paesaggistico; conseguentemente, se entrambi i soggetti titolari della funzione (Stato e Regione o Comune) operano, seppure a livelli diversi, alla concreta gestione del vincolo, il rapporto tra gli stessi non può esprimersi in termini di contrapposizione, ma deve essere, piuttosto, dominato dal principio di leale collaborazione>>; da ciò deriva che << lo Stato non possa annullare l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dalla Regione, per il solo fatto che la stessa risulti carente di motivazione, potendo l’annullamento seguire solo laddove si dimostri necessario per il raggiungimento dei fini essenziali della tutela>>. 
 
 
3.13 Sul principio di sussidiarietà ed adeguatezza nell’esercizio (comunale) delle funzioni amministrative ex art. 118 Cost. in materia di tutela delle acque.
 
La sentenza del Tar Puglia-Lecce, sez. II, 8 febbraio 2005, n. 484 costituisce un’interessante applicazione del principio di sussidiarietà ed adeguatezza nell’esercizio di funzioni amministrative a livello comunale.
Il titolare di una ditta svolgente attività di allevamento di galline ovaiole aveva impugnato il regolamento comunale del comune di Leporano volto alla “regolamentazione dello spargimento dei fertilizzanti organici naturali e contro la proliferazione di insetti infestanti”, chiedendone l’annullamento, tra l’altro, per violazione dell’art. 117, comma sesto, e per carenza assoluta di potere, avendo la legge regionale 30 novembre 2000, n. 17 affidato alla provincia (non già al comune) << il rilevamento, la disciplina ed il controllo delle operazioni di utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento o di acque reflue idonee al suddetto utilizzo ivi comprese quelle provenienti da allevamenti ittici ed aziende agricole e agroalimentari>>.
Ricostruendo il sistema costituzionale delle competenze legislative, regolamentari ed amministrative tra i vari livelli territoriali di governo, il giudice amministrativo finisce per considerare legittimo l’atto di regolamentazione adottato dal comune, proprio alla luce dei principi di sussidiarietà ed adeguatezza nell’esercizio delle funzioni amministrative affermati dall’art. 118 Cost.:<<l’attività svolta dal Comune, quindi, in effetti rappresenta un’adeguata estrinsecazione del ruolo dell’Ente territoriale, come normativamente definito dall’art. 3, II comma, del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, per il quale “Il comune è l'ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo”. Ciò in una situazione in cui né la Provincia né la Regione si sono dimostrate in grado di soddisfare l’interesse di quella collettività a convivere con un’attività che fosse regolamentata, tenendo conto delle specifiche caratteristiche geografi che, climatiche ed economiche (anche in relazione alla tipologia e alla densità degli allevamenti) della zona, come ha espressamente […] inteso fare il Comune>>.
 
 
NOTE
 
(1)          Così Consiglio di Stato, Sez. consultiva atti normativi, Adunanza del 4 aprile 2005, pr. 3.4.
(2)          Cfr. Relazione del Presidente Alberto De Roberto sullo stato della giustizia amministrativa nel 2005, Palazzo Spada, 9 marzo 2006; nonché sia consentito rinviare a G. FONTANA La giurisprudenza amministrativa e l’attività consultiva del Consiglio di Stato, in AA.VV., Secondo Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia (2003), Milano, 2004,243-244.
(3)          Così R. De Roberto in Relazione sullo stato della giustizia amministrativa nel 2005, cit., pr. 5.
(4)          Cfr. R. De Roberto in Relazione sullo stato della giustizia amministrativa nel 2005, cit., pr. 3.
(5)          Il riferimento va ai pareri resi in tema di riconoscimento dell’elettorato attivo e passivo nelle consultazioni amministrative e circoscrizionali ai cittadini extra-comunitari; sul punto v. infra pr. 2.4.
(6)          Il riferimento va alla sentenza della Corte costituzionale n. 370 del 2003
(7)          Il riferimento in tal caso va alla sentenza n. 370 del 2003 ed alla sentenza n. 420 del 2004.
(8)          La Sezione, pur ritenendo di dover sospendere l’emissione del parere in attesa di quello della Conferenza Stato-Regioni, non rinunciò ad alcuni rilievi preliminari riguardanti proprio il mutato assetto delle competenze legislative tra Stato e Regioni.
(9)          Su detto parere sia consentito rinviare a G. FONTANA La giurisprudenza amministrativa e l’attività consultiva del Consiglio di Stato, in AA.VV., Secondo Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia (2004), Milano, 2005,462 e segg..
(10)      Si tratta del regolamento previsto dall’art. 3, comma 3, della legge 8 luglio 2003, n. 172.
(11)      Sulle problematica costituzionale delle norme tecniche in materia ambientale si rinvia, più di recente, al contributo di A. IANNUZZI, Caratterizzazioni della normazione tecnica nell'ordinamento italiano. Il campo di analisi e di verifica della materia ambientale in www.associazionedeicostituzionalisti.it
(12)      Sul tema, più di recente, v. A. D'ATENA, Giustizia costituzionale e autonomie regionali. In tema di applicazione del nuovo titolo V, spec. pr. 4.2, Relazione tenuta il 24.5.2006, presso l’Accademia Nazionale dei Lincei, al Convegno su “Giustizia costituzionale ed evoluzione dell’ordinamento italiano” ora reperibile in www.issirfa-spoglio.cnr.it.
(13)      In argomento sia consentito rinviare a G. FONTANA, La Giurisprudenza amministrativa e l’attività consultiva del Consiglio di Stato, in Terzo Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia, Milano, 2005, 468 e ss.
(14)      In argomento, più di recente, v. Corte costituzionale sent n. 265/2006 ed ord. n. 282/2006.
(15)      In senso conforme si veda anche Consiglio di Stato, sez. VI, 1 marzo 2005, n. 813; Id., sez. VI, 2 agosto 2005, n. 4159.
(16)      In dottrina la questione è stata prontamente sollevata, tra gli altri, da A. CELOTTO, Il nuovo art. 29 della l. n.241 del 1990: norma utile, inutile o pericolosa ? Intervento al convegno sul tema Amministrazione, cittadino e diritto privato nella legge n. 15 di riforma della l. 241/90, Cassino, 1 giugno 2005 reperibile ora in www.giustamm.it.; A. CELOTTO - M. A. SANDULLI, Legge n. 241 del 1990 e competenze regionali: “un nodo di Gordio”, in www.giustamm.it.
(17)      Per un commento a prima lettura dell’ordinanza di rimessione si rinvia alle considerazioni critiche svolte da E. GIANFRANCESCO, Lo spoils system innanzi alla Corte costituzionale, in www.giustamm.it, secondo il quale il Consiglio di Stato meglio avrebbe fatto ad insistere sulla diretta ed immediata violazione dell’art. 97 Cost., essendo di dubbia consistenza la concorrente violazione di un principio fondamentale della materia, peraltro, di problematica applicazione al caso dedotto in giudizio.
(18)      In particolare il principio fondamentale della durata del contratto dei direttori generali delle A.s.l. non inferiore ai tre anni e non superiore ai cinque risulta affermato dall’art. 3 bis, comma 8, del d.lgs.vo 30 dicembre 1992, n. 502 come modificato dal d.lgs.vo 19 giugno 1999, n. 229.
(19)      Sugli istituti di partecipazione popolare con particolare riferimento alla disciplina statutaria regionale si veda M. LUCIANI, Gli istituti di partecipazione popolare negli statuti regionali, Relazione al convegno organizzato dall’ISSiRFA sul tema I nuovi statuti delle Regioni ad autonomia ordinaria, Roma 4 luglio 2005 reperibile in www.issirfa-spoglio.cnr.it.
(20)      Nella specie si trattava di un referendum consultivo il cui quesito recitava<< è favorevole al cambio di destinazione urbanistica in area verde e servizi scolastici dell’area situata dietro il fabbricato delle scuole elementari e materne di via Brunenghi e delimitata a monte da via XXV aprile? >>.
(21)      Sulla sentenza n. 313 del 2003 si rinvia a L. RONCHETTI, I regolamenti regionali, in Secondo Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia, Milano, 2004, 280 e segg.
(22)      Si veda in Foro It., 2006, I, 2986; ma più di recente in argomento si veda anche la sentenza della Corte costituzionale n. 233 del 2006.
(23)      Cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen, 14 dicembre 2001, n. 9.

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