AVVERTENZA: lo studio che segue è tratto dal Quinto Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia, Milano, Giuffré, 2008.


Sommario
 
  
1.  Considerazioni generali
 
La rassegna che segue prende in considerazione le pronunce dei TT.AA.RR. e del Consiglio di Stato, adottate in sede tanto consultiva quanto contenziosa, su temi ed argomenti di interesse regionalistico relativamente agli anni 2006 e 2007.
Benché risulti di immediata evidenza, preme sottolineare come la presente rassegna non abbia potuto far altro che prendere in considerazione una piccolissima parte delle numerosissime pronunce adottate dai giudici amministrativi nell’ultimo biennio, le quali (per iter argomentativo, esito decisionale o tema trattato) sono parse di maggiore interesse ai fini del presente rapporto.
A distanza di oltre un quinquennio dall’entrata in vigore della riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione, pur non mancando residui spazi di incertezza interpretativa, l’attività svolta dai giudici amministrativi conferma come larga parte dei nodi problematici riguardanti il complessivo sistema dei rapporti Stato-Regioni - enti locali abbiano ricevuto soluzioni alquanto stabili. Tale risultato si deve, come riconosciuto dallo stesso Consiglio di Stato, all’intensa attività ricostruttiva ed ermeneutica svolta dalla Corte costituzionale: << nell’attuale fase di attuazione di una riforma costituzionale, già ricca di dubbi e problematiche, in parte risolte solo ex post grazie all’intervento della Corte costituzionale>> (1).
Come già rilevato nei precedenti rapporti, ancora una volta, occorre registrare, infatti, la sostanziale convergenza tra gli orientamenti interpretativi del giudice costituzionale e quelli, in particolare, del Consiglio di Stato, confermati dal frequente e condiviso rinvio che quest’ultimo opera nei confronti delle decisioni costituzionali che vantano un maggiore spessore sistemico nei confronti della riforma costituzionale recata dalla legge costituzionale n. 3 del 2001.
Per restare a considerazioni di carattere generale trova, infine, conferma la circostanza che in un sistema costituzionale delle autonomie caratterizzato da uno spiccato policentrismo organizzativo e funzionale, i giudici amministrativi, sia in sede consultiva sia in sede contenziosa, svolgano una preziosa attività di ricomposizione degli interessi in conflitto.
 
 
2.  Attività consultiva. Dati quantitativi
 
Nel corso degli anni 2006 e 2007 l’apporto delle attività consultive del Consiglio di Stato si è mostrato, se possibile, ancora più rilevante ed incisivo.
Le sezioni consultive del Consiglio di Stato, infatti, anche nel biennio preso in considerazione nella presente rassegna, hanno espresso pareri su testi normativi (non solo di rango primario) di grande importanza, tra i quali meritano di essere evidenziati quelli di codificazione e di riassetto normativo intervenuti in settori di speciale rilevanza economico-sociale (cfr. codice degli appalti pubblici, codice dell’amministrazione digitale, codice dell’ambiente).
Da questo punto di vista va sottolineato come la funzione consultiva, espressa da un organo imparziale e di grande competenza tecnica, continui ad assicurare un fruttuoso contributo anche nella prevenzione del contenzioso, rivelandosi per tale via complementare e connessa alla funzione giurisdizionale.
Dal punto di vista quantitativo, come riportato nell’ormai consueta relazione sullo stato della giustizia amministrativa, nell’anno 2006 i pareri richiesti in sede di consultazione facoltativa sono stati 166 a fronte di quelli definiti che sono stati 179; 107 sono stati i pareri richiesti su schemi di atti normativi mentre 148 sono stati i pareri espressi dalla sezione consultiva per gli atti normativi (2), dato quest’ultimo che ha visto un deciso incremento rispetto al dato (112 pareri) registrato nell’anno 2005. Per quanto riguarda l’anno 2007 sono stati forniti dalla sezione consultiva per gli atti normativi 141 pareri a fronte delle 151 richieste pervenute (3).
La particolare autorevolezza della funzione consultiva risulta, peraltro, confermata sia in sede normativa sia in sede di giurisdizione costituzionale; in numerosi casi, infatti, il governo ha modificato gli schemi degli atti normativi secondo le indicazioni fornite, in particolare, dalla sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato, consentendo in tal modo alla Corte costituzionale, in più di un’occasione, di respingere le censure di costituzionalità sollevate nei confronti degli stessi.
Risulta, dunque, confermato il carattere neutrale e di garanzia dell’organo, lo stesso confermandosi – come autorevolmente osservato - << una proiezione dello Stato ordinamento e non dello Stato apparato>> (4).
In via generale va, poi, rilevato come - in continuità con gli orientamenti emersi nella legislazione degli ultimi anni (5) - le più recenti riforme in tema di semplificazione normativa hanno vieppiù rafforzato le funzioni consultive del Consiglio di Stato; l’art. 1, comma secondo, del decreto legge, 10 gennaio 2006, n.4 convertito nella legge 9 marzo 2006, n. 80, infatti, prevede che il Consiglio di Stato esprima proprio parere sul piano di azione annuale per la semplificazione predisposto dal comitato interministeriale e destinato ad essere approvato dal Consiglio dei Ministri e trasmesso alle Camere.  
Che del resto la funzione consultiva riguardante, in particolare, l’attività normativa paia guadagnare sempre maggiore spazio e rilievo nel complessivo sistema normativo, è confermato dalla proposta de jure condendo di estenderla ai Tar ; la funzione consultiva diffusa sul territorio, ad avviso dei proponenti, assicurerebbe il grande vantaggio di contribuire, tra l’altro, al << regolamento di confini tra funzione normativa statale e regionale, per la prevenzione del contenzioso in Corte costituzionale>> (6).
Ben si comprende, dunque, l’autorevole affermazione secondo la quale <<le funzioni consultive sull’attività normativa del Governo appaiono ormai costituire un’attribuzione propria del Consiglio di Stato, che ne connota fortemente il ruolo istituzionale in un ordinamento incisivamente riformato negli ultimi anni>> (7).
 
 
2.1.  In tema di semplificazione normativa
 
Quello della semplificazione normativa ed amministrativa (8) si conferma ambito tematico nel quale il Consiglio di Stato svolge un ruolo eminente e di primissimo piano (9).
In ottemperanza a quanto previsto dall’art. 1, comma, 2 del decreto legge 10 gennaio 2006, n. 4, convertito nella legge 9 marzo 2006 n. 80, il comitato interministeriale per l’indirizzo e la guida strategica delle politiche di semplificazione e di qualità della regolazione ha predisposto il piano di azione annuale per la semplificazione e la qualità della regolazione, sul quale il Consiglio di Stato, sezione consultiva per gli atti normativi, ha rilasciato l’articolato parere del 21 maggio 2007 (n. sez. 2024/2007).
Detto piano tende al superamento della tradizionale cultura giuridico-amministrativa della semplificazione per perseguire una più ampia politica di miglioramento della regolazione in una strategia unitaria e coordinata della semplificazione ed è stato predisposto con il contributo della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano; esso dedica, tra l’altro, un apposito spazio alle autonomie territoriali ed al miglioramento della qualità della attività normativa ed amministrativa delle Regioni e degli enti locali.
Compito del consiglio di Stato attraverso il proprio parere obbligatorio è quello, in particolare, di verificare la coerenza del piano di azione <<con l’ordinamento giuridico nel suo complesso, con l’ordinamento costituzionale e comunitario e con la pluralità di competenze normative oggi esistenti in Italia>>.
Tralasciando gli aspetti di carattere più generale, ci soffermeremo sulle indicazioni elaborate dal Consiglio di Stato che riguardano più direttamente le Regioni ed il sistema delle autonomie territoriali.
In primo luogo il parere esprime un apprezzamento generalizzato per come il piano è stato congegnato nei suoi aspetti tanto formali quanto sostanziali ed in particolare per aver esteso l’area di intervento delle autonomie territoriali; una delle ragioni della parziale inattuazione della politica di semplificazione è, infatti, imputabile, ad avviso del collegio referente <<all’esistenza di una pluralità di livelli di competenza normativa ed amministrativa, con conseguente necessità di una politica di semplificazione multilivello>>.
 Sotto questo profilo l’estensione dell’ambito soggettivo del piano alle autonomie territoriali viene salutata con particolare favore, in ragione della constatazione che <<l’attribuzione di ampie competenze legislative, regolamentari ed amministrative alle Regioni, sposta in capo a queste, per le materie di spettanza, le politiche di qualità della regolazione e semplificazione amministrativa e normativa>> (10); né va trascurato, si legge ancora nel parere, che un problema di semplificazione e qualità della regolazione si pone anche per la potestà regolamentare provinciale e comunale che grande impatto hanno sulla vita dei cittadini e delle imprese; da qui, dunque, la necessità non solo che le singole Regioni così come gli altri enti territoriali perseguano politiche di qualità della regolazione ma anche che Stato ed autonomie territoriali operino in maniera coordinata nell’ambito di una strategia unitaria di qualità delle regole attraverso un dialogo tra i diversi livelli di governo.
Il piano di fronte alla scelta tra soluzioni operative eteronome e negoziate ha scelto queste ultime (tanto per la semplificazione normativa quanto per quella amministrativa) in coerenza con le più recenti dinamiche normative (riscontrabili sia nell’art. 8, comma 6, della legge n.131 del 2003 sia negli art. 2 e 5 della legge n. 246 del 2005, sia nell’accordo raggiunto in seno alla Conferenza unificata tra Stato ed autonomie territoriali del 29 marzo 2007) le quali, appunto, affidano a strumenti negoziali il perseguimento di finalità di miglioramento della qualità della normazione nell’ambito dei rispettivi ordinamenti.
Anche il piano annuale oggetto del parere in esame, dunque, si occupa della qualità della regolazione in ambito regionale, senza imporre obblighi di tipo eteronomo contenuti in atti legislativi ma tramite un modello operativo di tipo consensuale puro, sulla cui scorta è stato istituito con d.P.C.M. 8 marzo 2007 il “Tavolo permanente per la semplificazione” presso la Conferenza unificata quale << sede stabile di consultazione con le categorie produttive, le associazioni di utenti e consumatori, le Regioni, le Province, i Comuni e le Comunità montane>>.
Pur auspicando la riuscita del modello consensuale il parere, tuttavia, rileva che ove gli accordi non dovessero produrre i risultati attesi <<non va dimenticata, in via residuale, la possibilità per lo Stato di fissare in via autonoma i livelli essenziali minimi di semplificazione, con effetto vincolante per le autonomie territoriali >> trattandosi di opzione consentita dalla Costituzione considerato che << anche nell’ordinamento italiano le sintetiche ed elastiche norme costituzionali contengono, secondo una lettura evolutiva ed in chiave di effettività dei diritti e delle libertà fondamentali, il principio della qualità della regolazione>> (11). Il parere, in particolare, ricostruisce il fondamento costituzionale della qualità della regolazione e della semplificazione amministrativa e normativa richiamando gli artt. 41 e 97 Cost. i quali vietano aggravi di procedimenti amministrativi, oneri burocratici inutili e leggi oscure rappresentando impedimenti al godimento dei diritti fondamentali dei cittadini ed alla libertà di iniziativa economica.
 Ne deriva, dunque, che << se la Costituzione riserva al legislatore statale la definizione dei livelli essenziali minimi delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali, che devono essere garantiti in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale(art 117, comma secondo, lett) Cost.), tra di essi possono farsi rientrare i livelli essenziali minimi di semplificazione>>. Valorizzando talune pronunce della Corte costituzionale rese in tema di procedure di d.i.a. (12), nelle materie di competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni, prosegue il parere, i principi di semplificazione possono ben essere annoverati tra i principi fondamentali (13).
Con specifico riguardo alla semplificazione amministrativa a livello di autonomie territoriali, il parere (cfr.punto 11.2) prende atto della inattuazione del processo di allocazione delle funzioni fondamentali e delle funzioni proprie degli enti locali nonché di quelle conferite dallo Stato e dalle Regioni a queste ultime così come previsto rispettivamente dall’art. 117, comma 2, lett. p) e dall’art. 118 Cost.; tale complessa manovra, prosegue il parere, dovrebbe tenere conto del principio di sussidiarietà tendendo sia <<al ridimensionamento dei centri di competenza amministrativa, concentrando, ove possibile, una data competenza presso un unico ente, quello più idoneo ad esercitarla>> sia << ad una semplificazione organizzativa che è indispensabile per una corretta semplificazione procedimentale>> (14).
 
  
2.2.  In tema di codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture
 
Di particolare rilievo risultano essere i pareri espressi dal Consiglio di Stato, sezione consultiva per gli atti normativi, in relazione al decreto legislativo recante il codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture ed ai successivi decreti legislativi integrativi e correttivi.
In data 6 febbraio 2006 il Consiglio di Stato rilascia un primo ed assai articolato parere (n. sezione 355/2006) sullo schema di decreto legislativo previsto dall’art. 25 della legge 18 aprile 2005, n. 62 (legge comunitaria 2004).
Tralasciando i numerosi rilievi e suggerimenti di vario tenore contenuti nel predetto parere, ciò che in questa sede preme rilevare sono le approfondite considerazioni svolte sul tema del riparto delle competenze normative tra Stato e Regioni nella materia dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.
Al punto 3 del predetto parere il collegio rileva, in primo luogo, che pur non facendo menzione l’art.117 Cost. dei contratti pubblici aventi oggetto lavori, servizi e forniture ciò non autorizza, sulla scorta dell’insegnamento della nota sentenza n.303/2003 della Corte costituzionale, a considerarli rientranti nella potestà legislativa residuale delle Regioni trattandosi di << ambiti della legislazione che non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potestà legislative esclusive dello Stato ovvero a potestà legislative concorrenti>>.
Ne deriva, stando al predetto parere, non solo la natura trasversale dell’oggetto disciplinato dallo schema di codice in questione ma anche la necessità di distinguere i contratti stipulati da amministrazioni o enti statali dai contratti di interesse regionale; se, infatti, è fuori discussione che il legislatore statale sia titolare di potestà legislativa esclusiva con riguardo ai pubblici lavori, forniture e servizi di natura statale occorre <<definire l’ambito di competenza statale in relazione ad alcune materie nominate dall’art. 117, comma 2, Cost. della costituzione: tutela della concorrenza, ordinamento civile e giurisdizione e norme processuali; giustizia amministrativa>>.
La materia trasversale della tutela della concorrenza è quella che solleva i maggiori problemi; se, infatti, è evidente che la tutela della concorrenza incida nel settore in esame è altrettanto vero che tale trasversalità non finisce per consumare tutto lo spazio regolatorio, residuando ambiti nei quali resta fermo l’ordinario riparto delle competenze statali e regionali come, ad esempio, quelli riguardanti la progettazione dei servizi e delle forniture, la direzione dei lavori, il collaudo, i compiti ed i requisiti del responsabile del procedimento dai quali, a seconda del diverso oggetto, possono emergere (oltre alle competenze esclusive statali) competenze sia concorrenti sia esclusive delle Regioni.
Più in dettaglio – argomenta il parere – per i contratti cd sopra soglia la tutela della concorrenza, intrecciandosi con il valore unificante della disciplina comunitaria, comporta una particolare articolazione del rapporto “ norme di principio- norme di dettaglio” << nel senso di un più incisivo intervento del legislatore statale>>. Da tali premesse consegue, per restare al parere n. 355/2006, che << non sia possibile l’esercizio decentrato di potestà normative con riferimento ai seguenti ambiti appartenenti a quello che si è definito il nucleo essenziale del Codice: la qualificazione e selezione dei concorrenti, i criteri di aggiudicazione, il subappalto e la vigilanza sul mercato degli appalti affidata ad una autorità indipendente>>. Per altri aspetti, invece, come quelli ad esempio riguardanti le procedure di gara deve ritenersi sussistente una competenza normativa regionale seppure nel rispetto dei limiti prima indicati.
Per quanto riguarda i contratti al di sotto della soglia comunitaria <<compete allo Stato la fissazione di comuni principi, che assicurino trasparenza, parità di trattamento e non discriminazione, senza che però ricorra l’esigenza (di derivazione comunitaria) di estendere il grado di uniformità alla disciplina di dettaglio>>.
Restano ferme, poi, le altre riserve di competenza statale rientranti nell’ordinamento e nella giurisdizione con particolare riferimento ai profili riguardanti la stipulazione, l’esecuzione ed il contenzioso.
Altri aspetti del Codice –prosegue ancora il parere – rientrano nelle materie di competenza concorrente come quelli, in particolare, riguardanti la localizzazione delle opere pubbliche, la programmazione dei lavori pubblici, l’approvazione dei progetti a fini urbanistici ed espropriativi, attinenti alla materia governo del territorio o quelli connessi con la tutela della sicurezza del lavoro e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali; discorso analogo vale per alcune tipologie di lavori come quelli riguardanti porti ed aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, produzione, trasporto e distribuzione dell’energia così come, al contrario, altre tipologie di lavori come quelli riguardanti la difesa e la sicurezza dello Stato, l’ordine pubblico e la sicurezza, le dogane e la protezione dei confini nazionali rientrano nella competenza esclusiva statale.
In ordine alla potestà regolamentare è da evidenziare il rilievo critico che il predetto parere riserva al mancato recepimento nello schema del Codice del criterio (pure previsto dal’art. 1, comma 6, della legge di delega) in base al quale per l’attuazione delle direttive comunitarie nelle materie attribuite alle Regioni ed alle Province autonome in caso di inadempimento da parte delle Regioni lo Stato può intervenire adottando una normativa di carattere cedevole e ad efficacia differita, alla scadenza dell’obbligo comunitario di attuazione della direttiva nei confronti delle sole Regioni inadempienti (15).
Il parere, dunque, avendo escluso che l’intero corpo delle direttive da recepire possa riguardare solo profili riservati alla legislazione esclusiva dello Stato, sottolinea l’esigenza della introduzione della clausola di cedevolezza e l’espressa indicazione nel Codice delle parti cedevoli.
Analoghe esigenza di certezza inducono il collegio a suggerire di indicare espressamente quali norme, tra quelle regolamentari statali, risultino applicabili anche alle Regioni in quanto esecutive o attuative delle disposizioni del Codice rientranti in materie di legislazione esclusiva.
Alla luce del carattere particolarmente eterogeneo e complesso della disciplina normativa prefigurato nello schema del codice che rende altamente problematico il riparto delle competenze statali e regionali, il parere richiama il governo ad osservare il principio di leale collaborazione al fine di garantire l’effettiva partecipazione delle Regioni, la quale trova un significativo strumento operativo nel parere della Conferenza unificata di cui all’art. 8 del d.lgs.vo n. 281 del 1997.
 Da qui una serie di puntali rilievi e suggerimenti volti alla esatta applicazione delle regole d riparto delle competenze statali e regionali nonché alla più chiara intestazione del potere regolamentare.
In seguito ai rilievi mossi sia dalla Conferenza unificata sia dal Consiglio di Stato il governo ha provveduto alla riscrittura dell’art. 4 del codice senza, tuttavia, scongiurare i dubbi di legittimità costituzionale sollevati, con ricorso in via principale, da parte di ben sei Regioni.
In occasione dell’adozione del primo decreto integrativo e correttivo del d.lgs 12 aprile 2006, n. 163(v. d.lgs. 26 gennaio 2007, n.6) il Consiglio di Stato, sezione consultiva per gli atti normativi, con proprio parere n. 3646 del 28 settembre 2006 torna ad occuparsi del codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.
Nonostante la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome nel proprio parere avesse espresso l’avviso di inserire, ancor prima di ulteriori interventi modificativi, una modifica normativa tale da rendere applicabili, anche in deroga all’art. 4 del decreto legislativo n. 163 del 2006, le disposizioni normative delle Regioni e delle Province autonome in materia di appalti di lavori, servizi e forniture concernenti la stipulazione e l’approvazione dei contratti, il responsabile unico del procedimento, la pubblicazione dei bandi e le procedure di affidamento degli appalti di importo inferiore alla soglia comunitaria, il parere n. 3646/2006 ribadisce non solo che << nei contratti al di sotto della soglia comunitaria compete allo Stato la fissazione di comuni principi che assicurino trasparenza, parità di trattamento e non discriminazione>> ma anche che << appare opportuno soprassedere ad eventuali modificazioni dell’art.4 del codice come pure del successivo art. 5 in attesa di conoscere le decisioni della Corte costituzionale sui ricorsi di legittimità costituzionale>> proposti da parte regionale.
Con sentenza n. 401 del 2007 (16) la Corte costituzionale, pur sancendo la illegittimità costituzionale di talune disposizioni contenute nel d.lgs. n. 163 del 2006, ha rigettato larghissima parte delle censure di illegittimità costituzionale sollevate dalle Regioni sancendo, in linea con quanto rilevato dal Consiglio di Stato, che le disposizioni in esso contenute non sono riconducibili ad una sola materia tra quelle di cui all’art. 117 Cost., atteso che i lavori pubblici, e l’intera attività contrattuale della pubblica amministrazione, si qualificano a seconda dell’oggetto a cui afferiscono.
Per completezza va detto che almeno in altre due occasioni il Consiglio di Stato è stato chiamato ad esprimersi sul codice dei contratti pubblici in occasione dei pareri rilasciati sugli schemi del secondo dei decreti legislativi integrativi e correttivi e sullo schema del regolamento di esecuzione; si tratta rispettivamente del parere rilasciato dall’Adunanza Generale del 6 giugno 2007, n. 1750 e del parere n. 3262 del 2007.
 
 
2.3.  In tema di codice dell’amministrazione digitale
 
Con il parere n. 31 del 30 gennaio 2006 il Consiglio di Stato, sezione consultiva per gli atti normativi, si esprime sullo schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive al codice dell’amministrazione digitale di cui al d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82.
Il parere contiene una serie di suggerimenti e rilievi dei quali solo alcuni hanno rilevanza ai fini della nostra rassegna; al punto 4 del predetto parere, infatti, la sezione rileva la volontà governativa di << ampliare anche alle amministrazioni regionali e locali l’ambito di applicazione del disposto di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 82 del 2005, che prevede il diritto dei cittadini e delle imprese all’uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni>>.
Richiamando la pregressa giurisprudenza costituzionale (17) che ha definito il coordinamento informativo, statistico ed informatico come <<una tipica ipotesi di coordinamento tecnico, finalizzato ad assicurare una comunanza di linguaggi, di procedure e di standard omogenei, in modo da permettere la comunicabilità tra i sistemi informatici della pubblica amministrazione>> il parere afferma che <<non può separarsi il coordinamento informatico dall’organizzazione amministrativa delle Regioni e delle autonomie territoriali>> e ribadisce << l’impossibilità di prescindere dal ruolo delle Regioni e della autonomie locali, che costituiscono il principale vettore per la trasmissione dei pubblici servizi al cittadino e alle imprese, risultando indispensabile il loro coinvolgimento nelle strategie generali e il loro diretto apporto per raggiungere un livello omogeneo di sviluppo nell’offerta di servizi>>. Il parere, dunque, prende atto con favore della modifica dell’art. 14 del codice dell’amministrazione digitale laddove viene delineato <<un ruolo più significativo della Conferenza unificata, prevedendo che lo Stato, le Regioni e le autonomie locali promuovono le intese e gli accordi e adottano, attraverso la Conferenza unificata, gli indirizzi utili per realizzare un processo di digitalizzazione dell’azione amministrativa coordinato e condiviso e per l’individuazione delle regole tecniche…>>. Tuttavia la sezione ritiene necessarie stabili soluzioni organizzative capaci di realizzare la composizione degli interessi dello Stato, delle Regioni e delle altre autonomie territoriali; ne consegue che la strettissima connessione tra profilo informatico e profilo organizzativo impone << la necessità che venga istituito un organismo di alto profilo e con caratteristiche non solo tecniche, quale sede stabile di raccordo e, soprattutto, di decisione delle iniziative dello Stato, delle Regioni e delle autonomie locali, ovvero che tale sede venga individuata in uno degli organismi già esistenti nel panorama istituzionale>>.
Sotto altro profilo la sezione suggerisce di modificare l’art. 3(diritto all’uso delle tecnologie) del codice nel senso di estenderne l’ambito soggettivo anche alle amministrazioni regionali e locali.
 
 
2.4.  In tema di coordinamento, attuazione ed accesso al registro informatico degli adempimenti amministrativi per le imprese
 
Dopo aver emesso un primo parere interlocutorio il Consiglio di Stato, sezione consultiva per gli atti normativi, emette parere definitivo, datato 16 gennaio 2006, sullo schema di D.P.C.M. recante il regolamento sulle modalità di coordinamento, attuazione e accesso al registro informatico degli adempimenti amministrativi per le imprese previsto dalla legge 29 luglio 2003, n. 229.
In seguito ai suggerimenti contenuti nel parere interlocutorio l’amministrazione ha provveduto ad abrogare l’art. 16 della legge 29 luglio 2003, n. 229 ed a riprodurre detta previsione normativa nell’art. 11 del codice dell’amministrazione digitale contenuto nel d.lgs.vo n. 82 del 2005.
Il parere pare condividere, pur con qualche residua riserva, l’opzione per un’articolazione regionale del registro informatico degli adempimenti amministrativi per le imprese la quale essendo una mera soluzione organizzativa di mera funzionalità lascia impregiudicata la potestà regolamentare dello Stato riconducibile all’art. 117, secondo comma, lett. r) riguardante il coordinamento informativo, statistico ed informatico dei dati dell’amministrazione statale la quale è idonea a garantire l’unitarietà e la omogeneità del registro evitando l’attività di coordinamento delle varie attività regionali.
Il parere mantiene qualche perplessità sulla scelta di affidare allo Stato il coordinamento informativo, statistico ed informatico dei dati dell’amministrazione non solo statale ma anche regionale e locale la quale, tuttavia, finisce per attenuarsi alla luce sia della opinabilità tecnica della soluzioni possibili sia della previsione di cui all’art. 10, comma 3, del codice laddove si stabilisce che <<per promuovere la massima efficacia ed efficienza dello sportello unico […] lo Stato d’intesa con la Conferenza unificata, individua uno o più modelli tecnico-organizzativi di riferimento […] che garantiscano l’interoperabilità delle soluzioni individuate>>.
 
 
2.5.  Sul fondamento costituzionale della potestà regolamentare
 
Diversi pareri del Consiglio di Stato affrontano il tema del fondamento della potestà regolamentare alla luce del riformato Titolo V della Costituzione; ma vediamoli in ordine.
Il parere rilasciato dall’adunanza del 23 gennaio 2006 dalla sezione consultiva degli atti normativi del Consiglio di Stato si sofferma sul fondamento della potestà regolamentare del governo in una materia, come quella delle professioni la quale, in seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione, è stata attribuita dall’art. 117, comma 3, Cost. alla potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni.
La principale questione affrontata nel suddetto parere attiene, pertanto, alla legittimità costituzionale del potere regolamentare statale in una materia di competenza concorrente la quale, stando al combinato disposto del terzo e del sesto comma del vigente art. 117 Cost., reclamerebbe la potestà regolamentare regionale e non statale.
La sezione illustrando le proprie argomentazioni richiama non solo il parere emesso dall’Adunanza Generale dell’11 aprile del 2002 ma anche la giurisprudenza della Corte costituzionale (18) la quale, in più di una occasione, è stata chiamata a pronunciarsi sul tema.
La competenza legislativa concorrente delle Regioni nella materia delle professioni e la connessa potestà regolamentare, come vedremo, risulteranno fortemente attenuate e circoscritte in ragione del prevalere di interessi unitari ed infrazionabili ad essa opponibili ricavati dalla giurisprudenza costituzionale.
Nell’esprimere il proprio parere la sezione non solo sottolinea che esula dalla competenza legislativa concorrente delle Regioni l’istituzione di nuovi e diversi albi per l‘ esercizio di attività professionali ma che detta disciplina normativa risulta intimamente connessa con quella dell’esame di Stato, riservata dall’art. 33, quinto comma, Cost. alla potestà legislativa esclusiva statale. Non solo, dunque, la potestà legislativa delle Regioni in materia di professioni è tenuta a rispettare il principio secondo cui l’individuazione delle figure professionali (con i relativi ordinamenti didattici e l’istituzione di nuovi albi) è riservata allo Stato ma che l’istituzione e l’organizzazione di appositi enti pubblici ad appartenenza necessaria ai quali affidare la cura e la gestione degli albi professionali e la garanzia del corretto svolgimento delle attività professionali spetta alla competenza legislativa esclusiva dello stato in virtù dell’art. 117, secondo comma, lett. g) Cost. che riguarda appunto la materia dell’ordinamento e della organizzazione amministrativa dello Stato e degli pubblici nazionali.
In coerenza con i propri precedenti e l’impostazione del giudice delle leggi il parere in esame, dunque, giunge a ritenere legittimo e conforme al dettato costituzionale l’esercizio della potestà regolamentare nella materia delle professioni in considerazione << dell’ esistenza di un rilevante interesse pubblico non frazionabile all’esercizio adeguato e corretto delle professioni più importanti da garantire in modo uniforme sull’intero territorio nazionale>>.
E, tuttavia, la sezione esplicita talune perplessità in ordine alla competenza in tema di titoli di studio richiesti per l’ammissione all’esame di Stato di abilitazione all’esercizio professionale; sul punto la sezione mostra qualche dubbio sulla piena riconducibilità anche di tale profilo all’ambito materiale dell’esame di stato come tale di competenza esclusiva dello Stato, trattandosi piuttosto di un principio fondamentale relativo all’accesso delle professioni.
Ad analoga conclusione perviene un altro parere del Consiglio di Stato, sez. consultiva per gli atti normativi, emesso l’11 aprile 2006, recante il n. 1502 e rilasciato sullo schema di regolamento sulle misure compensative per l’esercizio della professione di geometra il quale finisce per considerare costituzionalmente legittimo l’esercizio della potestà regolamentare dello Stato in quanto << le misure compensative oggetto dello schema di decreto in esame, consistendo in prove d’esame o in tirocini formativi […] sono riconducibili alla materia dell’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale, da ritenere attribuita alla legislazione esclusiva dello Stato dall’art. 33 della Costituzione>>.
 
 
2.6.   In tema di nomina e selezione dei direttori degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS)
 
Con il parere emesso nell’adunanza dell’8 gennaio 2007 e recante il n. 3828 del 2006 il Consiglio di Stato, sezione consultiva per gli atti normativi, si pronuncia sullo schema di regolamento (19) avente ad oggetto il procedimento di selezione, nomina e revoca del direttore scientifico degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) (20). Suggerendo taluni lievi modifiche sul procedimento di revoca del direttore scientifico, in ordine all’esercizio del potere regolamentare la sezione, alquanto sbrigativamente, non formula alcuna osservazione << considerato che le norme in esame investono esclusivamente la sfera di attribuzioni del Ministro della salute […] senza incidere in alcun modo sull’ambito riservato alla competenza delle regioni, in relazione alla quale è esplicitamente richiamata in premessa, la normativa primaria e l’intervenuto atto d’intesa previsto dall’art. 5 del d.lgs.vo n. 288 del 2003>>.
In altri termini non risulta esplicitato su quali basi si fondi la potestà regolamentare statale ed, in particolare, a quale delle materie e dei titoli legittimanti indicati nell’art. 117, secondo comma, Cost. possa far riferimento la disciplina oggetto del parere in questione; più in generale sarebbe stato lecito attendersi una più accurata ricostruzione delle competenza costituzionali in ordine alla organizzazione ed al funzionamento degli IRCCS anche in considerazione degli interventi della Corte costituzionale la quale, in più di una occasione (21), ha avuto modo di interessarsi degli stessi; più in dettaglio pur situandosi la disciplina normativa degli IRCCS tra ambiti materiali di competenza concorrente (quali quelle della tutela della salute e della ricerca scientifica) la Corte costituzionale con la sent. n. 270/2005 ha escluso la incostituzionalità del d.lgs.vo n 288 del 2003 giustificando il permanere di poteri amministrativi di gestione e di controllo dello Stato al fine di <<garantire una visione d’insieme della complessiva capacità e specificità degli IRCCS anche in relazione alle mutevoli tendenze della ricerca scientifica i materia sanitaria a livello internazionale e comunitario>> (v. Corte cost. n. 270/2005 (22) consentendo, dunque, una forma meno rigida di partecipazione regionale all’esercizio del potere del Ministro della salute.
 
 
2.7.  In tema di regolamento per la disciplina delle modalità d esercizio e dei casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti amministrativi
 
L’art. 23, secondo comma, della legge 11 febbraio 2005, n. 15 prevede l’adozione di un regolamento governativo ai sensi dell’art. 17, secondo comma, della legge 23 agosto 1988, n. 400 volto ad integrare e modificare il regolamento di cui al d.p.r. 27 giugno 1992, n. 352 al fine di adeguarne le disposizioni alle modifiche introdotte dalla legge di modifica della legge 7 agosto 1990, n. 241. Il prescritto parere del Consiglio di Stato, sezione consultiva per gli atti normativi, viene rilasciato nell’adunanza del 13 febbraio 2006 con il n. 3586 dopo che la stessa aveva emesso parere interlocutorio(emesso nell’adunanza del 29 agosto 2005) in attesa del parere della Conferenza unificata emesso in occasione della seduta del 26 gennaio 2006.
La Conferenza unificata aveva espresso parere favorevole ma condizionato sullo schema di regolamento in quanto il potere regolamentare dello Stato in materia di accesso veniva giudicato esercitatile ma nei soli confronti delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali; veniva, pertanto, suggerita una modifica legislativa che avrebbe dovuto prevedere, entro un anno dalla entrata in vigore del regolamento statale, il potere normativo delle Regioni di adeguare la propria normativa ai principi stabiliti dagli artt. 22, 23,24, 25 e 26 della legge 7 agosto 1990, n.241.
Sulla scorta di quanto evidenziato nella pronuncia della Conferenza unificata, il parere del collegio amministrativo, dopo aver ribadito che la disciplina legislativa e regolamentare dell’accesso è di competenza esclusiva statale rientrante nell’art. 117, secondo comma, lett. m) della Costituzione, si incentra nel verificare quali disposizioni della legge 241 del 1990 - in quanto non ritenute alla stregua di livelli essenziali delle prestazioni dei diritti civili e sociali - non debbano trovare applicazione alle Regioni ed agli enti locali, per lasciare spazio alla potestà normativa di queste ultime.
Il parere, in altri termini, si dà cura di individuare le disposizioni che non si applicano alle Regioni ed agli enti locali in quanto non attinenti alla garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti il diritto di accesso, che deve restare uniforme su tutto il territorio nazionale in quanto concernenti modalità attuative rientranti nelle funzioni normative e amministrative degli enti territoriali. Sulla base di questa impostazione il parere suggerirà di introdurre nello schema del regolamento una serie di modifiche volte a salvaguardare il potere normativo degli enti territoriali nella attuazione delle modalità di accesso eccedenti i livelli essenziali delle prestazioni dei diritti civili e sociali minimi.
Il parere, tuttavia, finisce per ritenere opportuna la funzione consultiva, obbligatoria ma non vincolante, attribuita alla Commissione di accesso nei riguardi non solo dei regolamenti delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali ma anche di quelli adottati dagli enti territoriali.
La sezione, ancora, esclude che l’autonomia degli enti territoriali possa essere pregiudicata dall’obbligo di trasmissione alla Commissione per l’accesso dei regolamenti sulla disciplina di accesso dagli stessi adottati, corrispondendo la stessa a meri fini conoscitivi ed essendo conforme al principio di leale collaborazione.
 
  
2.8.  In tema di disposizioni integrative e correttive apportate al codice dell’ambiente
 
Non mancano considerazioni meritevoli di attenzione anche nel parere rilasciato dal Consiglio di Stato, sezione consultiva degli atti normativi, nell’Adunanza del 5 novembre 2007 in relazione alle disposizioni integrative e correttive apportate al d.lgs n 152 del 2006 recante il cd codice dell’ambiente rilasciato sulla scorta di quanto previsto dall’art. 17, comma 25, lett. a) della legge 15 maggio 1997, n.127.
Il suindicato parere, oltre ad interessanti considerazioni generali sui limiti e la portata dei decreti correttivi ed integrativi, finisce per trattare aspetti di sicuro rilievo ed interesse regionalistico.
L’adozione del decreto legislativo integrativo e correttivo si è resa necessaria al fine di adeguare talune disposizioni del codice ambientale al diritto comunitario e di favorire la definizione di numerose procedure di infrazione pendenti nei confronti dell’Italia, in modo tale da evitare pesanti condanne da parte della Corte di giustizia.
 Tuttavia anche i rilievi fatti pervenire dalle commissioni parlamentari e dalla Conferenza unificata in relazione sia al decreto legislativo originario sia al primo decreto legislativo correttivo (d.lgs. 8 novembre 2006, n. 284) hanno spinto il governo a predisporre un secondo decreto correttivo al quale si riferisce il parere in oggetto.
Tra gli aspetti presi in considerazione dal secondo decreto legislativo correttivo figura proprio la più chiara delineazione delle competenze statali e regionali in materia ambientale.
In primo luogo il collegio ritiene che l’art. 3 bis, il quale stabilisce i principi sulla produzione del diritto ambientale, debba contemplare nel primo comma l’espresso richiamo all’art. 117, commi 1 e 3, della Costituzione sia per richiamare i limiti costituzionali, dell’ordinamento comunitario e quelli derivati dagli obblighi internazionali sia per riaffermare "la regola costituzionale secondo cui la tutela dell’ambiente è riservata alla legislazione esclusiva dello Stato".
Il collegio propone, peraltro, una riformulazione dell’art. 3 quinquies il quale regola i rapporti con la legislazione regionale sulla base dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione; richiamando il consolidato orientamento interpretativo della Corte costituzionale - secondo il quale la tutela dell’ambiente non risulta configurabile alla stregua di un materia in senso tecnico, essendo l’ambiente, piuttosto, un valore costituzionalmente protetto e, dunque, una materia trasversale in ordine alla quale si manifestano competenze diverse – il parere sottolinea come la competenza in capo allo Stato nel fissare i livelli di tutela minimi ed uniformi meriterebbe un richiamo espresso ai principi desumibili dal decreto legislativo quali condizioni minime ed essenziali per assicurare la tutela dell’ambiente su tutto il territorio nazionale.
La competenza regionale, invece, in quanto diretta ad assicurare un più elevato livello di garanzie per la popolazione ed i territori interessati autorizza l’adozione da parte delle regioni di misure più rigorose le quali, tuttavia, restano sottoposte al sindacato di costituzionalità in ragione del fatto che, come si legge nel parere, << il sistema impone di coniugare il carattere flessibile della sussidiarietà con l’esigenza di garantire che la deroga alla disciplina nazionale uniforme sia giustificata da specifiche situazioni e sulla base di adeguate conoscenze scientifiche, in conformità del principio di precauzione>>.
In un passaggio successivo dell’articolato parere sono prese in considerazione le competenze in materia di Valutazione ambientale strategica (Vas) e di Valutazione di Impatto Ambientale (Via) con specifico riguardo alle modalità di definizione e adeguamento delle cartografie per le quali il parere suggerisce specifiche modifiche dello schema del decreto tali da tenere in adeguata considerazione l’attribuzione legislativa riservata. Il collegio, infatti, non esita a ricondurre siffatta competenza, nonchè quella che riguarda pure gli strumenti informativi territoriali di supporto e le banche dati, all’art. 117, comma 2, lett. r) della Costituzione trattandosi di << prerogativa dello Stato, indispensabile per assicurare la generale conformazione e l’identità di presupposti di fatto in qualsivoglia ipotesi di misurazione, con implicazioni del tutto evidenti in un amplissimo spettro di situazioni che è dovere presidiare e regolare da parte del soggetto titolare delle potestà connesse al mantenimento dell’unità ordinamentale>>.
In seguito al parere interlocutorio, adottato nell’adunanza del 21 marzo 2005 (23) il Consiglio di Stato, sez. consultiva per gli atti normativi, torna ad esprimersi sul nuovo schema del D.p.c.m. recante il regolamento sulle modalità di coordinamento, attuazione ed accesso al registro informatico degli adempimenti amministrativi per le imprese previsto dalla legge 29 luglio 2003, n. 229.
La sezione prende atto della determinazione ministeriale di ricondurre la gestione operativa dei dati informatici all’ambito funzionale del coordinamento informativo, statistico ed informatico dei dati dell’amministrazione statale come tale rientrante, anche in relazione alla potestà regolamentare, nella esclusiva competenza statale di cui all’art. 117, secondo comma lett. r).
In altra parte del parere si esprime una valutazione positiva sulle modifiche apportate dal decreto correttivo alle necessarie intese che debbono intervenire quando l’impatto ambientale coinvolge territori di regioni confinanti; nel caso in cui risultano coinvolti territori di diverse regioni e si registrano conflitti tra le autorità competenti, viene attribuito al Presidente del Consiglio dei ministri, dietro parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, il potere di disporre le procedure previste dal codice per i piani, i programmi ed i progetti di competenza statale.
Il metodo evocato è chiaramente quello della sussidiarietà verticale, così come inaugurato dalla sentenza della Corte costituzionale n.303 del 2003, nell’ambito del quale la richiesta di parere conforme della Conferenza permanente, ad avviso del collegio referente, viene considerata una adeguata garanzia.
Il parere si incentra su un altro profilo di interesse regionale vale a dire quello relativo alla competenza statale nel fissare i criteri per l’assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento; il parere finisce per considerare tali disposizioni normative di dettaglio e, in quanto tali, ritenute invasive della competenza delle Regioni e dei comuni. In altra parte il parere esprime una valutazione negativa sulle disposizioni che attribuiscono le competenze alla province in materia di autosmaltimento e operazioni di recupero rappresentando queste una "inutile moltiplicazione e sovrapposizione di competenze e di costi".
 
  
3.  Attività giurisdizionale
 
L’attività contenziosa dei giudici amministrativi anche negli anni 2006 e 2007 ha investito pressoché tutti gli aspetti del riformato Titolo V: dalla definizione e/o delimitazione delle materie di spettanza regionale al sistema delle fonti del diritto regionale e locale, dai criteri di allocazione delle funzioni amministrative alle relazioni interorganiche degli enti locali.
Come già anticipato in premessa preme ribadire che quelle selezionate rappresentano solo un piccolo campione, seppure significativo per temi trattati ed esiti decisionali, nell’ambito della vastissima casistica giurisprudenziale di rilievo ed interesse regionale emergente nel biennio preso in considerazione dal presente rapporto (24).
In via generale risulta confermata la rilevanza quantitativa del contenzioso promosso dagli enti locali (soprattutto comuni e comunità montane) a tutela delle proprie accresciute attribuzioni istituzionali; ciò si spiega non solo in ragione dell’assenza di validi strumenti di prevenzione e risoluzione di conflitti istituzionali, tanto più necessari in un quadro costituzionale delle competenze alquanto indefinito e controverso, ma anche perché la giustizia amministrativa (probabilmente più di quella costituzionale) rappresenta la sede naturale per (tentare di) far valere le accresciute attribuzioni delle autonomie territoriali (specie di quelle infra-regionali) (25).
Pare allora condivisibile l’assunto che << gli indirizzi espressi dalla giurisprudenza amministrativa concorrono a formare l’intelaiatura di insieme per un sistema tanto ricco di articolazioni ed autonomie, quanto pericolosamente povero di cerniere e di elementi connettivi>> (26)).
Né va dimenticato come l’intenso conflitto anche sul terreno della giustizia amministrativa tra Stato- regioni ed enti locali, come negli precedenti rapporti già segnalato, trova alimento nella scomparsa del controllo obbligatorio del Consiglio di Stato sulla potestà regolamentare esercitata nelle materie di potestà concorrente e residuale la quale comporta naturalmente un aumento del contenzioso volto alla verifica della legittimità-conformità della normativa secondaria alle fonti sovra-ordinate.
 
 
3.1.   In tema di applicazione dei principi fondamentali della legge n. 241 del 1990 alla legislazione regionale
 
Il tema della natura giuridica dei principi della legge n. 241 del 1990 (così come novellata dalla legge n. 15 del 2005) e della loro applicabilità all’ambito della legislazione regionale, è stato oggetto non solo dei pareri delle sezioni consultive (27) ma anche della giurisprudenza contenziosa, approdando ad esiti interpretativi convergenti.
In linea con i pregressi orientamenti giurisprudenziali anche le più recenti decisioni dei giudici amministrativi optano per escludere che la disciplina del procedimento amministrativo, in quanto materia non ricompressa né tra le materie di competenza esclusiva statale né in quelle di competenza concorrente, possa per ciò solo rientrare nell’alveo della competenza residuale ed esclusiva regionale.
Nella sentenza del Tar Sicilia, sez. II, 9 luglio 2007, n. 1775 si legge che << la novella introdotta con la legge n. 15 del 2005 è stata elaborata anche per adeguare la disciplina del procedimento amministrativo al mutato quadro delle competenze risultante dalla riforma del Titolo V della parte II della Costituzione>> (28); nel caso di specie si afferma che l’art. 21- quinquies della legge n. 241 del 1990 - il quale prevede il riconoscimento di un indennizzo per il pregiudizio che l’interessato abbia subito per effetto della revoca di un provvedimento amministrativo - è << indubbiamente norma di principio, in quanto si inserisce nel sistema delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa>>; ne deriva che la disciplina, sia sostanziale sia processuale, dell’indennizzo nel caso di revoca sfugge alla competenza del legislatore regionale il quale non è autorizzato a dettare una disciplina normativa << che elida il fondamentale principio per cui l’amministrazione è tenuta a tenere indenne l’interessato per il caso di revoca di un provvedimento amministrativo dalla quale scaturisca un pregiudizio>>. A tale conclusione il collegio perviene riconducendo la previsione normativa in argomento alla previsione costituzionale di cui all’art. 117, comma secondo, lett. m) Cost. il quale riserva al legislatore statale la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; interessante notare, peraltro, che la predetta sentenza non trascura di prendere in considerazione una diversa impostazione dottrinale che ricava il limite alla competenza legislativa regionale in materia di procedimento amministrativo non dal secondo comma dell’art. 117 bensì nel primo comma della medesima disposizione costituzionale, mediante il rinvio in esso contenuto al rispetto della Costituzione e segnatamente alle istanze di unitarietà ed uguaglianza ricavabili dagli artt. 3,5,41 97 e 120 Cost. che forniscono fondamento costituzionale all’art. 29 della legge 241 del 1990 laddove questa sancisce la intangibilità da parte regionale delle norme principio nella stessa contenute.
Sotto altro profilo, poi, la sentenza del Tar siciliano sancisce la applicabilità delle disposizioni di principio della legge n. 241 del 1990 anche nei confronti degli enti locali appartenenti ad una Regione a statuto speciale. 
Ad analoghe conclusioni perviene anche la sentenza Tar Valle d’Aosta, 12 luglio 2007, n. 106 la quale, in particolare, ritiene applicabile l’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990 nelle materie di competenza delle Regioni, ed anche a quelle a statuto speciale, in quanto integrante il limite statutario rappresentato dai principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica << ove si tratti di materie appartenenti alla competenza esclusiva della Regione a statuto speciale […] deve ritenersi che, in caso di interferenza con materie trasversali di competenza dello Stato o sovrapposizione con materie attribuite alla competenza esclusiva dello Stato, valgano i limiti statutari tradizionali>>.
Stando al decisum di quest’ultima pronuncia, infatti, è ravvisabile << un collegamento tra il procedimento amministrativo e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale>>; l’art. 29 della legge n. 241 del 1990, prosegue la sentenza n. 106 del 2007, << fa emergere la regola di soggezione secondo cui i principi fondamentali di tale legge attengono alla tutela dei livelli essenziali di diritti civili e sociali>>.  
Nell’ambito di un giudizio avente ad oggetto l’impugnativa di una delibera di un Direttore Generale dell’AUSL di Taranto la sentenza del Tar Puglia n. 3042 del 2006 giunge alla conclusione della applicabilità dell’art. 2, comma 3, della legge 241 del 1990 (il quale prevede che il procedimento iniziato d’ufficio o ad istanza di parte debba essere concluso nel termine di novanta giorni) anche nei confronti dei procedimenti amministrativi regionali; il collegio, infatti, ritiene, che <<il dovere dell’amministrazione di concludere entro un ragionevole lasso di tempo il procedimento può essere ricompresso nell’ambito dei principi fondamentali che regolano una civile convivenza e quindi ricondotto (quale limite derogabile dalla specifica normazione in vista della peculiarità dello specifico procedimento) alla previsione dell’art. 117, comma secondo, lett. m) della Costituzione, cioè ai diritti civili che devono essere inderogabilmente assicurati in tutto il territorio nazionale >>.
 
 
3.2.  In tema di diritto di accesso dei consiglieri comunali
 
Da segnalare alcune pronunce del Consiglio di Stato che fanno chiarezza sulla natura giuridica, portata e limiti del diritto di accesso dei consiglieri comunali il quale si differenzia sotto molteplici profili, dal comune diritto di accesso (29).
Il diritto di accesso del consigliere comunale verso gli atti del comune, secondo quanto statuito dal Consiglio di Stato sez. V, 22 febbraio 2006, n. 929 (30), assume un connotato tutto particolare in quanto finalizzato << al pieno ed effettivo svolgimento delle funzioni assegnate al consiglio comunale>>; ne deriva che sul consigliere comunale non grava né può gravare alcun onere di motivare le proprie richieste di informazione né gli uffici comunali hanno diritto a richiederle o a conoscerle.
Sul medesimo tema si è pronunciata anche la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 21 agosto 2006 n. 4855 stando alla quale sussiste una profonda differenza tra il diritto di accesso riconosciuto ai singoli soggetti interessati dall’art. 22 e seguenti della legge n. 241 del 1990 e quello spettante al consigliere comunale ex art. 43 del d.lgs. n. 267 del 2000; mentre il primo, infatti, consente ai singoli soggetti di conoscere atti e documenti al fine di meglio predisporre la tutela in giudizio delle proprie situazioni giuridiche soggettive eventualmente lese, il secondo è istituto giuridico previsto dall’ordinamento al fine di consentire ai consiglieri comunali di svolgere il proprio mandato verificando e controllando l’azione amministrativa degli organi istituzionali e decisionali dell’ente comunale. Da qui la conseguenza che al consigliere comunale non può essere opposto alcun diniego (salvo talune eccezionali ipotesi che richiedono adeguata e puntuale motivazione), determinandosi altrimenti un illegittimo ostacolo al concreto esercizio della sua funzione di controllo e verifica del corretto svolgimento delle funzioni amministrative comunali.
 
 
3.3.   In tema di comunità montane
 
Diverse le sentenze che hanno riguardato le comunità montane, apparse meritevoli di attenzione, che hanno riguardato, in particolare, le procedure di nomina e di revoca nonché il riparto della competenza legislativa tra Stato e Regione.
L’ammissibilità del potere di revoca della nomina del consigliere comunale a rappresentante del Comune in seno al Consiglio generale della Comunità montana viene affermata dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 23 gennaio 2007, n. 199 in ragione della necessità di garantire << un costante rapporto di rappresentatività tra i consiglieri comunali eletti in seno al Consiglio della Comunità montana e la componente consiliare (di maggioranza o di minoranza) da cui promanano>> il quale è espressamente previsto nella normativa statale e regionale di settore; più in dettaglio la fuoriuscita di un componente dalla giunta comunale, seppure accompagnata dalla dichiarazione di appoggio esterno, ad avviso del collegio, viene ritenuta condotta incompatibile con il principio di rappresentatività che presiede al rapporto tra la maggioranza e il proprio rappresentante nella comunità montana e, dunque, presupposto legittimante l’atto di revoca della nomina.
La sentenza del Tar Molise n. 26 del 2006 si occupa del rapporto tra legge statale, legge regionale e potestà normativa dei comuni in riferimento alla disciplina delle modalità di elezione dei componenti delle comunità montane.
Accogliendo il ricorso di un consigliere comunale (che si era visto escludere dalla nomina a consigliere comunitario in applicazione della disciplina regolamentare comunale divergente da quella legislativa regionale) il giudice amministrativo ha disposto l’annullamento della nomina del consigliere comunitario nonché della delibera comunale che aveva fissato criteri alternativi rispetto a quelli previsti dalle leggi regionali n. 12 del 2002 e n. 32 del 2005.
Nell’ambito del medesimo giudizio era stata peraltro avanzata questione di legittimità costituzionale delle predette leggi regionali per contrasto con l’ art. 117 della Costituzione, in quanto veniva escluso che al legislatore regionale potesse spettare la disciplina dell’organizzazione, dei compiti e delle funzioni amministrative del comune, trattandosi di materia in cui opera una competenza ripartita tra legge statale e potestà normativa locale con totale esclusione della competenza regionale. Il collegio ha buon gioco nel dichiarare la manifesta infondatezza della sollevata questione alla luce del fatto che la disciplina delle comunità montane è stata dalla Corte costituzionale (31) ricondotta alla competenza legislativa residuale delle regioni di cui all’art. 117, comma quarto, Cost.
Con la sentenza n. 494 del 2006 il Consiglio di Stato, sez. V, si occupandosi di una controversia in tema di comunità montane, svolge una serie di interessanti considerazioni.
L’oggetto della controversia è rappresentato dalla interpretazione dell’art. 27, comma 3, del T.U.E.L. il quale prevede che "i rappresentanti dei comuni delle comunità montane sono eletti dai consigli dei comuni partecipanti con il sistema del voto limitato garantendo la rappresentanza delle minoranze" nonché dall’art. 10 della legge della Regione Calabria n. 4 del 1999 il quale ai fini dell’elezione dei rappresentanti dei consigli comunali prevede il sistema delle votazioni separate, una per la maggioranza e l‘altra per la minoranza. Il Tar Calabria-sez. di Catanzaro con sentenza n. 1784 del 2004 aveva accolto il ricorso avverso la delibera consiliare del comune di Cropani con la quale un consigliere comunale di minoranza era stato designato rappresentante in seno alla comunità montana con il contributo determinante dei voti del gruppo di maggioranza determinando, in tal modo, la illegittimità dell’elezione.
Il comune appellante contesta le motivazioni della sentenza di primo grado ritenendo che l’art. 27, comma, 2 del T.U.E.L. garantisca le minoranze attraverso il sistema del voto limitato e non tramite quello del voto separato, il quale rappresenta meccanismo differente e non conciliabile con il precedente.
Il consiglio di Stato ritiene fondato il ricorso in appello e, dunque, valuta legittima l’elezione del consigliere avvenuta con il sistema del voto limitato come prescritto dall’art. 27, comma, 2, T.U.E.L.
Detta sentenza risulta interessante per un duplice profilo; sia per la natura della competenza legislativa riguardante la disciplina delle comunità montane sia per come viene risolta l’antinomia normativa tra disposizione normativa regionale e statale sopravvenuta in materia di competenza residuale regionale.
In ordine al primo aspetto - disattendendo la contraria tesi affermata dell’appellato circa l’appartenenza alla competenza legislativa concorrente - il Collegio chiarisce, richiamando la sentenza della Corte costituzionale n. 244 del 2005 che la disciplina delle comunità montane, pur in presenza della loro qualificazione come enti locali contenuta nel d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, rientra nella competenza legislativa residuale delle regioni ai sensi dell'art. 117, comma 4, Cost.
In ordine al secondo aspetto l’antinomia tra le due diverse disposizioni normative viene risolta ritenendo che la disposizione statale abbia tacitamente abrogato quella regionale in quanto incompatibile con il principio introdotto dalla legge statale sopravvenuta (in applicazione dell’art. 1 della legge n. 62 del 1953) e che quest’ultima continua ad applicarsi fino alla entrata in vigore delle disposizioni regionali in materia, ai sensi di quanto prescritto dall’art. 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131(più nota come legge La Loggia).
Questione assai simile alla precedente è affrontata dalla sentenza Tar Abruzzo- sezione Pescara, n. 692 del 2006. In tale controversia veniva contestata l’elezione di un consigliere della minoranza avvenuta grazie al voto determinante del sindaco. A differenza del caso precedente nel quale la disciplina legislativa regionale non era ancora intervenuta, tale controversia è stata risolta facendo applicazione dell’art. 9, comma 3 della legge regionale Abruzzo n. 24 del 2003 il quale prevede tre eletti a scrutinio palese e voto limitato ad uno al fine, appunto, di garantire alle minoranze un seggio. Il collegio, dunque, giudica legittima l’elezione in quanto il  "voto limitato ad uno è sempre libero e non divide l’elettorato attivo in due tronconi, il che, pertanto, non esclude, specie in presenza di più minoranze, la possibilità di interferenze reciproche".

3.4  In tema di scioglimento del consiglio comunale (ovvero della perdurante legittimità dei poteri sanzionatori del governo nei confronti degli enti locali)
 
 Di particolare interesse risulta essere la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 15 marzo 2007, n. 1264 con la quale, al termine di una lunga ed intricata vicenda contenziosa, è stata confermata la sentenza di prime cure (32) con la quale era stata disposta la rimozione del sindaco e, dunque, lo scioglimento dell’intero consiglio comunale per essersi reso il primo responsabile di << gravi e persistenti violazioni di legge per non aver ottemperato, nonostante reiterate rituali diffide, al tassativo obbligo di avviare la procedura di nomina del segretario titolare dell’ente>>.
Detta sentenza pronunciandosi sulla compatibilità dei poteri sanzionatori del governo sugli enti locali nel mutato quadro costituzionale dei rapporti Stato-enti locali si sofferma sulla distinzione tra poteri sostitutivi e sanzionatori in un ordinamento improntato ad una logica "quasi federalistica".
Nel rigettare il ricorso in appello promosso dall’ex sindaco viene, dunque, dal collegio esaminata la questione dell’abrogazione tacita ovvero della sopravvenuta illegittimità costituzionale delle disposizioni dettate in materia di controllo governativo sugli organi degli enti locali, previste dagli artt. 141 e 142 T.U.E.L, in relazione al nuovo assetto costituzionale introdotto dalle modifiche al Titolo V della Costituzione; il collegio respinge l’appello non condividendo l’assunto in base al quale il più incisivo ruolo assegnato all’autonomia costituzionale degli enti comunali dall’ art. 114 Cost. avrebbe finito per privare di copertura costituzionale i poteri d’intervento sanzionatorio del governo sugli enti locali in ragione del fatto che << la più accentuata garanzia, sancita dall’art. 114 Cost., dell’autonomia degli enti locali, in un sistema complessivo di equiordinazione con lo Stato e le Regioni, costituisce una prescrizione di portata generale che non vale ad escludere la sussistenza di un interesse nazionale idoneo a giustificare l’applicazione di tecniche di intervento statale sanzonatorio>>.
Viene così rigettata anche la tesi in base alla quale nel riformato Titolo V della Costituzione le uniche forme di ingerenza dello Stato nei confronti delle autonomie territoriali sarebbero quelle previste dall’art. 120 Cost.; ad avviso della sentenza in esame, infatti, l’art. 120 Cost. perseguendo lo scopo di realizzare esigenze oggettive, attraverso forme di intervento surrogatorio, avrebbe una giustificazione affatto diversa rispetto ai poteri sanzionatori esercitati per mezzo del controllo sugli organi. In conclusione la sentenza ritiene che i poteri di scioglimento dell’assemblea rappresentativa di un ente locale più che ai poteri sostitutivi previsti dall’art. 120 Cost. siano riferibili ai poteri di dissoluzione del Consiglio regionale previsti dall’art. 126 Cost.; il collegio, dunque, ne trae argomento per sostenere che << il potere sanzionatorio ove previsto nell’ordinamento costituzionale nei confronti degli organi delle Regioni, dotati del grado più elevato di autonomia[..] risulta vieppiù compatibile con i principi costituzionali, ove previsto dalla legislazione ordinaria, nei confronti degli organi degli enti sub-regionali, muniti di una meno intensa sfera di autonomia rispetto all’apparato statale>>. Sotto altro profilo il collegio, infine, individua una copertura costituzionale generale per le norme del TUEL nell’art. 117,comma secondo, lett. p) Cost. il quale attribuisce alla legislazione esclusiva statale la materia “ legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane”.
 
 
3.5.   In tema di autonomia statutaria e rappresentanza giudiziale degli enti locali
 
Merita di essere segnalata la sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 21 maggio 2007, n. 2571 (33) la quale offre interessanti considerazioni,ad un tempo, sulla autonomia statutaria e sulla rappresentanza giudiziale degli enti locali; detta sentenza ha, infatti, sancito che << nel nuovo sistema istituzionale e costituzionale degli enti locali lo statuto si configura come atto normativo atipico di rango paraprimario o sub-primario – seppure formalmente amministrativo – in quanto diretto a fissare le norme fondamentali dell’organizzazione dell’ente ed a porre i criteri generali per il suo funzionamento e, in tale ambito, a specificare anche i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente, anche in giudizio>>; ne deriva che è rimessa all’autonomia statutaria non solo la definizione della materia delle autorizzazioni a promuovere una lite ovvero a resistervi ma anche l’individuazione del soggetto titolare del potere di rappresentanza processuale.
Nel caso di specie, infatti, lo statuto del comune di Cesenatico affidava nell’ambito delle controversie giurisdizionali ai dirigenti (anziché al sindaco) la rappresentanza legale dell’ente.


3.6  In tema di sfiducia costruttiva del Presidente del consiglio comunale 

Con la sentenza n. 3025 del 2006 il Tar Sicilia ha definito una controversia avente ad oggetto la richiesta di annullamento della delibera del Consiglio comunale di Isola delle Femmine con la quale era stata dichiarata la cessazione dalla carica del Presidente del consiglio comunale (in seguito all’approvazione consiliare di una mozione di sfiducia) nonché la delibera di approvazione dello statuto comunale nella parte in cui prevedeva, tra le cause d cessazione della carica, l’approvazione della mozione di sfiducia. Il collegio perviene all’accoglimento del ricorso giudicando illegittima la previsione statutaria impugnata, in ragione del fatto che << lo statuto non può prevedere ipotesi ulteriori di cessazione dalla carica […] rispetto a quelle normativamente previste, introducendo anche un controllo di natura politica sul presidente del Consiglio comunale>>.
 
 
3.7.   In tema di competenza esclusiva statale della disciplina normativa delle cause di decadenza dei dirigenti regionali dell’Arpa nonché in tema di spoil system regionale
 
Diverse le ordinanze con le quali i giudici amministrativi, di primo e secondo grado, hanno sollevato dubbi di legittimità costituzionale nei confronti delle previsioni normative regionali che disponevano la decadenza automatica dalla carica di direttore generale delle Asl e dei dirigenti preposti ad altri enti regionali, in ragione del rinnovo della assemblea rappresentativa regionale.  
In coerenza con propri e specifici precedenti, dietro ricorso promosso dalla Regione Lazio avverso ordinanza sospensiva emessa dal Tar Lazio, il Consiglio di Stato, sez. V., ha adottato ordinanza n. 490 del 2006con la quale viene sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 53, secondo comma, e dell’art. 55, quarto comma, dello Statuto della Regione Lazio e dell’art. 71 commi primo, terzo e quarto, della legge regionale 17 febbraio 2005, n. 9 per contrasto con l’art. 97 e l’art.117, secondo comma, lett. l) e terzo comma, della Costituzione.
Premessa la propria giurisdizione nonchè l’applicabilità dell’art.55 dello Statuto all’Arpa - in quanto ente strumentale della Regione in materia ambientale, posto sotto la vigilanza ed il controllo della Giunta regionale - il collegio remittente, dubita della legittimità costituzionale delle previsioni statutarie in tema di cd. spoil system che prevedono la decadenza generalizzata dalla carica dei componenti degli organi istituzionali di tutti gli Enti dipendenti, decorso il novantesimo giorno dalla prima seduta del Consiglio regionale.
La cessazione dalla carica dei dirigenti preposti agli enti regionali connessa al rinnovo del Consiglio regionale, tende a consentire alle forze politiche, espressione del massimo organo politico regionale neoeletto, di sostituire i soggetti preposti agli organi istituzionali.
Si tratta di misure che appaiono di dubbia costituzionalità almeno sotto due profili; in primo luogo si tratta di disciplina di dubbia compatibilità con i principi costituzionali di imparzialità e buon andamento ex art. 97 Cost. mirando ad <<introdurre una cesura nella continuità dell’azione amministrativa, esplicata dal titolare della carica, non in dipendenza della valutazione della qualità di questa, ma di un evento oggettivo, qual è l’insediamento del nuovo Consiglio all’esito della consultazione elettale>>. In secondo luogo la disciplina statutaria oggetto dell’impugnativa in via incidentale appare in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lett. l) incidendo sul rapporto di lavoro, determinandone la cessazione, il quale rientra nella materia dell’ordinamento civile affidato alla competenza esclusiva statale.
E’ opportuno rammentare, inoltre, che il Consiglio di Stato, sez. V, con ordinanza n. 5833 del 19 ottobre 2005 (34) (ed altre cinque adottate in pari data) aveva sollevato questione di legittimità costituzionale (per violazione degli artt. 97,32, 117, secondo comma, lett. l) e terzo comma, Cost.) del combinato disposto dell’art. 55, quarto comma, dello Statuto della Regione Lazio approvato con legge regionale 11 novembre 2004, n.1 (il quale prevedeva la decadenza generalizzata dalla carica dei componenti degli organi istituzionali di tutti gli enti dipendenti dalla Regione, decorso il novantesimo giorno dalla prima seduta del Consiglio regionale) e dell’art. 71, commi 1, 3 e 4, lett. a) della legge regionale 17 febbraio 2005 il quale estendeva, in deroga alle disposizioni contenute nelle specifiche leggi vigenti in materia, la predetta decadenza anche alle ipotesi in cui la carica fosse in atto alla data di entrata in vigore dello Statuto.
La Corte costituzionale con sentenza n. 104 del 2007 (35), previa riunione dei giudizi, ha definito, tra le altre, entrambe le questioni di legittimità costituzionale sollevate per mezzo delle suindicate ordinanze del Consiglio di Stato ed ha dichiarato la illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 97 Cost., del combinato disposto dell’art. 71, commi 1,3,4 lett. a) della legge della Regione Lazio n. 9 del 2005 e dell’art 55, comma4, della legge della Regione Lazio n. 1 del 2004 mentre ha ritenuto inammissibile la questione sollevata con l’ordinanza del Consiglio di Stato, sez. V, n 490 del 2006 in quanto la stessa non avrebbe chiaramente ed univocamente individuato la norma ritenuta applicabile nel processo principale.
Nonostante la sentenza della Corte costituzionale n.114 del 2007, in verità, il contenzioso in tema di spoil system regionale pare lontano dall’essersi esaurito considerato che, più di recente, il Consiglio di Stato, sez. V, con ordinanza 16 ottobre 2007, n. 5388 ha sollevato in relazione agli artt. 3, 24, 101, 103, 113 e 117, secondo comma, lett. l), nuova questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 2, della legge della Regione Lazio 13 giugno 2007, n. 7 il quale, disciplinando la situazione dei componenti degli organi istituzionali già dichiarati decaduti in base a disposizioni legislative regionali dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale, contempla quale rimedio alternativo il reintegro nella carica ed il ripristino del relativo rapporto di lavoro ovvero un’offerta di equo indennizzo, aggiungendo che quest’ultima soluzione è l’unica praticabile nel caso in cui il <rapporto di lavoro sia stato interrotto, di fatto, per oltre sei mesi>>.
 
 
3.8.   Potere sostitutivo in materia di P.e.e.p.
 
Con la sentenza n. 3618 del 2006 il Consiglio di Stato, sezione IV, accoglie i ricorsi proposti dal comune di Baone e dalla Provincia di Padova avverso la sentenza del Tar Veneto n. 648 del 2005 con la quale era stato annullato l’atto di affidamento alla Cosecon S.p.a. degli incarichi di progettazione ed attuazione delle opere di urbanizzazione del p.e.e.p di Baone centro per violazione delle modalità di affidamento degli stessi. Nel dichiarare fondati gli atti di appello il collegio chiarisce portata e funzione dell’art. 98 della legge regionale n. 61 del 1985 il quale contempla un potere di annullamento in capo al Consiglio provinciale delle deliberazioni e dei provvedimenti comunali le quali “ consentono opere in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente ovvero in qualsiasi modo costituiscono violazione di norme, regolamenti o prescrizioni vigenti”.
Tale potere provinciale di natura sostitutiva ed in funzione di autotutela mira alla prevenzione delle violazioni urbanistiche ed edilizie; la disposizione normativa regionale che lo prevede, tuttavia, derogando all’ordinario assetto delle competenze deve ritenersi di stretta interpretazione.
Ne deriva che la sentenza gravata merita di essere censurata avendo esteso la portata della disposizione normativa all’ambito dell’affidamento delle attività di progettazione di opere pubbliche o di pubblica utilità il quale esula chiaramente dalla materia urbanistico-edilizia e non può costituire oggetto del potere di annullamento del’ente provinciale così come configurato dal legislatore regionale.
 
  
3.9.  In tema di requisiti soggettivi e procedimento di nomina del difensore civico
 
Diverse le pronunce dei giudici amministrativi che si sono occupate delle modalità di elezione, delle funzioni e dello statuto giuridico del difensore civico, sia regionale sia comunale.
Meritano di essere menzionate le sentenze del Consiglio di Stato, sez. V., 9 ottobre 2006, n. 6005 e del T.a.r. Calabria-Reggio Calabria, 8 febbraio 2007, n.133 con le quali, rigettando le eccezioni di difetto di legittimazione, vengono ritenute ammissibili le impugnative delle delibere di designazione del difensore civico anche da parte del soggetto che non ha conseguito la nomina oltreché ad opera dei consiglieri comunali dissenzienti; a ben vedere la sentenza del Consiglio di Stato, 9 ottobre 2006, n.6005 si è spinta ancora più in là, avendo sancito l’ ammissibilità del ricorso avverso la delibera di nomina del difensore civico comunale anche da parte di un candidato non designato << a nulla rilevando il fatto che, quest'ultimo, nella votazione, non abbia riportato alcun voto favorevole, atteso che è sufficiente a qualificare il suo interesse il mero profilo strumentale volto alla rimozione dell'attività amministrativa illegittimamente esercitata>>.
Invero anche la natura giuridica del difensore civico ed il procedimento di designazione non hanno mancato di interessare la giurisprudenza amministrativa; pur senza revocare in dubbio la natura fiduciaria dell’atto di designazione privo ei caratteri della concorsualità, infatti, la già citata sentenza del Ta.r. Calabria-Reggio Calabria, 8 febbraio 2007, n.133 ha sancito che << la natura fiduciaria del rapporto non dispensa l’amministrazione procedente dall’obbligo di esplicitare, nella parte motiva del provvedimento di nomina, le ragioni che l’hanno indotta a privilegiare, tra più candidati ritenuti idonei, un aspirante all’incarico rispetto agli altri>> in quanto << l’obbligo di motivazione è imposto a presidio della trasparenza e del controllo circa la legalità dell’azione amministrativa>>.
In ordine alla esatta individuazione dei requisiti soggettivi per essere eletto difensore civico la sentenza del Tar Sicilia, sez. I, 18 maggio 2007 n. 1374 ha sancito che << le prerogative ed i requisiti che il soggetto deve possedere per poter aspirare all’elezione a difensore civico, così come le incompatibilità e le cause di ineleggibilità, debbono essere tutti espressamente disciplinati dallo statuto e non possono, quindi, essere rimessi, in senso peggiorativo o ulteriormente limitativo, alle previsioni del bando>>. Tale sentenza peraltro ha, poi, ribadito che la procedura relativa alla nomina del difensore civico non può essere omologata a quella concorsuale tout court, rinvenendosi in essa l’esercizio di una discrezionalità tecnica ed ha anche escluso che precedenti trascorsi politici dell’eletto alla funzione di difesa civica possano metterne in discussione il requisito della indipendenza dando vita, in caso contrario, a surrettizie cause di ineleggibilità o condizioni di incompatibilità non previste né suscettibili di essere fatte cessare.
Di particolare interesse la sentenza del Tar Campania - Napoli n. 15612 del 2007 che risolve una controversia che aveva contrapposto il comune di Napoli al difensore civico regionale; più in dettaglio il Comune aveva lamentato non solo la illegittimità di taluni atti adottati dal difensore civico regionale in funzione di controllo sostitutivo sugli atti adottati dall’ente comunale ma anche la illegittimità costituzionale dell’art. 17, comma 45, della legge 127 del 1997, poi trasfuso nell’art. 136 T.U.E.L., ritenuto lesivo del principio di autonomia degli enti locali ricavabile dagli artt.5, 128 e 130 Cost.
Il collegio con la suindicata sentenza, da un lato, dichiara la illegittimità degli atti adottati dal difensore civico regionale oggetto dell’impugnativa comunale per difetto dei presupposti normativi ma dall’altro giudica manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale; pur tenendo conto della sostanziale equiordinazione tra la pluralità di enti in cui si articola la Repubblica alla luce del novellato art. 114 Cost. ad opera della legge costituzionale n. 3 del 2001, il collegio riconosce la perfetta compatibilità costituzionale tra l’istituzione della figura del difensore civico regionale e l’autonomia, ormai costituzionalmente garantita, degli enti locali, a condizione che vengano rispettate le precise regole di esercizio del potere sostitutivo regionale, così come individuate da una ormai consolidata giurisprudenza costituzionale: necessità di assegnare un congruo termine per adempiere, rispetto delle garanzie procedimentali di sussidiarietà e leale collaborazione.
Il Tar campano, dunque, condivide l’impostazione del giudice delle leggi in base alla quale l’art. 120 Cost. non esaurisce tutte le possibili ipotesi di esercizio dei poteri sostitutivi, disciplinati dallo Stato e dalle Regioni, secondo le rispettive competenze, fondando la legittimità dell’art. 136 T.U.E.L. sulla base dell’art. 117, secondo comma, lett. p), Cost.
Sotto altro profilo, invece, la sentenza n. 15612 del 2007 interpreta in senso restrittivo la nozione di <<atti obbligatori previsti per legge>>, dalla cui omissione l’art. 136 TUEL fa dipendere il potere sostitutivo del difensore civico regionale; detta nozione, infatti, va ristretta agli atti espressamente sottoposti dalla legge a un termine perentorio; nel caso sottoposto alla cognizione del giudice amministrativo campano, invece, l’intervento sostitutivo appare esorbitante rispetto ai limiti ad e esso imposti dalla norma statale. Più in generale la suindicata sentenza chiarisce la vocazione istituzionale del difensore civico precisando che essa << consiste nella tutela della legalità e della regolarità dell’azione amministrativa mediante la difesa tecnica dei cittadini avverso le cause di maladmnistration>> e <<può spaziare fino a ricomprendere strumenti di persuasione[…] i quali non hanno alcuna connotazione autoritativa ma rappresentano uno stimolo ad una corretta gestione dei rapporti fra cittadino ed amministrazione; laddove invece il difensore civico intenda emanare atti provvedimentali, essi devono trovare uno specifico fondamento normativo>>.
La sentenza del Tar campano appare in contrasto con la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 2 ottobre 2006, n. 5706 la quale, ben diversamente, ha ritenuto legittimamente esercitato da parte della Regione nei confronti del comune il potere sostitutivo, una volta decorso senza esito il termine dalla stessa assegnato per la nomina del difensore civico; ne deriva che il potere sostitutivo previsto dall’art. 136 T.U.E.L. può essere esercitato nei confronti degli atti obbligatori dopo che sia decorso il termine previsto per la loro adozione sia nel caso in cui quest’ultimo venga stabilito dalla legge sia nel caso in cui lo stesso sia stato stabilito in via amministrativa. 
Sotto altro profilo la già citata sentenza del Consiglio Stato , sez. V, 09 ottobre 2006 , n. 6005 ha, inoltre, stabilito che << è illegittima la delibera consiliare di nomina del difensore civico, qualora alla votazione abbia partecipato, in violazione del disposto dell'art. 78, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000 (che impone agli amministratori l'astensione dalla discussione e dalla votazione di delibere riguardanti interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado), un consigliere comunale legato da rapporto di parentela (nel caso di specie, fratello) con il candidato nominato difensore civico>>.
 
 
3.10.  In tema di competenza legislativa regionale ed approvazione del piano sanitario regionale
 
La sentenza del Tar Puglia-Bari, sez. I, n. 1362 del 2006 risolve un contenzioso tra il comune di Mesagne e la Regione Puglia in materia sanitaria; il predetto comune, infatti, aveva in un primo momento impugnato la deliberazione regionale con la quale era stato approvato il piano di riordino della rete ospedaliera il quale prevedeva, tra l’altro, un ridimensionamento dell’ospedale situato sul terreno del comune ricorrente; nelle more del giudizio la Regione Puglia ha, tuttavia, approvato in via definitiva il piano sanitario ed il piano di riordino tramite una legge regionale. Il comune ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale del provvedimento legislativo regionale nella parte in cui approva il predetto piano sanitario per violazione degli artt. 32, 97, 117 e 123 Cost.
Accertata l’esistenza della legittimazione e dell’interesse ad impugnare le parti del piano sanitario e di quello ospedaliero ritenute pregiudizievoli degli interessi della collettività di cui il comune è ente esponenziale, il giudice amministrativo adito finisce per dichiarare in parte improcedibile il ricorso ed in parte per rigettarlo.
Due in particolare le questioni di interesse regionale che paiono emergere dalla sentenza n. 1362 del 2006; la prima riguarda l’ammissibilità costituzionale di leggi provvedimento regionali che vengono deliberate in luogo di provvedimenti amministrativi privi, dunque, di carattere normativo; la seconda attiene alla dedotta violazione dell’art. 117, comma terzo, Cost. per violazione del principio fondamentale di cui al d.lgs.vo n. 502 del 1992 il quale qualifica come provvedimento amministrativo generale gli atti programmatori e pianificatori dell’assistenza sanitaria.
Entrambe le questioni vengono giudicate manifestamente infondate.
In ordine alla prima questione, richiamando il consolidato orientamento della Corte costituzionale, il Tar esclude la illegittimità costituzionale delle leggi provvedimento regionali. non solo in considerazione dell’insussistenza in Costituzione di una riserva di amministrazione ma anche in considerazione della mancata lesione dei diritti di azione e di difesa giurisdizionale i quali, in caso di sopravvenuta approvazione legislativa di un atto amministrativo, si trasferiscono dalla giurisdizione amministrativa a quella costituzionale.
In ordine alla seconda censura il collegio amministrativo non ritiene vi sia stata né l’invasione di una competenza esclusiva statale da parte regionale (peraltro non dedotta) nè la violazione di alcun principio fondamentale, in quanto il d.lgs n. 502 del 1992 non impone l’uso dell’atto amministrativo per l’adozione del provvedimento programmatorio oggetto dell’impugnativa comunale né, infine, alcun rilievo ha la circostanza che il governo abbia approvato il piano sanitario nazionale con atto amministrativo generale.
 
 
3.11.  In materia di assistenza sociale
 
Nell’ambito di una controversia, avente ad oggetto l’impugnativa di un bando e di un capitolato speciale per l’appalto-concorso indetto da un comune per l’affidamento del servizio di aiuto personale ai cittadini portatori di handicap, viene sollevata questione di legittimità costituzionale per violazione, tra gli altri, dell’art. 117 Cost., in ragione della esclusione dalla partecipazione alla gara dei soggetti diversi dalla cooperative sociali e dai consorzi e raggruppamenti delle stesse.
Nel respingere i dubbi di costituzionalità il Consiglio di Stato, sez. V, 239 del 2006, confermando la decisone del giudice di prima istanza, non esita ad includere la materia della assistenza sociale tra quelle di competenza esclusiva regionale; ne deriva che anche la scelta dei soggetti più idonei per la gestione dei servizi soci-assistenziali deve considerarsi esclusiva e piena con il solo limite del rispetto della Costituzione nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali di cui all’art. 117, comma primo, Cost.


3.12   In tema di condono edilizio e potestà normativa delle province autonome
 
La sentenza del Consiglio Stato, Sez. V, 15 febbraio 2007, n. 642 riguarda una controversia avente ad oggetto l’applicazione della disciplina normativa contenuta nella legge della Provincia di Bolzano in tema di condono edilizio.
La sezione dopo aver affermato che << il principio di legalità esige che l'irrogazione delle sanzioni urbanistiche venga obbligatoriamente disposta in presenza di riscontrate violazioni della normativa vigente, non potendo addursi, a mo' di un'atipica « esimente », ipotizzate future variazioni della strumentazione urbanistica locale, asseritamente idonee ad attrarre il luogo nel quale è stato realizzato l'abuso edilizio, attualmente con destinazione agricola, in una limitrofa area di espansione>> ribadisce anche la piena compatibilità costituzionale delle leggi regionali e provinciali le quali, senza invadere gli ambiti riservati all’esclusiva competenza dello Stato in materia penale, si discostino nel disciplinare gli effetti amministrativi del condono edilizio.
Detta decisione, peraltro, fa espresso richiamo all’insegnamento contenuto nelle sentenze della Corte costituzionale n. 196 del 2004 e n. 304 del 2005.
 
 
3.13.  In tema di competenza regionale sulla determinazione delle tariffe autostradali e di legittimazione ad agire degli enti pubblici territoriali
 
La sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 399 del 31 gennaio 2007 risolve una controversia che in primo grado aveva visto accogliere le censure promosse dalla Regione Lazio contro una decisione della concessionaria Strada dei Parchi S.p.a. con la quale era stato disposto l’aumento delle tariffe autostradali.
La suindicata sentenza risulta di particolare interesse sul piano processuale svolgendo talune rilevanti considerazioni in ordine alla legittimazione ad agire da parte delle Regione e, più in generale, degli enti pubblici territoriali.
Il giudice di appello, dopo aver ribadito la propria giurisdizione in ordine alle controversie derivanti da un rapporto di concessione, in punto di legittimazione regionale alla impugnativa dell’atto di incremento delle tariffe autostradali ribalta la decisone di prime cure (36) e finisce per dichiarare inammissibile il ricorso proposto in primo grado dalla Regione Lazio.
Il giudice di primo grado aveva ritenuto la legittimazione ad agire della Regione in considerazione della potestà legislativa concorrente alla medesima assicurata dall’art. 117 Cost. in materia di governo del territorio tale, dunque, da rendere la Regione ente esponenziale degli interessi delle comunità stanziate sul suo territorio. Il Consiglio di Stato confuta l’assunto del Tar Lazio ritenendo che <<il richiamo alla ripartizione di competenze generali, sia legislative che amministrative, non è sufficienti a radicare in capo alla Regione Lazio l’interesse ad agire a tutela della utenza>>.
E’ convincimento della sezione del Consiglio di Stato, infatti, che <<la legittimazione ad impugnare atti generali di determinazione delle tariffe va riconosciuta sul piano delle tipologie soggettive, agli utenti, alle associazioni di consumatori e di categorie, ad enti esponenziali di interessi diffusi e collettivi; va nella specie esclusa la legittimazione a ricorrere da parte di ente esponenziale di interesse non già collettivo o diffuso ma tout court pubblico, quale l’ente territoriale regione>>; la legittimazione ad agire da parte dell’ente pubblico territoriale, in altri termini, non può derivare direttamente dal ruolo di portatore di interessi generali della collettività territoriale.
 
 
3.14.  In tema di presupposti e modalità di esercizio del potere di scioglimento del consiglio comunale
 
Il legittimo esercizio del potere di scioglimento di un consiglio comunale disposto dalla Regione Sardegna è al centro della controversia risolta con la sentenza del Tar Sardegna, sez. II., n. 98 del 2007. Il consiglio comunale di Castiadas aveva provveduto alla convalida dei consiglieri comunali e del sindaco eletto nonostante quest’ultimo si trovasse nella condizione di ineleggibilità prevista dall’art. 51 T.U.E.L., avendo già espletato la carica sindacale per due mandati consecutivi.
In applicazione di quanto previsto dalla legge regionale n. 13 del 2005, come modificata dall’art. 3 della legge regionale n. 8 del 2006, il Presidente della Regione, previa deliberazione della Giunta regionale, aveva disposto lo scioglimento del consiglio comunale e la nomina di un commissario.
L’atto di scioglimento viene impugnato per mezzo di due distinti ricorsi, proposti uno dal sindaco eletto e l’altro da alcuni consiglieri comunali, nei quali, tra l’altro, viene ventilata sotto diversi profili la illegittimità costituzionale della disciplina legislativa regionale.
Il T.a.r., pur considerando rilevanti le dedotte questioni di legittimità costituzionale, finisce per ritenerle manifestamente infondate giungendo, peraltro, a rigettare entrambe i ricorsi.
 Con la suindicata sentenza n. 98 del 2007 viene, infatti, ribadita la non contrarietà agli artt. 2, 48 e 51 Cost. della Costituzione della scelta del legislatore di limitare temporalmente l’accesso alle cariche pubbliche << non comprimendo in misura priva di ragionevolezza e logicità la possibilità di partecipazione alla competizione elettorale, ma scongiurando al contrario, nel bilanciamento del controllo dei poteri tuttora vigente, l’instaurarsi di personalismi e forme clientelari e dando corretta applicazione al principio secondo cui l’esercizio di tali diritti si esplica secondo i requisiti stabiliti dalla legge>>. La seconda censura di costituzionalità, mossa dai ricorrenti, riguardava la legge regionale nella parte in cui attribuiva il potere di scioglimento al Presidente della Regione, violando per tale via non solo la riserva di legge statale esclusiva nella materia elettorale ex art 117,comma 2, lett. p) Cost. ma anche l’art. 97 Cost. che vieterebbe l’attribuzione di funzioni di controllo sostitutivo su di un ente territoriale ad un organo regionale monocratico.
Il collegio ha buon gioco nell’escludere la fondatezza di entrambe le censure.
In ordine alla prima questione nella sentenza in rassegna viene ricordato che lo statuto speciale della Regione Sardegna affida alla competenza regionale la competenza legislativa in materia di ordinamento degli enti locali la quale deve ritenersi comprensiva anche della legislazione elettorale; in ordine al secondo profilo viene smentita non solo la natura sostituiva del potere di scioglimento ma anche l’attribuzione esclusiva del potere al Presidente della Giunta prevedendo, al contrario, la disposizione legislativa regionale la delibera dell’organo collegiale a fondamento del provvedimento finale di scioglimento.
 
 
3.15.  La potestà regolamentare dei comuni in materia di installazione di impianti di telefonia mobile ed impianti di radiodifussione
 
La installazione degli impianti di telefonia mobile si conferma motivo di rilevante contenzioso anche per gli anni 2006 e 2007; il tema risulta particolarmente controverso considerato che la disciplina normativa coinvolge profili sia urbanistico-edilizi, rientranti nella materia di competenza concorrente del governo del territorio, sia di natura sanitaria in considerazione delle complesse problematiche riconducibili agli effetti sulla salute delle onde elettromagnetiche. Da qui le notevoli difficoltà poste dalla ricomposizione coerente e sistematica di un intricato mosaico normativo costituito da discipline normative statali, regionali e comunali.
Non sono mancate pronunce dei giudici amministrativi che si sono, infatti, occupate, in particolare, della individuazione dei limiti opponibili alla potestà regolamentare comunale nella disciplina della installazione di impianti di telecomunicazione produttive di inquinamento elettromagnetico la quale continua a porre problemi di ripartizione delle competenze tra Stato, Regioni e Comuni e di regolazione dei poteri di pianificazione connessi alla costruzione di impianti di telecomunicazione.
Sulla ripartizione delle competenze si segnala la sentenza del Consiglio di Stato, sez, VI, 2 novembre 2007, n. 5673 la quale ribadisce che la disciplina della installazione degli impianti di telecomunicazione appartiene alla competenza della Regione la quale deve essere esercitata al fine di assicurare il rispetto dei limiti di valore previsti dalla norma stessa; l’eventuale raggiungimento di obiettivi di qualità, infatti, è prerogativa propria del Governo delle Regioni mentre in tale materia non spetta alla potestà regolamentare comunale l’introduzione di ulteriori misure a protezione della salute ma solo il potere di adottare regolamenti volti a prevedere limiti di localizzazione per minimizzare la esposizione della popolazione ma solo dopo aver effettuato compiuti ed approfonditi rilievi istruttori da cui << emerga l’esigenza di approntare interventi cautelativi per la pubblica salute aventi carattere di integrazione e/o sostituzione rispetto alle misure fissate a livello nazionale>>.
Di tenore analogo la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 6 aprile 2007, n. 1567 con la quale viene sancita la illegittimità delle <<prescrizioni in materia di installazione di impianti di telecomunicazioni qualora esse si traducono in limiti alla localizzazione e allo sviluppo della rete di comunicazione per telefonia mobile per intere zone, per di più con scelte generali ed astratte ed in assenza di giustificazioni afferenti alla specifica tipologia dei luoghi o alla presenza di siti che per destinazione d’uso possano essere qualificati come sensibili>>.
Con la sentenza del T.a.r. Sicilia-Catania n. 1614 del 2007 viene ribadito l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato in virtù del quale << le prescrizioni regolamentari adottate dai Comuni nella materia de qua non possono risolversi in un divieto assoluto e generalizzato di installazione di impianti per telefonia cellulare in tutto il centro abitato, travalicando così i confini della potestà regolamentare comunale e contrastando con i principi enunciati nel codice delle comunicazioni elettroniche>>. Con la sentenza in rassegna, dunque, i giudici amministrativi (in coerenza con precedenti e recenti pronunce) (37) prevengono all’annullamento delle disposizioni del regolamento comunale prevedendo una prescrizione generalizzata e totalmente preclusiva e, dunque, in contrasto con l’art. 8 della legge n. 36 del 2001 e l’art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003 che disciplinano la localizzazione degli impianti di telefonia mobile. In tale sentenza è peraltro richiamata la sentenza n. 307 del 2003 della Corte costituzionale la quale ha precisato che << il potere di regolamentazione territoriale attribuito dalla legge ai Comuni in tema di localizzazione degli impianti di telefonia non può essere esercitato in materia tale da frustrare le esigenze di pianificazione nazionale degli impianti e da impedire od ostacolare ingiustificatamente l’insediamento degli stessi>>.
In via generale, tuttavia, che i Comuni possano adottare <<misure programmatorie integrative per la localizzazione degli impianti in modo tale da minimizzare l’esposizione dei cittadini residenti ai campi elettromagnetici, ma anche in un’ottica di ottimale disciplina d’uso del territorio>> è confermato dalla sentenza del Tar Lazio, sez. I quater, n. 8445 del 2007 nella quale si ritrova sia una completa ricostruzione dell’intricato quadro normativo che via via si è venuto formando sia la soluzione di delicati problemi di diritto processuale posti dalla successione nel tempo del d.lgs. n. 198 del 2002 (dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza della Corte cost. n. 303 del 2003) e del d.lgs. n. 259/2003 (codice delle comunicazioni elettroniche), in larga parte disciplinati dalla legge 16 gennaio 2004, n. 5.
Su tale profilo è da segnalare la sentenza Tar Sicilia, sez. II, 9 maggio 2006, n. 1009 la quale afferma che <<la disciplina posta dal d.lgs. 198 del 2002 e dal successivo d.lgs. 259 del 2003 trova applicazione immediata a prescindere da una legge di recepimento per tutti gli aspetti che riguardano specificamente la materia ambientale in quanto attribuita alla competenza esclusiva dello Stato>>; ne deriva, dunque, che anche per la Regione Sicilia le disposizioni legislative statali in materia di installazione di impianti di radiotelefonia mobile assumono carattere precettivo immediato, a prescindere da una apposita normativa di recepimento rendendo, pertanto, illegittimi per incompetenza e per eccesso di potere gli atti del Comune che intendano regolamentare la materia in argomento per profili estranei all’urbanistica ed alla pianificazione del territorio.
Sotto il profilo procedimentale costituisce, infine, ius receptum, stando all’avviso del Consiglio di Stato, Sez. VI, 28 febbraio 2006, n. 889 che le verifiche di compatibilità edilizia ed urbanistica delle infrastrutture di comunicazione elettroniche vanno svolte nel corso del procedimento disciplinato dall’art. 87 del d.lg. n. 259 del 2003; la ratio della riforma ,infatti, è stata quella di semplificare il procedimento e di concentrare al suo interno tutte le relative valutazioni (38).
 
 
3.16.  In tema di nomina e revoca dei rappresentanti degli enti locali presso enti ed istituzioni
 
In più di una occasione nel biennio oggetto della presente rassegna i giudici amministrativi sono stati chiamati a pronunciarsi sull’art. 50, comma, 8 del T.U.E.L. il quale disciplina le modalità di nomina e designazione dei rappresentanti delle amministrazioni locali presso altri enti, di competenza del sindaco e del presidente della Provincia.
Dalle sentenze prese in considerazione (39) pare emergere il comune orientamento interpretativo della disposizione normativa volto ad individuare il carattere fiduciario dei suddetti poteri di nomina i quali rientrerebbero, dunque, tra i cosiddetti provvedimenti di nomina a scelta trovando gli stessi << giustificazione in un rapporto fiduciario basato non soltanto sull’affidamento delle capacità tecniche e professionali del nominato, ma anche nella sua riposta fiducia politica, e quindi, ritenuta idoneità del nominato a garantire nell’esercizio dell’incarico amministrativo presso l’Ente di destinazione una gestione coerente con gli indirizzi di politica-amministrativa del Comune di cui il designato costituisce espressione>> (così Tar Marche-Ancona, sez. I, 4 aprile 2006, n. 118).
La sentenza 15 maggio 2006, n. 1759 emessa dal Tar Puglia, II sez. di Bari (40),ha precisato che il provvedimento di nomina in questione << pur comportando una scelta nell’ambito dei soggetti ritenuti idonei tra quelli che hanno proposto la candidatura […] si caratterizza non già come mero giudizio conseguente all’individuazione del candidato tecnicamente più qualificato, bensì come giudizio sulle qualità del nominato ed espressione della volontà di presceglierlo per la ritenuta maggiore affidabilità che lo stesso garantisce rispetto all’indirizzo politico gestionale dell’amministrazione procedente>>.
Da tale caratterizzazione del potere di nomina di cui all’art. 50, comma 8, TUEL consegue, non solo la cessazione dalla carica in caso di scadenza del mandato del sindaco o di scioglimento del Consiglio comunale (41), ma anche - stando a quanto affermato dal Tar Marche- Ancona, sez. I, 27 giugno 2007, n. 1171 - che <<nel caso in cui nel corso del mandato venga meno il rapporto fiduciario il sindaco possa procedere alla revoca della nomina con provvedimento motivato>>.
Ora quanto una siffatta interpretazione, valevole indistintamente per tutti gli enti e le istituzioni per le quali i comuni e le province si vedono riconosciuti poteri di nomina, possa incoraggiare prassi distorsive e di tipo clientelare è fin troppo evidente così come, sotto altro profilo, appare dubbia la sua piena conformità con l’art. 97 Cost. il quale, com’è noto, sancisce i principi costituzionali della imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione generalmente intesa.
Va, tuttavia, evidenziato come detti poteri di nomina pur presentando un tasso di discrezionalità piuttosto ampio non sono sottratti al principio di legalità ed al sindacato del giudice amministrativo sotto il profilo di un eventuale eccesso di potere (cfr. Tar Puglia, II sez., 15 maggio 2006, n. 1759).

3.17.  In tema di necessaria remissione della decisione della conferenza di servizi alla Conferenza Stato-Regioni (ex art. 14 quater legge n. 241/1990) e di riparto della competenza legislativa in materia di tutela della salute
 
Con la sentenza T.a.r. Puglia-Lecce, 13 agosto 2007, n. 3068 viene disposto l’annullamento del verbale della Conferenza dei servizi tenutasi presso il Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio, convocata allo scopo di definire il procedimento amministrativo avente ad oggetto la realizzazione di un rigassificatore in un sito di bonifica di interesse nazionale.
La complessità della questione sottoposta al giudizio del collegio pugliese risulta dalla sovrapposizione della disciplina normativa prevista per la realizzazione di interventi emergenziali di sicurezza ambientale con quella prevista per la vera e propria bonifica di un sito inquinato.
La sentenza in rassegna dopo aver ritenuto la Provincia legittimata a ricorrere <<essendo portatrice di interessi in materia ambientale direttamente coinvolti dal procedimento in parola rispetto ai quali, quindi, va senza dubbio ammessa la possibilità di far valere ogni ipotesi di violazione di legge che abbia[…] riflessi sulla loro gestione e/o tutela>> accoglie il ricorso in ragione della mancata rimessione della questione oggetto della conferenza dei servizi alla Conferenza permanente per i rapporti Stato-Regioni, nonostante il dissenso espresso dalla Regione Puglia; nel caso di specie si sarebbe consumata, ad avviso del collegio giudicante, la violazione dell’art. 14 quater della legge n. 241/1990 il quale prevede che qualora avverso una decisione raggiunta a maggioranza in seno alla conferenza di servizi il motivato dissenso è espresso da un‘amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico - artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, la decisione è rimessa dall’amministrazione procedente entro dieci giorni alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato- Regioni in caso di dissenso tra un’amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali; poiché nel caso di specie il dissenso proveniva dalla Regione Puglia, certamente titolare di competenze ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. in materia di salute e di governo del territorio, ne conseguiva l’obbligo di rimettere la decisione alla Conferenza Stato-Regioni.
Sempre in materia di tutela della salute offre qualche spunto di interesse la sentenza del Tal Puglia - Lecce, 24 ottobre 2007, n. 3656 la quale oltre a ricondurre la disciplina dell’inquinamento acustico alla materia concorrente della tutela della salute afferma che <<le norme regolamentari statali preesistenti rispetto al varo del Titolo V della carta fondamentale, emanate in conformità del passato quadro costituzionale, permangono in vigore fino a quando non vengano sostituite da nuove norme dettate dall’autorità dotata di competenza nel nuovo sistema>>.
 
 
3.18  In tema di principio di sussidiarietà orizzontale
 
La sentenza del Tar- Sardegna, sez. I, 21 dicembre 2007, n. 2407 si segnala per le affermazioni contenute in ordine al principio di sussidiarietà orizzontale; ritenendo manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale avanzata, nel corso di un giudizio avente ad oggetto l’affidamento diretto dei servizi pubblici locali, nei confronti dell’art. 113, comma 5, lett. c) del T.U.E.L. in riferimento all’art. 118, comma quarto, Cost., il collegio svolge alcune interessanti considerazioni sulle diverse accezioni del principio di sussidiarietà orizzontale, sulla sua natura giuridica nonché sulle conseguenti implicazioni pratiche.
La motivazione della sentenza risulta particolarmente interessante, pertanto, si ritiene di riportarne estesamente i passaggi più significativi.
In primo luogo la sentenza riferisce che risulta controverso in dottrina se il c.d. principio di sussidiarietà orizzontale abbia carattere davvero cogente ovvero meramente programmatico; ad ogni modo tale principio sarebbe suscettibile di due distinte letture: <<una negativa, che si sostanzia nel dovere di astensione dei pubblici poteri laddove le forze individuali e della società siano in grado di soddisfare i propri bisogni autonomamente; una positiva che implica l’affermazione di un dovere di intervento dei pubblici poteri ove gli individui e le forze sociali non abbiano la capacità di provvedere da sé alle proprie necessità>>; la sentenza, ulteriormente distinguendo, prosegue affermando che << mentre nel primo senso il principio opera come criterio di delimitazione di competenza dei soggetti pubblici a vantaggio di quelli privati, nella seconda accezione implica un’azione della pubblica autorità preordinata al sostegno e allo sviluppo delle attitudini degli individui, singoli o associati; comporta, quindi, un’attribuzione di competenza e,a d un tempo, ne definisce le modalità di esercizio>>.
E’ convinzione del collegio giudicante, dunque, che l’art. 118, quarto comma, Cost. valorizzi solo il profilo positivo di detto principio << ossia quello che afferma la necessità di un intervento della pubblica amministrazione a sostegno e promozione dell’attività dei privati>>. E, ancora, argomenta la sentenza << la disposizione costituzionale si limita, infatti, a prevedere la necessità che i soggetti pubblici ivi contemplati, favoriscano l’autonoma iniziativa dei privati, senza, peraltro, contenere ulteriori indicazioni ermeneutiche che consentano di ritenere sottratto ai primi il potere di intervento nell’area delle “ attività di interesse generale”. A ciascun ente pubblico, nell’ambito delle proprie attribuzioni deve riconoscersi la potestà di valutare quali siano le modalità più consone al soddisfacimento degli interessi pubblici coinvolti nelle attività cui la norma costituzionale fa riferimento. Del resto, il principio di sussidiarietà orizzontale non può essere letto ed applicato che in coerenza con l’ordinamento giuridico-costituzionale inteso nella sua complessità: in particolare, esso non può essere disgiunto dagli altri principi costituzionali che regolano l’attività della pubblica amministrazione e, in particolare, dal principio del “buon andamento” previsto dall’art. 97 Cost. >>. 
La sentenza merita di essere segnalata, soprattutto, per la distinzione tra accezione negativa e positiva del principio di sussidiarietà orizzontale; più in dettaglio la versione positiva del principio di sussidiarietà, per come definita dalla sentenza in esame, pare problematicamente riferibile, pur se come species, al generale principio di sussidiarietà orizzontale, trovando viceversa i suoi contenuti sostanziali un più plausibile fondamento in altre disposizioni costituzionali (cfr. artt . 2 e 3, secondo comma, Cost.) che proprio con il principio di sussidiarietà orizzontale intrattengono relazioni alquanto problematiche.
 

3.19.   Principio di sussidiarietà e di leale collaborazione in tema di tutela del paesaggio ed autorizzazione paesaggistica
 
Il consiglio di Stato, sez. VI, con ordinanza del 5 novembre 2007, n. 5719 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 159, comma 3, del d.lgs. 22 gennaio 20o4, n. 42 (codice dei beni culturali e del paesaggio) in relazione agli artt. 3, 76 e 118 Cost.; detta disposizione normativa, contraddicendo un risalente e consolidato orientamento normativo, affida alle autorità statali competenti una sostanziale revisione nel merito delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dagli enti territoriali, ben oltre, dunque, i consueti e tradizionali parametri di legittimità dell’azione amministrativa.
In relazione all’ultimo parametro di costituzionalità invocato,in particolare, il collegio ha manifestato i propri dubbi circa la conformità della disposizione normativa al principio di sussidiarietà stabilito dall’art. 118 Cost. non ritenendo costituzionalmente legittimo <<anche in correlazione al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., che possa configurarsi un potere di controllo in forma di c.d. tutela, esteso cioè anche al merito, che consenta allo Stato una costante e generalizzata autonoma rivalutazione delle determinazioni operate dalla Regione e dagli enti territoriali delegati , in particolare, dai Comuni, assorbendosi agli effetti pratici, in modo altrettanto costante e generalizzato, il punto di vista degli enti, costituzionalmente dotati di autonomia , che sono primariamente coinvolti nel “governo del territorio” su cui si colloca il bene interessato dall’autorizzazione paesaggistica>>.
In seguito alla modifica della disposizione normativa impugnata, avvenuta ad opera dell’art. 2 lettera h) del d.lgs, 26 marzo 2008, n. 63 la Corte costituzionale con sentenza n. 295 del 2008 ha disposto la restituzione degli atti al Consiglio di Stato per una rinnovata valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione sollevata.
Sempre in relazione al procedimento amministrativo di rilascio della autorizzazione paesaggistica è intervenuta la sentenza del Consiglio di Stato, sez. Vi, 22 marzo 2007, n. 1362 nella quale si afferma che << in sede di esame dell’istanza di autorizzazione paesistica la Regione deve rispettare il principio cardine della leale collaborazione con gli organi del ministero per i beni e le attività culturali[…] pertanto la motivazione dell’autorizzazione deve consentire il riscontro dell’idoneità dell’istruttoria, dell’apprezzamento di tutte le rilevanti circostanze di fatto e della non manifesta irragionevolezza della scelta effettuata sulla prevalenza di un valore in conflitto con quel tutelato in via primaria>>.
Sotto altro profilo, la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 13 luglio 2006, n. 4496 ritiene che il potere concorrente dello Stato in materia di tutela paesaggistica è compiutamente disciplinato dalla legge attraverso l’attribuzione all’amministrazione competente della potestà di procedere, nei tempi e modi tassativamente previsti, all’annullamento degli atti autorizzativi ritenuti affetti da vizi di legittimità. Siffatto potere, stando alla suindicata sentenza, può estrinsecarsi solo in sede di controllo successivo circa la correttezza dell’esercizio delle funzioni attribuite alle regioni in subiecta materia e non può essere invocato per giustificare l’invasione a priori della sfera di attribuzioni proprie di queste ultime.
 
 
3.20.  La competenza Stato-Regioni ed il principio di leale collaborazione nella istituzione dei parchi regionali
 
Sul tema del riparto delle competenze amministrative relative all’istituzione dei parchi regionali è intervenuta la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 26 novembre 2007, n. 6028 la quale ha stabilito che i procedimenti aventi ad oggetto la istituzione(e perimetrazione) dei Parchi nazionali <<devono essere improntati al rispetto del principio di leale collaborazione, coinvolgendo[…] competenze, sia dello Stato che delle regioni, le quali si atteggiano differentemente nei vari momenti in cui la procedura di istituzione viene ad articolarsi, a seconda dell'incidenza delle relative determinazioni sulle competenze statali e regionali>>; tale sentenza, dunque, conferma l’orientamento, ormai consolidato nella giurisprudenza costituzionale, in base al quale in presenza di competenze legislative strettamente e necessariamente connesse, s’impone il ricorso al principio di leale collaborazione in applicazione del quale occorre predisporre <<l'avvio di procedimenti nei quali ogni istanza rilevante costituzionalmente possa trovare la propria rappresentazione>>.
Ne deriva che, con specifico riguardo al procedimento di avvio delle procedure per istituire un Parco nazionale, emerge un interesse non frazionabile regione per regione, la cui cura compete all’autorità statale la quale, tuttavia, dovrà organizzarla in modo che<< trovino espressione punti di vista regionali e locali, quali integrazione degli elementi valutativi a disposizione dell’istanza nazionale decidente>>; tuttavia, prosegue la sentenza <<sarebbe contraddittorio, rispetto al carattere nazionale dell’interesse ambientale e naturalistico da proteggere, ritenere che sia costituzionalmente dovuto l’assenso o l’intesa regionali o locali dotati di forza giuridicamente condizionate>>. Sulla scorta della pregressa giurisprudenza costituzionale ed amministrativa, dunque, il collegio ribadisce che il potere relativo alla istituzione e delimitazione dei parchi nazionali compete all’autorità statale mentre la Regione è chiamata ad esprimere un parere consultivo di natura non vincolante.
 
 
3.21.  Sulla titolarità del potere regolamentare delle Regioni
 
L‘immutata intestazione statutaria della titolarità del potere regolamentare in capo al consiglio regionale della Campania è oggetto della sentenza del Tar – Campania, sez. I, 2 ottobre 2006, n. 8432 (42) la quale ha disposto l’annullamento della delibera della giunta regionale n. 1526 del 29 luglio 2005 recante la disciplina regolamentare relativa all’accreditamento istituzionale nelle specialità della emodialisi e della riabilitazione ambulatoriale.
La giunta regionale, infatti, è priva della competenza ad adottare atti aventi natura regolamentare la cui approvazione, ai sensi dell’art. 19 del vigente Statuto regionale, resta riservata al Consiglio regionale; nonostante la riforma dell’art. 121 Cost. (con la quale è stata autorizzata la fonte statutaria a disporre una diversa allocazione della potestà regolamentare), infatti, nello Statuto della Regione Campania non è stata eliminata la riserva di competenza della potestà regolamentare in capo all’organo consiliare il quale, dunque, resta titolare esclusivo del potere di adottare atti regolamentari.
Una diversa intestazione della potestà regolamentare, come chiarito anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 313 del 2003, pur in astratto possibile, può essere disposta solo per il tramite di una modifica dello statuto regionale, allo stato, non intervenuta.
L’art. 9 della legge regionale n. 28 del 2003, del resto, pur autorizzando la giunta di provvedere in materia deve essere interpretato, specie dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 119 del 2006 (43), nel senso di escludere dal proprio ambito poteri di natura regolamentare.
 
 
3.22.  In tema incompetenza del sindaco in materia di smaltimento di rifiuti
 
La sentenza Tar Veneto, sezione III, n. 1010 del 2006, occupandosi della titolarità dei poteri di ordinanza in materia di smaltimento di rifiuti, finisce per annullare per incompetenza il provvedimento sindacale che aveva disposto di smaltimento di rifiuti ed il ripristino dei luoghi che avevano ospitato un deposito non autorizzato di materiale ferroso e pneumatici usati; l’art. 107 del T.U.E.L., infatti, attribuisce ai dirigenti il potere di adottare gli atti ed i provvedimenti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, ad eccezione di quelli attribuiti espressamente dalla legge e dallo statuto agli organi di indirizzo politico-amministrativo dell’ente. Più in generale la sentenza ritiene, alla luce dell’art. 107, comma quinto, del T.U.E.L., che le disposizioni (44) che conferiscono agli organi previsti dal capo I titolo III del predetto testo unico, tra i quali figura anche il sindaco, l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi devono intendersi nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, fatta salvo quanto previsto dall’art. 50, comma 3, e dall’art. 54 del TUEL.
 
__________
 
NOTE
 
(1)     Cfr. Consiglio di Stato, sezione consultiva degli atti normativi, n. 355/2006 punto 3.2.
(2)       I dati sono tratti dalla Relazione del Presidente M.E. Schinaia sullo stato della giustizia amministrativa (anno 2006) del 15.02.2007.
(3)       Dati tratti dalle tabelle allegate alla Relazione del Presidente P. Salvatore sullo stato della giustizia amministrativa (anno 2007) del 14.02.2008.
(4)       In questi termini cfr. Relazione del Presidente P. Salvatore sullo stato della giustizia amministrativa (anno 2007), cit., pr. 2.
(5)       Il riferimento va, in particolare, alle leggi n. 127 del 1997, n. 80 del 1999, n. 229 del 2003 e n. 246 del 2005; sul punto sia consentito rinviare a G. Fontana La giurisprudenza amministrativa e l’attività consultiva del Consiglio di Stato, in ISSiRFA-CNR, Quarto Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia, Milano, 2007,195 e segg.
(6)       Cfr. Relazione del Presidente M.E. Schinaia sullo stato della giustizia amministrativa, cit, pr. 5.
(7)       Così Relazione del Presidente M.E. SCHINAIA sullo stato della giustizia amministrativa, cit, pr. 4
(8)       Sulla semplificazione normativa, più di recente, si veda A. CELOTTO - C. MEOLI, voce << Semplificazione normativa (dir. pubbl)>>, in Dig. Pubbl., agg.to, II, Torino, 2008, 806 e segg.
(9)       Sul ruolo del Consiglio di Stato nelle politiche di semplificazione v. D. NOCILLA, Le funzioni del Consiglio di Stato nelle politiche di semplificazione:il senso di un’esperienza, in Giur. It., 2007, 1035 e segg.
(10)     Cfr punto 4.2.b del parere del C.d.s., sez. consultiva per gli atti normativi, n. 2024/2007.
(11)     In tal senso punto 4.2.c del parere del C.d.s., sez. consultiva per gli atti normativi, n. 2024/2007.
(12)     Il riferimento è alle sentt. della Corte costituzionale n. 303 del 2003 e n. 129 del 2006.
(13)     Nella stessa direzione, peraltro, paiono muoversi anche recenti pronunce dei Tar per le quali si veda infra pr. 3.1.
(14)     Di grande interesse in tema di semplificazione risulta essere anche il parere rilasciato dal Consiglio di Stato nell’Adunanza Generale del 6 giugno 2007 sullo schema di decreto legislativo contenente modifiche al decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 (recante il codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture).
(15)     Sul punto viene richiamato il noto parere Cons. di Stato, Ad. Gen., n. 2 /2002 del 25 febbraio 2002.
(16)     Sulla sentenza n. 401/2007 si veda A. Celotto, La “ legge di Kirschmann” non si applica al codice degli appalti, in www.giustamm.it.
(17)     Cfr sentt. n.17 del 2004 e n. 31 dl 2005.
(18)     Le sentenze della Corte costituzionale alle quali il Consiglio di Stato fa espresso richiamo sono la n. 353/2003 e le nn. 319,355,404, e 424 del 2005).
(19)     Tale potere di nomina è previsto e disciplinato dagli artt. 3 e 5 del d.lgs.vo 16 ottobre 2003, n. 258.
(20)     Sulla natura giuridica degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) si veda Tar Lazio-Roma, sez. III, 26 novembre 2007,n. 11749 la quale afferma trattarsi di << strutture sanitarie di eccellenza a di tipo particolare che si distinguono dalle altre strutture sanitarie pubbliche (le aziende sanitarie e le aziende ospedaliere), possono assicurare le prioritarie finalità di ricerca nel campo medico e di quelle attività strumentali di assistenza in forma di ente pubblico,a anche se sono strutturate in fondazioni formalmente di diritto privato, ma in realtà assimilabili ad organismi di diritto pubblico>>.
(21)     Cfr. Corte cost. n. 270/2005 e n. 422/2006.
(22)     Sulla sentenza n. 270/2005 v. L. Ronchetti - N. Viceconte, La giurisprudenza costituzionale in Quarto Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia, cit., 175.
(23)     Sul quale v. G. Fontana, La giurisprudenza amministrativa e l’attività consultiva del Consiglio di Stato, in ISSiRFA-CNR. Quarto Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia, Milano, 2007, 208-209.
(24)     Per una panoramica generale della giurisprudenza amministrativa dell’anno 2007 cfr. Rassegna della giurisprudenza amministrativa e delle sezioni consultive del Consiglio di Stato – ANNO 2007 a cura dell’Ufficio studi e documentazione del Consiglio di Stato (R. De Nictolis, R. Chieppa, I. Franco, C. Criscenti, F. Bruno) consultabile sul sito istituzionale della giustizia amministrativa.
(25)     In argomento cfr. G. Vesperini, Le autonomie locali nello Stato regionale, in Regioni, 2007, n.5, spec 685 e segg.
(26)     Così P. de Lise, Relazione presentata in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2008, Roma 28 febbraio 2008.
(27)     Cfr. Consiglio di Stato,sezione consultiva atti normativi, 13 febbraio 2006, n. 3586.
(28)     In termini si veda anche Tar Sicilia, sez. II, 13 marzo 2007, n. 809.
(29)     Per un approfondimento del tema si veda l’accurato e recente contributo di M.I. Rinaldi, Note sul” diritto di accesso” dei consiglieri comunali, in www.giustamm.it.
(30)     Per un commento della decisione v. R. Papania, Brevi riflessioni sul diritto di accesso dei consiglieri comunali e provinciali in Foro Amm., 3/2007, 924 e segg.
(31)     Sulla sent. 244 del 2005 v. L. Ronchetti - N. Viceconte, La giurisprudenza costituzionale inISSiRFA-CNR, Quarto Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia, cit., 187.
(32)     Si trattava, nella specie, della sentenza T.a.r. Regio Emilia-Bologna, n. 3687 del 2004.
(33)     Negli stessi termini si veda anche Consiglio di Stato, sez. IV, 19 giugno 2006, n. 3622.
(34)     Si è dato conto dell’ordinanza Consiglio di Stato, sez. V, 19 ottobre 2005, n. 5833 in G. Fontana La giurisprudenza amministrativa e l’attività consultiva del Consiglio di Stato, in ISSiRFA-CNR, Quarto Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia, cit., 223-224.
(35)     Sulla sentenza n. 104 del 2007 si veda nel presente volume L. Ronchetti - N. Viceconte, La giurisprudenza costituzionale, pag…..
(36)     Si trattava della sentenza Tar Lazio, sez. III, 5 ottobre 2006, n. 9917.
(37)     Cfr. Tar Sicilia -Catania, sez. II, 21 aprile 2006, n. 614; Id., 11 luglio 2006 n. 899.
(38)     Negli stessi termini Consiglio di Stato, sez. VI, 5 agosto 2005, n. 4159; Id. 26 luglio 2005, n. 4000; Id., 9 giugno 2005, n. 3040.
(39)     Cfr. Tar Puglia, sez. II, 15 maggio 2006, n. 1759; Tar Basilicata–Potenza, 17 marzo 2006, n. 145; Tar Marche-Ancona, sez. I, 4 aprile 2006, n. 118; Tar Campania -Napoli, sez. I., 21 marzo 2007, n. 2557; Tar Marche- Ancona, sez. I, 27 giugno 2007, n. 1171; più di recente v. Tar Puglia-Bari, 21 marzo 2008, 672.
(40)     Nella specie il collegio ha ritenuto non fondate le censure di illegittimità mosse da un privato cittadino avverso l’atto di nomina con il quale era stato designato altro concorrente a ricoprire la carica di presidente del consiglio di amministrazione di una società controllata dal comune.
(41)     Come, peraltro, espressamente previsto dalla disposizione normativa.
(42)     In termini pressoché identici si veda anche Tar Campania-Napoli, sez. I, 3 agosto 2006, n. 7844.
(43)     Sulla sentenza 119 del 2006 si rinvia, infra, a N. Viceconte, La giurisprudenza costituzionale nel 2006, par. 3.1.
(44)     Nel caso di specie si trattava dell’art. 14, comma 3, del d.lgs. n. 22 del 1997.

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