Versione italiana – a cura di Valentina Tamburrini (Università di Roma “Tor Vergata”) – della relazione presentata dall’autore, professore di diritto amministrativo nell’Università Austral del Cile, al Seminario internazionale su “Descentralización, Autonomías y Federalismo. Experiencias Internacionales y Perspectivas para América Latina”, organizzato ad Arequipa (Perù), nei giorni 30-31.10.2006, dall’Institut d’Estudis Autonómics di Barcellona e dall’Università Cattolica Santa Maria di Arequipa.
 
 
 
Sommario:
 
 
 
Introduzione
Vorrei anzitutto ringraziare l’Università Cattolica di Santa Maria e l’Istituto di Studi Autonomici per l’invito che mi hanno rivolto. In particolare, desidero ringraziare Gonzalo Neyra, che conobbi anni fa nel periodo di studi post-laurea e che ora si sta occupando attivamente di questi temi con riguardo al Perù.
Mi è stato chiesto di parlare di “Stato attuale e prospettive della decentralizzazione amministrativa in Cile”, in particolare dopo trentadue anni dalla riforma istituzionale che stabilì la nuova organizzazione amministrativa territoriale dello Stato cileno (1) e dopo quindici anni dalla creazione dei nuovi governi regionali (2). Questo tempo trascorso è stato produttivo di risultati, il che mi permette di valutare quanto si è realizzato e di individuare correttivi e nuovi obiettivi per i prossimi anni.
In questo periodo sono risaltate come note fondamentali del processo la omogeneità e la stabilità, che sono divenuti valori impliciti dello stesso. Il che ha determinato in larga misura le caratteristiche del modello di decentralizzazione adottato in Cile, così come le restrizioni e le limitazioni dello stesso.
In questo ambito, tenterò di trattare brevemente, e in cinque parti, alcuni aspetti centrali del modello giuridico territoriale dello Stato del Cile disegnato nella Costituzione del 1980, a partire dalla riforma introdotta nel nostro sistema giuridico-amministrativo nel 1974; successivamente fornirò alcune nozioni di base dell’attuale sistema di governo e amministrazione regionale dopo le riforme introdotte nel 1991 e 1992; in terzo luogo, tenterò di fare un bilancio del funzionamento dei governi regionali nell’ultimo quindicennio; in quarto luogo, analizzerò alcune riforme proposte dal Governo del Presidente Lagos e attualmente all’esame del Parlamento; infine, farò un beve cenno ad alcune riforme proposte da alcuni attori di rilievo, le quali tuttavia non hanno per ora ricevuto appoggio politico.
 
I. Il modello di decentralizzazione e decentramento amministrativo del governo militare.

1. I precedenti del modello della Costituzione del 1980.
La decentralizzazione e il decentramento amministrativo dello Stato cileno si sono caratterizzati, in generale, per una mancanza di approfondimento politico, con scarso sviluppo e con riforme che costituiscono risposte congiunte a problemi politici diversi.
Così, i primi progetti di ordinamento territoriale, con portata estesa alla forma giuridica dello Stato, datano dall’inizio del XIX secolo (leggi federali del 1826). Ciònonostante, la caratteristica fondamentale di quel secolo fu una forte centralizzazione amministrativa, principalmente per influenza del modello portaliano stabilito dalla Costituzione del 1833. Solo alcune deboli riforme municipali nella seconda metà del XIX secolo costituiscono una parziale eccezione al centralismo assoluto dello Stato cileno, tanto nel campo politico, quanto in quello amministrativo (3). Durante la vigenza della Costituzione Politica dello Stato del 1925 – nel prosieguo CPE – questa tendenza non variò in modo significativo, anche se formalmente furono create le assemblee provinciali come istanza intermedia di amministrazione statale, le quali tuttavia non trovarono sviluppo.
Un cambiamento significativo in questo senso si produce dopo il colpo di Stato del settembre 1973, quando il nuovo Governo di fatto, probabilmente influenzato da questioni geopolitiche, di sicurezza nazionale ed economiche (4), porta avanti un processo di decentramento del settore pubblico, sebbene dissimulato mediante la generica denominazione di “regionalizzazione” o “decentralizzazione”. A tal fine raccolse le linee di base del documento “Restaurazione nazionale e sviluppo regionale. Basi per una politica”, preparato dalla Oficina de Planificación (ODEPLAN) (5), e che servì da carta di navigazione di questo nuovo processo.
Questa politica si concretizzò, giuridicamente, nei Decreti Legge 573 e 575 del 1974. Il primo stabilì gli aspetti di base del regime giuridico della nuova articolazione politico-amministrativa del Paese, mentre il secondo sviluppò le questioni operative del sistema. In concreto, i citati decreti legge stabilirono, in termini generali, una nuova divisione politico-amministrativa del Paese strutturata su base regionale, provinciale e comunale – senza pregiudicare le aree metropolitane –, nell’ambito di uno Stato unitario. A tal fine era contenuta una dettagliata enumerazione delle 13 Regioni del Paese, con l’indicazione delle province che comprendevano e della capitale regionale di ciascuna. In aggiunta, si stabilirono le autorità supreme di ciascuna di queste entità territoriali (intendenti, governatori e sindaci), i cui titolari erano funzionari di assoluta fiducia del Generale Pinochet e, pertanto, da lui direttamente designati. Così, il modello si realizzò come un decentramento amministrativo gerarchico, dove tutte le autorità regionali, provinciali e locali dipendevano dal potere centrale.
Allo stesso modo, si definirono i principali organi amministrativi di collaborazione nell’ambito regionale, indicandosi le funzioni che corrispondevano a ciascuno di essi. In questo senso, e in modo coerente con il mandato generale per il decentramento regionale dei ministeri e servizi pubblici che contemplava l’art. 10 del DL 573/1974, si crearono, in ambito regionale, le Segreterie regionali di pianificazione e coordinazione, le Segreterie regionali ministeriali e le Direzioni regionali dei servizi pubblici e altri enti dello Stato. Da ultimo, si crearono due fondi con destinazione regionale e comunale, rispettivamente, denominati Fondo nazionale di sviluppo regionale e Fondo di finanziamento del regime municipale, che venivano distribuiti tra le Regioni e i comuni, secondo le priorità di sviluppo che stabilivano le autorità politiche dello Stato.
Come si può osservare, la regionalizzazione progettata dal regime militare si costruì sulla base di organi amministrativi gerarchizzati – Intendenti, Governatori e Sindaci – con enti e servizi decentrati di livello regionale – Segreterie regionali ministeriali e Direzioni regionali di servizi pubblici –, strutturati come agenzie periferiche direttamente subordinate alle autorità superiori nazionali e, pertanto, senza potere di decisione autonoma né partecipazione popolare (6). In questo contesto, gli apporti più significativi – e forse gli unici – della riforma intrapresa dal governo militare furono quelli di radicare in tutto il territorio nazionale gli organi amministrativi rappresentativi dei ministeri e dei servizi pubblici – vale a dire, produrre un decentramento amministrativo territoriale con base regionale – e generare alcuni strumenti economici e finanziari che favoriranno il processo di regionalizzazione (7).
Oltre a quanto precede, deve aggiungersi il processo di municipalizzazione intrapreso dal regime militare alla fine del 1980 (DFL 1-3063/1979), processo, in virtù del quale si realizzò la municipalizzazione dei servizi di educazione elementare e media e di assistenza sanitaria primaria, con l’idea di affidare la gestione di alcuni servizi di base all’organizzazione amministrativa più vicina al cittadino (principio di sussidiarietà).
 
 
2. La conferma del modello di decentramento nella Costituzione Politica del 1980 e le sue principali caratteristiche.
Il costituente autoritario cileno del 1980 non modificò sostanzialmente quanto stabilito dai Decreti Legge del 1974 sopra citati. Al contrario, la Costituzione Politica della Repubblica – nel prosieguo CPR – dettata quell’anno, reiterò nei suoi capitoli I e XIII nella sostanza le norme fondamentali contenute nel DL 573/1974. Così, la nuova Carta costituzionale riaffermò il carattere unitario dello Stato del Cile (art. 3 CPR), confermò la divisione politico-amministrativa del Paese in Regioni, province e comuni (art. 99 CPR), ponendo a capo di ciascuna di quelle intendenti, governatori e sindaci, rispettivamente, che mantennero la loro qualità di funzionari di nomina presidenziale (art. 100, 105, 108 e disposizione transitoria XV, lett. A, n. 2, CPR).
Quanto alle funzioni di ciascuno di questi organi amministrativi, l’intendente continuò a mantenere come funzione principale il governo e l’amministrazione suprema della Regione (art. 100), attribuendosi al governatore la vigilanza dei servizi pubblici (art. 105 CPR) e affidandosi alla Legge Organica Costituzionale la determinazione delle attribuzioni dei sindaci. Allo stesso modo, si conferì delega al legislatore per il decentramento territoriale nelle Regioni dei ministeri e dei servizi pubblici, mediante le segreterie regionali ministeriali e le direzioni regionali dei servizi pubblici, in conformità alle rispettive leggi organiche. In aggiunta, si contemplarono gli organi amministrativi di integrazione corporativa – il consiglio regionale di sviluppo e il consiglio di sviluppo comunale -, uniche istanze di partecipazione della comunità regionale e locale, con funzioni fondamentalmente consultive (art. 101 e 109 CPR).

 
II. La riforma regionale del 1991 e le sue principali caratteristiche.
1. La democratizzazione del sistema politico agli inizi egli anni ’90 e la riforma regionale.
Il mutamento politico operato alla fine degli anni ’80 nel nostro Paese, che si tradusse nella fine del regime militare e nell’arrivo al Governo della coalizione politica denominata “Alleanza di partiti per la democrazia”, comportò un cambiamento profondo nella rotta del processo di distribuzione territoriale del potere amministrativo in Cile. In pratica, la democratizzazione dei municipi – elezione diretta di sindaci e consiglieri (8) – e la riforma amministrativa regionale (9). In concreto, questo accordo politico riguardò tre temi fondamentali: governi regionali e loro finanziamento; amministrazione comunale e progresso nello studio delle leggi organiche costituzionali che svilupperanno questi temi (10).
Così, la democratizzazione del sistema politico cileno comportò una riforma amministrativa dell’amministrazione regionale, nella quale, con l’intento di un riequilibrio politico delle forze politiche in lotta, si stabilì un nuovo livello territoriale di governo e amministrazione con partecipazione politica, ma, come vedremo più avanti, gli organi di collaborazione diretta del Presidente della Repubblica furono mantenuti nel territorio.
 
2. Il nuovo modello di governo e amministrazione regionale.
Il nuovo modello di decentralizzazione nato nel 1991 si caratterizza, principalmente, in ambito regionale, per la presenza di un livello intermedio di governo e amministrazione pubblica con partecipazione della cittadinanza tra il livello centrale e quello locale, sebbene senza riguardare, nei suoi aspetti essenziali, l’apparato pubblico decentrato dell’amministrazione centrale presente nella Regione e nella provincia. In questo ambito, e sulla base territoriale creata nel 1974, si costituirono i Governi regionali, “organi decentralizzati territorialmente”, dal punto di vista giuridico, che hanno ad oggetto lo sviluppo sociale, culturale ed economico della Regione, ad essi attribuendosi in via esclusiva la funzione di “amministrazione suprema della Regione” (art. 111 CPR).
Tuttavia, questi Governi regionali sono integrati da un Consiglio regionale e dal rispettivo intendente, quest’ultimo in qualità di organo esecutivo e presidente dello stesso. Il Consiglio regionale è un organo di partecipazione della cittadinanza regionale, composto da consiglieri eletti indirettamente di cittadini (11), con poteri normativi, decisori e finanziari (art. 102 CPR). A tal fine, ad esso si attribuirono potestà specifiche in campo amministrativo, tra le quali rientrano quella di approvare i piani di sviluppo della Regione; approvare il bilancio preventivo del Governo regionale e decidere l’investimento delle risorse provenienti dal fondo nazionale di sviluppo regionale – nel prosieguo FNSR -, sulla base della proposta dell’intendente (art. 102 CPR e 24 e 36 LOCGAR).
D’altro canto, l’intendente, organo che agisce in modo diretto e immediato per il Presidente della Repubblica (art. 111 CPR), oltre ad essere presidente del Consiglio regionale e organo esecutivo del Governo regionale è il titolare esclusivo della funzione di governo nella Regione (art. 111 CPR). Il che lo colloca al centro del sistema politico regionale (12).
In modo complementare, la riforma del 1991 riaffermò il decentramento regionale dei ministeri e dei servizi pubblici in conformità alla legge, mediante le segreterie regionali ministeriali e le direzioni generali dei servizi pubblici, definendo le loro principali attribuzioni in questo ambito e creando una loro istanza di coordinamento organico denominata “Gabinetto regionale” (art. 61-68 LOCGAR).
Da ultimo, in materia finanziaria, oltre al già esistente FNDR, la riforma del 1991 previde nuovi strumenti di finanziamento dell’attività pubblica regionale, come l’assegnazione preventiva per il funzionamento degli organi regionali, i tributi di carattere regionale, i fondi provenienti da accordi di programmazione dell’investimento pubblico regionale e, successivamente, gli Investimenti Settoriali di Assegnazione regionale e regionali di Assegnazione Locale. Tutto ciò in base al principio essenziale della ricerca di uno sviluppo territoriale armonico ed equo del nostro Paese, dovendo il legislatore tenere sempre in conto criteri di solidarietà inter ed extra regionale nella distribuzione delle risorse pubbliche (art. 104 CPR).
Come si può osservare, le riforme generate agli inizi del 1990 implicarono una forte decentralizzazione e un decentramento del potere amministrativo a livello regionale, venendo ad essere istituite istanze di partecipazione politica e di indirizzo amministrativo a livello regionale, strutture burocratiche proprie e ridefinendosi le funzioni di governo e amministrazione suprema nella Regione. In questa prospettiva, la riforma in commento costituì un passo significativo nel processo di conferimento di potestà e competenze agli organi amministrativi periferici, giungendo al punto di attribuire personalità giuridica e patrimonio proprio all’organo incaricato dell’amministrazione regionale e, pertanto, a concedere ad esso un proprio ambito di gestione.
 
III. Bilancio del funzionamento delle istituzioni regionali.
1. Potere politico regionale.
Come sosteneva il Presidente Aylwin nel messaggio con il quale dava inizio al progetto di legge di riforma regionale, uno degli obiettivi principali della riforma del 1991 era proseguire in un attivo, progressivo ed efficace processo di decentralizzazione nel Paese, il che era coerente con le esigenze proprie del sistema democratico. In questo senso era necessario, stando alle sue parole, creare istanze amministrative regionali e locali, con ampia partecipazione della cittadinanza, che dessero risposta alle legittime aspirazioni di queste comunità, assumendo questa la responsabilità per il soddisfacimento di quelle. In tal modo, le decisioni politiche adottate da queste stesse autorità pubbliche avrebbero avuto la base di legittimazione di cui in quel momento erano carenti, nella misura in cui fossero espressione della volontà generale della propria cittadinanza – ovviamente rappresentata – ottenendo così un sostegno morale e politico del potere.
È chiaro che la nascita di un sistema di governo e amministrazione regionale nel quale partecipano i cittadini attraverso i loro rappresentanti è un requisito indispensabile per costituire un sistema di governo e amministrazione regionale. In questo senso, la creazione di un Consiglio regionale integrato da consiglieri eletti è un’esigenza basilare della democrazia e della partecipazione presente nel sistema politico cileno dal 1991. Tuttavia, ciò non basta per configurare una reale istanza di autogoverno in ambito regionale, che abbia legittimazione sufficiente per promuovere lo sviluppo regionale.
In primo luogo, il ruolo assegnato all’intendente regionale, organo che agisce in modo naturale e immediato per il Presidente della Repubblica, sembra a ben vedere eccessivo, dal momento che concentra in se stesso il potere esclusivo di rappresentanza del governo centrale, l’iniziativa politica, l’indirizzo e la gestione dell’amministrazione regionale. In questa prospettiva, un funzionario non eletto, ma designato, con una discutibile legittimazione indiretta – derivata dall’autorità di colui che lo nominò -, è l’elemento chiave del sistema politico regionale, senza contrappeso alcuno nella Regione.
Questa formula, che si ispira senza dubbio ai sistemi amministrativi centralizzati del secolo XIX di origine principalmente francese, è stata fortemente criticata dalla dottrina più moderna. Viene considerata un modello di governo e amministrazione superato – almeno nei termini specifici nei quali è configurata –, che cerca eccessivamente di soddisfare i principi di unità amministrativa e di gerarchia organizzativa in danno alla rappresentanza ed al riconoscimento degli interessi e delle scelte dei cittadini di ciascuna Regione.
Così, si impone oggi in Cile la necessità di riformulare il sistema istituzionale regionale, consentendo la creazione di un organo di vertice dell’esecutivo regionale promanante dalla volontà dei propri cittadini, che incarni e rappresenti gli interessi di questi e sia dotato dei poteri giuridici di presidenza del consiglio regionale e della titolarità dell’esecutivo regionale. Così, l’intendente manterrebbe solo le funzioni concernenti gli affari interni e l’indirizzo, il coordinamento e la vigilanza dei servizi pubblici nazionali decentrati che operino nella Regione.
Per altro verso, quanto al Consiglio regionale, organo che attualmente deve rappresentare gli interessi dei cittadini nella Regione, esiste una percezione abbastanza diffusa tra i cittadini circa la mancanza di collegamento tra questo organo e le loro istanze ed esigenze. Ciò è conseguenza, in gran parte, del fatto che i cittadini non conoscono gli stessi consiglieri, i loro compiti e le funzioni e attribuzioni che sono ad essi affidate.
Probabilmente, molto di quanto precede trova spiegazione nel sistema di elezione indiretta previsto per la nomina di questi consiglieri (elezione dei consiglieri dei comuni tramite le province), il che rende difficile la conoscenza di questi da parte dei cittadini e comporta una separazione tra quelli e l’elettorato. Certamente l’elezione diretta non è il solo meccanismo di legittimazione degli incarichi pubblici, tuttavia se a questo si aggiunge la prassi costante di destinare a questi incarichi persone strettamente vincolate alle direttive partitiche o parlamentari della propria area geografica, ma scarsamente rappresentative in termini sociali, il risultato è un debole legame tra Consiglio regionale e cittadini (13).
 
 
2. Ambito di attribuzione delle competenze.
Con la riforma del 1991 si era attribuita un’ampia sfera di competenze ai Governi regionali, a partire dalla clausola generale di amministrazione suprema della Regione che ad essi affida la CPR (art. 111) e dalle funzioni generali e specifiche che prevede la Legge per l’attuazione (art. 16-19 LOCGAR). Queste funzioni si riferiscono all’ambito dello sviluppo sociale, dell’ordinamento territoriale e della incentivazione alla produzione.
Senza dubbio è stato il primo di tali ambiti – lo sviluppo sociale – quello in cui i governi regionali hanno spiegato una maggiore attività (più del 60% secondo gli studi più citati), esercitando le proprie potestà di decisione principalmente in materia di investimento delle risorse pubbliche (14). In questo senso, i Governi regionali hanno collaborato attivamente in progetti emblematici di infrastruttura sociale che hanno cambiato la qualità della vita degli abitanti della Regione, individuando in modo migliore le necessità di tale popolazione, rilevando effettivamente il costo sociale e dando soluzione – in modo equilibrato tra i territori – ai problemi più urgenti della comunità (15).
Unitamente a questo, un ambito nel quale i Governi regionali hanno avuto un ruolo essenziale è quello dell’ordinamento territoriale, principalmente attraverso l’approvazione dei piani regolatori comunali e intercomunali (art. 17 lett. a) e art. 20 lett. f) LOCGAR). Questa competenza ha avvicinato il tema della definizione politica della pianificazione territoriale ad un punto di vista regionale, completando così la prospettiva esclusivamente locale data dal municipio e quella strettamente tecnica del Ministero dell’urbanistica e dell’edilizia, permettendo inoltre di realizzare progetti di maggiore importanza economica ed estensione territoriale di quanto li possa configurare una singola municipalità.
Per rendere effettivi questi obiettivi, la stessa LOCGAR ha previsto organi che collaborano con l’Intendente e con il Consiglio regionale nella definizione delle politiche, piani e programmi a livello regionale, risultando particolarmente rilevante il ruolo assegnato alle Segreterie regionali ministeriali ed alle Direzioni regionali dei servizi pubblici. Questi organi tecnici settoriali costituiscono istanze fondamentali per la gestione regionale, che, insieme con le divisioni amministrative di sostegno diretto dell’Intendente, nel suo ruolo di organo esecutivo del governo regionale, hanno il compito della gestione amministrativa del Governo regionale.
Nonostante quanto si è detto e al di là dei relativi successi raggiunti dall’Amministrazione regionale in questa materia, si presentano due obiezioni principali al modello vigente: da un lato, l’enumerazione disattenta e disorganica delle funzioni ed attribuzioni dei Governi regionali che realizza la LOCGAR (art. 16-20) – in base alla quale queste risultano confuse, appaiono incoerenti nella formulazione e applicazione – e la sua redazione imprecisa impediscono di definire un ambito delimitato specifico di competenze dei Governi regionali; d’altro lato, in modo complementare a quanto detto, le competenze assegnate sono per la maggior parte – salvo poche eccezioni – ripartite o condivise con altri organi amministrativi, senza il riconoscimento di funzioni esclusive, il che contribuisce all’insicurezza giuridica circa le abilitazioni o i titoli legali specifici per intervenire in una determinata materia.
Questo ha comportato uno scarso protagonismo dei Governi regionali nell’iniziativa di progetti di sviluppo regionale, agendo essi più spesso come collaboratori in progetti definiti e attivati dal Governo centrale. Così, la loro attività si è concentrata nel finanziamento di politiche e piani nazionali di sviluppo, come il tempo pieno della giornata scolastica, l’installazione di centrali elettriche, l’acqua potabile in territori rurali e la costruzione di infrastrutture pubbliche di accesso alle località più distanti.
 
3. L’investimento da parte delle Regioni.
Com’è noto, il modello di regionalizzazione portato avanti nell’ultimo decennio ha impiegato, come uno degli strumenti chiave dello sviluppo regionale, l’investimento pubblico da parte delle Regioni, specialmente mediante il FNDR e gli ISARES. In questo ambito, i Governi successivi al 1991 hanno stabilito obiettivi di aumento nominale del volume delle risorse per l’investimento pubblico da parte delle Regioni – decentralizzazione fiscale attraverso la spesa –, passando da circa un 15% agli inizi del 1993 a circa un 60% oggi.
In un tale contesto, questo procedimento di decisione dell’investimento pubblico implica stabilire un ambito ordinato e partecipativo di priorità dei servizi pubblici, nel quale intervengono i municipi, i servizi pubblici, le organizzazioni sociali, i consigli economici e sociali provinciali (CESPROS) e i governi provinciali, nella creazione dei progetti, i Ministeri delle finanze, della pianificazione e cooperazione o le loro Segreterie regionali e la Sottosegreteria di sviluppo regionale e amministrativo nella valutazione tecnica degli stessi, nonché, infine, l’Intendente e il Consiglio regionale nella definizione della loro esecuzione.
Tuttavia, quanto precede non costituisce in sé una totale anticipazione nel processo di regionalizzazione. In effetti, un autentico processo di questo tipo non può conformarsi ad un aumento progressivo della spesa fiscale, condizionato a progetti di investimento previamente qualificati positivamente; si rende necessario anche progredire nel graduale processo di decentralizzazione fiscale mediante entrate, istituendo proprie fonti di produzione di risorse per i governi regionali, ossia attività non gravate dallo Stato, o anche gravate da questo (in quest’ultimo caso corrispondendo un trasferimento totale o parziale delle risorse ottenute in questo modo). Questo permetterà una gestione più autonoma da parte dei Governi regionali nello sviluppo del loro territorio, accogliendo con maggiore protagonismo e responsabilità le sfide che questo impone, creando progetti più innovativi, di maggiore portata e più conformi alle esigenze dei suoi abitanti.
 
IV Le riforme allo studio
Da quanto fin qui detto, risultano evidenti le virtù e le mancanze del modello cileno di decentralizzazione, ancora di più essendo già trascorsa un decennio e mezzo dal suo avvio. Ciò spiega le proposte in tal senso formulate nelle due ultime elezioni presidenziali, nelle quali i candidati delle principali alleanze politiche hanno sottolineato l’urgenza di procedere nell’incremento della decentralizzazione territoriale dello Stato cileno. Tali riforme si sono concentrate su tre temi: istituzione di nuove entità amministrative territoriali; elezione di autorità regionali; e nuova definizione dell’Amministrazione provinciale. Vediamo brevemente ciascuna di queste.
 
1. Nuove entità territoriali.
Una prima riforma costituzionale attualmente allo studio propone di rendere flessibile l’ordinamento amministrativo del territorio, rompendo l’uniformità caratteristica del sistema amministrativo cileno. Così, si propone la creazione di entità amministrative territoriali denominate aree metropolitane e territori speciali, che avranno ad oggetto la prevenzione e la soluzione dei problemi comuni che interessino le località comprese nel loro ambito, affidando ad una legge organica costituzionale l’istituzione dell’organo e la forma di amministrazione di tali territori. In aggiunta, questa nuova previsione contempla la possibilità di riservare funzioni e attribuzioni esclusive e perfino “escludenti” per detti organi, con riguardo a quelle che di cui sono dotati i governi regionali, le municipalità ed i servizi pubblici con competenza nei medesimi territori.
Come già evidenziato, la proposta del Governo costituisce una completa innovazione in questa materia, giacché, anche se la LOCGAR attualmente vigente riconosce e definisce le aree metropolitane, la forma in cui risultano regolate manca del tutto di struttura organizzativa e di un ambito attributivo di competenze che permetta di dare effettiva attuazione alle funzioni basilari che lì le vengono attribuite.
Con riguardo ai citati “territori speciali”, questa proposta dell’Esecutivo risponde chiaramente ad una iniziativa portata avanti dalla Sottosegreteria dello sviluppo regionale e amministrativo, che intende attribuire un carattere giuridico differenziato a certi territori, che, per la loro situazione eccezionale di isolamento geografico o posizione strategica, richiedano politiche specifiche differenziate, le quali, dando riconoscimento a questa singolarità, contemplino misure straordinarie di amministrazione per il loro sviluppo (16). In tal modo, sembra evidente l’idea della proposta presidenziale, nel senso che non solo attribuisce rango costituzionale a queste zone, ma impone al legislatore di creare organi speciali con attribuzioni specifiche ed esclusive per la loro amministrazione.
È stato sostenuto da alcuni, e riteniamo in qualche misura a ragione, che questa innovazione non fosse necessaria e che fosse sufficiente dotare di certi strumenti di gestione le attuali organizzazioni amministrative territoriali a livello regionale, provinciale o locale per affrontare alcuni problemi che oggi gravano sugli attuali organi amministrativi. Tuttavia, ciò avrebbe anche richiesto la necessità di riforme costituzionali che avessero previsto l’assegnazione di poteri speciali a certe entità amministrative, il che presenterebbe l’inconveniente di generare discriminazioni tra entità territoriali della medesima denominazione.
 
2. Elezione di autorità regionali.
Una seconda riforma promossa dall’Esecutivo consiste nel modificare il modo di elezione dei consiglieri regionali, passando al metodo dell’elezione diretta da parte dei cittadini mediante suffragio universale, ponendo fine in tal modo all’elezione indiretta ad opera dei consigli comunali della Regione. Ciò si realizzerà nel modo che preveda la legge organica costituzionale rispettiva, secondo i criteri di proporzionalità e territorialità, essendo affidate a questa legge la determinazione e l’organizzazione del consiglio e del numero dei consiglieri regionali.
Come già si è detto, questa è una delle materie che ha suscitato maggiore preoccupazione e critica da parte di politici (17) e accademici (18) in Cile, ponendosi come una questione cruciale per continuare e approfondire il processo di decentralizzazione territoriale. In effetti, si ritiene che una riforma come quella delineata contribuirà a dotare di maggiore legittimazione i Governi regionali, mettendo in diretta relazione i consiglieri regionali con i cittadini, il che dovrebbe esprimersi in maggiori livelli di rappresentatività, responsabilità politica e efficienza ed efficacia della gestione amministrativa (19).
In tal modo, appare inevitabile che il legame che si genererà a partire dall’elezione diretta del consiglio, tra la cittadinanza e il Governo regionale, stimolerà la partecipazione attiva dei governati nelle decisioni che riguardino le loro Regioni. Così, il semplice fatto di impegnare la popolazione in un’elezione di questo tipo, la condurrà ad identificarsi con il Governo regionale, a effettuare controlli sui suoi membri e a denunciare pubblicamente quando questi non soddisfino le richieste dei cittadini, a sanzionarli nelle elezioni popolari, o a premiarli con la rielezione in caso di buona gestione.
Per portare avanti questa riforma, sarà necessario chiarire previamente il tema delle inabilità e delle incompatibilità tra la carica di consigliere regionale e altre cariche di rappresentanza popolare (con particolare riguardo alle cariche di deputato e senatore). In effetti, nonostante l’ordinamento giuridico cileno stabilisca cause generali di inabilità per il disimpegno di entrambe le cariche (art. 54 lett. b) CPR e 32 e 33 LOCGAR), probabilmente queste saranno insufficienti per i parlamentari, giacché le funzioni di consigliere regionale si riterranno in concorrenza diretta e ostativa al disimpegno e alla permanenza in carica. Ciò comporta, certamente, la fissazione di periodi di vacanza precedenti e successivi ai fini dell’esercizio di altre cariche rappresentative.
Unitamente a ciò, il progetto dell’Esecutivo propone di sopprimere la competenza dell’Intendente di “presidente del consiglio regionale”, affidando questo ruolo a uno dei consiglieri regionali eletti in forma indiretta secondo il procedimento previsto dalla LOCGAR. In tal modo, la riforma mira a rafforzare il ruolo dei consiglieri regionali nel Governo regionale, riconoscendo loro ambiti esclusivi di azione e rappresentazione, riservando all’Intendente un ruolo esecutivo in materia di amministrazione regionale.
 
3. Nuova amministrazione provinciale.
Un terzo ambito-chiave affrontato dal progetto di riforma costituzionale proposto dall’Esecutivo è quello relativo all’amministrazione provinciale. Su questo punto la riforma propone, in sostanza, di sostituire la funzione principale del Governatore provinciale di vigilanza dei servizi pubblici esistenti nella provincia (art. 116, comma secondo, CPR), con quella di tutela dell’ordine pubblico e sicurezza. Così, il governatore non perde la sua natura di organo amministrativo territorialmente decentrato dell’intendente e rappresentante del Presidente della Repubblica nella Provincia, ma ridefinisce le sue funzioni principali nella struttura del potere pubblico amministrativo, limitando le sue responsabilità a quelle del governo interno.
Detta riforma sembra ispirata al modello di separazione delle funzioni e attribuzioni in ambito regionale, affidando lo sviluppo territoriale agli organi amministrativi di livello regionale e locale, lasciando all’ambito provinciale ciò che concerne la sicurezza interna. Quanto detto mira – apparentemente – a rafforzare la figura del Governatore provinciale, nel senso che il suo ruolo non attiene al compimento di una funzione della quale è già titolare l’Intendente, differenziandosi da quello e assegnandogli un ruolo necessario nell’Amministrazione statale, contrastando così con le voci che promuovevano l’eliminazione di questa entità amministrativa territoriale (20).
 
V. Alcune riforme pendenti
Nonostante le proposte e le iniziative in materia di decentralizzazione territoriale promosse in Cile negli ultimi 15 anni, sembrano evidenti le mancanze e i limiti del modello seguito fino ad ora. Di ciò non solo dà conto la letteratura specializzata, ma gli stessi attori politici, i quali con maggiore o minore enfasi hanno dato conto di tali limitazioni e hanno proposto alcune riforme strutturali del sistema.
Di tali progetti, il più importante è stato senza dubbio il documento elaborato dalla Sottosegreteria dello Sviluppo regionale e amministrativo nel Governo del presidente Lagos, intitolato “Il Cile decentralizzato che vogliamo” (giugno 2001), nel quale si dichiara l’ambizioso obiettivo di realizzare nel 2010 un Cile decentralizzato. A tali effetti, si intende delineare una politica di Stato per la decentralizzazione, che avrà come obiettivi specifici, tra gli altri, il rafforzamento della democrazia rappresentativa e partecipativa a livello regionale, il conferimento di maggiori competenze, funzioni e attribuzioni ai rappresentanti della popolazione regionale e comunale, il consolidamento di un sistema finanziario decentralizzato più autonomo ed equo e il riordino della divisione politica amministrativa, riconoscendo e rispettando le diverse forme di identità territoriale (21). In un tale contesto, il citato documento pone come concetto base di questa nuova politica di decentralizzazione la costruzione di uno “Stato unitario decentralizzato”, nel quale si delineeranno più chiaramente le linee di governo interno e di governo regionale, il che condurrà progressivamente, tra le altre conseguenze, alla configurazione di un sottosistema politico regionale e comunale (22).
In questo contesto, meritano particolare attenzione alcune proposte di marcata natura istituzionale che incrementeranno in modo notevole la decentralizzazione del paese. In particolare, mi riferisco alla riformulazione dei criteri di assegnazione delle funzioni e attribuzioni del governo regionale; la creazione dei servizi pubblici regionali e il progresso nel processo di decentralizzazione fiscale mediante entrate.
 
1. Funzioni e attribuzioni del governo e dell’amministrazione regionale.
Senza dubbio questo è un punto estremamente complesso che nel nostro diritto è stato affrontato in modo criticabile fin dall’inizio. In effetti, l’attribuzione di funzioni-chiave di governo e amministrazione della Regione agli Intendenti, con la partecipazione residuale dei consiglieri regionali, ostacola qualsiasi sviluppo dell’autogoverno e della gestione regionale, riducendo la partecipazione della cittadinanza ad un elemento secondario del sistema politico regionale. È certo che l’elezione dei consiglieri regionali e l’assegnazione a uno di essi della presidenza del Consiglio regionale contribuirà a migliorare questa situazione, ma ciò non varrà a superare le limitazioni che comporta il modello di attribuzione delle funzioni di governo e amministrazione regionale.
In effetti, l’Intendente permarrà come asse del sistema politico regionale, gestendo il governo e l’amministrazione regionale, condividendo solo parzialmente quest’ultima con il Consiglio regionale. Ecco perché sembra necessario concedere maggior protagonismo alle autorità elette dai cittadini, separando le funzioni di governo interno e di governo regionale e riservando solo la prima all’organo di diretta collaborazione del Presidente della Repubblica.
 
2. Servizi pubblici regionali.
Coerentemente con quanto precede, sembra necessario dotare i Governi regionali di una struttura di servizi pubblici che permetta loro di sviluppare le funzioni e le attribuzioni che vengono loro attribuite. Finora i Governi regionali hanno disposto di una struttura amministrativa con poche divisioni, i cui compiti sono di studio, analisi e controllo della gestione (art. 68 LOCGAR). Ciò è insufficiente, se si intende progredire nell’assegnazione di compiti specifici di gestione amministrativa diretta e di soddisfacimento di determinate necessità pubbliche ai Governi regionali.
Perciò sarà necessario creare nuove entità amministrative all’interno di questi, che avranno il compito di fornire prestazioni dirette ai cittadini e assumere la gestione efficiente di quei programmi che possano e debbano essere conferiti ai Governi regionali. In questo contesto, sarebbe conveniente prevedere un’abilitazione costituzionale a favore dei Governi regionali per istituire i propri servizi pubblici assegnati direttamente, determinare la loro organizzazione di base e generare organici flessibili di funzionari.
 
 
3. Decentralizzazione fiscale.
Un ultimo aspetto che sarà necessario affrontare nel breve o medio periodo è quello relativo alla decentralizzazione fiscale, specialmente con riguardo alla creazione di meccanismi di decentralizzazione mediante le entrate. In relazione a questo punto, sembra doveroso procedere nel trasferimento di risorse pubbliche che diano maggiori disponibilità ai Governi regionali per finanziare la realizzazione dei nuovi compiti amministrativi che sono loro attribuiti, il che implica ampliare tale disponibilità verso ambiti diversi dalla destinazione di risorse a progetti di investimento predeterminati dal livello centrale.
In questo contesto, uno strumento può essere la formulazione di una legge tributaria regionale che contempli tutti i meccanismi di finanziamento dei Governi regionali, come risorse proprie, meccanismi di indebitamento diretto e trasferimenti dal livello centrale o anche la fissazione di regole specifiche per la compartecipazione alle imposte nazionali o imposte speciali destinate alle Regioni.
Tutte queste riforme consentiranno la costituzione di autentici governi regionali, forti ed efficienti per lo sviluppo regionale; un processo nel quale il Cile si è arrestato, con grave rischio per il suo sistema politico e la competitività internazionale.
 
NOTE
 
(1)         Decreti legge 573 e 575 del 1974, nel prosieguo DL 573 e DL 575. Decreti legge 573 e 575 del 1974, nel prosieguo DL 573 e DL 575.
 
(2)         Legge Nº19097 del 1991, di riforma costituzionale, e Legge Nº19175, Legge Organica Costituzionale del Governo e dell’Amministrazione regionale, nel prosieguo LOCGAR.
 
(3)         Hernández, L. “La descentralización en el ordenamiento constitucional chileno”, in Revista Chilena de Derecho, vol. 20, tomo II, 1993, pp.535-540.
 
(4)         Boisier, S. “Chile: La experiencia regionalista del gobierno militar”, in CPU Estudios Sociales, Nº104, trimestre 2, 2000, p.51.
 
(5)         Ibidem, pp.49-53.
 
(6)         Come evidenzia Boisier, il disegno decentralizzatore e regionalizzatore del regime militare “...era destinato ad entrare in una strada senza uscita, presto o tardi. Era posto dinanzi ad una contraddizione logica tra una predicata decentralizzazione (sul piano politico) e la realtà di un regime autoritario, incapace da sé, di aprire spazi politici propri di un progetto decentralizzatore, spazi che eventualmente potevano essere riempiti da forze diverse da quelle che detenevano il potere”. Boisier, Sergio. Descentralización en Chile: Antecedentes, situación actual y desafíos futuros”, in Contribuciones, N° 4, 1993.
 
(7)         Sul punto e più ampiamente, si veda Ferrada, JC “El Estado regional chileno: un modelo de descentralización administrativa sin participación política”, in Revista Iberoamericana de Administración Pública, Nº6, gennaio-giugno 2001, pp.175 y ss.
 
(8)         In questo senso, l’allora Ministro degli Interni del primo governo di concertazione don Enrique Krauss evidenziava: “un obiettivo fondamentale del Governo del Presidente Patricio Aylwin è la democratizazzione della società cilena. Durante la campagna presidenziale del 1989, l’attuale Presidente de la Repubblica, si impegnò innanzi alla cittadinanza a ristabilire il diritto sovrano degli abitanti di scegliere a chi affidare il compito di rappresentarli in ambito locale”. Manual de gestion municipal. Ministerio del Interior, Subsecretaría de Desarrollo Regional y Administrativo, serie “Descentralización”, 1993, p.5.
 
(9)         La verità è che, come evidenzia Boisier, l’opposizione sembrava essere più interessata alla necessità di potenziare nuovi spazi politici per influire sull’attività contingente, che a costruire un modello decentralizzato per il paese. Boisier, S. “Chile: la experiencia regionalista del gobierno militar”, ob.cit., pp.71-72.
 
(10)      Il testo integrale dell’accordo denominato “Accordo politico sulla riforma dell’amministrazione comunale e regionale, sottoscritto nella città di Valparaíso dai rappresentanti del Governo, dei partiti politici dell’opposizione e della Concertación de los partidos por la democracia, con data 21 agosto del 1991”, può vedersi nella rivista Gobierno regional y municipal, N°1, agosto 1993, pp.5-10.
 
(11)      Si ricordi che i consiglieri regionali sono eletti dai consiglieri comunali delle municipalità che formano la Regione, i quali a loro volta sono eletti direttamente dai cittadini.
 
(12)      Su questa materia, può consultarsi il mio contributo “Las funciones de gobierno y administración en el ámbito regional: algunos alcances de la distinción y sus problemas conceptuales”, in Revista de Derecho, Universidad de Valparaíso, 1999, Facultad de Derecho de la Universidad de Valparaíso, Actas de las XXX Jornadas Chilenas de Derecho Público, 2000, pp.217-243.
 
(13)      Si veda, in tale senso, Banda, A. “Hacia una democratización de los Consejos Regionales”, in Revista de Derecho, Universidad Católica de Valparaíso, Nº22, vol. I, 2001, Actas de las XXXII Jornadas de Derecho Público, pp.225 y ss.
 
(14)      Lira, L. - Marinovic, F. “Estructuras participativas y descentralización: el caso de los consejos regionales en Chile”, in CPU Estudios Sociales, Semestre 2, 2001, pp.172-173.
 
(15)      Nello stesso senso, Raczynski, D. - Serrano, C. Descentralización. Nudos críticos, CIEPLAN, Santiago, 2001, p.93.
 
(16)      El Chile Descentralizado Que Queremos, Ministerio del Interior, LOM Ediciones, Santiago, giugno 2001, pp.51-52
 
(17)      Si veda il documento “Los Consejeros Regionales frente a la Reforma Regional”, Asociación Nacional de Consejeros de Gobiernos Regionales, Consejo Nacional de Valparaíso 27 giugno 2001.
 
(18)      Si veda, tra gli altri, Correa, G. “Descentralizar el Estado desde la región”, Programa de las Naciones Unidas para el desarrollo, Grupo de Políticas Públicas e García, A. “Orientaciones generales para la reforma del Estado realizadas por el Ministro Secretario General de la Presidencia..”, in Seminario sobre proyecto de reforma y modernización del Estado”, Gobierno y Administración del Estado, anno IX, 7, Nº103, febbraio 2002, pp.3-63.
 
(19)      Su questo punto, si veda Banda, A. “Hacia una democratización de los Consejos Regionales”, in Revista de Derecho, Universidad Católica de Valparaíso, Actas de las XXXII Jornadas de Derecho Público, novembre 2001.
 
(20)      Per tutti, si veda la tesi di laurea di Illanes, I. La eliminación de las gobernaciones provinciales, Facultad de Derecho, Pontificia Universidad Católica de Chile, Santiago, agosto, 1999.
 
(21)      El Chile Descentralizado Que Queremos, cit, pp.9-10.
 
(22)      Ibidem, p.17.

Menu

Contenuti