[A cura di M. Bellocci e P. Passaglia]
 
 
  
 
 
1. Premessa
Nel contenzioso che oppone lo Stato alle Regioni ed alle Province autonome, il giudizio per conflitto di attribuzione ha avuto un ruolo decisamente meno rilevante di quello che, nel 2005 (come, del resto, nel 2004), ha avuto il giudizio di legittimità costituzionale in via principale.
Nonostante la relativa esiguità del numero di decisioni (16), possono comunque riscontrarsi alcuni spunti di un certo interesse concernenti gli aspetti processuali del conflitto.
 
 
2. I soggetti del conflitto
Dei 22 conflitti decisi nel 2005, 20 sono stati promossi da una Regione o da una Provincia autonoma contro lo Stato; in un solo caso si è avuta l’ipotesi inversa (ordinanza n. 217), mentre in un caso il conflitto è stato promosso da una Regione contro una Provincia autonoma (sentenza n. 133).
Generalmente, i resistenti si sono sempre costituiti. Le uniche eccezioni sono rappresentate dalla Regione Sardegna, nel conflitto deciso con l’ordinanza n. 217, e dallo Stato nel conflitto deciso con la sentenza n. 337. In uno dei cinque conflitti decisi con la sentenza n. 324 lo Stato si è costituito con memoria depositata fuori termine.
Oltre al ricorrente ed al resistente, in due casi hanno presentato memorie anche soggetti ulteriori.
Il primo si è avuto nel giudizio vertente sulla controversia tra la Regione Veneto e la Provincia autonoma di Trento in materia di canoni di concessione di derivazioni di acqua pubblica (sentenza n. 133), in cui si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, «rilevando che lo Stato non [aveva] ancora esercitato i poteri sostitutivi previsti» in materia, di talché la propria posizione processuale doveva ritenersi «di “mera” attesa della decisione». Lo Stato, conseguentemente, ha concluso «rimettendosi alla “giustizia” della Corte».
Il secondo caso ha riguardato il conflitto deciso con la sentenza n. 386, nel quale era stato sottoposto allo scrutinio della Corte l’atto di nomina del Presidente dell’Autorità portuale di Trieste. Tale intervento è stato dichiarato ammissibile in quanto l’interveniente era, «pacificamente, parte di giudizi pendenti davanti al Tar del Friuli-Venezia Giulia, aventi ad oggetto la legittimità del provvedimento di nomina del Presidente dell’Autorità portuale». In ragione di ciò, trovava applicazione il principio, enunciato dalla Corte in fattispecie analoghe, secondo il quale «il potere di intervento non può essere precluso quando “l’esito del conflitto è suscettibile di condizionare la stessa possibilità che il giudizio comune abbia luogo” (sentenze n. 225 e n. 76 del 2001; sentenza n. 154 del 2004)».
 
3. La deliberazione del ricorso
Nell’ambito delle decisioni pronunciate nel 2005, non si riscontrano questioni di particolare momento relativamente alla deliberazione del ricorso per conflitto ed al procedimento che da tale deliberazione prende avvio. A tal proposito, possono comunque menzionarsi due decisioni.
Nella sentenza n. 121 la Corte ha disatteso l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dall’Avvocatura dello Stato, motivata dalla circostanza che il decreto impugnato avrebbe costituito «solo il provvedimento conclusivo di un procedimento il cui inizio già rappresentava “atto di esercizio del potere, contro il quale la Provincia avrebbe dovuto proporre il conflitto, poiché ne era a conoscenza”». In particolare, la difesa erarariale evidenziava che la Provincia autonoma di Bolzano, ricorrente, «avrebbe avuto piena conoscenza dell’atto invasivo delle proprie competenze in data antecedente al decreto impugnato».
La Corte, sottolineando come, ai sensi dell’art. 39, secondo comma, della legge n. 87 del 1953, il termine di sessanta giorni per proporre ricorso decorra dalla notificazione o pubblicazione ovvero dall’avvenuta conoscenza dell’atto impugnato, ha precisato, in consonanza con i propri precedenti, che il criterio dell’avvenuta conoscenza dell’atto «viene in considerazione soltanto in linea sussidiaria, quando manchino la pubblicazione o la notificazione» (sentenza n. 132 del 1976); «con l’ovvia conseguenza che, ove sia prescritta la pubblicazione dell’atto, il termine per la proposizione del ricorso “deve in ogni caso essere individuato avendo riferimento alla data della medesima”» (ordinanza n. 195 del 2004).
Con precipuo riguardo al caso di specie, il conflitto non poteva essere inficiato dall’asserita tardività, in quanto la Provincia autonoma di Bolzano lo aveva promosso entro sessanta giorni dall’avvenuta pubblicazione, nella Gazzetta Ufficiale, dell’atto impugnato.
Nella sentenza n. 386 si è affrontato il tema dei rapporti tra il giudizio per conflitto di attribuzione ed il giudizio di legittimità costituzionale in via principale. Il ricorso per conflitto di attribuzione poneva alcune questioni che erano oggetto anche di ricorso in via principale. A tal proposito, la Corte ha rilevato che «la circostanza che un conflitto di attribuzioni sia sollevato nei confronti di un provvedimento amministrativo contestualmente al ricorso proposto in via principale avverso un atto avente forza di legge non è, di per sé, ostativa all’esame nel merito del conflitto, purché il soggetto che lo solleva lamenti che la menomazione delle sue attribuzioni è autonomamente imputabile al provvedimento impugnato, e non già a questo quale mero e puntuale provvedimento attuativo ed esecutivo della norma censurata di incostituzionalità (sentenza n. 206 del 1975; sentenza n. 245 del 1985), dovendosi escludere che il conflitto di attribuzione costituisca sede idonea per lamentare l’illegittimità costituzionale di leggi delle quali il provvedimento amministrativo costituisce applicazione (sentenza n. 472 del 1995)». Quest’ultima affermazione vale ad escludere che «il ricorso per conflitto di attribuzioni si risolv[a], da un lato, in strumento attraverso il quale si eluderebbero i termini perentori previsti dall’art. 127 Cost. per promuovere in via principale le questioni di legittimità costituzionale di leggi regionali o statali e, dall’altro lato, in mezzo utilizzabile per sottrarre al giudice a quo il potere-dovere di sollevare in via incidentale la questione di legittimità costituzionale dell’atto avente forza di legge, sul quale si fonda il provvedimento davanti ad esso giudice impugnato».
 
4. Gli atti impugnati
La categoria di atti più frequentemente impugnata, nel quadro delle decisioni rese nel 2005, è stata quella dei decreti ministeriali, di natura regolamentare oppure amministrativa (nel primo senso, vengono in rilievo i due decreti del Ministro del lavoro e delle politiche sociali oggetto delle sentenze numeri 263 e 287 ed i quattro decreti del Ministro per le politiche agricole di cui alla sentenza n. 324; nel secondo senso, possono citarsi il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di cui all’ordinanza n. 4 ed i due decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti oggetto delle sentenze numeri 339 e 387).
Ancora nell’ambito degli atti del potere esecutivo nazionale, la sentenza n. 121 ha avuto ad oggetto un decreto del Direttore generale dello sviluppo produttivo e competitività del Ministero delle attività produttive, mentre la sentenza n. 135 ha risolto un conflitto avverso una nota del Direttore generale del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio – Dipartimento per la protezione ambientale – Direzione per l’inquinamento e rischi industriali, ed un decreto del medesimo Direttore generale.
Le sentenze numeri 72 e 73 hanno riguardato, l’una, risoluzioni dell’Agenzia delle entrate – Direzione Centrale Gestione Tributi e, l’altra, una analoga risoluzione ed un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate.
L’Avvocatura dello Stato aveva eccepito l’inammissibilità dei conflitti in quanto aventi ad oggetto atti «non dello Stato, ma dell’Agenzia delle entrate». La Corte, in ossequio all’orientamento già manifestato nella sentenza n. 288 del 2004, ha respinto l’eccezione, «sul presupposto della sostanziale riconducibilità di tale ente, ai fini del conflitto, nell’ambito dell’amministrazione dello Stato»: «il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59) affida, infatti, all’Agenzia delle entrate la “gestione” dell’esercizio delle tipiche funzioni statali concernenti “le entrate tributarie erariali” prima attribuite al Dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze ed agli uffici connessi e, in particolare, assegna a tale ente la cura del fondamentale interesse statale al perseguimento del “massimo livello di adempimento degli obblighi fiscali” (articoli 57, comma 1, primo periodo; 61, comma 3; 62, commi 1 e 2)». Su questa base, la Corte ha evidenziato come, ai soli fini del conflitto costituzionale di attribuzione tra Regione e Stato, «la riconducibilità alla sfera di competenza statale di tali essenziali funzioni – “affidate” all’Agenzia delle entrate nell’ambito del peculiare modulo organizzatorio disegnato per le agenzie fiscali dal decreto legislativo n. 300 del 1999, con disciplina derogatoria rispetto a quella dettata per le agenzie non fiscali (art. 10 del decreto) – esig[a] di imputare al sistema ordinamentale statale gli atti emessi nell’esercizio delle medesime funzioni» (sentenza n. 72).
Riconducibili ancora all’amministrazione statale sono gli atti impugnati nei conflitti decisi – peraltro, nel senso dell’inammissibilità (v. infra, par. 6) – con la sentenza n. 177, che ha avuto ad oggetto un decreto dell’Agenzia del demanio, una convenzione tra amministrazione dello Stato e Comune di Cagliari, convenzioni aventi ad oggetto un compendio immobiliare situato in Cagliari, atti di gestione concernenti determinati beni immobili.
La sentenza n. 302 ha avuto ad oggetto una nota del Provveditorato regionale alle opere pubbliche – Magistrato alle acque di Venezia.
Per quanto attiene alle funzioni di controllo della Corte dei conti, la sentenza n. 171 ha definito due conflitti di attribuzione sorti a seguito di una nota della Corte dei conti, Sezione di controllo di Trento, di richiesta di sottoposizione al controllo delle sezioni riunite dei contratti collettivi di lavoro dei dipendenti provinciali e della delibera della Corte dei conti, sezioni riunite in sede di controllo, di affermazione della propria competenza a sottoporre a verifica di compatibilità economico-finanziaria i contratti collettivi di lavoro dei dipendenti provinciali.
Dodici ordini di esibizione in forma integrale della documentazione e degli atti contabili pertinenti le contribuzioni e i finanziamenti liquidati dall’Assemblea regionale siciliana, emessi dalla Procura regionale presso la sezione giurisidizionale della Corte dei conti per la Regione Siciliana sono stati l’oggetto della sentenza n. 337.
Infine, per quanto concerne gli atti regionali o provinciali impugnati in sede di conflitto, trattasi, in un caso, di una deliberazione della Giunta della Provincia autonoma di Trento e di una determinazione del dirigente del servizio utilizzazione delle acque pubbliche della Provincia di Trento (sentenza n. 133) e, nell’altro, di una ordinanza contingibile ed urgente del Presidente della Giunta della Regione Sardegna (ordinanza n. 217).
 
 
5. I parametri del giudizio
La circostanza che, dei 22 conflitti definiti nel 2005, ben 14 abbiano visto coinvolti (in posizione di ricorrente o di resistente) una Regione speciale o una Provincia autonoma, ha inciso inevitabilmente sui parametri invocati.
In effetti, l’evocazione di uno degli statuti speciali ha caratterizzato i giudizi definiti con le sentenze numeri 72, 73, 121, 133, 135, 171, 177, 263, 287, 302, 337 e 386, e l’ordinanza n. 217). Generalmente, al fianco della violazione dello statuto speciale, è stata dedotta anche la violazione delle norme di attuazione dello stesso (sentenze numeri 72, 73, 121, 171, 177, 263, 287, 302 e 386). A questi parametri si è aggiunto il riferimento, veicolato dall’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, alle disposizioni del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, riferimento che talvolta si è sommato a quello dei decreti di attuazione degli statuti (sentenze numeri 121, 263 e 287) e talaltra vi si è sostituito (sentenze numeri 217 e 337).
Le disposizioni del nuovo Titolo V sono state invocate come unico parametro di giudizio in due sole occasioni (sentenza n. 339 ed ordinanza n. 4), tante quante sono state le invocazioni del Titolo V in sede di conflitto sollevato anteriormente alla riforma (sentenze numeri 133 e 324): per giurisprudenza consolidata, in questi casi ad essere impiegati sono stati i parametri vigenti al momento della proposizione del ricorso.
Da notare è che, sia nella sentenza n. 133 che nella sentenza n. 324, il parametro costituzionale è stato integrato anche con il richiamo a disposizioni di rango legislativo (rispettivamente, il decreto legislativo n. 112 del 1998, sul conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, ed il decreto legislativo n. 143 del 1997, sul conferimento alle Regioni delle funzioni amministrative in materia di agricoltura e pesca).
Piuttosto frequente è stata anche l’invocazione del principio costituzionale di leale cooperazione (in particolare, sentenze numeri 72, 73, 177, 324 e 386, nonché, implicitamente ma inequivocabilmente, sentenza n. 339).
 
 
6. La materia del contendere ed il "tono costituzionale" del conflitto
Con riferimento alla materia del contendere ed al «tono costituzionale» del conflitto, possono segnalarsi quattro diverse categorie di pronunce, relative, rispettivamente, a (a) l’esistenza di un contrasto puramente interpretativo, a (b) il difetto di interesse al conflitto, a (c) la inidoneità dell’atto impugnato a ledere le attribuzioni costituzionali ritenute violate ed a (d) il conflitto avente ad oggetto una vindicatio rerum.
a) Nella prima categoria, si annovera la sentenza n. 121, nella quale si è deciso il conflitto sollevato avverso un decreto di revoca dell’autorizzazione alla certificazione comunitaria, rilasciata all’organismo I & S, Ingegneria e Sicurezza S.r.l., di Bolzano. La Corte ha rilevato, in primo luogo, che nel decreto impugnato non si escludeva che alla Provincia autonoma spettasse una competenza in materia di manutenzione e di verifiche di sicurezza, ma si contestavano all’organismo notificato le modalità (non conformi alla normativa comunitaria) di esercizio della attività di verifica.
Le posizioni rispettivamente sostenute dalla Provincia e dal Governo non consentivano di ravvisare nella controversia «la materia di un conflitto di attribuzione ex art. 39 della legge n. 87 del 1953, sia sotto il profilo soggettivo della rivendicazione di una sfera di competenza costituzionalmente riservata alla Provincia, sia sotto l’aspetto oggettivo della menomazione della sfera di attribuzioni costituzionali della Provincia a seguito dell’esercizio illegittimo del potere dello Stato». Ciò in quanto la Provincia non negava che spettasse allo Stato la competenza nella specie esercitata: le ragioni del contendere si incentravano piuttosto sul fatto che la Provincia di Bolzano – contrariamente allo Stato – riteneva che le incompatibilità che potevano, come nel caso, comportare la revoca dell’autorizzazione alla certificazione di conformità comunitaria, non fossero quelle nella specie addotte per revocare l’autorizzazione.
Risultava pertanto «evidente che la controversia, risolvendosi in un contrasto interpretativo sulla sfera di applicazione» della normativa comunitaria e del d.P.R. n. 162 del 1999, era «priva del necessario carattere costituzionale, in quanto non tocca[va] la ripartizione delle competenze tra Stato e Provincia autonoma»: l’eventuale illegittimità del decreto impugnato, «non essendo riconducibile ad un contrasto con norme costituzionali relative alla spettanza del potere, avrebbe dunque potuto offrire motivo per un ricorso avanti alla giurisdizione amministrativa, ma non incide[va] sulla sfera di attribuzioni costituzionalmente riconosciuta alla Provincia».
b) Nelle sentenze numeri 263 e 287, la Corte ha disatteso due eccezioni concernenti la carenza di interesse attuale al ricorso prospettate dall’Avvocatura generale dello Stato, resistente in giudizio. In entrambi i casi, il presupposto dell’eccezione riposava sul fatto che le disposizioni regolamentari impugnate, nel prevedere finanziamenti per la ricorrente, avevano già avuto effetti ed i finanziamenti ottenuti già erano stati spesi (non avendo in proposito fornito, la ricorrente, prova contraria). La Corte ha replicato che va osservato che, «in materia di conflitti tra enti, la lesione delle attribuzioni costituzionali ben può concretarsi anche nella mera emanazione dell’atto invasivo della competenza, potendo perdurare l’interesse dell’ente all’accertamento del riparto costituzionale delle competenze» (così, testualmente, la sentenza n. 287).
Con la sentenza n. 324, si è constatato che le modifiche legislative e l’abrogazione del decreto ministeriale oggetto del conflitto da parte di un decreto legge poi convertito, con modificazioni, in legge, non facevano venire meno l’interesse al conflitto proposto dalla Regione, «atteso che gli effetti dell’abrogazione del regolamento impugnato non [erano] retroattivi, ma decorr[eva]no “dal primo periodo di applicazione del medesimo decreto legge” […] e considerato che la norma secondaria, medio tempore, ha ricevuto attuazione».
c) Circa l’inidoneità dell’atto impugnato a ledere le attribuzioni costituzionali del ricorrente, la Corte ha disatteso due eccezioni di inammissibilità formulate dallo Stato, ancora nei giudizi definiti con le sentenze numeri 263 e 287.
Nella prospettazione erariale, la (eventuale) lesione della sfera di attribuzione della Provincia di Trento sarebbe, in ipotesi, stata prodotta dalla legge attributiva del potere regolamentare di cui la ricorrente lamentava l’esercizio, e non dal regolamento ministeriale oggetto del conflitto, meramente esecutivo della prima. La Corte ha negato la fondatezza di tale ricostruzione, sottolineando come la disposizione legislativa recasse una «clausola di salvaguardia» (consistente nella previsione della sua applicazione alla Provincia di Trento, ricorrente, «compatibilmente con le norme» dello statuto), donde la astratta lesività di un regolamento che si ponesse in contrasto con lo statuto speciale o anche con le norme di attuazione dello stesso, atteso che, alla stregua della «consolidata giurisprudenza» della Corte, «al pari delle norme dello statuto speciale, anche le relative norme di attuazione […] possono essere utilizzate come parametro del giudizio di costituzionalità» e che, «in conseguenza di questa equiparazione tra norme statutarie e norme di modifica e di attuazione dello statuto, la “clausola di salvaguardia” [doveva] essere intesa, secondo una lettura costituzionalmente orientata, come riferita a tutte le disposizioni che fondano e definiscono l’autonomia speciale della Provincia» (così, testualmente, la sentenza n. 287).
L’inidoneità dell’atto impugnato a ledere le attribuzioni costituzionali contestate è stata invece all’origine delle decisioni di inammissibilità pronunciate con le sentenze numeri 72 e 73. Premesso che, «per aversi materia di un conflitto di attribuzione tra Regione e Stato, è necessario che l’atto impugnato sia idoneo a ledere la sfera di competenza costituzionale dell’ente confliggente», si è riconosciuto che gli atti oggetto dei conflitti, vale a dire risoluzioni dell’Agenzia delle entrate – Direzione Centrale Gestione Tributi e un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, non possedevano questa caratteristica, in quanto, in un caso, si limitavano, «attraverso l’istituzione di codici-tributo, a fornire istruzioni sulle modalità di versamento delle imposte e, pertanto, inserendosi in una fase procedimentale meramente provvisoria (che precede l’intervento dell’indicata struttura di gestione e non ne condiziona l’operato), non incid[eva]no sulla spettanza del gettito e non [erano] idonei a ledere le prerogative costituzionali della Regione Siciliana in materia finanziaria» (sentenza n. 72), e, nell’altro caso, «si limita[va]no a regolare le modalità di versamento del contributo unificato, senza incidere sull’assegnazione della quota spettante alla Regione Siciliana del gettito correlativo, e a disciplinare un aspetto esecutivo del procedimento di riscossione del contributo, con efficacia esterna solo nei confronti dei contribuenti e dei soggetti abilitati a riceverne i versamenti» (sentenza n. 73).
La sentenza, infine, n. 386 ha dichiarato «l’inammissibilità del conflitto in quanto sollevato nei confronti di provvedimento meramente attuativo di una norma assoggettabile, e di fatto assoggettata, a giudizio di legittimità costituzionale in via principale»: nella specie, era stato impugnato il decreto di nomina del Presidente dell’Autorità portuale di Trieste, adottato in conformità a quanto prescritto dalle disposizioni legislative impugnate in altra sede (ed oggetto del giudizio concluso con la sentenza n. 378).
d) Due sono stati i casi di declaratoria di inammissibilità motivata dalla circostanza che il conflitto si risolveva (in tutto o in parte) in una pura vindicatio rerum: per consolidata giurisprudenza, infatti, la Corte «esclude l’ammissibilità di un conflitto tra enti, quando si controverta della titolarità di beni (vindicatio rei) e non della spettanza o della delimitazione di funzioni attribuite dalla Costituzione o dagli statuti speciali di autonomia e dalle relative norme di attuazione (vindicatio potestatis), essendo nel primo caso la questione da proporre nelle forme ordinarie davanti ai giudici comuni competenti» (sentenza n. 302).
Nel caso deciso con la sentenza n. 177, le pretese delle due ricorrenti, che avevano promosso conflitto avverso un atto del Direttore dell’Agenzia del demanio, che individuava come appartenenti al patrimonio dello Stato taluni beni immobili esistenti nei rispettivi territori, erano fondate esclusivamente sulla dedotta appartenenza ad esse dei beni immobili in questione, «senza alcun riferimento a (neanche ipotizzate) lesioni di attribuzioni regionali costituzionalmente garantite, in ragione di un eventuale nesso di strumentalità necessaria tra beni e attribuzioni». Questo specifico contenuto rendeva manifesto come i conflitti fossero «in realtà diretti soltanto all’accertamento del titolo giuridico di appartenenza dei beni».
Nella sentenza n. 302, invece, pronunciandosi circa una nota del Provveditorato regionale alle opere pubbliche – Magistrato alle acque di Venezia con la quale si eccettuava dal trasferimento al demanio della Regione talune tratte del torrente Judrio e dei fiumi Tagliamento e Livenza e si invitavano le Agenzie del demanio interessate a non procedere al trasferimento a favore dell’ente territoriale di alcuni beni immobili (caselli e magazzini idraulici) del demanio idrico statale, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso per conflitto «in relazione alla rivendicazione della titolarità degli immobili (caselli e magazzini idraulici) non strumentali alle tratte del torrente Judrio e dei fiumi Livenza e Tagliamento, rimaste nel demanio idrico statale»: trattavasi, dunque, di «una questione priva di tono costituzionale, giacché involge[va] unicamente un aspetto proprietario e richiede[va] l’accertamento, di puro fatto, in ordine alla sussistenza di un nesso pertinenziale tra i beni rivendicati dallo Stato e le tratte fluviali di sua competenza».
 
 
7. La riunione dei giudizi
In tre casi, si è proceduto ad una riunione di più ricorsi.
La sentenza n. 171, che ha deciso congiuntamente due ricorsi promossi dalla Provincia autonoma di Trento, ha dato conto della «connessione soggettiva ed oggettiva» dei due giudizi, aventi ad oggetto rispettivamente una nota della sezione di controllo di Trento della Corte dei conti ed una connessa deliberazione delle sezioni riunite in sede di controllo della medesima Corte.
Nella sentenza n. 177 si è dato conto, ai fini della riunione, che le due Regioni ricorrenti chiedevano l’annullamento «del medesimo provvedimento in base a motivazioni sostanzialmente coincidenti, pur se riferite alle rispettive norme statutarie».
Infine, con la sentenza n. 324, si sono decisi cinque ricorsi, promossi da due diverse Regioni, aventi tutti ad oggetto regolamenti ministeriali in materia di «quote latte»; a fondamento della riunione è stata addotta «la sostanziale identità dell’oggetto delle questioni proposte nei cinque giudizi».
 
 
8. Le decisioni della Corte
Le 14 sentenze e le 2 ordinanze rese nel 2005 recano, complessivamente, 18 formule all’interno dei dispositivi, molte delle quali di tipo processuale.
 
8.1. Le decisioni interlocutorie
Nell’ambito del giudizio concluso con la sentenza n. 324, la Corte, con ordinanza istruttoria depositata il 30 dicembre 1999, in esito all’udienza del 26 ottobre 1999, ha disposto l’acquisizione di elementi di conoscenza concernenti i procedimenti nell’ambito dei quali gli atti regolamentari impugnati erano stati emanati (verbali delle sedute della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome e relativi allegati riferentisi alla materia delle quote latte). Siffatte acquisizioni hanno permesso un adeguato vaglio, nel giudizio di merito, circa l’avvenuto rispetto del principio di leale cooperazione.
 
8.2. L'estinzione del giudizio
In tre casi, i giudizi sono stati dichiarati estinti a seguito dell’intervenuta rinuncia al ricorso accettata dalla controparte costituita (sentenza n. 324 ed ordinanza n. 4). Nel caso della ordinanza n. 217, la mancata costituzione della resistente ha reso superflua la sua accettazione (trattavasi, peraltro, dell’unico ricorso promosso dallo Stato).
Da notare è che la sentenza n. 324 ha preso atto delle rinunce della Regione Veneto ai quattro ricorsi promossi (e trattati congiuntamente); la decisione di merito ha dunque riguardato il solo ricorso residuo, promosso dalla Regione Lombardia.
 
8.3. Le decisioni di inammissibilità
I 6 dispositivi di inammissibilità del ricorso sono stati motivati, come si evince da quanto evidenziato supra, par. 6), dalla inidoneità dell’atto impugnato a ledere le attribuzioni costituzionali del ricorrente (sentenze numeri 72, 73 e 386), dalla esistenza, al fondo del conflitto, di un contrasto puramente interpretativo (sentenza n. 121) e dalla mera vindicatio rerum che caratterizzava il petitum (sentenze numeri 177 e 302).
 
8.4. Le decisioni di merito
Le 9 formule con le quali la Corte ha deciso il merito dei conflitti sollevati sono state in 3 casi di rigetto (sentenze numeri 135, 302 e 324) ed in 6 di accoglimento (sentenze numeri 133, 171, 263, 287, 337 e 339).
La decisione di non spettanza della competenza esercitata dall’ente che ha posto in essere l’atto ha condotto al conseguente annullamento dell’atto. Tale annullamento è stato, in quattro casi, totale (sentenze numeri 133, 171, 337 e 339), mentre in due casi degli atti regolamentari impugnati sono state annullate varie disposizioni, ma non integralmente bensì «nella parte in cui si applica[va]no alle Province autonome di Trento e di Bolzano» (sentenze numeri 263 e 287). Queste ultime decisioni hanno spiegato dunque effetti, non solo nei confronti della ricorrente (Provincia di Trento), ma anche dell’altra Provincia autonoma, a seguito dell’estensione motivata dalla «piena equiparazione statutaria delle Province autonome di Trento e di Bolzano relativamente alle attribuzioni di cui tratta[va]si»).
 

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