[A cura di M. Bellocci, S. Magnanensi, E. Rispoli e P. Passaglia]

1. Premessa
2. I soggetti del conflitto
3. La deliberazione del ricorso e il contenuto del ricorso
4. Gli atti impugnati
5. I parametri del giudizio
6. La materia del contendere
7. La riunione dei giudizi
8. Le decisioni della Corte
8.1. Le decisioni interlocutorie
8.2. L’estinzione del giudizio
8.3. Le decisioni di inammissibilità
8.4. Le decisioni di merito
8.5. Le decisioni di sospensione


1. Premessa
Nel contenzioso che oppone lo Stato alle Regioni ed alle Province autonome, si è confermata anche nel 2006 la tendenza degli ultimi anni secondo la quale il giudizio per conflitto di attribuzione ha un ruolo decisamente meno rilevante di quello che ha il giudizio di legittimità costituzionale in via principale.
Nonostante la relativa esiguità del numero di decisioni (22), possono comunque riscontrarsi alcuni spunti di un certo interesse concernenti gli aspetti processuali del conflitto.


2. I soggetti del conflitto

Dei 28 conflitti decisi nel 2006, 25 sono stati promossi da una Regione o da una Provincia autonoma contro lo Stato; nei restanti casi, il conflitto è stato proposto dallo Stato contro la Regione (sentenze numeri 312, 313 e 357).
Generalmente, i resistenti si sono sempre costituiti. Le uniche eccezioni sono rappresentate dallo Stato nei conflitti decisi con le sentenze numeri 167, 221 e 353. Nel conflitto deciso con la sentenza n. 313 la regione si è costituita fuori termine.
Oltre al ricorrente ed al resistente, in due casi sono intervenuti in giudizio anche soggetti terzi.
Nel primo caso, si tratta del conflitto deciso con la sentenza n. 89, nel quale sono stati sottoposti allo scrutinio della Corte talune note del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in particolare della Capitaneria di Porto e della Direzione Generale per le infrastrutture della navigazione marittima ed interna, nonché un parere del Consiglio di Stato. In tale giudizio era intervenuta la società Porto Turistico Domiziano. Tale intervento è stato dichiarato inammissibile. Invero, la Corte ha ritenuto di richiamarsi al principio, costantemente affermato, secondo il quale “nel giudizio per conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni non possono intervenire soggetti diversi da quelli legittimati a promuovere il conflitto o a resistervi, salvo che gli atti impugnati siano oggetto di un giudizio comune in cui l’interventore sia parte e la pronuncia della Corte sia ‘suscettibile di condizionare la stessa possibilità che il giudizio comune abbia luogo’”.
Nel secondo caso, si tratta del conflitto deciso con la sentenza n. 312, nel quale era stato sottoposto allo scrutinio della Corte il decreto dell’Assessore della difesa dell’ambiente della Regione Sardegna modificativo del calendario venatorio. In tale procedimento sono stati dichiarati inammissibili, sulla base delle stesse motivazioni espresse nella sentenza dianzi citata, gli interventi dell’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature – Onlus e la Lega Anti Vivisezione – Lav.


3. La deliberazione del ricorso e il contenuto del ricorso

Con riferimento alla deliberazione del ricorso per conflitto ed al procedimento che da tale deliberazione prende avvio, si rileva che la Corte ha innanzitutto ribadito la necessaria corrispondenza tra l’oggetto della delibera dell’organo politico ed il contenuto del ricorso. Invero, con la sentenza n. 196, è stata dichiarata la manifesta inammissibilità del ricorso proprio per la non corrispondenza fra l'oggetto del ricorso e il contenuto della delibera di impugnazione adottata dalla Giunta regionale. In merito, la Corte, dopo aver ricordato che il ricorso per conflitto di attribuzione fra Stato e Regione è proposto, per la Regione, dal Presidente della Giunta regionale in seguito a deliberazione della Giunta stessa, ha precisato “che tale espressione (…) implica la piena corrispondenza fra il contenuto della determinazione di impugnare l’atto e l’oggetto del ricorso per conflitto; che tale corrispondenza soddisfa un’esigenza non soltanto di natura formale, ma sostanziale, poiché la legittimazione attiva (del Presidente del Consiglio dei ministri e) del Presidente della giunta regionale a proporre un conflitto dev’essere sostenuta da una determinazione impegnativa e inequivoca (del Governo o) della Giunta regionale, ‘e ciò per l'importanza dell'atto e per gli effetti costituzionali ed amministrativi che l'atto stesso può produrre’”. Ugualmente, con la sentenza n. 89, è stato escluso dall’oggetto del conflitto, promosso avverso una pluralità di atti dalla Regione Toscana, il parere del Consiglio di Stato non richiamato nella delibera della Giunta regionale di autorizzazione alla proposizione del conflitto.
Con la sentenza n. 21, avente ad oggetto due decreti ministeriali di proroga della nomina della stessa persona a commissario straordinario dell’Ente parco nazionale dell’arcipelago toscano, è stata respinta l’eccezione di inammissibilità prospettata dall'Avvocatura generale dello Stato secondo cui “nel persistere del dissenso tra Ministro e Regione il risultato a cui porterebbe l'eventuale accoglimento del ricorso sarebbe solo di togliere all'ente il suo organo operativo rendendo impossibile le iniziative indispensabili per la tutela di interessi ambientali e territoriali, propri anche della Regione”. Invero, la Corte ha ritenuto che “il protrarsi del dissenso dei soggetti tenuti all’intesa può danneggiare gli interessi ambientali e territoriali dell'intera comunità nazionale, ma non induce alcuna inammissibilità, non incidendo sul potere della ricorrente di denunciare la lesività dei provvedimenti impugnati”.
In merito al contenuto del ricorso, con la sentenza n. 334, è stata respinta l’eccezione di inammissibilità proposta dalla difesa erariale, per la quale la domanda formulata appariva non congrua per “la mancanza della richiesta di declaratoria di non spettanza allo Stato del gettito del prelievo erariale unico”. La Corte ha, infatti, ritenuto che “tale richiesta si desume agevolmente (...) dalla rivendicazione di detto gettito alla Regione, espressamente avanzata nel ricorso stesso”. Con la sentenza n. 382, invece, è stato dichiarato inammissibile il conflitto proposto, attesa la formulazione contraddittoria del petitum rispetto alle doglianze fatte valere nella parte motiva, formulazione che non ha consentito “in alcun modo una chiara ed univoca identificazione dei termini del conflitto” su cui la Corte è chiamata a pronunciarsi.
Il contenuto del ricorso, inoltre, delimita l’oggetto del giudizio. Invero, con la sentenza n. 90 è stato precisato che, ancorché il provvedimento impugnato (nella specie la nota del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Direzione Generale per le infrastrutture della navigazione marittima ed interna del 12 marzo 2003) attribuisca alla competenza statale tutti i porti “di qualunque tipo”, “tuttavia le censure proposte dalla Regione fanno specifico riferimento ai porti turistici, sicché è con riferimento a detta tipologia di porti che deve essere esaminato il ricorso in questione”. Ancora, con la sentenza n. 222, la Corte ha escluso che le censure svolte nei confronti di un’ordinanza del Ministero della Salute possano estendersi ad ordinanze successive del medesimo Ministro, nella medesima materia. Ciò, in quanto le ordinanze, pur avendo lo stesso oggetto e le stesse finalità dell’atto impugnato, “non presentano contenuto precettivo del tutto identico”, ditalchè necessitano di autonoma impugnazione.


4. Gli atti impugnati

La categoria di atti più frequentemente impugnata, nel quadro delle decisioni rese nel 2006, è stata quella dei decreti ministeriali, di natura regolamentare oppure amministrativa. Nel primo senso, vengono in rilievo il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 5 dicembre 2003, n. 392 recante norme per le funicolari aeree e terrestri in servizio pubblico destinati al trasporto delle persone, oggetto della sentenza numero 327 e il decreto del Presidente della Repubblica 18 ottobre 2004, n. 334, in materia di immigrazione, oggetto della sentenza n. 407. Nel secondo senso, possono citarsi i decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di cui alla sentenza n. 21, e all’ordinanza n. 152, il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro delle pari opportunità, oggetto della sentenza n. 167, il decreto del Ministro per le attività produttive di cui all’ordinanza n. 226, il decreto del Vicepresidente del Consiglio dei ministri, oggetto della sentenza n. 333, il decreto del Ministro della salute e l’ordinanza del medesimo Ministro, oggetto, rispettivamente, delle sentenze numeri 328 e 222, il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, oggetto della sentenza n. 382.
Ancora, nell’ambito degli atti del potere esecutivo nazionale, la sentenza n. 334 ha avuto ad oggetto un decreto del Direttore generale dell’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato e una nota dell’Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale Amministrazione.
Con riferimento, in particolare, alla nota dell’Agenzia delle Entrate, la Corte, in ossequio all’orientamento della precedente giurisprudenza costituzionale, ha rilevato che è ammissibile un conflitto di attribuzione avente ad oggetto un tale atto, emesso nell’esercizio di funzioni pubbliche concernenti le entrate tributarie erariali prima attribuite al Dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze ed agli uffici connessi, “in ragione delle indicate funzioni e della collocazione della Agenzia delle entrate nell’ambito del sistema ordinamentale statale”.
Anche una circolare della Direzione Generale dell’Agenzia del demanio, oggetto della sentenza n. 31, è stata giudicata idonea, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, a far sorgere un conflitto. Invero, la Corte ha ritenuto che gli atti posti in essere dalla suddetta Agenzia – la quale esercita tuttora le funzioni che erano proprie della Direzione generale del demanio e delle direzioni compartimentali – siano riferibili allo Stato “non come persona giuridica, bensì come sistema ordinamentale (…) complesso e articolato, costituito da organi, con e senza personalità giuridica, ed enti distinti dallo Stato in senso stretto, ma con esso posti in rapporto di strumentalità in vista dell’esercizio, in forme diverse, di tipiche funzioni statali”.
Invero, la Corte, ha innanzitutto premesso che il termine Stato di cui all'art. 134 Cost. può essere inteso in un duplice significato: più ristretto quando viene in considerazione come persona giuridica, che esercita le supreme potestà, prima fra tutte quella legislativa; più ampio, quando, nella prospettiva dei rapporti con il sistema regionale, si pone come conglomerato di enti, legati tra loro da precisi vincoli funzionali e di indirizzo, destinati ad esprimere, nel confronto dialettico con il sistema regionale, le esigenze unitarie imposte dai valori supremi tutelati dall'art. 5 Cost. Ciò posto, si è precisato che “la proprietà e disponibilità dei beni demaniali spettano – sino all'attuazione dell'ultimo comma dell'art. 119 Cost. – allo Stato ‘e per esso all'Agenzia del demanio’ (…). Nei rapporti con il sistema ordinamentale regionale, l'Agenzia del demanio è pertanto parte integrante del sistema ordinamentale statale. L'uno e l'altro insieme formano il sistema ordinamentale della Repubblica. Al suo interno possono verificarsi conflitti tra organi e soggetti, statali e regionali, agenti rispettivamente per fini unitari o autonomistici, che attingono il livello costituzionale se gli atti o i comportamenti che li originano sono idonei a ledere, per invasione o menomazione, la sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita del sistema statale o di quello regionale, anche se non provengono da organi dello Stato o della Regione intesi in senso stretto come persone giuridiche”.
Riconducibili ancora all’amministrazione statale sono gli atti impugnati nel conflitto deciso con la sentenza n. 89, che ha avuto per oggetto talune note del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, emesse dalla Capitaneria di porto di Viareggio e dalla Direzione Generale per le infrastrutture della navigazione marittima ed interna. Anche la sentenza n. 90 ha avuto per oggetto una nota del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, emanata dalla medesima Direzione Generale per le infrastrutture della navigazione marittima ed interna.
La sentenza n. 196 ha avuto ad oggetto una nota del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio. La sentenza n. 235 ha avuto per oggetto una direttiva del Ministero del Lavoro, mentre l’ordinanza n. 275 la deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) relativa al primo programma per le opere strategiche.
L’avviso di conclusione delle indagini preliminari, emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Venezia, nei confronti di taluni consiglieri regionali, nonché l’ordinanza del medesimo Tribunale – ufficio del Giudice monocratico di Mestre – resa nell’ambito di un procedimento penale sempre a carico di consiglieri regionali, sono stati l’oggetto della sentenza n. 221. Ancora, l’atto di fissazione dell’udienza di trattazione, adottato da un giudice istruttore del Tribunale civile di Roma, emesso nell’ambito di un giudizio per risarcimento danni a seguito delle opinioni espresse da un consigliere regionale, è stato oggetto del procedimento di cui all’ordinanza n. 353, la quale, però, avendo rilevato un difetto di notifica, ha disposto che l’atto introduttivo e la stessa ordinanza siano notificati, a cura del ricorrente, al Tribunale di Roma, restando impregiudicata ogni ulteriore decisione in punto di ammissibilità e di merito.
Infine, per quanto concerne gli atti regionali o provinciali impugnati dallo Stato in sede di conflitto, trattasi, in un caso, di un decreto dell’Assessore della difesa e dell’ambiente della Regione Sardegna (sentenza n. 312), in un altro caso, di una delibera emessa dalla Giunta della Regione Calabria (sentenza n. 313) e, in un altro ancora, del decreto del Presidente della Giunta della Regione Toscana (ordinanza n. 357).


5. I parametri del giudizio

La circostanza che, dei 28 conflitti definiti nel 2006, ben 12 abbiano visto coinvolti (in posizione di ricorrente o di resistente) una Regione speciale o una Provincia autonoma, ha inciso inevitabilmente sui parametri invocati.
In effetti, l’evocazione di uno degli statuti speciali ha caratterizzato i giudizi definiti con le sentenze numeri 167, 222, 235, 327, 328, 334, 382 e 407. Generalmente, al fianco della violazione dello statuto speciale, è stata dedotta anche la violazione delle norme di attuazione dello stesso (sentenze numeri 167, 222, 327, 328 e 334). A questi parametri si è aggiunto il riferimento, veicolato dall’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, alle disposizioni del Titolo V della Parte seconda della Costituzione (sentenze numeri 167, 222, 327, 328, 382 e 407).
Con la sentenza n. 312, la Corte ha accolto l’eccezione di inammissibilità sollevata nei confronti del Governo dalla Regione Sardegna, relativa alla erronea indicazione del parametro costituzionale. Nella specie il ricorso si era limitato ad indicare, quale disposizione costituzionale violata, soltanto l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione senza prendere in considerazione lo Statuto speciale della Regione Sardegna. In proposito la Corte ha ribadito il principio secondo cui “i ricorsi che facciano valere nei confronti delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome esclusivamente le norme del titolo V della parte seconda della Costituzione, senza motivare le ragioni per le quali esse si dovrebbero applicare anche al caso di specie, devono essere dichiarati inammissibili”.
Nella sentenza n. 327, invece, la Corte, ha rilevato che il sindacato costituzionale non poteva che basarsi soltanto sul parametro offerto dallo statuto di autonomia speciale. Ciò, in quanto le ricorrenti si sono limitate ad invocare, per il tramite dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, l’art. 117, comma sesto, della Costituzione, “nella parte in cui esso esclude la potestà regolamentare dello Stato in ogni materia che non sia di competenza legislativa esclusiva statale, senza tuttavia provvedere ad indicare quale materia di competenza regionale indicata dall’art. 117, commi terzo e quarto, sia stata invasa tramite il d.m. che ha dato origine al conflitto”.
Le disposizioni del nuovo Titolo V sono state invocate come unico parametro di giudizio nelle sentenze numeri 221 e 235 (relativamente al conflitto sollevato dalla Regione Veneto), 275, 313, 333 ed ordinanze numeri 353, 357). Nella sentenza numero 31 e nell’ordinanza n. 152 è stato evocato anche l’art. 5 della Costituzione. In due occasioni (sentenze numeri 89 e 90) la Corte – dopo aver premesso che l’esame cui è chiamata la Corte non deve essere effettuato con riferimento alla normativa e agli atti amministrativi adottati prima della riforma del Titolo V, ditalchè non assumono rilevanza le questioni attinenti alla eventuale illegittimità costituzionale della normativa precedente alla predetta riforma, né le questioni attinenti alla legittimità degli atti adottati prima della riforma stessa – ha richiamato la giurisprudenza consolidata, secondo la quale il conflitto deve essere risolto “sulla base dei parametri costituzionali vigenti al momento dell’adozione degli atti in ordine ai quali è stato proposto ricorso, e, dunque, avendo riguardo alle norme costituzionali successive alla modifica del Titolo V”.
In taluni casi il parametro costituzionale è stato integrato anche con il richiamo a disposizioni di rango legislativo (sentenze numeri 21, 89, 90 e 382; ordinanze numeri 196 e 226).
Piuttosto frequente è stata anche l’invocazione del principio costituzionale di leale cooperazione (in particolare, sentenze numeri 21, 31, 90, 167, 235, 382 ed ordinanze numeri 226, 152). Nel conflitto definito con la sentenza n. 327 è stato invocato anche il principio di certezza normativa. Nel conflitto definito con la sentenza n. 328, sono stati evocati, tra gli altri, i principi di leale collaborazione e di certezza normativa.


6. La materia del contendere

Con riferimento alla materia del contendere, possono segnalarsi tre diverse categorie di pronunce, relative, rispettivamente, a (a) il difetto di interesse al conflitto, a (b) la inidoneità dell’atto impugnato a ledere le attribuzioni costituzionali ritenute violate ed a (c) il conflitto avente ad oggetto una vindicatio rerum.
a) Nella sentenza n. 21 – che ha avuto per oggetto un decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio di proroga dell’incarico di Commissario straordinario dell’ente Parco nazionale dell’arcipelago toscano – la Corte ha disatteso l’eccezione concernente la carenza di interesse attuale al ricorso prospettata dall’Avvocatura generale dello Stato, resistente in giudizio. Invero, secondo la difesa erariale, il ricorso sarebbe stato inammissibile perché mancherebbe l’indicazione “dell’interesse costituzionalmente garantito leso dal provvedimento impugnato, potendosi lamentare una violazione del principio di leale collaborazione solo a fronte di una concreta attività del commissario pregiudizievole degli interessi della Regione”. La Corte ha, viceversa, affermato che “nella specie, sussiste (…) l’interesse ai ricorsi perché con gli stessi non si deducono comportamenti illegittimi del commissario, ma si contesta la legittimità della sua nomina”.
Con la sentenza n. 222, si è ritenuto che l’esaurimento dell’ordinanza del Ministro della salute in tema di tutela dell’incolumità dall’aggressività dei cani non incide sull’ammissibilità del ricorso per conflitto di attribuzione proposto nei confronti dello Stato poiché non è escluso “l’interesse dell’ente all’accertamento del giusto riparto delle competenze”. Così, pure, il venir meno di un decreto direttoriale, oggetto di conflitto, facendone salva l’efficacia per il periodo anteriore, non fa venir meno le ragioni del conflitto stesso (sentenza n. 334).
Al contrario, con la sentenza n. 235, sono stati dichiarati inammissibili i conflitti di attribuzione proposti dalla Regione Veneto e dalla Regione Valle d’Aosta, poiché si è constatato che l’atto impugnato è stato emanato in attuazione dell’intesa raggiunta tra lo Stato e le Regioni nella Conferenza unificata, cosicché “alla luce della raggiunta intesa, difetta l’interesse delle regioni ricorrenti a promuovere i conflitti”.
Ugualmente, è stato dichiarato inammissibile, questa volta, però, per sopravvenuto difetto di interesse, il conflitto di cui alla sentenza n. 333. Invero, la Corte ha rilevato che, successivamente al ricorso, è stata emanata la legge n. 233 del 2006 che, abrogando la norma istitutiva del Dipartimento nazionale per le politiche antidroga, “ha profondamente inciso sull’oggetto del conflitto che verte sull’attribuzioni del soppresso Dipartimento”.
b) Circa l’inidoneità dell’atto impugnato a ledere le attribuzioni costituzionali del ricorrente, la Corte ha disatteso un’eccezione di inammissibilità formulata dallo Stato, nel giudizio definito con la sentenza numero 31. Nella prospettazione erariale, la (eventuale) lesione della sfera di attribuzione della Regione Lombardia sarebbe, in ipotesi, stata prodotta dalla legge e non già dall’atto amministrativo oggetto del conflitto, concernente l’applicazione della legge. La Corte ha negato la fondatezza di tale ricostruzione e, dopo aver premesso che l'art. 5-bis del d.l. n. 143 del 2003 disciplina il procedimento di alienazione di aree appartenenti al patrimonio e al demanio dello Stato, escluso il demanio marittimo e che l’alienazione deve avvenire mediante vendita diretta in favore del soggetto legittimato che ne faccia richiesta, ha sottolineato, innanzitutto, che la norma “non può essere interpretata al di fuori del contesto normativo e istituzionale in cui si inseriscono tutte le disposizioni riguardanti beni pubblici destinati, per loro natura, a soddisfare interessi ricadenti negli ambiti di competenza dei diversi enti preposti dalla Costituzione e dalla legge al governo del territorio”. Quindi ha rilevato che “il concreto regime giuridico di un bene appartenente al demanio o al patrimonio dello Stato o di altri enti pubblici è la risultante di un intreccio di potestà pubbliche, che sottendono altrettanti interessi meritevoli di tutela delle comunità amministrate. Gli atti di gestione e di disposizione riguardanti tali beni possono assumere, secondo scelte diverse del legislatore, natura pubblicistica o privatistica, ma la qualità degli interessi collettivi tutelati, la loro esistenza, rilevanza e attualità devono essere previamente apprezzati dai soggetti istituzionali competenti”.
Con la sentenza n. 89, l’oggetto del giudizio è stato limitato alle note ministeriali, con l’esclusione del parere reso dal Consiglio di Stato. Ciò, in quanto il medesimo, oltre a non essere menzionato nella delibera della Giunta regionale di autorizzazione al conflitto, non è stato ritenuto idoneo, alla luce del suo contenuto “a recare alcun vulnus alla rivendicata competenza della regione ricorrente”.
Ancora, l’inidoneità dell’atto impugnato a ledere le attribuzioni costituzionali contestate è stata all’origine della decisione di inammissibilità pronunciata con la sentenza n. 167. Invero, la Corte ha ritenuto l’inidoneità del bando, oggetto di gravame, a ledere la sfera delle attribuzioni costituzionali delle ricorrenti. Nella specie, la Corte ha rilevato che “il bando è un atto preliminare emanato dall’amministrazione statale al fine di poter procedere alla nomina in via surrogatoria dei consiglieri di parità. Esso è privo di effetti autonomi sul piano del riparto costituzionale delle competenze”. Ugualmente, con la sentenza n. 334, è stato dichiarato inammissibile il conflitto proposto dalla Regione Sicilia nei confronti dello Stato per idoneità dell’atto impugnato a ledere le prerogative costituzionali della Regione in materia finanziaria. Nella specie, trattavasi di un decreto del Direttore Generale dell’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato e di una nota dell’Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale Amministrazione, che, lungi dall’attribuire il gettito del prelievo erariale unico allo Stato, si limitavano a fornire istruzioni sulle modalità di versamento delle imposte.
Con la sentenza n. 328 sono state respinte le eccezioni di inammissibilità del ricorso proposte dalla Avvocatura dello Stato per ritenuta impugnazione, da parte della ricorrente, di una norma primaria attributiva della competenza in contestazione allo Stato (e cioè l’art. 16 ter della legge n. 502/92), al quale il decreto impugnato aveva dato applicazione e per ritenuta proposizione di un ricorso avente per oggetto il modo di esercizio della funzione statale disciplinata dal predetto articolo 16-ter, cioè di un vizio denunciabile innanzi al giudice amministrativo. La Corte, dopo aver premesso che la ricorrente “denuncia l’illegittimità del decreto impugnato proprio in ragione del fatto che esso sarebbe stato adottato in carenza di potere, deducendo che il predetto art. 16-ter non costituisce idoneo fondamento legislativo del medesimo, e sostenendo la lesività della disciplina regolamentare contenuta in detto decreto in quanto priva di base legislativa”, ha concluso rilevando che “il ricorso non è affatto volto a censurare l’art. 16-ter citato”, ma con lo stesso viene dedotto un vizio denunciabile innanzi alla Corte.
Del pari, con la sentenza n. 334, è stata respinta l’eccezione di inammissibilità, formulata dalla difesa erariale, fondata sulla considerazione che “la Regione non ha proposto ricorso in via principale avverso l’art. 39 del decreto-legge n. 269 del 2003, ma si è limitata a proporre conflitto avverso atti amministrativi che sarebbero meramente applicativi di tale norma”. La Corte ha rilevato che, contrariamente a quanto sostenuto dall’Avvocatura, la norma “nulla prevede circa la destinazione del gettito del prelievo erariale unico, e pertanto la Regione non avrebbe avuto interesse a censurarla”.
Infine, si rammenta il contenuto della sentenza n. 382. Nella specie, la Corte, dopo aver rammentato l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale “qualsiasi comportamento significante, imputabile allo Stato o ad una Regione è idoneo a produrre un conflitto attuale di attribuzione fra enti, purché sia dotato di efficacia o di rilevanza esterna e sia diretto ad esprimere in modo chiaro ed in equivoco la pretesa di esercitare una data competenza, il cui svolgimento possa determinare un’invasione attuale dell’altrui sfera di attribuzioni o comunque una menomazione altrettanto attuale delle possibilità di esercizio delle medesime”, ha ritenuto atto idoneo a sollevare un conflitto anche la premessa di un decreto ministeriale ritenuta lesiva dell’autonomia finanziaria della regione e delle sue competenze in materia di trasporto pubblico locale.
c) Nel procedimento concluso con la sentenza n. 89 – nel corso del quale erano state impugnate talune note del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con le quali, in relazione al porto di Viareggio, l’amministrazione marittima statale si considerava nuovamente competente nella materia delle concessioni sui beni del demanio marittimo portuale – è stata respinta l’eccezione di inammissibilità proposta dalla difesa erariale sulla base del rilievo che le note impugnate “contengono una chiara manifestazione di volontà dello Stato di riaffermare la propria competenza nel settore in esame e di negare quella regionale”. Nella specie, quindi, è stato riconosciuto al giudizio un tono costituzionale “in quanto involge questioni efferenti al riparto delle attribuzioni tra Stato e Regioni, quale risulta dal nuovo titolo V della Parte seconda della Costituzione”.


7. La riunione dei giudizi

In cinque casi, si è proceduto ad una riunione di più ricorsi.
La sentenza n. 21 ha deciso congiuntamente due ricorsi promossi dalla Regione Toscana aventi ad oggetto “due decreti ministeriali, entrambi relativi alla proroga della nomina della stessa persona a commissario straordinario dell’Ente parco nazionale dell’arcipelago toscano”.
Nella sentenza n. 167 si è dato conto, ai fini della riunione, che i ricorsi riguardavano “sotto profili sostanzialmente identici, il medesimo atto”. Con la stessa motivazione sono stati riuniti due ricorsi promossi dalla Regione Veneto e Valle d’Aosta nel procedimento concluso con la sentenza n. 235.
Con la sentenza n. 221 sono stati decisi due conflitti di attribuzione proposti dalla Regione Lombardia per la “sostanziale coincidenza dell’oggetto dei due ricorsi”. Essi concernevano, infatti, un avviso di conclusione delle indagini preliminari, emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Venezia, nei confronti di taluni consiglieri regionali, nonché un’ordinanza del medesimo Tribunale – ufficio del Giudice monocratico di Mestre – resa nell’ambito di un procedimento penale sempre a carico di consiglieri regionali.
Infine, con la sentenza n. 327, si sono decisi due ricorsi, promossi dalle Province autonome di Trento e Bolzano, aventi tutti ad oggetto un regolamento ministeriale recante norme per le funicolari aeree e terrestri in servizio pubblico destinate al trasporto delle persone; a fondamento della riunione è stata addotta “la sostanziale identità delle censure proposte”.


8. Le decisioni della Corte

Le decisioni rese nel 2006, sono, come detto, 22, di cui 16 sono sentenze e 6 sono ordinanze.

8.1. Le decisioni interlocutorie
Nell’ambito del giudizio concluso con l’ordinanza n. 353, la Corte, in esito all’udienza del 24 ottobre 2006, ha rilevato che il ricorso non era stato notificato al Tribunale di Roma. Conseguentemente, impregiudicata ogni ulteriore decisione sia in punto di ammissibilità che di merito, la Corte ha disposto che l’atto introduttivo e l’ordinanza pronunciata venissero notificate al Tribunale di Roma, in persona del Presidente per essere poi depositati, nei termini previsti, in cancelleria.

8.2. L’estinzione del giudizio
In 3 casi, i giudizi sono stati dichiarati estinti a seguito dell’intervenuta rinuncia al ricorso accettata dalla controparte costituita (ordinanze numeri 226, 275 e 357).
In un altro caso, quello della sentenza n. 167, che concerneva tre conflitti riuniti, la mancata costituzione della resistente ha reso superflua la sua accettazione, ditalchè un ricorso è stato dichiarato estinto, mentre gli altri due sono stati dichiarati inammissibili.

8.3. Le decisioni di inammissibilità
I 7 dispositivi di inammissibilità del ricorso sono stati motivati, come si evince da quanto evidenziato supra, par. 6), dalla inidoneità dell’atto impugnato a ledere le attribuzioni costituzionali del ricorrente (sentenze numeri 334 e 167), dalla erronea indicazione del parametro costituzionale evocato (sentenza n. 312), dal difetto di interesse a promuovere i conflitti (sentenze numeri 235 e 333), nonché dalla formulazione contraddittoria del petitum (sentenza n. 382). In un’ipotesi è stata dichiarata la manifesta inammissibilità del conflitto per la non corrispondenza fra l’oggetto del ricorso e il contenuto della delibera di impugnazione adottata dalla Giunta regionale (ordinanza n. 196).

8.4. Le decisioni di merito
Le 10 formule con le quali la Corte ha deciso il merito dei conflitti sollevati sono state in 3 casi di rigetto (sentenze numeri 221, 222 e 407) ed in 7 di accoglimento (sentenze numeri 21, 31, 89, 90, 313, 327 e 328).
La decisione di non spettanza della competenza esercitata dall’ente che ha posto in essere l’atto ha condotto al conseguente annullamento dell’atto. Tale annullamento è stato, in sei casi, totale (sentenze numeri 21, 31, 89, 90, 313 e 328), mentre, in un caso, l’atto regolamentare impugnato è stato annullato “nella parte in cui esso si applica alle Province autonome di Trento e di Bolzano” (sentenza n. 327).

8.5. Le decisioni di sospensione
Nel corso del 2006 è stata pronunciata un’ordinanza di sospensione dell’esecuzione di un decreto ministeriale di conferma dell’incarico di commissario straordinario dell’Ente Parco nazionale dell’arcipelago toscano (ordinanza n. 152). La sospensione è stata motivata dalla sussistenza del fumus boni iuris, costituito dalla assenza di un’apprezzabile attività con la Regione per addivenire ad un’intesa e dall’avvenuta conferma, quale commissario straordinario, della stessa persona la cui nomina era stata in precedenza annullata dalla Corte, nonché dal periculum in mora costituito dalla perdurante operatività del decreto impugnato.

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