Avvertenza: lo studio che segue è tratto dal Quarto rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia, a cura dell'ISSiRFA.
Benché il lavoro sia il frutto di una collaborazione tra gli autori, possono attribuirsi a Laura Ronchetti i paragrafi da 1 a 6 e a Nicola Viceconte i paragrafi da 7 a 13.

 

 
 SOMMARIO:
 
 
 
 
1.      Considerazioni introduttive e gli allarmanti dati quantitativi
 
Nel 2005 si è registrato un ulteriore aumento delle pronunce di interesse regionale, sebbene la Corte abbia fatto notevoli sforzi per contenere la mole delle proprie decisioni: su 133 ricorsi in via principale si è espressa infatti con 101 pronunce. Di queste ben 85 sono sentenze. Tale numero risulta significativo se messo a confronto con le 78 sentenze adottate nello stesso tipo di giudizio nel 2004; assume dimensioni allarmanti invece se accostato alle 80 sentenze - di cui 9 aventi ad oggetto leggi regionali - emesse nel giudizio in via incidentale nel 2005: si è portata a segno la preminenza del giudizio in via diretta su quello in via incidentale, la cui centralità sembrerebbe seriamente compromessa a favore di un «forte radicamento della funzione arbitrale» (1) della Corte costituzionale.
Devono segnalarsi inoltre le 14 sentenze emesse nei 16 conflitti di attribuzione, nei quali hanno dimostrato particolare attivismo le autonomie speciali con 11 ricorsi, anche se solo in 4 casi hanno ottenuto soddisfazione delle loro richieste.
Questi dati della giurisprudenza confermano in generale un eccesso di contenzioso, sintomatico probabilmente di un lento assestamento del riparto di competenze tra Stato e Regioni novellato nel 2001. La continua negoziazione tra enti in merito alle competenze è testimoniata, infatti, dalle 14 pronunce di estinzione del processo per rinuncia e dalle 18 di cessazione della materia del contendere. Potrebbero considerarsi, tuttavia, espressione dell’attivismo giurisdizionale degli enti anche le numerose dichiarazioni di non fondatezza delle questioni proposte: 25 su ricorso statale e ben 131 su ricorso regionale. Guardando al giudicato costituzionale, però, le norme statali dichiarate incostituzionali sono state ben 61 a fronte delle 35 dichiarazioni d’incostituzionalità di norme regionali. Ciò nonostante, come si si dimostrerà, la giurisprudenza è stata significativamente attraversata dalla tutela di innegabili esigenze unitarie.
La Corte ha dimostrato comunque di voler contenere, per quanto possibile, l’ipertrofismo della propria funzione arbitrale con un rigido controllo dei profili processuali, tanto da dichiarare inammissibili o manifestamente inammissibili 19 questioni sollevate dallo Stato e 47 proposte dalle Regioni. In questa direzione deve leggersi anche l’approfondimento della prassi della separazione delle questioni contenute nel singolo ricorso e del loro accorpamento con analoghe questioni sollevate in altri ricorsi. Fenomeno questo che non ha riguardato solo i ricorsi regionali contro leggi statali, ma anche 2 ricorsi statali risolti con 4 sentenze (nn. 277 e 462; 304 e 323).
Nonostante questi apprezzabili tentativi di arginare gli effetti del contenzioso tra enti sulla natura stessa del processo costituzionale, rimettendo per quanto possibile ai legislatori la definizione del riparto di competenza, la Corte ha esercitato anche nel 2005 un ruolo di supplenza delle funzioni legislative: basti pensare all’aumento, anche rispetto al 2004, del ricorso a decisioni di tipo manipolativo - con 7 sentenze additive, 10 ablative e 4 sostitutive – nonché all’applicazione dell’illegittimità costituzionale consequenziale. È pur vero che, nel rifiuto di una rigida divisione delle competenze, la giurisprudenza risulta sempre più ispirata dal principio di leale collaborazione tra enti, vero cardine di un regionalismo cooperativo che miri all’efficienza. Un maggior spirito costruttivo nei rapporti tra enti solleverebbe peraltro la Corte del peso di un crescente contenzioso.
 
 
2.      Profili processuali
 
2.1.   Ricorso ex art. 127 e conflitti intersoggettivi. Atti introduttivi
 
I caratteri processuali del giudizio principale si sono, sotto vari profili, riproposti all’attenzione della Corte.
Sul piano strettamente procedurale ha trovato conferma il recente orientamento giurisprudenziale che scinde il momento in cui la notificazione del ricorso deve intendersi perfezionata nei confronti del notificante (2) da quello in cui deve intendersi perfezionata per il destinatario dell’atto: la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario nel primo caso è sufficiente (sent. n. 383).
Non sono mancate questioni relative alla tempestività del ricorso, che deve essere depositato entro il termine, pacificamente ritenuto perentorio, di 10 giorni (ord. n. 20). Nel caso d’impugnazione di decreti legge la tempestività del ricorso, invece, è riconosciuta anche quando sia successiva alla loro conversione (sentt. nn. 62 e 383) (3).
Risulta confermato, inoltre, il costante orientamento giurisprudenziale che nega ai giudizi innanzi alla Corte l’applicazione delle norme sulla rappresentanza in giudizio dello Stato, ritenendo rituale la notificazione del ricorso presso la sede del Presidente del Consiglio dei ministri. L’irritualità della notificazione, tra l’altro, non può essere sanata dalla costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei ministri al solo fine di eccepire il vizio di notifica (sent. n. 344).
La giurisprudenza della Corte ha mostrato una certa continuità con i suoi precedenti anche riguardo al rapporto tra il ricorso in via d’azione e la relativa delibera di autorizzazione della Giunta (4): sono stati dichiarati inammissibili i ricorsi fondati su delibere in cui non erano state indicate specificamente le disposizioni da impugnare e le ragioni della impugnativa, lamentando la presunta incostituzionalità di una intera legge sebbene trattasse di diverse materie. A detta della Corte, infatti, la delibera d’impugnazione può “concernere l’intera legge soltanto qualora quest’ultima abbia un contenuto omogeneo e le censure siano formulate in modo tale da non ingenerare dubbi sull’oggetto e le ragioni dell’impugnativa” (sent. n. 50, ma anche n. 384).
Discorso analogo può farsi relativamente alle delibere d’impugnazione adottate dal Consiglio dei ministri. Anche in questi casi, infatti, la Corte non ha preso in considerazione le generiche censure avverso una legge regionale nella sua interezza, limitando il suo esame soltanto alle parti della delibera governativa sufficientemente determinate, in genere in base alle censure contenute nella proposta ministeriale (sentt. nn. 106, 150, 300, 360, 391, 393 e ord. n. 428).
Spostando l’attenzione sui conflitti d’attribuzione, particolare interesse rivestono le indicazioni fornite dalla Corte circa i rapporti tra tale tipo di giudizio e quello di legittimità costituzionale sulle leggi: in sede di conflitto non è ammesso lamentare l’illegittimità costituzionale di leggi delle quali gli atti di natura amministrativa impugnati costituiscano applicazione (5). Altrimenti, infatti, si avrebbe una sorta di giudizio di legittimità costituzionale “indiretto”, con l’elusione dei termini di cui all’art. 127 Cost. e la lesione delle prerogative del giudice a quo.
La circostanza, tuttavia, che un conflitto sia sollevato nei confronti di un provvedimento amministrativo contestualmente al ricorso proposto in via principale avverso un atto avente forza di legge non è, di per sé, ostativa all’esame nel merito del conflitto. La menomazione delle attribuzioni lamentata dal ricorrente, però, deve essere autonomamente imputabile all’atto impugnato (sent. n. 386) (6).
 
2.2.   Profili soggettivi
 
Non si riscontrano novità riguardo all’individuazione dei soggetti legittimati a intervenire nel giudizio principale, confermandosi sostanzialmente la giurisprudenza costituzionale pregressa (7): sono stati, infatti, dichiarati inammissibili gli interventi di soggetti diversi dai titolari di competenze legislative, ancorché destinatari attuali o potenziali delle norme impugnate (ord. n. 20 e sentt. nn. 150, 232, 336, 355, 378, 383 e 469). Sembrerebbe aprire tuttavia uno spiraglio verso possibili cambiamenti della posizione della Corte l’ordinanza n. 20, ove l’inamissibilità dell’intervento di soggetti diversi viene dichiarata anche “non essendo stati addotti argomenti che inducano questa Corte ad abbandonare il proprio precedente indirizzo” (8).
 
2.3.   Vizi deducibili
 
Nessuna soluzione di continuità rispetto al passato si registra anche nelle affermazioni della Corte in materia di vizi deducibili dallo Stato e dalle Regioni nel ricorso principale.
Lo Stato, pertanto, è legittimato a impugnare una legge regionale per contrasto con qualsiasi norma costituzionale (sentt. nn. 190 e 277), mentre le Regioni possono lamentare soltanto la lesione delle proprie competenze costituzionalmente previste (sentt. nn. 36, 37, 270 e 285). Ciò non significa, tuttavia, “che i parametri evocabili siano soltanto quelli degli articoli 117, 118 e 119 Cost., bensì che il contrasto con norme costituzionali diverse può essere efficacemente addotto soltanto se esso si risolva in una esclusione o limitazione dei poteri regionali” (sentt. nn. 50, 62 e 383) (9).
La Corte ha ribadito inoltre che le Regioni sono legittimate a denunciare la legge statale per violazione di competenze degli enti locali qualora vi sia una stretta connessione tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali (e ciò è vero in particolare in tema di finanza regionale e locale) (10). In questa eventualità, infatti, è possibile ritenere che “la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali” (sent. n. 417).
Non altrettanto significative appaiono, invece, le altre pronunce in cui viene in discussione l’interesse a ricorrere (sent. nn. 26, 36 e 37) (11).
 
2.4.   Questioni di legittimità
 
Piuttosto numerose sono le pronunce con cui la Corte ha individuato i requisiti delle questioni di legittimità costituzionale sollevate con ricorso principale.
In continuità con la precedente giurisprudenza (12), si è ribadito che il ricorso debba, a pena d’inammissibilità, identificare esattamente la questione nei suoi termini normativi (sentt. nn. 306, 360, 450 e 462), sia indicando le norme costituzionali e ordinarie in conflitto (sentt. nn. 37, 270 e 277), sia apprestando una pur sintetica argomentazione di merito (sentt. nn. 335, 406 e 417).
Proprio l’esigenza di una precisa delimitazione della questione di legittimità ha portato la Corte alla declaratoria d’inammissibilità di numerose questioni, per l’eterogeneità delle disposizioni impugnate, per l’aspecificità, la genericità o la contradittorietà delle censure proposte (sentt. nn. 50, 205, 336, 383 e 462), nonché per l’assenza di motivazione (sent. nn. 323, 335, 406 e 417) o più in generale per l’insufficiente descrizione della fattispecie (ord. n. 476). Le impugnazioni di interi provvedimenti legislativi, in particolare, devono avere un contenuto omogeneo e le singole censure devono essere sufficientemente precise (sentt. nn. 50 e 62).
Non solo, peraltro, “lo scrutinio e la decisione della Corte trovano quindi precisi limiti nei termini reali in cui il ricorso, al di là del suo tenore letterale, è stato proposto” (sent. n. 26), ma le memorie presentate dal ricorrente in vista dell’udienza non possono sanare il vizio originario di genericità del ricorso (sent. n. 406).
Ha trovato ulteriore conferma, infine, la costante giurisprudenza secondo la quale, a differenza del giudizio incidentale, “il giudizio in via principale può ben concernere questioni sollevate sulla base di interpretazioni prospettate dal ricorrente come possibili, soprattutto nei casi in cui (…) sulla legge non si siano ancora formate prassi interpretative in grado di modellare o restringere il raggio delle sue astratte potenzialità applicative e le interpretazioni addotte dal ricorrente non siano implausibili e irragionevolmente scollegate dalle disposizioni impugnate, così da far ritenere le questioni del tutto astratte o pretestuose” (sentt. nn. 249 e 449) (13).
 
2.5.   Parametro
 
Sotto lo specifico profilo dei parametri invocati, ha innanzitutto trovato applicazione il principio della prevalenza del diritto comunitario (sent. n. 286).
A proposito delle autonomie speciali si è confermato che le norme d’attuazione e d’integrazione degli Statuti speciali siano idonei a porsi quale parametro del giudizio di costituzionalità (sent. n. 287, relativa allo Statuto del Trentino-Alto Adige ) (14). La Corte, inoltre, ha dichiarato essere inammissibili le questioni in cui sia carente una valutazione da parte del ricorrente delle ragioni per cui dovrebbe essere assunto a parametro l’art. 117 Cost. e non lo Statuto speciale (sentt. nn. 65, 202, 203, 304 e 321).
Relativamente ad altri profili deve segnalarsi la dichiarazione della cessazione della materia del contendere riguardo all’impugnazione di una disposizione di legge regionale per contrasto con una legge statale che si poneva quale norma interposta: in tal caso, infatti, era già intervenuto l’annullamento di un'altra disposizione della stessa legge, con l’effetto di differire l’efficacia della norma impugnata a un periodo in cui non sarebbe stata più vigente la legge di cui lo Stato lamentava la lesione (sent. n. 397).
Per contro non influisce sul giudizio l’abrogazione di disposizioni statali invocate quali norme interposte o quali principi fondamentali, qualora le nuove norme siano entrate in vigore successivamente alla proposizione del ricorso (sent. n. 388).
 
 
2.6.   Oggetto
 
Sul piano dell’individuazione dell’oggetto del giudizio, si è riconosciuto che anche la mera novazione della fonte, data dalla riproduzione di disposizioni statali in una legge regionale, possa essere idonea a ledere una competenza esclusiva dello Stato (sent. n. 26). Soluzione parzialmente diversa - a meno di voler escludere che in tal caso si trattasse di novazione della fonte – si è avuta nei confronti di una norma regionale che ripeteva sinteticamente il contenuto definitorio di una legge statale, ritenuta inidonea a ledere le competenze dello Stato (sent. n. 34).
A giudizio della Corte, poi, l’abrogazione di una disposizione di un decreto legge in sede di conversione non preclude l’esame nel merito delle censure prospettate contro di essa, qualora debba ritenersi che la disposizione in questione abbia avuto concreta applicazione nel periodo di vigenza del decreto legge (sent. n. 383). La Corte ha specificato, tuttavia, l’irrilevanza della transitorietà di una disciplina “una volta che si riscontri (…) che essa eccede dalla competenza della Regione e viola limiti a questa imposti dalla Costituzione” (sentt. nn. 62 e 232 e, in tono minore, 465).
“Per aversi materia di un conflitto di attribuzione tra Regione e Stato, è necessario”, invece, “che l’atto impugnato sia idoneo a ledere la sfera di competenza costituzionale dell’ente configgente” (sentt. nn. 72 e 73). La lesione delle attribuzioni costituzionali, tra l’altro, “ben può concretarsi anche nella mera emanazione dell’atto invasivo della competenza, potendo perdurare l’interesse dell’ente all’accertamento del riparto costituzionale delle competenze” (sent. n. 287).
Come da pregressa giurisprudenza costituzionale, infine, “la materia dei conflitti fra Stato e Regioni, o fra Regioni (…) non comprende la vindicatio rei da parte di uno di tali enti nei confronti di un altro” (sentt. nn. 177 e 302 e, incidentalmente, sent. n. 209). Tale tipo di giudizio, dunque, non può avere a oggetto la contestazione riguardo alla titolarità di un determinato bene da parte dello Stato o delle Regioni.
 
 
2.7.   Riunione dei giudizi e separazione delle decisioni con riserva di ogni decisione sulle restanti questioni di legittimità costituzionale
 
L’assenza di omogeneità delle questioni sollevate da più ricorsi e all’interno di ogni singolo ricorso talvolta ha spinto la Corte a optare per una trattazione separata delle questioni prive di collegamento (sentt. nn. 51, 231, 304 e 323).
La Corte ha sovente provveduto, per contro, alla riunione delle questioni di cui ravvisasse la connessione oggettiva dei ricorsi, l’analogia delle questioni sollevate e l’omogeneità o identità della materia e dei profili d’illegittimità costituzionale (sentt. nn. 30, 31, 35, 36 e 71). Le questioni in tal modo riunite sono state risolte con un'unica pronuncia, riservandosi la Corte di decidere sulle altre questioni (sentt. nn. 50, 62, 95,107, 150,162, 171, 222, 234, 242, 270, 277, 324, 336, 378, 417 e 431, ord. n. 349).
Si conferma, peraltro, che la scissione e riunione dei ricorsi è un rimedio escogitato per districare il contenzioso che sorge intorno a provvedimenti statali omnibus come le leggi finanziarie e a provvedimenti statali come la c.d. legge Biagi (sentt. nn. 50 e 384). Casi di separazione di questioni si sono registrati, come già accennato, anche con riferimento a due ricorsi statali risolti con 4 sentenze (sentt. nn. 277 e 462; 304 e 323)
Anche nel giudizio incidentale, infine, l’identità tra le questioni di costituzionalità ha portato alla riunione dei giudizi e alla loro trattazione congiunta (sent. n. 147).
 
 
2.8.   Tipi di decisioni
 
Deve registrarsi, nelle sentenze di rigetto, una generale tendenza della Corte a privilegiare il criterio dell’interpretazione conforme a Costituzione per scongiurare la dichiarazione di illegittimità (cfr. sentt. nn. 145, 249, 407 e ord. n. 250).
Non sono mancate le occasioni, peraltro, per emettere decisioni manipolative, di carattere additivo (sentt. nn. 51, 162, 219, 242, 279, 285, 383, 384), ablativo (sentt. nn. 30, 145, 270, 321, 383, 384, 397, 431, 445, 456) nonché sostitutivo (sentt. nn. 31, 222, 279, 383).
A queste decisioni devono affiancarsi i 14 casi in cui, nel giudizio principale, è stata dichiarata l’estinzione del processo per rinuncia al ricorso (ordd. nn. 6, 40, 329, 349, 353, 412, 426, 478; sentt. nn. 270, 272, 329), rinuncia generalmente motivata dall’abrogazione, sostituzione o modifica del provvedimento impugnato (nell’ord. n. 353, in virtù dell’entrata in vigore di un nuovo statuto regionale rispetto a quello impugnato). In 3 casi, tuttavia, la rinuncia non ha richiesto l’accettazione della controparte poiché il resistente non si era costituito in giudizio (ordd. nn. 6, 353 e 478). Anche nei conflitti d’attribuzione si sono registrati 3 casi di estinzione del processo per rinuncia al ricorso (ordd. nn. 4, 217 e324).
In 18 casi, inoltre, si è dichiarata la cessazione della materia del contendere, generalmente a causa del venir meno, per abrogazione o modifica, della normativa che ha dato origine al ricorso (sentt. nn. 50, 108, 205, 272, 304, 378, 383, 407; ordd. nn. 428, 474, 477). L’abrogazione della legge impugnata non determina la cessazione della materia del contendere, qualora la normativa abbia comunque trovato attuazione (sent. n. 200).
Peculiare il caso della cessazione della materia del contendere consequenziale alla promulgazione parziale di una legge regionale siciliana, con omissione delle parti impugnate (ordd. nn. 103, 169, 293 e 403)
Deve segnalarsi, inoltre, l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza d’interesse in conseguenza di una precedente pronuncia della Corte costituzionale, che aveva profondamente modificato la normativa oggetto d’impugnazione (sent. n. 71).
L’inammissibilità della questione è stata invece pronunciata in carenza dei presupposti soggettivi e oggettivi di un conflitto (sent. n. 121).
In 2 casi, infine, la Corte - dichiarando l’incostituzionalità di una normativa statale lesiva delle competenze statutarie attribuite alla Provincia autonoma di Trento - ha esteso gli effetti della decisione anche alla Provincia di Bolzano in virtù dell’identità di contenuto della normativa statutaria (sentt. nn. 145 e 263).
 
 
2.9.   Principio di continuità
 
Il principio di continuità è richiamato dalla Corte in alcune sue pronunce allo scopo di evitare che l’impatto della revisione del Titolo V della Costituzione possa pregiudicare posizioni giuridiche soggettive in ambiti particolarmente delicati o il funzionamento di determinati settori strategici dell’economia.
La necessità di evitare l’interruzione dell’esercizio da parte dello Stato di determinate funzioni e servizi pubblici, che avrebbe potuto pregiudicare posizioni soggettive e interessi rilevanti, ha reso infatti legittima la disciplina statale che sottrae alle Regioni l’allocazione di alcune funzioni amministrative in materie di competenza concorrente, purché tale disciplina abbia carattere transitorio e sia pertanto applicabile sino all’adozione di una nuova disciplina regionale (sentt. nn. 50 e 384).
L’esigenza, nelle more dell’attuazione dell’art. 119, di non privare dei finanziamenti necessari settori strategici dell’economia nazionale, ha consentito invece di giustificare gli interventi statali tesi a incrementare le disponibilità di fondi preesistenti alla riforma del Titolo V, pur nel rispetto del principio di leale collaborazione (sent. n. 162).
 
 
3.      Art. 123
 
Non prive d’interesse sono le pronunce relative al procedimento d’approvazione dei nuovi statuti regionali ordinari.
Innanzitutto, l’entrata in vigore di un nuovo Statuto, conformemente ai rilievi contenuti nell’impugnazione governativa della deliberazione statutaria della Regione Liguria, ha prodotto l’estinzione del giudizio (ord. n. 353).
I rapporti tra il procedimento referendario ex art. 123 Cost. e il giudizio di costituzionalità sugli statuti in seguito a ricorso governativo sono affrontati invece con la sentenza n. 445 che ha ad oggetto una legge della Regione Liguria in materia di referendum statutario. A giudizio della Corte, ogni pronuncia di accoglimento “determina di per sé una mutazione dell’oggetto del referendum, sia nell’ipotesi che successivamente si proceda ad una nuova deliberazione statutaria da parte del Consiglio regionale, sia nell’ipotesi che si debba semplicemente prendere atto di un effetto meramente demolitorio di parte della deliberazione statutaria prodotto dalla sentenza di questa Corte”. Le operazioni del procedimento referendario eventualmente compiute prima del ricorso del Governo saranno quindi inefficaci.
La Corte ha inoltre dichiarato l’inammissibilità del ricorso governativo avverso statuti privati di parti precedentemente annullate con sentenza di accoglimento (sent. n. 469) (15). Si tratterebbe, infatti, di un’impugnazione successiva alla seconda pubblicazione del testo statutario, configurando un ricorso di tipo successivo ai sensi dell’art. 127 Cost., in contrasto con l’art. 123, che ha previsto un peculiare regime per il controllo di costituzionalità degli statuti.
La Corte ha, tuttavia, riconosciuto la teorica possibilità di una reiterazione del ricorso governativo avverso gli statuti regionali. In linea di principio, infatti, non può escludersi che la deliberazione statutaria parzialmente annullata dalla Corte venga modificata ad opera del Consiglio regionale, suscitando nuovi dubbi di legittimità costituzionale. In questi casi il dies a quo per l’impugnazione del Governo decorrerebbe dalla data della nuova pubblicazione notiziale del testo statutario.
Non è stato sciolto, tuttavia, il dubbio sulle modalità di approvazione senza modifiche di uno statuto parzialmente annullato: deve ancora esprimersi la Corte sulla necessità di un nuovo procedimento d’approvazione ex art. 123 Cost. o di una semplice delibera consiliare a maggioranza assoluta (Cardone) o semplice (Bin), come nel caso esaminato.
L’ordinanza n. 479, infine, ha dichiarato l’inammissibilità del conflitto d’attribuzione promosso dal Comitato promotore del referendum sullo Statuto dell’Umbria in seguito all’annullamento parziale avvenutio con la sentenza n. 378 del 2004. La Corte, infatti, ha ribadito che “né la Regione né singoli organi di essa possono essere considerati “poteri dello Stato” (16).
 
 
4.      Il limite degli obblighi comunitari
 
Prosegue anche nel 2005 il “cammino comunitario” della Corte costituzionale nel giudizio in via principale.
L’art. 117, comma 1, ha trovato applicazione come parametro di costituzionalità per lesione degli obiettivi posti da una direttiva comunitaria, assunta a norma interposta (sent. n. 406): a giudizio della Corte sussisteva un palese contrasto, in particolare, tra la legge impugnata e i provvedimenti d’attuazione ed esecuzione della direttiva, in gran parte adottati dalla Commissione europea.
In un altro caso solo la diversità di oggetto della normativa comunitaria e della legge regionale impugnata ha portato alla infondatezza delle censure sollevate (sent. n. 150).
La diretta efficacia della normativa comunitaria nell’ordinamento interno acquista, quindi, sempre più consistenza nella giurisprudenza costituzionale.
La Corte ha riconosciuto al diritto comunitario anche un ruolo rilevante nell’attività d’individuazione dei principi fondamentali delle materie, poiché tale attività “non può prescindere dall'analisi dello specifico contenuto e delle stesse finalità ed esigenze perseguite a livello comunitario. In altri termini, gli obiettivi posti dalle direttive comunitarie, pur non incidendo sulle modalità di ripartizione delle competenze, possono di fatto richiedere una peculiare articolazione del rapporto norme di principio-norme di dettaglio” (sent. n. 336).
Proprio per assicurare il rispetto dei canoni, previsti dalla direttiva comunitaria, di tempestività e non discriminazione nel rilascio di alcune autorizzazioni si è ritenuta necessaria una disciplina statale di trasposizione (sent. n. 336). Infatti “dal punto di vista costituzionale, rinviene un idoneo presupposto giustificativo nella necessità di garantire, per esigenze unitarie, una attuazione uniforme e puntuale della normativa comunitaria nell’intero territorio nazionale”: in nome di tali esigenze le funzioni amministrative relative all’attuazione della normativa comunitaria in materia di quote latte e di prelievo supplementare, in attesa della riforma organica del settore, continueranno a essere svolte dall’AIMA (sent. n. 50).
Il diritto comunitario è stato altresì richiamato quale strumento argomentativo integrativo della dichiarazione d’illegittimità costituzionale delle norme impugnate (sentt. nn. 34 e 35).
Il limite degli obblighi comunitari è stato applicato alla Regione Valle d’Aosta direttamente in virtù dello Statuto che impone alla Regione il rispetto degli obblighi internazionali, senza la necessità di far applicazione dell’art. 117, comma 1, Cost. (sent. n. 286).
 
 
5.      Riparto delle competenze e sussidiarietà
 
5.1.   La c.d. “chiamata in sussidiarietà”
 
Trova conferma la tendenza della Corte a temperare la rigidità del riparto materiale delle competenze ricorrendo al c.d. “criterio della dimensione degli interessi”, che per sua natura ha caratteristiche di flessibilità (Camerlengo). In tal modo, in presenza di esigenze unitarie o di connessione tra competenze regionali e statali, si sono legittimati spostamenti in capo allo Stato di competenze legislative e amministrative.
Nelle sentenze (le sent. nn. 31 e 242, ma anche la n. 383) relative alla c.d. “chiamata in sussidiarietà” di funzioni amministrative (17), tale deroga al riparto di competenze è stata, infatti, considerata ammissibile in base a una valutazione dell’interesse pubblico proporzionata e ragionevole, che valorizzi le esigenze unitarie sottese all’esercizio statale.
La legge statale che, in nome di esigenze unitarie, intenda legittimamente attribuire funzioni amministrative a livello centrale e regolarne l'esercizio deve, tuttavia, rispettare i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza nell’allocazione delle funzioni amministrative. La legittimità di una tale legge è inoltre condizionata alla previsione di una disciplina idonea alla regolazione delle suddette funzioni, che risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tale fine (sent. n. 62).
In base a questi principi, il ricorrere di esigenze unitarie è stato riconosciuto in materia di ricerca scientifica (sentt. nn. 31 e 260); riguardo alla politica economica di rilevanza nazionale, in virtù dell’ineludibile responsabilità degli organi statali in materia, anche al di là della specifica utilizzabilità dei singoli strumenti elencati nel secondo comma dell’art. 117 Cost. (sent. n. 242); qualora siano in gioco interessi di tipo previdenziale all’interno della disciplina della tutela del lavoro (sent. n. 50); al fine di favorire lo sviluppo della tecnologia digitale terrestre di trasmissione radiotelevisiva, ambito nel quale, pur in assenza di una chiara ricognizione della materia, vengono in considerazione una pluralità di competenze, esclusive e concorrenti, dello Stato (tutela della concorrenza, del pluralismo dell’informazione, sviluppo tecnologico), senza però che si determini una prevalenza di una delle stesse (sent. n. 151); riguardo alle attività di disciplina e sostegno del settore cinematografico, ove il livello di governo regionale e infraregionale appare strutturalmente inadeguato a soddisfare lo svolgimento di tutte le tipiche e complesse attività necessarie, che risulterebbero esposte al rischio di eccessivi condizionamenti localistici nella loro gestione (sent. n. 285); in materia energetica (sent. n. 383).
Deve infine ricordarsi che la chiamata in sussidiarietà comporta lo spostamento delle relative competenze legislative, ma non consente allo Stato l’emanazione di regolamenti in materie di competenza concorrente; la legge in questione, infatti, “non può spogliarsi della funzione regolativa affidandola a fonti subordinate, neppure predeterminandone i principi che orientino l’esercizio della potestà regolamentare per circoscriverne la discrezionalità” (sent. n. 30).
 
 
5.2.   Leale collaborazione
 
Trattandosi di una forma di flessibilizzazione del riparto di competenze, la chiamata in sussidiarietà deve prevedere un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale da condursi in base al principio di lealtà. Per tale ragione, in assenza di idonei strumenti di partecipazione delle Regioni ai procedimenti legislativi statali, devono essere previsti adeguati meccanismi di cooperazione per l’esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali in materie che esulino dalla competenza esclusiva dello Stato (sent. n. 62).
Proprio la giurisprudenza sulla chiamata in sussidiarietà ha offerto occasioni alla Corte per concretizzare le forme di questo principio cardine del regionalismo italiano. Il principio di leale collaborazione è stato, infatti, di frequente richiamato quale parametro di legittimità nel giudizio in via principale, anche se la sua violazione potrebbe portare in casi limite all’ammissibilità di un ricorso in sede di giudizio sui conflitti intersoggettivi (sent. n. 383). Talvolta invece l’intervento statale è stato scrutinato esclusivamente alla stregua dei criteri di proporzionalità e ragionevolezza, senza alcuna valutazione sul rispetto del principio di leale collaborazione (sent. n. 151).
Non sono mancati casi in cui la leale collaborazione avrebbe dovuto, a giudizio della Corte, assumere la veste dell’intesa “in senso forte”, vale a dire non superabile da una decisione unilaterale dello Stato, soprattutto quando la chiamata in sussidiarietà sia connessa con una molteplicità di funzioni regionali (sentt. nn. 31, 62, 222).
L’esigenza di leale cooperazione insita nell’intesa, tuttavia, non esclude a priori la possibilità di meccanismi idonei a superare l’ostacolo del mancato raggiungimento di un accordo sul contenuto del provvedimento da adottare (sent. n. 62). Tali strumenti sostitutivi dell’intesa, anzi, risultano necessari specie quando la rilevanza degli interessi pubblici sia tale da rendere perentoria l’esigenza di provvedere. Essi, tuttavia, non devono declassare l’attività di codeterminazione connessa all’intesa in una mera attività consultiva (sent. n. 378).
Per tale motivo, sebbene la previsione di un provvedimento concertato tra Ministro e Regione nella nomina del Presidente dell’autorità portuale rispetti il principio in esame, la possibilità per il Ministro di far prevalere il suo punto di vista, ottenendo l’avallo dal Consiglio dei ministri, “è tale da rendere quanto mai debole, fin dall’inizio del procedimento, la posizione della Regione che non condivida l’opinione del Ministro e da incidere sulla effettività del potere di codeterminazione”, con conseguente illegittimità della disciplina (sent. n. 378).
La procedura dell’intesa, infatti, “esige lo svolgimento di reiterate trattative volte a superare, nel rispetto del principio di leale cooperazione tra Stato e Regione, le divergenze che ostacolino il raggiungimento di un accordo” (sent. n. 339).
Se la mancata previsione del parere obbligatorio della Conferenza Stato-Regioni non determina di per sé l’illegittimità costituzionale di decreti legislativi e di leggi di conversione di decreti legge adottati in materia regionale (sentt. nn. 272 e 384), la validazione da parte delle Regioni delle convenzioni in materia di cooperative sociali e inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati (sent. n. 50) è legittima espressione di lealtà nei rapporti intersoggettivi.
Altro filone giurisprudenziale in cui il ricorso al principio di leale collaborazione assume un ruolo decisivo è quello relativo agli ambiti in cui vi sia un intreccio di competenze legislative Stato-Regioni (vedi infra, par. 6.1), frequente in particolare quando vi sia il coinvolgimento delle c.d. competenze esclusive statali “trasversali”, che per loro natura sono idonee a comprimere competenze regionali di tipo concorrente o residuale. Un caso tipico è dato dagli interventi finanziari statali in materie di potestà residuale regionale (vedi infra, par. 8.13), ove si richiede in genere il raggiungimento dell’intesa con la Conferenza Stato-Regioni (sentt. nn. 162 e 222). Analogamente è avvenuto in tema di materie “complesse” (Caretti) come l’istruzione, divisa tra competenza esclusiva e concorrente (sent. n. 279).
In assenza di un obbligo di adottare specifici strumenti costituzionalmente vincolati di concretizzazione del principio di leale collaborazione, tuttavia, spetta alla discrezionalità del legislatore la predisposizione di regole che comportino il coinvolgimento regionale, potendo tale principio essere diversamente modulato (sent. n. 231). Infatti, “il livello e gli strumenti di tale collaborazione possono naturalmente essere diversi in relazione al tipo di interessi coinvolti e alla natura e all’intensità delle esigenze unitarie che devono essere soddisfatte” e “lo Stato deve essere posto in condizioni di assicurare egualmente la soddisfazione dell’interesse unitario coinvolto, di livello ultraregionale” (sent. n. 62).
In conclusione, mentre lo spostamento di competenze in virtù della “chiamata in sussidiarietà” sembrerebbe richiedere il linea di principio la realizzazione del principio di leale collaborazione nella forma dell’intesa “forte”, quando il rispetto di tale principio deve essere assicurato per sciogliere un mero intreccio di competenze, le modalità di realizzazione possono essere diverse a seconda del livello degli interessi coinvolti.
 
 
5.3.   Poteri sostitutivi
 
Qualora invece siano le Regioni tra loro a non raggiungere l’intesa – ad esempio, per adottare le autorizzazioni alla costruzione ed esercizio delle reti - a giudizio della Corte è legittimo l’intervento statale in sostituzione (sent. n. 383). Tuttavia “il secondo comma dell’art. 120 Cost. non può essere applicato ad ipotesi (…) nelle quali l’ordinamento costituzionale impone il conseguimento di una necessaria intesa fra organi statali e organi regionali per l’esercizio concreto di una funzione amministrativa attratta in sussidiarietà al livello statale in materie di competenza legislativa regionale e nella perdurante assenza di adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni nell’ambito dei procedimenti legislativi dello Stato” (sent. n. 383).
Riguardo ai poteri sostitutivi regionali nei confronti di atti degli enti locali, la Corte ribadisce la sua ormai costante giurisprudenza (18), secondo cui l’art. 120, comma 2, della Costituzione consentirebbe alla legge regionale, nelle materie di propria competenza, l’esercizio di poteri sostitutivi in capo a organi regionali, in caso di inerzia o di inadempimento da parte dell’ente locale ordinariamente competente. Data l’eccezionalità degli interventi sostitutivi, tuttavia, “la legge regionale è tenuta al rispetto di alcuni principi connessi essenzialmente all’esigenza di salvaguardare, pur nello svolgimento di procedure di sostituzione, il valore costituzionale dell’autonomia degli enti locali”. Si pensi al principio secondo cui l’esercizio del potere sostitutivo deve essere affidato in ogni caso a un organo di governo della Regione o almeno deve essere attuato sulla base di una decisione di questi; in tal senso, non può considerarsi organo di governo il difensore civico, in quanto titolare soltanto di funzioni connesse alla tutela della legalità e della regolarità dell’azione amministrativa (sent. n. 167).
 
 
6.      Oggetto e materie
 
Anche per la delimitazione delle materie e per la collocazione di un oggetto in una o più materie è necessario, a giudizio della Corte, operare in via generale secondo un principio di lealtà nei rapporti tra enti.
Per dichiarare l’illegittimità di una norma statale la Corte ha ritenuto sufficiente l’impossibilità di ascriverla ad alcuna delle materie di cui all’art. 117, comma secondo, Cost., senza specificare a quale materia dovesse ricondursi la relativa disciplina sulle misure agevolative per i distretti industriali della nautica da diporto (sent. n. 107.
Come da costante giurisprudenza costituzionale (19), si è ribadito inoltre che la regolamentazione delle sanzioni spetta al soggetto nella cui sfera di competenza rientra la disciplina della materia la cui inosservanza costituisce l’atto sanzionabile (sent. n. 384).
In conformità ad alcuni precedenti (20), si è anche confermato che “per individuare i contenuti delle “materie” elencate nei commi secondo e terzo dell’art. 117 Cost. (…) utili elementi possono trarsi anche dalla normativa precedente la modifica stessa, considerata nelle sue sistemazioni e nelle sue valutazioni” (sent. n. 26). Infatti, “al fine di identificare la materia o le materie cui le disposizioni censurate attengono occorre tener conto del contesto storico-sistematico in cui s’inseriscono” (sent. n. 231).
 
 
6.1.   Intreccio di più materie e competenze in un unico oggetto
 
La Corte ha messo a fuoco altri criteri, conformi allo spirito collaborativo che dovrebbe animare il regionalismo italiano, per la composizione delle interferenze di più materie e di più competenze in un unico oggetto (sentt. n. 50 e anche nn. 219 e 231).
Innanzitutto “l’inquadramento in una materia piuttosto che in un’altra deve riguardare la ratio dell’intervento legislativo nel suo complesso e nei suoi aspetti fondamentali, non anche aspetti marginali o effetti riflessi dell’applicazione della norma” (sent. n. 30). Sulla scorta del mero criterio finalistico non è tuttavia sempre possibile esaurire i profili di un oggetto in un’unica materia.
A tal fine si dovrebbe applicare un criterio di prevalenza che viene in soccorso (21), “qualora appaia evidente l’appartenenza del nucleo essenziale di un complesso normativo ad una materia piuttosto che ad altre”.
In ogni altro caso, invece, deve ricorrersi al principio di leale collaborazione, “che per la sua elasticità consente di aver riguardo alle peculiarità delle singole situazioni” (sent. 231). L’assenza di criteri rigidi di risoluzione dei conflitti dati dall’intreccio di competenze, a detta della Corte, va risolto preferibilmente attraverso lo strumento dell’intesa (sentt. nn. 50 e 51). L’adeguatezza delle forme di collaborazione tra Stato e Regioni è particolarmente rilevante qualora l’intreccio riguardi competenze statali e regionali, anche se le modalità di coinvolgimento regionale possono essere diverse a seconda dei casi.
 
 
6.1.2.   Segue: casi pratici d’intreccio di competenze e materie
 
Nell’esercizio delle funzioni amministrative spettanti agli organi centrali deve essere, quindi, garantita la partecipazione degli altri livelli di governo coinvolti, attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, attraverso adeguati meccanismi di cooperazione, tenuto conto dell’intreccio di ambiti materiali (sent. n. 431)
Emblematica in tal senso è la già esaminata sentenza n. 285, relativamente alle attività di promozione cinematografica, secondo cui “è indispensabile ricondurre ai moduli della concertazione necessaria e paritaria fra organi statali e Conferenza Stato-Regioni tutti quei numerosi poteri di tipo normativo o programmatorio che caratterizzano il nuovo sistema di sostegno ed agevolazione delle attività cinematografiche, in modo da permettere alle Regioni (in materie che sarebbero di loro competenza) di recuperare quantomeno un potere di codecisione nelle fasi delle specificazioni normative o programmatorie. Diversamente, nei casi in cui vengano in esame procedure caratterizzate dalla natura tecnica del potere normativo ivi previsto, o l’esercizio di delicati poteri di nomina appare necessario e sufficiente che questi atti vengano adottati con il parere della Conferenza Stato-Regioni”.
Anche nei casi in cui la Corte abbia ricondotto una disciplina alla sola competenza esclusiva statale, l’eventuale incidenza delle scelte statali sulle competenze regionali può rendere necessario il coinvolgimento delle Regioni. Un esempio in tal senso si ha nella sentenza n. 31, ove l’intreccio tra le materie ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali e coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale ha legittimato le norme che attribuiscono a organi dello Stato l’adozione di provvedimenti amministrativi tesi alla razionalizzazione delle p.a. e allo sviluppo tecnologico. La forte incidenza sull’esercizio concreto delle funzioni nella materia dell’organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti locali, però, rende necessaria l’intesa con la Conferenza unificata.
La Corte, inoltre, in virtù della competenza in materia di tutela dell’ambiente, ha riconosciuto la legittimità dell’allocazione a livello statale di funzioni amministrative al fine di realizzare un impianto necessario per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi esistenti o prodotti sul territorio nazionale; non ha potuto, tuttavia, escludere la possibilità per le Regioni di intervenire nell’esercizio delle loro competenze in tema di tutela della salute e di governo del territorio con finalità di tutela ambientale, seppur nel rispetto dei livelli minimi di tutela apprestati dallo Stato e con l’esigenza di non impedire od ostacolare gli interessi unitari (sent. n. 62) (22).
Un settore in cui piuttosto frequente è risultato sussistere intreccio tra competenze diverse è quello della disciplina del lavoro intesa in senso ampio.
Così, ad esempio, il concorso tra diverse materie, tutte di competenza esclusiva statale - ordinamento civile e giurisdizione e norme processuali - si è registrato a proposito della valenza probatoria del contratto di lavoro e in merito alla conciliazione delle controversie di lavoro (sentt. nn. 50 e 384), in virtù della loro incidenza sul sistema di composizione delle liti e sulla normativa civilistica del contratto di lavoro. La disciplina delle deroghe al regime generale del contratto di inserimento per i lavoratori svantaggiati è stata ascritta, invece, alle competenze ordinamento civile e previdenza, in virtù delle finalità di tipo latamente previdenziale perseguite (sent. n. 50).
Sempre in tale ambito, ancor più numerosi sono stati i casi d’intreccio tra competenze statali e regionali.
Si pensi alla disciplina dei contratti di lavoro a contenuto formativo, in particolare l’apprendistato, ove concorrono sia la competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile poiché vi rientra la formazione aziendale, sia la competenza concorrente in materia di tutela del lavoro in particolare quando vengano previsti limiti quantitativi alle assunzioni di apprendisti, sia il complessivo ordinamento dell’istruzione, in cui s’intrecciano la competenza concorrente e quella esclusiva statale (sentt. nn. 50 e. 51).
Discorso analogo può farsi a proposito dei lavori socialmente utili. In tale disciplina, infatti, concorrono l’esigenza di agevolare l’accesso all’occupazione che, attenendo al collocamento, rientra nella materia tutela del lavoro di competenza concorrente, nonché finalità latamente previdenziali, che evocano sia la materia delle politiche sociali, compresa nella competenza regionale residuale (23), sia quella della previdenza sociale, di competenza esclusiva dello Stato; la competenza residuale regionale, inoltre, è coinvolta pure sotto l’ulteriore profilo della formazione professionale dei soggetti assegnati a lavori socialmente utili, nella misura in cui siffatta assegnazione persegua anche finalità formative. Tale forte intreccio di competenze rende necessaria la previsione di strumenti idonei a garantire una leale collaborazione fra Stato e Regioni non consentendosi, ad esempio, la stipula di convenzioni direttamente tra lo Stato e i Comuni per il finanziamento statale di attività rientranti in materie di competenza legislativa regionale (sent. n. 219).
Allo stesso modo, le attività dirette a promuovere l’osservanza delle norme in materia di lavoro e di previdenza, prevedendo l’organizzazione di apposite attività di aggiornamento e formazione per il personale a ciò deputato, interessano le competenze esclusive dello Stato in materia di ordinamento civile e previdenza sociale, ma s’intrecciano con la competenza regionale in materia di formazione professionale, rendendo necessario un coinvolgimento delle Regioni attraverso il parere della Conferenza Stato-Regioni (sent. n. 384).
Quanto detto è stato ribadito anche per i progetti concernenti il coinvolgimento dei lavoratori nella gestione delle aziende, ascrivibili sia alla tutela del lavoro, sia all’ordinamento civile (sent. n. 231).
Numerosi esempi possono poi riscontrarsi anche in altri settori: la gestione finanziaria delle amministrazioni pubbliche, ad esempio, è stata ricondotta alla competenza concorrente in tema di coordinamento della finanza pubblica e alla competenza esclusiva statale del coordinamento statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale (sent. n. 35).
Analogamente avviene nel caso della disciplina dei centri di permanenza temporanei per gli immigrati. La stessa normativa statale in materia di immigrazione e diritto di asiloe condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea, infatti, prevede che una serie di attività vengano esercitate dallo Stato in stretto coordinamento con le Regioni, affidando alcune competenze direttamente a queste ultime; l’intervento pubblico, infatti, riguarda necessariamente ambiti come l’assistenza, l’istruzione, la salute, l’abitazione, ove si registra un intreccio di competenze dello Stato con quelle regionali (sent. n. 300).
Un forte intreccio di competenze si riscontra anche nell’ambito della rete delle infrastrutture di comunicazione elettronica (sent. n. 336), in cui concorrono, tra i titoli di competenza esclusiva statale, le materie ordinamento civile, coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale, tutela della concorrenza e della tutela dell'ambiente; tra i titoli di legittimazione regionale, tutti di competenza concorrente, vengono in rilievo, invece, la tutela della salute, per i profili inerenti alla protezione dall'inquinamento elettromagnetico; l'ordinamento della comunicazione, per quanto riguarda gli impianti di telecomunicazione o radiotelevisivi; il governo del territorio, per tutto ciò che attiene all'uso del territorio e alla localizzazione di impianti o attività.
 
 
6.2.   Materie-non materie
 
Alcune importanti statuizioni si sono registrate anche a proposito delle c.d. materie “trasversali” (D’Atena), in cui ha rilievo primario il profilo finalistico o teleologico della disciplina e in cui, quindi, “la coesistenza di competenze normative rappresenta la generalità dei casi” (sent. n. 232).
Ha fatto discutere la nuova giurisprudenza sull’ordinamento civile, la cui ricostruzione come materia trasversale (Bartole, Pitruzzella) appariva in continuità con il sistema previgente, configurandosi come nuova formulazione del limite del diritto privato che operava nel senso di sottrarre alle Regioni i profili civilistici dei rapporti giuridici rientranti dal punto di vista materiale nella competenza regionale (24).
La Corte sembrerebbe, invece, aver mutato orientamento con la dichiarazione di illegittimità di una norma della Provincia autonoma di Bolzano in base alla mera incidenza su un istituto previsto dal codice civile (sent. n. 106) (Lamarque). L’ordinamento civile, in tal modo, sembrerebbe configurarsi, non tanto come materia trasversale, quanto quale nucleo “essenziale” del diritto privato (Alpa).
Non è mancata, tuttavia, un’espressa configurazione dell’ordinamento civile quale nuova formulazione del limite del “diritto privato”, manifestazione dell’esigenza, connessa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire l’uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra privati (sent. n. 234).
Ha trovato pacifica conferma, invece, la natura trasversale delle materie ordinamento penale (sent. n. 172), ordine pubblico e sicurezza (sentt. nn. 95 e 383), tutela della concorrenza (sentt. nn. 50, 134, 175 e 285) nonché tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. Quest’ultima è stata qualificata come valore costituzionalmente protetto che “investe altre competenze che ben possono essere regionali, spettando allo Stato il compito di fissare standard di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale” (sent. nn. 108, 135, 214, 383, 391, 393).
Si è ribadita la natura finalistica inoltre della materia dell’armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (in particolare la sent. n. 35). Si è confermato il carattere trasversale e finalistico anche della materia della tutela dei beni culturali, precisando che essa “ha un proprio ambito materiale, ma nel contempo contiene l’indicazione di una finalità da perseguire in ogni campo in cui possano venire in rilievo beni culturali. Essa costituisce anche una materia-attività” (25) (sent. n. 232). Ne deriva pertanto una sovrapposizione con materie di competenza concorrente delle Regioni, quali il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali, richiedendo un necessario coordinamento tra Stato e Regioni, come del resto esplicitamente previsto riguardo ai beni culturali dall’art. 118 Cost.
E’ stata esclusa, invece, la natura “trasversale” della materiaordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali (sent. n. 270).
Tra le materie-non materie deve annoverarsi, infine, la ricerca scientifica, la cui voce non rientra nel secondo comma dell’art. 117 (sent. n. 31).
 
 
7.            Potestà esclusiva statale
 
Come si evince da quanto appena detto in tema di materie trasversali, la competenza esclusiva dello Stato, anche grazie alla giurisprudenza costituzionale, abbraccia tutte le ipotesi in cui siano riscontrabili esigenze unitarie e infrazionabili. Il principio unitario in tal modo garantito coinvolge inevitabilmente anche ambiti non espressamente riservati allo Stato dal secondo comma dell’art. 117.
 
 
7.1.   Autonomo titolo di legittimazione: la ricerca scientifica
 
Si è confermata, in particolare, la giurisprudenza costituzionale sulla ricerca scientifica (26), che “deve essere considerata non solo una “materia”, ma anche un “valore” costituzionalmente protetto (artt. 9 e 33 della Costituzione), in quanto tale in grado di rilevare a prescindere da ambiti di competenze rigorosamente delimitati”. Proprio tale carattere trasversale della materia ha consentito un’inversione di rotta rispetto al progressivo spostamento di questo valore nell’ambito delle competenze regionali (27). La natura valoriale di tale materia consente allo Stato in particolare d’intervenire autonomamente in relazione alla disciplina delle istituzioni di alta cultura, università e accademie, che hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato (art. 33, sesto comma, Cost.)”, prevedendo detta norma una “riserva di legge” (28) statale che “ricomprende in sé anche quei profili relativi all’attività di ricerca scientifica che si svolge, in particolare, presso le strutture universitarie” (sent. n. 31).
 
 
7.2.   Politica estera e rapporti internazionali dello Stato; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea (lett. a)
 
Si è ribadito che la cooperazione allo sviluppo è da considerarsi parte integrante della politica estera dell’Italia (sent. n. 449).
Come si è già accennato, inoltre, la competenza statale in materia di diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea non esclude la possibilità per le Regioni di svolgere, nell’ambito dell’attività di monitoraggio sui centri di permanenza temporanea, compiti di assistenza e funzioni sanitarie, nonché prevedere forme di partecipazione degli stranieri immigrati all’integrazione sociale (sent. n. 300, per cui vedi supra, par. 6.1.2).
 
7.3.   Immigrazione (lett. b)
 
Tali competenze attribuite alle Regioni non interferiscono, infatti, con la potestà esclusiva statale in materia di immigrazione (sent. n. 201).
A quest’ultima voce la Corte ha ricondotto, inoltre, il mantenimento da parte dello Stato delle funzioni amministrative relative alla gestione dei flussi di entrata dei lavoratori non appartenenti all’Unione europea e all’autorizzazione per attività lavorative all’estero (sent. n. 50); nonché il procedimento di legalizzazione del lavoro irregolare degli immigrati extracomunitari per i casi di mancanza od invalidità del permesso di soggiorno (sent. n. 300).
 
 
7.4.   Difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato (lett. d)
 
La Corte è tornata sulla disciplina del servizio civile nazionale, già ricondotto alla materia difesa (29) in quanto forma alternativa alla difesa armata della Patria, consistendo nella “prestazione di comportamenti di impegno sociale non armato”. Nell’area della potestà legislativa statale, tuttavia, ricade soltanto la disciplina dei profili organizzativi e procedurali di detto servizio (sent. n. 431): in particolare “allo Stato è riservata la programmazione e l’attuazione dei progetti a rilevanza nazionale” secondo linee di programmazione, indirizzo e coordinamento e norme individuanti caratteristiche uniformi per tutti i progetti di servizio civile nazionale.
Invece alle Regioni e alle Province autonome è demandato il compito di occuparsi, nell’ambito delle rispettive competenze, della realizzazione dei progetti di servizio civile nazionale di rilevanza regionale o provinciale; esse, inoltre, hanno “la possibilità di istituire e disciplinare (…) un proprio servizio civile regionale o provinciale, distinto da quello nazionale, nell’ottica del perseguimento dell’ampia finalità di realizzazione del principio di solidarietà espresso dall’art. 2 della Costituzione” (sent. n. 431).
Quanto detto comporta l’illegittimità costituzionale di discipline regionali che intervengano su aspetti attinenti l’organizzazione del servizio civile nazionale, quale ad esempio il tempo di durata complessiva dello stesso. Allo stesso modo, spetta allo Stato la determinazione degli standard dei crediti formativi spettanti ai soggetti che, ai fini del compimento di periodi obbligatori di pratica professionale o di specializzazione, aspirano al conseguimento delle abilitazioni richieste per l’esercizio delle professioni (sent. n. 431).
 
 
7.5.   Tutela della concorrenza; sistema tributario e contabile dello Stato (lett. e)
 
7.5.1.   Tutela della concorrenza
 
In continuità con la sua giurisprudenza (30), la Corte ha sottolineato la natura trasversale della competenza statale in materia di tutela della concorrenza, la cui ratio è quella di assicurare allo Stato la possibilità di adottare strumenti che attengano allo sviluppo economico del paese (sentt. nn. 242 e 336). Gli interventi statali, pertanto, si giustificano per la loro rilevanza macroeconomica e dunque “solo in tale quadro è mantenuta allo Stato la facoltà di adottare sia specifiche misure di rilevante entità, sia regimi di aiuto ammessi dall’ordinamento comunitario (fra i quali gli aiuti de minimis), purché siano in ogni caso idonei, quanto ad accessibilità a tutti gli operatori ed impatto complessivo, ad incidere sull’equilibrio economico generale” (sent. n. 77). Per tali ragioni “la peculiarità e selettività dei requisiti richiesti ai potenziali beneficiari” delle misure statali “a favore delle imprese o dei consorzi di imprese operanti nei distretti industriali dedicati alla nautica da diporto, che insistono in aree del demanio fluviale e che ospitano in approdo almeno cinquecento posti barca”, nonché “l’eseguità delle somme globalmente stanziate, escludono in radice la possibilità di qualificare le disposizioni impugnate come volte a favorire la concorrenza, intesa in senso dinamico” (sent. n. 107).
È dunque la dimensione nazionale e la funzione di stimolo del mercato a legittimare gli interventi finanziari statali a tutela della concorrenza (sent. n. 134), tenuto conto che solo lo Stato può porre in essere strumenti di politica economica tendenti a svolgere sull’intero mercato nazionale un’azione di promozione e sviluppo (sent. n. 175).
 Ne discende, quindi, che l’esercizio di tale competenza può sovrapporsi ad ogni tipo e forma di finanziamento delle attività riconducibili alle materie di competenza legislativa delle Regioni, sia di tipo concorrente che residuale (sent. n. 285).
 
7.5.2.   Sistema tributario e contabile dello Stato
 
Anche riguardo alla materia dei tributi la Corte ha confermato la sua giurisprudenza (31), indicando che, “salvi i casi previsti dalla legge statale, si deve tuttora ritenere preclusa la potestà delle Regioni di legiferare sui tributi esistenti e regolati da leggi statali” (32), senza che rilevi, in contrario, la devoluzione del relativo gettito alle Regioni (sentt. nn. 335, 397, 431 e 455).
 
 
7.6.   Ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali (lett. g)
 
Nel ricostruire lo spazio d’intervento nella materia ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali, la Corte ha escluso che ad essa possa attribuirsi natura “trasversale”, in grado di giustificare “qualsivoglia intervento legislativo indipendentemente dalle specifiche funzioni che ad un determinato ente pubblico vengano in concreto attribuite e dalle materie di competenza legislativa cui tali funzioni afferiscano” (sent. n. 270). Lo Stato può quindi attribuire a enti pubblici nazionali solo “funzioni afferenti a materie di propria legislazione esclusiva, oppure nei casi in cui (…) intervenga in sussidiarietà proprio mediante la previsione e la disciplina di uno o più appositi enti pubblici nazionali” (sent. n. 270). Rientrano in questa materia, infatti, le disposizioni relative al Garante per la protezione dei dati personali ed ai suoi poteri (sent. n. 271).
In nome di tale competenza lo Stato può peraltro adottare una disciplina statale di contenimento della spesa pubblica attraverso la contrazione graduale degli organici di personale alle dipendenze dello Stato (sent. n. 37). Attiene a tale materia, inoltre, la definizione dei compiti e dell’impegno orario del personale docente, dipendente dallo Stato, senza che sia interessata la competenza regionale in materia di istruzione (sent. n. 279).
Da ultimo, la dimensione nazionale dell'interesse sotteso e la sua infrazionabilità consentono di ricondurre alla materia in esame e non al quella delle professioni, di competenza concorrente, anche la disciplina concernente l’organizzazione degli Ordini e dei Collegi professionali (vedi infra, par. 8.4.) (sent. n. 405).
Resta comunque precluso alle Regioni adottare una disciplina che influisca “direttamente sui modi del reclutamento e (…) sui contenuti e sugli effetti di tale reclutamento in relazione al personale delle pubbliche amministrazioni, ivi comprese (…) le sedi centrali e gli uffici periferici di amministrazioni ed enti pubblici a carattere nazionale” (sent. n. 26).
 
 
7.7.   Ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale (lett. h)
 
Richiamando i suoi precedenti (33), la Corte ha precisato che la materia ordine pubblico e sicurezza si riferisce “all’adozione delle misure relative alla prevenzione dei reati ed al mantenimento dell’ordine pubblico”, specificando anche che il termine ordine pubblico va inteso in senso diverso rispetto a quello di cui alla disciplina codicistica (sentt. nn. 95 e 383).
 
 
7.8.   Giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa (lett. l)
 
7.8.1.   Giurisdizione e norme processuali
 
La Corte ha ascritto a tale materia, piuttosto che alla tutela del lavoro, di competenza concorrente, la previsione di un regime sanzionatorio civilistico e penalistico per i casi di violazione della disciplina della mediazione privata nei rapporti di lavoro (sentt. nn. 50 e 384).
 
 
7.8.2.   Ordinamento civile
 
Numerose sono le pronunce con cui si è contribuito a individuare gli spazi d’azione della materia ordinamento civile (supra, par. 6.2.).
L’esclusività statale di tale materia discende dal fatto che non può ammettersi una disciplina non uniforme delle modalità di adempimento delle obbligazioni (sent. n. 106).
A contrario, la Corte ha escluso che possa ritenersi attinente a tale materia una normativa che abbia lo scopo di garantire l’efficienza, la semplificazione e il risparmio delle entrate e delle uscite dei bilanci pubblici, senza intervenire nella disciplina di diritti (sent. n. 30).
Ad essa deve invece ascriversi la disciplina intersoggettiva di qualsiasi rapporto di lavoro (sent. n. 50): ogni normativa che abbia riflessi sul sinallagma e sul regolamento contrattuale può essere ascritta alla materia in questione. Così, ad esempio, è accaduto per la regolamentazione dell’istruzione e della formazione professionale che i privati datori di lavoro somministrano in ambito aziendale ai loro dipendenti o la disciplina del contratto d’inserimento e l’indicazione dei soggetti abilitati a stipularlo (sent. nn. 50 e 384); ancora, per le norme sulla somministrazione di manodopera o di lavoro altrui e sui rapporti che da essa nascono tra fornitore e utilizzatore e sui diritti dei lavoratori o quelle inerenti la distinzione tra appalto lecito e interposizione vietata (sent. n. 50); per la disciplina inerente alle modalità di svolgimento delle funzioni ispettive, nonché relativa ai soggetti preposti all’esercizio di tali funzioni, quando tesa a verificare il rispetto della normativa civilistica (sent. n. 384).
A tale materia la Corte ha ricondotto, in applicazione del criterio della prevalenza, anche le norme relative alla procedura di emersione del lavoro irregolare (c.d. “sommerso”), con l’esclusione degli aspetti fiscali e previdenziali (ascrivibili all’art. 117, secondo comma, lettere e) ed o) della Costituzione); tali norme incidono, infatti, sulla disciplina del regolamento contrattuale e dunque sul diritto privato (sentt. nn. 234 e 384).
Deve essere ascritta all’ordinamento civile anche la disciplina del trattamento dei dati personali, salvo per quanto concerne la regolamentazione del “Garante per la protezione dei dati personali”, riconducibile all’art 117, comma II, lett. g), Cost.: la legislazione sui dati personali in particolare non concerne prestazioni di cui alla lett. m), bensì la disciplina stessa “di una serie di diritti personali attribuiti ad ogni singolo interessato, consistenti nel potere di controllare le informazioni che lo riguardano e le modalità con cui viene effettuato il loro trattamento” (sent. n. 271).
La Corte non ha invece specificato se rientrasse in tale materia la censurata legge regionale che eliminava l’automatica cessazione dei rapporti di diritto privato con la fine della legislatura, per contrasto con l’art. 97 (sent. n. 277).
 
 
7.8.3.   Ordinamento penale
 
In continuità con la giurisprudenza pregressa (34), la materia ordinamento penale è stata individuata “come l’insieme dei beni e valori ai quali viene accordata la tutela più intensa e che essa nasce nel momento in cui il legislatore nazionale pone norme incriminatrici, mediante la configurazione delle fattispecie, l’individuazione dell’apparato sanzionatorio e la determinazione delle specifiche sanzioni” (sent. n. 172).
La Regione, tuttavia, può intervenire a garanzia di esigenze cautelari, ad esempio a tutela dell’immagine, della credibilità e della trasparenza dell’amministrazione regionale, disponendo il trasferimento di sede o l’attribuzione ad altro incarico del dipendente condannato per i reati contro la pubblica amministrazione con sentenza di primo grado (sent. n. 172).
 
 
7.9.   Determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (lett. m)
 
Continuità con le precedenti decisioni ha mostrato anche la giurisprudenza costituzionale su questa materia (35), precisandosi che “tale titolo di legittimazione legislativa non può essere invocato se non in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione, risultando viceversa del tutto improprio e inconferente il riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., al fine di individuare il fondamento costituzionale della disciplina, da parte dello Stato, di interi settori materiali” (sentt. nn. 285 e 383).
È stata ricondotta nella determinazione dei livelli essenziali anche l’assistenza integrativa relativa ai prodotti destinati ad un’alimentazione differenziata, in quanto attinente a prestazioni concernenti il diritto fondamentale alla salute, da garantirsi in modo uniforme su tutto il territorio nazionale (sent. n. 467).
 
 
7.10. Norme generali sull’istruzione (lett. n)
 
Notevole importanza assumono le indicazioni giurisprudenziali che contribuiscono a definire puntualmente la differenza tra le diverse possibilità d’intervento attribuite allo Stato in materia d’istruzione, attraverso sia le “norme generali” che può dettare nell’esercizio della sua competenza esclusiva sia i “principi fondamentali” che può indicare nell’ambito della competenza concorrente. Secondo la Corte tale distinzione va effettuata ponendo attenzione alla ratio delle disposizioni costituzionali e pertanto “le norme generali in materia di istruzione sono quelle sorrette, in relazione al loro contenuto, da esigenze unitarie e, quindi, applicabili indistintamente al di là dell’ambito propriamente regionale” (sent. n. 279). Poiché le competenze statali possono incidere anche su competenze regionali concorrenti o residuali, può richiedersi tuttavia la previsione di forme adeguate di coinvolgimento regionale, nel rispetto del principio di leale collaborazione (nella specie il parere della Conferenza Stato-Regioni), non essendosi ritenuto invece necessario il coinvolgimento degli enti locali (nella specie tramite l’ANCI), che sono privi di competenze in materia.
Il ricorrere di esigenze unitarie, pertanto, consente di qualificare come norme generali sull’istruzione quelle concernenti la scelta della tipologia contrattuale da utilizzare per gli incarichi di insegnamento facoltativo da affidare agli esperti e l’individuazione dei titoli loro richiesti; stessa natura deve attribuirsi alle disposizioni concernenti la fissazione del limite di età per l’iscrizione a qualsiasi scuola, rappresentando l’omogeneità anagrafica una condizione minima di uniformità in materia scolastica (sent. n. 279).
La Corte ha, inoltre, precisato come non leda la competenza statale in esame una disciplina regionale che si proponga di predisporre “interventi a supporto di un’offerta formativa in un settore, quale è quello dell’istruzione per l’infanzia, nel quale sono più che mai direttamente coinvolti i principî costituzionali che riguardano l’educazione e la formazione del minore (artt. 2, 29, 30 e 31 Cost.)” (sent. n. 34).
 
 
7.11. Previdenza sociale (lett. o)
 
Alla previdenza sociale è stata ricondotta la disciplina inerente alle modalità di svolgimento delle funzioni ispettive, nonché relativa ai soggetti preposti all’esercizio di tali funzioni, quando tesa a verificare il rispetto della normativa previdenziale (sent. n. 384).
 
 
7.12.Coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale (lett. r)
 
La Corte costituzionale, in continuità conla sua giurisprudenza (36), conferma che l’attribuzione a livello centrale in materia di coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale “si giustifica alla luce della necessità di assicurare una comunanza di linguaggi, di procedure e di standard omogenei, in modo da permettere la comunicabilità tra i sistemi informatici della pubblica amministrazione” (sent. n. 31).
Rientrano in tale materia “anche i profili della qualità dei servizi e della razionalizzazione della spesa in materia informatica, ove ritenuti necessari al fine di garantire la omogeneità nella elaborazione e trasmissione dei dati” (sent. n. 31). Alla materia in esame è stata ricondotta infatti una disciplina statale che predisponga modalità uniformi di rappresentazione e di trasmissione di dati contabili (incassi e pagamenti), che vengono resi omogenei al fine di aggregarli per poter così predisporre la base informativa necessaria al controllo delle dinamiche reali della finanza pubblica (sent. n. 35).
Allo stesso modo, è espressione di tale competenza statale una disciplina in materia di conduzione coordinata e integrata del sistema informativo “lavoro”, perché mezzo idoneo al coordinamento sull’intero territorio nazionale, pur non escludendosi la facoltà delle Regioni di disciplinare la predisposizione in sede regionale di sistemi di raccolta dati (sent. n. 50).
La competenza in esame giustifica pertanto la previsione di discipline statali finalizzate all’innovazione tecnologica, stabilendo appositi finanziamenti ed attribuendo ad organi statali funzioni amministrative in tal senso, che abbiano un’incidenza anche sull’organizzazione amministrativa regionale e degli enti locali, “nei limiti in cui siano garantite adeguate procedure collaborative”, specificatamente l’intesa con la Conferenza unificata (sent. n. 31).
Qualora, anzi, tale potere legislativo di coordinamento di tipo tecnico non venga esercitato, le Regioni possono assumere “autonome iniziative” “aventi ad oggetto la razionale ed efficace organizzazione delle basi di dati che sono nella loro disponibilità ed anche il loro coordinamento paritario con le analoghe strutture degli altri enti pubblici o privati operanti sul territorio”. Esiste quindi una competenza regionale nella disciplina e gestione di una propria rete informativa, potendo le Regioni, nelle materie di propria competenza legislativa, disciplinare procedure o strutture organizzative che prevedano il trattamento di dati personali, pur ovviamente nell’integrale rispetto della legislazione statale sulla loro protezione (sent. n. 271).
Da ultimo, rientra nell’esercizio della competenza in esame la possibilità di dettare disposizioni regolamentari che determinino il contenuto dei modelli da usare nella presentazione dell'istanza di autorizzazione e della denuncia di inizio attività concernenti l’istallazione d’impianti di produzione, distribuzione e utilizzo dell’energia (sent. n. 336).
 
 
7.13. Tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (lett. s)
 
Assai numerose sono le decisioni in materia di tutela dell’ambiente, in cui la Corte ribadisce le conclusioni raggiunte nella sue precedenti pronunce.
In via generale (sentt. nn. 108, 214 e 306) trova conferma la natura “trasversale” di tale materia (37), per la quale “non si può parlare di una “materia” in senso tecnico, qualificabile come “tutela dell’ambiente”, riservata rigorosamente alla competenza statale, giacché essa, configurandosi piuttosto come un valore costituzionalmente protetto, investe altre competenze che ben possono essere regionali, spettando allo Stato il compito di fissare standard di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale (…), con la conseguenza che la competenza esclusiva dello Stato non è incompatibile con interventi specifici del legislatore regionale che si attengano alle proprie competenze”. La tutela dell’ambiente, quindi, “si configura come una competenza statale non rigorosamente circoscritta e delimitata, ma connessa e intrecciata con altri interessi e competenze regionali concorrenti”, in cui “risulta legittima l’adozione di una disciplina regionale maggiormente rigorosa rispetto ai limiti fissati dal legislatore statale”.
Tuttavia, come già affermato dalla Corte (38), in materia ambientale “non solo le Regioni ordinarie non hanno acquisito maggiori competenze, invocabili anche dalle Regioni speciali, ma, al contrario, una competenza legislativa esclusiva in tema di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema è stata espressamente riconosciuta allo Stato, sia pure in termini che non escludono il concorso di normative delle Regioni, fondate sulle rispettive competenze, al conseguimento di finalità di tutela ambientale”. Ciò fa sì che, “in presenza della competenza statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), i poteri della Regione nel campo della tutela della salute non possono consentire, sia pure in nome di una protezione più rigorosa della salute degli abitanti della Regione medesima, interventi preclusivi suscettibili, come nella specie, di pregiudicare, insieme ad altri interessi di rilievo nazionale (…), il medesimo interesse della salute in un ambito territoriale più ampio” (39) (sent. n. 62).
Ne deriva la possibilità per lo Stato d’intervenire nella disciplina delle cave, in linea di principio di competenza regionale, qualora ricorrano esigenze ambientali, come nel caso delle cave poste nei parchi nazionali, non consentendosi deroghe in peius alla disciplina statale (che ne consente l’ammissibilità solo secondo un preciso procedimento), senza che si possa distinguere tra “piccole deroghe” (tollerate) e “grandi deroghe” (non tollerate) (sent. n. 108)”.
La natura trasversale della materia in esame viene in rilievo relativamente alle verifiche ispettive, che attiene alla disciplina dei controlli sui rischi di incidenti rilevanti, la quale incide su una pluralità di interessi e di oggetti, in parte di competenza esclusiva dello Stato, ma in parte anche di competenza concorrente delle Regioni. La centralità delle verifiche ispettive nella disciplina dei controlli sui rischi di incidenti rilevanti, tuttavia, porta la Corte ad affermare che “deve riconoscersi che rientra nella ratio di una effettiva tutela dell’ambiente riservare allo Stato non soltanto un potere di disciplina uniforme per tutto il territorio nazionale, ma anche le potestà amministrative necessarie a garantire l’adeguatezza degli standard di precauzione” (sent. n. 135).
Come la Corte ha più volte ribadito (40), rientra nella competenza in esame anche la disciplina concernente la delimitazione temporale del prelievo venatorio, in quanto rivolta ad assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili, espressione dell’esigenza di dettare standard minimi di tutela della fauna (sentt. nn. 391 e 393).
L’assetto delle competenze illustrato comporta inoltre la legittimità, in materia di controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi all’uso di sostanze pericolose, dell’attribuzione alla Provincia, da parte della Regione, di una competenza amministrativa conferita a quest’ultima (sent. n. 214). Lesiva è invece una disciplina regionale che ponga un divieto per gli impianti di smaltimento e/o stoccaggio di rifiuti della Regione di accogliere rifiuti extra-regionali, nella parte in cui si applica a tutti i tipi di rifiuti di provenienza extraregionale, anche quelli considerati pericolosi (sent. n. 161).
Anche riguardo all’inquinamento elettromagnetico la Corte conferma la sua giurisprudenza (41), secondo cui compete allo Stato la fissazione delle soglie di esposizione e cioè dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità relativi alla definizione dei valori di campo ai fini della progressiva minimizzazione dell'esposizione; alla competenza delle Regioni, invece, spetta la disciplina dell'uso del territorio in funzione della localizzazione degli impianti e quindi l’indicazione degli obiettivi di qualità, consistenti in criteri localizzativi degli impianti di comunicazione (sent. n. 336).
Al fine di garantire la sicurezza di funzionamento del sistema elettrico nazionale, è stata ritenuta legittima la disciplina che consente allo Stato di autorizzare l’esercizio temporaneo di singole centrali termoelettriche in deroga ai normali standard ambientali (sent. n. 383).
 
 
8.      Potestà concorrente
 
La Corte costituzionale, in continuità con i suoi precedenti (42), definisce i rapporti Stato-Regioni nell’esercizio della potestà legislativa concorrente, precisando che “la normativa statale deve limitarsi alla determinazione dei principi fondamentali, spettando invece alle Regioni la regolamentazione di dettaglio, trattandosi di fonti tra le quali non vi sono rapporti di gerarchia, ma di separazione di competenze” (sent. n. 30). Nelle materie di competenza concorrente deve dunque escludersi “ogni attività legislativa dello Stato se non per la sola determinazione dei principi fondamentali” (sent. n. 160).
Nel rispetto di tali principi la Regione disciplina la materia “con norme cogenti per tutti i soggetti, pubblici e privati, che operano sul territorio regionale”. “Esula da questo quadro una pretesa ripartizione verticale di competenze tale da rendere immuni dalla legislazione regionale gli organi statali operanti in un ambito materiale compreso nella potestà legislativa regionale” (sent. n. 467).
 
 
8.1.   Principi fondamentali
 
Hanno avuto varie applicazioni principi fondamentali risultanti dalla legislazione statale in vigore, come già più volte affermato si debba procedere in assenza di nuovi principi (sent. nn. 120, 319, 355 e 424) (43).
Non sono mancate infatti pronunce sulla definizione e individuazione dei principi fondamentali delle materie di competenza concorrente.
In via generale la Corte conferma l’ammissibilità di decreti legislativi recanti principi fondamentali (sent. nn. 50, 205, 270 e 384), in quanto “il rapporto tra la nozione di principi e criteri direttivi, che concerne il procedimento legislativo di delega, e quella di principi fondamentali della materia, che costituisce il limite oggettivo della potestà statuale nelle materie di competenza concorrente, non può essere stabilito una volta per tutte” (sent. n. 50). Si ribadisce così anche quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale più risalente (44), ove s’indicava la diversa natura ed il diverso grado di generalità che detti principi possono assumere rispetto ai “principi e criteri direttivi” previsti in tema di legislazione delegata dall’art. 76 della Costituzione.
La Corte si è pronunciata riguardo all’ampiezza e all’area di operatività dei principi fondamentali, affermando che le stesse non possano essere individuate in modo aprioristico e valido per ogni tipo possibile di disciplina normativa: tali principi non hanno carattere di “rigidità ed universalità”, ma devono essere calati nelle specifiche realtà normative a cui attengono, tenendo conto delle peculiarità di tali realtà (sentt. nn. 50 e 336).
Da ultimo, si è affermato che le direttive poste per la redazione della normativa secondaria possano essere intese “anche come nucleo di principi fondamentali cui deve ispirarsi l’esercizio della legislazione concorrente delle Regioni” (sent. n. 30).
 
 
8.2.   Tutela e sicurezza sul lavoro
 
Come già osservato in precedenza (vedi supra par. 7.8.2.),la Corte ha escluso che possa ricondursi alla materia tutela e sicurezza sul lavoro la disciplina intersoggettiva dei rapporti di lavoro, da ascriversi invece all’ordinamento civile (sent. nn. 50 e 384), così come le procedure di emersione progressiva del lavoro irregolare, salvo che per gli aspetti fiscali e previdenziali (sent. n. 234).
Rientra invece in tale ambito la disciplina dei servizi per l’impiego e in specie quella del collocamento, pur tenendo presente la possibilità che la stessa possa ricadere anche sotto la competenza statale nella determinazione dei livelli essenziali, in virtù dell’esigenza di soddisfare il diritto sociale al lavoro (art. 4 Cost.), nonché di garantire che il mercato del lavoro abbia dimensioni almeno nazionali, ai sensi dell’art. 120, primo comma, Cost.; a ciò si aggiunga anche la possibilità d’interferenza della competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, che certamente concerne l’attività d’intermediazione (sent. n. 50). Ne consegue la legittimità di una disciplina statale di principio che opti per un unico regime autorizzatorio o di accreditamento per chiunque voglia svolgere attività in senso generico di intermediazione in materia di lavoro, regolando anche alcuni aspetti generali del nuovo sistema del collocamento e della intermediazione connessi a tale regime unico (sent. n. 50).
Ancora, costituisce un legittimo principio fondamentale in materia di tutela del lavoro la previsione con legge statale di limiti quantitativi all’assunzione degli apprendisti, nonché l’indicazione del numero di contratti d’inserimento stipulabili con riguardo ai lavoratori legati da tale tipo di rapporto e che siano stati mantenuti in servizio; discorso analogo può farsi per la previsione di un apparato sanzionatorio per il mancato adempimento degli obblighi di legge nella disciplina del collocamento pubblico (sent. n. 50).
Da ultimo, nella materia in esame rientra la disciplina di banche dati concernenti le dinamiche del lavoro, il che comporta l’illegittimità di una normativa statale che escluda del tutto le Regioni da tale ambito, rendendosi necessaria la previsione dell’intesa con la Conferenza Stato-Regioni nell’attuazione di tale normativa (sent. n. 384).
 
 
8.3.   Istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e formazione professionale
 
Innanzitutto la Corte ha chiarito che i principi fondamentali in materia di istruzione, a differenza delle norme fondamentali, pur sorretti da esigenze unitarie, non esauriscono in se stessi la loro operatività, ma informano altre norme, più o meno numerose (sent. n. 279).
Principio fondamentale della materia è quindi la facoltà concessa al personale scolastico di fruire, ogni dieci anni di servizio, di un periodo annuale di aspettativa non retribuita, senza dover allegare alcun particolare motivo (sent. n. 34). Ancora, la competenza legislativa della Provincia di Trento in materia concorrente di istruzione elementare e secondaria non consente alla legge regionale di attribuire al personale insegnante temporaneo delle scuole a “carattere statale” la facoltà di svolgere, previa autorizzazione della competente struttura, altre attività senza limitazione d’oggetto purché non in conflitto di interessi con l'amministrazione di appartenenza o incompatibili con il rispetto degli obblighi di lavoro. Tale disciplina, infatti, è risultata lesiva del principio posto dalla legge statale che consente al personale docente unicamente l'esercizio della libera professione, previa autorizzazione del dirigente scolastico (sent. n. 407).
La Corte ha inoltre ascritto alla materia dell’istruzione e formazione professionale una disciplina regionale che “si muove sul versante del sostegno all’acquisizione o al recupero di conoscenze necessarie o utili per il reinserimento sociale e lavorativo”. Non viola alcuna competenza statale inoltre la regolamentazione da parte delle Regioni in tema di dimensionamento delle istituzioni scolastiche e quindi sulla programmazione scolastica (sent. n. 34).
Si è ricondotta alla materia in esame, e per alcuni profili alla tutela del lavoro, anche la disciplina degli asili nido, ammettendosi pertanto una competenza regionale, in particolare per l’individuazione di criteri per la gestione e l’organizzazione degli asili (45), dovendosi invece escludere che tali aspetti organizzativi possano consentire un intervento statale per la determinazione dei livelli essenziali (sent. n. 120).
La Corte, in continuità con i suoi precedenti (46), è infine intervenuta anche sui rapporti tra l’autonomia delle istituzioni scolastiche e la legislazione, statale o regionale, affermando che, pur prescindendo dalla questione se le Regioni ne possano far valere la violazione di tale autonomia questa “non può in ogni caso risolversi nella incondizionata libertà di autodeterminazione, ma esige soltanto che a tali istituzioni siano lasciati adeguati spazi che le leggi statali e quelle regionali, nell’esercizio della potestà legislativa concorrente, non possono pregiudicare” (sent. n. 37).
 
 
8.4.   Professioni
 
La materia delle professioni è stata oggetto di numerosi interventi della Corte costituzionale nel corso del 2005, con cui si sono fissati alcuni importanti principi.
In primo luogo, si stabilisce come la riconducibilità della disciplina dell’esercizio delle professioni alla materia in esame prescinda dalla natura o dall’oggetto dell’attività professionale, che potrebbero ricondurre tale attività anche sotto altre materie (sent. n. 424).
In secondo luogo, con particolare attenzione alle professioni sanitarie, la Corte ha affermato che “dal complesso dell'ampia legislazione statale già in vigore, (…) si ricava, al di là dei particolari contenuti di singole disposizioni, il principio fondamentale per cui l'individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e ordinamenti didattici, è riservata alla legislazione statale” (sentt. n. 319, ma anche nn. 355 e 424). Alla discrezionalità del legislatore regionale residua comunque un certo margine nella possibilità di specificare ulteriormente tali figure (sent. n. 459).
Anche l’istituzione di albi professionali rientra tra gli ambiti di disciplina riservati allo Stato, con la conseguente illegittimità, ad esempio, di una legge regionale istitutiva di un registro regionale degli amministratori di condominio (sent. n. 355).
Devono essere invece ricondotte alla competenza esclusiva statale in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali le discipline normative che incidano sull'ordinamento e sull'organizzazione degli Ordini e dei Collegi professionali. L’esigenza di assicurare l’unitaria salvaguardia di un rilevante interesse pubblico richiede, infatti, che sia lo Stato a prevedere specifici requisiti di accesso e a istituire appositi enti pubblici ad appartenenza necessaria, cui affidare il compito di curare la tenuta degli albi professionali, nonché di controllare il possesso e la permanenza dei requisiti in capo a coloro che sono già iscritti o che aspirino ad iscriversi, al fine di garantire il corretto esercizio della professione a tutela dell'affidamento della collettività.
Le Regioni, tuttavia, possono certamente regolamentare le professioni per il cui esercizio non sia prevista l'iscrizione ad un Ordine o Collegio e, limitatamente ai profili non attinenti all'organizzazione degli Ordini e Collegi, anche quelle per le quali detta iscrizione è prevista (sentt. n. 405). Si distingue così tra disciplina delle professioni c.d. “ordinistiche” e “non ordinistiche”, escludendosi sostanzialmente una possibilità d’intervento regionale nella disciplina delle prime (Bindi).
 
 
8.5.   Ricerca scientifica
 
In precedenza si è avuto modo di osservare (vedi supra, par. 7.1.) come la Corte riconosca alla ricerca scientifica natura di “valore” costituzionalmente protetto (artt. 9 e 33 della Costituzione) in grado di rilevare a prescindere da ambiti di competenze rigorosamente delimitati. Ne discende a favore dello Stato un autonomo titolo di legittimazione che consente allo stesso d’intervenire mediante finanziamenti a progetti di ricerca senza che si determini alcun vulnus a competenze regionali (sent. n. 31).
Un’ulteriore competenza statale è poi riconosciuta, anche al di fuori di tale ambito, “in relazione ad attività di ricerca scientifica strumentale e intimamente connessa a funzioni statali, allo scopo di assicurarne un migliore espletamento, sia organizzando direttamente le attività di ricerca, sia promuovendo studi finalizzati”(sent. nn. 31 e 270).
Infine, la Corte riconosce al legislatore statale anche la possibilità di attribuire con legge funzioni amministrative a livello centrale per esigenze di carattere unitario, secondo la più volte esaminata procedura di “chiamata in sussidiarietà” (ancora sent. nn. 31 e 270).
 
 
8.6.   Tutela della salute
 
La Corte ha precisato innanzitutto che la materia “tutela della salute”abbraccia aspetti assai più ampi rispetto a quelli di cui alla precedente materia “assistenza ospedaliera” (sent. n. 270).
Nella delimitazione dei rapporti tra Stato e Regioni in tale materia la Corte ha dato notevole importanza agli aspetti finanziari della disciplina. In particolare rilevano gli accordi tra Stato e Regioni finalizzati al contenimento della spesa sanitaria e degli oneri a carico del Servizio sanitario nazionale.
Richiamando anche alcuni precedenti giurisprudenziali (47), la Corte ha ritenuto legittima una disciplina statale tesa a condizionare l’accesso delle Regioni ai finanziamenti integrativi per la realizzazione di uno svolgimento continuativo degli accertamenti diagnostici (sent. n. 36). Si tratterebbe, infatti, di un principio in termini di risultato, che lascia alla discrezionalità delle Regioni la scelta delle misure organizzative più appropriate per la realizzazione degli scopi indicati: “E’ infatti evidente che l’individuazione delle prestazioni essenziali, cui hanno diritto gli assistiti del servizio sanitario nazionale, rientra tra i compiti specifici del legislatore e della programmazione statali, anche per rendere confrontabili, nell’ambito dell’unitarietà del servizio sanitario, le prestazioni rese”.
Proprio le invocate esigenze di contenimento della spesa giustificano la possibilità per lo Stato di condizionare l’accesso a detti finanziamenti integrativi alla predisposizione da parte delle Regioni di meccanismi che prevedano la decadenza automatica dei direttori generali nell’ipotesi di mancato raggiungimento dell’equilibrio economico delle aziende sanitarie e ospedaliere. Spetta invece al legislatore regionale il potere di determinare i presupposti sostanziali e le forme procedimentali per infliggere detta sanzione. Ancora, si giustifica in tal modo una disciplina statale limitativa dei finanziamenti da parte delle imprese farmaceutiche (sent. n. 36).
Vari sono stati i principi individuati a proposito della erogazione delle prestazioni specialistiche, precisandosi “come l’evoluzione della legislazione sanitaria (…) abbia messo in luce che, subito dopo l’enunciazione del principio della parificazione e concorrenzialità tra strutture pubbliche e strutture private, con la conseguente facoltà di libera scelta da parte dell’assistito, si sia progressivamente imposto nella legislazione sanitaria il principio della programmazione, allo scopo di realizzare un contenimento della spesa pubblica ed una razionalizzazione del sistema sanitario” (sent. n. 200).
Per quanto concerne il profilo organizzativo della materia, la Corte ha affermato che “non può dubitarsi che di norma tutti gli enti pubblici operanti in queste materie di competenza delle Regioni siano oggetto della corrispondente potestà legislativa regionale (…), dal momento che la loro previsione e disciplina rappresenta una delle possibili opzioni organizzative per conseguire le finalità prescelte dall’ente costituzionalmente responsabile nella materia o nelle materie interessate”. Conseguenza di ciò è l’illegittimità di disposizioni di legge statale, relative al riordino degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS), che prevedano una presenza obbligatoria di rappresentanti ministeriali in ordinari organi di gestione di enti pubblici che non appartengono più all’area degli enti statali, nonché determinino quali siano le istituzioni pubbliche che possano designare la maggioranza del consiglio di amministrazione delle fondazioni (sent. n. 270).
La Corte è da ultimo intervenuta sul tema delle Aziende sanitarie locali (A.S.L.), che in seguito alla riforma del 1992-94 hanno sostituito le Unità sanitarie locali (U.S.L.), ricavando dalla normativa statale il principio fondamentale secondo cui le neoistituite A.S.L. inizino a operare completamente libere dai pesi delle passate gestioni. Da ciò, pertanto, deriva l’illegittimità costituzionale di una normativa regionale che non assicuri la separazione tra la gestione liquidatoria delle passività risalenti alle U.S.L. e le attività direttamente poste in essere dalle nuove A.S.L. (sent. n. 437).
Conforme al principio fondamentale in base al quale l’attività professionale del veterinario non deve svolgersi in contrasto con gli interessi e i fini istituzionali dell’unità sanitaria locale è il divieto regionale di esercitare la libera professione veterinaria nel territorio di competenza della A.S.R. presso la quale il medico veterinario svolge il proprio servizio di pubblico dipendente (sent. n. 147).
Sul piano della definizione della materia, invece, la Corte ascrive alla tutela della salute anche la disciplina della tutela igienica degli alimenti, ricavando un principio fondamentale che vincola le Regioni ad assicurare l’igiene degli alimenti “anche tramite la garanzia di alcuni necessari requisiti igienico-sanitari delle persone che operano nel settore, controllabili dagli imprenditori e dai pubblici poteri” (sent. n. 95).
 
 
8.7.   Alimentazione
 
Non rientra in tale materia la disciplina della igiene degli alimenti, come si è appena ricordato (sent. n. 95) né la somministrazione di pasti differenziati ai soggetti portatori di patologie (sent. n. 467).
 
 
8.8.   Governo del territorio
 
All’interno del governo del territorio un’importanza notevole assume la normativa relativa al condono edilizio (48) affermandosi che “dal momento che solo al legislatore statale spetta il potere di incidere sulla sanzionabilità penale, a quest’ultimo va riconosciuta la discrezionalità in materia di estinzione del reato o della pena, o di non procedibilità”. Inoltre, solo alla legge statale spetta l’individuazione della portata massima del condono edilizio straordinario, attraverso la definizione sia delle opere abusive non suscettibili di sanatoria, sia del limite temporale di realizzazione delle opere condonabili, sia delle volumetrie massime sanabili, mentre alle Regioni non può essere riconosciuto alcun potere di rimuovere i limiti massimi di ampiezza del condono individuati dal legislatore statale” (sentt. nn. 70 e indirettamente 71).
In tale materia rientrano senza dubbio anche l’urbanistica e l’edilizia (sentt. nn. 232, 336 e 343) con particolare riguardo alle distanze tra le costruzioni, pur attenendo essenzialmente ai rapporti tra proprietari di fondi confinanti, e dunque alla materia dell’ordinamento civile. La Corte, infatti, non ha escluso che vi sia anche un profilo pubblicistico, confermato dal fatto che già in epoca risalente si attribuiva rilevanza ai regolamenti locali. Principio fondamentale in materia è la determinazione della distanza minima. Con legge regionale è tuttavia possibile, nei limiti della ragionevolezza, fissare limiti maggiori; deroghe alle distanze minime con normative locali sono legittime purché siano previste in strumenti urbanistici funzionali a un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio e non in funzione d’interessi privati del proprietari dei fondi confinanti (sent. n. 232).
La Corte (sent. n. 383 (49)), tuttavia, ribadisce che la materia in esame comprende profili più ampi rispetto a quelli tradizionalmente appartenenti all’urbanistica e all’edilizia concernendo, in linea di principio, tutto ciò che attiene all’uso del territorio e alla localizzazione di impianti o attività e, dunque, l’insieme delle norme che consentono di identificare e graduare gli interessi in base ai quali possono essere regolati gli usi ammissibili del territorio. Tuttavia, ciò non consente di farvi rientrare tutta la disciplina concernente la programmazione, la progettazione e la realizzazione delle opere o l’esercizio delle attività che, per loro natura, producono un inevitabile impatto sul territorio.
L’ambito materiale cui ricondurre le competenze relative a opere che presentano una diretta o indiretta rilevanza in termini di impatto territoriale, pertanto, va ricercato attraverso la valutazione dell’elemento funzionale: l’interesse riferibile al governo del territorio e le connesse competenze non hanno carattere di esclusività, ma devono armonizzarsi e coordinarsi con la disciplina posta a tutela di tali interessi differenziati.
Riguardo alle misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale, lo Stato può porre una disciplina che individui puntualmente e in modo analitico una categoria di fonti di energia rispetto alle quali sarebbe preclusa ogni valutazione da parte delle Regioni. Anche nei casi in cui esigenze connesse agli indirizzi strategici nazionali richiedano concentrazioni territoriali di attività, impianti ed infrastrutture ad elevato impatto territoriale, la legge statale non può escludere gli impianti alimentati da fonti rinnovabili, determinandosi, in tal modo un’irragionevole compressione della potestà regionale di apprezzamento dell’impatto che tali opere possono avere sul proprio territorio (sent. n. 383).
Deve considerarsi quale principio fondamentale della materia l’obbligo d'invio alla Regione (o alla Provincia), al fine di sollecitarne le osservazioni, di copia dei piani attuativi di strumenti urbanistici regionali per i quali non è richiesta l'approvazione regionale (sent. n. 343).
La Corte, inoltre, ha stabilito che nella disciplina del governo del territorio sia possibile per le Regioni tenere conto “non soltanto dei beni culturali identificati secondo la normativa statale, ma eventualmente anche di altri, purché però essi si trovino a far parte di un territorio avente una propria conformazione e una propria storia” (sent. n. 232).
Da ultimo, la Corte ascrive alla materia in esame, in applicazione del criterio della prevalenza, la disciplina concernente l’apertura di sale cinematografiche, anche a fronte di profili attinenti alla promozione ed organizzazione di attività culturali di competenza concorrente (vedi infra par. 8.13), nonché inerenti alle attività commerciali, di potestà residuale regionale (sent. n. 285).
 
 
8.9.   Porti e aeroporti civili
 
In materia di porti e aeroporti civili la nomina del Presidente dell’Autorità portuale in base a un’intesa tra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e la Regione interessata, giustificata dal ricorrere d’interessi centrali e locali è legittima. Da censurare è invece la procedura tesa a superare il mancato raggiungimento dell’intesa stessa, poiché in contrasto con il principio di leale collaborazione (sent. n. 378, per cui vedi supra, par. 5.2.).
 
 
8.10. Ordinamento della comunicazione
 
Nell'individuazione dei principî fondamentali relativi al settore delle infrastrutture di comunicazione elettronica deve tenersi conto che ciascun impianto di telecomunicazione costituisce parte integrante di una complessa e unitaria rete nazionale. “Ciò comporta che i relativi procedimenti autorizzatori devono essere necessariamente disciplinati con carattere di unitarietà e uniformità per tutto il territorio nazionale, dovendosi evitare ogni frammentazione degli interventi” (sempre sent. n. 336), come sembrerebbe richiedere lo stesso diritto comunitario. Il ricorrere di tali esigenze unitarie, quindi consente allo Stato di adottare un disciplina di principio che limiti l’attività amministrativa regionale, attribuendo se del caso direttamente agli enti locali alcune funzioni di gestione.
 
 
8.11. Produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia
 
La Corte riconosce la legittimità di una normativa statale che intervenga in tale materia, prevedendo norme urgenti sulla produzione energetica, e stabilendo anche particolari regimi autorizzativi e deroghe al regime ordinario. La forte presenza d’interessi unitari nell’ambito del settore energetico, tuttavia, rende possibile il frequente “richiamo in sussidiarietà” da parte dello Stato di funzioni amministrative che esigono un’unitaria visione a livello nazionale ed un loro efficace coordinamento con gli altri connessi poteri in materie di esclusiva competenza legislativa dello Stato; in ogni caso, l’incidenza sul territorio dei provvedimenti inerenti lo sviluppo energetico rende imprescindibile il ricorso ad un’intesa forte tra gli organi dello Stato e le autonomie territoriali, rappresentate in sede di Conferenza unificata (sent. n. 383).
 
 
8.12. Valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali
 
Erroneamente il Governo non ha invocato la valorizzazione dei beni culturali nel ricorso avverso la legge regionale che stabiliva che i tronchi tratturali siano conservati e tutelati dalla Regione Puglia. La Corte ha comunque interpretato come vincolante il previsto parere della Sopraintendenza (sent. n. 388).
La Corte ascrive alla materia della promozione ed organizzazione di attività culturali, in continuità con la sua giurisprudenza (50), le attività di sostegno degli spettacoli, tra i quali evidentemente rientrano le attività cinematografiche, che nell’ottica della tutela dell’interesse, costituzionalmente rilevante, si collocano sul piano della promozione e dello sviluppo della cultura (art. 9 Cost.); non vengono in discussione, invece, competenze di tipo residuale delle Regioni, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., come la cinematografia, lo spettacolo, l’industria, il commercio (sent. n. 285). Come già accennato (vedi supra par. 8. 10) la Corte ascrive invece al governo del territorio, in applicazione del criterio della prevalenza, la disciplina concernente l’apertura di sale cinematografiche (sent. n. 285).
 
 
8.13. Armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e art. 119, secondo comma, della Costituzione riguardante i “tributi e le entrate propri” delle Regioni ed enti locali
 
Piuttosto numerose sono le pronunce in cui la Corte ha ricostruito la propria giurisprudenza sull’art. 119 Cost. (51), ribadendo alcuni importanti principi in materia (sent. n. 51 e anche nn. 77 e 242), sui quali si veda anche la parte del presente Rapporto dedicata alla finanza.
In primo luogo, si è data conferma della illegittimità, mediante la costituzione di appositi fondi o il rifinanziamento di fondi già esistenti, dell’erogazione di nuovi finanziamenti a destinazione vincolata in materie spettanti alla competenza legislativa, esclusiva o concorrente, delle Regioni (sent. nn. 160 e 231). Questo tipo di finanziamento, infatti, potrebbe costituire uno strumento indiretto d’ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni delle Regioni e degli enti locali, nonché di sovrapposizione sulle politiche e gli indirizzi decisi dalle Regioni negli ambiti materiali di propria competenza (sent. nn. 51, 77 e 242).
In secondo luogo, come più volte precisato dalla Corte, “il tipo di ripartizione delle materie fra Stato e Regioni di cui all'art. 117 Cost., vieta comunque che in una materia di competenza legislativa regionale, in linea generale, si prevedano interventi settoriali seppur destinati a soggetti privati, poiché ciò equivarrebbe a riconoscere allo Stato potestà legislative e amministrative sganciate dal sistema costituzionale di riparto delle rispettive competenze” (sentt. nn. 51, 77 e 242).
Le eccezioni a questi divieti sono possibili solo entro “stretti limiti”, non solo nell’ambito degli artt. 118, comma 1 e 119, comma 5, ma anche nella materia di cui alla lett. e) del comma 2 dell’art. 117 (sent. n. 77).
Quanto detto, tuttavia, non esclude, tenuto conto della mancata attuazione delle prescrizioni costituzionali in tema di garanzia dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle Regioni e degli enti locali, che, fino all’attuazione del nuovo modello delineato dall’art. 119 Cost., in conseguenza del principio di continuità dell’ordinamento, lo Stato possa adottare misure tese a incrementare le disponibilità di un fondo preesistente alla modifica del Titolo V (sent. n. 222). E ciò in virtù dell’esigenza “di non far mancare finanziamenti ad un settore rilevante e strategico dell’economia nazionale” (sent. n. 162). In ogni caso, intervenendo tali finanziamenti in un ambito di competenza regionale, “la necessità di assicurare il rispetto delle attribuzioni costituzionalmente riconosciute alle Regioni impone di prevedere che queste ultime siano pienamente coinvolte nei processi decisionali concernenti il riparto dei fondi” con adeguate forme di raccordo con la Regione (sent. n. 162), quale, ad esempio, “una vera e propria intesa” con la Conferenza unificata (sent. n. 222).
 
 
8.13.1.    Armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario
 
La Corte riconduce alla materia in esame (e non a al “sistema tributario e contabile dello Stato, di competenza esclusiva statale) tutte le normative statali in cui siano interessati tributi e bilanci degli altri enti e non solo dello Stato. In particolare è stata in essa inserita la disciplina concernente il pagamento e la riscossione dei crediti di qualsiasi natura di modesto ammontare (sent. n. 30).
Si è ribadita inoltre la natura “finalistica” di tale materia, che permette alla legislazione statale di collocare a livello centrale “non solo la determinazione delle norme fondamentali che reggono la materia, ma altresì i poteri puntuali eventualmente necessari perché la finalità di coordinamento, per sua natura eccedente le possibilità di intervento dei livelli territoriali sub-statali, possa essere concretamente realizzata” (sent. n. 35) (52). La peculiarità di tale materia, inoltre, “legittima l’imposizione di vincoli agli enti locali quando lo rendano necessario ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali (comprensivi, dunque, della cosiddetta “finanza pubblica allargata”), a loro volta condizionati dagli obblighi comunitari”, pur se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti (sent. n. 35). Ciò rende legittimo, pertanto, un controllo della Corte dei conti su determinati atti amministrativi degli enti locali (sent. n. 64), nonché la previsione di obblighi di comunicazione alla Corte dei conti stessa dei referti sui controlli interni di gestione di tali enti (sent. n. 417) (53).
Tuttavia, come costantemente affermato dalla giurisprudenza costituzionale (54), le norme che fissano vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle Regioni e degli enti locali non costituiscono princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e ledono pertanto l'autonomia finanziaria di spesa garantita dall'art. 119 Cost. alle autonomie regionali e agli enti locali. A tali enti, pertanto, “la legge statale può prescrivere criteri […] ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica), ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi (55)” (sent. nn. 417 e 449). Può legittimamente imporre agli enti autonomi, infatti, vincoli alle politiche di bilancio ma solo con disciplina di principio e per ragioni di coordinamento finanziario connesse a obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari (56). La legge dello Stato, dunque, può stabilire solo un limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa.
Costituisce, quindi, legittimo principio fondamentale la facoltà di scegliere fra il ricorso alle convenzioni statali o l'utilizzazione dei parametri di prezzo-qualità, come limiti massimi, per l'acquisto di beni e servizi comparabili (sent. n. 417).
 
 
8.13.2.    ...e art. 119, secondo comma, della Costituzione riguardante i “tributi e le entrate propri” delle Regioni ed enti locali
 
Come già sottolineato in precedenza (par. 7.5.2), la Corte costituzionale ha ritenuto che, salvo i casi previsti dalla legge alle Regioni si preclusa la possibilità di legiferare sui tributi esistenti e regolati da leggi statali, anche se la devoluzione del relativo gettito sia destinata alle Regioni. Così, il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi (sentt. nn. 335 e 397) e la tassa automobilistica regionale (sent. n. 455) devono considerarsi statali e non proprie della Regione. Le Regioni possono modificare la relativa disciplina solo entro i margine consentiti dalle leggi statali istitutive.
 
 
9.      Autonomia di spesa e interventi speciali
 
La Corte ha precisato che l’art. 119, comma 5, Cost. consente allo Stato soltanto la possibilità di attuare due specifiche e tipizzate forme di intervento finanziario nelle materie di competenza delle Regioni e degli enti locali: o l’erogazione di risorse aggiuntive rispetto alla ordinaria autonomia finanziaria regionale o locale, che presuppone però l’attuazione legislativa di quanto previsto dai primi quattro commi dell’art. 119; oppure la realizzazione di “interventi speciali” “in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni” (sent. n. 222).
 
 
10.    Potestà residuale
 
Sebbene abbia incidentalmente affermato l’inesistenza tra le materie di potestà residuale regionale della materia dello spettacolo (sent. n. 205) (57), tale materia è citata anche a proposito delle attività cinematografiche (sent. n. 285). Accanto da essa la cinematografia, l’industria e il commercio. A queste ultime materie peraltro la Corte non ha ricondotto le impugnate norme del codice delle comunicazioni elettroniche (sent. n. 336).
Comincia tuttavia a prendere corpo questa potestà regionale, nonostante la particolare sensibilità dimostrata dalla Corte per le esigenze unitarie.
 
10.1. Istruzione e formazione professionale
 
Tra le materie di potestà residuale regionale la Corte individua l’istruzione e formazione professionale, anche in tal caso con una certa continuità rispetto al passato (58). Tale materia è definita quale competenza “esclusiva” regionale e al suo interno vi sono ricondotte “l’istruzione e la formazione professionale pubbliche che possono essere impartite sia negli istituti scolastici a ciò destinati, sia mediante strutture proprie che le singole Regioni possano approntare in relazione alle peculiarità delle realtà locali, sia in organismi privati con i quali vengano stipulati accordi” (sentt. nn. 50 e 51).
Pertanto, anche la disciplina dei tirocini estivi di orientamento, dettata senza alcun collegamento con rapporti di lavoro e non preordinata in via immediata a eventuali assunzioni, rientra in tale competenza (sent. n. 50), che non può essere implicata, invece, quando la formazione sia “accessoria rispetto ad un rapporto di lavoro” (sent. n. 175).
Si esclude, inoltre, che debbano ritenersi ascrivibili alla materia in questione le disposizioni sull’alfabetizzazione informatica dei pubblici dipendenti e l’impiego della telematica nelle attività di formazione dei dipendenti pubblici, “in quanto l’acquisizione delle competenze necessarie per l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione da parte dei “pubblici dipendenti” (da intendersi statali) persegue pur sempre finalità connesse alla innovazione tecnologica nell’ambito dell’organizzazione amministrativa dello Stato e, dunque, è riconducibile alla potestà legislativa esclusiva dello Stato stesso (sent. n. 31)”.
Da ultimo, la potestà regionale in materia “non può precludere allo Stato la competenza di riconoscere a soggetti privati la facoltà di istituire, in tale materia, fondi operanti sull’intero territorio nazionale, di specificare la loro natura giuridica, di affidare ad autorità amministrative statali poteri di vigilanza su di essi, anche in considerazione della natura previdenziale dei contributi che vi affluiscono”; in tali casi, infatti, la disciplina dei fondi rientra nelle materie “ordinamento civile” e “previdenza”, entrambe rimesse alla competenza esclusiva statale. La disciplina statale, comunque, dovrà “rispettare la competenza legislativa delle Regioni a regolare il concreto svolgimento sul loro territorio delle attività di formazione professionale, e in particolare prevedere strumenti idonei a garantire al riguardo una leale collaborazione fra Stato e Regioni” (sent. n. 51).
 
 
10.2. Artigianato
 
Altra materia di potestà residuale regionale individuata dalla Corte è quella dell’artigianato, con particolare riferimento all’adozione delle misure del suo sviluppo e sostegno, e, in questo ambito, all’erogazione di agevolazioni, contributi e sovvenzioni di ogni genere (sent. n. 162).
 
 
10.3. Trasporto pubblico locale
 
Anche il trasporto pubblico locale è oggetto di potestà legislativa residuale regionale, tenuto conto anche del fatto che già prima della riforma del Titolo V della Costituzione alle Regioni ed agli enti locali erano state conferite tutte le funzioni e i compiti relativi ai servizi pubblici di trasporto d’interesse regionale e locale (sent. n. 222).
 
 
10.4. Comunità montane
 
Come auspicato da parte della dottrina (Merloni), anche la disciplina delle comunità montane deve ritenersi di competenza residuale regionale, poiché tali enti non rientrano tra quelli indicati dall’art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, la cui elencazione deve ritenersi tassativa. Neanche l’art. 114 d’altra parte contempla le Comunità montane tra i soggetti di autonomia (sentt. nn. 244 e 456). Ne consegue la legittimità di una legge regionale che disciplini lo scioglimento degli organi di governo delle Comunità montane (sent. n. 244) o il regime delle incompatibilità dei membri di detti organi, con l’esclusione tuttavia dell’incompatibilità con la carica di parlamentare, che in virtù dell’art. 65 è di competenza statale (sent. n. 456).
 
 
11.    Potere estero delle Regioni
 
La giurisprudenza costituzionale ha precisato la portata dell’innovazione costituzionale di cui all’art. 117, nono comma, specificando che tale disposizione “si limita a facoltizzare le Regioni a concludere accordi internazionali nelle materie di loro competenza, ma non esclude affatto che lo Stato eserciti il potere estero nelle medesime materie”. La stipulazione di tali accordi, infatti, ha carattere meramente facoltativo, come confermato dalla stessa legge 5 giugno 2003, n. 131, che indica i limiti e le procedure per l’eventuale esercizio di tale potere da parte delle Regioni (sent. n. 285).
La Corte ha peraltro ribadito che, permanendo la riserva allo Stato della competenza sulla politica estera, l’attività internazionale delle Regioni è subordinata alla possibilità effettiva di un controllo statale sulle iniziative regionali, al fine di evitare contrasti con le linee della politica estera nazionale. Donde la spettanza allo Stato di determinare i casi e disciplinare le forme di questa attività regionale, così da salvaguardare gli interessi unitari che trovano espressione nella politica estera nazionale (sent. n. 387).
 
 
12.    Art. 120, comma 1
 
Per violazione dell’art. 120, comma 1, Cost., è stata ritenuta illegittima una normativa che precludeva il transito e la presenza, anche provvisoria, di materiali nucleari provenienti da altri territori, poiché alle Regioni “è sempre interdetto adottare misure di ogni genere capaci di ostacolare in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni” (sent. n. 62). Allo stesso modo, anche una disciplina regionale che ponga un divieto per gli impianti di smaltimento e/o stoccaggio di rifiuti della Regione di accogliere rifiuti extra-regionali contrasta con la disposizione costituzionale in questione (sent. n. 161) .
Legittima è invece una normativa regionale che limiti l’esercizio di una attività professionale all’interno del territorio regionale in base alla necessità di tutelare specifiche esigenze, poiché “il divieto posto dall’art. 120, primo comma, Cost. è stato sempre interpretato come riferito esclusivamente al divieto per la legge regionale di porre limiti alla possibilità per i cittadini di svolgere attività di lavoro nel territorio della Regione (…) e non invece di individuare limitazioni all’interno di esso sulla base di specifiche esigenze” (59) (sent. n. 147).
Anche in materia di interventi di politica economica le Regioni, pur potendo adottare, nei limiti della loro competenza legislativa, misure sintonizzate sulla realtà produttiva regionale, non possono comunque effettuare interventi tali da creare ostacolo alla libera circolazione delle persone e delle cose fra le Regioni e da limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale (sent. n. 242).
 
 
13.    Autonomie speciali
 
La Corte è intervenuta più volte sull’operatività della c.d. “clausola di maggior favore” di cui all’art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001, secondo cui «sino all’adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite».
Tale disposizione non sembra “lasciare alcun dubbio circa la volontà del legislatore costituzionale di estendere in via diretta alle regioni a statuto speciale le maggiori autonomie riconosciute alle regioni a statuto ordinario, senza alcuna limitazione quanto alle forme di tutela” (sent. n. 279). Pertanto, deve escludersi che le novellate disposizioni del Titolo V della Costituzione “possano comportare limitazioni alla sfera di competenza legislativa già attribuita alla Provincia ricorrente per effetto dello statuto di autonomia”, con la conseguente illegittimità di una legge statale che, in contrasto con lo statuto di autonomia, disponga la sua diretta applicazione alle Province autonome (sent. n. 145). Al contrario, la previsione della “clausola di maggior favore” fa escludere che la potestà regolamentare dello Stato possa essere esercitata riguardo a materie che appartengono alla competenza legislativa delle autonomie speciali, non assumendo alcuna rilevanza l’eventuale previsione dell’intesa con la Conferenza unificata, in quanto non potrebbe certo valere quale titolo attributivo di una competenza in ipotesi mancante (sent. n. 145).
Ciò detto, le Regioni speciali e le Province autonome non possono contestualmente rivendicare forme e condizioni di autonomia riconosciute dal Titolo V della Costituzione in base all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 e affermare la vigenza, nella stessa materia, del regime statutario allo scopo di delimitare o ridurre i poteri statali previsti dalla disciplina costituzionale ordinaria della quale si sostiene l’applicabilità. Ciò non appare possibile soprattutto a causa della assoluta specialità del citato art. 10, che riconosce forme di autonomia più ampie sulla base di una valutazione necessariamente complessiva e pertanto comprensiva sia dei nuovi poteri che dei relativi limiti, espressi od impliciti, contenuti nel nuovo Titolo V (sent. n. 383).
Per quanto concerne i limiti derivanti dalle norme fondamentali delle riforme economico-sociali, la Corte ha affermato, relativamente ai procedimenti di controllo contabile sui contratti collettivi di lavoro della Provincia autonoma di Trento, che essi debbano svolgersi secondo la disciplina statale, “ma in modo tale che il necessario adeguamento legislativo provinciale li renda compatibili con l’ordinamento di appartenenza, senza che in proposito possano essere invocati eventuali vincoli derivanti da norme fondamentali di riforma economico-sociale” (sent. n. 171).
Tra i limiti alla legislazione regionale speciale vi è ovviamente anche quello territoriale e quindi “sarebbe contrastante con l’impianto costituzionale e con i principi ad esso sottesi di parità istituzionale e di leale collaborazione tra gli enti territoriali l’attribuzione di effetti extraterritoriali ad una norma di attuazione dello statuto regionale” (60); pertanto, qualora la Regione disciplini l’esercizio di funzioni che interessino anche altre Regioni, è necessario il ricorso alla previa intesa tra le stesse, al fine di garantire la soddisfazione di esigenze unitarie ed il rispetto del principio di leale collaborazione (consentendosi in alcuni casi l’esercizio di un potere sostitutivo statale) (sent. n. 133).
Oltre che con la pronuncia già richiamate in materia di istruzione (sent. n. 407), altre decisoni intervengono invece a delimitare l’ambito delle singole materie statutarie.
La Corte è intervenuta sulla competenza in materia di ordinamento degli enti locali del Friuli-Venezia Giulia, ribadendo come nella stessa debba comprendersi anche la legislazione elettorale, “poiché la configurazione degli organi di governo, i loro rapporti, le loro modalità di formazione e quindi anche le modalità di elezione degli organi rappresentativi costituiscono aspetti di questa materia riservata alle Regioni a statuto differenziato” (sent. n. 173) (61).
E’ stata ricondotta invece alla materia agricoltura, di competenza esclusiva della Regione Valle d’Aosta, ai sensi dell’art. 2 dello Statuto, la disciplina delle c.d. quote latte, assumendo il comparto della produzione lattiera e delle strutture produttive un rilievo distinto ed autonomo rispetto alla regolazione dei prezzi e dei mercati, come più volte affermato dalla Corte (sent. n. 286) (62).
Si conferma che “ove nei rispettivi statuti si prevedano competenze legislative di tipo primario, lo spazio di intervento affidato al legislatore regionale appare maggiore, perché in questo caso possono operare solo il limite della “materia penale” (comprensivo delle connesse fasi procedimentali) e quanto è immediatamente riferibile ai principi di questo intervento eccezionale di “grande riforma” (il titolo abilitativo edilizio in sanatoria, la determinazione massima dei fenomeni condonabili), mentre spetta al legislatore regionale la eventuale indicazione di ulteriori limiti al condono, derivanti dalla sua legislazione sulla gestione del territorio” (sent. n. 304) (63).
La Corte è intervenuta sui rapporti tra lo Stato e le Province autonome in materia di protezione civile, specificando il carattere aggiuntivo della competenza statale, il cui esercizio risulta legittimo solo quando la natura o l’estensione dell’evento calamitoso non consentano alla Provincia di fronteggiarlo, non potendo la normativa provinciale disciplinare il coordinamento dell’attività di organi statali (sent. n. 314).
La competenza integrativo-attuativa di cui allo Statuto del Friuli-Venezia Giulia in materia di tutela della fauna non consente alla Regione la possibilità di qualificare le Riserve di caccia quali conduttori a fini faunistico-venatori dei fondi (sent. n. 392).
Spostando l’analisi nell’ambito dei conflitti d’attribuzione alcune interessanti pronunce si hanno in materia di potere regolamentare.
Non spetta allo Stato, sia ai sensi delle disposizioni d’attuazione dello statuto speciale, sia dell’art. 117, comma VI, Cost., il potere di disciplinare con regolamento ministeriale i criteri e le modalità per la concessione e l’erogazione da parte della Provincia autonoma di Trento di finanziamenti concernenti i servizi di telefonia rivolti alle persone anziane, in quanto disciplina rientrante nella materia della assistenza e beneficenza pubblica, di competenza esclusiva provinciale (sentt. nn. 263 e 287). Nella assistenza pubblica di competenza della Provincia di Bolzano entra l’erogazione anticipata al genitore o al diverso soggetto affidatario delle somme destinate al mantenimento del minore in condizioni di disagio economico “qualora esse non vengano corrisposte dal genitore obbligato nei termini e alle condizioni stabilite dall’autorità giudiziaria” (sent. 106). L’assistenza sociale, l’ordinamento degli uffici provinciali, l’istruzione e la formazione professionale sono inoltre le materie provinciali che sarebbero state illegittimamente invase dalla norma statale in materia di accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici. (sent. n. 145). Illegittima è stata considerata invece la legge provinciale che attribuiva al centro operativo provinciale il compito di dirigere e coordinare l’attività di pronto intervento antincendio anche dell’amministrazione dello Stato. (sent. n. 321).
La sent. n. 249, invece, fa salva la normativa statale in materia di trasmissioni radiofoniche e televisive, in quanto interpretabile in conformità con le prescrizioni costituzionali poste a tutela delle minoranze linguistiche, nella specie quelle della Regione Trentino-Alto Adige.
Da ultimo, è stata dichiarata l’illegittimità di ordini di esibizioneaventi come destinatari esclusivi i singoli gruppi parlamentariemanatidalla Procura regionale della Corte dei conti e concernenti le contribuzioni e i finanziamenti liquidati dall'Assemblea Regionale Siciliana.La connotazione generica e sostanzialmente innominata del potere di sindacato ispettivo rivendicato dalla Procura, a prescindere da qualsiasi disamina funzionale in ordine alle attribuzioni ed alla conseguente destinazione contabile delle relative disponibilità finanziarie, risulta infatti lesiva dell’autonomia regionale (sent. n. 337).
 
 
 
NOTE
 
 
(1)       Corte costituzionale, relazione sulla giurisprudenza costituzionale del 2005, in occasione della Conferenza stampa del Presidente Annibale Marini, a cura di M. bellocci e P. Passaglia, Palazzo della Consulta, 9 febbraio 2006.
(2)       Si vedano le sentt. nn. 28/2004 e 477/2002, nonché l’ord. n. 97/2004.
(3)       Cfr. le sentt. nn.. 113/1967, 192/1970, 25/1996 e 287/2004.
(4)       Cfr. le sentt. nn. 85/1990, 261/1995, 94, 213 e 359 del 2003 e 238/2004.
(5)       Sul punto vedi la sent. n. 472/1995.
(6)       Così le sentt. nn. 206/1975 e 245/1985.
(7)       Tra le tante, si vedano le sentt. nn. 166/2004, 338, 315, 307 e 49 del 2003, l’ord. n. 240/1988, nonché l’ordinanza allegata alla sent. n. 196/2004.
(8)       D’altronde, la stessa riforma delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale aveva fatto pensare a possibili evoluzioni in materia d’intervento, poiché all’art. 25, comma II, si parla esplicitamente di “eventuali interventi di altri soggetti”.
(9)       Cfr. in particolare la sent. n. 274/2003, nonché le sentt. nn. 4, 6 e 196 del 2004.
(10)     Cfr. sent. n. 196/2004.
(11)     Cfr. le sentt. nn. 4 e 287 del 2004.
(12)     Vedi, ex plurimis, le sentt. nn. 85/1990, 261/1995 e 213/2003.
(13)     Cfr. le sentt. nn. 412/2004 e 228/ 2003; l’ord. n. 440/2004.
(14)     Così le sentt. nn. 36, 356 e 366 del 1992, 165/1994, 458/1995, 520/2000, 334 e 419 del 2001, 28 e 267 del 2003.
(15)     Cfr. sentt. nn. 378 e 379 del 2004.
(16)     Cfr. ordd. nn. 82/1978 e 10/1967.
(17)     Sentt. nn. 303/2003 e 6/2004.
(18)     Cfr. le sentt. nn. 43, 69, 70, 71, 72, 73, 112 e 173 del 2004.
(19)     Vedi, per tutte, sentt. nn. 60/1993, 28/1996, 361/2003 e 12/2004.
(20)     Cfr. le sentt. nn. 9/2004 e 324/2003.
(21)     Cfr. sent. n. 370/2003.
(22)     Cfr. sentt. nn. 407/2002, 307/2003 e 259/2004.
(23)     Cfr. sent. n. 427/2004.
(24)     Cfr. sent. n. 391/1989.
(25)     Cfr. sent. n. 26/2004.
(26)     Cfr. sent. n. 423/2004.
(27)     Cfr. sent. n. 166/2005.
(28)     Cfr. sent. n. 383/1998.
(29)     Cfr. sent. n. 228/2004.
(30)     Cfr. sent. n. 14/2004.
(31)     Cfr., tra le tante, le sentt. nn. 241, 381, 431 del 2004, in tema di IRAP; le sentt. nn. 297 e 311 del 2003, in tema di c.d. tassa automobilistica.
(32)     Cfr. sent. n. 37/2004.
(33)     Cfr. le sentt. nn. 407/2002 e nn. 6, 162 e 428 del 2004.
(34)     Cfr. in particolare la sent. n. 185/2004.
(35)     Cfr., fra le molte, le sentt. nn. 120/2005; 423 e 16 del 2004 e 282/2002.
(36)     Cfr. la sent. n. 17/2004.
(37)     Cfr. le sentt. nn. 307/2003 e 407/2002; 222/2003; 259/2004; 312 e 303/ 2003.
(38)     Cfr. sent. nn. 407/2002, 307 e 312 del 2003, 259/2004.
(39)     Cfr. sent. n. 307/2003.
(40)     Cfr. le sentt. nn. 226/2003 e 536/2002.
(41)     Cfr. la sent. n. 307/2003.
(42)     Cfr. la sent. n. 303/2003.
(43)     Cfr. le sentt. nn. 353/2003 e 282/2002.
(44)     Cfr., ad esempio, la sent. n. 359/1993.
(45)     Così la sent. n. 370/2003.
(46)     Cfr. la sent. n. 13/2004.
(47)     Cfr. le sentt. nn. 63 e 507 del 2000.
(48)     Cfr. la sent. n. 196/2004.
(49)     Cfr. sentt. nn. 196/2004, 362, 331, 307 e 303 del 2003.
(50)     Si veda la sent. n. 255/2004.
(51)     Cfr. le sentt. nn. 16, 37, 320, 370, 423 del 2004.
(52)     Cfr. la sent. n. 376/2003.
(53)     Cfr. la sent. n. 36/2004.
(54)     Cfr. la sent. n. 36/2004; vedi anche le sentt nn. 376/2003 e 4 e 390/2004.
(55)     Così la sent. n. 390/2004.
(56)     Come già affermato dalla sent. n. 36/2004.
(57)     Cfr. la sent. n. 255/2004.
(58)     Vedi anche la sent. n. 13/2004.
(59)     Cfr. sentt. nn. 207/2001, 168/1987, 13/1961 e 6/1956.
(60)     Cfr. sentt. nn. 743/1988 e 55/1997.
(61)     Cfr. ex plurimis sentt. nn. 84/1997, 48/2003.
(62)     Così le sentt. nn. 272/2005, 398/1998 e 304/1987.
(63)     Cfr. sent. n. 196/2004.
 

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