SOMMARIO:
 
 
1. Il contenzioso costituzionale
 
La giurisprudenza costituzionale del 2002 ha contribuito in modo rilevante a sciogliere alcuni dubbi interpretativi della novella costituzionale del Titolo V in difetto di alcuna legge di attuazione. La "impropria" (Caretti) funzione di "supplenza" della Corte a fronte dell'incerto cammino della riforma è stata svolta con atteggiamento "cauto e attendista" (Anzon) rispetto al considerevole contenzioso giacente.
L'entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001 ha determinato un significativo aumento del contenzioso costituzionale portando i ricorsi in via principale dai 43 del 2001 ai 96 del 2002, di cui ben 57 (contro i 12 dell'anno precedente) sono impugnative statali di leggi regionali. Dal momento che l'incremento del contenzioso regionale nei confronti delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato è esiguo (da 31 nel 2001 a 35 nel 2002) e che il numero dei conflitti intersoggettivi dal 1998 in poi è sostanzialmente invariato, può dedursi che l'abolizione del controllo preventivo sulle leggi regionali(1) può avere giocato, in sinergia con una lettura spesso estensiva della competenza esclusiva statale, un ruolo determinante nella risoluzione giurisprudenziale di quella parte di contenzioso precedentemente oggetto di contrattazione politica. La sentenza n. 438, ad esempio, è sintomatica dell'uso del ricorso in via principale come strumento di pressione politica: l'approvazione in pendenza di giudizio di una legge regionale "correttiva" di quella impugnata ha portato alla cessazione della materia del contendere (2).
A fronte di tale incremento del contenzioso le decisioni di merito adottate nel 2002 sono esigue: sui ricorsi in via principale avverso leggi statali proposti anteriormente all'entrata in vigore della legge cost. n. 3 del 2001 la Corte ha adottato solo una dichiarazione di illegittimità costituzionale (3), due dichiarazioni di infondatezza (4) e due di inammissibilità (5), ha dichiarato incostituzionale una delibera statutaria regionale (6) e su sette conflitti avverso atti statali ne risolve due con una dichiarazione di inammissibilità (7), due con l'annullamento dell'atto (8), uno con la dichiarazione di competenza statale dell'atto (9) a fronte di un solo annullamento di atto regionale (10).
Il contenzioso successivo all'entrata in vigore della novella ha conosciuto analoga cautela: i giudizi principali avverso leggi regionali e provinciali adottate dopo l'entrata in vigore della riforma sono stati risolti con una pronuncia di annullamento parziale in un caso (11), di annullamento in due casi (12) e di infondatezza in altri due (13), a cui si può aggiungere la pronuncia di illegittimità di una deliberazione legislativa statutaria (14). Nei giudizi in via incidentale (15) si è registrata, di rilevante ai sensi del nuovo Titolo V, solo l'ordinanza n. 383 di manifesta infondatezza e alcun conflitto intersoggettivo è stato deciso.
La giurisprudenza costituzionale del 2002 nel complesso ha affrontato tre grandi questioni, inerenti, innanzitutto, la fase di "transizione" al nuovo ordinamento costituzionale delle autonomie territoriali; questioni relative alla forma di governo e alla autonomia statutaria delle regioni ex legge costituzionale n. 1 del 1999; questioni relative, infine, al nuovo assetto delle competenze legislative tra Stato e regioni ex legge costituzionale n. 3 del 2001.
 
2. Ius superveniens e effetti sul processo costituzionale
 
La giurisprudenza costituzionale del 2002 ha dovuto affrontare in primo luogo varie questioni di diritto intertemporale. Ben 34 ordinanze su 59 adottate in questioni coinvolgenti le regioni, infatti, rilevano sotto il profilo degli effetti sul processo costituzionale dello ius superveniens della riforma del Titolo V.
Nei giudizi di legittimità costituzionale in via incidentale pendenti, come già aveva deciso con l'ord. n. 382 del 2001 (16), la Corte ha disposto la restituzione degli atti ai giudici a quibus per ius superveniens (17), soluzione processuale finora applicata solo a fronte di mutamento del quadro legislativo (Ruggeri-Spadaro). La Corte ha dichiarato, invece, la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate sulla base dei vecchi parametri "nonostante la nuova disciplina sia entrata in vigore in data anteriore a quella di deposito dell'ordinanza di rimessione" (18).
Data la modificazione dell'art. 127 Cost., ben più rilevanti sono state le decisioni in materia di ius superveniens nei giudizi in via principale. La Corte, ha optato per l'improcedibilità dei giudizi aventi ad oggetto le deliberazioni regionali impugnate dallo Stato secondo l'abrogato procedimento, "ferma restando la facoltà (…) di proporre, eventualmente, impugnativa, nei termini e nei modi di cui al nuovo testo dell'art. 127 della Costituzione" (19). Tale soluzione è stata criticata in nome del principio tempus regit actum (Ruggeri), in applicazione del quale, invece, la Corte ha deciso su alcuni ricorsi regionali avverso la legge statale "avendo riguardo esclusivamente alle disposizioni costituzionali nel testo anteriore alla riforma recata alla legge costituzionale n. 3 del 2001, trattandosi di ricorso proposto anteriormente all’entrata in vigore di quest’ultima, che invoca quindi come parametri dette disposizioni"(pt.4) (20).
E' proprio a partire dalla sentenza n. 376 (21), ora citata, che la Corte ha affermato il principio di continuità "per cui restano in vigore le norme preesistenti, stabilite in conformità al passato quadro costituzionale, fino a quando non vengano sostituite da nuove norme dettate dall’autorità dotata di competenza nel nuovo sistema (…)" (pt.4). La Corte ha escluso che la riforma del Titolo V abbia dato luogo ad incostituzionalità sopravvenuta della "normativa preesistente conforme al quadro costituzionale in vigore all'epoca della sua emanazione" (22), per cui sarà il concreto esercizio delle nuove potestà a rimuovere e sostituire le leggi adottate in vigenza del vecchio riparto di competenza.
Nei conflitti pendenti tra enti, l'entrata in vigore della legge cost. n. 3 del 2001, ha determinato la cessazione della materia del contendere che aveva ad oggetto una delle fasi del previgente procedimento di controllo statale sulle leggi regionali (sent. n. 408). Tale decisione è indicativa della ipotizzabile flessione del ricorso a tale tipo di giudizio, non solo per il venir meno del procedimento di rinvio con richiesta di riesame delle deliberazioni legislative regionali ex originario art. 127 Cost, ma anche per la riduzione dell'area di intervento regolamentare del Governo (cfr. attività consultiva obbligatoria del Consiglio di Stato).
 
3. Il giudizio in via principale
 
Bisogna aspettare l'estate del 2002 perché si decida in un processo instaurato secondo la nuova formulazione dell'art. 127 facendo "entrare in vigore" la riforma (D'Atena). La sentenza n. 282, rilevante sotto molteplici profili, finisce con un obiter dictum che riapre, senza chiuderla, la discussione sui vizi di legittimità invocabili da parte dello Stato, dovendosi questi ora limitarsi al vizio di incompetenza strettamente inteso o, invece, potendo spaziare sotto ogni profilo di illegittimità. A fronte del mantenimento nella nuova formulazione dell'art. 127 di una differente espressione per la qualificazione dei vizi deducibili dalle parti (la legge regionale se "eccede" la propria competenza, quella statale qualora "leda" la sfera di competenza della regione), l'affermazione per cui "restano assorbiti gli altri profili di incostituzionalità denunciati, senza che questa Corte debba proporsi il problema della loro ammissibilità in base al nuovo articolo 127, comma 1, Cost." (sent. 282, pt. 7) è stata interpretata come sintomatica, in materia di vizi denunciabili, della parificazione tra Stato e regione (D'Atena). Questa rilevante questione, che vede divisa la dottrina e resta tuttora aperta, non potrà non essere affrontata quanto prima della Corte.
Sotto il profilo dei motivi del ricorso statale, la soppressione della fase del rinvio e del relativo principio della corrispondenza tra i motivi addotti in fase di rinvio e nel ricorso, secondo la sentenza n. 533 "ha fatto venire meno la finalità alla quale era preordinata la previa esternazione, in sede politica, dei motivi della impugnazione. Nell'attuale sistema di controllo il carattere politico della scelta di impugnare resta, ma nei confronti delle Regioni e delle Province autonome si esaurisce nell'onere di indicare le specifiche disposizioni che si ritiene ne eccedano la competenza, potendo essere rimessa all'autonomia tecnica della Avvocatura generale dello Stato anche l'individuazione dei motivi di censura" (sent. n. 533, pt. 2).
In questa stessa sentenza, si conferma anche la precedente giurisprudenza ostativa alla presenza nei giudizi in via principale di soggetti "diversi dalla parte ricorrente e dal titolare della potestà legislativa il cui atto è oggetto di contestazione".
Come si evince, visto che l'art. 10 della legge costituzionale n.3 del 2001 stabilisce che fino all'adeguamento dei rispettivi statuti le disposizioni di essa si applichino anche alle regioni a statuto speciale e alle province autonome "per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite", la Corte ha esteso ad esse l'applicazione del nuovo art. 127, avendo "già da tempo prospettato la stretta correlazione tra le particolari forme e condizioni di autonomia di cui godono Regioni a statuto speciale e Province autonome e le modalità di impugnazione delle leggi regionali" (sent. n. 408, pt. 2) (23).
 
4. Valutazioni generali della Corte sulla riforma
 
La giurisprudenza costituzionale del 2002 offre alcuni passaggi argomentativi dai quali possono dedursi valutazioni sulla riforma del Titolo V nel suo complesso ad opera delle leggi cost. n. 1 del 1999 e n. 3 del 2001.
Sotto questo profilo può citarsi un lungo brano della sentenza n. 106 ove la Corte individua gli "elementi di discontinuità" introdotti dalle riforme rispetto al testo originario della Costituzione, richiamando al contempo le "intaccate" idee della nostra esperienza repubblicana.
"3. - (…) Il nuovo Titolo V – con l’attribuzione alle Regioni della potestà di determinare la propria forma di governo, l’elevazione al rango costituzionale del diritto degli enti territoriali minori di darsi un proprio statuto, la clausola di residualità a favore delle Regioni, che ne ha potenziato la funzione di produzione legislativa, il rafforzamento della autonomia finanziaria regionale, l’abolizione dei controlli statali - ha disegnato di certo un nuovo modo d’essere del sistema delle autonomie. Tuttavia i significativi elementi di discontinuità nelle relazioni tra Stato e Regioni che sono stati in tal modo introdotti non hanno intaccato le idee sulla democrazia, sulla sovranità popolare e sul principio autonomistico che erano presenti e attive sin dall’inizio dell’esperienza repubblicana. Semmai potrebbe dirsi che il nucleo centrale attorno al quale esse ruotavano abbia trovato oggi una positiva eco nella formulazione del nuovo art. 114 della Costituzione, nel quale gli enti territoriali autonomi sono collocati al fianco dello Stato come elementi costitutivi della Repubblica quasi a svelarne, in una formulazione sintetica, la comune derivazione dal principio democratico e dalla sovranità popolare."
Particolare rilievo assume la successiva sentenza n.282 che valorizza il "potenziamento" della funzione legislativa delle regioni ad opera del nuovo testo costituzionale laddove sembra applicare sul piano del giudizio l'inversione del criterio dell'enumerazione delle competenze (Bin):
"3. La risposta al quesito, se la legge impugnata rispetti i limiti della competenza regionale, ovvero ecceda dai medesimi, deve oggi muovere - nel quadro del nuovo sistema di riparto della potestà legislativa risultante dalla riforma del Titolo V, parte II, della Costituzione realizzata con la legge costituzionale n. 3 del 2001 - non tanto dalla ricerca di uno specifico titolo costituzionale di legittimazione dell’intervento regionale, quanto, al contrario, dalla indagine sulla esistenza di riserve, esclusive o parziali, di competenza statale."
In materia di fonti è poi necessario richiamare la lettura complessiva del nuovo procedimento di formazione degli Statuti regionali che la Corte delinea nella sentenza n. 304 laddove afferma che "complessivamente considerata, la disciplina posta dall’art. 123 é chiara nelle sue linee portanti e realizza un assetto normativo unitario e compatto, in cui ciascuna previsione é assistita da una propria ragione costituzionale, e tutte si legano tra loro in un vincolo di coerenza sistematica, che disvela il ponderato equilibrio delle scelte del legislatore costituzionale. Da un lato, le istanze autonomistiche sono state pienamente appagate con l’attribuzione allo statuto di un valore giuridico che lo colloca al vertice delle fonti regionali e con la scomparsa dell’approvazione parlamentare; dall’altro, il principio di legalità costituzionale ha ricevuto una protezione adeguata alla speciale collocazione dello statuto nella gerarchia delle fonti regionali" (pt 1).
La Corte, infine, precisa che l'art. 120, sia nel testo originario che in quello novellato, pone un limite assoluto vietando alle regioni di adottare provvedimenti ostacolanti la libera circolazione delle cose, intese come beni in quanto tali e non soltanto ad una loro quantità (sent. n. 505, pt. 4).
 
5. Statuto regionale: armonia con la Costituzione, esercizio frazionato del potere statutario, procedimento di formazione e controllo preventivo di legittimità (termine per promuovere la questione dinanzi alla Corte costituzionale)
 
Una delle questioni risolte dalla giurisprudenza costituzionale del 2002 investe proprio l'autonomia statutaria delle regioni: due sentenze sono state rese nell'ambito di quella "nuova tipologia di controversie" ex art. 123 Cost. (24), superando ogni incertezza interpretativa sul piano dei controlli a cui è sottoposto quest'atto, ora, integralmente regionale. Con la sentenza n. 304, con cui la Corte interviene per la prima volta dall'approvazione della legge cost. n. 1 del 1999 in tema di potestà statutaria e forma di governo, si ricollega l'iter di formazione dello statuto al modello che l'art. 138 delinea per le leggi di revisione costituzionale (sent. n. 304, pt. 1). Il legislatore costituzionale del 1999 ha introdotto un procedimento aggravato di formazione dell'atto, imponendo al consiglio due successive deliberazioni a maggioranza assoluta, adottate ad intervallo non minore di due mesi; a partire dalla data di pubblicazione a fini notiziali della deliberazione statutaria decorrono i termini per le eventuali fasi di controllo "distinte e autonome" (sent. n. 304, pt. 2, nonché sent. n. 306, pt. 3): trenta giorni per la proposizione del giudizio di legittimità e tre mesi per la richiesta di referendum. La sentenza n. 304 dichiara che "1. (…) la previsione di un controllo di legittimità costituzionale in via preventiva delle deliberazioni statutarie é intesa (…) ad impedire che eventuali vizi di legittimità dello statuto si riversino a cascata sull’attività legislativa e amministrativa della Regione, per le parti in cui queste siano destinate a trovare nello statuto medesimo il proprio fondamento esclusivo o concorrente" (cfr. Tosi; contra Ruggeri).
Vi si chiarisce, inoltre, la legittimità dell'esercizio frazionato dell'autonomia statutaria perché "3. -. (…) in assenza di statuizioni costituzionali esplicite che siano dirette a limitarne la portata, il conferimento alle Regioni di tale autonomia non può non incorporare il potere di determinarne le modalità ed i tempi di esercizio".
D'altra parte, la Corte ricorda che "l’articolo 123 della Costituzione assoggetta attualmente la potestà statutaria regionale al solo limite dell’"armonia con la Costituzione" con formulazione meno stringente di quella precedente, che richiedeva anche l’armonia con le "leggi della Repubblica". Aggiunge, però, che  "il riferimento all’"armonia", lungi dal depotenziarla, rinsalda l’esigenza di puntuale rispetto di ogni disposizione della Costituzione, poiché mira non solo ad evitare il contrasto con le singole previsioni di questa, dal quale non può certo generarsi armonia, ma anche a scongiurare il pericolo che lo statuto, pur rispettoso della lettera della Costituzione, ne eluda lo spirito." (pt. 5, 304, nonché 306, pt. 4). La Corte, pur non risolvendo l'armonia con la Costituzione al mero rispetto di ogni disposizione del testo costituzionale, certo, potrebbe dare l'impressione di sovrapporre il "solo limite" espresso per la potestà statutaria con il rispetto della Costituzione che si impone in via generale a tutte le fonti. Piuttosto sembrerebbe che l'armonia con la Costituzione consista, secondo la giurisprudenza costituzionale, nel rispetto delle disposizioni della Costituzione "rinsaldato" da un lettura delle stesse attraverso la lente dell'invocato "spirito" costituzionale. In altre parole non sembrano superate le "storiche ambiguità" (Calvieri) che hanno accompagnato il limite in discussione. Senza dubbio, tuttavia, il permanere del limite dell'armonia con la Costituzione, nella sua interpretazione alla luce di questa giurisprudenza, rende ancora più ardua la qualificazione di "fase costituente" in riferimento alla formazione dei nuovi statuti.
 
6. Consiglio, Giunta e disciplina elettorale regionale
 
Sotto il profilo dell'autonomia statutaria delle regioni a statuto ordinario e della forma di governo regionale dopo l'entrata in vigore della legge cost. n. 1 del 1999, proprio in osservanza del limite dell'armonia con la Costituzione la Corte ha dichiarato illegittima la deliberazione statutaria della Regione Marche che, senza operare una diversa scelta in ordine alla forma di governo transitoria prevista dall'art. 5, comma 2, lett. b) della legge cost. n.1 del 1999, comportava una puntuale violazione della citata norma costituzionale con lo stabilire che in caso di morte o impedimento del presidente della Giunta non si proceda allo scioglimento e a nuove elezioni del Consiglio regionale, ma gli subentri il vicepresidente (sent. n. 304, pt. 5). Inderogabile è, quindi, il principio simul stabunt simul cadent, vale a dire la regola delle contestuali dimissioni della Giunta e scioglimento del Consiglio, su cui è incardinata la disciplina transitoria. Solo l'opzione da parte della regione per un sistema di elezione del Presidente della Giunta diverso dal suffragio diretto potrà sciogliere la regione dall'osservanza del vincolo costituzionale che impone "regole stabilizzatrici", indispensabili "nel caso di elezione diretta del vertice dell'esecutivo" (sent. n. 304).
Il limite dell'armonia con la Costituzione ha analogamente portato a dichiarare illegittima la deliberazione statutaria del Consiglio della Regione Marche con cui si voleva affiancare, da un lato, al nome di Consiglio regionale quello di "parlamento" violando lo spirito della Costituzione desumibile dagli artt. 55 e 121 Cost. e, dall'altro, alla dizione "consigliere regionale" quella di "Deputato" in violazione dell'art. 122. In proposito alla Corte non resta che richiamare il precedente della sentenza n. 106 aggiungendo che la forma di legge statutaria non vale a superare la cogenza del divieto di fregiare il Consiglio regionale del nomen di parlamento poiché la "peculiare forza connotativa della parola" impedisce "ogni sua declinazione intesa a circoscrivere in ambiti territorialmente più ristretti quella funzione di rappresentanza nazionale che solo il Parlamento può esprimere e che è ineluttabilmente evocata dall'impiego del relativo nomen" (sent. n. 106, pt. 4; sent. n. 306, pt. 4).
Sempre in relazione allo stesso parametro rileva l'ordinanza di manifesta infondatezza n. 383 laddove argomenta che "il nuovo testo dell’art. 122 della Costituzione, come sostituito dalla legge costituzionale n. 1 del 1999 – che riserva alla Regione la competenza legislativa in materia, tra l’altro, di incompatibilità dei consiglieri regionali (con il rispetto dei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica) – dà luogo solo a nuove e diverse possibilità di intervento legislativo della Regione, senza che però venga meno, nel frattempo, in forza del principio di continuità (…), l’efficacia della normativa statale preesistente conforme al quadro costituzionale in vigore all’epoca della sua emanazione".
 
7. "Materie non materie" e interpretazione delle materie di competenza esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2)
 
La giurisprudenza del 2002 ha dovuto confrontarsi con il fondamentale problema di merito relativo all'individuazione e alla delimitazione delle materie enumerate. Nella prima sentenza relativa ai limiti della legislazione regionale, la n. 282, la Corte "inverte l'onere della prova" (Bin) del titolo di legittimazione a intervenire in una materia di competenza dello Stato affermando che ora bisognerà muoversi "3. (...) dalla indagine sulla esistenza di riserve, esclusive o parziali, di competenza statale".
Anche la giurisprudenza sulle "materie non materie", quelle competenze senza oggetto che si definiscono mediante il loro esercizio (D'Atena) finendo per consistere in fini da perseguire, ha esordito con la sentenza n. 282 dove è chiarito che "3. (..) Quanto poi ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, non si tratta di una "materia" in senso stretto, ma di una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle". E analogamente si legge nella sentenza n. 407 che "3.2. - (..) non tutti gli ambiti materiali specificati nel secondo comma dell'art. 117 possono, in quanto tali, configurarsi come "materie" in senso stretto, poiché, in alcuni casi, si tratta più esattamente di competenze del legislatore statale idonee ad investire una pluralità di materie". Tali materie godono del privilegio di poter "attraversare" "tutte le materie" (n.282) o "una pluralità di materie" (n. 407) in ordine alle quali si manifestano "competenze diverse, che ben possono essere regionali": se ne deduce che la "trasversalità" è di materia, ma anche di competenza, fosse anche residuale delle regioni.
Sebbene la trasversalità di tali materie potrebbe ingenerare interpretazioni espansive incentrate su confini ontologici "mobili" e pur in assenza di una chiara scelta in ordine al criterio di definizione delle materie, sulla scorta delle poche decisioni in commento, sembra di poter ritenere comunque che la giurisprudenza costituzionale si sia orientata verso un'interpretazione restrittiva dei titoli competenziali dello Stato. Le materie di competenza esclusiva dello Stato, infatti, sono state oggetto di alcune tra le più significative sentenze adottate nel corso del 2002 con interpretazioni di contenimento della loro potenziale forza espansiva (Tarli Barbieri).
Esplicitamente di interpretazione "restrittiva" parla la Corte a proposito della materia ordine pubblico e sicurezza (lett. h). La sentenza n. 407 afferma che "3.1. - (…) il contesto specifico della lettera h) del secondo comma dell'art. 117 - che riproduce pressoché integralmente l'art. 1, comma 3 lettera l), della legge n. 59 del 1997- induce, in ragione della connessione testuale con "ordine pubblico" e dell'esclusione esplicita della "polizia amministrativa locale", nonché in base ai lavori preparatori, ad un'interpretazione restrittiva della nozione di "sicurezza pubblica". Questa infatti, secondo un tradizionale indirizzo di questa Corte, è da configurare, in contrapposizione ai compiti di polizia amministrativa regionale e locale, come settore riservato allo Stato relativo alle misure inerenti alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell'ordine pubblico".
E aggiunge, sotto il più specifico profilo della attività a rischio di incidente rilevante, che essa "ha un'incidenza su una pluralità di interessi e di oggetti, in parte di competenza esclusiva dello Stato, ma in parte anche (…) di competenza concorrente delle regioni, i quali appunto legittimano una serie di interventi regionali nell'ambito, ovviamente, dei principi fondamentali della legislazione statale in materia, (…) anche se in via subordinata. La materia afferisce "sia alla tutela dell'ambiente che alla sicurezza pubblica"( pt. 4.) (25).
Analogamente può argomentarsi sulla base della giurisprudenza relativa alla lettera l) del comma 2, art. 117 e in particolare in materia di ordinamento civile e penale. La sentenza n. 282 fornisce una definizione in "negativo" dell'ordinamento civile, laddove afferma che "3. (…) si deve escludere che ogni disciplina, la quale tenda a regolare e vincolare l’opera dei sanitari, e in quanto tale sia suscettibile di produrre conseguenze in sede di accertamento delle loro responsabilità, rientri per ciò stesso nell’area dell’"ordinamento civile", riservata al legislatore statale. Altro sono infatti i principi e i criteri della responsabilità, che indubbiamente appartengono a quell’area, altro le regole concrete di condotta, la cui osservanza o la cui violazione possa assumere rilievo in sede di concreto accertamento della responsabilità, sotto specie di osservanza o di violazione dei doveri inerenti alle diverse attività, che possono essere disciplinate, salva l’incidenza di altri limiti, dal legislatore regionale."
Non molto dissimile sembra essere il percorso logico ricostruttivo adottato dalla Corte in materia di ordinamento penale. Nella sentenza n. 438 la Corte dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge valdostana che prevede la costituzione di una società per azioni per la gestione della casa da gioco di Saint Vincent. Il ricorrente deduceva che "l’intera disciplina delle case da gioco è riservata allo Stato, come una sorta di sub-materia afferente all’ordinamento penale che comprenderebbe anche la regolamentazione delle attività penalmente lecite conseguenti alla deroga alle disposizioni del codice penale che puniscono il gioco d’azzardo (pt.2)". La Corte dichiara non fondata la questione perché "il ricorrente non pone in discussione il fatto che l’eccezionale deroga al divieto di gioco d’azzardo stabilito in via generale dagli artt. 718-722 cod. pen. derivi dalla normazione statale. E una volta ritenuto non operante il divieto derivante dalla legge penale, la definizione della natura giuridica del soggetto autorizzato all’esercizio dell’attività, dei suoi rapporti con l’amministrazione regionale e della destinazione dei suoi proventi (…) non impinge nella materia specificamente rivendicata dallo Stato con il ricorso."
Sull'importante competenza statale in materia di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (lett. m) la Corte ha pronunciato una decisione che conferma la natura di "non materia" di tale "materia" nuova per il nostro testo costituzionale. La sentenza n. 282 chiarisce che "3. (…) non si tratta di una "materia" in senso stretto, ma di una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle". E' proprio a partire da questa sentenza che la giurisprudenza costituzionale tende a delimitare la portata delle competenze trasversali, nel caso di specie sottraendo alla materia della lett. m), a favore della materia "tutela della salute" di competenza concorrente ex comma 3 dell'art. 117, la legge della regione Marche che vietava le terapie elettrocompulsive.
Altra "nuova" materia (per le disposizioni) di rango costituzionale che la Corte ha espressamente ricostruito come fine da perseguire "trasversalmente" alle altre materie è quella della tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali (lett. s). La sentenza n. 407 in proposito è esemplare: "3.2. (…) l'evoluzione legislativa e la giurisprudenza costituzionale portano ad escludere che possa identificarsi una "materia" in senso tecnico, qualificabile come "tutela dell'ambiente", dal momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze. In particolare, dalla giurisprudenza della Corte antecedente alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione è agevole ricavare una configurazione dell'ambiente come "valore" costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia "trasversale", in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale (…).
Chiarito che si tratta di un "materia non materia" l'interpretazione di tale competenza statale esclusiva prende le mosse dai lavori preparatori che  "inducono, d'altra parte, a considerare che l'intento del legislatore sia stato quello di riservare comunque allo Stato il potere di fissare standards di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale, senza peraltro escludere in questo settore la competenza regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali. In definitiva, si può quindi ritenere che riguardo alla protezione dell'ambiente non si sia sostanzialmente inteso eliminare la preesistente pluralità di titoli di legittimazione per interventi regionali diretti a soddisfare contestualmente, nell'ambito delle proprie competenze, ulteriori esigenze rispetto a quelle di carattere unitario definite dallo Stato". Competenza trasversale, sì, ma, nonostante la lettera della materia enumerata in Costituzione, idonea a legittimare il potere statale solo di fissare standards di tutela uniformi, nel rispetto dei quali resta intatta la pluralità di interventi regionali per la cura degli interessi di competenza che nel caso di specie - le attività industriali a rischio di incidente rilevante - coinvolgeva la tutela della salute, il governo del territorio, la protezione civile, tutela e sicurezza del lavoro, tutte materie di competenza concorrente. Si ribadisce, anzi, che nella cura di tali interessi funzionalmente collegati alla competenza esclusiva statale "la Regione può ragionevolmente adottare, nell'ambito delle proprie competenze concorrenti, una disciplina che sia maggiormente rigorosa, per le imprese a rischio di incidente rilevante, rispetto ai limiti fissati dal legislatore statale, proprio in quanto diretta ad assicurare un più elevato livello di garanzie per la popolazione ed il territorio interessati" (26).
La sentenza n. 536, anzi, ricostruisce l'attribuzione statale in discussione come limite di salvaguardia del bene protetto ad opera delle plurime competenze regionali. Vi si afferma, infatti, che "4. - L’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione esprime una esigenza unitaria per ciò che concerne la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ponendo un limite agli interventi a livello regionale che possano pregiudicare gli equilibri ambientali. (…)E, in funzione di quel valore, lo Stato può dettare standards di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale anche incidenti sulle competenze legislative regionali ex art. 117 della Costituzione.
(…) La natura di valore trasversale, idoneo ad incidere anche su materie di competenza di altri enti nella forma degli standards minimi di tutela, già ricavabile dagli artt. 9 e 32 della Costituzione, trova ora conferma nella previsione contenuta nella lettera s) del secondo comma dell’art. 117 della Costituzione, che affida allo Stato il compito di garantire la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema."
In materia di attività venatoria la stessa sentenza  - al fine di garantire "standard minimi e uniformi" di tutela della fauna che la Corte qualifica "limiti unificanti" - dichiara che "5. (…)la disciplina statale rivolta alla tutela dell'ambiente e dell’ecosistema può incidere sulla materia caccia, pur riservata alla potestà legislativa regionale" in nome di  esigenze riconducibili ad ambiti riservati alla competenza esclusiva dello Stato. La sentenza riconduce la delimitazione temporale del prelievo venatorio (rivolta ad assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili) "all’esigenza" di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema per il cui soddisfacimento l’art. 117, secondo comma, lettera s) ritiene necessario l’intervento in via esclusiva della potestà legislativa statale (pt 6).
 
8. Decisioni sull'interpretazione dell'art. 117, comma 3: i principi fondamentali
 
Con la sentenza n. 282 si affronta per la prima volta anche il tema della competenza concorrente (27) in base alla nuova formulazione dell’art. 117, comma 3, che, a giudizio della Corte, "4. (…) rispetto a quella previgente dell’art. 117, comma 1, esprime l’intento di una più netta distinzione fra la competenza regionale a legiferare in queste materie e la competenza statale, limitata alla determinazione dei principi fondamentali della disciplina". Affermandosi un diverso atteggiarsi del rapporto tra legge statale e legge regionale rispetto al passato nell'esercizio della potestà concorrente dovrebbe concludersi che nella vigenza del nuovo Titolo V le norme di dettaglio poste dal legislatore statale siano inammissibili (D'Atena). Solo un pronunciamento più chiaro della Corte potrà confermare la lettura di questo obiter dictum, secondo un'interpretazione della competenza concorrente largamente condivisa dalla dottrina.
 La Corte poi risolve una delle questioni che avevano animato il dibattito in dottrina, interrogandosi sull'ipotesi se, in assenza di "nuova" legge cornice, la Regione possa esercitare la propria competenza: tale dubbio viene positivamente risolto affermando che "ciò non significa (…) che i principi possano trarsi solo da leggi statali nuove, espressamente rivolte a tale scopo (pt.4)".
Confermando sostanzialmente l'orientamento seguìto in vigenza del "vecchio" Titolo V si afferma che: "specie nella fase della transizione dal vecchio al nuovo sistema di riparto delle competenze, la legislazione regionale concorrente dovrà svolgersi nel rispetto dei principi fondamentali comunque risultanti dalla legislazione statale già in vigore (4)". Anche se l'inciso "specie nella fase della transizione dal vecchio al nuovo sistema di riparto delle competenze" dà adito a ritenere che la Corte ritenga auspicabile l'individuazione espressa di tali principi fondamentali con apposite norme legislative (28).
E in particolare sulla materia tutela della salute la sentenza n. 282 afferma che la legge impugnata che vietava le terapie elettrocompulsive: "3. (…) non riguarda tanto livelli di prestazioni, quanto piuttosto l’appropriatezza, sotto il profilo della loro efficacia e dei loro eventuali effetti dannosi, di pratiche terapeutiche, cioé di un’attività volta alla tutela della salute delle persone". La Corte, quindi, radicando la fattispecie nell'alveo della materia concorrente "tutela della salute" (29), non rinvenendo norme di legge statale esplicitamente volte a disciplinare l’ammissibilità delle pratiche terapeutiche in esame, o delle pratiche terapeutiche in generale, guarda "allo stesso sistema costituzionale" da cui deduce i principi che regolano l’attività terapeutica, in primo luogo, da norme costituzionali (30), da "fondamentali diritti della persona, come il diritto ad essere curati e quello al rispetto della integrità psico-fisica e della personalità del malato nell’attività di cura". Anche la legge lombarda in materia di attività a rischio rilevante viene ricondotta nella sent. n. 407, oltre che all'ambiente, a una pluralità di interessi di competenza concorrente nell'esercizio delle quali la regione può stabilire limiti più severi di quelli fissati dallo Stato (31).
 
9. Regioni a Statuto speciale e Province autonome. Applicabilità del nuovo titolo V (art. 10, l. cost. 3/2001)
 
Come già accennato, la giurisprudenza del 2002 sulle forme di maggiore autonomia rispetto a quelle già attribuite alle Regioni a statuto speciale e alle province autonome in applicazione del nuovo titolo V si è espressa, in primo luogo, sull'instaurazione del processo in via principale delle leggi regionali. In particolare, in applicazione dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001,la sentenza n. 533 (32) afferma "2. (…)il mutamento introdotto con la sostituzione dell'art. 127, nel sopprimere un controllo politico sull'esercizio della potestà legislativa delle Regioni, realizza senz'altro una forma di autonomia più ampia di quella riconosciuta alla Regione Trentino-Alto Adige e alle Province autonome" dallo Statuto per le quali trova "oggi applicazione anche per esse la disciplina posta per le Regioni ad autonomia ordinaria (…)".
In attesa dell'adeguamento dei rispettivi statuti, la clausola di maggiore favore rileva anche sotto il diverso profilo della sorte delle materie ora attribuite alla competenza residuale delle regioni di diritto comune che gli statuti speciali affidino alla competenza primaria, concorrente o integrativa - specie in rapporto ai relativi limiti - della regione.
Il giudizio appena richiamato prospettava tale questione in relazione all'utilizzazione delle acque pubbliche, di potestà residuale per le regioni ordinarie, di potestà concorrente per la provincia di Bolzano che invocava l'applicazione dell'art. 10 in proprio favore. La Corte, tuttavia, nella sentenza n. 533 ha ricondotto la legge che prevedeva sovracanoni per l'utilizzazione delle acque pubbliche alla materia di potestà concorrente "coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario", lasciando tuttora insoluta la questione tra competenze con differenti limiti, ma pianamente affermando l'applicabilità del limite dei principi fondamentali anche nelle materie rimaste attribuite alla potestà concorrente della provincia di Bolzano. 
Con la sentenza n. 536 si affronta, invece, il problema relativo alle materie di potestà primaria delle regioni a Statuto speciale e delle province autonome che il nuovo Titolo V non nomina rimettendole alla potestà residuale delle regioni di diritto comune, in particolare sotto il profilo della sorte dei limiti generali posti negli statuti per la prima e non previsti in Costituzione per la seconda. La questione aveva in oggetto, infatti, una legge in materia di caccia che lo Statuto sardo attribuisce in via esclusiva alla legge regionale e che ora rientra nella competenza residuale delle regioni. La Corte, tuttavia, ritiene che la legge impugnata, posticipando il termine di chiusura della caccia stabilito secondo una legge dello Stato, intervenga piuttosto nella connessa materia della "tutela dell'ambiente e dell'ecosistema" di competenza esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, lett. s), Cost.). Si afferma, quindi, che la "clausola della immediata applicazione alle regioni speciali delle parti della legge costituzionale n. 3 del 2001 che prevedano forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite (…) non implica che, ove una materia attribuita dallo statuto speciale alla potestà regionale interferisca in tutto o in parte con un ambito ora spettante in forza del secondo comma dell'art. 117 della Costituzione alla potestà esclusiva statale, la regione speciale possa disciplinare la materia (o la parte di materia) riservata allo Stato senza dovere osservare i limiti statutari imposti alla competenza primaria delle Regioni, tra cui quelli derivanti dall’osservanza degli obblighi internazionali e delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali" (33). La decisione qui riportata non approda a una soluzione netta, perché non afferma chiaramente l'avvenuta trasformazione ex art. 10 della competenza primaria in materia "caccia" in quella residuale e anzi pur richiamando l'interferenza con la tutela della ambiente e dell'ecosistema di competenza statale - il che sarebbe stato sufficiente per la declaratoria di incostituzionalità in nome delle esigenze unitarie di tutela richiamate - ribadisce l'applicazione dei limiti posti dallo statuto all'esercizio della potestà esclusiva (34).
 
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NOTE

(1) A seguito dell'emanazione della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante "Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione", pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 248 del 24 ottobre 2001. L'art. 8 di detta legge, riformando l'art. 127 della Costituzione prevede ora che "il Governo, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale, entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione". Tale nuova disciplina ha espunto dall'ordinamento la sequenza procedimentale del rinvio governativo, della riapprovazione della legge regionale, a maggioranza assoluta dei componenti del Consiglio regionale, e del successivo ricorso innanzi alla Corte.
(2) Il Governo ha proposto questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Valle d’Aosta 30 novembre 2001, n. 36 (Costituzione di una società per azioni per la gestione della Casa da gioco di Saint-Vincent), denunciandone sia l’intero testo, sia, più specificamente, l’articolo 6 per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera l), lettera h), della Costituzione. La regione ha sostituito il primo comma dell'art. 1 della legge impugnata affermando che l'attività della regione diretta a promuovere la costituzione della società di gestione della Casa da gioco Saint-Vincent è posta in essere "nell'esercizio delle proprie competenze e nel rispetto della competenza statale in materia di ordinamento penale". Cfr. anche le ordinanze n. 141 (infra) e n. 142.
(3) Cfr. sent. 9 dicembre 2002, n. 524 che dichiara anche l'infondatezza e la cessazione della materia del contendere di altre questioni proposte.
(4) Cfr. sentt. 23 luglio 2002, n. 376 e 18 ottobre 2002, n.422.
(5) Cfr. sent. 4 dicembre 2002, n. 510 e 18 dicembre 2002, n. 530.
(6) Cfr. sentenza 3 luglio 2002, n. 304 rilevante, però, ai fini della legge cost. 1 del 1999.
(7) Cfr. sent. 16 maggio 2002, n. 196 e 4 dicembre 2002, n.507.
(8) Cfr. sentt. 24 aprile 2002, n. 133 e 4 dicembre 2002, n. 511.
(9) Cfr. sent. 7 maggio 2002, n. 156.
(10) Cfr. sent. 12 aprile 2002, n. 106.
(11) Cfr. sent. 20 dicembre 2002, n. 533.
(12) Cfr. sentt. 26 giugno 2002, n.282 e 20 dicembre 2002, n.536.
(13) Cfr. sentt. 26 luglio 2002, n.407 e 7 novembre 2002, n. 438, nonché n.533.
(14) Cfr. sent. 3 luglio 2002, n. 306.
(15) Si segnalano le sentenze adottate nei giudizi in via incidentale su questioni di legittimità costituzionale di leggi regionali: tre sentenze - nn. 372, 429 e 478 - dichiarano non fondata la questione; tre sentenza - nn. 373, 346 e 505 - dichiarano l'illegittimità costituzionale di norme regionali.
(16) Cfr. anche ordd. n.397 e n.416 del 2001.
(17) Perché "è stata modificata una delle norme costituzionali invocate come parametro di giudizio". Cfr. le numerose ordinanze nn. 9,13, 14, 26, 60, 72, 73, 76, 80, 96, 117, 157, 165, 166, 230, 235, 245, 339, 352, 386.
(18) In questo senso cfr. le ordinanze nn. 351, 412 e 420; l'ordinanza n. 515, invece, ha esaminato la questione della quale dichiara la manifesta infondatezza in quanto l'ordinanza di rimessione, pur essendo stata deliberata in data anteriore all'entrata in vigore della riforma (e quindi la regione chiedeva la restituzione degli atti al giudice a quo) è stata depositata dopo l'entrata in vigore della legge costituzionale.
(19) Oltre alle ordd. nn. 246, 247, 248,65, 182, 228, cfr. la sentenza 6 febbraio 2002, n. 17 dove si afferma che "nelle more del giudizio, il peculiare procedimento di controllo di costituzionalità, attivato, nella specie, dal Presidente del Consiglio dei ministri, é venuto meno, (…) non essendo più previsto che la Corte stessa eserciti il sindacato di costituzionalità sulla delibera legislativa regionale prima che quest'ultima sia stata promulgata e pubblicata e, quindi, sia divenuta legge in senso proprio. Il che comporta la declaratoria di improcedibilità dei presenti ricorsi" (pt.3). Così, ad esempio, l'ordinanza n. 228 ha dichiarato l'improcedibilità della impugnazione di una delibera legislativa del Piemonte, successivamente promulgata (lg. 13 novembre 2001, n. 26), impugnata secondo il nuovo art. 127 nonché dichiarata illegittima dalla sentenza n. 282.
(20) Cfr. la sentenza 23 luglio 2002, n. 376.
(21) Cfr. le sentt. 422, 507, 510, 524 del 2002
(22) Cfr. l'ordinanza 23 luglio 2002, n. 383 che si riferisce alla riforma ex legge cost. n. 1 del 1999. L'ord. n. 383 afferma che la competenza regionale in materia di incompatibilità dei consiglieri regionali introdotta dalla legge cost. n. 1 del 1999 "dà luogo a nuove e diverse possibilità di intervento legislativo della regione, senza che però venga meno nel frattempo, in forza del principio di continuità, l'efficacia della normativa statale preesistente conforme al quadro costituzionale in vigore all'epoca della sua emanazione".
(23) La Corte si è espressa per l'estensione del nuovo art. 127, implicitamente, al Friuli-Venezia Giulia con l'ordinanza 65, alla Valle d'Aosta con la ordinanza 377, al Trentino- Alto Adige e alle Provincie autonome con le sentt. nn. 408 e 533. In assenza di pronuncia espressa resta aperta la questione relativa all'attribuzione del potere di impugnazione delle leggi regionali siciliane in capo al Commissario dello Stato, proprio sotto il profilo della "clausola di maggior favore" nonostante l'eliminazione della corrispondente (sent. 545/1989) figura del Commissario del governo a seguito dell'abrogazione dell'art. 124 Cost.
(24) All'esame della Corte era la questione di legittimità costituzionale della deliberazione legislativa statutaria del Consiglio regionale della regione Marche recante "disciplina transitoria in attuazione dell'art. 3 della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1" che disponeva che, fino all'approvazione del nuovo statuto, nel caso di morte o impedimento permanente del Presidente della Giunta, il vicepresidente gli subentrasse. Con la sentenza 3 luglio 2002, n. 304 tale delibera è stata dichiarata illegittima per violazione con la disciplina costituzionale transitoria dell'art. 5, comma 2, lett b) (infra). La sentenza 3 luglio 2002, n. 306, invece, ha in primo luogo interpretato come giudizio in via di azione il ricorso proposto dal Presidente del consiglio, denominato conflitto di attribuzione. Ha dichiarato la illegittimità costituzionale della deliberazione legislativa statutaria del Consiglio della regione Marche nella quale si dispone che alla dizione Consiglio regionale venga affiancata quella di parlamento delle Marche (cfr. sent. n. 106).
(25) Il governo aveva anche "censurato l’art. 6 della stessa legge n. 36 del 2001, in forza del quale la designazione, da parte della Giunta regionale, di quattro dei cinque componenti del Consiglio di amministrazione della costituenda società per azione Casino de la Vallée avverrebbe "in deroga a quanto previsto dalla legge regionale 10 aprile 1997, n. 11" e, quindi, alle disposizioni in essa richiamateriguardanti la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi manifestazioni di pericolosità sociale.
Ne discenderebbe, ad avviso del ricorrente Presidente del Consiglio dei ministri, la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione, che riserva allo Stato la competenza esclusiva in materia di ordine pubblico e sicurezza." (pt. 1 della sent. 438), ma la Corte ha dichiara la cessazione della materia del contendere.
(26) Con la sentenza n. 422, che decide una questione sollevata anteriormente all'entrata in vigore della riforma e che quindi la Corte, in nome del principio di continuità, risolve alla stregua delle norme costituzionali nella formulazione originaria si afferma che: "3. (…)l'istituzione di parchi nazionali coinvolge varie competenze, sia dello Stato che delle Regioni, le quali si atteggiano differentemente nei diversi momenti in cui la procedura di istituzione si svolge (…) Quando si abbia a che fare con competenze necessariamente e inestricabilmente connesse, il principio di "leale collaborazione" - che proprio in materia di protezione di beni ambientali e di assetto del territorio trova un suo campo privilegiato di applicazione – richiede la messa in opera di procedimenti nei quali tutte le istanze costituzionalmente rilevanti possano trovare rappresentazione. Tuttavia, il primo momento del procedimento, cioè la decisione iniziale che attiva le procedure in vista della creazione di uno specifico parco nazionale (decisione che prelude ma non è ancora, come detto, la "istituzione"), attenendo alla cura di un interesse non frazionabile Regione per Regione, rileva essenzialmente della competenza statale, quale espressione di tale interesse. Tale competenza, il cui esercizio è finalizzato alla tutela dei valori protetti dall'art. 9 della Costituzione, può essere organizzata in modo che trovino espressione punti di vista regionali e locali, quale integrazione degli elementi valutativi a disposizione dell'istanza nazionale decidente e contributi in vista di soluzioni condivise. Sarebbe tuttavia contraddittorio, rispetto al carattere nazionale dell'interesse ambientale e naturalistico da proteggere, ritenere che sia costituzionalmente dovuto l'assenso o l'intesa regionali o locali dotati di forza giuridicamente condizionante.
(27) In ordine alla potestà ripartita di cui all'art. 122 rileva, inoltre,la già citata ordinanza n. 383 in cui si afferma il principio di continuità in relazione ai principi fondamentali della materia posti dalla legislazione vigente: "il nuovo testo dell’art. 122 della Costituzione, come sostituito dalla legge costituzionale n. 1 del 1999 – che riserva alla Regione la competenza legislativa in materia, tra l’altro, di incompatibilità dei consiglieri regionali (con il rispetto dei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica) – dà luogo solo a nuove e diverse possibilità di intervento legislativo della Regione, senza che però venga meno, nel frattempo, in forza del principio di continuità (…), l’efficacia della normativa statale preesistente conforme al quadro costituzionale in vigore all’epoca della sua emanazione".
(28) Cfr. infra Cons. Stato, Ad. Gen 11 aprile 2002, n. 1 secondo il quale, non solo è auspicabile, ma necessaria la fissazione dei principi fondamentali in previe leggi statali quale presupposto imprescindibile ai fini dell'esercizio della competenza concorrente.
(29) "4. Il punto di vista più adeguato, dunque, per affrontare la questione é quello che muove dalla constatazione che la disciplina in esame concerne l’ambito materiale della "tutela della salute", che, ai sensi dell’art. 117, comma 3, Cost., costituisce oggetto della potestà legislativa concorrente delle Regioni, la quale si esplica nel rispetto della competenza riservata allo Stato per la "determinazione dei principi fondamentali"."
(30) "Non può ingannare la circostanza che non si rinvengano norme di legge statale esplicitamente volte a disciplinare l’ammissibilità delle pratiche terapeutiche in esame, o delle pratiche terapeutiche in generale. Anzi l’assenza di siffatte statuizioni legislative concorre a definire la portata dei principi che reggono la materia, e che, nella specie, non possono non ricollegarsi anzitutto allo stesso sistema costituzionale."
(31) La Corte ha avuto modo di operare una sorta di ricognizione di alcuni principi fondamentali della materia.
 Molte questioni proposte in materia di principi fondamentali sono state restituite al giudice a quo o hanno portato alla rinuncia per ius supervenines del Tit. V: ordd. nn. 13 e 14 (bonifica), 73 (tasse sulle concessioni regionali), 80 (attività libero-professionale), 96 (edificabilità), 162 (personale sanitario- tossicodipendenze), 182 (tutela sanitaria e ambientale), 192 (sviluppo industriale), 228 (assistenza sanitaria ed ospedaliera), 245 (edilizia popolare), 438 e 516 (infrastrutture e trasporti).
(32) La Corte si è espressa per l'estensione del nuovo art. 127, implicitamente, al Friuli Venezia Giulia con l'ordinanza 65, alla Valle d'Aosta con la ordinanza 377, al Trentino Alto Adige e alle Provincia autonome con le sentt. 408 e 533. In assenza di pronuncia espressa resta aperta la questione relativa all'attribuzione del potere di impugnazione delle leggi regionali siciliane in capo al Commissario dello Stato, proprio sotto il profilo della "clausola di maggior favore" nonostante l'eliminazione della corrispondente (sent. 545/1989) figura del Commissario del governo a seguito dell'abrogazione dell'art. 124 Cost.
(33) Nella sent. n. 505 richiama alcuni principi in materia di smaltimento dei rifiuti: nel caso di specie si verteva su competenza del Friuli Venezia Giulia limitata oltre che ex art. 120 anche dai "principi fondamentali delle norme di riforma economico-sociale" introdotte dal decreto lgivo n. 22 del 1997. Cfr. ordinanza n. 380 e 382 sul venir meno dell'interesse nazionale e ord. 397 su pianificazione territoriale e urbanistica.
(34) Sotto il profilo dello ius superveniens in relazione all'art. 10 della novella costituzionale rileva anche l'ord. n. 141 nel cui giudizio la provincia di Bolzano vantava l'estensione alla provincia - in quanto "forma di autonomia maggiore" - dell'attribuzione della materia del commercio alla competenza residuale delle regioni ex art. 3 della legge cost. n. 3 del 2001. La Corte ha dichiarato l'estinzione del processo in via principale promosso dal Presidente del Consiglio nei confronti della provincia autonoma di Bolzano per rinuncia del ricorrente in conseguenza, però, dell'approvazione della legge provinciale che si adeguava alle novità della disciplina statale del commercio, lasciando pensare che queste ultime restino norme fondamentali di riforma economico-sociale. L'ord. n. 141 è, al contrario, esempio della contrattazione politica tra enti spostata ora, in conseguenza della soppressione della fase di rinvio, in pendenza del giudizio in via principale.
 

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