Avvertenza: lo studio che segue è tratto dal Secondo rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia, pubblicato a cura dell'ISSiRFA.


SOMMARIO:
1. Considerazioni introduttive e gli 'allarmanti' dati quantitativi
2. Profili processuali
2.1. Profili soggettivi
2.2. Sistemi di impugnazione
2.3. Vizi deducibili
2.4. Questioni di legittimità
2.5. Profili oggettivi
2.6. Scissione dei ricorsi
3. Autonomia statutaria e armonia con la Costituzione
4. La forma di governo e il sistema elettorale regionale
5. Riparto delle competenze e sussidiarietà
6. Interesse nazionale, leale collaborazione, indirizzo e coordinamento
6.1. Interesse nazionale, sussidiarietà e leale collaborazione
6.2. Funzione di indirizzo e coordinamento
7. Legge statale e legge regionale. Limiti alla potestà legislativa
7.1. Recepimento in materia concorrente
7.2. Recepimento in materia esclusiva statale
7.3. Il limite degli obblighi comunitari
7.4. Il limite dei principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica
7.5. Il limite delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica
8. Oggetto e materie
8.1. Intreccio di più materie e competenze in un unico oggetto
8.2. Materie-non materie
9. Competenza esclusiva statale
9.1. 'moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenze; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie' (lett. e)
9.2. 'ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali' (lett. g)
9.3. 'ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa' (lett. h)
9.4. 'giurisdizione e norme processuali; ordinamenti civile e penale; giustizia amministrativa' (lett. l)
9.5. 'determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale' (lett. m)
9.6. 'legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane' (lett. p)
9.7. 'dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale' (lett. q)
9.8. 'tutela dell'ambiente e dell’ecosistema' (lett. s)
10. Competenza concorrente
10.1. Materie innominate e 'governo del territorio'
10.2. 'istruzione e tutela del lavoro'
10.3. 'tutela della salute', ‘ordinamento della comunicazione’ e ‘produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia’
10.4. 'valorizzazione dei beni culturali'
10.5. La natura dei principi fondamentali
10.5.1. 'tutela della salute'
10.5.2. 'trasporto dell'energia' e 'ordinamento della comunicazione'
10.5.3. 'governo del territorio'
10.5.4. 'professioni’
10.6. Normativa statale di dettaglio cedevole
11. Competenza residuale
12. Potere estero delle regioni
13. Autonomia finanziaria (art.119)
14. Poteri sostitutivi (Art. 120)
15. Art. 10, l. cost. n. 3/2001 e competenze
Note




1. Considerazioni introduttive e gli 'allarmanti' dati quantitativi

La giurisprudenza costituzionale del 2003 ha visto seriamente intaccata la 'centralità' (G. Azzariti) del giudizio di legittimità in via incidentale nel modello di giustizia costituzionale italiano. Le sentenze adottate nell'ambito del giudizio in via principale rappresentano per la prima volta infatti una percentuale di poco inferiore a quella delle decisioni pronunciate in giudizi in via incidentale (1).
L'abolizione del controllo preventivo delle leggi regionali, in un contesto caratterizzato da forti contrasti politici per la rivendicazione delle rispettive competenze, si è confermata la ragione principale dello spostamento di molte questioni rilevanti per il nuovo assetto delle autonomie territoriali dalla contrattazione politica (la cosiddetta contrattazione di legittimità) alla risoluzione giurisprudenziale. Prova ne sono le dichiarazioni di cessazione della materia del contendere(2) o di estinzione del processo per rinuncia (3) nei casi in cui le norme impugnate, nelle more del giudizio, sono state oggetto di modifica o di abrogazione.
Delle 134 sentenze del 2003, ben 73 sono di interesse regionale: 48 nei giudizi in via principale, 18 nei conflitti intersoggettivi e 7 nei giudizi in via incidentale aventi ad oggetto una legge regionale. Con questa nutrita giurisprudenza di interesse regionale la Corte ha risolto buona parte del notevole contenzioso apertosi nel corso del 2002, fornendo la propria interpretazione dei nuovi parametri costituzionali: oltre ad aver deciso su ricorsi in via principale depositati nel 2000 e nel 2001 e quindi risolti "alla stregua delle previgenti disposizioni costituzionali" (sent. n. 376/02) (4), la Corte infatti si è pronunciata con 26 decisioni su 32 delle 57 impugnative statali depositate nel 2002 (5) e su 29 delle 35 impugnative regionali e provinciali (comprensive di un ricorso 'comunale') con 11 sentenze e una sola ordinanza (6) (i ricorsi vertenti sulla legge finanziaria 2002 sono stati decisi con più sentenze, vd. infra). La Corte si è inoltre pronunciata su alcune questioni depositate nel corso dell'anno: due impugnative statali (7) e una regionale (8). Nel giudicato del 2003, comunque, prevalgono decisamente i dispositivi di illegittimità costituzionale di leggi regionali e le dichiarazioni di non fondatezza delle questioni di legittimità aventi ad oggetto leggi statali.
Si tenga presente, inoltre, che se nei giudizi in via incidentale sono state risolte prevalentemente questioni sollevate nel 2002 (9) e nel 2003 (10), delle 23 sentenze emesse nei conflitti tra enti, ben 17, invece, hanno avuto a parametro le norme del 'vecchio' Titolo V (11) e ben 10 sono di inammissibilità (12), di manifesta inammissibilità (13) per inidoneità dell'atto impugnato a ledere la sfera di attribuzioni costituzionale, di inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse (sent. n.114) o per cessazione della materia del contendere (ord. nn. 53 e 168), di estinzione del processo per rinuncia (ord. n. 24, sent. nn. 265 e 364(14)), rendendo la giurisprudenza nei conflitti intersoggettivi poco rilevante su questioni di merito. La Corte invita, infatti, al rispetto del 'tono costituzionale' dei conflitti di attribuzione (sent. n. 95).
Delle 248 ordinanze adottate nel 2003 solo 23 sono relative ai rapporti stato-regione (15). Non solo perché i giudizi in cui principalmente si confrontano lo stato e le regioni poco si prestano alle decisioni interlocutorie, ma anche perché sono state già risolte con le ordinanze del 2002 le questioni di diritto intertemporale collegate al sopravvenire dei nuovi parametri costituzionali introdotti con la l. cost. n. 3/2001.
La giurisprudenza costituzionale quindi, con la sua mole e le sue caratteristiche, dimostra quanto l'attività della Corte sia stata appesantita dal ruolo di 'supplenza' che si è trovata ad assolvere in assenza di fondamentali strumenti di attuazione della revisione del Titolo V, gli statuti regionali da un lato, i decreti legislativi previsti dalla l. n. 131/2003 dall'altro. Altre volte la Corte si è dichiaratamente 'arresa' al proprio ruolo, invocando la propria impotenza a fronte della mancata attuazione legislativa (cfr. sentt. nn. 9 e 370).
Il tasso di innovatività di qualche sentenza, in particolare la sent. n. 303, ha comunque fatto parlare di una 'riscrittura' della Costituzione (A.Morrone). In effetti l’interpretazione giurisprudenziale dei nuovi parametri costituzionali sembra prevalentemente inserirsi in una linea di continuità con quella formatasi sull'originario Titolo V, deludendo le aspettative di alcuni interpreti che proprio sulla 'discontinuità' con il precedente disegno costituzionale fondavano alcune ricostruzioni: come è stato rilevato (P. Caretti), ne escono smentite le interpretazioni che intravedevano la fine di ogni parallelismo tra funzioni legislative e quelle amministrative (A. Ruggeri), una lettura restrittiva delle materie 'trasversali', la competenza tendenzialmente generale della legge regionale, l'immediata applicabilità della riforma, la parificazione di tutti gli enti che compongono la Repubblica.


2. Profili processuali

Dal punto di vista processuale, molte sono state le conferme di precedenti linee giurisprudenziali.

2.1. Profili soggettivi

In primo luogo, quanto ai soggetti legittimati a ricorrere presso la Corte sia in via principale che per conflitto di attribuzione, si è ribadito che, anche dopo la riforma del Titolo V, "nessun elemento letterale o sistematico consente (…) di superare la limitazione soggettiva che si ricava dagli art. 134 della Costituzione e 39, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87" (sent. n. 303), per cui la titolarità del potere di impugnazione resta affidata in via esclusiva alle regioni e alle province autonome, e non anche agli enti locali, nella specie i comuni. Nei giudizi promossi in via principale si conferma inoltre inammissibile l'intervento di un comune o di soggetti, anche imprenditoriali, "diversi dal titolare delle competenze legislative in contestazione o con queste comunque connesse" (sent. n. 49)(16) ancorché destinatari attuali o potenziali delle discipline normative recate dalle leggi impugnate (sent. n. 307).

2.2. Sistema di impugnazione

Invariato resta pure il sistema di controllo per le leggi siciliane (sentt. nn. 314 e 351) (17) perché la Corte ha ritenuto, attesa la incomparabilità dei sistemi, di non poter considerare il sistema di impugnazione ex art. 127 Cost. una "forma di autonomia più ampia" rispetto a quello previsto dallo statuto siciliano (infra, par. 15).

2.3. Vizi deducibili

La Corte non ha fatto propria neppure l'interpretazione che, anche alla luce della parificazione operata dall'art. 114 Cost. tra gli enti che costituiscono la Repubblica, auspicava 'una parità di armi' tra stato e regioni sotto il profilo dei parametri di legittimità invocabili (18). Questa rilevante questione, non avendo trovato soluzione con la l. n. 131/2003 (19), è stata sciolta dalla Corte con la sent. n. 274. Dopo aver richiamato le argomentazioni di carattere sistematico a favore della 'simmetria' tra le parti, che avevano trovato apparente conferma in un obiter dictum della sent. n. 282 del 2002 (A. D’Atena), la Corte osserva che "è decisivo rilevare come, nel nuovo assetto costituzionale scaturito dalla riforma, allo Stato sia pur sempre riservata, nell’ordinamento generale della Repubblica, una posizione peculiare desumibile non solo dalla proclamazione di principio di cui all’art. 5 della Costituzione, ma anche dalla ripetuta evocazione di un’istanza unitaria, manifestata dal richiamo al rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, come limiti di tutte le potestà legislative (art. 117, comma 1) e dal riconoscimento dell’esigenza di tutelare l’unità giuridica ed economica dell’ordinamento stesso (art. 120, comma 2). E tale istanza postula necessariamente che nel sistema esista un soggetto – lo Stato, appunto – avente il compito di assicurarne il pieno soddisfacimento. Lo stesso art. 114 della Costituzione non comporta affatto una totale equiparazione fra gli enti in esso indicati, che dispongono di poteri profondamente diversi tra loro: basti considerare che solo allo Stato spetta il potere di revisione costituzionale e che i Comuni, le Città metropolitane e le Province (diverse da quelle autonome) non hanno potestà legislativa. In conclusione, pur dopo la riforma, lo Stato può impugnare in via principale una legge regionale deducendo la violazione di qualsiasi parametro costituzionale" (20). Come vedremo infra, a giudizio della Corte, stato e regioni si trovano, comunque, su un piano di 'tendenziale parità' (S. Bartole) nel riscontrare, attraverso un'intesa, quelle esigenze unitarie che consentono deroghe al normale riparto di materie.

2.4. Questioni di legittimità

Nella sent. n. 228, inoltre, la Corte ha ribadito ancora una volta che "- a differenza di quanto accade per il giudizio in via incidentale - il giudizio in via principale (soggetto a termini di decadenza, in quanto processo di parti, svolto a garanzia di posizioni soggettive dell’ente ricorrente) può concernere questioni sollevate sulla base di interpretazioni prospettate dal ricorrente come possibili. Il principio vale soprattutto nei casi in cui su una legge non si siano ancora formate prassi interpretative in grado di modellare o restringere il raggio delle sue astratte potenzialità applicative, e le interpretazioni addotte dal ricorrente non siano implausibili e irragionevolmente scollegate dalle disposizioni impugnate così da far ritenere le questioni del tutto astratte o pretestuose". La Corte ha anche ribadito che la questione di legittimità deve comunque contenere "una seppur sintetica argomentazione di merito, a sostegno della richiesta declaratoria d'incostituzionalità della legge" (sentt. nn. 213 e 242): la questione, come è noto, deve essere definita nei suoi precisi termini e adeguatamente motivata.

2.5. Profili oggettivi

Senz’altro non poteva non essere confermata la natura secondaria dei regolamenti di delegificazione per i quali la difesa erariale invocava l'impugnazione ex art. 127 attribuendo loro "la forma del regolamento ma sostanza e forza di legge" (sent. n. 302). È stato ribadito, inoltre, che i conflitti tra enti non possono riguardare atti legislativi (sent. n. 303) (cfr. focus sui regolamenti).
Si conferma in nome del principio di continuità la legittimità costituzionale delle norme anteriori alla riforma fino a quando non vengano sostituite dall'autorità competente in base al nuovo sistema, come si ribadisce in tema di elezione dei consigli regionali (sent. n. 196) e in materia di turismo (sent. n. 197). Nell'ambito dei giudizi in via incidentale di interesse regionale si segnala poi la pronuncia di 'palese infondatezza' del venire meno dell'operatività di una norma solo perché analoga ad altra già dichiarata incostituzionale, "tesi, che sembra prescindere dalla disciplina dell’illegittimità consequenziale di cui all’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e dalla relativa giurisprudenza di questa Corte" (sent. n. 306).

2.6. Scissione dei ricorsi

L'unica novità processuale, in conclusione, è la 'scissione dei ricorsi' (G. Zagrebelsky) che ha consentito di risolvere lo stesso ricorso in più sentenze, procedendo a una scorporazione delle questioni in esso sollevate: "il ricorso, uno nella forma, è plurimo nel contenuto. Esigenze di omogeneità e univocità della decisione inducono a distinguere le materie e a procedere, quindi, alla decisione separata di ciascuna questione o gruppo di questioni" (sent. n. 201). Questa esigenza di circoscrivere il thema decidendum della decisione a una questione o a un gruppo omogeneo e univoco di questioni è stata avvertita solo a fronte dell'impugnazione di provvedimenti omnibus: la legge finanziaria 2002 (21)) e la legge lombarda 6 marzo 2002, n. 4 (Norme per l’attuazione della programmazione regionale e per la modifica e l’integrazione di disposizioni legislative), definita dalla Corte 'una legge priva di unitarietà, che interviene sulle più disparate materie' (sent. n. 331) (22). Si tratta, quindi, di una novità che dovrebbe favorire il reale rispetto dei canoni di un buon drafting normativo (A. Ruggeri). Le sentenze in questione contengono, prima del dispositivo, la formula 'riservata ogni decisione sulla questione…'.


3. Autonomia statutaria e armonia con la Costituzione

Lasciatesi alle spalle le questioni procedurali risolte nel 2002, la Corte ha avuto modo di esprimersi sui contenuti degli statuti (rinvio a A. Ferrara, Cap. III, ivi). La sent. n. 196, in particolare, 'riserva allo statuto', "come parte della disciplina della forma di governo regionale", "la disciplina della eventuale prorogatio degli organi elettivi regionali dopo la loro scadenza o scioglimento o dimissioni, e degli eventuali limiti dell’attività degli organi prorogati (…): così come è la Costituzione (art. 61, secondo comma; art. 77, secondo comma) che regola la prorogatio delle Camere parlamentari". Viene scorporata dalla disciplina della prorogatio, tuttavia, "l’ipotesi dello scioglimento o rimozione 'sanzionatori', prevista dall’art. 126, primo comma, della Costituzione. In questo caso, trattandosi di un intervento repressivo statale (non più previsto per la semplice impossibilità di funzionamento, come accadeva nel vecchio testo dell’art. 126 Cost., ma solo a seguito di violazioni della Costituzione o delle leggi, o per ragioni di sicurezza nazionale), è logico che le conseguenze, anche in ordine all’esercizio delle funzioni fino all’elezione dei nuovi organi, siano disciplinate dalla legge statale, cui si deve ritenere che l'art. 126, primo comma della Costituzione implicitamente rinvii, nonostante l'avvenuta soppressione del vecchio art. 126, quinto comma" (sent. n. 196).
In materia di prorogatio lo statuto deve fissare almeno le regole fondamentali, "in armonia con i precetti e con i principi ricavabili dalla Costituzione, ai sensi dell'art. 123, primo comma, della Costituzione" (sent. n. 196). Con la successiva sent. n. 313 la Corte chiarisce che "l’espressione ‘in armonia con la Costituzione’, (…), non consente (…) un eccesso di costruttivismo interpretativo", che finirebbe per "comprimere indebitamente la potestà statutaria di tutte le regioni ad autonomia ordinaria, tramite non controllabili inferenze e deduzioni da concetti generali, assunti a priori". Nel caso di specie quindi "nel silenzio della Costituzione" spetta all'autonomia statutaria organizzare la forma di governo e il potere regolamentare regionale (cfr. L.Ronchetti, focus sui regolamenti regionali, ivi).


4. La forma di governo e il sistema elettorale regionale

Come è noto, fino all’entrata in vigore dei nuovi statuti regionali, l’art. 5 della l. cost. n. 1/1999 detta direttamente la disciplina dell’elezione del presidente della regione, stabilendo che essa sia contestuale al rinnovo del consiglio e che si effettui "con le modalità previste dalle disposizioni di legge ordinaria vigenti in materia di elezione dei Consigli regionali". La competenza legislativa regionale in materia elettorale ex art. 122 Cost. è quindi stretta tra autonomia statutaria, peraltro ancora non esercitata nel 2003, e disciplina transitoria di rango costituzionale che 'irrigidisce' le disposizioni di legge statale vigenti (rinvio a A. Ferrara, Cap. III, ivi). Tuttavia, a giudizio della Corte, ciò non significa che la legge regionale in materia "non possa nemmeno, fin d’ora, modificare, in aspetti di dettaglio, la disciplina delle leggi statali vigenti, per tutto quanto non è direttamente o indirettamente implicato dal citato art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999, in attesa del nuovo statuto, e così per quanto riguarda competenze e modalità procedurali" (sent. n. 196). Tra queste ultime fa salve la disciplina del termine iniziale e di quello ad quem per lo svolgimento delle elezioni.
Il legislatore regionale in materia elettorale deve inoltre osservare i limiti posti dai principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi ai sensi dell’art. 122 Cost. Per violazione di quest'ultima norma costituzionale la Corte ha, infatti, annullato la parte della legge elettorale abruzzese relativa alla durata del mandato consiliare (sent. n. 196). In tema di ineleggibilità e di incompatibilità ha individuato le norme dell’ordinamento giuridico statale vigente "che esprimano scelte fondamentali": "il principio in questione consiste nell’esistenza di ragioni che ostano all’unione nella stessa persona delle cariche di sindaco o assessore comunale e di consigliere regionale e nella necessità conseguente che la legge predisponga cause di incompatibilità idonee a evitare le ripercussioni che da tale unione possano derivare sulla distinzione degli ambiti politico-amministrativi delle istituzioni locali e, in ultima istanza, sull’efficienza e sull’imparzialità delle funzioni, secondo quella che è la ratio delle incompatibilità, riconducibile ai principi indicati in generale nell’art. 97, primo comma, della Costituzione (sentenze n. 97 del 1991 e n. 5 del 1978). In sintesi: il co-esercizio delle cariche in questione è, a quei fini, in linea di massima, da escludere" (sent. n. 201). Si ricorda che la legge che mirava ad estendere anche ai consiglieri regionali la meno restrittiva disciplina per i consiglieri degli enti locali è stata rinviata alle Camere dal presidente della Repubblica con un messaggio del 5 novembre 2002 per 'palese contrasto con l'art. 122, primo comma, della Costituzione'.
Le cause di incompatibilità previste dalla legge statale per i consiglieri regionali, inoltre, non coincidono e possono non coincidere con quelle dei consiglieri degli enti locali. Infatti "non solo le funzioni dei consiglieri regionali risultano differenziate da quelle dei consiglieri degli enti locali, essendo essenzialmente caratterizzate dall’esercizio di poteri legislativi, ma che proprio la più recente legislazione costituzionale (leggi costituzionali n. 1 del 1999 e n. 3 del 2001) ed ordinaria (testo unico sugli enti locali e legge n. 75 del 2002, di conversione del d.l. n.13 del 2002) ha distinto maggiormente che in passato le funzioni e lo status delle diverse categorie dei componenti dei Consigli degli enti regionali e locali, ripartendo inoltre in modo differenziato la stessa titolarità della disciplina legislativa relativa alle rispettive cause di incompatibilità" (ord. n. 223). La disciplina delle cause di ineleggibilità e di incompatibilità a cariche elettive regionali, derivanti dalla titolarità di cariche elettive comunali, provinciali e delle città metropolitane rientra in questa competenza concorrente (sent. n. 201).
Le regioni a statuto speciale, in tema di ineleggibilità, mantengono "la possibilità di discipline differenziate da quelle previste a livello nazionale, pur richiamando la necessità della sussistenza di motivi adeguati e ragionevoli finalizzati alla tutela di interessi generali". La competenza primaria in materia è sottoposta al solo "rispetto dei principi ricavabili dalla costituzione stessa in materia elettorale (…) Tra tali condizioni richieste all’aspirante candidato possono ben essere comprese non solo l’inesistenza di incarichi tali da determinare indebite influenze sulla par condicio della competizione elettorale, ma anche l’inesistenza di incarichi la cui titolarità sia ritenuta incompatibile con la candidatura in questione" (sent. n. 306).
Nessuna legge, comunque, potrebbe legittimamente attribuire ai consigli regionali il giudizio definitivo sui titoli di ammissione dei loro componenti e sulle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità, che, come ha affermato risalente giurisprudenza (sent. n. 66 del 1964) è materia rientrante nella sfera della giurisdizione; la Corte richiama quindi i precedenti (23) con i quali ha già affermato che "le norme legislative e dei regolamenti interni le quali parlano di un “giudizio definitivo” delle assemblee elettive regionali sulla verifica dei poteri e sulle contestazioni e i reclami elettorali vanno intese, conformemente alla Costituzione, come riferite alla fase “amministrativa” del contenzioso elettorale, e non escludono la successiva eventuale fase giurisdizionale, non potendo le norme regionali disciplinare la giurisdizione né escluderla" (sent. n. 29).
In materia elettorale rileva inoltre la sent. n. 49, con la quale la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge della Valle d’Aosta nella parte in cui prevede che, a pena di invalidità, le liste elettorali per il rinnovo del consiglio regionale devono comprendere "candidati di entrambi i sessi". La legge impugnata non introduce, infatti, un "requisito ulteriore di eleggibilità, e nemmeno di ‘candidabilità’ dei singoli cittadini. L’obbligo imposto dalla legge, e la conseguente sanzione di invalidità, concernono solo le liste e i soggetti che le presentano". Il vincolo di legge, peraltro nel caso di specie imposto "nella misura minima di una non discriminazione", si giustifica pienamente alla luce della finalità promozionale oggi espressamente prevista dalla norma statutaria. La l. cost. n. 2/2001, integrando gli statuti delle regioni ad autonomia differenziata (cui si aggiunge l’analoga, anche se non identica, previsione del nuovo art. 117, settimo comma, Cost.), pone infatti esplicitamente l’obiettivo del riequilibrio tra i sessi nella rappresentanza e stabilisce come doverosa l’azione promozionale per la parità di accesso alle consultazioni, riferendoli specificamente alla legislazione elettorale.


5. Riparto delle competenze e sussidiarietà

Prima di monitorare il riparto per materie a seconda del tipo di competenza, deve darsi conto dell’innovatività, per quanto 'ortopedica' (A. D'Atena), insita nell’operazione ermeneutica elaborata nella sent. n. 303. Vi si afferma che lo stato, in nome di esigenze unitarie, può assumere l'esercizio di funzioni amministrative, nel caso di specie in una materia di competenza concorrente, in tal modo acquisendo titolo per regolarla interamente con propria legge (cfr. O. Chessa, R. Tosi). La Corte ha ritenuto infatti di poter ravvisare anche nel nostro sistema costituzionale "congegni volti a rendere più flessibile un disegno che, in ambiti nei quali coesistono, intrecciate, attribuzioni e funzioni diverse, rischierebbe di vanificare, per l’ampia articolazione delle competenze, istanze di unificazione presenti nei più svariati contesti di vita, le quali, sul piano dei principî giuridici, trovano sostegno nella proclamazione di unità e indivisibilità della Repubblica", ex art. 5 Cost.
Un congegno di flessibilità, a giudizio della Corte, è ravvisabile nell’art. 118, primo comma, Cost., "il quale si riferisce esplicitamente alle funzioni amministrative, ma introduce per queste un meccanismo dinamico che finisce col rendere meno rigida (…) la stessa distribuzione delle competenze legislative", sulla base dei principî di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza: invocando la "comprovata attitudine ascensionale" della sussidiarietà, qualora le funzioni amministrative vengano allocate a livello statale, lo stato è abilitato anche a organizzarle e regolarle con legge, al fine di renderne l’esercizio permanentemente raffrontabile ad un parametro di legge dotato di 'unitarietà' (A. D'Atena).
È la Corte stessa a delineare l'evoluzione del principio di sussidiarietà nel nostro ordinamento a partire dalla l. n. 59/1997 ove opera "come criterio ispiratore della distribuzione legale delle funzioni amministrative fra lo Stato e gli altri enti territoriali" e quindi "nella sua dimensione meramente statica, come fondamento di un ordine prestabilito di competenze". "Quel principio, con la sua incorporazione nel testo della Costituzione, ha visto mutare il proprio significato. Accanto alla primitiva dimensione statica, che si fa evidente nella tendenziale attribuzione della generalità delle funzioni amministrative ai Comuni, è resa, infatti, attiva una vocazione dinamica della sussidiarietà, che consente ad essa di operare non più come ratio ispiratrice e fondamento di un ordine di attribuzioni stabilite e predeterminate, ma come fattore di flessibilità di quell’ordine in vista del soddisfacimento di esigenze unitarie. Ecco dunque dove si fonda una concezione procedimentale e consensuale della sussidiarietà e dell’adeguatezza [corsivi miei]".
I principi ora richiamati sembrerebbero, quindi, operare come clausola di flessibilità, non tanto del riparto di materie in sé, ma dei confini della potestà legislativa statale (A. Anzon). Unico 'temperamento' (G. Zagrebelsky) alle possibili deroghe, in nome dei principî di sussidiarietà e di adeguatezza, a un riparto di competenze decisamente 'attenuato' (R. Bin) (24) sarebbe che "la valutazione dell’interesse pubblico sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità, e sia oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata" (25). Sotto tale profilo si apre un altro ordine di riflessioni.


6. Interesse nazionale, leale collaborazione, indirizzo e coordinamento

6.1. Interesse nazionale, sussidiarietà e leale collaborazione

Sempre nella sent. n. 303 si afferma che i principi di sussidiarietà e di adeguatezza "non possano assumere la funzione che aveva un tempo l’interesse nazionale, la cui sola allegazione non è ora [corsivo mio] sufficiente a giustificare l’esercizio da parte dello Stato di una funzione di cui non sia titolare in base all’art. 117 Cost.". Ricollegandosi a tale precedente nella sent. n. 370 si afferma, d'altra parte, che non è "invocabile la sussistenza di un 'interesse nazionale', come limite, implicito ma imprescindibile, di cui tener conto al fine di disciplinare settori essenziali per garantire i diritti primari dei cittadini. Una categoria giuridica del genere è infatti estranea al disegno costituzionale vigente".
La ragionevolezza dei presupposti e la proporzionalità dell'intervento erano comunque i criteri, individuati nella pregressa giurisprudenza, di legittima attivazione dell'interesse nazionale (A. Anzon), sebbene la prassi legislativa non sembrasse attenervisi. "Nel nuovo Titolo V l’equazione elementare interesse nazionale = competenza statale, che nella prassi legislativa previgente sorreggeva l’erosione delle funzioni amministrative e delle parallele funzioni legislative delle Regioni, è divenuta priva di ogni valore deontico, giacché l’interesse nazionale non costituisce più un limite, né di legittimità, né di merito, alla competenza legislativa regionale". Allora si sottoponeva a forti critiche proprio la trasformazione dell'interesse nazionale da limite di merito a limite di legittimità attraverso lo 'scrutinio stretto di costituzionalità' operato dalla Corte per verificare la sussistenza di tali criteri (cfr. sent. 177 del 1988). Secondo il modello proposto dalla sentenza le permanenti e innegabili esigenze unitarie sembrerebbero consentire allo stato l'attrazione in via sussidiaria di competenze regionali in presenza degli stessi presupposti e con gli stessi criteri di ieri, inserendo la loro attivazione, tuttavia, in un procedimento concertativo e di coordinamento.
Aggiunge, infatti, la Corte che "ciò impone di annettere ai principî di sussidiarietà e adeguatezza una valenza squisitamente procedimentale, poiché l’esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà" (sent. n. 303). Sussidiarietà e leale collaborazione finirebbero quindi per assurgere a principi di rilevanza generale (S. Bartole) e di applicazione generalizzata. L'intesa è in effetti un frutto del pregresso approfondimento 'procedimentale' della leale collaborazione tra enti. Il principio di leale collaborazione operante in sinergia con il principio di sussidiarietà non regolerebbe più, tuttavia, l'esercizio congiunto della funzione, ma l'attribuzione per negoziazione della competenza.
Se il principio dell'intesa assurgesse a generale condizione di validità (e quindi a parametro del giudizio della Corte) dell'attrazione verso l'alto della competenza, si andrebbe ben oltre, tuttavia, il rispetto del leale confronto scandito da un, predefinito a priori o comunque ricostruibile a posteriori, iter di concertazione tra gli enti, tipico della concezione procedimentale della sussidiarietà, che fornisca anche al giudice gli elementi 'sintomatici' del rispetto di una leale e corretta negoziazione (configurazione di tipo sintomatico della lettura procedimentale della sussidiarietà, per dirla con A. D'Atena).
La valorizzazione del principio di leale collaborazione è riscontrabile anche in altre sentenze (sent. n. 37), che ne invocano l'osservanza (sentt. nn. 96 e 327) soprattutto "nei casi in cui, per la loro connessione funzionale, non sia possibile una netta separazione nell’esercizio delle competenze" (sent. n. 308). Tale principio, come è noto, è suscettibile di essere organizzato in modi diversi, per forme e intensità della pur necessaria collaborazione che deve avvenire in quelle "forme di esercizio delle funzioni, da parte dell’ente competente, attraverso le quali siano efficacemente rappresentati tutti gli interessi e le posizioni costituzionalmente rilevanti" (sent. n. 308). A tali fini la forma dell'intesa resta paradigmatica (sent. n. 37). Subordinare la vocazione ascensionale del principio di sussidiarietà al raggiungimento dell'intesa, e non solo al leale procedimento concertativo su presupposti ragionevoli e interventi proporzionati, tuttavia, sembrerebbe essere il 'contrappeso' individuato dalla Corte per la deminutio dell'autonomia regionale conseguente all'attrazione statale di competenza legislativa che la Costituzione attribuisce (in questo caso in potestà concorrente) alle regioni.

6.2. La funzione di indirizzo e coordinamento

Si accenna infine all'esclusione, in materia concorrente (tutela della salute), della "permanenza in capo allo Stato del potere di emanare atti di indirizzo e coordinamento in relazione alla materia", alla luce di quanto espressamente disposto dall’art. 8, comma 6, della l. n. 131/2003, in base al quale "nelle materie di cui all’art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, non possono essere adottati gli atti di indirizzo e di coordinamento di cui all’art. 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e all’art. 4 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112" (sent. n. 329).


7. Legge statale e legge regionale, limiti alla potestà legislativa

7.1. Recepimento in materia concorrente

La Corte ha affrontato inoltre la questione del 'recepimento' di una legge statale da parte di legge regionale risolvendola in modo differente a seconda del tipo di competenza. "Tale 'recepimento' va ovviamente inteso nel senso che la legge regionale viene a dettare, per relationem, disposizioni di contenuto identico a quelle della legge statale, su alcune delle quali, contestualmente, gli articoli successivi operano modificandole o sostituendole: ferma restandone la diversa forza formale e la diversa sfera di efficacia" (sent. n. 196). Nel caso di specie, vertente in materia elettorale di competenza concorrente, si è chiarito che la legge regionale non sarebbe in contrasto "con il limite territoriale della legge regionale e con l’art. 117, secondo e quarto comma, della Costituzione, in quanto la legge regionale non potrebbe sostituire disposizioni di una legge statale, facendo venir meno l’applicabilità delle disposizioni sostituite in tutto il territorio nazionale. In realtà la legge statale continua a spiegare l’efficacia che le è propria; la legge regionale non fa che introdurre una disciplina materialmente identica, in cui le disposizioni che vengono dettate in ‘sostituzione’ di quelle corrispondenti della legge dello Stato esplicano tale effetto sostitutivo solo con riguardo alla sfera di efficacia della legge regionale di 'recepimento', senza intaccare la diversa sfera di efficacia della legge statale".

7.2. Recepimento in materia esclusiva statale

Considerazioni differenti hanno caratterizzato l'analogo caso di legge regionale, meramente ricognitiva di legge statale in materia di competenza esclusiva dello Stato (ordine pubblico e sicurezza), dichiarata illegittima perché non "competente a disporre il riconoscimento" di chi è ufficiale o agente di polizia giudiziaria, "indipendentemente dalla conformità o dalla difformità rispetto alla legge dello Stato" (sent. n. 313).

7.3. Limite degli obblighi comunitari

Nel corso dell'anno la Corte ha potuto comunque non affrontare il "problema più generale, che investe ora l’interpretazione dell’art. 117, primo comma, Cost., se ed entro quali limiti l’ipotesi di contrasto di una norma interna con l’ordinamento comunitario sia idonea a radicare la competenza del giudice delle leggi. Nei giudizi di impugnazione deve essere tenuto fermo l’orientamento già espresso da questa Corte (sentenze n. 85 del 1999, n. 94 del 1995 e n. 384 del 1994), secondo il quale il valore costituzionale della certezza e della chiarezza normativa deve fare aggio su ogni altra considerazione soprattutto quando una esplicita clausola legislativa di salvaguardia del diritto comunitario renda, come nella specie, manifestamente insussistente il denunciato contrasto" (sent. n. 303).

7.4. Il limite dei principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica

Nella sent. n. 48 si specifica, però, un altro limite alla competenza regionale, quello "dei principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica", nell’esercizio della competenza legislativa primaria in materia di ordinamento degli enti locali: si afferma che “tra i principi che si ricavano dalla Costituzione vi è certamente quello per cui la durata in carica degli organi elettivi locali, fissata dalla legge, non è liberamente disponibile da parte della Regione nei casi concreti. Vi è un diritto degli organi elettivi e dei loro rappresentanti eletti al compimento del mandato conferito nelle elezioni, come aspetto essenziale della stessa struttura rappresentativa degli enti, che coinvolge i rispettivi corpi elettorali”. Le “ipotesi eccezionali di abbreviazione del mandato elettivo debbono essere preventivamente stabilite in via generale dal legislatore”, sulla base di presupposti non irragionevoli. Il principio della durata predefinita per legge degli organi rappresentativi è un principio relativo alle garanzie costituzionali del mandato degli organi elettivi locali.

7.5. Il limite delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica

Nella sent. n. 274 la Corte invece dichiara fondata la tesi prospettata dalla regione Sardegna “che la recente riforma costituzionale abbia fatto venir meno – relativamente alle aree di potestà legislativa esclusiva delle Regioni (e Province) autonome coincidenti con aree ora attribuite alla potestà legislativa esclusiva () delle Regioni ordinarie – il limite costituito dall’obbligo (ove previsto dai relativi statuti, come appunto quello sardo) di rispettare le norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica”. Ai sensi dell’art. 10 della l. cost. n. 3/2001 la particolare ‘forma di autonomia’ così emergente dal nuovo art. 117 Cost. in favore delle regioni ordinarie si applica anche alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome, in quanto ‘più ampia’ rispetto a quelle previste dai rispettivi statuti. Tale limite, ove previsto dai relativi statuti, resta invece valido nelle altre materie (sent. n. 227).


8. Oggetto e materie

8.1. Intreccio di più materie e competenze in un unico oggetto

Alla luce degli sviluppi legislativi la Corte ha ritenuto a volte mutata la collocazione di un oggetto nel riparto materiale delle competenze legislative tracciato dall'art. 117 (sent. n. 300). Nel caso di specie, per esempio, la disciplina delle fondazioni di origine bancaria, in seguito alla loro mutata natura giuridica, è passata dalla competenza concorrente relativa alle 'casse di risparmio' alla competenza esclusiva statale ‘orizzontale’ (R. Bin - G. Pitruzzella) dell''ordinamento civile'.
Più di frequente, un oggetto sfugge a un incasellamento nel riparto materiale delle competenze facendo emergere un complicato intreccio di materie e di competenze nella stessa disciplina legislativa. A volte, tale intreccio si è complicato ulteriormente in seguito alla 'evoluzione della legislazione' che, per es. in tema di asili nido, "ha progressivamente assegnato al servizio in esame anche una funzione educativa e formativa, oltre che una funzione di tutela del lavoro, in quanto servizio volto ad agevolare i genitori lavoratori", facendo ricadere la disciplina di tale oggetto in materie di competenza sia concorrente ('istruzione e 'tutela del lavoro') sia statale (sent. n. 370).
Anche la disciplina del mobbing coinvolge varie materie e competenze, rientrando, da un lato nella competenza statale in materia di 'ordinamento civile' e salvaguardia della dignità e dei diritti fondamentali del lavoratore (artt. 2 e 3, primo comma, Cost.), dall'altro, nella competenza concorrente in materia di 'tutela e sicurezza del lavoro' nonché di 'tutela della salute' (sent. n. 359). La disciplina dell'elettrosmog, invece, coinvolge molte materie, ma tutte di competenza concorrente, quali la ‘tutela della salute’, l'‘ordinamento della comunicazione’, la ‘produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia’, oltre che, più in generale, il ‘governo del territorio’ (sent. n. 307).
A fronte di tale intreccio materiale e competenziale in un unico oggetto, la Corte adotta un'impostazione ispirata sia al criterio di prevalenza, sia a confini ontologici mobili in base agli obiettivi perseguiti dalla legge. Dalla combinazione tra questi due criteri discenderebbe una prevalenza in base agli scopi perseguiti (F. Benelli). In merito alla disciplina sugli asili nido, per esempio, la Corte afferma che, "utilizzando un criterio di prevalenza, la relativa disciplina non possa che ricadere nell'ambito della materia dell'istruzione (sia pure in relazione alla fase pre-scolare del bambino), nonché per alcuni profili nella materia della tutela del lavoro, che l'art. 117, terzo comma, della Costituzione, affida alla potestà legislativa concorrente; fatti salvi, naturalmente, gli interventi del legislatore statale che trovino legittimazione nei titoli ‘trasversali’ di cui all'art. 117, secondo comma, della Costituzione" (sent. n. 370). Analogo sembra essere il procedimento logico sotteso alla decisione n. 376 in cui si afferma che la disciplina delle condizioni e dei limiti dell'accesso degli enti territoriali al mercato dei capitali rientra principalmente nell'ambito del 'coordinamento della finanza pubblica' di competenza concorrente, ma il carattere 'finalistico' dell'azione di coordinamento esige che al livello centrale si possano collocare poteri connessi per l'oggetto con la competenza esclusiva statale in materia di ‘tutela del risparmio e mercati finanziari’.

8.2. Materie-non materie

Il profilo teleologico della legislazione rileva in modo particolare sulle materie-non materie, vale dire quelle competenze senza oggetto che si definiscono mediante il loro esercizio (A.D'Atena) che finiscono per consistere in fini da perseguire. La finalità ecologica dell'attività di ricostruzione dei pneumatici ha fatto sì che la legge statale sulla quota dei pneumatici ricostruiti che le regioni devono acquistare rientri nella competenza esclusiva statale in materia di 'tutela dell'ambiente' (sent. n. 378). Gli obiettivi di tutela igenico-sanitaria e di sicurezza veterinaria della legge regionale sugli animali esotici hanno consentito la sua collazione nella materia concorrente della tutela della salute, piuttosto che nella protezione della fauna (sent. n. 222). Nella sent. n. 308 la competenza in materia di 'delocalizzazione' e 'risanamento degli impianti radiotelevisivi' è dichiarata nazionale in nome delle finalità perseguite nell'esercizio delle funzioni statali, quali tutela della salute, dell'ambiente e del paesaggio, pur incontrandosi con alcune competenze statutariamente attribuite alla provincia di Trento.


9. Competenza esclusiva statale

Sotto il profilo materiale, per comprendere e verificare i procedimenti logico-sistematici con i quali la Corte colloca un oggetto in una materia, è interessante ripercorrere la giurisprudenza sul secondo comma dell'art. 117 Cost.

9.1. 'moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenze; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie' (lett. e)

Rientra nella competenza esclusiva statale in materia di 'sistema tributario' la disciplina dell'IRAP e della tassa automobilistica regionale perché non considerati tributi propri delle regioni in quanto imposte istituite e disciplinate dal legislatore statale (sentt. nn. 296 e 297 e 311, vd. infra). Alla medesima lettera, nella voce ‘tutela del risparmio e mercati finanziari’, sono ricondotti i poteri di coordinamento che possono essere attribuiti ad organi centrali in tema di accesso degli enti territoriali al mercato dei capitali per quanto riguarda in particolare la disciplina delle forme e dei modi in cui i soggetti – e così anche, in particolare, gli enti territoriali – possono ottenere risorse finanziarie derivanti da emissione di titoli o contrazione di debiti (sent. n. 376). Sono invece escluse dall'ambito della stessa lettera, sia la norma che non contiene alcuna finalità di 'perequazione delle risorse finanziarie' mirando piuttosto ad attenuare le conseguenze sanzionatorie del mancato o ritardato pagamento del contributo di costruzione (sent. n. 362), sia quella che si limita a disciplinare il rapporto pubblicistico tra gestore di impianto di telecomunicazione ed ente pubblico cui spettano poteri di pianificazione, autorizzazione e vigilanza senza alcuna relazione con la 'tutela della concorrenza' (sent. n. 307).

9.2. 'ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali' (lett. g)

La Corte riconduce alla materia 'ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali' l'istituzione e l'organizzazione di una s.p.a. nel caso in cui tale società a capitale interamente pubblico (nel caso di specie Italia Lavoro) presenti tutti i caratteri dell'ente strumentale ("affidataria di compiti legislativamente previsti e per essa obbligatori, operante direttamente nell'ambito delle politiche di un Ministero come strumento organizzativo per il perseguimento di specifiche finalità", citando la sent. n. 363). Per esorbitanza in tale materia statale è stata peraltro annullata la legge regionale sul mobbing "qualora il datore di lavoro sia una pubblica amministrazione o un ente pubblico nazionale" (sent. n. 359).

9.3. 'ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale' (lett. h)

La Corte, inoltre, distingue nettamente la polizia di sicurezza che rientra nella materia 'ordine pubblico e sicurezza' dalla polizia amministrativa locale "che segue invece, in quanto strumentale, la distribuzione delle competenze principali cui accede" (sent. n. 313).

9.4. 'giurisdizione e norme processuali; ordinamenti civile e penale; giustizia amministrativa' (lett. l)

L’attribuzione della qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria, che la legge regionale impugnata attribuiva al personale del Corpo forestale, è illegittima, però, perché rientrante nella materia trasversale ‘giurisdizione penale’ (sent. n. 313). La legge regionale sul mobbing, che prevedeva una diffida nei confronti del datore di lavoro da parte del centro istituito ad hoc al fine di configurarne l'inadempimento, è stata annullata per invasione dell’altra materia-non materia della medesima lettera, l’‘ordinamento civile’ (sent. n. 359). Tale materia, che comprende la disciplina delle persone di diritto privato tra le quali anche le fondazioni di origine bancaria (sent. n. 300), non è invece invasa dalla norma regionale che rimetta alla volontà dei proprietari l'imposizione di vincoli di destinazione d'uso su immobili dove operano locali storici per ottenere finanziamenti regionali (sent. n. 94).

9.5. 'determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale' (lett. m)

Si è escluso che la disciplina statale in materia di asili nido rientri anche nella 'determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale', per mancanza nella legge impugnata delle "caratteristiche sostanziali e formali" (sent. n. 370) attribuibili a questo "fondamentale strumento per garantire il mantenimento di una adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto. La conseguente forte incidenza sull’esercizio delle funzioni nelle materie assegnate alle competenze legislative ed amministrative delle Regione e delle Province autonome impone evidentemente che queste scelte, almeno nelle loro linee generali, siano operate dallo Stato con legge, che dovrà inoltre determinare adeguate procedure e precisi atti formali per procedere alle specificazioni ed articolazioni ulteriori che si rendano necessarie nei vari settori" (sent. n. 88, in materia di tossicodipendenza).

9.6. 'legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane' (lett. p)

Nella materia 'legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane', rientrante nel precedente 'ordinamento degli enti locali', la Corte comprende "la configurazione degli organi di governo degli enti locali, i rapporti tra gli stessi, le modalità di formazione degli organi rappresentativi, la loro durata in carica, i casi di scioglimento anticipato" (sent. n. 48), nonché la relativa legislazione elettorale (sent. n. 377). Senza tuttavia penalizzare la maggiore autonomia delle regioni a statuto speciale che "godevano già (in particolare dopo la riforma degli statuti recata dalla legge cost. 23 settembre 1993, n. 2) di una competenza primaria in materia, competenza che "non è intaccata dalla riforma del titolo V, parte II, della Costituzione, ma sopravvive, quanto meno, nello stesso ambito e negli stessi limiti definiti dagli statuti" (sentt. nn. 48 e 377). Le regioni ordinarie, invece, ne erano e ne restano prive. Con la sent. n. 196 è stata annullata, infatti, la legge elettorale abruzzese nella parte in cui attribuiva alla competenza del presidente della regione l'emanazione dell'atto che rende esecutivo il riparto delle spese per gli adempimenti comuni alle elezioni regionali, provinciali e comunali in caso di loro contemporaneità perché rientrante nella legislazione elettorale dei comuni e delle province di competenza statale. Nella successiva sent. n. 201 si è escluso, comunque, che rientri in tale materia la disciplina delle cause di incompatibilità (oltre che di ineleggibilità) a cariche elettive regionali derivanti da cariche elettive comunali (oltre che provinciali e delle città metropolitane).

9.7. 'dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale' (lett. q)

La Corte ha circoscritto la 'profilassi internazionale' ai profili inerenti all'importazione e all'esportazione di animali, con esclusione degli aspetti legati alla loro presenza sul territorio (sent. n. 222).

9.8. 'tutela dell'ambiente e dell’ecosistema' (lett. s)

A proposito della materia-non materia della 'tutela dell'ambiente e dell’ecosistema' la Corte ha chiarito che le potenzialità trasversali insite in tale tipo di materia non escludono "ogni intervento regionale, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze (…) In tale ottica — anche a riconoscere che la legge regionale impugnata interferisca comunque nella materia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema — deve escludersi che tale interferenza implichi un vulnus del parametro costituzionale evocato, trovando il suo titolo di legittimazione nelle competenze regionali in materia di competenza residuale o concorrente (cfr. supra sentt. nn. 222, 307 e 308). La materia dell'ambiente, infatti, più che altro rappresenta "un limite agli interventi a livello regionale che possano pregiudicare gli equilibri ambientali" (sent. n. 226).
In materia di caccia, quindi, pur riservata alla potestà legislativa regionale, i limiti posti dallo Stato per garantire standards minimi e uniformi di tutela della fauna (il termine della chiusura della stagione venatoria) non possono essere allungati (cfr. anche sent. n. 311). Rientra infine in tale materia l'adozione di misure che mirano a prevenire e, nello stesso tempo, a ridurre l'inquinamento ambientale derivante dal deposito, dall'accumulo e dallo smaltimento dei pneumatici usati, "risultando evidente la finalità ecologica delle operazioni di ricostruzione" (sent. n. 378).


10. Competenza concorrente

La potenzialità 'fotografica' del riparto di competenza 'enumerato' in Costituzione sembrerebbe talvolta sfumare.

10.1. Materie innominate e 'governo del territorio'

A fronte della mancata menzione di una 'voce' nell'art. 117 Cost., la Corte ha escluso un'automatica inclusione della materia non nominata tra quelle di competenza residuale delle regioni (vd. meglio infra), a favore in alcuni casi della loro allocazione nella competenza concorrente.
Resta ad esempio, come nel previgente Titolo V, alla competenza concorrente l'innominata materia 'urbanistica' alla quale storicamente è ricondotta la disciplina dei titoli abilitativi, perché dalla Corte collocata all'interno della voce ‘governo del territorio’: "se si considera che altre materie o funzioni di competenza concorrente, quali porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, sono specificamente individuati nello stesso terzo comma dell’art. 117 Cost. e non rientrano quindi nel “governo del territorio”, appare del tutto implausibile che dalla competenza statale di principio su questa materia siano stati estromessi aspetti così rilevanti, quali quelli connessi all’urbanistica, e che il “governo del territorio” sia stato ridotto a poco più di un guscio vuoto" (sent. n. 303).

10.2. 'istruzione e tutela del lavoro'

Analogamente, esclusa una competenza residuale delle regioni, si riconosce che la molteplicità di ambiti materiali toccati dalla disciplina degli asili nido comporti "l'impossibilità di negare la competenza legislativa delle singole Regioni, in particolare per la individuazione di criteri per la gestione e l'organizzazione degli asili" in nome delle materie concorrenti 'istruzione' e 'tutela del lavoro' (sent. n. 370).

10.3. 'tutela della salute', ‘ordinamento della comunicazione’ e ‘produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia’

È stata esclusa, invece, la competenza statale per la 'tutela dell'ambiente' a favore di quella concorrente per la 'tutela della salute' nel caso già richiamato della disciplina regionale sugli animali 'non autoctoni' (sent. n. 222) e sull'elettrosmog (sentt. nn. 307 e 331). Quest'ultima disciplina, come già segnalato, insiste inoltre in altre materie di competenza concorrente, quali l'‘ordinamento della comunicazione’, la ‘produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia’, oltre che, più in generale, il ‘governo del territorio’ (sent. n. 307).

10.4. 'valorizzazione dei beni culturali'

La materia concorrente 'valorizzazione dei beni culturali', infine, viene estesa oltre ai beni definiti e disciplinati con legge statale a fini di 'tutela', anche ad altri beni "cui, a fini di valorizzazione, possa esser riconosciuto particolare valore storico o culturale da parte della comunità regionale o locale, senza che ciò comporti la loro qualificazione come beni culturali" ai sensi della legge statale sulla loro tutela (sent. n. 94).

10.5. I principi fondamentali

Si ribadisce che i principi fondamentali della materia che la legge statale deve adottare possono essere dedotti dalla legislazione esistente (cfr. sentt. nn 94, 196, 201, 353, 359). Ciò non significa che tale limite alla competenza regionale possa essere eluso, adducendo la provvisorietà della disciplina di rango regionale nell'attesa dell'individuazione dei principi da parte dello Stato di nuovi oggetti (sent. n. 307, nonché 359). Il mancato richiamo dei principi fondamentali nella legge regionale di dettaglio comunque non comporta in sé violazione degli stessi (sent. n. 327). Ciò non di meno lo Stato non può "qualificare come «principi fondamentali» quelli racchiusi in norme statali che — prive di contenuto prescrittivo, atto ad orientare il modo di esercizio della potestà legislativa regionale — si limitino a sancire l’inclusione o l’esclusione di determinati settori nell’ambito di una materia di competenza regionale concorrente" (sent. n. 222). Non è illegittimo comunque, secondo la Corte, un decreto ministeriale che "deve ritenersi limitato alle sole norme tecniche, nei limiti di esigenze unitarie, aventi carattere meramente esplicativo strettamente vincolato (...) alla conformità alla normativa europea e alle norme tecniche generali. Di conseguenza il decreto ministeriale non può ritenersi esercizio di potere normativo o avente contenuto di principi nuovi cui sarebbero tenute le Regioni e Province autonome, né tantomeno esercizio di potere di direttiva ma piuttosto con valore di atto di recepimento materiale" (sent. n. 103).
Per individuare la natura di principi fondamentali nelle previsioni della legislazione statale viene in aiuto la necessaria uniformità di una disciplina per la cura di un bene assegnata alla Repubblica.

10.5.1.'tutela della salute'

Questo è il caso delle varie fattispecie di illecito amministrativo ai fini di tutela della salute ex art. 32 Cost. Per la disciplina statale sul fumo passivo, quindi, "la natura di principi fondamentali delle norme in questione si comprende non appena si consideri l’impossibilità di concepire ragioni per le quali, una volta assunta la nocività per la salute dell’esposizione al fumo passivo, la rilevanza come illecito dell’attività del fumatore attivo possa variare da un luogo a un altro del territorio nazionale" (sent. n. 361).
In materia di ‘tutela della salute’, un altro principio fondamentale di competenza statale individuato dalla giurisprudenza è l'indicazione di una scelta terapeutica (sent. n. 338); norme di competenza regionale sono, invece, “norme di organizzazione e di procedura, o norme concernenti l’uso delle risorse pubbliche in questo campo: anche al fine di meglio garantire l’appropriatezza delle scelte terapeutiche e l’osservanza delle cautele necessarie per l’utilizzo di mezzi terapeutici rischiosi o destinati ad impieghi eccezionali e ben mirati, come è riconosciuto essere la terapia elettroconvulsivante (in questo ambito possono collocarsi discipline sul consenso informato o sulle procedure di monitoraggio, sorveglianza e valutazione)" (sent. n. 338).
La cura apprestata dallo stato per il bene può a volte essere 'rafforzata' dalla legge regionale (sent. n. 222), ma non quando la disciplina statale tuteli più beni contemporaneamente attraverso un loro bilanciamento tra interessi diversi rientranti in materie diverse, come nel caso dell'elettrosmog (sentt. nn. 307 e 331). In tale disciplina "per far fronte alle esigenze di protezione ambientale e sanitaria dall’esposizione a campi elettromagnetici, il legislatore statale, con (…) norme fondamentali di principio, ha prescelto un criterio basato esclusivamente su limiti di immissione delle irradiazioni nei luoghi particolarmente protetti, un criterio che è essenzialmente diverso da quello stabilito (sia pure non in alternativa, ma in aggiunta) dalla legge regionale, basato sulla distanza tra luoghi di emissione e luoghi di immissione". Le due leggi regionali impugnate, disciplinando l’installazione di impianti per le telecomunicazioni e per la radiotelevisione "in corrispondenza" di aree "sensibili", quindi non eccedono l’ambito di un "criterio di localizzazione" relativo al 'governo del territorio' (sent. nn. 307 e 331).
D'altra parte è la competenza in materia che conta (sent. n. 308) e la definizione degli standard minimi uniformi sul tutto il territorio in sede di Conferenza unificata finirebbe per ledere l'autonomia di ogni singola regione (sent. n. 370).

10.5.2. 'trasporto dell'energia' e 'ordinamento della comunicazione'

Come abbiamo già accennato, principi fondamentali stabiliti dallo stato anche in materia di 'trasporto dell'energia' e di 'ordinamento della comunicazione' sono i valori-soglia di esposizione a elettrosmog fissati a livello nazionale, non derogabili dalle regioni nemmeno in senso più restrittivo, perché rappresentano “il punto di equilibrio fra le esigenze contrapposte di evitare al massimo l’impatto delle emissioni elettromagnetiche, e di realizzare impianti necessari al paese" (sent. n. 307). “Spetta, invece, alle regioni la disciplina dell’uso del territorio in funzione della localizzazione degli impianti, cioè le ulteriori misure e prescrizioni dirette a ridurre il più possibile l’impatto negativo degli impianti sul territorio (…), oltre che la disciplina dei procedimenti autorizzativi (…): ciò, in coerenza con il ruolo riconosciuto alle Regioni per quanto attiene al governo e all’uso del loro territorio" (nonché sent. n. 311). D'altra parte, già nella legislazione precedente la riforma del Titolo V, "risultava espressamente riconosciuto un ruolo, per quanto limitato, delle regioni in tema di localizzazione dei siti degli impianti di comunicazione. Tale ruolo è oggi ancor più innegabile sulla base dell’art. 117 della Costituzione, come modificato dalla l. cost. n. 3/2001, che prevede fra le materie di legislazione concorrente, non soltanto il “governo del territorio” e la “tutela della salute”, ma anche l’“ordinamento della comunicazione”" (sent. n. 324).

10.5.3. 'governo del territorio'

Oltre a quanto testé ricordato, sempre all’interno del governo del territorio il principio fondamentale in materia di ‘urbanistica’ indicato dalla Corte è che "la legislazione regionale e le funzioni amministrative (…) non risultino inutilmente gravose per gli amministrati e siano dirette a semplificare le procedure e ad evitare la duplicazione di valutazioni sostanzialmente già effettuate dalla pubblica amministrazione" (sent. n. 303).

10.5.4. 'professioni’

Anche in materia di 'professioni’ sanitarie si ribadisce un principio fondamentale già vigente, quello secondo cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili ed ordinamenti didattici, è riservata allo Stato. Si aggiunge che tale competenza statale permane anche in caso di nuove pratiche terapeutiche e di discipline non convenzionali (sent. n. 353).

10.6. Normativa statale di dettaglio cedevole

Per quanto riguarda, infine, la normativa statale di dettaglio cedevole, nella sent. n. 303 si afferma che "non può negarsi che l’inversione della tecnica di riparto delle potestà legislative e l’enumerazione tassativa delle competenze dello Stato dovrebbe portare ad escludere la possibilità di dettare norme suppletive statali in materie di legislazione concorrente, e tuttavia una simile lettura dell’art. 117 svaluterebbe la portata precettiva dell’art. 118, comma primo, che consente l’attrazione allo Stato, per sussidiarietà e adeguatezza, delle funzioni amministrative e delle correlative funzioni legislative, come si è già avuto modo di precisare. La disciplina statale di dettaglio a carattere suppletivo determina una temporanea compressione della competenza legislativa regionale che deve ritenersi non irragionevole, finalizzata com’è ad assicurare l’immediato svolgersi di funzioni amministrative che lo Stato ha attratto per soddisfare esigenze unitarie e che non possono essere esposte al rischio della ineffettività". Riconosciuta la necessità di un parametro legislativo 'unitario' e quindi statale, è sembrato contraddittorio che si conservi in capo alle regioni la loro potestà normativa di dettaglio poiché "delle due l’una: o sussiste quella necessità di esercizio unitario che giustifica l’attrazione al centro della funzione amministrativa, e allora anche la disciplina normativa dovrebbe – per le ragioni sopra dette – presentare carattere di unitarietà; o tale necessità non sussiste, ed, in tal caso, la stessa allocazione a livello statale dell’amministrazione dovrebbe ritenersi esclusa" (A. D'Atena).


11. Competenza residuale

Come già accennato, per l'individuazione delle materie rientranti nel quarto comma dell'art. 117 Cost. la Corte afferma che la mancata inclusione di una voce nell'elencazione dei due commi precedenti "non implica che essi siano oggetto di potestà legislativa residuale delle Regioni. Al contrario, si tratta di ambiti di legislazione che non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potestà legislative esclusive dello Stato ovvero a potestà legislative concorrenti" (a proposito di 'lavori pubblici' cfr. sent. n. 303, nonché la sent. 370 in materia di asili nido).
La competenza residuale, infatti, deve rispettare, oltre i limiti di cui al primo comma dell'art. 117, anche "se del caso, quelli indirettamente derivanti dall'esercizio da parte dello Stato della potestà legislativa esclusiva in 'materie' suscettibili, per la loro configurazione , di interferire su quelle in esame" (sent. n. 274).
La giurisprudenza in materia dei beni culturali (sent. n. 94) sembra aver ricondotto nell’alveo della competenza residuale l’individuazione di quei beni, ulteriori rispetto ai beni culturali tutelati dallo stato, che la regione intende comunque valorizzare (P.Caretti). La disciplina della valorizzazione di questa nuova categoria di beni culturali sembra comunque lasciata alla competenza concorrente (vd. supra).


12. Potere estero delle regioni

Anche per quanto riguarda il cosiddetto potere estero delle regioni la Corte non intende atrofizzare le competenze regionali nell’attesa di una legge statale di attuazione dell’art. 117, nono comma, Cost., per stabilire a chi, nell’ambito delle istituzioni della regione, spetti la competenza per le stipulazioni di intese e accordi (sent. n. 242). In materia, infatti, anche la l. n. 131/2003 - che prevede che le regioni e le province autonome, nelle materie di propria competenza legislativa, possono concludere con altri stati accordi esecutivi ed applicativi di accordi internazionali regolarmente entrati in vigore, o accordi di natura tecnico-amministrativa, o accordi di natura programmatica per favorire il loro sviluppo economico, sociale e culturale, nel rispetto della Costituzione, dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, dagli obblighi internazionali e dalle linee e dagli indirizzi di politica estera italiana - "nulla dispone in ordine alle competenze interne agli ordinamenti delle singole regioni per la stipula di tali accordi".


13. Autonomia finanziaria (art.119)

Di tutt’altro tenore è stata la giurisprudenza, decisamente ‘continuista’ con la precedente, con cui la Corte, ha riconosciuto “limitata precettività immediata” all’art. 119 Cost. (P.Caretti), consentendo alle regioni, in assenza di una legislazione statale di coordinamento, di legiferare solo sui tributi esistenti e nei soli limiti stabiliti dalle leggi statali che li istituiscono (sentt. nn. 269, 297 e 311). L’ “elevato grado di indeterminatezza” (A.Musumeci) della novella dell’art. 119 Cost. e le “ragioni specifiche di necessità” ratione materiae (A.D’Atena) rendono particolarmente necessaria l'attuativa legge statale. Secondo la Corte, infatti, "appare evidente che la attuazione dell'art. 119 Cost. sia urgente al fine di concretizzare davvero quanto previsto nel nuovo Titolo V della Costituzione, poiché altrimenti si verrebbe a contraddire il diverso riparto di competenze configurato dalle nuove disposizioni; inoltre, la permanenza o addirittura la istituzione di forme di finanziamento delle Regioni e degli enti locali contraddittorie con l'art. 119 della Costituzione espone a rischi di cattiva funzionalità o addirittura di blocco di interi ambiti settoriali” (sent. n. 370). A ciò si aggiungono considerazioni relative alla stretta connessione tra autonomia politica e quella finanziaria, anche in termini di responsabilità politica a livello regionale.
In piena sintonia con i suoi precedenti, la Corte, inoltre, ha accolto una definizione del 'tributo proprio della regione' largamente condivisa (M. Bertolissi contra Brancasi) affermando che è "indubbio il riferimento della norma costituzionale ai soli tributi istituiti dalle regioni con propria legge, nel rispetto dei principi del coordinamento con il sistema tributario statale" (sent. n. 296). Di conseguenza, nonostante la loro denominazione, sia l'IRAP sia la ‘tassa automobilistica regionale’, in quanto istituite e disciplinate da legge dello stato, non rientrano tra tali tributi, ma, come abbiamo già visto supra, nella competenza esclusiva statale di cui alla lett. e). In questi casi semplicemente "alle regioni a statuto ordinario è stato attribuito dal legislatore statale il gettito della tassa, unitamente all’attività amministrativa connessa alla sua riscossione, nonché un limitato potere di variazione dell’importo originariamente stabilito con decreto ministeriale" (cfr. anche sentt. nn. 297 e 311). I margini di manovra delle regioni per il momento sono di fatto paralizzanti, data anche la scarsità di basi imponibili a disposizione (rinvio a E.Buglione, Cap.IX, ivi).
È nella sent. n. 370 che la Corte delinea la portata del nuovo art. 119 Cost. che "prevede espressamente, al quarto comma, che le funzioni pubbliche regionali e locali debbano essere ‘integralmente’ finanziate tramite i proventi delle entrate proprie e la compartecipazione al gettito dei tributi erariali riferibili al territorio dell'ente interessato, di cui al secondo comma, nonché con quote del ‘fondo perequativo senza vincoli di destinazione’, di cui al terzo comma. Gli altri possibili finanziamenti da parte dello Stato, previsti dal quinto comma, sono costituiti solo da risorse eventuali ed aggiuntive ‘per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio’ delle funzioni, ed erogati in favore ‘di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni’".
Pertanto, a giudizio della Corte, nel nuovo sistema, per il finanziamento delle normali funzioni di regioni ed enti locali, “lo Stato può erogare solo fondi senza vincoli specifici di destinazione, in particolare tramite il fondo perequativo di cui all'art. 119, terzo comma, della Costituzione. Sulla base di queste considerazioni lo Stato non può assumere la gestione di un fondo settoriale di finanziamento in servizi pubblici di competenza regionale, come nel caso degli asili nido, pena la palese violazione dell'autonomia finanziaria sia di entrata che di spesa delle regioni e degli enti locali. (…) Esso, [il fondo, ndr] infatti, non si riferisce a imposte regionali o locali, ma riguarda le sole imposte statali sui redditi dei genitori e dei datori di lavoro, rispetto alle quali le Regioni e gli Enti locali possono semplicemente aggiungere aliquote addizionali, senza peraltro alcun potere in tema di determinazione degli oneri deducibili” (26).


14. Poteri sostitutivi (Art. 120)

Attuazione legislativa è stata invece data (dall’art. 8 della l. n. 131/2003) all’art. 120 Cost. nella parte in cui attribuisce al Governo il potere sostitutivo. La Corte nella sent. n. 313 'in ipotesi' ammette anche poteri sostitutivi regionali nei confronti degli enti locali, in presenza di alcune garanzie per l’autonomia degli enti locali: tali poteri sostitutivi sono da ascrivere a organi di governo dell’ente (non ad apparati amministrativi); l’omissione degli enti locali alla quale si intende sopperire con l’intervento sostitutivo deve essere definita come fatto giuridicamente qualificato (non è sufficiente una semplice inattività da altri considerata inopportuna); è necessario un procedimento definito dalla legge, adottata secondo l’ordine delle competenze rispettivamente statali e regionali fissato dalla Costituzione; tale procedimento deve consentire all’ente sostituito di far valere le proprie ragioni e di ovviare all’eventuale riconosciuta omissione (non è sufficiente per attivare il potere sostitutivo una mera "previa segnalazione").


15. Art. 10, l. cost. n. 3/2001 e competenze

È noto, infine, che “le disposizioni della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 non sono destinate a prevalere sugli statuti speciali di autonomia e attualmente sono invocabili (art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001) solo per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie di quelle già attribuite e non per restringerle, da considerarsi (per la singola Provincia autonoma o Regione speciale) in modo unitario nella materia o funzione amministrativa presa in considerazione" (sent. n. 103). La clausola di maggiore favore delle autonomie speciali ha trovato applicazione, come si è rilevato a proposito delle singole questioni supra richiamate. Tale clausola non è valsa per il sistema di impugnazione delle leggi siciliane, incomparabile, a giudizio della Corte, con quello previsto dall’art. 127 Cost., “perché si tratta di sistemi essenzialmente diversi, che non si prestano a essere graduati” alla stregua del criterio di prevalenza (sent. n. 314). Nella stessa sentenza si afferma, infatti, che "l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 configura un particolare rapporto tra norme degli Statuti speciali e norme del Titolo V della seconda parte della Costituzione, un rapporto di preferenza, nel momento della loro ‘applicazione’, in favore delle disposizioni costituzionali che prevedono forme di autonomia ‘più ampie’ di quelle risultanti dalle disposizioni statutarie. Condizione, dunque, dell’operatività di tale rapporto tra fonti è che il loro contenuto, con riferimento all’autonomia prevista, si presti a essere valutato comparativamente, secondo una scala omogenea di grandezze".
E così “l'art. 117, comma terzo, della Costituzione ha attribuito alla competenza legislativa regionale concorrente l'ordinamento delle comunicazioni e tale attribuzione di competenza si deve estendere, in virtù dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, anche alla Provincia di Bolzano" (sent. n. 312). In applicazione del citato art. 10, inoltre, come si è visto supra, la Corte ha considerato venuto meno il limite alle riforme economico-sociali della Repubblica nelle materie di potestà legislativa esclusiva delle regioni a statuto speciale coincidenti con le materie di competenza residuale delle regioni a statuto ordinario (sent. n. 274). Tale limite continua a valere, ove previsto dai relativi statuti, in tutti gli altri casi (sent. n. 227).




NOTE

(1) Cfr. La giustizia costituzionale nel 2003, Conferenza stampa del Presidente Gustavo Zagrebelsky, 2 aprile 2004, in www.cortecostituzionale.it: il 35,92 per cento delle prime a fronte del 40, 29 per cento delle seconde ove si afferma che "prevale, forse per la prima volta nella storia della Corte costituzionale italiana, la funzione arbitrale" su quella di difesa costituzionale delle libertà.
(2) Cfr. ord. nn.292, 339 e 15.
(3) Cfr. ord. nn. 67, 281, 342, 357.
(4) Con 16 decisioni: le sentenze nn. 314 e 351 e l'ord. n. 339 definiscono 3 ricorsi statali. Tredici decisioni risolvono ben 19 ricorsi regionali del 2000 e del 2001 avverso legge statale: la sent. nn. 93, 103, 186 risolve un ricorso del 2000, le sentenze n. 28, 37 (2), 91, 92, 96, 197 (4), 221, 228 (3), 308, 334.
(5) La sent. n. 196 risolve i ricorsi nn. 36 e 38; la sent. n. 307 i ricorsi nn.4, 5, 35, e 52; la sent. n. 312 i ricorsi nn.42 e 70; la sent. n. 313 i ricorsi nn. 29 e 34; la sent. n. 331 i ricorsi 34 e 49; la sent. n. 338 i ricorsi 47 del 2002 e il 3 del 2003.
(6) Ordinanza n230. La sentenza n. 228 risolve i ricorsi nn.1 e 2 del 2002, oltre a tre ricorsi del 2001.
(7) La sent. n. 338 risolve il ricorso n. 3 del 2003 con il 47 del 2002, la sent. n. 353 il ricorso n. 2; l'ord. n. 342 il n. 16.
(8) L'ord. n. 382 il n. 8 del 2003.
(9) Con 12 decisioni (6 sentenze e 6 ordinanze) sono state risolte 17 questioni sollevate nel 2002.
(10) Ord. nn. 237, 366 e 368 e la sent. n. 306. Oggetto di un solo giudizio, infatti, sono state norme regionali anteriori alla riforma costituzionale (la sent. n. 227 sul limite delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali in materia di caccia).
(11) Nei conflitti intersoggettivi la sent. n. 364 afferma, infatti, sulla scia della sentenza 507 del 2002, che "trattandosi di ricorsi proposti prima dell’entrata in vigore della riforma del titolo V della seconda parte della Costituzione, recata dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, in riferimento quindi ai parametri all’epoca vigenti, nella decisione si deve avere riguardo esclusivamente a questi ultimi (cfr. sentenze n. 13 e n. 39 del 2003)". Cfr. anche la sent. n. 302 e la n. 329. Solo con la sentenza n. 329 due ricorsi del 2001 sono dichiarati inammissibili alla luce nelle novità introdotte dalla legge cost. n. 3 del 2001 e in particolare del comma 6 dell'art. 117 (infra). Con 23 pronunce è stato risolto 1 solo conflitto sollevato dallo Stato, peraltro nel 1999 (sent. n. 13), e 22 conflitti sollevati dalle regioni dal 1998 al 2001, ma anche 8 conflitti sollevati nel 2002 (sentt. nn. 29, 88, 150) e uno nel 2003 (la sent. n. 326 il n.7 del 2003, oltre a 12 del 2000 (ord. nn. 24, 53 e sent. nn. 95, 241, 265 e 302), 9 del 2001 (sent. nn. 38, 39, 114, 267, 276, 329, 364), 5 del 1999 (sent. nn. 13, 97, 113 e ord. n. 79), 1 del 1998 (ord. n. 30).
(12) Cfr. sent. nn. 29, 95, 97, 113, 150, 265, 276, 326, 329, 364.
(13) Ord. nn. 30, 79.
(14) Nella sent. n. 364 si afferma: " 3. – … la deliberazione della Giunta regionale, allegata all’atto di rinuncia, dà atto che l’interesse della Regione al ricorso è venuto meno a seguito della sentenza di questa Corte n. 376 del 2002, la quale, nell’interpretare le norme legislative in materia di "sportello unico", avrebbe riconosciuto le competenze regionali rivendicate con il ricorso per conflitto".
(15) Oltre alle ordinanze citate nei conflitti intersoggettivi, se ne sono registrate 9 nei giudizi in via principale e 9 in via incidentale.
(16) Cfr. anche le sentt. nn. 303, 307, 315 e 338.
(17) Come riconosciuto del resto anche dall’art. 9 della legge 5 giugno 2003, n. 131. Il sistema siciliano "si caratterizza per la sua singolarità, eccentricità e diversità (presentando natura preventiva e termini assai ristretti ed essendo inoltre promosso dal Commissario dello Stato nella Regione Siciliana residente nel capoluogo regionale)".
(18) Sotto questo profilo, cfr., da un lato, la sent. n. 94 dove si afferma che "anche prescindendosi dal fatto che il primo comma del nuovo art. 127 della Costituzione ammette il ricorso del Governo in termini identici a quelli utilizzati nel terzo comma del previgente art. 127 Cost., deve notarsi che i rilievi di costituzionalità sollevati sono tutti relativi o riconducibili all’art. 117 della Costituzione"; dall'altro, la sent. n. 303 ove si è confermato l'interesse della regione a far valere un eccesso di delega "solo quando la violazione denunciata sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle attribuzioni costituzionali delle Regioni o Province autonome ricorrenti".
(19) La l. n. 131/2003 è stata richiamata ad adiuvandum nelle argomentazioni della Corte nelle sentt. nn. 314 (impugnazione leggi siciliane), 329 (funzione di indirizzo e coordinamento), 242 (potere estero).
(20) È dichiarata la violazione dell'art. 3 e dell'art. 97, nella sent. n. 274 e nella sent. 315, sent. n. 312, infatti, l'art. 21 della Costituzione è considerato parametro in ogni caso deducibile dallo Stato nei giudizi in via principale.
(21) Le sentenze nn. 300, 361, 362, 363, 370, 376, 377 e 378 hanno deciso i ricorsi nn. 10, 12, 21, 23 e 24.
(22) La legge impugnata, tra l'altro, conteneva disposizioni sul divieto di installazione di impianti per le telecomunicazioni e per la radiotelevisione, in tema di funzioni attribuite al Corpo forestale regionale e in tema di cause di incompatibilità con la carica di consigliere regionale decise con le sentenze nn. 331, 313 e 201.
(23) Cfr. sentt. n. 115 del 1972 e n. 113 del 1993.
(24) "Quei principî, lo si è già rilevato, non privano di contenuto precettivo l’art. 117 Cost., pur se, alle condizioni e nei casi sopra evidenziati, introducono in esso elementi di dinamicità intesi ad attenuare la rigidità nel riparto di funzioni legislative ivi delineato." (sent. n. 303).
(25) Il principio di sussidiarietà è stato invocato anche in altre occasioni. Nella sent. n. 301 si afferma che "resta, in tal modo, superato il dubbio di violazione del principio di sussidiarietà di cui all’art. 118, quarto comma, Cost. che, anzi, risulta del tutto compatibile, oltre che con la natura privata delle fondazioni, con il riconoscimento che le stesse svolgono compiti di interesse generale".
Nella sent. n. 370 accogliendo le questioni sollevate dalle regioni dichiara che "appare…estraneo e contraddittorio con l'art. 117 della Costituzione affermare che gli asili nido rientrino "tra le competenze fondamentali dello Stato". Tale disposizione appare del tutto estranea al quadro costituzionale …; riferita alle funzioni amministrative, la disposizione contrasta con l'art. 118 della Costituzione e con il principio di sussidiarietà individuato da tale disposizione quale normale criterio di allocazione di tali funzioni, che ne impone la ordinaria spettanza agli enti territoriali minori, anche in considerazione della circostanza che la legislazione vigente in materia di asili nido già le attribuisce ai Comuni e alle Regioni".
(26) Connessa alla attività finanziaria e di bilancio delle regioni è l’affermazione contenuta nella sent. n. 94 ove si afferma che "l’intervenuto mutamento della disciplina costituzionale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici, che potrebbe far dubitare della perdurante sussistenza di rigidi limiti sul periodo massimo delle possibili variazioni del bilancio regionale".

 

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