Avvertenza: lo studio che segue è tratto dal Terzo rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia, a cura dell'ISSiRFA.


SOMMARIO:
1. Considerazioni introduttive e gli "allarmanti" dati quantitativi.
2. Profili processuali.
2.1. Sistemi d’impugnazione.
2.2. Ricorso ex art. 127.
2.3. Profili soggettivi.
2.4. Vizi deducibili.
2.5. Questioni di legittimità.
2.6. Oggetto.
2.7. Riunione dei giudizi e separazione delle decisioni con riserva di ogni decisione sulle restanti questioni di legittimità costituzionale.
2.8. Tipi di sentenze e principio di continuità.
2.9. Cessazione della materia del contendere e promulgazione con omissioni in Sicilia.
3. Autonomia statutaria e armonia con la Costituzione.
3.1. Elezione diretta del Presidente e forma di governo.
3.2. I "contenuti ulteriori".
3.3. Statuto e legge regionale.
4. Potere regolamentare.
5. Riparto delle competenze e sussidiarietà.
5.1. Leale collaborazione.
5.2. poteri sostitutivi.
6. Il limite degli obblighi comunitari.
7. Oggetto e materie.
7.1. Intreccio di più materie e competenze in un unico oggetto.
7.2. Materie-non materie.
8. Potestà esclusiva statale.
8.1. "Autonomo" titolo di legittimazione.
8.2. difesa (lett. d).
8.3. Moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie (lett. e).
8.4. Ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali (lett. g).
8.5. Ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale (lett. h).
8.6. giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa (lett. l).
8.6.1. Giurisdizione e norme processuali.
8.6.2. Ordinamento civile.
8.6.3. Ordinamento penale.
8.7. Determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (lett. m).
8.8. Previdenza sociale (lett. o).
8.9. Legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali dei Comuni, Province e Città metropolitane (lett. p).
8.10. Profilassi internazionale (lett. q).
8.11. tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e dei beni culturali (lett. s).
8.12. Art. 117, comma 5.
9. Potestà concorrente.
9.1. Principi fondamentali.
9.2. Rapporti con l'Unione europea delle Regioni.
9.3. Istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e formazione professionale.
9.4. Ricerca scientifica.
9.5. Tutela della salute.
9.6. Ordinamento sportivo.
9.7. Governo del territorio.
9.8. Produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia.
9.9. Armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e art. 119, secondo comma, della Costituzione riguardante i “tributi e le entrate propri” delle Regioni ed enti locali.
9.9.1. Armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
9.9.2. ...e art. 119, secondo comma, della Costituzione riguardante i “tributi e le entrate propri” delle Regioni ed enti locali.
9.10. Valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali.
9.10.1. Valorizzazione dei beni culturali.
9.10.2. Valorizzazione dei beni ambientali.
9.10.3. Promozione ed organizzazione di attività culturali.
10. Potestà residuale.
11. Potere estero delle regioni.
12. Autonomia di spesa e interventi speciali.
13. Art. 123.
14. Art. 132.
15. Art. 133.
16. Autonomie funzionali.
Note
Tabelle allegate




1. Considerazioni introduttive e gli "allarmanti" dati quantitativi

Per il secondo anno, dopo il 2003, il modello di giustizia costituzionale italiano vede compromessa la centralità del giudizio in via incidentale (G. Azzariti) a favore del processo in via principale (1). Volgendo lo sguardo sul giudicato la tendenza risulta ancor più chiara dal momento che delle 167 sentenze del 2004, 102 sono di interesse regionale e ben 78 sono state adottate nell'ambito del processo in via principale. Di queste 48 hanno avuto ad oggetto leggi statali, 30 leggi regionali, alle quali si aggiungono 4 sentenze sugli statuti regionali. Nei conflitti intersoggettivi vi è una sola sentenza su impugnativa statale e ben 13 su impugnativa regionale (2), mentre nel giudizio in via incidentale d’interesse ci sono 6 sentenze su leggi regionali e anche una su una legge statale, quella sul procedimento referendario.
Mentre nei giudizi in via principale tutte le questioni hanno avuto a parametro le norme novellate nel 2001, ai fini dello scrutinio di 6 conflitti intersoggettivi priva di rilevanza è stata la revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione (cfr. sent. n. 302 del 2003) (3).
Nel giudizio in via principale con 93 decisioni la Corte si è pronunciata su circa 200 questioni con un ampio ricorso alla riunione e alla separazione delle questioni (4). La novità processuale della scissione dei ricorsi (v. infra) è stata esercitata in special modo per decidere delle impugnative regionali avverso le leggi statali finanziarie e collegati. Questo dato dovrebbe far riflettere non solo sulla trasfigurazione di tali fonti d’indirizzo politico in provvedimenti omnibus la cui comprensibilità da parte di chi dovrebbe far valere la responsabilità politica risulta drasticamente compromessa, ma anche circa la conflittualità intersoggettiva che continuerà ad abbattersi sulla finanza, in difetto della improcrastinabile attuazione dell'art. 119 (cfr. anche sent. n. 37). La scorporazione delle questioni interne ai singoli ricorsi e il loro accorpamento con altre questioni dal contenuto omogeneo è solo una misura di tamponamento che aiuta l'interprete a enucleare i singoli rilievi, senza peraltro aver scongiurato il proliferare di capi di dispositivo.
Sotto altro profilo, significativo appare anche che 23 pronunce (un settimo del totale) siano di estinzione del processo o del giudizio (5) e, prevalentemente, di cessazione della materia del contendere. Interessante è che la maggioranza dei casi di cessazione della materia ha avuto ad oggetto leggi statali (6) e solo in misura minore leggi regionali (7), scagionando l'abbandono del controllo preventivo sulle leggi regionali dalla responsabilità dell'aumento del contenzioso per un passaggio della "contrattazione di legittimità" dalla sede politica alla sede giurisdizionale. Anzi dalla stessa giurisprudenza emerge con chiarezza che si sono moltiplicati gli accordi, le intese, i tavoli con cui Stato e autonomie negoziano le rispettive competenze, in un continuo tentativo di esercitare anche il conflitto con spirito collaborativo. Queste forme e sedi di collaborazione sembrerebbero essere la chiave di volta del nuovo sistema regionale italiano (F. Bilancia).
Tra le forme di negoziazione (8), e quindi di collaborazione, il ruolo più significativo resta affidato alla Conferenza Stato-Regioni, anche se in quella sede siedono a contrattare la potestà legislativa gli esecutivi e non i rappresentanti delle istituzioni legislative (9).
Nelle impugnative statali di leggi regionali per contro si segnala il ruolo attribuito al Difensore civico come "certificatore" della non attuazione della norma impugnata e successivamente abrogata (cfr. ord. n. 203).
Anche 5 dei 16 conflitti sollevati dalle Regioni sono stati risolti perché nelle more del giudizio o si è raggiunto un accordo transattivo (ord. n. 319 (10)), un'intesa (ord. n. 21(11)), sent. n. 288 (12)), avente ad oggetto le modalità attuative di una disposizione (sent. n. 273), o il resistente ha modificato la norma impugnata (ord. n. 244 (13)), o questa è stata annullata dal giudice amministrativo (ord. n. 160).
Dato che la cessazione della materia del contendere si ha per accordo raggiunto sulle modalità di attuazione della norma impugnata con soddisfazione del ricorrente o perché il resistente in giudizio decide di modificare o abrogare la norma impugnata, le questioni risolte con un cedimento della parte citata in giudizio si possono considerare dotate di una qualche fondatezza. Affiancando queste, quindi, alle 50 pronunce di accoglimento può dirsi che poco più della metà delle questioni sollevate sono state giudicate fondate.
Un dato altrettanto significativo è che quasi un terzo delle questioni di interesse regionale (49) sono state risolte con un giudizio inammissibilità della questione (32) o del ricorso (11) se non di manifesta inammissibilità (4) o infondatezza della questione (2). La giurisprudenza ci restituisce, infatti, uno spaccato del tono severo con cui la Corte ha richiamato le parti all'osservanza di regole processuali sulle quali si è accumulata giurisprudenza lineare e costante, anche se non esente da eccessivi formalismi (v. infra).
L'aumento del contenzioso costituzionale in parte è da ascriversi, da un lato, all'assenza di attuazione da parte sia dello Stato che delle Regioni di alcune parti essenziali della riforma, dall'altro, al contenzioso che sull'attuazione stessa si è innescato tra Stato e Regioni, coinvolgendo la legge n. 131 del 2003 (c.d l. La Loggia) nonché gli statuti (14). A ciò la Corte aggiunge la "perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, più in generale, dei procedimenti legislativi" anche solo "nei limiti di quanto previsto dall’art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3" (sent. n. 6, nonché n. 423), nonché l'assenza nella riforma costituzionale stessa "di qualunque disposizione transitoria finalizzata a disciplinare la fase di passaggio nelle materie in cui si sia registrato un mutamento di titolarità fra Stato e Regioni e particolarmente là dove (...) occorra passare da una legislazione che regola procedure accentrate a forme di gestione degli interventi amministrativi imperniate sulle Regioni, senza che le leggi regionali da sole possano direttamente trasformare la legislazione vigente in modo efficace" (sent. n. 255 in materia di spettacolo).
La giurisprudenza costituzionale è, in conclusione, fortemente segnata da una riforma non limpida, in gran parte non attuata e non ancora entrata in pieno regime.


2. Profili processuali

Per quanto di propria competenza, la Corte ha, invece, dato attuazione alle modifiche processuali resesi necessarie dopo la riforma costituzionale del 2001 e l'entrata in vigore dell’art. 9 della l. n. 131 del 2003, modificando gli articoli 23 e 24 delle Norme integrative per i giudizi davanti ad essa. Nel corso dell’anno il potere di sospensiva delle leggi regionali non è stato esercitato (cfr. P. Caretti), perché il governo ha presentato atto di rinunzia all'immediata decisione circa le istanze di sospensione presentate nei confronti di alcune leggi regionali che miravano ad arginare l'efficacia della normativa statale sul condono edilizio auspicando contestualmente l’adesione delle Regioni alla "richiesta di differimento" dell’esame delle istanze cautelari concernenti il d.l. dalle Regioni impugnato. Preso atto delle reciproche rinunce, con le ordinanze nn. 116, 117, 118 e 119 la Corte ha disposto il rinvio dell’esame di tali istanze unitamente al merito. Le decisioni di merito (sentt. nn. 196 e 198) hanno determinato il non luogo a provvedere sulle istanze di sospensione lasciando aperti gli interrogativi circa l'interpretazione che la Corte vorrà dare dei presupposti previsti per la misura cautelare, del rischio di un irreparabile pregiudizio per l'interesse pubblico e per l'ordinamento giuridico della Repubblica o del pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti dei cittadini.
Dalla stessa Corte è stato peraltro auspicato il ricorso al secondo istituto introdotto dalle disposizioni richiamate laddove ha ricordato che "il nuovo quarto comma dell’art. 123 Cost. ha configurato il Consiglio delle autonomie locali come organo necessario della Regione e che l’art. 32, secondo comma, della legge n. 87 del 1953 (così come sostituito dall’art. 9, comma 2, della legge n. 131 del 2003), ha attribuito proprio a tale organo un potere di proposta alla Giunta regionale relativo al promovimento dei giudizi di legittimità costituzionale in via diretta contro le leggi dello Stato" (sent. n. 196).
La Corte ha avuto anche occasione di descrivere il ruolo e la funzione del processo in via principale nell'ordinamento costituzionale affermando che "il Titolo V della parte II della Costituzione, così come le corrispondenti disposizioni degli statuti speciali, presuppongono che l’esercizio delle competenze legislative da parte dello Stato e delle Regioni, secondo le regole costituzionali di riparto delle competenze, contribuisca a produrre un unitario ordinamento giuridico, nel quale certo non si esclude l’esistenza di una possibile dialettica fra i diversi livelli legislativi, anche con la eventualità di parziali sovrapposizioni fra le leggi statali e regionali, che possono trovare soluzione mediante il promuovimento della questione di legittimità costituzionale (...) secondo le scelte affidate alla discrezionalità degli organi politici statali e regionali" (sent. n. 198). Aggiunge inoltre, sempre sindacando le leggi regionali adottate in materia di condono edilizio, che "ciò che è implicitamente escluso dal sistema costituzionale è che il legislatore regionale (così come il legislatore statale rispetto alle leggi regionali) utilizzi la potestà legislativa allo scopo di rendere inapplicabile nel proprio territorio una legge dello Stato che ritenga costituzionalmente illegittima, se non addirittura solo dannosa o inopportuna, anziché agire in giudizio (...) ai sensi dell’art. 127 Cost. Dunque né lo Stato né le Regioni possono pretendere, al di fuori delle procedure previste da disposizioni costituzionali, di risolvere direttamente gli eventuali conflitti tra i rispettivi atti legislativi tramite proprie disposizioni di legge" (sent. n. 198, nonché n. 199).
Nonostante la costante giurisprudenza sui molteplici aspetti del processo costituzionale, peraltro già recentemente confermati, non sono mancate alcune novità processuali.

2.1. Sistemi d’impugnazione

La prima conferma (cfr. sent. n. 314/2003) riguarda il sistema di impugnativa delle leggi siciliane previsto dallo statuto speciale che "resta tuttora applicabile come riconosciuto, peraltro, anche dall'articolo 9" della l. n. 131 del 2003 (ord. n. 8).

2.2. Ricorso ex art. 127

Ben più risalente la giurisprudenza sull'ammissibilità del ricorso.
Con riguardo ai termini per l'impugnazione, in via generale, si ribadisce l'inapplicabilità al giudizio costituzionale dell'istituto della sospensione feriale (ord. n. 42) e, in particolare, si esclude che sia tardiva l'impugnazione di una legge di conversione in assenza di quella del decreto-legge convertito (sentt. nn. 272, 286, 287). Si ha la tardività del deposito del ricorso qualora non si rispetti il termine, considerato perentorio, di dieci giorni dalla notifica anche in seguito all'entrata in vigore dell'art. 9 della l. n. 131 del 2003 (ord. nn. 42 e 48, sent. n. 162). Quanto ai vizi di notificazione si conferma che la notifica deve pervenire "al Presidente del Consiglio dei ministri presso l’Avvocatura generale dello Stato e non presso la Presidenza del Consiglio dei ministri" (ord. n. 42 e sent. n. 196). Tale rigidità processuale conserva ancora oggi il sapore di un escamotage procedurale (D. Nocilla) per limitare l'accesso alla Corte.

2.3. Profili soggettivi

Il tratto più costante della giurisprudenza ci è fornito comunque dall’individuazione degli enti che possono costituirsi parte, ma anche solo intervenire, nel giudizio in via principale. Non paga di aver richiamato i propri precedenti (15), la Corte ha avvertito l'opportunità di allegare un'ordinanza alla sentenza n. 196 in tema: il giudizio in via principale "è configurato come svolgentesi esclusivamente fra soggetti titolari di potestà legislativa, fermi restando, per i soggetti privi di tale potestà, i mezzi di tutela delle loro posizioni soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed eventualmente anche di fronte a questa Corte in via incidentale; (...) pertanto, alla stregua della normativa in vigore e conformemente alla costante giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, cfr. sentenza n. 338 del 2003), non è ammesso l’intervento in tali giudizi di soggetti privi di potere legislativo". In questa scia può iscriversi la dichiarazione di inammissibilità del ricorso di un consigliere regionale di minoranza avverso una delibera statutaria ex art. 123 Cost, perché l'unico ricorrente legittimato resta il Governo (sent. n. 378).

2.4. Vizi deducibili

Nella stessa sentenza n. 196 si rintraccia tuttavia un'affermazione innovativa sull'interesse a ricorrere: "la stretta connessione, in particolare in materia urbanistica e in tema di finanza regionale e locale, tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consente di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali".
La novità processuale ora richiamata sembrerebbe configurare una forma indiretta di violazione delle competenze regionali. In generale, infatti, "non possono essere ritenute ammissibili le censure relative ad aspetti che non siano potenzialmente idonei “a determinare una vulnerazione delle attribuzioni costituzionali delle Regioni o Province autonome ricorrenti”" (16) (sent. n. 196). Solo in presenzadi una lesione almeno potenziale - si è ribadito infatti - che "le Regioni possono contestare l’esistenza dei presupposti costituzionali degli atti con forza di legge” (sent. n.6).
A pena di inammissibilità della questione(sent. n. 345, e nn. 4, 6 e 196), in effetti, "le Regioni sono legittimate a denunciare la violazione di norme costituzionali, non relative al riparto di competenze con lo Stato, solo quando tale violazione comporti un’incisione diretta o indiretta delle competenze attribuite dalla Costituzione alle Regioni stesse" (sent. n. 287, nonché n. 4).
Si è tenuta ferma, infatti, "la perdurante distinzione" dei parametri invocabili da Stato e Regioni(17) (sent. n. 6) che consente allo Stato e solo ad esso di impugnare in via principale una legge regionale deducendo la violazione di qualsiasi parametro costituzionale (sent. n. 162).
Per contro "erronea è la tesi (...) secondo la quale la violazione dei principi fondamentali stabiliti dalla legge dello Stato possa essere invocata solo nel caso in cui la legge regionale abbia inteso porre essa stessa principi fondamentali della materia" (ivi).
Si è affermato, infine, che "è ben possibile contestare la legittimità costituzionale di una norma di legge regionale contemporaneamente alla luce del secondo e del terzo comma dell’art. 117 Cost., sia che si faccia valere un rapporto graduato tra i due presunti vizi, sia anche che si sostenga (...) la contemporanea incidenza su più profili di una singola disposizione legislativa" (ivi).
Rispetto a un ipotizzato trasferimento sulla fonte successiva riproduttrice di molte disposizioni contenute in un atto annullato con sentenza di accoglimento, la Corte afferma che "nessuna continuità normativa potrebbe dirsi sussistere fra le due fonti, poiché, con la dichiarazione di illegittimità costituzionale" l'atto "è stato rimosso con effetto ex tunc" impedendo di operare una "saldatura tra le due fonti" (sent. n. 167). Dal momento che i termini della questione sono definiti dal ricorrente con l’atto introduttivo, la parte resistente non può essere gravata dal trasferimento del parametro su atti riproduttivi di quelli invocati (ivi)

2.5. Questioni di legittimità

Meritano attenzione le numerose dichiarazioni di inammissibilità e di manifesta inammissibilità delle questioni che, da un lato, forniscono ulteriori conferme dei requisiti necessari delle questioni di legittimità costituzionale, dall'altro, restituiscono l'idea che l'aumento del contenzioso abbia potuto incidere sia sulla "qualità" delle questioni poste sia sul saldo rigore della Corte nel valutarne l'ammissibilità.
Si conferma che "il giudizio in via principale può concernere questioni sollevate sulla base di interpretazioni prospettate dal ricorrente come possibili, a condizione che queste ultime non siano implausibili e irragionevolmente scollegate dalle disposizioni impugnate così da far ritenere le questioni del tutto astratte o pretestuose" (sent. n. 412, nonché ord. n. 440).
La censura è ammissibile "sebbene succintamente argomentata" purché sia "chiara e determinata e non lasci[a] dubbi sull’oggetto della contestazione" (sent. n. 34), mentre può esser dichiarata inammissibile per "errato presupposto interpretativo" (sent. n. 236), "per genericità" (sent. n. 73, nonché n. 196), o perché "formulata in modo oscuro e perplesso" (sent. n. 75), nonché "per mancanza dei requisiti argomentativi minimi dell'atto introduttivo" (sent. nn. 176, 354, 423), o perché carente "di qualunque autonoma motivazione" (sent. n. 196), non sorretta "da alcuna delle argomentazioni in diritto rinvenibili nei ricorsi" (sent. n. 196), se non addirittura per estraneità della disposizione impugnata rispetto alle ragioni della pretesa incostituzionalità fatta valere (sent. n. 70).
Inammissibili sono anche le impugnative di leggi delle Regioni a statuto speciale che si sono limitate ad indicare a parametro le norme della Costituzione "senza minimamente argomentare per quale ragione non dovesse essere considerato (...) il relativo statuto speciale, le cui disposizioni sono pienamente in vigore" (sent. n. 8).
L'inammissibilità della questione diviene manifesta quando non viene fornita dal ricorrente alcuna motivazione autonoma rispetto agli altri profili di doglianza (ord. n. 416) o per tardività del deposito del ricorso statale (ord. n. 48).

2.6. Oggetto

Dato che l'individuazione dell'oggetto dell'impugnazione deve essere chiara, qualora si impugni un intero testo normativo, il ricorso deve consentire, a pena d’inammissibilità, "di individuare con chiarezza – in considerazione delle caratteristiche della stessa legge impugnata – le disposizioni sulle quali si appuntano le censure" (sent. n. 74); sono inammissibili, infatti, per difetto della determinazione governativa di impugnazione, di cui all’articolo 31, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (nel testo vigente all’epoca in cui il ricorso è stato proposto: ma nello stesso senso dispone l’attuale articolo 31, comma 3, nel testo sostituito dall’articolo 9 della legge 5 giugno 2003, n. 131)", le questioni che non possano "essere ritenute validamente comprese nella generica determinazione di impugnare l’intera legge" (sent. n. 134, nonché nn. 166, 43); di conseguenza "la generica autorizzazione a sollevare questione di legittimità costituzionale" di una legge "avente contenuti molteplici e assai vari – non può, per la sua genericità, dare ingresso all’impugnazione di disposizioni non individuate" (sent. n. 425).
Oggetto di impugnazione regionale, "indipendentemente dalla circostanza che (...) la legge di conversione [abbia] introdotto rilevanti modifiche", nonché "in considerazione del carattere intrinsecamente precario del decreto – legge, il ricorso può essere proposto nei confronti della relativa legge di conversione che rende permanente e definitiva la asserita lesione da cui scaturisce l’interesse a ricorrere della Regione" (18) (sent. n. 272).

2.7. Riunione dei giudizi e separazione delle decisioni con riserva di ogni decisione sulle restanti questioni di legittimità costituzionale

La novità della scissione dei ricorsi, vale a dire la scorporazione delle questioni contenute in un ricorso (come afferma la sent. n. 1 "per ragioni di omogeneità di materia, la trattazione della questione di costituzionalità indicata viene separata da quella delle altre, sollevate con i medesimi ricorsi, oggetto di distinte decisioni") per poi eventualmente accorparle ad altre omogenee contenute in altri ricorsi, assume dimensioni particolarmente significative. La circostanza che la giurisprudenza costituzionale del 2004 abbia fondamentalmente avuto ad oggetto solo poche leggi dimostra che la novità processuale della "scissione dei ricorsi" è dovuta talvolta alla trasfigurazione della legge in contenitore di oggetti tra loro disomogenei e inconferenti, talora invece per il loro contenuto di “disciplina di settore” (19).
E' soprattutto sui provvedimenti omnibus dello Stato contro i quali è stato presentato ricorso da molte Regioni che si è registrata riunione dei giudizi, spesso accompagnata dalla loro scissione. Tale fenomeno già nel 2003 aveva interessato in modo particolare la legge finanziaria del 2002, avverso la quale erano stati depositati 5 ricorsi (nn. 10, 12, 21, 23 e 24) che sono stati risolti con 8 significative sentenze del 2003 (20), e poi con ben 15 del 2004: in queste ultime decisioni si ha avuto riunione dei giudizi in 1 solo caso, in 9 casi riunione e scissione dei ricorsi e in altri 5 scorporazione di una questione o di un gruppo di questioni riservandosi ogni decisione sulle restanti questioni di legittimità costituzionale (21). Il maggior numero di pronunce a fronte del numero dei ricorsi sembrava corrispondere al tentativo di delimitare chiaramente le singole questioni. Si tenga presente tuttavia che con 15 decisioni la Corte si è pronunciata su ben 37 questioni con un’inevitabile proliferazione dei capi di dispositivo (22).
A tal proposito non può sottacersi che quella del 2002 è prima legge finanziaria approvata dopo l’entrata in vigore della revisione costituzionale del 2001 "e il relativo disegno di legge è stato redatto prima dello svolgimento del referendum riguardante le modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione" (sent. n. 3). Analoga conflittualità, tuttavia, si è registrata anche nei successivi provvedimenti omnibus (le finanziarie del 2003 e 2004 nonché il decreto legge 269 del 2003 recante Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici (23)) con ricadute sull'accessibilità al giudicato costituzionale che sempre più si complica e affastella in mille capi di dispositivo senza facile collegamento tra petitum e decisum: con 25 sentenze e 2 ordinanze si sono risolte 104 questioni sollevate con 19 ricorsi del 2003 e 15 del 2004; tra queste decisioni vi è 1 caso di riunione, 10 casi di riunione e scissione, e altri 10 casi di scorporazione in cui la Corte si è riservata ogni decisione sulle restanti questioni di legittimità costituzionale (24).


2.8. Tipi di sentenze e principio di continuità

Profili innovativi emergono in particolare circa la tipologia delle sentenze. La Corte ha deciso di rinviare gli effetti di una propria sentenza di accoglimento in nome della "esigenza di tenere insieme il rispetto del riparto delle competenze costituzionali e la continuità del servizio scolastico”. La norma dichiarata illegittima “deve pertanto continuare ad operare fino a quando le singole Regioni si saranno dotate di una disciplina e di un apparato istituzionale idoneo" (sent. n. 13). Analogamente la necessità di continuare ad erogare gli annuali contributi alle attività dello spettacolo ha indotto la Corte a “giustificare” la “temporanea applicazione” della normativa statale approvata “in attesa che la legge di definizione dei principi fondamentali di cui all’art. 117 della Costituzione fissi i criteri e gli ambiti di competenza dello Stato”, “mentre appare evidente che questo sistema normativo non potrà essere ulteriormente giustificabile in futuro" (sent. n. 255).
Non sono mancate, inoltre, sentenze manipolative ed additive (cfr. sentt. nn. 196 (25) e 308), ablative (sentt. 196, 380, 390, 429), sostitutive (sent. n. 196) e dichiarazioni di illegittimità consequenziale quale principio di diritto processuale (sentt. nn. 2, 166, 272 e 378).



2.9. Cessazione della materia del contendere e promulgazione con omissioni in Sicilia

Per dichiarare la cessazione della materia del contendere è necessaria l'intervenuta modifica della disposizione impugnata che non deve aver "ricevuto una qualche attuazione medio tempore" (ord. n. 137) (26).
Inoltre "solo ove dalla disposizione legislativa sopravvenuta sia desumibile una norma sostanzialmente coincidente con quella impugnata nel ricorso, la questione – in forza del principio di effettività della tutela costituzionale delle parti nei giudizi in via di azione – deve essere trasferita sulla nuova norma" (27) (sent. n. 424). Quando la modifica apportata non "possa considerarsi “satisfattiva” delle pretese della ricorrente" (sent. n. 431), perché "la modifica è solo tecnica e (...) anche se più esplicita, coincide nella sostanza" con la norma impugnata" infatti "lo ius superveniens non determina la cessazione della materia del contendere" (sent. n. 18).
La cessazione della materia del contendere può derivare anche dall'interpretazione e applicazione della norma in modo satisfattivo per la parte ricorrente, facendo venir meno l'interesse a ricorrere (ord. n. 440). A prova dell’interpretazione della norma impugnata conforme alle competenze costituzionali fatte valere, in particolare, "agli atti del giudizio risulta acquisito il verbale della seduta del 4 marzo 2004 della Conferenza Stato-Regioni, che ha definito il piano di riparto degli importi destinati (...) alle singole Regioni, ivi compresa la stessa ricorrente, mentre la fase attuativa risulta disciplinata mediante uno schema di convenzione approvato nella stessa seduta". La Conferenza potrebbe, quindi, assorbire parte della conflittualità che si è trasferita sul piano processuale, sempre ché le parti non avvertano l'opportunità di instaurare il giudizio per fare pressione sull'altro ente.
La Corte ha infine dichiarato la cessazione della materia del contendere in seguito a promulgazione della legge siciliana con "omissione delle parti impugnate, sicché risulta preclusa la possibilità che sia conferita efficacia alle disposizioni censurate" (ordd. nn. 32 e 131).


3. Autonomia statutaria e armonia con la Costituzione

In occasione del giudizio sulla prima organica deliberazione legislativa regionale, quella calabrese, d’adozione di uno statuto, la Corte non si è negata "alcune considerazioni sull’ampiezza e sui limiti del potere statutario delle Regioni ad autonomia ordinaria dopo l'adozione del nuovo Titolo V della Costituzione, che ha fatto propria, ma anche integrato in un rinnovato contesto, la riforma costituzionale" introdotta dalla l. cost. n. 1 del 1999 (sent. n. 2) richiamando la propria giurisprudenza del 2002 e 2003 (28). Nella sent. n. 372 ha ritenuto opportuno chiarire che "non siamo in presenza di Carte costituzionali, ma solo di fonti regionali a competenza riservata e specializzata, cioè di statuti di autonomia".

3.1. Elezione diretta del Presidente e forma di governo

Guardando al contenuto necessario degli statuti, a giudizio della Corte, la revisione del 1999 ha comportato "una radicale semplificazione del sistema politico a livello regionale" optando "per la unificazione dello schieramento maggioritario intorno alla figura del Presidente della Giunta (...) al cui ruolo personale di mantenimento dell’unità dell’indirizzo politico e amministrativo si conferisce ampio credito" (sent. n. 2). La giurisprudenza costituzionale ha, comunque, censurato alcune soluzioni statutarie che miravano a stemperare la dipendenza del Consiglio dall'elemento personale dell'organo Presidente, dichiarando che la non osservanza del vincolo costituzionale del simul simul è legittima solo abbandonando, formalmente e sostanzialmente, l'investitura diretta del Presidente.
Il sistema elettorale configurato nel testo statutario della Calabria, sindacato nella sent. n. 2, è apparso alla Corte "caratterizzato da un meccanismo di elezione diretta del Presidente e del Vice Presidente della Giunta" "solo mascherato da una sorta di obbligatoria “presa d’atto” da parte del Consiglio regionale" perché anche se "la preposizione alla carica consegue non alla mera proclamazione dei risultati elettorali, ma alla “nomina” da parte del Consiglio regionale", il Consiglio tuttavia è "anche giuridicamente vincolato ad uniformarsi alla scelta compiuta dal corpo elettorale, a pena del suo stesso scioglimento" (cfr. G. Guzzetta contra M. Volpi). Ne dichiara, quindi, l'illegittimità rispetto agli artt. 122, quinto comma e 126, terzo comma, senza accennare al limite dell'armonia con la Costituzione (M. Olivetti).
"La previsione dell'approvazione consiliare del programma di governo” tuttavia “non appare affatto incoerente con lo schema elettorale "normale" (...) della Costituzione, giacché l'eventuale mancata approvazione consiliare può avere solo rilievo politico, ma non determina alcun effetto giuridicamente rilevante" (sent. n. 372). Anche perché a giudizio della Corte "il sistema della elezione a suffragio universale e diretto del Presidente della Regione ha come “sicura conseguenza” “l’impossibilità di prevedere una iniziale mozione di fiducia da parte del Consiglio” (sent. n. 379).
In base a questa giurisprudenza costituzionale il mantenimento dell'elezione diretta del Presidente della Giunta riduce l'autonomia statutaria in tema di forma di governo alla riscrittura a rime baciate del dettato costituzionale con la conseguente concentrazione dei poteri nelle mani del Presidente nei confronti sia della Giunta che del Consiglio, considerando incompatibile anche l'attribuzione di un ruolo significativo al Vicepresidente.
Sembrerebbe anzi che si dia per acquisito che il Presidente della Giunta goda del potere di porre la questione di fiducia, potere che la Corte ha addirittura considerato ridimensionato dalla necessità di "previamente conseguire il consenso della Giunta su questa iniziativa". A giudizio di chi scrive, tale previsione statutaria invece attribuisce alla Giunta un nuovo potere molto forte nei confronti di un Consiglio che sarebbe costretto allo scioglimento qualora non dovesse approvare il provvedimento sottoposto a fiducia, in seguito a dimissione “non volontarie”.
E' stata infine dichiarata manifestamente infondata la questione posta sulla legittimità dell'art. 126, comma 3, Cost. in riferimento "al principio del parlamentarismo". Sarebbe stato forse più efficace prospettarla in relazione alla forma di stato democratico caratterizzata dalla limitazione del potere anche attraverso pesi e contrappesi (cfr. L. Carlassare). Un'occasione perduta per dare respiro ordinamentale alla "fumosa" giurisprudenza sui principi supremi della Costituzione.

3.2. I "contenuti ulteriori"

Nonostante le molte voci contrarie (per tutti R. Tosi) la Corte ha dichiarato che "la riflessione dottrinale e la stessa giurisprudenza di questa Corte (…) riconoscono da tempo la legittimità dell’esistenza, accanto ai contenuti necessari degli statuti regionali, di altri possibili contenuti, sia che risultino ricognitivi delle funzioni e dei compiti della Regione, sia che indichino aree di prioritario intervento politico o legislativo". Gran parte dei commentatori (per tutti A. Ruggeri) hanno ancor di più non condiviso il passaggio della sentenza in cui, ragionando sulla "opinabile misura dell’efficacia giuridica dei contenuti ulteriori", la Corte li ha considerati "dotati di un'efficacia giuridica anomala e dai confini non chiari" (sent. n. 2) o meglio non ha loro riconosciuto "alcuna efficacia normativa, collocandosi ess[i]precipuamente sul piano dei convincimenti espressivi delle diverse sensibilità politiche presenti nella comunità regionale" (sent. n. 372), perché esplicherebbero una funzione "di natura culturale o anche politica, ma certo non normativa" (sentt. nn. 372, 378 e 379).

3.3. Statuto e legge regionale

Dalla giurisprudenza ex art. 123 Cost. la potestà statutaria è uscita "fortemente contratta" (A. Ruggeri) da interpretazioni restrittive in merito alla attitudine degli statuti di orientare il legislatore regionale (29).
A proposito, in particolare, del rapporto tra disposizioni statutarie di principio e legge regionale in materia elettorale, secondo la Corte, "la fonte statutaria è chiamata a svolgere un ruolo necessariamente ridotto, seppur significativo" in riferimento ai particolari oggetti previsti nell'art. 122, il "sistema di elezione" e "i casi ineleggibilità e di incompatibilità"”. Il fatto che questi oggetti siano riservati alla “legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica” “inevitabilmente riduce la stessa possibilità della fonte statutaria di indirizzare l’esercizio della potestà legislativa regionale in queste stesse materie. Sono quindi inammissibili norme statutarie che (...) determinino direttamente, almeno in parte, il sistema di elezione che dovrà invece essere disciplinato dalla legge o che (...) determinino in modo diverso dal primo comma dell’art. 122 della Costituzione, sia sul piano soggettivo che su quello oggettivo, quanto dovrà essere disciplinato dal legislatore regionale sulla base dei principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale" (sent. n. 2) (30).
Infine "ogni Regione può liberamente prescegliere forme, modi e criteri della partecipazione popolare ai processi di controllo democratico sugli atti regionali", con riferimento alla scelta di un quorum flessibile in base alla partecipazione del corpo elettorale alle ultime votazioni del Consiglio regionale (sent. n. 372).

4. Potere regolamentare

Dopo le sentenze del 2003 (31) con cui ha giudicato della titolarità del potere regolamentare in costanza dei vecchi statuti, la Corte non ha considerato "irragionavole" l'attribuzione al Consiglio regionale dei regolamenti “di attuazione e di integrazione in materia di legislazione esclusiva” dello Stato che da questo siano stati delegati alle Regioni "in considerazione della probabile maggiore rilevanza di questa ipotetica normazione secondaria regionale di attuazione o integrazione della legislazione esclusiva statale (e ciò anche al di là della specifica particolare importanza dell’una o dell’altra materia)" (sent. n. 2). Ha considerato inoltre legittima la riproduzione anche in materia di potestà concorrente del modello statale dei regolamenti delegati ex comma 2 dell'art. 17 della l. n. 400/88 (sent. n. 378) e l'attribuzione alla Giunta dei regolamenti di esecuzione di regolamenti comunitari (sent. n. 379).
La Corte infine ha censurato l'attribuzione di potere regolamentare allo Stato in materie che non sono di competenza esclusiva, come nel caso della disciplina della ippoterapia ricondotta alla competenza concorrente (sent. n.12), ma ha dichiarato la conformità al riparto delineato nel sesto comma dell’articolo 117 Cost. in materia di "tutela della concorrenza" (sent. n. 14).

5. Riparto delle competenze e sussidiarietà

La Corte è ritornata su uno dei profili più sintomatici di un nuovo regionalismo italiano, quello in base al quale la l. cost. n. 3 del 2001 "ha mutato l’ordine dei rapporti tra legislazione statale e legislazione regionale, nel senso che la potestà legislativa dello Stato sussiste solo ove dalla Costituzione sia ricavabile un preciso [corsivo mio] titolo di legittimazione" (sent. n.1). Si tratta, quindi, di un "nuovo criterio di individuazione degli ambiti di potestà legislativa attribuiti allo Stato e alle Regioni" (sent. n. 1), in base al quale è "evidente che alle Regioni è oggi riconosciuta al riguardo una competenza legislativa più ampia, per oggetto, di quella contemplata nell’originario testo dell’art. 117 Cost.; ciò (...) mentre le potestà legislative dello Stato di tipo esclusivo, di cui al secondo comma dell’art. 117 Cost., sono state consapevolmente inserite entro un elenco conchiuso" (sent. n. 196).
Come è noto, tale precisione del titolo abilitativo statale che sarebbe da rinvenire nell'art. 117 Cost. è accompagnata, se non controbilanciata, dall'attivazione dei flessibili meccanismi ex art. 118 Cost. descritti nella sent. n. 303 del 2003, che sembrerebbero operare rispetto non al riparto di competenze in sé, quanto piuttosto in nome dei confini espansivi della potestà legislativa statale: "il problema della competenza legislativa dello Stato non può essere risolto esclusivamente alla luce dell’art. 117 Cost. E’ infatti indispensabile una ricostruzione che tenga conto dell’esercizio del potere legislativo di allocazione delle funzioni amministrative secondo i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui al primo comma dell’art. 118 Cost." (sent. n. 6, nonché nn. 43, 69, 70, 71, 72, 73, 112, 172).
Si è chiarito in particolare che anche nelle materie residuali delle Regioni sono possibili "diverse allocazioni" della potestà legislativa per effetto di trascinamento con le funzioni amministrative attratte dallo Stato per assicurarne l'esercizio unitario, come, ad esempio, in materia di energia (sent. n. 6), di gestione delle quote latte (sent. n. 240), di coordinamento degli interventi economici e sanitari (sent. n. 12), di ricerca scientifica (sent. n. 423) e di ordinamento sportivo (sent. n. 424).
Si è aggiunto anche che la valutazione dell'attrazione verso l'alto delle funzioni amministrative con conseguente conferimento della potestà legislativa spetta all'organo legislativo del livello territoriale superiore, il Consiglio regionale in caso di funzioni comunali, il Parlamento in caso di funzioni regionali (sent. n. 6, nonché n. 233)
Nelle materie di cui all’art. 117, terzo e quarto comma Cost., la legge statale che attribuisce funzioni amministrative a livello centrale, per essere legittima, deve dettare "una disciplina logicamente pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette funzioni" e risultare "limitata a quanto strettamente indispensabile a tale fine. Da ultimo, essa deve risultare adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, deve prevedere adeguati meccanismi di cooperazione per l’esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali" (sent. n. 6).

5.1. Leale collaborazione

L’attivazione della clausola di flessibilità deve essere accompagnata dal rispetto del principio di leale collaborazione (cfr. sent. n. 6). In assenza di "sufficienti modalità collaborative e di garanzia degli interessi delle istituzioni regionali i cui poteri sono stati parzialmente ridotti dall’attribuzione allo Stato dell’esercizio unitario delle funzioni", esistono gli "strumenti di tutela contro eventuali prassi applicative che non risultassero in concreto rispettose della doverosa leale collaborazione fra Stato e Regioni" (ivi). La giurisprudenza della Corte è in effetti costante nel riconoscere che "il principio della leale collaborazione costituisca parametro invocabile nel conflitto di attribuzione, in quanto la sua violazione determini la lesione delle competenze riconosciute allo Stato e alle Regioni" (n. 199). Non a caso le condizioni che consentono di attivare la clausola di flessibilità, con particolare riferimento all'accordo Stato-Regione che abbia ad oggetto la valutazione dell'interesse pubblico dell'attrazione verso l'alto delle competenze, vengono chiarite in un giudizio intersoggettivo, spostando l'asse della leale collaborazione non sull'intesa in sé quanto sull'iter di concertazione tra gli enti che meglio soddisfa la concezione procedimentale della sussidiarietà. La Corte ha, infatti, giudicato illegittima la nomina governativa di un Commissario straordinario, non per l'assenza della previa intesa con il Presidente della Regione su tale nomina, bensì per il "mancato avvio e sviluppo della procedura dell’intesa per la nomina" del organo ordinario che era stato commissariato, il presidente di un ente Parco. La Corte aggiunge che l'iter dell'intesa "esige, laddove occorra, lo svolgimento di reiterate trattative volte a superare, nel rispetto del principio di leale cooperazione tra Stato e Regione, le divergenze che ostacolino il raggiungimento di un accordo e che sole legittimano la nomina del primo" (sent. n. 27), individuando un'intesa cd. debole (cfr. M. Cecchetti).
Al contrario l'intesa nella sua accezione "forte" (32) opera "nel senso che il suo mancato raggiungimento costituisce ostacolo insuperabile alla conclusione del procedimento" (sent. n. 6), paralizzando l'azione statale (sent. n. 233) (33).
Eppure talvolta la Corte ha ritenuto che "l’esigenza di assicurare la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, attraverso adeguati meccanismi di cooperazione per l’esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali, è comunque soddisfatta proprio attraverso l’attribuzione alla cura delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, secondo le rispettive competenze, dell’attuazione degli interventi di servizio civile" (34) (sent. n. 228).
In ogni caso "forme di collaborazione e di coordinamento che coinvolgano compiti e attribuzioni di organi dello Stato non possono essere disciplinate unilateralmente e autoritativamente dalle Regioni, nemmeno nell’esercizio della loro potestà legislativa. Ciò in quanto esse debbono trovare il loro fondamento o il loro presupposto in leggi statali che le prevedano o le consentano, o in accordi tra gli enti interessati" (sent. n. 429, già nella sent. n. 134). La Corte auspica che sia assicurato il formale coinvolgimento delle Regioni “nella fase di concreta ripartizione delle risorse finanziarie alle Regioni, anche attraverso l’intesa in sede di Conferenza unificata" (sent. n. 423). La Corte ha ritenuto comunque non fondata la censura concernente la pretesa illegittimità costituzionale per violazione del principio di leale collaborazione nei procedimenti legislativi perché "non è individuabile un fondamento costituzionale dell’obbligo di procedure legislative ispirate alla leale collaborazione tra Stato e Regioni (né risulta sufficiente il sommario riferimento all’art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001)”, anche se non esclude che la “ipotesi limite” di una Regione o Provincia autonoma che non eserciti il proprio potere legislativo in materia di condono edilizio nel termine massimo prescritto sia “grave violazione della leale cooperazione che deve caratterizzare i rapporti fra Regioni e Stato" (sent. n. 196).

5.2. Poteri sostitutivi

La potestà sostitutiva è la norma di chiusura (cfr. G. Marazzita), e per dirla con la Corte “fa sistema” (sent. n. 236), in un quadro di distribuzione delle competenze ispirata ai principi di sussidiarietà, efficienza, proporzionalità e leale collaborazione, “assicurando comunque, nelle ipotesi patologiche, un intervento di organi centrali a tutela di interessi unitari" (ivi).
Lo Stato, infatti, impugnando varie leggi regionali recanti poteri sostitutivi nei confronti degli enti locali, ha sostenuto che un'interpretazione sistematica dell'articolo 120 Cost. alla luce della parificazione tra gli enti che compongono la Repubblica (art. 114) e della competenza esclusiva dello Stato in materia di “organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane” attribuisse solo al Governo il potere di sostituirsi agli organi degli enti locali e che l’esercizio di tale potere sostitutivo dovesse essere disciplinato solo dalla legge statale.
La Corte ha innanzitutto offerto una "definizione dello statuto giuridico" (G. Fontana) del potere sostitutivo statale ex art. 120 Cost., che, lungi dal confermare quanto già previsto dalla legislazione esistente (L. Torchia), ha qualificato "straordinario" e “aggiuntivo”. D’altra parte è un potere previsto per la tutela di alcune tassative esigenze essenziali attribuite alla responsabilità dello Stato: il rispetto degli obblighi internazionali e comunitari (art. 117, quinto comma, Cost.), la salvaguardia dell’incolumità e della sicurezza pubblica, la tutela in tutto il territorio nazionale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lettere h e m), l’“unità giuridica” e l’“unità economica”, “naturalmente” facenti capo allo Stato (art. 5 Cost.) (sent. n. 43).
Neanche in nome della “clausola di favore” per le Regioni ad autonomia differenziata tale sistema “potrebbe essere disarticolato (…) dissociando il titolo di competenza dai meccanismi di garanzia ad esso immanenti” (sent. n. 236), anche se “per le funzioni ulteriori attratte dal nuovo Titolo V deve essere effettuato con le procedure previste dall’art. 11 della legge n. 131 del 2003, ossia con norme di attuazione degli statuti adottate su proposta delle commissioni paritetiche. Ne segue che fino a quando tali norme di attuazione non saranno state approvate, la disciplina del potere sostitutivo di cui si contesta la legittimità resta nei loro confronti priva di efficacia e non è idonea a produrre alcuna violazione delle loro attribuzioni costituzionali" (ivi).
Con molte questioni risolte dalla giurisprudenza del 2004 (35), soprattutto, la Corte ha riconosciuto che l’articolo 120, secondo comma, non impedisce l’esistenza "di altri casi di interventi sostitutivi, configurabili dalla legislazione di settore, statale o regionale, in capo ad organi dello Stato o delle Regioni o di altri enti territoriali, in correlazione con il riparto delle funzioni amministrative da essa realizzato e con le ipotesi specifiche che li possano rendere necessari" (sent. n. 43).
Anche i poteri sostitutivi ulteriori devono essere assistiti dalle garanzie, dalle condizioni e dai limiti "elaborati da costante giurisprudenza": le ipotesi d’esercizio di tali poteri devono essere previste e disciplinate dalla legge che deve definirne i presupposti sostanziali e procedurali; la sostituzione può prevedersi esclusivamente per il compimento di atti o di attività “prive di discrezionalità nell’an (anche se non necessariamente nel quid o nel quomodo)”; devono essere poi esercitati da un organo di governo della Regione o sulla base di una decisione di questo; la legge deve, infine, apprestare congrue garanzie procedimentali per l’esercizio del potere sostitutivo, che consentano, in conformità al principio di leale collaborazione, all’ente sostituito di essere in grado di evitare la sostituzione attraverso l’autonomo adempimento, e di interloquire nello stesso procedimento" (ivi).
La Corte non ha ritenuto soddisfatti i requisiti ora richiamati né dalla norma regionale che affidava la titolarità del potere al difensore civico regionale e a un commissario ad acta di sua nomina, perché non rientranti tra enti politicamente rappresentativi (sent. n. 69, 112, nonché n. 140), né dalla norma statale che prevedeva la nomina di un commissario straordinario di nomina governativa secondo modalità considerate incompatibili con il principio della leale collaborazione (sent. n. 240).


6. Il limite degli obblighi comunitari

Quanto invece alla lamentata violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., la Corte ha osservato che la deduzione del mancato rispetto di limite costituzionale degli obblighi comunitari "non può costituire autonomo motivo di censura, risultando inevitabilmente collegato alla violazione di ulteriori e specifiche norme costituzionali" (sent. n. 6). Se l'obbligo d’interpretazione conforme al diritto comunitario delle leggi, statali e regionali (sent. n. 7) è principio noto, l'interpretazione della Costituzione sulla sola base del diritto comunitario operata dalla Corte continua a suscitare molte perplessità. Alcune pronunce rilevano in particolare sotto il profilo della definizione delle materie enumerate nell'art. 117: la Corte ha considerato l'istituzione delle case da gioco una deroga al divieto del gioco d'azzardo rientrante, quindi, nella materia ordinamento penale di competenza esclusiva dello Stato, richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia secondo cui l'ampiezza della tutela dell'impresa è rimessa alla discrezionalità statale in riferimento "proprio sugli elevati rischi di criminalità e di frode che ad esso si accompagnano" (sent. n. 185); viene ricostruita entro la normativa comunitaria in particolare la tutela della concorrenza (sentt. nn. 14 e 272), così come l’esclusione della sicurezza dell'approvvigionamento d’energia elettrica dalla materia ordine pubblico e sicurezza (sent. n. 6).
In altri casi ancora, invece, il diritto comunitario sembra essere in grado di modificare proprio il riparto di competenza tra gli enti: in particolare la Corte sin dalla sent. n. 4 ha ritenuto non "contestabile il potere del legislatore statale di imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari [corsivo mio], vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti. La natura stessa e la finalità di tali vincoli escludono che si possano considerare le disposizioni impugnate come esorbitanti dall’ambito di una disciplina di principio spettante alla competenza dello Stato" (sent. n. 36); mentre le competenze statali specificatamente individuate in materia di quote latte sono giustificate in primis "dalla matrice comunitaria della medesima disciplina" (sent. n. 240).
In altri casi il diritto comunitario integra i parametri costituzionali: la legittimità del diritto di accesso, senza obbligo di motivazione, ai documenti amministrativi è argomentata con la coerenza “con l’evoluzione del diritto comunitario" (sent. n. 372); “il diverso sistema, di matrice europea" che si è "sostanzialmente affiancato al preesistente sistema sulla disciplina igienica relativa alle sostanze alimentari” ha reso legittima l'eliminazione dell'obbligo del libretto d’idoneità sanitaria ad opera di alcune leggi regionali (sent. n. 162).
La Corte ha chiarito, infine, che una norma regionale, che si assume essere in contrasto con il direttiva comunitaria (peraltro senza argomentare circa la sua diretta efficacia) in materia che si considera di competenza esclusiva statale, deve essere impugnata per illegittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale e non direttamente disapplicata dal giudice comune, negandole in tal modo il valore suo proprio (sent. n. 129) (36).


7. Oggetto e materie

Sembra consolidarsi l'orientamento della Corte, soprattutto in assenza di "nuove" leggi-cornice, di interpretare le materie di cui all'art. 117 in base ad un criterio storico-sistematico (A. D'Atena), che come abbiamo visto comprende anche le fonti di diritto comunitario. In particolare l'operazione ermeneutica prende le mosse dal d. lgs. n. 112 del 1998 che, anche se "anteriore alla modifica del Titolo V della Costituzione", "conserva tuttora la sua efficacia interpretativa non solo perché è individuabile una linea di continuità tra la legislazione degli anni 1997-98, ma soprattutto perché è riferibile a materie-attività, come, nel caso di specie, la tutela, la gestione o anche la valorizzazione di beni culturali, il cui attuale significato è sostanzialmente corrispondente con quello assunto al momento della loro originaria definizione legislativa" (sent. n. 26, nonché sent. n. 14 (37)).
Alla luce della giurisprudenza sul rapporto tra funzioni amministrative e funzioni legislative disegnata nella sent. n. 303 del 2003 si riscontrano definizioni di materie in base all'individuazione delle funzioni, come in materia di servizi sociali (sent. n. 287 e 423), di istruzione (sent. n. 13), di industria (sent. n. 14), di istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (sent. n. 15), di impianti di produzione, conservazione e distribuzione dell’energia (sent. n.7).
Deve segnalarsi, tuttavia, che la Corte, argomentando anche sulla "dubbia idoneità di una argomentazione interpretativa del nuovo dettato costituzionale tratta soltanto dalla collocazione sistematica di una isolata disposizione nella precedente legislazione ordinaria", non ha applicato la distinzione tra lo spettacolo e le attività culturali propria del d. lgs. n. 112 del 1998 alle attività culturali di cui al terzo comma dell’art. 117 della Costituzione (sent. n. 255).



7.1. Intreccio di più materie e competenze in un unico oggetto

Non mancano casi di oggetti riconducibili a più materie , tutte di competenza statale esclusiva: ad esempio la circolazione stradale che sotto differenti profili attiene all’ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale, all’ordinamento civile, giustizia amministrativa e alla giurisdizione (sent. n. 428), così come le iniziative previste per il contenimento della influenza catarrale dei ruminanti riconducibili alle materie profilassi internazionale e tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (sent. n.12).
Incide, invece, non solo in più materie ma anche su competenze diverse la bonifica riconducibile alla "competenza regionale "residuale", che si presta a comprendere molti aspetti della disciplina del settore agricolo (quarto comma), sia, d’altro canto, la competenza esclusiva dello Stato in materia di "tutela dell’ambiente" e "dell’ecosistema" [nonché] in modo più comprensivo, la competenza concorrente in tema di "governo del territorio" (terzo comma)" (sent. n. 282); la “riqualificazione urbana” dei Comuni è riconducibile invece a materie e ambiti di competenza concorrente (a partire dal “governo del territorio”) o “residuale” delle Regioni (sent. n. 16).
A fronte di tale intreccio materiale e competenziale in un unico oggetto si conferma un'impostazione ispirata a confini ontologici mobili in base agli obiettivi perseguiti dalla legge: ad esempio "“la progettazione delle opere pubbliche delle Regioni e degli enti locali” e “la realizzazione di opere pubbliche di interesse locale indispensabili per la valorizzazione delle risorse produttive e delle realtà sociali interessate” rappresentano finalità (…) riconducibili a materie e ambiti di competenza concorrente (a partire dal “governo del territorio”) o residuale delle Regioni" (sent. n. 49). Il servizio civile nazionale, di competenza statale per gli aspetti organizzativi e procedurali del servizio il quale "comporta lo svolgimento di attività che investono i più diversi ambiti materiali, come l’assistenza sociale, la tutela dell’ambiente, la protezione civile" (sent. n. 228).


7.2. Materie-non materie

Al di là della collocazione di un oggetto in una pluralità di materie e di competenze, si infoltisce la giurisprudenza sulle cd. materie-non materie, vale a dire quegli "ambiti specificati nel secondo comma dell’art. 117" che non "possono, in quanto tali, configurarsi come "materie" in senso stretto", bensì come "competenze del legislatore statale idonee ad investire una pluralità di materie" (sent. n. 14). Si tratta di una competenza strumentale (sent. n. 185), una sorta di materia "trasversale" (sent. n. 259), una materia-funzione (sent. n. 272) che non presenta "i caratteri di una materia di estensione certa, ma quelli di una funzione esercitabile sui più diversi oggetti" (sent. n. 14), "individuando, più che degli oggetti, delle finalità in vista delle quali la potestà legislativa statale deve essere esercitata" (sent. n. 345). Talora si tratta di un “valore” costituzionalmente protetto, "in quanto tale in grado di rilevare a prescindere da ambiti di competenze rigorosamente delimitati" (sent. n. 423).
A fronte della fluidità della delimitazione delle materie la Corte si pone il problema di come non "vanificare lo schema di riparto dell’art. 117 Cost.” stabilendo “fino a qual punto” la riserva allo Stato della competenza trasversale, nel caso di specie in materia di tutela della concorrenza, “sia in sintonia con l’ampliamento delle attribuzioni regionali disposto dalla revisione del Titolo V" (sent. n. 14). Secondo un "criterio sistematico" (sent. n. 14) "l’intervento del legislatore statale è legittimo se contenuto entro i limiti dei canoni di adeguatezza e proporzionalità" (sent. n. 272) dei mezzi usati rispetto al fine che si vuol raggiungere della tutela della concorrenza" (sent. n. 345).
In questi casi la legislazione esclusiva e “trasversale” dello Stato deve consistere in "norme di principio e di coordinamento", espressione diversa da quella di “principi fondamentali” che ricorre in ipotesi di legislazione concorrente (sent. n. 345).


8. Potestà esclusiva statale

8.1. "Autonomo" titolo di legittimazione

Oltre le materie enumerate nell'art. 117 la giurisprudenza ha individuato un "autonomo titolo di legittimazione" del legislatore statale recuperando altri parametri costituzionali, in particolare le norme della Parte I della Costituzione che prescrivono compiti alla Repubblica. In base alla novella dell'art. 114, quindi, si tratterebbe di situazioni giuridiche che tutti gli enti che formano paritariamente la Repubblica sono chiamati a tutelare, nelle quali le esigenze unitarie sono invocate per legittimare l'intervento dello Stato. In questi casi (cfr. la diffusione dei pc nella sent. n. 307 e il diritto di studio nella sent. n. 308) la Corte avrebbe potuto invocare la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (lett. m) (A. Pace, C. Pinelli), che tra le voci è la grande esclusa dalle rationes decidendi del 2004.
Ad esempio, la disciplina statale, impugnata da ben sei Regioni, che descrive "puntualmente" il procedimento attraverso il quale deve realizzarsi la ricollocazione del personale in mobilità, "lungi dal costituire ingerenza nella competenza legislativa residuale delle Regioni ovvero norma di dettaglio in materia di “tutela del lavoro”, promuove, nel settore del pubblico impiego, condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro di cui all’art. 4 Cost. e rimuove ostacoli all’esercizio di tale diritto in qualunque parte del territorio nazionale (art. 120 Cost.) (...) in quanto solo lo Stato può emanarne una con efficacia vincolante per tutte le amministrazioni pubbliche, centrali ovvero locali, e far sì in tal modo che gli elenchi del personale in mobilità (delle amministrazioni centrali e locali) non restino tra loro incomunicabili" (sent. n. 388).
"Dissociando la disciplina della spesa dalla competenza materiale" (A. Pace), la Corte ha affermato che "la mera previsione di contributi finanziari, da parte dello Stato, erogati con carattere di automaticità in favore di soggetti individuati in base all’età o al reddito e finalizzati all’acquisto di personal computer abilitati alla connessione ad “internet”" "corrisponde a finalità di interesse generale, quale è lo sviluppo della cultura, nella specie attraverso l’uso dello strumento informatico, il cui perseguimento fa capo alla Repubblica in tutte le sue articolazioni (art. 9 della Costituzione) anche al di là del riparto di competenze per materia fra Stato e Regioni di cui all’art. 117 della Costituzione"(sent. n. 307).
Anche in materie di competenza concorrente, quale la ricerca scientifica, la Corte ha ritenuto che "un intervento “autonomo” statale è ammissibile in relazione alla disciplina delle «istituzioni di alta cultura, università ed accademie», che «hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato» (art. 33, sesto comma, Cost.)" senza determinare alcun vulnus a competenze regionali (sent. n. 423), tanto meno nel riparto di potestà regolamentare (sent. n. 256).

8.2. Difesa (lett. d)

La disciplina degli "aspetti organizzativi e procedurali del servizio civile nazionale, oggetto di una autonoma ed unitaria regolamentazione (...) trova il proprio titolo di legittimazione nell’art. 117, secondo comma, lettera d), della Costituzione", "che riserva alla legislazione esclusiva dello Stato non solo la materia “forze armate” ma anche la “difesa”" (sent. n. 228). La Corte, alla luce delle evoluzioni normative e giurisprudenziali, ha distinto, nella “difesa della Patria” intesa come l'insieme delle attività finalizzate a contrastare o prevenire un’aggressione esterna, la difesa di carattere militare da quella civile di impegno sociale non armato (38). Peraltro non ogni aspetto dell’attività dei cittadini che svolgono il servizio civile ricade nella competenza in tema di difesa, potendosi istituire e disciplinare servizi civili regionali o provinciali di natura sostanzialmente diversa dal servizio civile nazionale (ivi).

8.3. Moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie (lett. e)

La Corte ha ricondotto alla voce tutela del risparmio e mercati finanziari l'istituzione del fondo per il finanziamento degli studi, perché si sostanzia "in una (nuova) ipotesi di mutuo agevolato, caratterizzato dalla particolare finalità perseguita (il finanziamento degli studi), erogato dalle banche o dagli altri intermediari finanziari in favore di soggetti individuati in via generale dalla legge esclusivamente in funzione delle loro particolari attitudini personali (gli studenti capaci e meritevoli)" (sent. n. 308), soprassedendo sul carattere sociale del diritto allo studio che avrebbe consentito la legittimità dell'intervento statale in base alla lett. m) (C. Pinelli).
Ben più estesi sono i confini, assai mobili, approntati dalla Corte per la tutela della concorrenza,richiamando, peraltro in modo inappropriato (L. Cassetti), la disciplina comunitaria, senza considerare la vigente legislazione statale né altri principi dell'ordinamento costituzionale (F. Pizzetti). Nella fattispecie, "con apprezzabile sforzo creativo" (A. Pace) interventi dello Stato sul mercato, invece di essere fondati sull’attivazione della lett. m), sono stati considerati "aiuti di stato" e ricondotti, attraverso tale definizione, alla tutela della concorrenza.
A giudizio della Corte, non solo la tutela della concorrenza deve essere letta alla luce delle altre voci della lett. e) ma soprattutto l'intera lett. e) deve essere interpretata a partire dalla tutela della concorrenza così come conosciuta nell'ordinamento comunitario: "proprio l’aver accorpato, nel medesimo titolo di competenza, la moneta, la tutela del risparmio e dei mercati finanziari [corsivo mio], il sistema valutario, i sistemi [corsivo mio] tributario e contabile dello Stato, la perequazione delle risorse finanziarie e, appunto, la tutela della concorrenza, rende palese che quest’ultima costituisce una delle leve della politica economica statale e pertanto non può essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in quell’accezione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali (sent. n. 14).
In tale prospettiva, lo Stato gode di "strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo dell’intero Paese; strumenti che, in definitiva, esprimono un carattere unitario e, interpretati gli uni per mezzo degli altri, risultano tutti finalizzati [corsivo mio] ad equilibrare il volume di risorse finanziarie inserite nel circuito economico. L’intervento statale si giustifica, dunque, per la sua rilevanza macroeconomica: solo in tale quadro è mantenuta allo Stato la facoltà di adottare sia specifiche misure di rilevante entità, sia regimi di aiuto ammessi dall’ordinamento comunitario (fra i quali gli aiuti de minimis), purché siano in ogni caso idonei, quanto ad accessibilità a tutti gli operatori ed impatto complessivo, ad incidere sull’equilibrio economico generale" (ivi), senza chiarire tuttavia il rapporto tra tali poteri e il quinto comma dell'art. 119 che prevede che per promuovere lo sviluppo economico lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore degli altri enti che compongono la Repubblica (R. Caranta).
A tale materia la Corte ha ricondotto anche i contributi in conto capitale per progetti di formazione degli stilisti, accennando ai "rilievi espressi dalla Commissione europea", in considerazione del testuale riferimento nonché della "nuova qualificazione di “rilevanza economica” attribuita a determinati servizi pubblici locali e soprattutto ai caratteri funzionali e strutturali della regolazione prevista" (ivi). Richiamando questo precedente la Corte ha chiarito, da un lato, che, rientrando la promozione della concorrenza nella sua tutela, sono di competenza statale le "disposizioni di carattere generale che disciplinano le modalità di gestione e l’affidamento dei servizi pubblici locali di “rilevanza economica” e, dall’altro lato, che solo le predette disposizioni non possono essere derogate da norme regionali" (sent. n. 272).
Non spetta comunque alla Corte "valutare in concreto la rilevanza degli effetti economici derivanti dalle singole previsioni di interventi statali" in materia di servizi pubblici, la cui legittimità dovrebbe essere definita, trattandosi di una materia-funzione, essenzialmente in base al criterio della proporzionalità e dell’adeguatezza: proprio sotto questo profilo appare fondata la censura della norma che "stabilisce, dettagliatamente e con tecnica autoapplicativa, i vari criteri in base ai quali la gara viene aggiudicata" integrando le discipline di settore di fonte regionale (ivi).
Ne discende che "l’estensione agli acquisti sotto soglia di beni e servizi della normativa nazionale di recepimento della normativa comunitaria non implichi per gli enti autonomi l’applicazione di puntuali modalità, ma solo l’osservanza dei principi desumibili dalla normativa in" materia di procedure di evidenza pubblica, "là dove impongono la gara, fissano l’ambito soggettivo ed oggettivo di tale obbligo, limitano il ricorso alla trattativa privata e collegano alla violazione dell’obbligo sanzioni civili (nullità dei contratti) e forme di responsabilità" (sent. n. 345).
Vi è infine un nutrito filone giurisprudenziale in materia di tributi, che, in assenza dell'attuazione dell'art. 119 e alla luce della giurisprudenza del 2003, ha visto attribuire alla competenza esclusiva l’istituzione di un tributo con legge statale, e l’espressa attribuzione alle Regioni a statuto ordinario, destinatarie del tributo, di competenze di carattere solo attuativo (sent. nn. 241, 381): tra questi tributi rientrano l'imposta della pubblicità ed altri tributi locali, l'addizionale comunale e regionale IRPEF e la compartecipazione dei Comuni al gettito IRPEF (sentt. nn. 37 e 381), l'IRAP (sentt. nn. 241 e 381), i sovracanoni per la produzione dell'energia elettrica (sent. n. 261)


8.4. Ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali (lett. g)

Per comprendere l'estensione della lett. g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali rilevano alcune pronunce con cui la Corte ha escluso, in materia di alta formazione, che "la generica locuzione di «amministrazioni pubbliche»" abbia tra i suoi destinatari le Regioni (sent. n. 3); anzi "il richiamo alle amministrazioni “pubbliche”", non può essere "letto altro che come sinonimo di “statali” (sent. n. 4); "sicché, anche a prescindere dal carattere “facoltizzante” della norma (la quale non esclude altre iniziative di «alta formazione del personale», ma ne suggerisce, aggiuntivamente, alcune), non sussiste alcuna violazione delle competenze regionali in materia" (sent. nn. 3 e 4). Di conseguenza è ricondotta in tale voce "la regolamentazione dell’accesso ai pubblici impieghi mediante concorso (...) solo per quanto riguarda i concorsi indetti dalle amministrazioni statali e dagli enti pubblici nazionali" (sent. n. 380).
La competenza esclusiva in materia, definita ordinamento degli organi e degli uffici dello Stato, è stata considerata violata dalla legge regionale che "attribuisce nuovi compiti ai titolari di uffici giudiziari in quanto tali, configurandoli ex lege come componenti necessari di un organo regionale, al quale essi dovrebbero pertanto partecipare obbligatoriamente", così come i Prefetti o loro delegati, violando anche "la riserva di legge statale prevista dall’art. 108, primo comma, Cost. in tema di ordinamento giudiziario" (sent. n. 134).


8.5. Ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale (lett. h)

La Corte ha confermato la sua interpretazione della lettera h), ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale, "come riferibile esclusivamente agli interventi finalizzati alla prevenzione dei reati ed al mantenimento dell’ordine pubblico", e quindi non applicabile, nella fattispecie sulla scorta del diritto comunitario, al concetto di “sicurezza” utilizzato nella legislazione sull’energia come “sicurezza dell’approvvigionamento di energia elettrica” e “sicurezza tecnica” (sent. n. 6). "Né appare rilevante l’utilizzazione in alcune pronunce della Corte di Cassazione dell’espressione “ordine pubblico” in riferimento alla vigente legislazione sul libretto sanitario, poiché radicalmente diverso è il significato di questa espressione nell’art. 117 Cost. e nei codici" (sent. n. 196).
La disciplina della circolazione stradale, in quanto funzionale alla tutela della incolumità perdonale, pone invece, per parte della sua disciplina, problemi di sicurezza (sent. n. 428).


8.6. Giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa (lett. l)

8.6.1. Giurisdizione e norme processuali

Proprio la circolazione stradale è ricondotta per le fasi contenziose alle voci giurisdizione e giustizia amministrativa (sent. n. 428).
Proprio la natura processuale degli istituti l’impignorabilità e l’insequestrabilità, "già conosciuti dal codice di rito (...) e dalla legislazione contabile", ha consentito di estendere a questa competenza esclusiva statale tali regimi alle somme di competenza degli enti locali, giacenti nelle contabilità speciali del Ministero dell’interno (sent. n. 18).


8.6.2. Ordinamento civile

Ulteriori profili della circolazione stradale, per quanto riguarda la disciplina dell'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile, sono stati ricondotti invece nella voce dell'ordinamento civile (sent. n. 428).
Tale voce, come giustamente ha ricordato la Corte, prevede un limite alla potestà legislativa regionale rimasto fondamentalmente invariato nel passaggio dal vecchio al nuovo testo dell’art. 117 “consistente nel divieto di alterare le regole fondamentali che disciplinano i rapporti privati" (sent. n. 282). Illegittima è quindi la norma regionale che "pretende di incidere sulla stessa esistenza degli organismi privati [dei consorzi di bonifica] di cui dispone la soppressione, e dunque sul nucleo irriducibile della loro autonoma sfera giuridica" (sent. n. 282).
Non contestato è che "la disciplina sostanziale del rapporto di lavoro, quella contenuta nelle leggi civili, può essere attratta" in questa competenza legislativa, anche se la Corte ha fatto salva la disposizione statutaria della Regione Calabria sulle procedure e sulle modalità della contrattazione collettiva che si svolge in sede regionale ed in ambito locale perché è la stessa legislazione statale in materia di ordinamento della dirigenza a non escludere una, seppur ridotta, competenza normativa regionale in materia (sent. n. 2).
Analogamente infondata è stata dichiarata la questione della norma regionale che, pur incidendo sul regime dei suoli ai fini dell'indennità di esproprio, attribuisce al requisito dell'edificabilità di fatto un valore esclusivamente suppletivo – in carenza di strumenti urbanistici – ovvero complementare ed integrativo agli effetti della determinazione del concreto valore di mercato dell’area espropriata, incidente sul calcolo dell’indennizzo (sent. n. 73).

8.6.3. Ordinamento penale

Altro limite alla potestà legislativa regionale rimasto inalterato è quello in materia dell’“ordinamento penale”, che, con esclusione della disciplina enumerata nel primo periodo della stessa lettera l), è “da intendersi come sistema normativo riguardante il diritto sostanziale” in “materia penale”, “intesa come l’insieme dei beni e valori ai quali viene accordata la tutela più intensa”; tale materia “non è di regola determinabile a priori; essa nasce nel momento in cui il legislatore nazionale pone norme incriminatici e ciò può avvenire in qualsiasi settore, a prescindere dal riparto di attribuzioni legislative tra lo Stato e le Regioni" (sent. n. 185). A maggior ragione, quindi, si avverte "l’esigenza che l’esercizio della potestà statale in materia penale sia sempre contenuto nei limiti della non manifesta irragionevolezza, non soltanto in ossequio al criterio della extrema ratio” ma in modo che “la compressione delle competenze legislative regionali è [sia] giustificata quando la legge nazionale sia protesa alla salvaguardia di beni, valori e interessi propri dell’intera collettività tutelabili solo su base egalitaria" (ivi). Nel caso di specie "la legge regionale impugnata, disciplinando l’istituzione di case da gioco nel territorio della Regione Friuli-Venezia Giulia, introduce una deroga al generale divieto” di gioco d’azzardo posto legittimamente dal legislatore statale.

8.7. Determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (lett. m)

Come già accennato, la voce determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale non è stata invocata neanche a fronte di discipline attinenti le garanzie dei diritti (v. supra). In materia di edificabilità di fatto, attraverso l'esclusione della legge impugnata dalle "prestazioni concernenti diritti civili" perché "si limita ad affermare la necessità che siano specificate le condizioni in presenza delle quali un’area possiede il carattere dell’edificabilità di fatto", si apprende indirettamente che tale previsione sarebbe rientrata in questa voce se avesse individuato "modalità o criteri di calcolo dell’indennizzo" o avesse quantificato "entità dello stesso (al cui proposito, semmai, potrebbe porsi un’esigenza di definizione uniforme)" (sent. n. 73).

8.8. Previdenza sociale (lett. o)

Il settore delle prestazioni previdenziali concerne "l’integrale e prioritario finanziamento degli interventi relativi a diritti soggettivi" (sent. n. 423).
In particolare, la provvidenza "disposta a favore delle donne, cittadine italiane o comunitarie, residenti in Italia – in relazione alla nascita del secondo o ulteriore figlio, o all’adozione di un figlio – senza che assumano alcun rilievo la condizione soggettiva e la sussistenza di situazioni di bisogno, disagio o semplice difficoltà" è "una provvidenza temporanea, di carattere indennitario, che costituisce espressione di quella tutela previdenziale della maternità riconosciuta alla donna in quanto tale, in ragione degli articoli 31, secondo comma, e 37 della Costituzione, a prescindere da ogni situazione di bisogno, di disagio o di difficoltà economiche, e non soltanto in quanto collegata ad una attività di lavoro subordinato o autonomo" (sent. n. 287).
Mentre "non innova in materia previdenziale" (sent. n.75) la legge regionale che si limita a riconoscere i caratteri del rapporto di lavoro subordinato a prestazioni svolte da dipendenti regionali antecedentemente alla loro immissione in ruolo.

8.9. Legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali dei Comuni, Province e Città metropolitane (lett. p)

Le competenze statali in materia di funzioni fondamentali dei Comuni, Province e Città metropolitane non comprendono più né la determinazione né l'attribuzione delle "funzioni", come accadeva alla stregua degli articoli 128 e 118, primo comma, del vecchio testo, ma solo la disciplina delle “funzioni fondamentali” degli enti locali territoriali (sent. n. 16).

8.10. Profilassi internazionale (lett. q)

Alla materia “profilassi internazionale”, in connessione con la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, sono state ricondotte le iniziative previste per il contenimento dell’influenza catarrale dei ruminanti in relazione ad allevamenti situati in territori individuati da decisioni comunitarie in diversi Stati membri della Comunità europea (sent. n. 12).


8.11. Tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e dei beni culturali (lett. s)

Oltre al caso appena richiamato (sent. n. 12), nella materia trasversale della tutela dell’ambiente “la competenza esclusiva dello Stato non è incompatibile con interventi specifici del legislatore regionale che si attengano alle proprie competenze" tra le quali rientra il rilascio delle autorizzazioni relative ad attività sull’ambiente marino che le Regioni ben possono delegare alle Province in nome del principio di sussidiarietà (sent. n. 259).
Pur citando il d.lgs. n. 112 del 1998, è sulla base dei propri precedenti che la Corte definisce la tutela dei beni culturali come attività "diretta principalmente ad impedire che il bene possa degradarsi nella sua struttura fisica e quindi nel suo contenuto culturale"; il restauro è inteso come una delle attività fondamentali in cui la tutela si esplica in nome della “necessità di incidere sulla stessa struttura materiale del bene, allo scopo di conservarlo o di recuperarlo” (sent. n. 9). La titolarità dei beni culturali consente alla legge statale, sulla base del d.lgs. n. 112 del 1998, di procedere alla cd. “esternalizzazione” della gestione dei servizi culturali di competenza statale (sent. n. 26).

8.12. Art. 117, comma 5

“Con specifico riferimento alla procedura tramite la quale deve esplicarsi la partecipazione delle Regioni e delle Province autonome alla c.d. “fase ascendente” del diritto comunitario (…) la Costituzione non ha previsto una competenza concorrente, bensì ha affidato alla legge statale il compito di stabilire la disciplina delle modalità procedurali di tale partecipazione” (sent. n. 239). In tal modo, a giudizio della Corte, è stata istituita una competenza statale ulteriore e speciale rispetto a quella contemplata dall’art. 117, terzo comma, Cost., concernente il più ampio settore “dei rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni” perché ha affidato "in via esclusiva allo Stato" il compito di dettare “norme di procedura”, non garantendo ambiti riservati alla legislazione regionale o provinciale" (ivi). La Corte peraltro ha giudicato legittime le varie previsioni contenute nell'art. 5 della l. n. 131 del 2003 sia per quanto riguarda la composizione della delegazione italiana presso le istituzioni comunitarie sia a proposito dell’obbligo, per il Governo, di proporre ricorso dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee avverso gli atti normativi comunitari “qualora esso sia richiesto dalla Conferenza Stato-Regioni a maggioranza assoluta delle Regioni e delle Province autonome”" (ivi).
Per violazione di tale parametro costituzionale a proposito, però, della “fase discendente” del diritto comunitario, la Corte ha annullato un regolamento governativo attuativo di una direttiva comunitaria in materia di riproduzione animale di competenza primaria della Province autonome (sent. n. 283), così come ha dichiarato illegittima l'attuazione diretta di una direttiva comunitaria ad opera di una legge statale in materia di competenza residuale, quale l'ipotesi di impianto abusivo di vigneti (sent. n. 12)

9. Potestà concorrente

9.1. Principi fondamentali

Si è ribadito che un decreto-legge può costituire legittimo esercizio della determinazione dei principi fondamentali nelle materie di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost. (sent. n. 6, nonché n. 196), così come "in determinate circostanze, l’enunciazione di principi fondamentali relativi a singole materie di competenza concorrente può anche costituire oggetto di un atto legislativo delegato senza ledere attribuzioni regionali” (sent. n. 280, contra A. D'Atena). In particolare la delega al Governo contenuta nella l. n. 131 del 2003 per l’adozione di decreti "meramente ricognitivi" dei principi fondamentali presenterebbe "contenuti, finalità e profili del tutto peculiari", con lo “scopo esclusivo di "orientare" l’iniziativa legislativa statale e regionale (...) transitoriamente fino a quando il nuovo assetto delle competenze legislative regionali, determinato dal mutamento del Titolo V della Costituzione, andrà a regime, e cioè (….) fino al momento della "entrata in vigore delle apposite leggi con le quali il Parlamento definirà i nuovi principi fondamentali"” (sent. n. 280). Sebbene i decreti delegati godano della forza di legge, l’intento di conferire carattere sostanzialmente ricognitivo all’attività delegata giustificherebbe, a giudizio della Corte, una lettura "minimale" della delega, “tale comunque da non consentire, di per sé, l’adozione di norme delegate sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo previgente" come nel caso della compilazione dei testi unici (ivi).
Quel che a giudizio della Corte è legittimo in relazione all'individuazione dei principi fondamentali, non lo è in riferimento alle materie di competenza esclusiva statale che hanno "natura di valore trasversale, idoneo ad incidere anche su materie di competenza di altri enti" perché in questo caso si tratterebbe di "opera di interpretazione del contenuto delle materie in questione" (sent. n. ivi), come se i principi fondamentali non fossero "della materia", anch'essa da delimitare in base ad un’interpretazione. Gran parte della dottrina si è chiesta, infatti, come sia possibile individuare i principi fondamentali di una materia senza aver preliminarmente individuato la materia stessa (cfr., tra gli altri, A. Ferrara).
In stretta connessione un'altra dichiarazione d’illegittimità ha colpito la legge di delegazione n. 131 del 2003, quella relativa ai criteri direttivi della delega, inspirati ai "settori organici della materia", nonché ai criteri oggettivi desumibili dal complesso delle funzioni e da quelle "affini, presupposte, strumentali e complementari": "i predetti criteri direttivi non solo evocano nella terminologia impiegata l’improprio profilo della ridefinizione delle materie, ma stabiliscono, sia pure in modo assolutamente generico, anche una serie di "considerazioni prioritarie" nella prevista identificazione dei principi fondamentali vigenti, tale da configurare una sorta di gerarchia tra di essi. (...) L’oggetto della delega viene così ad estendersi, in maniera impropria ed indeterminata, ad un’attività di sostanziale riparto delle funzioni e ridefinizione delle materie, senza peraltro un’effettiva predeterminazione di criteri” (ivi).
Si è ribadito comunque che “qualora nelle materie di legislazione concorrente i principi fondamentali debbano essere ricavati dalle disposizioni legislative statali esistenti, tali principi non devono corrispondere senz’altro alla lettera di queste ultime, dovendo viceversa esserne dedotta la loro sostanziale consistenza (….): e ciò tanto più in presenza di una legislazione in accentuata evoluzione" come in tema di tutela della disciplina igienica degli alimenti (sent. n.162). Si è confermato, infine, che non sostanzia un vizio di legittimità l'assenza in una legge regionale di un espresso riferimento alla legislazione statale vigente cui conformarsi (sent. n. 172 sulla realizzazione degli impianti di distribuzione dei carburanti).

9.2. Rapporti con l'Unione europea delle Regioni

Esclusa dalla materia di potestà concorrente dei rapporti con l’Unione europea delle Regioni è la procedura tramite la quale deve esplicarsi la partecipazione delle Regioni e delle Province autonome alla c.d. “fase ascendente” (sent. n. 239).

9.3. Istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e formazione professionale

Nulla di nuovo nella materia istruzione di difficile interpretazione competenziale, variabile secondo si tratti di norme generali, principî fondamentali, leggi regionali e determinazioni autonome delle istituzioni scolastiche. La Corte non ha dubitato che sia restata di competenza regionale la programmazione delle rete scolastica, funzione alle Regioni già conferita dal d.lgs. n. 112 del 1998 nella quale è compresa la distribuzione del personale tra le istituzioni scolastiche nell'ambito dei principî organizzativi di competenza statale (sent. n.13). La Corte non sembrerebbe ridurre tale funzione alla semplice gestione (che sarebbe oggetto della c.d. devolution), ma considerarla politica della programmazione (A. Poggi). Sempre sulla base del citato d. lgs. si è confermata la competenza regionale della disciplina dei contributi per la iscrizione a scuole paritarie (sent. n. 423).
Tra le norme di principio sono fatti rientrare i criteri d’individuazione degli studenti capaci e meritevoli in favore dei quali prevedere la concessione di prestiti (sent. n. 308).
Nella materia della formazione professionale è stato indirettamente incluso nella sent. n. 9 sui restauratori ciò che riguarda "corsi di istruzione, requisiti di ammissione, reclutamento e status dei docenti”.

9.4. Ricerca scientifica

Nella sent. n. 423 si è ricostruito il progressivo spostamento, anche alla luce della pregressa giurisprudenza, del "valore" della ricerca scientifica nell'ambito delle competenze regionali, ora sancito nell'art. 117. La natura valoriale di tale materia fa sì che non possano esserle applicati ambiti di competenza rigorosamente delimitati. Più che ai fini del riparto di competenza in questo caso il d. lgs. n. 112 del 1998 rileva per la stessa individuazione della materia a cui è stata ricondotta la legge regionale in tema di “sperimentazione” e “vivisezione a scopo didattico”. La legge è stata dichiarata incostituzionale perché la normativa statale in materia deve essere considerata il punto d’equilibrio, non derogabile, tra lo sviluppo della ricerca e la massima tutela degli animali che possono essere coinvolti nelle sperimentazioni (sent. n. 166).

9.5. Tutela della salute

Restando in tema di animali, l’ippoterapia, consistendo "in un trattamento medico che prevede l’impiego dei cavalli ai fini della cura di forme di patologie quali l’autismo", è "oggetto estraneo alla materia “agricoltura” e piuttosto riconducibile alla “tutela della salute”" (sent. n. 12). La previsione di un importo massimo stanziato a favore degli allevamenti ippici per lo sviluppo dell’ippoterapia è stata considerata puntuale e certamente non qualificabile come norma di principio" (ivi), così come non lo è stata neanche la norma che prevede l’obbligo del libretto di idoneità sanitaria in seguito alle trasformazioni della disciplina igienica degli alimenti nell’ordinamento nazionale e comunitario (sent. n. 162).

9.6. Ordinamento sportivo

La sent. n. 424 ha individuato una serie di principi fondamentali in materia di ordinamento sportivo nella quale le Regioni hanno competenza sugli impianti e sulle attrezzature necessari in relazione all’organizzazione delle attività sportive di base o non agonistiche: "l’uso degli impianti sportivi in esercizio da parte degli enti locali territoriali deve essere aperto a tutti i cittadini e deve essere garantito, sulla base di criteri oggettivi, a tutte le società e associazioni sportive"; "la gestione degli impianti sportivi comunali, quando i Comuni non vi provvedano direttamente" deve avvenire "di preferenza mediante l’attribuzione a determinati organismi sportivi, in via surrogatoria rispetto ai possibili atti di autonomia degli enti locali, e quindi nel rispetto delle scelte appunto autonomistiche degli enti stessi, ai quali è assicurata, in via principale, la possibilità di gestire direttamente gli impianti in questione; “gli impianti sportivi di pertinenza di istituti scolastici, quali palestre, aree di gioco ed altre analoghe attrezzature genericamente individuate come «impianti sportivi», (…) compatibilmente con le esigenze dell’attività didattica e delle attività sportive della scuola, anche extracurriculari, (…) devono essere posti a disposizione di società e associazioni sportive dilettantistiche aventi sede nello stesso Comune in cui si trova l’istituto scolastico, o in Comuni confinanti”.
Ne discende che è necessario il coinvolgimento delle Regioni in merito al finanziamento finalizzato "in parte alla promozione dei programmi dello sport sociale e in parte a favorire lo svolgimento dei compiti istituzionali degli enti di promozione sportiva, che sono associazioni aventi lo scopo di promuovere e organizzare attività fisico-sportive con finalità ricreative e formative tra i giovani, nonché di organizzare l’attività amatoriale" (ivi).

9.7. Governo del territorio

Il cuore del governo del territorio è costituito dai settori dell’urbanistica e dell’edilizia sui quali il Governo e molte Regioni si sono confrontate in giudizio in riferimento alla disciplina del condono edilizio, coinvolgendo “l’intera e ben più ampia disciplina” di “tutto ciò che attiene all’uso del territorio e alla localizzazione di impianti o attività” “ossia l’insieme delle norme che consentono di identificare e graduare gli interessi in base ai quali possono essere regolati gli usi ammissibili del territorio" (sent. n. 196).
Tale sentenza ha individuato i “limitati contenuti di principio” della materia, quali la previsione del titolo abilitativo edilizio in sanatoria, il termine e la determinazione delle volumetrie massimi di realizzazione delle opere condonabili. Non detto, ma implicito vi è il limite di poter decidere in piena autonomia dell'an del condono, come possibile scelta del legislatore considerata non in contrasto con l'art. 9 della Costituzione. Per tutti i restanti profili, ma entro un congruo termine, si è riconosciuto al legislatore regionale "un ruolo rilevante – più ampio che nel periodo precedente – di articolazione e specificazione delle disposizioni" statali sul versante amministrativo: le condizioni e le modalità per l’ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio, anche su beni insistenti su aree di proprietà dello Stato o del demanio statale situati nel territorio regionale; ai limiti volumetrici inferiori a quelli individuati come massimi; la determinazione della misura dell’anticipazione degli oneri concessori e le relative modalità di versamento ai Comuni; la determinazione dell’ammontare degli oneri concessori agli stessi Comuni; la disciplina degli effetti del silenzio del comune interessato (ivi).
L'eventuale competenza primaria delle autonomie speciali in materia avrebbe uno spazio di intervento maggiore, perché incontrerebbe solo "il limite della “materia penale” (comprensivo delle connesse fasi procedimentali) e quanto è immediatamente riferibile ai principi di questo intervento eccezionale di “grande riforma” (il titolo abilitativo edilizio in sanatoria, la determinazione massima dei fenomeni condonabili)”, mentre spetterebbe al legislatore regionale “la eventuale indicazione di ulteriori limiti al condono, derivanti dalla sua legislazione sulla gestione del territorio" (ivi).
Quel che nessuna competenza consentirebbe alle Regioni è "l’unilaterale dichiarazione di inapplicabilità nei territori regionali di parte di un testo legislativo statale esplicitamente riferito all’intero territorio nazionale" (sent. n. 198).
Si segnala, infine, che la Regione può legittimamente subordinare il rilascio dell’autorizzazione per l’apertura di una grande struttura di vendita alla previa programmazione urbanistica, senza irragionevolmente sacrificare l’iniziativa economica privata, in presenza di termini certi del periodo di sospensione e dell’esistenza di strumenti di tutela (sent. n. 76).

9.8. Produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia

Nella sent. n. 7 si trovano alcune definizioni di origine comunitaria delle singole voci della materia produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia: "in particolare, per “produzione” si intende “la generazione di energia elettrica, comunque prodotta” (...); per “distribuzione” si intende “il trasporto e la trasformazione di energia elettrica su reti di distribuzione a media e bassa tensione per le consegne ai clienti finali”. A tale voce la Corte ha ricondotto la disciplina statale del nuovo procedimento amministrativo finalizzato a garantire alla produzione e l'approvvigionamento dell'energia. Pur riconoscendo che tale disciplina reca "norme di dettaglio autoapplicative e intrinsecamente non suscettibili di essere sostituite dalle Regioni" la "necessità di riconoscere un ruolo fondamentale agli organi statali nell’esercizio delle corrispondenti funzioni amministrative" va giudicata alla stregua della clausola di flessibilità ex art. 118 e non in base all'art. 117 Cost. (sent. n. 6). Le Regioni a giudizio della Corte possono, quindi, individuare “ulteriori criteri di realizzazione degli impianti, fermo restando, naturalmente, che questi ultimi dovranno comunque uniformarsi agli standard stabiliti dal gestore della rete di trasmissione nazionale" (sent. n. 7 e cfr. sent. n. 8 per le autonomie speciali).

9.9. Armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e art. 119, secondo comma, della Costituzione riguardante i “tributi e le entrate propri” delle Regioni ed enti locali

9.9.1. Armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario

Rilevante è l'interpretazione estensiva della materia del coordinamento della finanza pubblica tutta a favore della determinazione dei principi fondamentali da parte dello Stato in osservanza degli obblighi, per quanto temporanei ed emergenziali, comunitari, ed in particolare del patto di stabilità (G. della Cananea), con l'eliminazione di ogni spazio di disciplina regionale (C. Pinelli). Il coordinamento della finanza pubblica, infatti, "è, più che una materia, una funzione che, a livello nazionale, e quanto alla finanza pubblica nel suo complesso, spetta allo Stato” (sent. n. 414) in particolare sotto forma di contenimento della spesa: "non è contestabile il potere del legislatore statale di imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari [corsivo mio], vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti. La natura stessa e la finalità di tali vincoli [corsivo mio]" consentono di "introdurre per un anno anche un limite alla crescita della spesa corrente degli enti autonomi, tenendo conto che si tratta di un limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa" (sent. n. 36).
Tra i principi fondamentali della materia, "indipendentemente dalla loro autoqualificazione come norme di principio e di coordinamento" (ivi), rientrano molte disposizioni delle leggi finanziarie 2002 e 2003 che pongono limiti e divieti in materia di personale alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni: la subordinazione delle politiche di reclutamento del personale al principio di contenimento della spesa in coerenza con gli obiettivi fissati dai documenti di finanza pubblica (sent. n. 390), nonché in materia di contrattazione integrativa il gravare degli oneri per i rinnovi contrattuali sui bilanci delle amministrazioni coinvolte e il vincolo ai criteri indicati per il personale dello Stato; inoltre i criteri dell'accertamento del principio della riduzione complessiva della spesa (sentt. nn. 4 e 260); ed infine la fissazione di "un limite al costo degli interventi, anche regionali, di contribuzione alla produzione e agli investimenti" (sent. n. 414).
Al contrario non è una disposizione che si limita a fissare un principio di coordinamento della finanza pubblica quella che "pone un precetto specifico e puntuale sull’entità della copertura delle vacanze verificatesi nel 2002, imponendo che tale copertura non sia superiore al 50 per cento: precetto che, proprio perché specifico e puntuale e per il suo oggetto, si risolve in una indebita invasione, da parte della legge statale, dell’area (organizzazione della propria struttura amministrativa) riservata alle autonomie regionali e degli enti locali" (sent. n. 390).
Pur precisando la Corte che gli “interventi propri dello Stato solo quelli che riguardano obiettivi macroeconomici, con particolare riferimento allo sviluppo del reddito e dell’occupazione, escludendo gli interventi di carattere localistico o microsettoriale e quindi non qualificabili come macroeconomici" (sent. n. 14), vi sono norme statali fatte salve dalla Corte in virtù del loro carattere "facoltizzante": l'indicazione di alcune possibili modalità procedimentali per l'acquisizione e l'affidamento dei servizi (c.d. esternalizzazione dei servizi) (sent. n. 17) nonché in materia di convenzioni per gli acquisti (sent. n. 36). In particolare "l’obbligo imposto di adottare i prezzi delle convenzioni come base d’asta al ribasso per gli acquisti effettuati autonomamente, pur realizzando un’ingerenza non poco penetrante nell’autonomia degli enti quanto alla gestione della spesa, non supera i limiti di un principio di coordinamento adottato entro l’ambito della discrezionalità del legislatore statale" (ivi).
In altri casi la norma statale è stata considerata principio legittimo grazie al carattere strumentale rispetto al raggiungimento di un accordo che fissi criteri e limiti in sede di Conferenza unificata, quale "strumento destinato a disciplinare, con il concorso delle autonomie regionali e locali, la materia delle assunzioni del personale a tempo indeterminato" (sent. n. 390, per le Regioni speciali sent. n. 353).
Anche se il potere di determinare i flussi di cassa verso gli enti, al fine di limitarne indirettamente la spesa, non è esercitabile, neanche transitoriamente, in via amministrativa "risolvendosi in un “anomalo strumento di controllo sulla gestione finanziaria regionale”, nel caso in cui il potere attribuito al Ministro possa "essere esercitato solo in correlazione e al fine del contenimento della spesa degli enti entro i limiti oggettivi risultanti dalla legge, oltre che dai documenti di programmazione" è legittima la determinazione in via amministrativa (sent. n. 353).
È infine stato considerato un principio di competenza statale anche stabilire che le amministrazioni diverse dallo Stato possano ricorrere a “forme di autofinanziamento” quale "corollario della potestà legislativa regionale esclusiva in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa [corsivo mio], affinché per tale via possa trovare compiuta realizzazione il principio (...) circa il parallelismo tra responsabilità di disciplina della materia e responsabilità finanziaria" (sent. n. 17).

9.9.2 ....e art. 119, secondo comma, della Costituzione riguardante i “tributi e le entrate propri” delle Regioni ed enti locali

La materia "compresa nella endiadi espressa dalla indicazione" di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario è stata letta in combinazione con il secondo comma dell'art. 119 riguardante i tributi e le entrate propri delle Regioni ed enti locali (sent. n. 17).
La Corte ha ribadito comunque che i tributi istituiti da legge statale non rientrano nella previsione di cui al secondo comma dell'art. 119, "dovendosi intendere il riferimento della norma costituzionale ai soli tributi istituiti dalle Regioni con propria legge, nel rispetto dei principi di coordinamento con il sistema tributario statale" (sent. n. 241, 37).
Anche se "si deve ritenere tuttora spettante al legislatore statale la potestà di dettare norme modificative, anche nel dettaglio, della disciplina dei tributi locali esistenti", ma senza sopprimere gli spazi di autonomia già riconosciuti dalle leggi statali, o configurando un sistema finanziario complessivo in contraddizione con l’art. 119 (sent. n. 37) "purché non sia alterato il rapporto tra complessivi bisogni regionali e mezzi finanziari per farvi fronte" (sentt. nn. 29, 241 e 381) né, nel suo complesso, la manovra fiscale e il gettito complessivo destinato alla finanza regionale non subisca riduzioni (sent. n. 431).
La Corte inoltre ha denunciato che, non solo non "si danno ancora, se non in limiti ristrettissimi, tributi che possano definirsi a pieno titolo "propri" delle Regioni o degli enti locali", ma che sono limitati anche gli spazi d’autonomia nella disciplina dei tributi sostanzialmente governati dallo Stato (sent. n. 37). In mancanza della fondamentale legislazione statale di coordinamento (ivi), gli interventi statali si traducono inevitabilmente in una "temporanea e provvisoria sospensione" del potere regionale (sent. n. 381).
L'improcastinabile intervento del legislatore statale dovrà "fissare i principi cui i legislatori regionali dovranno attenersi" e "determinare le grandi linee dell'intero sistema tributario" definendo "gli spazi e i limiti entro i quali potrà esplicarsi la potestà impositiva, rispettivamente dello Stato, Regioni ed enti locali" (sent. n. 37). Se la potestà tributaria delle Regioni non rientra tra i contenuti necessari dei nuovi statuti (sent. n. 6), la Corte ha considerato legittimo nello statuto attribuire alla legge regionale, nel rispetto dei principi fondamentali statali di coordinamento del sistema tributario, il compito di definire l'ambito di autonomia degli enti locali di autodeterminare con fonti secondarie i propri tributi (sent. n. 372). D'altra parte per i tributi locali nella sent. n. 37 già si era prefigurato, nel rispetto della riserva di legge ex art. 23, un modello sia su tre livelli (legislativa statale, legislativo regionale e regolamentare locale) sia su due (statale e locale, ovvero regionale e locale).


9.10. Valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali

9.10.1. Valorizzazione dei beni culturali

La valorizzazione dei beni culturali è una "materia-attività" (F.S. Marini) “diretta soprattutto alla fruizione del bene culturale sia come diffusione della conoscenza dell'opera sia come miglioramento delle condizioni di conservazione e degli spazi espositivi (sent. n. 9). La Corte ha desunto, anche in questo caso dal d.lgs. n. 112 del 1998, un criterio di ripartizione di competenze tra Stato, Regioni e enti locali in base al quale "ciascuno dei predetti enti è competente ad espletare quelle funzioni e quei compiti riguardo ai beni culturali, di cui rispettivamente abbia la titolarità” (sent. n. 26).

9.10.2. Valorizzazione dei beni ambientali

Pur cogliendo "l’indubbio collegamento" (sent. n. 196) della disciplina del condono edilizio con la materia della valorizzazione dei beni culturali ed ambientali e pur qualificando gli interessi relativi alla tutela del paesaggio come “valori costituzionali primari”, vale a dire non suscettibili “di subordinazione ad ogni altro valore costituzionalmente tutelato, ivi compresi quelli economici”, la disciplina impugnata da numerose Regioni non è apparsa alla Corte "in contrasto con la primarietà dei valori sanciti nell’art. 9 Cost.".Argomento decisivo sarebbe che "tutti i soggetti istituzionali cui la Costituzione affida poteri legislativi ed amministrativi" sono stati "chiamati a contribuire al bilanciamento dei diversi valori in gioco", svolgendo il legislatore regionale in particolare "un ruolo specificativo" (ivi).
La Corte ha inoltre "precisato che la competenza regionale in materia di demanio marittimo non incide sulla destinazione dei canoni di concessione che spettano allo Stato in quanto titolare del demanio (cfr. sent. n. 286), in base al principio che il canone di concessione segue la titolarità del bene anche in relazione alla tutela, gestione e valorizzazione dei beni culturali" (sentt. n. 26 e 427).

9.10.3. Promozione ed organizzazione di attività culturali

Sono ricondotte nelle attività culturali anche le azioni di sostegno degli spettacoli senza esclusione alcuna, "salvi i soli limiti che possono indirettamente derivare dalle materie di competenza esclusiva dello Stato (...) (come, ad esempio, dalla competenza in tema di “norme generali sull’istruzione” o di “tutela dei beni culturali”). Ciò comporta che ora le attività culturali (...) riguardano tutte le attività riconducibili alla elaborazione e diffusione della cultura, senza che vi possa essere spazio per ritagliarne singole partizioni come lo spettacolo. Questo riparto di materie evidentemente accresce molto le responsabilità delle Regioni, dato che incide non solo sugli importanti e differenziati settori produttivi riconducibili alla cosiddetta industria culturale, ma anche su antiche e consolidate istituzioni culturali pubbliche o private operanti nel settore (come, ad esempio e limitandosi al solo settore dello spettacolo, gli enti lirici o i teatri stabili); con la conseguenza, inoltre, di un forte impatto sugli stessi strumenti di elaborazione e diffusione della cultura (cui la Costituzione, non a caso all’interno dei “principi fondamentali”, dedica un significativo riferimento all’art. 9)" (sent. n. 255).
Eppure ciò “non significa l’automatica sopravvenuta incostituzionalità della legislazione statale vigente in materia, anzitutto in conseguenza del principio della continuità dell’ordinamento", perché, come nel caso del Fondo unico per lo spettacolo, “ci si trova con tutta evidenza dinanzi alla necessità ineludibile che in questo ambito, come in tutti quelli analoghi divenuti ormai di competenza regionale ai sensi del terzo comma dell’art. 117 Cost., ma caratterizzati da una procedura accentrata, il legislatore statale riformi profondamente le leggi vigenti (in casi come questi, non direttamente modificabili dai legislatori regionali) per adeguarle alla mutata disciplina costituzionale (ivi).

10. Potestà residuale

Affrontando la possibilità, contemplata dalla legge La Loggia, che il Governo possa designare come capo delegazione – in relazione a materie afferenti alla competenza residuale delle Regioni – un Presidente di Giunta di una Regione o di una Provincia autonoma, la Corte ha avuto modo di affermare che "non di rado le materie di competenza primaria delle Regioni ad autonomia particolare o delle Province autonome coincidono con alcune delle materie di competenza residuale delle Regioni ad autonomia ordinaria; inoltre, ove fra le materie di competenza primaria delle Regioni ad autonomia speciale e delle Province autonome non siano elencate materie che siano invece riconosciute alla competenza residuale delle Regioni ordinarie, può essere invocata l’applicazione dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Da tale considerazione risulta evidente come l’ambito della potestà residuale costituisca di norma un elemento che accomuna largamente sia le Regioni ordinarie che le Regioni speciali e le Province autonome (...) in relazione ad una posizione che le contraddistingue tutte, ossia la potestà legislativa più ampia (sia essa residuale ai sensi dell’art. 117, comma quarto, Cost., o primaria ai sensi degli Statuti speciali)" (sent. n. 239).
La Corte ha inoltre ribadito che una disciplina normativa non può essere ricondotta all’ambito della legislazione residuale delle Regioni "sol perché non sia immediatamente riferibile ad una delle materie elencate nei commi secondo e terzo" del 117 Cost. Ha aggiunto, tuttavia, che, essendo "di immediata percezione proprio l’impossibilità di collocar[la] (...) nei cataloghi delle competenze legislative statali esclusive o concorrenti", la materia innominata dell’organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali rientra nella competenza residuale (sent. n. 380).
Tale materia consiste in gran parte nella "organizzazione della propria struttura amministrativa" (sent. n. 390) e nell'ordinamento del personale, comprendendo anche "la regolamentazione delle modalità di accesso al lavoro pubblico regionale” (sentt. nn. 2 e 380). Tale potestà, "se può esplicarsi nel senso di disciplinare il rapporto di impiego o di servizio dei propri dipendenti, prevedendo obblighi la cui violazione comporti responsabilità amministrativa, non può tuttavia incidere sul regime della stessa" (sent. n. 345).
Limiti a tale sfera competenziale sono, a giudizio della Corte, rintracciabili nei poteri dello Stato diretti all'armonizzazione e coordinamento dei bilanci, delle spese e delle entrate dell’intera finanza pubblica, compreso il sistema tributario (art. 117, terzo e quarto comma; 119, secondo comma). Senza invadere questa sfera residuale, infatti, la legge statale potrebbe prescrivere criteri (ad esempio, di privilegiare il ricorso alle procedure di mobilità: sent. n. 388) ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica) ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi (sent. n.390). La Corte infine ha definito corollario di questa potestà "la previsione di principio che anche le amministrazioni diverse dallo Stato possano ricorrere a “forme di autofinanziamento” affinché per tale via possa trovare compiuta realizzazione il principio più volte ribadito da questa Corte circa il parallelismo tra responsabilità di disciplina della materia e responsabilità finanziaria" (sent. n.17).
Un'altra importante competenza residuale delle Regioni si ha nel settore agricolo, molti aspetti del quale sono compresi nella bonifica (sent. n. 282). In quest’ambito la Regione era ed è "competente a disciplinare le attività di bonifica, a programmarle sul territorio, a regolarne l’esercizio da parte degli enti pubblici e dei privati proprietari, a stabilire le modalità di gestione delle relative opere (...) dettare norme per disciplinare in modo nuovo forme di gestione, costituitesi nel tempo in epoche risalenti, di opere di interesse generale, come quelle di adduzione, di distribuzione, di utilizzo e di recupero delle acque, e di sistemi irrigui" (ivi). "Il nocciolo duro della materia agricoltura, che ha a che fare con la produzione di vegetali ed animali destinati all’alimentazione" è, a giudizio della Corte, l'impianto di vigneti; vi rientra anche il miglioramento genetico e in particolare "l’ippicoltura per il mantenimento degli stalloni di pregio, per l’ordinamento del servizio di monta e per la gestione del deposito di cavalli stalloni, nonché gli interventi tecnici per il miglioramento delle produzioni equine" (sent. n.12).
Ulteriore competenza residuale è quella dell'ambito materiale del “commercio cui inerisce la disciplina di sagre e fiere, senza che "la finalità religiosa, benefica o politica da cui sia connotata una fiera o una sagra" ne possa modificare la natura (sent. n. 1)
Il «reddito di ultima istanza», "essendo destinato ai nuclei familiari a rischio di esclusione sociale e dunque a favore di soggetti che si trovano in situazione di estremo bisogno", costituisce una misura assistenziale riconducibile alla materia “servizi sociali” (sent. n. 423), tra i quali, come abbiamo visto supra, non rientra la provvidenza disposta a favore delle donne semplicemente in relazione alla nascita del secondo o ulteriore figlio, o all’adozione di un figlio (sent. n. 287).
Si è escluso infine che fosse una materia di competenza residuale delle Regioni la vivisezione definita come “rapporto tra uomo e specie animali” (sent. n.166), così che vi rientrasse la materia degli impianti sportivi (anche scolastici) (sent. n. 424).

11. Potere estero delle Regioni

Deve segnalarsi la sentenza n. 238 con la quale la Corte ha fornito un quadro esauriente della disciplina costituzionale e legislativa in materia di potere estero delle Regioni, "cioè della potestà, nell’ambito delle proprie competenze, di stipulare, oltre ad intese con enti omologhi di altri Stati, anche veri e propri accordi con altri Stati, sia pure nei casi e nelle forme determinati da leggi statali (art. 117, nono comma)". Nell'esercizio del proprio potere estero le Regioni "non operano dunque come “delegate” dello Stato, bensì come soggetti autonomi che interloquiscono direttamente con gli Stati esteri, ma sempre nel quadro di garanzia e di coordinamento apprestato dai poteri dello Stato" che mantiene la esclusiva competenza in tema di politica estera (ivi).
Lo Stato ha conservato la competenza esclusiva in relazione alle “norme di procedura” che le Regioni devono rispettare nel provvedere all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali, e a disciplinare le forme d’esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza (quinto comma). La Corte ha peraltro giudicato infondate o inammissibili tutte le questioni di legittimità sollevate sulla legge La Loggia che ha dato attuazione al richiamato quadro costituzionale.
Per sommi capi la Corte ha comunque dichiarato che i “criteri” e le “osservazioni” che l’organo governativo è abilitato a formulare rispetto alle iniziative e alle attività regionali ai fini dell’esecuzione degli accordi internazionali e alla stipulazione di intese con enti territoriali interni ad altri Stati non possono "travalicare in strumenti di ingerenza immotivata nelle autonome scelte delle Regioni"; in tema di accordi delle Regioni con altri Stati i “principi e criteri” statali da seguire nella conduzione dei negoziati "non vanno intesi come direttive vincolanti in positivo quanto al contenuto degli accordi"; la collaborazione degli uffici diplomatici e consolari sarebbe "una possibilità di supporto tecnico, il cui utilizzo resta subordinato, come precisa la norma, alla previa intesa con la Regione o con la Provincia autonoma"; l’accertamento preventivo di legittimità e di opportunità dell’accordo "non legittima dunque alcuna ingerenza nelle scelte di opportunità e di merito attinenti all’esplicazione dell’autonomia della Regione" purché avvenga senza pregiudizio per gli indirizzi e gli interessi attinenti alla politica estera dello Stato (ivi).
Sotto questo profilo consisterebbe in una garanzia che la relativa valutazione sia stata affidata al Consiglio dei ministri, contro la quale è sempre possibile sollevare eventuale conflitto di attribuzioni.
Il conferimento da parte del Ministero degli affari esteri, infine, dei “pieni poteri di firma”, che dovrebbe certificare che "il consenso prestato o la firma apposta al trattato siano realmente idonei a impegnare lo Stato nell’ordinamento internazionale, provenendo da chi ha i poteri rappresentativi a ciò necessari", non sarebbe un potere discrezionale ma atto dovuto, "un adempimento formale vincolato", in relazione all’esito della verifica circa il rispetto dei limiti e delle procedure prescritte. "La possibilità, riconosciuta al Governo di rappresentare in qualunque momento “questioni di opportunità” e, in caso di dissenso, di provocare una delibera del Consiglio dei ministri è giustificata dalle esigenze di rispetto degli indirizzi della politica estera; senza che si trasformi in un indebito controllo di merito sulle autonome scelte regionali" (ivi).
Ben diverso è il caso della cooperazione transfrontaliera "che trova la sua legittimazione in una fonte comunitaria che è direttamente ed obbligatoriamente applicabile nel diritto interno degli Stati membri" e non è soggetta alla convenzione di Madrid (sent. n. 258).


12. Autonomia di spesa e interventi speciali

Come ben ha ricostruito la Corte "sul piano finanziario, in base al nuovo articolo 119, gli enti locali e le Regioni hanno “autonomia finanziaria di entrata e di spesa” (primo comma) e godono di “risorse autonome” (secondo comma). Tributi ed entrate proprie, da essi stessi stabiliti secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica, compartecipazioni al gettito di tributi statali riscossi sul loro territorio, e accesso ad un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale, da utilizzarsi “senza vincoli di destinazione”, sono le risorse che debbono consentire a Regioni ed enti locali di “finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite” (secondo, terzo e quarto comma). Per il resto, è prevista solo la possibilità che lo Stato destini risorse aggiuntive ed effettui interventi finanziari speciali “in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni” per gli scopi indicati, o “diversi dal normale esercizio delle loro funzioni” (quinto comma)" (sent. n. 49).
Avendo già dato conto supra della giurisprudenza in materia di "tributi regionali" passiamo ora alla disciplina della spesa e al trasferimento di risorse dal bilancio statale: almeno sotto questo profilo le norme costituzionali sono giudicate di immediata precettività e quindi "fin d’ora lo Stato può e deve agire in conformità al nuovo riparto di competenze e alle nuove regole, disponendo i trasferimenti senza vincoli di destinazione specifica, o, se del caso, passando attraverso il filtro dei programmi regionali, coinvolgendo dunque le Regioni interessate nei processi decisionali concernenti il riparto e la destinazione dei fondi, e rispettando altresì l’autonomia di spesa degli enti locali" (sent. n.16 e 49).
Nel nuovo contesto delineato dall'art. 119, a giudizio della Corte, non sono legittimi interventi finanziari diretti dello Stato a favore dei Comuni, vincolati nella destinazione, per normali attività e compiti di competenza (concorrente o residuale) di questi ultimi. Il vincolo di destinazione sarebbe ammissibile sono nelle materie di competenza esclusiva statale, o nei casi degli speciali interventi finanziari in favore di determinati Comuni, ai sensi del nuovo articolo 119, quinto comma. Questi ultimi devono essere: “aggiuntivi rispetto al finanziamento integrale (articolo 119, quarto comma) delle funzioni spettanti ai Comuni o agli altri enti”; non possono essere generici ma devono “riferirsi alle finalità di perequazione e di garanzia enunciate nella norma costituzionale, o comunque a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni”; devono “essere indirizzati a determinati Comuni o categorie di Comuni (o Province, Città metropolitane, Regioni)” e non alla generalità degli enti. Quando tali finanziamenti riguardino ambiti di competenza delle Regioni, queste devono essere “chiamate ad esercitare compiti di programmazione e di riparto dei fondi all’interno del proprio territorio" (sentt. nn. 16, 49 e 423).
Per quanto riguarda, inoltre, il vincolo del ricorso all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento di cui al sesto comma dell'art. 119, spetta allo Stato fornire discrezionalmente, ma nel rispetto del principio di legalità sostanziale, la definizione di "indebitamento" e "spese di investimento" che valgano in modo uniforme per tutti gli enti (sent. n. 425), comprese le Regioni a statuto speciale (39).
I beni demaniali o patrimoniali dello Stato, infine, resteranno a tutti gli effetti nella piena proprietà e disponibilità dello Stato fino a quando non saranno adottati i "principi generali determinati dalle leggi dello Stato" secondo i quali, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 119, verrà attribuito agli enti autonomi un proprio patrimonio (sent. n. 427). È stata considerata legittima, quindi, la norma in base alla quale le istituzioni di assistenza e beneficenza e gli enti religiosi che perseguono rilevanti finalità umanitarie o culturali possano ottenere la concessione o la locazione di beni immobili demaniali o patrimoniali statali.

13. Art. 123

In una materia come quella del condono edilizio che ha un impatto notevole sui Comuni la Corte ha avuto modo di sostenere che i parziali poteri legislativi riconosciuti alle Regioni in questo campo rafforzano "indirettamente anche il ruolo dei Comuni, dal momento che indubbiamente questi possono influire sul procedimento legislativo regionale in materia, sia informalmente sia, in particolare, usufruendo dei vari strumenti di partecipazione previsti dagli statuti e dalla legislazione delle Regioni (in anticipazione o in attuazione di quanto ora previsto dal nuovo quarto comma dell’art. 123 Cost.)" con riferimento al Consiglio delle autonomie locali (sent. n.196).

14. Art. 132

Si è dichiarata l’illegittimità costituzionale della l. n. 352 del 1970 recante Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo perché troppo onerosa "nella parte in cui prescrive che la richiesta di referendum per il distacco di una Provincia o di un Comune da una Regione e l’aggregazione ad altra Regione deve essere corredata – oltre che delle deliberazioni, identiche nell’oggetto, rispettivamente dei consigli provinciali e dei consigli comunali delle Province e dei Comuni di cui si propone il distacco – anche delle deliberazioni, identiche nell’oggetto, «di tanti consigli provinciali o di tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo della restante popolazione della regione dalla quale è proposto il distacco delle province o dei comuni predetti» e «di tanti consigli provinciali o di tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo della popolazione della regione alla quale si propone che le province o i comuni siano aggregati»" (sent. n. 334).


15. Art. 133

Si è esteso al mutamento della denominazione di un Comune l’obbligo di procedere mediante referendum a sentire le popolazioni interessate in analogia con quanto costante giurisprudenza ha dichiarato sull’istituzione di nuovi Comuni ex art. 133, secondo comma. Anche questa sarebbe una “ipotesi nella quale la volontà della popolazione ha motivo di esprimersi riguardo ad un elemento non secondario dell’identità dell’ente esponenziale della collettività locale" (sent. n. 237).

16. Autonomie funzionali

"A prescindere dalla questione se una Regione possa censurare leggi statali ritenute lesive dell’autonomia scolastica, è assorbente il rilievo che tale autonomia non può risolversi nella incondizionata libertà di autodeterminazione, ma esige soltanto che a tali istituzioni siano lasciati adeguati spazi di autonomia che le leggi statali e quelle regionali, nell’esercizio della potestà legislativa concorrente, non possono pregiudicare” (sent. n. 13). A giudizio della Corte tale autonomia non sarebbe pregiudicata dal principio di preferenza a favore dei docenti già in servizio il principio di preferenza nella assegnazione di ore aggiuntive di insegnamento fino al massimo contrattualmente previsto di 24 ore settimanali (ivi).


NOTE

(1) Cfr. La Giustizia costituzionale del 2004, Conferenza stampa del Presidente Valerio Onida, 20 gennaio 2005, in www.cortecostituzionale.it, ora in Giur. cost. 2004, p. 3419 ss.: il processo in via incidentale ha subito un'ulteriore flessione guadagnando un nuovo minimo storico e quello in via principale un notevole incremento del 45 %.
(2) Nell'ambito dei conflitti di attribuzione, 20 sono le decisioni con 14 sentenze e 5 ordinanze: vi è una sentenza che risolve un conflitto sollevato dallo Stato avverso atto regionale e provinciale e contestualmente un altro sollevato dalla provincia autonoma di Bolzano avverso atto governativo (sent. n. 258), l'ord. n. 21 ha invece risolto due ricorsi della Regione Veneto contro la Provincia autonoma di Bolzano e contro il Presidente del Consiglio.
(3) Cfr. le sent. nn. 283, 273 e 179 che risolvono ricorsi del 2001. Risolvono conflitti sollevati prima della revisione del Titolo l'ord. n. 319 (1999), l’ord. n. 244 (2001), la sent. n. 103 (2000 e 2001).
(4) Cfr. tabelle a cura ISSiRFA…
(5) Sentt. di estinzione del giudizio promosso dalle Regioni sono le nn. 345, 390, 424; di estinzione del processo promosso dalle Regioni è l’ord. n. 31, dallo Stato l’ord. n. 243.
(6) Cfr. per ius superveniens che ha abrogato la norma impugnata e inattuata medio tempore in conformità alle ordd. nn. 443 del 2002 e 347 del 2001 cfr. sent. n. 12 in materia di quote-latte; sent. n. 15 in materia di servizi pubblici; sent. n. 17 per la concessionaria dei sevizi informatici pubblici (CONSIP); sent. n. 36 per sanzioni in caso di mancato rispetto del patto di stabilità interno; sent. n. 196 sul condono edilizio; ord. n. 274 sui servizi pubblici locali; sent. n. 345 sulla concessionaria CONSIP; sent. n. 424 sul registro delle società e associazione sportive dilettantistiche; vedi nel testo per la sent. n. 320 e l'ord. 440.
(7) Cfr. per ius superveniens che ha abrogato la norma impugnata cfr. sent. n. 8 in materia di energia; sent. n. 32; ord. n. 131; ord. n. 137 in materia di funzionamento e di assegnazione di personale ai gruppi consiliari; ord. n. 203 in materia di Comunità montane; un caso particolare di ius superveniens è quello della pronuncia di illegittimità costituzionale intervenuta in seguito all'impugnativa statale, come è accaduto in materia di condono edilizio in seguito alla sent. n. 196 (ord. n. 416); ord. n. 432.
(8) C'è un caso in cui è il ricorrente statale a cedere, approvando una norma, sopravvenuta alla proposizione dei ricorsi, con la quale "il legislatore statale ha dunque fatto salve, fino al 1° gennaio 2007, le disposizioni legislative regionali sulla tassa automobilistica che non siano conformi con la normativa statale, stabilendo che esse vadano comunque applicate" (ord. n. 432).
(9) In particolare nella sent. n. 320 la cessazione della materia del contendere in merito agli asili nido è stata dichiarata perché "l’attuazione della disposizione impugnata (censurata in riferimento al ruolo meramente consultivo attribuito alla Conferenza Stato-Regioni ai fini del riparto della somma) si è esaurita mediante l’adozione di due decreti ministeriali adottati con il parere unanime favorevole dei rappresentanti delle Regioni"; nella ord. n. 440 la disposizione censurata risulta essere stata interpretata ed applicata in modo conforme all’interesse fatto valere in giudizio dalla ricorrente, con particolare riferimento al verbale della Conferenza Stato-Regioni, che ha definito il piano di riparto degli importi destinati (...) alle singole Regioni, ivi compresa la stessa ricorrente, mentre la fase attuativa risulta disciplinata mediante uno schema di convenzione approvato nella stessa seduta".
(10) Tra la Provincia autonoma di Bolzano e l'interveniente società Edison concessionaria di derivazione di acqua a scopo idroelettrico.
(11) Sempre in materia di derivazione di acqua a scopo idroelettrico per sopravvenuta sentenza della Corte e intesa con i consorzi interessati.
(12) D'intesa raggiunta si parla anche tra la regione Sicilia e l'agenzia delle entrate nella sent. di inammissibilità n. 288.
(13) Perché il governo ha modificato l'atto impugnato determinando la cessazione del contendere.
(14) Cfr. la sent. n. 6 che lamenta la "perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, più in generale, dei procedimenti legislativi - anche solo nei limiti di quanto previsto dall'art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3"; la sent. n. 9 nella quale auspica un'applicazione dell'art. 118, comma 3 Cost.; la sent. n. 13 che decide "nelle more dell’attuazione dell’art. 119 Cost., (...) in vista della compiuta realizzazione del disegno costituzionale".
(15) Cfr., da ultimo, sentt. nn. 338, 315, 307, 303, 49 del 2003 e sentt. nn. 166, 167 e 196 del 2004.
(16) Cfr. sent. n. 303 del 2003; cfr., inoltre, le sentt. nn. 353 del 2001, n. 503 del 2000, n. 408 del 1998, n. 87 del 1996.
(17) Cfr. sentenza n. 274 del 2003.
(18) Cfr. sentenza n. 25 del 1996.
(19) Ciò si evince dalle stesse parole della Corte laddove, ad esempio, ha affermato che il ricorso statale è stato scisso in più questioni perché avverso una "legge, si badi, recante una amplissima e articolata disciplina riguardante i più diversi oggetti attinenti alla materia del turismo" (sent. n. 43).
(20) Sentt. nn. 300, 361, 362, 363, 370, 376, 377, 378.
(21) In queste decisioni si ha avuto riunione dei giudizi nell'ord. n. 274; riunione dei giudizi e scissione dei ricorsi nelle sentt. nn. 1, 4, 12, 14, 15, 17, 26, 36, 37; scissione dei ricorsi nelle sent. nn. 3, 13, 16, 18, 49.
(22) Sentt. nn. 1, 3, 4 (con 5 capi di dispositivo), 12 (3 capi), 13 (2 capi), 14 (4 capi), 15 (3 capi), 16, 17 (5 capi), 18, 26, 36 (5 capi), 37 (3 capi), 49, ord. n. 274. In queste decisioni si ha avuto riunione dei giudizi nella ord. n. 274; riunione dei giudizi e scissione dei ricorsi nelle sentt. nn. 1, 4, 12, 14, 15, 17, 26, 36, 37; scissione dei ricorsi nelle sent. nn. 3, 13, 16, 18, 49.
(23) Sui ricorsi 14, 15, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 73, 76, 81, 82, 83, 87, 89, 90 del 2003 e 6, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37 del 2004 cfr. le sent. nn. 196 (27 capi), 260, 261, 286 (7 capi), 260, 261, 272 (4 capi), 286 (7 capi), 287 (2 capi), 307, 308 (3 capi), 320 (5 capi), 345 (4 capi), 353, 354, 380, 381 (4 capi), 390 (5 capi), 412, 414 (2 capi), 423 (9 capi), 424 (5 capi), 425 (12 capi), 427, 431 e ord. n. 116 e 440.
(24) Riunione: 280, riunione e scissione: 196, 286, 307, 308, 320, 345, 353, 381, 390, 425; scissione: 260, 261, 287, 354, 380, 412, 414, 423, 424, 427.
(25) Interessante il dispositivo con il quale si dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, nel testo originario e in quello risultante dalla legge di conversione n. 326 del 2003, "nella parte in cui non prevede che la legge regionale di cui al comma 26 debba essere emanata entro un congruo termine da stabilirsi dalla legge statale". Ma la sentenza aggiunge che "nell’ipotesi limite che una Regione o Provincia autonoma non eserciti il proprio potere legislativo in materia nel termine massimo prescritto, a prescindere dalla considerazione se ciò costituisca, nel caso concreto, un’ipotesi di grave violazione della leale cooperazione che deve caratterizzare i rapporti fra Regioni e Stato, non potrà che trovare applicazione la disciplina" statale.
(26) Cfr. sent. n. 351/2003 e ord. n. 339/2003.
(27) Cfr., tra le molte, sent. n. 533 del 2002.
(28) Cfr. sentt. nn. 304/2002, 196 e 313 del 2003.
(29) Nelle decisioni adottate nel peculiare processo ex art. 123 Cost emergono i seguenti contenuti censurati dal Governo: potestà tributaria (sentt. nn. 2 e 372), diritto di accesso ai documenti amministrativi (sent. n. 372), dipendenti della Regione (sent. nn. 2 e 379), conferimento di funzioni amministrative agli enti locali (sent. nn. 372 e 379), la Commissione di garanzia statutaria (sent. n. 378), la formazione e attuazione degli atti comunitari (sent. nn.372 e 379), nonché degli accordi internazionali (sent. n. 379), i testi unici regionali (sent. n. 378) e i diritti di partecipazione alle funzioni regionali (sent. n. 379).
(30) Rispetto alla prima voce rileva la previsione, "analitica" a giudizio della Corte, della indicazione della candidatura alle cariche di Presidente e di Vice Presidente della Giunta regionale sulla scheda elettorale in elezioni contestuali a quelle del Consiglio regionale”; in riferimento alla seconda, la Corte dichiara illegittimo l'articolo dello statuto umbro e in parte quello della Emilia-Romagna che disciplinavano l'incompatibilità tra la carica di consigliere e di assessore (sent. n. 378). Cfr. l'ord. n. 361.
(31) Sentenze nn. 313 e 324.
(32) Dopo aver ritenuto infondate le lamentele regionali perché " la determinazione dell’elenco degli impianti di energia elettrica che sono oggetto di questi speciali procedimenti viene effettuata “previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano”; per il secondo comma dell’art. 1, l’autorizzazione ministeriale per il singolo impianto “è rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano le Amministrazioni statali e locali interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, d’intesa con la Regione interessata”.
(33) Qualora "l’infrastruttura abbia carattere interregionale o internazionale, ovvero risulti di concorrente interesse regionale. In quest’ultimo caso il maggior interesse della Regione nella realizzazione dell’opera è tutelato al punto che ad essa è consentito di paralizzare l’approvazione del progetto o la localizzazione dell’opera": nel caso di specie risulta illegittima la deliberazione del CIPE che ha approvato il progetto preliminare della metropolitana ad automazione integrale di Bologna adottata senza che si sia manifestato il necessario consenso della Regione interessata.
(34) Continua "È, inoltre, evidente che, nelle ipotesi in cui lo svolgimento delle attività di servizio civile ricada entro ambiti di competenza delle Regioni o delle Province autonome di Trento e Bolzano, l’esercizio delle funzioni spettanti, rispettivamente, allo Stato ed ai suddetti enti, dovrà improntarsi al rispetto del principio della leale collaborazione tra enti parimenti costitutivi della Repubblica (art. 114, primo comma, della Costituzione)".
(35) Cfr. sent. n. 69 e 70, 71, 72, 73, 74, 75, 140, 172, 173, 227.
(36) Adottata nel conflitto tra regione Lombardia e Presidenza del Consiglio avente ad oggetto l'ordinanza di un giudice che disapplicava la legge regionale in materia di deroghe al divieto di prelievo venatorio.
(37) "L’art. 117 Cost. e il tipo di riparto di funzioni fra Stato e Regioni sopra delineato si pone, del resto, in linea di continuità con quanto era già previsto dal d.lgs. n. 112 del 1998. Chiamato dalla legge 15 marzo 1997, n. 59 a realizzare l’ampliamento delle autonomie nella misura massima consentita dalle norme costituzionali allora vigenti, il legislatore delegato del 1998, impiegando la versatile figura organizzativa del conferimento, che può combinare trasferimento di funzioni e delega (sentenza n. 408 del 1998), ha ridotto l’ambito delle funzioni statali fino al minimo ipotizzabile".
(38) Cfr. sentenza n. 164 del 1985.
(39) Nel 2004 sono state rese inoltre una serie di sentenze sul regime tributario della regione Sicilia (cfr. sentt. nn. 29, 103, 306) per la cui rassegna rinvio al Capitolo del Rapporto dedicato alle Autonomie speciali.


Tabelle allegate:
1. Giudizi in via principale su ricorso dello Stato
2. Giudizi in via principale su ricorso della regione
3. Conflitto di attribuzione tra Stato e regioni
4. Giudizio ex aer. 123 Cost.

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