AVVERTENZA: Il documento che segue - scaricabile anche in formato pdf - è stato illustrato da Legautonomie, durante l'audizione informale presso la Commissione Affari costituzionali del Senato della Repubblica, in data 14 giugno 2007, con riferimento al 'codice delle autonomie' (d.d.l.. 1464).


I. La riforma del Titolo V segna il passaggio dal decentramento amministrativo al policentrismo autonomistico e afferma il carattere federalista dell'ordinamento attribuendo autonomia normativa agli enti locali ed alle regioni nei limiti dei principi fissati dalla Costituzione.
Tale carattere policentrico, sostenuto e informato dai principi di sussidiarietà, di adeguatezza, differenziazione e da quelli di leale collaborazione e di semplificazione, dovrebbecostituire il modo d'essere dell'attuale quadro politico e istituzionale e ispirare i criteri unificanti che sovrintendono alla determinazione delle funzioni fondamentali e al conferimento delle funzioni amministrative statali e regionali agli enti locali. L’obiettivo è quello di attribuire al sistema delle autonomie territoriali il compito e la responsabilità di perseguire, nell'interesse delle collettività locali, un efficace governo a livello locale.
 
Il breve richiamo a questi principi, che hanno ispirato il processo di decentramento amministrativo antecedente alla riforma del Titolo V, è opportuno anche soltanto per sottolineare come oggi il compito del legislatore non è quello di riscrivere un Testo unico delle autonomie, meramente ricognitivo delle disposizioni «sopravvissute» alla riforma costituzionale, bensì quello di liberarsi di esso e procedere all'adozione di una Carta di principi che, esaltando la potestà autorganizzatoria delle funzioni, confermi tale nuovo e più impegnativo ruolo delle autonomie locali e la loro capacità di aderire alle differenziate realtà locali per meglio governarle.
 
II. L’attuazionedel nuovo Titolo Vdella Costituzione richiede, innanzi tutto, la definizione di un nuovo modello di governance interistituzionale che deve garantire la certezza nel riparto delle competenze legislative statali e regionali e valorizzare l'accresciuta autonomia normativa degli enti locali. Il nuovo testo - a fronte delle incompatibilità del TUEL col nuovo quadro costituzionale riferito agli articoli 114, 117 e 118, nonché all'abrogazione dell' articolo 128 - dovrà pertanto conciliare la equiordinazione che, nella diversità delle rispettive attribuzioni caratterizza i soggetti costituenti della Repubblica, con una disciplina statale sull'assetto delle istituzioni locali.
Il testo della legge delega proposto dal Governo intende rispondere ai punti sopra sottolineati, ma l’impostazione data al provvedimento lo fa solo in parte.
L'obiettivo di rendere coerente l'ordinamento degli enti locali con il nuovo titolo V è, infatti, in più parti contraddetto da meccanismi centralistici di compressione della sfera dell'autonomia e della responsabilità degli enti territoriali. In linea generale, esso si presenta eccessivamente pervasivo, mostrando la volontà di dettare norme statali relativamente a ogni aspetto del sistema locale. In questo modo si pongono, tuttavia, le premesse per una normativa delegata caratterizzata da una sostanziale continuità con il metodo e i contenuti del Testo unico del 2000. Dettando norme piuttosto di dettaglio che regolano la configurazione e il funzionamento degli enti locali si riducono, già in sede di approvazione dei decreti delegati, gli spazi di autonomia da valorizzare.
Non mancano a nostro avviso, perciò, osservazioni critiche e proposte di modifiche che ci si augura possano trovare accoglimento nel corso dell’esame parlamentare. Ciò pur condividendo, sul piano del metodo, il giudizio nel complesso positivo, già espresso da parte di regioni ed enti locali in sede di conferenza unificata, per il considerevole sforzo di individuare soluzioni condivise.
 
In particolare:
a) l'individuazione delle funzioni fondamentali deve garantire la regolamentazione locale in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni attribuite agli enti locali, in base al comma 6 dell'art. 117 Cost. L'attribuzione alla competenza dello Stato (e del legislatore nazionale) della definizione delle funzioni fondamentali và interpretata, infatti, nel senso di assicurare la tenuta dell'ordinamento e la coesione nazionale, non certo nella direzione di sottrarre al confronto con il sistema delle autonomie la costruzione di un ordinamento basato sui principi di equiordinazione e cooperazione, che deve essere necessariamente concertato e condiviso in tutta la sua genesi;
b) l’attuazione della lett. p) dell' art. 117.2 Cost. richiede al legislatore statale e regionale la corrispondente attuazione dell' art. 118 Cost., secondo i principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione ed anche di semplificazione;
c) l'individuazione delle funzioni fondamentali e il trasferimento delle funzioni che non richiedono un esercizio unitario da parte dello Stato e delle regioni non implicano necessariamente l'esercizio diretto da parte di tutti gli enti dello stesso livello istituzionale. In questo caso la previsione di esercizio necessariamente associato (anche con interventi sostitutivi) deve essere regolata valorizzando il più ampio confronto con gli enti locali nelle sedi di concertazione che vanno, però, rafforzate;
d) la concertazione e l’integrazione interistituzionale delineata dal nuovo Titolo V impongono interventi di riforma di livello costituzionale ormai da lungo tempo attesi (superamento del bicameralismo perfetto e senato delle autonomie). In attesa di definire il nuovo quadro costituzionale si deve dare attuazione all’art. 11 della legge cost. 3 del 2001 integrando la commissione parlamentare per le questioni regionali con i rappresentanti di regioni ed enti locali. Ma le riforme in proposito non riguardano soltanto la sfera costituzionale e legislativa. E’necessario stabilire nel testo in esame una norma di delega per la riorganizzazione del vigente sistema di conferenze Stato regioni e autonomie locali che rafforza le attribuzioni e la rappresentanza delle autonomie locali. Resta, comunque, necessario condurre una adeguata riflessione complessiva sul funzionamento del sistema di raccordi interistituzionali presenti a livello nazionale e, soprattutto, a livello regionale rappresentato dai Consigli delle autonomie locali e dalle conferenze regione-enti locali.
e) per garantire l'attuazione degli articoli 117 e 118 Cost. la delega legislativa e i relativi decreti delegati devono prevedere strumenti, tempi e fasi di realizzazione certi, sopratutto, con riferimento ai casi più complicati di mancato rispetto parziale e/o inadempimento parziale da parte delle regioni nei confronti degli enti locali;
g) l'attuazione degli articoli 117 e 118 deve essere necessariamente accompagnata dall'attuazione dell'art. 119 Cost. in materia di federalismo fiscale e di coordinamento della finanza pubblica. Nel quadro di un coerente ed equilibrato sistema di compartecipazione e perequazione delle risorse è necessario valorizzare l'autonomia normativa degli enti locali in materia di finanza locale. In proposito, l’accordo sui meccanismi del federalismo fiscale raggiunto dalle regioni e dagli enti locali il 18 giugno 2003 ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. a) della legge 289/2002, rappresenta un contributo responsabile e coerente e, tuttora, un valido riferimento per il disegno di legge annunciato (anche in relazione ai rilievi critici già sollevati da una preliminare stesura dello stesso);
 
III. La complessità delle problematiche demandate alla disciplina delegata, le difficoltà già evidenziate nel percorso a cascata previsto dalla legge delega, peraltro aggravato dal numero rilevante di deleghe previste (10) impongono una riflessione per individuare soluzioni più adeguate a livello regionale e nei confronti degli enti locali. La distinzione operata tra individuazione e allocazione delle funzioni fondamentali – che riserva allo Stato entrambe le operazioni solo nelle materie di sua competenza esclusiva, mentre attribuisce alle Regioni la allocazione nelle materie di competenza concorrente o residuale - rende assai problematico il rapporto tra la disciplina statale di individuazione delle funzioni fondamentali e l’atto legislativo regionale di allocazione delle medesime che, in assenza di precisazioni, potrebbe riguardare non tanto il riconoscimento della titolarità della funzione in capo agli enti locali, quanto piuttosto la delega al mero esercizio della funzione.
Dando maggiore specificazione ai principi e criteri della legge delega, ad esempio, in materia di allocazione delle funzioni fondamentali agli enti locali nelle materie di livello regionale e di esercizio associato di funzioni da parte degli enti locali, una strada da percorrere - seppure con attenzione come ha sostenuto la Lega delle autonomie nel corso della recente indagine promossa dalle Commissioni affari costituzionali della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica - potrebbe essere individuata con riferimento al terzo comma dell’art. 116 Cost., sulla base di preliminari intese con la regione e gli enti locali interessati.
 
Per Legautonomie:
1) è necessario che la legge di delega individui, sia pure in linea di massima, gli ambiti di materie ai quali si devono riferire le funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città Metropolitane, risultando l'attuale formulazione sul punto eccessivamente vaga. La legge di delega dovrebbe prevedere un criterio direttivo nel quale sia espressamente confermato quanto già previsto dalla vigente normativa in materia (salvo verificare possibili miglioramenti e varianti):
- sono funzioni fondamentali del comune quelle che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, nei settori dei servizi alla persona e alla comunità, dell'assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo della collettività comunale;
- sono funzioni fondamentali della provincia quelle di interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l'intero territorio provinciale (difesa del suolo, risorse idriche e dell’ambiente; prevenzione delle calamità; valorizzazione dei beni culturali; viabilità e trasporti; protezione della flora e della fauna e dei parchi e riserve naturali; caccia e pesca in ambito locale; organizzazione dello smaltimento dei rifiuti, scarichi delle acque, emissioni atmosferiche e sonore; servizi sanitari, di igiene e profilassi pubblica; funzioni e compiti connessi alla istruzione secondaria di secondo grado ed alla formazione professionale, edilizia scolastica);
 
2) non risulta soddisfacente la definizione impiegata per definire le funzioni «proprie» che occorre ricondurre, almeno in parte prevalente a quella più appropriata di funzioni «libere» da demandare alla esclusiva responsabilità degli enti locali. Non è, quindi, coerente con il dettato costituzionale prevedere che, soltanto, il Comune, possa assumere funzioni proprie, oltre a quelle fondamentali, subordinatamente al rispetto di alcune condizioni puntualmente decise dal governo centrale e che ciò sia sottoposto a giudizio di merito da parte di un organismo di controllo (v. art. 2, comma 2, lettere f, m). Ciò nega l’autonomia dei governi locali così come costruita dalla legge 142 in poi. La libera determinazione da parte degli organi democraticamente eletti di fissare obiettivi e svolgere funzioni volti a perseguire il benessere della collettività, deve essere garantita ai comuni, alle province e alle città metropolitane nel rispetto delle prerogative costituzionalmente previste. Occorre, poi, escludere che l'affidamento di funzioni di valutazione della qualità dell'azione di governo locale affidata all'Unità per il monitoraggio di cui all'art. l comma 724 della legge finanziaria per il 2007 (ma perché non prevedere controlli analoghi anche per il governo centrale?), introduca surrettiziamente un'ulteriore forma di controllo, accanto a quelli già previsti;
3) i principi per l’esercizio associato delle funzioni amministrative, sviluppati e variamente conformati in diverse parti del testo di legge delega, mostrano elementi di criticità in diverse disposizioni, anche con riguardo ai profili di competenza regionale. In particolare, risultano contraddittorie le disposizioni sull’obbligatorietà dell’esercizio associato previste nell’art. 1 e la facoltatività contenuta nell’art. 2, nonché la previsione di una disciplina statale di principio delle forme associative ispirata al criterio dell’unificazione in ambiti territoriali omogenei e le disposizioni dell’art. 6, c. 3 secondo cui la legge regionale «disciplina altresì le forme e le modalità di associazionismo degli enti locali». Ulteriori perplessità suscitano, inoltre, le disposizioni sull’esercizio associato di funzioni comunali in relazione alla Città metropolitana ove, tra l’altro, in alternativa alla stessa, nell’area metropolitana (coincidente con il territorio di una o più province?) sono configurabili «specifiche modalità di esercizio» non meglio definite e ulteriori modalità di esercizio congiunto possono essere definite - in questo caso – dagli enti locali e anche della regione interessata.
4) non è coerente con i principi di autonomia prevedere disposizioni di dettaglio in materia di organizzazione degli uffici degli enti locali, essendo al riguardo piena l'autonomia degli enti nei limiti del pareggio di bilancio e del rispetto del patto di stabilità, mentre legittimo è il richiamo ai principi in materia di rapporto di lavoro e di impiego nelle amministrazioni pubbliche. Occorre, infatti, ribadire che in forza della riforma del 2001 vige il principio generale in base al quale gli enti del governo territoriale devono essere governati da norme di autonomia (innanzi tutto statutarie) coerenti con i principi costituzionali, salve le eccezioni espressamente previste dalla Costituzione. Ed è proprio in questo rinnovato rapporto tra fonte di autonomia e norme di legge che risiede il cuore del nuovo assetto costituzionale, per quanto riguarda il regime di Comuni, Province e Città Metropolitane. Altrettanto incoerente con i principi di autonomia è la previsione di limitare la costituzione e partecipazione a società da parte degli enti locali. Chi valuta, infatti, la coerenza dell'oggetto sociale con le finalità generali volte al benessere delle collettività amministrate? Gli enti locali nel rispetto dei vincoli di bilancio devono essere liberi di valutare quali servizi assicurare alla generalità dei cittadini per il perseguimento di finalità pubbliche e quale formula organizzatoria impiegare, ovviamente nel rispetto delle regole comunitarie e nazionali. Resta, comunque necessario che quanto allo sviluppo e alla promozione della sussidiarietà orizzontale, questa sia meglio garantita a livello regolamentare e amministrativo locale.
5) un altro elemento critico è rappresentato dalla rinuncia a definire una disciplina unitaria dell’ordinamento degli enti locali, valida anche per le Regioni a statuto speciale. Diversamente dall’indicazione costituzionale dettata dall’art. 10 della l. cost. 3/2001 («Sino all’adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano…»), il quinto comma dell’art. 8 prevede che «le disposizioni della presente legge non si applicano nei confronti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano se incompatibili con le attribuzioni previste dagli statuti e dalle relative norme di attuazione». Negli stessi termini di cui alla delega per l’attuazione degli articoli 117 e 118 Cost. si è proposto - in sede di esame preliminare del disegno di legge sul federalismo fiscale - di dare attuazione alle disposizioni dell’art. 119 Cost. in materia di solidarietà e partecipazione alla perequazione da parte delle regioni a statuto speciale e delle province autonomie di Trento e Bolzano.
Per la posizione di assoluto rilievo che le disposizioni di attuazione degli articoli 117 e 118 (e dell’art. 119 qui non prese in esame) della Costituzione assumono nei confronti di tutto il sistema delle autonomie è importante garantire che la legittima e doverosa tutela della “specialità” delle regioni a statuto speciale e delle province autonome non si trasformi in una sorta di “estraneità” nei riguardi dei rispettivi enti locali, nel senso che i principi della riforma costituzionale riguardanti le autonomie locali sono riconosciuti anche agli enti locali appartenenti alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome.
IV. L'obiettivo che non appare sufficientemente esplicato nel testo di legge è quello di stimolare e valorizzare processi di autoriforma che proiettino gli enti locali in una logica di governance territoriale. Ciò è tanto più evidente nel governo di area vasta e, nel caso delle aree metropolitane, nel governo delle città metropolitane.
Il disegno di legge delega non affronta i nodi sostanziali che hanno impedito finora il decollo delle città metropolitane.
Infatti, non si recepisce in modo soddisfacente la distinzione, ormai affermatasi, tra area e città metropolitana, per cui alla delimitazione dell'area non è detto che debba corrispondere l'istituzione della città metropolitana (ipotesi strutturale). Nel contempo si prevede anche l'opzione funzionale basata sul mantenimento dei livelli istituzionali esistenti e sul governo dell'area metropolitana affidato a forme di cooperazione istituzionale.
E’ necessario, invece.
1) specificare che le aree metropolitane considerate comprendono i comuni capoluogo e gli altri comuni che sono ad essi uniti da contiguità territoriale e da rapporti di stretta integrazione in ordine ai caratteri ambientali, alle relazioni sociali e ai servizi essenziali, alle attività economiche;
2) individuare, sia pure in linea di massimagli ambiti di materie ai quali si devono riferire le funzioni metropolitane fondamentali, risultando l'attuale formulazione sul punto eccessivamente vaga (pianificazione territoriale; reti infrastrutturali e servizi a rete; piani di traffico intercomunali; tutela e valorizzazione dell'ambiente; difesa del suolo; raccolta, distribuzione e depurazione delle acque; smaltimento dei rifiuti; grande distribuzione commerciale; attività culturali; coordinamento degli orari degli uffici pubblici e delle attività commerciali);
3) che, sulla base dei principi sulle forme associative indicati dal legislatore delegato (v. art. 2, comma 2, lett. i), siano individuate dalla regione, previa intesa con gli enti locali interessati, specifiche modalità di esercizio associato delle funzioni comunali nelle aree metropolitane, in alternativa alla istituzione della città metropolitana;
4) chiarire meglio le disposizioni per l’istituzione della città metropolitana. Si articola in comuni ed il comune capoluogo in municipi? Avremo, come sembra, contemporaneamente il Sindaco della città metropolitana di Roma o Milano e il Sindaco di Roma o Milano? In proposito, parrebbe, più corretto partire da una definizione di comune metropolitano identica per tutti quelli costituenti la città metropolitana e demandare allo statuto della stessa la disciplina dei rapporti con i comuni che ne fanno parte. Resta poi da chiarire, come già detto, se l’area definita come metropolitana coincide necessariamente con la perimetrazione della città metropolitana. Il testo ne afferma prima la coincidenza, poi apre alla soluzione funzionale, ma su quest’ultima si dice troppo poco. Non convince, infatti, malgrado lo sforzo di superare veti ed omissioni in precedenza espressamente consentiti dalla normativa, il percorso previsto dal comma 1 che vede un ruolo residuale della regione in contraddizione con l’ipotesi funzionale riferita all’esercizio associato. Inoltre, non si affronta il nodo vero - emerso nel recente ciclo di audizioni delle Commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato - che qualifica l’istituzione del nuovo ente città metropolitana. L’ente metropolitano ha senso se ad esso non sono attribuite soltanto le funzioni di Provincia e alcune di quelle comunali, ma se ad esso sono attribuite maggiori e più pregnanti competenze tuttora esercitate a livello statale (ambiente, viabilità, beni culturali, sicurezza) ovvero regionale (sanità, urbanistica, commercio).
 
Più in generale, trattando di esercizio associato di funzioni (e forme associative) nelle aree metropolitane e nelle altre aree variamente definite a livello di aggregazione territoriale (ambiti, bacini, ecc.) è forse necessario meglio qualificare le forme associative per il diverso livello d’integrazione funzionale e fiscale esercitato, anche sulla base dell’esperienza francese in materia di comunità locali (dove le risorse fiscali e il livello della dotazione globale di finanziamento assicurato alle communauté d’agglomération, alle communauté de comune e alle communauté urbaine dipendono dal grado d’integrazione funzionale esercitato, utilizzando in particolare la tassa professionale unica come collante dell’intercomunalità).
 
Le disposizioni su Roma capitale nel loro complesso intendono assicurare un migliore assetto ai compiti che in gran parte gravano sul Comune di Roma, ma restano da chiarire alcuni punti. In particolare, occorre dare espressa menzione ai rapporti intercorrenti con la città metropolitana che nel testo non sono presenti, considerando, invece, che per l’area esterna alla capitale si prevede all’occorrenza di attribuirefunzioni alla Provincia di Roma (art. 5, co. 2. lett. h).
 
 
V.Un capitolo importante è anche quello riguardante gli organi di governo dei Comuni. In relazione ai principi di semplificazione della rappresentanza territoriale - ampiamente evocati dal dibattito di questi giorni, ancorché in termini sommari e senza distinguere la complessa realtà rappresentata dai piccoli, medi e grandi enti locali - si potrebbe già prevedere nel testo in esame (art. 2, co. 4, lett. a) una riduzione nella composizione degli attuali organi collegiali. Il tema, ovviamente non può ridursi soltanto a questo aspetto e ci si augura che l’istituzione di un apposito tavolo tecnico-politico sul contenimento dei “costi della politica” presso la Conferenza unificata definisca in tempi brevi una proposta ampiamente condivisa. E’ comunque condivisibile un disegno di razionalizzazione dei livelli istituzionali che risponda a criteri di omogeneità delle funzioni attribuite  ed eviti sovrapposizioni e frammentazioni di competenze.
Una questione di rilievo più strutturale riguarda la composizione degli attuali organi di governo locale. Se si considera soltanto la distribuzione degli enti locali per popolazione, alla luce dei principi di adeguatezza e differenziazione che devono trovare razionale applicazione, si potrebbe prevedere nei comuni più piccoli tra quelli di minore dimensione demografica un diverso assetto dove porre, accanto all’organo monocratico, un consiglio elettivo che possa anche assolvere, sulla base della delega a singoli consiglieri alcune funzioni di esecuzione. Ovviamente, in coerenza con un disegno associativo che si qualifica per livelli d’integrazione funzionale e fiscale, si dovranno contemporaneamente rafforzare gli organi di rappresentanza a livello intercomunale.
Per le assemblee elettive è necessario, invece, integrare gli scarni criteri e indirizzi previsti dal testo di legge che rinviano alle disposizioni del TU (“una assemblea elettiva……..con funzioni di indirizzo e controllo politico ed amministrativo e con competenze limitate agli atti fondamentali”), mache non sembrano cogliere il disagio e quella sensazione di inutilità da tempo denunciata dai Consigli. Un eventuale snellimento degli organi consiliari deve essere accompagnato dalla introduzione di procedure e strumenti più incisivi che rafforzano l’esercizio delle funzioni di indirizzo e controllo dell’organo consiliare .
 

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