I.  Con l’approvazione preliminare dello schema di disegno di legge di attuazione del’art. 119 della Costituzione prende finalmente avvio dopo sei anni la riforma in senso federaledella finanza delle regioni e degli enti locali introdotta nel 2001 con il nuovo Titolo V.

Sin dalla enunciazione iniziale delle finalità e dei contenuti della delega, si evidenzia l’assoluto rilievo delle disposizioni del disegno di legge che intende «garantire l’unità giuridica e finanziaria dello Stato, alla luce degli impegni europei, affermando in modo esteso la relazione che deve intercorrere tra responsabilità fiscale e autonomia di spesa: il tutto dentro la salvaguardia dei diritti civili e sociali che danno corpo alla cittadinanza repubblicana, come sanciti nella prima parte della Costituzione».

Il provvedimento che si compone di venti articoli suddivisi in sei capi, si propone di costruire un assetto stabile della finanza territoriale attribuendo alle regioni ed agli enti locali tributi propri e compartecipazioni dinamiche al gettito di tributi erariali.

Nel rispetto dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa garantita alle regioni ed agli enti locali e dei principi - espressamente richiamati - di solidarietà e di coesione, è previsto il superamento graduale del criterio della spesa storica per tutti i livelli istituzionali e determinati i criteri per l’istituzione e l’applicazione di tributi propri da parte degli enti territoriali. Sono disciplinati i criteri di riparto delle risorse da assegnare agli enti locali con finalità perequative e di efficienza delle amministrazioni, sono determinati i criteri per l’attribuzione delle risorse aggiuntive previste dal quinto comma dell’art. 119 Cost. e indicati i criteri per il finanziamento di Roma Capitale.

Il coordinamento della finanza territoriale con la manovra di bilancio annuale sarà regolato da un apposito disegno di legge annuale presentato dal Governo insieme con il DPEF, da approvare entro il mese di ottobre e, comunque, prima dell’approvazione della legge finanziaria.

Nel complesso si tratta di un testo di riforma che piuttosto riordina, ma non rivoluziona gli assetti attuali. In particolare si preoccupa di conservare a livello centrale la capacità di governo complessivo della finanza pubblica, consentendo con prudenza qualche livello di differenziazione delle risorse finanziarie tra territori.

L’indirizzo adottato di tipo regionalista cerca di distinguere tra la razionalizzazione della situazione presente riguardante la ripartizione attuale delle funzioni pubbliche tra lo Stato e gli enti territoriali e le regole di finanziamento della eventuale devoluzione futura delle funzioni di spesa.

Di particolare rilievo risultano le disposizioni riguardanti le modalità di finanziamento/perequazione per le regioni ordinarie e per gli enti locali. Per le regioni ordinarie si prevedono tre differenti modalità di finanziamento/perequazione:

1) per le materie che rientrano nella tutela costituzionale dei «livelli essenziali» delle prestazioni, il finanziamento integrale dei fabbisogni standard di ciascuna regione è garantito dalla sua «dotazione fiscale» misurata con riferimento ad alcuni tributi propri derivati più eventuali trasferimenti perequativi verticali, tali da colmare integralmente il divario tra fabbisogni standard e capacità fiscale;

2) per le materie di competenza legislativa concorrente ed esclusiva regionale che rientrano nel novero delle funzioni fondamentali dei comuni è garantito dallo Stato il finanziamento integrale mediante l’attribuzione di tributi erariali e trasferimenti perequativi. Tuttavia questa garanzia si realizza secondo un doppio binario. Per i comuni al di sotto di una determinata fascia demografica le risorse corrispondenti vengono attribuite dallo Stato alla regioni e da queste obbligatoriamente trasferite ai comuni. In caso di inadempienza o mancato rispetto lo Stato si riserva di esercitare i poteri sostitutivi previsti dall’art. 120 Cost.

3) per le spese regionali non riconducibili alle lettere m)  e  p) del secondo comma dell’art. 117 Cost. (livelli essenziali concernenti diritti civili e sociali e funzioni fondamentali degli enti locali) la riforma prevede una ripartizione del fondo perequativo basato su parametri di capacità fiscale e indicatori di dimensione demografica.

Tale ripartizione delle spese, di fatto, stabilisce una suddivisione del fondo perequativo delle regioni a statuto ordinario in due distinti fondi.

Il fondo riguardante i punti 1 e 2 prevede trasferimenti che coprono integralmente i divari esistenti tra i fabbisogni standard e il gettito garantito in ciascuna regione da una serie di imposte erariali assegnate al finanziamento di queste funzioni (Irap, addizionale regionale IRPEF, compartecipazione regionale all’IVA, compartecipazione regionale all’Irpef).

Il fondo riguardante il punto 3, finanziato con una quota della compartecipazione (e/o dell’addizionale) regionale all’Irpef che copre nell’anno iniziale l’importo dei trasferimenti soppressi, si rivolge alle sole regioni con minore capacità fiscale ed opera riducendo, ma non annullando le differenze di gettito per abitante rispetto al gettito medio nazionale. 

Vengono poi istituiti dal disegno di legge due distinti fondi: uno per le province e uno per i comuni diversi da quelli di minore dimensione demografica garantiti dal fondo regionale.

I due fondi, incentrati anch’essi sul criterio del finanziamento dei fabbisogni standard di spesa dei diversi enti, non prevedono, però, una copertura integrale come stabilito per il fondo regionale. Si stabilisce, infatti, per il computo dell’indicatore di fabbisogno individuale di ciascun ente che una quota non inferiore al 90 per cento delle entrate standardizzate composta da determinati tributi e da entrate tariffarie può essere portata in deduzione alle spese standardizzate misurate sulla base di una quota uniforme pro-capite, corretta in relazione alle caratteristiche socio-economiche e territoriali.

Di altra natura e da tenere rigorosamente distinte sono, invece, le spese regionali e quelle degli enti locali che fanno riferimento agli interventi speciali previsti dal quinto comma dell’articolo 119 Cost. e il cui finanziamento si realizza mediante specifici trasferimenti di settore derivanti dal bilancio dello Stato e dell’Unione europea.

 

II. Per Legautonomie restano, però, ancora da chiarire alcuni aspetti essenziali per definire una riforma così complessa come quella avanzata, così come sarà necessario, innanzi tutto, dare un adeguato supporto di carattere quantitativo alle disposizioni del provvedimento, in mancanza delle quali appare difficile svolgere una valutazione più approfondita.

Per conseguire una adeguata relazione tra responsabilità fiscale e autonomia di spesa da parte degli enti territoriali è necessario considerare gli effetti complessivi che la manovra di bilancio annuale produce sul livello delle risorse. Manca, però, una regolamentazione adeguata degli aspetti dinamici del sistema di finanziamento e perequazione di regioni ed enti locali in relazione al previsto adeguamento di alcuni parametri fondamentali  (fabbisogni standard, aliquote di equilibrio, variazioni di basi imponibili dei tributi erariali per effetto di deduzioni/detrazioni, ecc.).

 

Non risulta specificato il periodo di transizione per il passaggio graduale dai valori della spesa storica ai fabbisogni standard. Colpisce, in particolare, la rinuncia a dare una adeguata razionalizzazione complessiva al sistema della fiscalità locale in materia immobiliare a favore dei comuni, anche in relazione al decentramento già avviato in materia di catasto.

Il sistema di finanziamento e perequazione delle funzioni fondamentali differenziato tra comuni di diversa ampiezza demografica, non è in linea con il dettato costituzionale e non garantisce funzionalità e trasparenza.

Di certo non si contribuisce a garantire quella necessaria visione unitaria della finanza pubblica che deve realizzarsi con la legge generale di coordinamento. Per raggiungere tale obiettivo è essenziale il concorso attivo delle regioni che, però, non può realizzarsi senza coinvolgere tutto il sistema degli enti locali a livello regionale. In assenza di un quadro attuativo adeguato a livello regionale in materia di trasferimento di funzioni amministrative e delle relative risorse, appaiono elevati i rischi di una applicazione non sistematica ed incompleta.

Il sistema duale di perequazione proposto per i comuni delle regioni a statuto ordinario và superato individuando un modello unitario per tutti i comuni che può essere adattato a livello regionale.

Si potrebbe, ad esempio, prevedere uno schema che si richiama al procedimento che ha permesso di definire in sede di conferenza unificata il sistema di finanziamento statale a sostegno delle gestioni associate di funzioni e servizi comunali. In breve si tratta di optare per un procedimento che nel rispetto di un sistema unitario di perequazione per i comuni, sulla base di un Accordo quadro adottato a livello nazionale in sede di conferenza unificata, preveda un ruolo integrativo ad accordi tra le regioni e gli enti locali per adattare a livello territoriale le misure definite a livello nazionale e dare più incisivo riconoscimento agli enti «più virtuosi». Non mancano, peraltro, nel testo importanti spunti al riguardo. Ad esempio quando si accenna alla possibile ripartizione degli obiettivi del patto di stabilità interno a livello infra-regionale. In particolare, le regioni in accordo con il Consiglio delle autonomie locali, possono ripartire il totale delle risorse assegnate dallo Stato come fondo perequativo ai comuni e alle province inclusi nel territorio regionale secondo parametri definiti dalle regioni medesime. Oppure, quando le regioni sulla base di criteri stabiliti in sede di conferenza unificata e previa intesa con il Consiglio delle autonomie locali, possono procedere a proprie valutazioni della spesa corrente standardizzata, nonché a stime autonome dei fabbisogni di infrastrutture.

Risulta, inoltre, assente una regolamentazione del dissesto finanziario sia a livello regionale che comunale e manca la previsione di un organo tecnico che esamini gli andamenti della finanza decentrata sul lato della spesa e dei tributi e proponga i necessari aggiustamenti. Non si comprende, in assenza di alcuna indicazione al riguardo, se tali funzioni verranno eventualmente demandate alla Unità di monitoraggio di recente introduzione o ad altri organismi.

Ma altri aspetti risultano carenti. Innanzi tutto è necessario superare lo scollegamento che si avverte con il disegno di legge di attuazione degli articoli 114, 117 e 118 della Cost. cd Codice delle autonomie in corso di esame parlamentare, in particolare con riferimento al vincolo costituzionale che attribuisce allo Stato la definizione delle funzioni fondamentali degli enti locali.

E’ indispensabile un percorso attuativo che non può essere disgiunto da quello previsto dal disegno di legge S. 1464, tuttavia  semplificando l’iter parecchio complicato di provvedimenti a cascata che viene riproposto anche in questo disegno di legge.

E’ necessario che siano individuate dal cd Codice delle autonomie, sia pure in linea di massima, gli ambiti di materie ai quali si devono riferire le funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane, risultando l'attuale formulazione sul punto eccessivamente vaga. In questo senso và anche corretta l’impostazione del disegno di legge sul federalismo fiscale che considera le funzioni degli enti locali in termini di compiti che si differenziano per il diverso grado di copertura finanziaria.

Non è sufficiente istituire cabine di regia – come prevedono il codice delle autonomie e il disegno di legge sul federalismo fiscale senza prevedere un saldo riferimento istituzionale. Il modello di federalismo cooperativo e solidale che, seppure molto faticosamente, si intende realizzare richiede soluzioni più incisive di riforma degli istituti della cooperazione interistituzionale.

Occorre riproporre con decisione la riforma dell’attuale sistema delle Conferenze, annunciata a dicembre dello scorso anno e di cui si sono perse le tracce, nonché provvedere alla integrazione della Commissione per le questioni regionali con i rappresentanti delle autonomie, in attesa della auspicata riforma costituzionale del Senato.

Un ulteriore elemento critico non considerato dal provvedimento sul federalismo fiscale riguarda la possibilità di realizzare, sulla base di preliminari accordi con le regione e gli enti locali, forme concordate di federalismo differenziato, ai sensi del terzo comma dell’art. 116 Cost. Si tratta di una strada da percorrere – seppure con attenzione, come ha già sostenuto Legautonomie per il Codice delle autonomie – che può essere sviluppata in un quadro rafforzato degli istituti di cooperazione istituzionale a livello regionale, in particolare, Consiglio delle autonomie e conferenze regione-enti locali.

Un altro serio elemento critico è rappresentato dalla rinuncia a definire una disciplina unitaria dell’ordinamento degli enti locali, valida anche in materia finanziaria per le Regioni a statuto speciale e le province autonome. La legittima e doverosa tutela della “specialità” regionale non può trasformarsi – come ha già sostenuto Legautonomie - in una sorta di “estraneità”, nel senso che l’attuazione della riforma costituzionale e gli obblighi comunitari riguardano tutti gli enti territoriali, senza alcuna distinzione, rispetto ai principi della perequazione nazionale.

Le questioni sollevate da alcune disposizioni del disegno di legge mostrano che l’attuazione del federalismo fiscale presenta ancora parecchi nodi non semplici da sciogliere nei rapporti tra lo Stato, le regioni e gli enti locali in materia di potestà tributaria, perequazione e coordinamento della finanza pubblica.

Intanto, in attesa del parere preliminare della conferenza unificata sul disegno di legge, sarebbe necessario - per non ripercorrere scenari che da anni si ripetono in modo sistematico - dare un segnale nuovo ai rapporti del Governo con Regioni, Province e Comuni, definendo una intesa politica che anticipi i contenuti della riforma nella predisposizione della legge finanziaria per l’anno 2008.

Si tratterebbe di un segno di grande valore politico che darebbe maggiore fiducia per realizzare  riforme da lungo tempo attese, ma che tuttavia rischiano di essere ancora rinviate.

 

26 luglio 2007

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