AVVERTENZA:  Lo studio che segue è tratto dal Sesto Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in italia, Milano, Giuffrè Editore, 2011.
Sommario:
 
 
 
1. Considerazioni introduttive: prove di assestamento del contenzioso Stato-Regioni
Ad un primo esame, la giurisprudenza della Corte costituzionale relativa all'anno 2008 sembra porsi del tutto in linea con quella dell'anno precedente. Ciò che rileva è innanzitutto il numero complessivo delle decisioni emanate, pari a 449, in perfetta media con i dati quantitativi dell'ultimo decennio (media delle decisioni per anno pari a 473,2) (1).
Altrettanto in linea con gli ultimi anni il rapporto tra il numero di decisioni pronunciate a conclusione di giudizi promossi in via principale (pari al 14,25 % del totale) ed il numero delle pronunce emesse nei giudizi incidentali (pari al 74,16 del totale), rapporto che vede una considerevole prevalenza delle seconde. A queste si aggiungono ovviamente le pronunce nei conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni e tra Regioni (7,80%) e quelle pronunciate nei conflitti tra poteri dello Stato (2,90%), oltre che le decisioni relative all'ammissibilità del referendum (0,67%) e le ordinanze di correzione di errori materiali (0,22%). (2)
Anche nel 2008, dunque, il giudizio incidentale ha rappresentato il cuore dell'attività della Corte, assorbendo oltre il 74% delle decisioni e confermando l'andamento di crescita dell'anno precedente. (3)
Alla crescita numerica dei giudizi incidentali si è contrapposta una riduzione delle pronunce nei giudizi in via d'azione, marginale rispetto al 2007, ma pur sempre in linea con l'andamento registrato a partire dal 2003.
Se ai dati appena riferiti si aggiunge poi che anche nel 2008 il rapporto tra giudizi pervenuti e giudizi decisi ha registrato un saldo particolarmente positivo, con la conclusione di più del 60% dei giudizi pendenti (specie nell'ambito dei giudizi in via incidentale), risulta ulteriormente rafforzata l'idea di una solida continuità “numerica” con la giurisprudenza dell'anno 2007.
Ma più significativa è la conferma, oltre che del dato quantitativo, di quel primo assestamento del contenzioso tra Stato e Regioni, conseguente la riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, che si era registrato nel 2007. (4)
Sotto il profilo più strettamente regionalistico, infatti, il dato più significativo è costituito proprio dalla netta riduzione del contenzioso tra Stato e Regioni o tra Regioni, che passa dal 16,38% del 2007 al 14,25%, e che asseconda, dunque, l'andamento negativo registrato già nel 2007.
Va tuttavia ricordato che, se il numero delle decisioni emanate in sede di giudizio in via principale è diminuito, è invece aumentato considerevolmente il numero dei ricorsi pervenuti alla Corte, con un conseguente aumento delle pendenze.
Un dato questo che senz'altro mitiga il precedente e che ci induce necessariamente ad una lettura più cauta e meno ottimistica del quadro complessivo. Più che di assestamento del contenzioso sul riparto di competenze tra Stato e Regioni, allora è forse opportuno parlare di “prove di assestamento”, in attesa di vedere i dati relativi alla giurisprudenza dell'anno 2009.
 
2. Profili processuali
 
2.1. Le decisioni
Con riguardo al tipo di decisione, dalla già citata Relazione annuale della Corte si evince che il numero complessivo delle decisioni della Corte (pari a 449) risulta articolato in 266 ordinanze e 183 sentenze, con un margine minimo di aumento di queste ultime rispetto alle prime, se si confrontano i numeri con quelli relativi all'anno 2007.
Questo recupero delle sentenze sulle ordinanze sembra indicare un'inversione di tendenza rispetto all'anno precedente, ponendosi piuttosto in linea con l'andamento giurisprudenziale degli anni immediatamente successivi l'entrata in vigore della riforma costituzionale del Titolo V, quando il numero delle sentenze è sempre stato crescente.
Con riguardo al tipo di giudizio, il dato di maggior interesse è quello relativo ai giudizi in via incidentale, per i quali l'incremento delle decisioni in forma di sentenza è stato maggiore, ed anzi in termini percentuali nel rapporto tra sentenze e ordinanze le prime hanno raggiunto il 30%, quota mai superata dall'anno 1998. D'altro canto, nel 2008 le sentenze rese nei giudizi in via incidentale (pari al 56,83% del totale) sono tornate a superare quelle rese nei giudizi in via principale (pari al 30,05% del totale).
Anche il numero delle ordinanze pronunciate nei giudizi in via incidentale è stato ampiamente superiore rispetto al numero delle ordinanze pronunciate nei giudizi in via principale (l'86,09% contro il 3,38%), analogamente a quanto registrato nel 2007.
Complessivamente, dunque, il maggior numero di decisioni (333, di cui 104 sentenze e 229 ordinanze) è stato reso dalla Corte proprio nei giudizi in via incidentale, laddove invece i giudizi in via principale, hanno visto diminuire il numero delle decisioni rispetto agli anni precedenti (64 decisioni, di cui 55 sentenze e 9 ordinanze) (5).
 
2.2. Vizi deducibili
Anche nel 2008 in più occasioni la Corte ha ribadito il principio secondo cui lo Stato può sottoporre al vaglio di costituzionalità le leggi regionali anche invocando la lesione di parametri estranei a quelli che regolano i rapporti tra Stato e Regioni (ex plurimis, sentt. n. 27, n. 102, n. 200, n. 437, n. 438), laddove invece le Regioni e le Province autonome possono lamentare solo la violazione delle norme del Titolo V relative all'attribuzione delle competenze legislative (ex plurimis, sentt. n. 1, n. 45, n. 50, n. 120, n. 166, n. 168).
 
2.3. L'oggetto delle questioni di costituzionalità
Com'è noto, l'oggetto dei giudizi dinanzi alla Corte non può che essere un atto avente forza di legge. Anche nel 2008, tuttavia, la Corte si è trovata a dover dichiarare la manifesta inammissibilità di questioni aventi ad oggetto lo scrutinio di costituzionalità su atti non aventi forza di legge, e dunque inidonei ad essere scrutinati.
La Corte ha così ribadito la inidoneità allo scrutinio di costituzionalità tanto delle intese regionali, prive di valore di legge (ord. n. 88), che dei regolamenti (ex plurimis ord. nn. 20, 197, 440), anche laddove si tratti di disposizioni di natura regolamentare a seguito di delegificazione (ord. n. 48), a meno che non si tratti di atti regolamentari che siano parte di norme di legge impugnate, i quali, costituendo essi una “specificazione” della disposizione impugnata, sono invece sottoponibili al giudizio della Corte (sent. n. 354).
Nel caso della Regione Sicilia, la Corte ha poi ricordato che nei giudizi in via principale l'oggetto del giudizio deve essere rappresentato dalle deliberazioni dell'Assemblea regionale siciliana (sent. n. 104).
E ancora, con riguardo alle sopravvenute modifiche delle disposizioni censurate oggetto del giudizio, nelle quali però il contenuto precettivo sia rimasto immutato, la Corte si è espressa nel senso di trasferire le questioni alle nuove norme, “in forza del principio di effettività della tutela delle parti nei giudizi in via d'azione”. Secondo la Corte, infatti, si rende necesario estendere la questione alla norma posta da un atto legislativo diverso da quello oggetto d'impugnazione, perchè tale norma sopravvive nel suo sostanzialmente immutato contenuto precettivo (sentt. n. 62, n. 25 e n. 168).
Infine, nel caso di impugnazione di decreto-legge poi convertito, la Corte ha ritenuto ammissibili sia i ricorsi proposti avverso il decreto-legge, che quelli avverso la legge di conversione, se le novità introdotte da tale legge non incidono sul contenuto precettivo delle disposizioni d'interesse (sent. n. 289).
 
2.4. Il parametro del giudizio
La Corte è intervenuta sul parametro del giudizio di costituzionalità per precisare innanzitutto che nei giudizi in cui è parte una Regione a statuto speciale occorre tener conto in primo luogo delle norme statutarie, potendo ricorrere alle norme della Costituzione solo nei casi in cui gli statuti attribuiscano alle relative Regioni poteri più limitati di quelli che la Costituzione conferisce alle Regioni ordinarie (sentt. n. 102 e n. 326).
Da segnalare ancora la sentenza n. 102, nella parte in cui la Corte ha riconosciuto che anche nei ricorsi in via principale l'art. 117, co. 1, Cost., può costituire parametro di legittimità in relazione alle disposizioni del Trattato CE. (6) In primo luogo, la Corte ha ribadito che l'art. 11 Cost. ha consentito il riconoscimento dell'efficacia obbligatoria alle norme comunitarie nel nostro ordinamento, ed è stato in certo modo confermato dal nuovo art. 117, primo comma, Cost.; quindi, il giudice delle leggi ha precisato che l'inserimento dell'Italia nell'ordinamento comunitario comporta due diverse conseguenze, a seconda che il giudizio in cui si fa valere tale dubbio penda davanti al giudice comune ovvero davanti alla Corte costituzionale a seguito di ricorso proposto in via principale. Nel primo caso, le norme comunitarie, se hanno efficacia diretta, impongono al giudice di disapplicare le leggi nazionali (comprese quelle regionali), ove le ritenga non compatibili. Nel secondo caso, le medesime norme fungono da norme interposte atte ad integrare il parametro per la valutazione di conformità della normativa regionale all'art. 117, primo comma, Cost. (sentenze n. 129 del 2006; n. 406 del 2005; n. 166 e n. 7 del 2004), o, più precisamente, rendono concretamente operativo il parametro costituito dall'art. 117, primo comma, Cost. (come chiarito, in generale, dalla sentenza n. 348 del 2007), con conseguente declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme regionali che siano giudicate incompatibili con il diritto comunitario (7). In definitiva, davanti alla Corte costituzionale adita in via principale, la valutazione della conformità della legge regionale alle norme comunitarie si risolve, per il tramite dell'art. 117, primo comma, Cost., in un giudizio di legittimità costituzionale; con la conseguenza che, in caso di riscontrata difformità la Corte non procede alla disapplicazione della legge, ma ne dichiara l'illegittimità costituzionale con efficacia erga omnes (8).
 
3. L'organizzazione regionale
Con riguardo ai profili dell'organizzazione delle Regioni, nel 2008 sono da segnalare alcune significative pronunce della Corte in tema di organi di garanzia istituiti con fonte statutaria, funzioni elettive e forma di governo regionale.
 
3.1. Gli organi di garanzia e le funzioni elettive (art. 122 Cost.)
Con la sentenza n. 200 la Corte è intervenuta su una legge della Regione Calabria (LR n. 2/2007), ritenendo costituzionalmente legittime le disposizioni che disciplinano la Consulta statutaria, giacché conformi alle norme dello Statuto regionale, ad esclusione di quelle che conferivano a tale organo il potere di sindacare la legittimità delle leggi e dei regolamenti regionali. Inoltre, secondo la Corte le decisioni di tale organo di garanzia possono avere carattere vincolante solo ed esclusivamente nell'ambito dell'organizzazione regionale, comprensiva di tutti gli enti ed organi della Regione.
Con più decisioni la Corte si è pronunciata sulla titolarità e sull'esercizio delle funzioni elettive in ambito regionale. Tra queste, si segnala la sentenza n. 352con cui la Consulta ha dichiarato la legittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge n. 55/1990 che attribuiscono allo Stato il potere di accertamento in ordine alla sospensione dalla carica di presidente della Regione e di deputato dell'assemblea legislativa regionale, essendo esse finalizzate a contrastare l'infiltrazione della criminalità organizzata nelle istituzioni locali.
 
3.2. L'autonomia statutaria e la forma di governo regionale (art. 123 Cost.)
In assoluta continuità con la precedente giurisprudenza (9), con la sentenza n. 201 la Corte ha ribadito che non possono costituire oggetto di legge regionale ordinaria le materie riservate alla competenza statutaria ai sensi dell'art. 123 Cost., ovvero “la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento” (comma 1). Nel caso di specie, la Corte ha censurato una legge della Regione Marche (LR n. 4/2007) che, nell'istituire e disciplinare il Sottosegretariato alla Presidenza della Regione, incideva sui rapporti tra la Giunta regionale ed il Consiglio, e cioè sulla disciplina dei rapporti tra gli organi fondamentali della Regione, materia riservata alla competenza statutaria.
 
4. Il riparto di competenze tra Stato e Regioni
Come già negli anni precedenti, la Corte ha dedicato la gran parte della sua attività decisoria al tema del riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni, riconfermando princìpi già enucleati o introducendone di nuovi; e circoscrivendo, al contempo, le questioni attinenti a detto riparto.
Come di seguito si vedrà, in molti casi la Corte ha potuto ricondurre con sicurezza la disciplina della norma sottoposta a scrutinio di costituzionalità ad una delle materie nominate o innominate di competenza statale o regionale. In altri casi, invece, non è stato possibile ricondurre la norma impugnata ad un solo titolo competenziale, a causa della complessità dell'oggetto regolato, riferibile a più materie dal punto di vista della competenza legislativa. Si tratta, com'è noto, di un intreccio di competenze, di “concorrenza di competenze”, che la Corte ha risolto, laddove possibile, con l'impiego del criterio della prevalenza o, in subordine, mediante il principio di leale collaborazione.
 
4.1. La concorrenza di competenze, tra criterio della prevalenza e leale collaborazione
Anche nel 2008 non sono mancati nella giurisprudenza costituzionale casi di “concorrenza di competenze” di natura diversa, ovvero questioni non risolvibili con l'individuazione univoca di una materia di competenza statale o regionale cui riferire la disciplina normativa sottoposta a scrutinio di costituzionalità.
Volendo qui ricordarne alcuni, si può menzionare la sentenza n. 1, in cui la Corte ha ricondotto la disposizione impugnata, per la parte relativa a gare ad evidenza pubblica per la concessione di grande derivazione di acqua per uso idroelettrico, alla materia di competenza statale “tutela della concorrenza”; e, per la parte relativa agli aspetti di organizzazione, programmazione e gestione della materia stessa, alla competenza concorrente in tema di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia”, che deve prevedere l'espresso coinvolgimento sul piano amministrativo delle Regioni (sent. n. 1).
In altra ipotesi, la Corte, con riguardo ad un'articolata disciplina normativa in tema di politiche sociali destinate a persone in situazioni di bisogno, ha ritenuto che la stessa dovesse essere riferita sia alla materia dei servizi sociali, di competenza regionale, sia anche ad ambiti competenziali di competenza esclusiva statale, quali quelli, ad esempio, dell'ordinamento civile o dell'organizzazione amministrativa dello Stato, per la parte relativa all'istituzione di un Osservatorio nazionale sulla famiglia, o dell'ordine pubblico e sicurezza e dell'ordinamento penale, relativamente alle misure per il contrasto alla pedofilia ed alla pornografia minorile (sent. n. 50).
Un altro caso di convergenza di più titoli competenziali è rinvenibile nella sentenza n. 51, nella quale la Corte ha ricondotto alcune disposizioni in tema di diritti aeroportuali sia a competenze legislative dello Stato, quali l'ordinamento civile, per i rapporti civilistici che riguardano gli aeroporti, e la tutela della concorrenza, per i profili di concorrenzialità del mercato; sia ad ambiti di competenza concorrente, come quello degli aeroporti. Secondo la Corte il caso in oggetto costituisce “un'ipotesi di interferenza di competenze legislative statali e regionali, che rende necessario applicare il principio di leale collaborazione”, mediante il ricorso preventivo ad un modulo di concertazione tra gli organi di governo dei Stato e Regioni, prima fra tutti, com'è noto, la Conferenza unificata di cui all'rt. 8, del d.lgs. n. 281/1997.
Ma la di là degli esempi qui rammentati, va detto che anche la giurisprudenza 2008, come quelle degli precedenti, è stata connotata dalla sistematica applicazione del principio di leale collaborazione in pressocchè tutte le ipotesi di sovrapposizione ed intersezione di più ambiti competenziali in una stessa disciplina normativa.
Nella gran parte dei casi, il principio cooperativo ha costituito una garanzia per le Regioni dinnanzi agli interventi legislativi statali; non sono mancati, tuttavia, casi in cui la Corte ha invocato il medesimo principio a tutela delle competenze legislative statali in presenza di una chiara competenza esclusiva regionale.
In particolare, secondo la Corte, la competenza regionale piena in materia di “turismo” (sui beni del demanio marittimo portuale), cui è da ascriversi la disciplina normativa sottoposta a scrutinio di costituzionalità, esclude che lo Stato possa procedere, con la necessaria partecipazione delle Regioni interessate in ossequio al principio di leale collaborazione, a riconoscere a taluni porti, per la sua dimensione ed importanza, quel carattere di rilevanza economica internazionale o di preminente interesse nazionale, che sia idoneo a giustificare la competenza legislativa ed amministrativa dello Stato sul porto stesso e sulle connesse aree portuali (sent. n. 412). (10)
 
4.2. La "attrazione in sussidiarietà"
Anche nel corso del 2008 la Corte ha in più occasioni giustificato l'intervento legislativo dello Stato in ambiti di competenza legislativa delle Regioni (concorrente o esclusiva) mediante la cosiddetta “attrazione (o chiamata) in sussidiarietà” (11), confermando così una sua lettura in qualche modo flessibile degli ambiti competenziali definiti nell'art. 117 Cost.
 In particolare, nella sentenza n. 63 la Corte ha ritenuto che la disposizione di legge statale sottoposta a scrutinio di costituzionalità, relativa al “Fondo per il finanziamento degli interventi consentiti dagli Orientamenti UE sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà”, interessasse molteplici settori (ad esempio, il commercio, l'agricoltura, il turismo, l'industria) nei quali operano le imprese in difficoltà che siano beneficiarie dei finanziamenti, tutti riconducibili a materie di competenza regionale.
In particolare, secondo la Corte “il Fondo in esame risulta diretto a perseguire finalità di politica economica – costituite dal sostegno alle imprese in difficoltà, la cui scomparsa dal mercato potrebbe danneggiare il sistema economico produttivo nazionale – che, almeno in parte, sfuggono alla sola dimensione regionale ...; e che sono, perciò, tali da giustificare la deroga al normale riparto di competenze fra lo Stato e le Regioni e la conseguente «attrazione in sussidiarietà» allo Stato della relativa disciplina, in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza (sentenza n. 242 del 2005)” (12). Tuttavia, ha precisato la Corte, in presenza di casi di attrazione in sussidiarietà allo Stato di funzioni spettanti alle Regioni, non può mancare il coinvolgimento delle Regioni, poiché l'esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovvero sia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà (13).
Con la sentenza n. 166 la Corte interviene sul tema dell'edilizia residenziale pubblica, stabilendo che - al di là del riparto tra Stato e Regioni di funzioni e compiti già disposto dal d.lgs. n. 112/1998 – la disciplina dell'edilizia residenziale pubblica richiede “un momento unitario, che deve precedere la programmazione regionale in materia di edilizia residenziale pubblica. In tale momento unitario devono essere coinvolti tutti i soggetti istituzionali interessati (Stato, Regioni, enti locali)”(14). Secondo la Corte, dunque, si può ritenere che sussistano tutte le condizioni ritenute necessarie da questa Corte (sentenze n. 303 del 2003 e n. 6 del 2004) perché possa verificarsi la attrazione in sussidiarietà da parte dello Stato della competenza legislativa in tema di programmi di edilizia residenziale pubblica aventi interesse a livello nazionale. Esiste infatti l'interesse unitario, stante la necessità del coordinamento, allo scopo di individuare le linee generali della programmazione regionale e di evitare forti squilibri territoriali nella politica sociale della casa. La deroga al riparto delle competenze legislative risulta proporzionata, giacché lo Stato non interferisce nella predisposizione dei programmi regionali, ma si limita a fissare le linee generali indispensabili per l'armonizzazione dei programmi su scala nazionale (15). Resta ferma, anche in questo caso, la necessità di un'intesa con Conferenza unificata.
 
4.3. I poteri sostitutivi (art. 120, co. 2, Cost.)
Com'è noto, il secondo comma dell'art. 120 della Costituzione conferisce al Governo il potere di a organi delle Regioni (o di Città metropolitane, Province e Comuni) “nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali”.
Su tale potere la Corte si è espressa nella sentenza n. 371, precisando che i principi dell'art. 120 Cost. sono applicabili anche alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome, perché si tratta di un potere la cui previsione è diretta a fare sistema con le norme costituzionali di allocazione delle competenze. (16)
 
4.4. Le “materie trasversali” (o materie non materie)
La Corte ha confermato la natura cosiddetta trasversale di alcune materie formalmente attribuite alla competenza esclusiva dello Stato.
A proposito del bene ambiente, la cui tutela è affidata dalla Costituzione alla legislazione statale, la Corte ha tuttavia sottolineato che accanto al bene giuridico ambiente in senso unitario, possono coesistere altri beni giuridici aventi ad oggetto componenti o aspetti del bene ambiente, ma concernenti interessi diversi, giuridicamente tutelati. L'ambiente costituisce, dunque, una “materia trasversale”, nel senso che sullo stesso oggetto insistono interessi diversi: quello alla conservazione dell'ambiente e quelli inerenti alle sue utilizzazioni. (17) Si tratta di casi, secondo la Corte, in cui la disciplina legislativa statale prevale su quella delle Regioni che sia dettata nelle materie di competenza propria in ordine all'utilizzo dell'ambiente per la tutela di altri distinti interessi (sent. n. 104).
Com'è noto, trasversale è secondo la Corte anche la materia della “dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Secondo il giudice delle leggi, infatti, l'attribuzione allo Stato di tale competenza riferisce alla determinazione degli standard e qualitativi di prestazioni che, concernendo il soddisfacimento di diritti civili e sociali, devono essere garantiti, con carattere di genericità, a tutti gli aventi diritto (sent. n. 5). (18)
 
5. Competenza legislativa esclusiva statale (art. 117, co. 2, Cost.)
 
5.1. Politica estera e rapporti internazionali dello Stato; diritto d'asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea (lettera a)
Confermando quanto già affermato nella sentenza n. 211 del 2006, la Corte ha ribadito che la “politica estera” è attività peculiare ed esclusiva dello Stato, poiché essa riguarda l'attività internazionale dello Stato unitariamente considerato. Diversi sono invece i “rapporti internazionali”, i quali possono riferirsi a singole relazioni, siano esse dello Stato o delle Regioni. In particolare, la Corte ha escluso che possa rientrare nella competenza regionale la disciplina di attività quali la cooperazione allo sviluppo, la crescita e il consolidamento della democrazia e dello Stato di diritto nel Paesi interessati e la salvaguardia dei diritti dell'uomo. “... il cosiddetto potere estero delle Regioni … si concreta esclusivamente nella potestà di attuazione e di esecuzione degli accordi internazionali, nella conclusione di intese con enti territoriali interni a Stati esteri e nella pattuizione, con Stati esteri, di accordi esecutivi ed applicativi di accordi internazionali entrati in vigore o accordi di natura tecnico-amministrativa, o accordi di natura programmatica. Esso, dunque, è norma circoscritta entro il limitato ambito della competenza concorrente in materia di relazioni internazionali delle Regioni e non può trovare applicazione per consentire la ratifica successiva, da parte dello Stato, di un'attività regionale che invade la competenza esclusiva di esso Stato in materia di politica estera”.
Sono, dunque, lesive della competenza statale in materia di politica estera le norme regionali che prevedano, in capo alla Regione, il potere di determinazione degli obiettivi della cooperazione internazionale (e della cooperazione allo sviluppo, o delle attività umanitarie straordinarie e di emergenza, che ad essa attengono) e degli interventi di emergenza ed il potere di individuazione dei destinatari dei benefici sulla base di criteri fissati dalla stessa Regione. Secondo la Consulta, infatti, si tratta di norme che, mediante il ricorso a risorse, umane e finanziarie, di fatto autorizzano e disciplinano attività di politica estera (sentt. n. 131 e n. 285 ).
 
5.2. Tutela della concorrenza; sistema tributario e contabile dello Stato (lettera e)
Nell'ambito della materia della tutela della concorrenza la Corte ha annoverato anche la disciplina dell'espletamento delle gare ad evidenza pubblica, essendo la gara pubblica uno strumento indispensabile per tutelare e promuovere la concorrenza (sent. n. 1). (19)
Secondo la Corte, inoltre, la disciplina delle procedure di gara e, in particolare, la regolamentazione della qualificazione e selezione dei concorrenti, delle procedure di affidamento e dei criteri di aggiudicazione, in quanto mirano a consentire la piena apertura del mercato nel settore degli appalti sono egualmente da ricondurre all'ambito della tutela della concorrenza (sent. n. 320). (20) Il legislatore regionale dovrà dunque, recedere dinnanzi all'esclusiva competenza del legislatore statale, non potendo disporre la proroga dei contratti di gestione dei servizi di elisoccorso regionale, che equivale a disciplinare le procedure di affidamento dell'appalto di un servizio pubblico regionale, peraltro in deroga alle procedure di gara (21).
E ancora, la Corte ha asserito che, laddove la disciplina regionale differisce da quella statale con riguardo ad oggetti quali l'affidamento dei servizi tecnici relativi all'architettura e all'ingegneria e, più in generale, in ordine alle procedure di affidamento (nel caso di specie, v. la LR Veneto n. 17/2007), riducendo l'area degli operatori economici cui si applicano le regole della concorrenza nel settore degli appalti pubblici, tale disciplina produce una erosione dell'area coperta da obblighi di gara, e dunque lede la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza (sent. n. 322).
Con riguardo alla materia di competenza esclusiva statale “sistema tributario e contabile dello Stato”, la Corte ha affermato che, “al di là del nomen juris utilizzato («contributo»), la norma statale denunciata (comma 1284 dell'art. 1 della legge n. 296/2006, n.d.r.) istituisce un prelievo che ha le caratteristiche essenziali dell'imposizione tributaria, e cioè la doverosità della prestazione e il collegamento di questa ad una pubblica spesa” (22). Secondo la Corte, quindi, il “contributo” in oggetto deve essere inteso quale “tributo proprio” dello Stato, e dunque la relativa disciplina rientra nella competenza legislativa esclusiva statale in materia di “sistema tributario e contabile dello Stato”, senza che sia necessaria alcuna previa intesa con le Regioni (sent. n. 168).
E ancora, in tema di TARSU (tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani), che è tributo erariale, istituito nell'ambito della competenza esclusiva statale di cui all'art. 117, co. 2, lett. e), Cost., la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 6, comma 2, della legge della Regione Sicilia n. 6/2001, che poneva a carico delle Province “l'«onere» relativo alla tassa ed agli accessori dovuti per la raccolta e il trasporto dei rifiuti solidi urbani «per quanto riguarda le istituzioni scolastiche statali di istruzione secondaria di secondo grado e gli istituti regionali di cui all'articolo 1 della legge regionale 5 settembre 1990, n. 34 e successive modifiche ed integrazioni»” (23), intervenendo su una materia non attribuita dallo statuto della Regione alla competenza del legislatore regionale (sent. n. 442).
 
5.3. Ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali (lettera g)
Sulla competenza legislativa statale in materia di “ordinamento e organizzazione amministrativa ...”, la Corte è tornata a ribadire che le Regioni non possono porre a carico di organi e amministrazioni dello Stato compiti e attribuzioni ulteriori rispetto a quelli individuati con legge statale, giacchè che forme di collaborazione e di coordinamento che coinvolgano compiti e attribuzioni di organi dello Stato non possono essere disciplinate unilateralmente e autoritativamente dalle Regioni, nemmeno nell'esercizio della loro potestà legislativa (sent. n. 10). (24)
Secondo la Corte, afferisce alla materia in esame anche la disciplina delle precedenze tra le cariche pubbliche. Un regolamento regionale che disciplina l'ordine delle precedenze tra le varie cariche pubbliche, pur se riferito alle cerimonie di carattere locale, risulta, dunque, invasivo della competenza esclusiva dello Stato in tale materia (sent. n. 311).
 
5.4. Giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa (lettera l)
 
5.4.1. Ordinamento civile
L'attività di società partecipate dalle Regioni e dagli enti locali, analogamente alla materia dei contratti, rientra nella competenza legislativa statale in materia di “ordinamento civile”, perché – secondo la Corte – mira a definire il regime giuridico di soggetti di diritto privato e a tracciare il confine tra attività amministrativa e attività di persone giuridiche private. La Corte ha, infatti, ricordato che “la potestà legislativa dello Stato comprende gli aspetti che ineriscono a rapporti di natura privatistica, per i quali sussista un'esigenza di uniformità a livello nazionale; che essa non è esclusa dalla presenza di aspetti di specialità rispetto alle previsioni codicistiche; che essa comprende la disciplina delle persone giuridiche di diritto privato; che in essa sono inclusi istituti caratterizzati da elementi di matrice pubblicistica, ma che conservano natura privatistica” (25) (sent. n. 326). (26)
Con riguardo alla materia “ordinamento civile”, la Corte ha poi precisato – conformemente alla sua precedente giurisprudenza (27) - che, nelle materie di competenza legislativa regionale residuale o concorrente, la regolamentazione statale in materia di ordinamento civile costituisce un limite diretto a evitare che la norma regionale incida su un principio di ordinamento civile. Nel caso di specie, la Corte ha censurato una disposizione di legge regionale che regolava la materia condominiale in modo difforme e più severo rispetto a quanto disposto dal codice civile e, in particolare, dagli artt. 1135 e 1138 cod. civ., e che, dunque, incideva direttamente sul rapporto civilistico tra condomini e condominio. Secondo la Corte “l'esigenza di garantire l'uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che, nell'ambito dell'ordinamento civile, disciplinano i rapporti giuridici fra privati deve ritenersi una esplicazione del principio costituzionale di eguaglianza” (28) (sent. n. 369).
La competenza legislativa dello Stato in materia di “ordinamento civile” pone ancora un ulteriore limite all'intervento legislativo regionale. Secondo la Corte, infatti, laddove la Regione legiferi legittimamente nella materia del demanio marittimo, essa non può incidere sulle facoltà che spettano allo Stato in quanto proprietario, giacché la disciplina degli aspetti dominicali del demanio statale rientra nella materia dell'ordinamento civile di competenza esclusiva dello Stato. (29) La Corte ha precisato che “La natura demaniale dei beni è disciplinata dall'art. 822 cod. civ. che include tra i beni che fanno parte del demanio statale il lido del mare e la spiaggia. Inoltre, l'art. 28 cod. nav. attribuisce questa tipologia di beni al demanio marittimo. La legge regionale non può, quindi, derogare ai criteri fissati dal codice civile e dal codice della navigazione stabilendo linee di demarcazione che vengano a sottrarre il lido del mare o la spiaggia di una determinata area dai beni appartenenti al demanio marittimo” (30) (sent. n. 370).
 
5.5. Determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (lettera m)
Anche nel 2008 la Corte ha avuto modo di precisare i limiti della materia concernente i “livelli essenziali delle prestazioni ...”. Infatti, in più occasioni la Corte ha ritenuto non invasive delle competenze regionali alcune norme di di legge statale perché dalla stessa ritenute afferenti alla competenza legislativa dello Stato nella materia in esame.
In particolare, secondo la Corte appartiene alla competenza legislativa statale la determinazione delle caratteristiche e dei requisiti degli alloggi, costituendo essa la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti il diritto all'abitazione (sent. n. 166), nonché i programmi di diagnosi precoce in campo oncologico, precisamente nell'ambito dei livelli essenziali di assistenza (sent. n. 45).
In altra occasione, invece, la Corte, chiamata nuovamente a pronunciarsi su questioni di legittimità costituzionale relative all'istituzione di Fondi statali, si è discostata dall'indirizzo di cui sopra. In particolare, la Corte ha ritenuto che tali fondi, destinati nel caso di specie all'eliminazione delle barriere architettoniche nei locali aperti al pubblico, alle politiche della famiglia, alle politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, al contrasto alla violenza sessuale e di genere, all'inclusione sociale degli immigrati, alle scuole d'infanzia, non afferiscono alla competenza statale in materia di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni ...”. Tale competenza, infatti, si riferisce alla determinazione degli standard strutturali e qualitativi di prestazioni che, concernendo il soddisfacimento di diritti civili e sociali, devono essere garantiti, con carattere di genericità, a tutti gli aventi diritto, e dunque non può ricomprendere disposizioni di legge che prevedono unicamente finanziamenti di spesa sulla base del presupposto delle finalità sociali cui è destinato il finanziamento (sentt. n. 50 e n. 168).
In altra decisione la Corte ha ricordato che le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale sono comprese nei livelli essenziali di assistenza sanitaria e che per assicurarne l'uniformità delle prestazioni sul piano nazionale spetta allo Stato determinare la ripartizione dei relativi costi tra il Servizio sanitario nazionale e gli assistiti, sia prevedendo specifici casi di esenzione a favore di determinate categorie di soggetti, sia stabilendo soglie di compartecipazione ai costi, uguali in tutto il territorio nazionale (sent. n. 203).
Secondo la Corte, anche l'erogazione di farmaci rientra nei livelli essenziali di assistenza e, dunque, la relativa disciplina legislativa spetta allo Stato, al fine di assicurarne il godimento a chiunque su tutto il territorio nazionale. In tal senso il legislatore statale “è pienamente competente anche a determinare le forme tramite le quali la Regione può esercitare le attribuzioni riconosciutele in tale àmbito dalla normativa dello Stato, quando esse rispondano in via immediata ad esigenze, connesse al livello di tutela garantito nella fruizione della prestazione, di cui la stessa legge statale si fa carico” (31). Secondo la Corte, inoltre, l'esercizio da parte della Regione del potere di escludere in tutto o in parte la rimborsabilità dei farmaci è configurato dal legislatore statale come il punto di arrivo di uno speciale procedimento amministrativo, in particolare caratterizzato dal determinante ruolo valutativo di un apposito organo tecnico nazionale sulla base dei criteri determinati dal legislatore statale. Procedimento che evidentemente garantisce pure i soggetti direttamente interessati, anche attraverso la possibilità di ricorrere agli ordinari strumenti di tutela giurisdizionale, consentendo il soddisfacimento delle tutele richieste fin dalla fase cautelare, ove ne ricorrano i presupposti, e comunque con immediatezza da parte del giudice competente a conoscere della legittimità dell'atto amministrativo (ed ora mediante la sanzione della nullità dei provvedimenti amministrativi regionali difformi da quanto deliberato dall'organo tecnico statale) (32) (sent. n. 271).
 
5.6. Coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale (lettera r)
In alcune decisioni la Corte è tornata sulla materia del “coordinamento informativo statistico e informatico ...”, ribadendo quanto già precisato nella sua precedente giurisprudenza, ovvero che tale materia è orientata ad assicurare una comunanza di linguaggi, di procedure e di standard omogenei, in modo da permettere la comunicabilità tra i sistemi informatici della pubblica amministrazione. (33)
In particolare, in un caso la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale di di una legge statale che prevede misure per la realizzazione sul territorio nazionale di progetti per lo sviluppo della società dell'informazione. Tali disposizioni, infatti, “si collocano all'interno di questo confine, in quanto dettano regole tecniche funzionali alla comunicabilità dei sistemi ed al loro sviluppo collaborativo, favorendo il riuso dei software elaborati su committenza del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione con lo scopo di razionalizzare la spesa e, contemporaneamente, favorire l'uniformità degli standard” (34). Secondo la Corte, le disposizioni di legge statale dalla stessa ricondotte alla materia del coordinamento informativo non incidono su specifiche competenze delle Regioni, ma individuano queste ultime semplicemente come aree territoriali su cui può svolgersi la sperimentazione e come possibili soggetti interlocutori dei progetti per i quali viene autorizzata una spesa d'importo non particolarmente significativo; di conseguenza, non si ravvisano esigenze che rendano necessarie forme di coinvolgimento (sent. n. 133).
Analogamente, in un secondo caso, la Corte dichiara infondata la questione di legittimità costituzionale di disposizioni di legge statale che recano oneri informativi a carico delle Regioni, senza prevederne il coinvolgimento nel procedimento di approvazione delle modalità tecniche di trasmissione in via telematica dei dati richiesti. Secondo la Corte, infatti, manca del tutto l'interesse delle Regioni a ricevere i dati suddetti secondo modalità tecniche previamente concordate con lo Stato, essendo questo un interesse di mero fatto, privo di garanzia costituzionale (sent. n. 145).
Infine, la Corte ha ritenuto non lesivi dell'autonomia regionale gli obblighi di trasmissione all'amministrazione centrale di dati ed informazioni a scopo di monitoraggio, così come quelli relativi alla pubblicizzazione di alcune categorie di dati (sent. n. 159).
 
5.7. Tutela dell'ambiente e dell'ecosistema e dei beni culturali (lettera s)
Numerose le pronunce della Corte nell'anno 2008 con cui è stata meglio precisata la materia in questione, in considerazione della molteplicità dei temi che essa riunisce.
Innanzitutto, la Corte ha ricordato che per “ambiente ed ecosistema”, come affermato dalla Dichiarazione di Stoccolma del 1972, deve intendersi quella parte di “biosfera” che riguarda l'intero territorio nazionale (35); ed ha precisato secondo la Costituzione spetta allo Stato disciplinare l'ambiente come un'entità organica, dettando norme di tutela che hanno ad oggetto il tutto e le singole componenti considerate come parte del tutto. Secondo la Corte, la disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale “primario” (36) ed “assoluto” (37). Tale disciplina legislativa “deve garantire (come prescrive il diritto comunitario) un elevato livello di tutela, come tale inderogabile dalle altre discipline di settore. Si deve sottolineare, tuttavia, che, accanto al bene giuridico ambiente in senso unitario, possono coesistere altri beni giuridici aventi ad oggetto componenti o aspetti del bene ambiente, ma concernenti interessi diversi, giuridicamente tutelati. Si parla, in proposito, dell'ambiente come “materia trasversale”, nel senso che sullo stesso oggetto insistono interessi diversi: quello alla conservazione dell'ambiente e quelli inerenti alle sue utilizzazioni»” (38). Secondo la Corte, dunque, la tutela del bene ambiente attiene alla competenza esclusiva dello Stato e la sua disciplina unitaria prevale necessariamente su quella dettata dalle Regioni o dalle Province autonome, in materie di competenza propria, che riguardano l'utilizzazione dell'ambiente, e, quindi, altri interessi. In altre parole, la disciplina statale costituisce un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, salva la facoltà di queste ultime di adottare norme di tutela ambientale più elevata nell'esercizio di competenze, previste dalla Costituzione, che vengano a contatto con quella dell'ambiente. La Corte ribadisce così che l'ambiente è un bene giuridico, che, ai sensi dell'art. 117, co. 2, lett. s), Cost., funge anche da discrimine tra la materia esclusiva statale e le altre materie di competenza regionale (39) (sent. n. 104).
Se, dunque, la tutela ambientale e paesaggistica, che ha ad oggetto un bene complesso ed unitario, che costituisce un valore primario ed assoluto, appartiene alla competenza esclusiva dello Stato, non è tuttavia escluso l'intervento legislativo regionale. Ciò che non è consentito è invece l'introduzione da parte delle Regioni di deroghe agli istituti di protezione ambientale uniformi, validi in tutto il territorio nazionale, nel cui ambito deve essere annoverata l'autorizzazione paesaggistica (sent. n. 232).
In altra pronuncia la Corte ha precisato il significato di una tematica specifica quale quella dei “boschi e foreste”, che per aspetti differenti può essere ricondotta, in parte, alla competenza statale, in parte, a quella regionale. In particolare, secondo la Corte il concetto in esame esprime una “multifunzionalità ambientale, oltre ad una funzione economico produttiva”(40), e dunque sullo stesso bene della vita, boschi e foreste, insistono due beni giuridici: un bene giuridico ambientale in riferimento alla multifunzionalità ambientale del bosco, ed un bene giuridico patrimoniale, in riferimento alla funzione economico produttiva del bosco stesso (41). Il primo, ovvero il bene giuridico ambientale, è un bene di valore primario, la cui disciplina rientra nella competenza legislativa statale in materia di tutela dell'ambiente, la quale costituisce un limite alla disciplina regionale, fatte salve forme di tutela più elevate stabilite con legge regionale. Il secondo, ovvero il bene giuridico patrimoniale, è invece un bene che ha rilevanza sotto il profilo economico-produttivo, che può afferire alla competenza regionale, purchè siano rispettati i limiti della ecosostenibilità forestale posti dallo Stato (sent n. 105).
La Corte è intervenuta anche sul tema dei rifiuti, ricordando innanzitutto che la relativa disciplina legislativa appartiene, per consolidata giurisprudenza, all'ambito di competenza statale della tutela dell'ambiente. In particolare, la Corte ha sottolineato che spetta allo Stato la fissazione degli standard di tutela uniforme sull'intero territorio nazionale, laddove le Regioni possono legiferare per la cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali. (42) In definitiva, dunque, secondo la Corte, anche nel settore dei rifiuti, oltre agli interessi strettamente correlati con la tutela dell'ambiente, possono venire in rilievo interessi sottostanti ad altre materie, per cui la “competenza statale non esclude la concomitante possibilità per le Regioni di intervenire [...], così nell'esercizio delle loro competenze in tema di tutela della salute, ovviamente nel rispetto dei livelli uniformi di tutela apprestati dallo Stato” (43) (sent. n. 62).
In tema di pianificazione territoriale e urbanistica e pianificazione paesaggistica, la Corte ha ribadito quanto già sostenuto di recente (44), e cioè che “ sul territorio vengono a gravare più interessi pubblici: da un lato, quelli concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, in base all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.; dall'altro, quelli riguardanti il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali (fruizione del territorio), che sono affidati, in virtù del terzo comma dello stesso art. 117, alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni” (45). Guardando quindi al riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di paesaggio, la Corte ha precisato che restano distinte la pianificazione territoriale e urbanistica dalla tutela paesaggistica con prevalenza in ogni caso dell''impronta unitaria della pianificazione paesaggistica (sent. n. 180).
Sul tema della “fauna” la Corte ha ribadito che, anche a fronte della competenza legislativa primaria delle Regioni, spetta allo Stato la determinazione degli standard minimi ed uniformi di tutela, nell'esercizio della sua competenza esclusiva in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema. Secondo la Corte, il fondamento di tale competenza esclusiva dello Stato si rinviene nell'esigenza di garantire su tutto il territorio nazionale livelli di protezione della fauna che si qualificano come “soglie minime”, nel senso che costituiscono un vincolo rigido sia per lo Stato sia per le Regioni – ordinarie e speciali – a non diminuire il grado di tutela. Quest'ultima può solo essere incrementata, in base alle specifiche condizioni e necessità dei singoli territori; resta esclusa ogni attenuazione, comunque motivata (sent. n. 387).
Infine, la Corte ha ribadito ancora una volta che il perseguimento di finalità di tutela ambientale da parte del legislatore regionale può ammettersi solo ove esso sia un effetto indiretto e marginale della disciplina adottata dalla Regione nell'esercizio di una propria legittima competenza e comunque non si ponga in contrasto con gli obiettivi posti dalle norme statali che proteggono l'ambiente”, precisando che la disciplina ambientale posta dallo Stato costituisce un limite alla disciplina dettata dalle Regioni in altre materie di loro competenza. In definitiva, dunque, le Regioni non possono in alcun modo derogare il livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato (sent. n. 214)
 
6. Competenza legislativa concorrente (art. 117, co. 3. Cost.)
 
6.1. Istruzione
La Corte, intervenendo nuovamente sulla questione dei finanziamenti alla scuole paritarie facenti parte del sistema nazionale di istruzione, ha ribadito che il tema dei contributi destinati a tali scuole rientra nella materia della “istruzione”, che appartiene alla competenza legislativa concorrente. La Corte ha precisato che “già prima della riforma del Titolo V, l'art. 138, comma 1, lettera e), del d.lgs. n. 112 del 1998 [aveva] conferito alle Regioni le funzioni amministrative relative ai «contributi alle scuole non statali», nel cui ambito devono essere ricomprese anche le scuole paritarie. Consegue da ciò che sarebbe «implausibile che il legislatore costituzionale abbia voluto spogliare le Regioni di una funzione che era già ad esse conferita» nella forma della competenza delegata dal citato art. 138” (46) (sent. n. 50).
 
6.2. Professioni
Con riguardo alla materia delle professioni, la Corte ha nuovamente precisato che la potestà legislativa regionale in tale materia deve rispettare il principio secondo cui l'individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata allo Stato, per via del suo carattere necessariamente unitario. Spetta, invece, alla competenza regionale la disciplina di tutti quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale. Conseguentemente, le Regioni non possono dar vita a nuove figure professionali. Secondo la Corte, inoltre, anche la disciplina dell'istituzione di registri professionali e delle condizioni per la relativa iscrizione non rientra nella competenza regionale nella materia in esame (sent. n. 93). (47)
 
6.3. Tutela della salute
La Corte, nel ricordare che la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione ha recepito una nozione della materia “tutela della salute” assai più ampia rispetto alla precedente materia “assistenza sanitaria e ospedaliera”, ha affermato che le norme attinenti allo svolgimento dell'attività professionale intramuraria, pur se incidenti su più materie, devono essere “ascritte, con prevalenza, a quella della tutela della salute” (48). Secondo la Corte, inoltre, i poteri delle Province autonome in materia sanitaria si radicano direttamente nel terzo comma dell'art. 117 Cost., il quale prevede una loro competenza in tale materia, attraverso il riferimento alla tutela della salute, sicchè è alla disposizione costituzionale di cui al citato art. 117 che occorre fare riferimento (49) (sent. n. 371). (50)
Ancora in tema di tutela della salute, la Corte ha precisato che “il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell'art. 2 della Costituzione, che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 della Costituzione, i quali stabiliscono, rispettivamente, che «la libertà personale è inviolabile», e che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge»” (51). Secondo la Corte, dunque, alla base dell'istituto del consenso informato si trovano tanto il diritto della persona all'autodeterminazione quanto quello alla salute, e cioè il diritto dell'individuo ad essere curato e al contempo il diritto di ricevere le opportune informazioni sul percorso terapeutico cui può essere sottoposto, oltre che sulle eventuali terapie alternative. La Corte ritiene quindi che il consenso informato sia da considerare un principio fondamentale in materia di tutela della salute, la cui disciplina deve essere fissata con legge dello Stato, e rispetto alla quale le Regioni devono limitasi a porre di dettaglio (sent. n. 438).
 
6.4. Governo del territorio
Con riguardo alla materia del governo del territorio, ed in particolare all'istituto del condono edilizio, la Corte ha ricordato che il legislatore statale può prevedere una sanatoria edilizia straordinaria solo in presenza di gravi situazioni di interesse generale (52), e che la competenza legislativa in tema di condono, salvi i soli profili di ordine penale che sono di esclusiva competenza statale, sono riconducibili alla materia del governo del territorio (o alla materia della urbanistica per le Regioni a statuto speciale che hanno tale competenza). Secondo la Corte, è ravvisabile un “condono edilizio straordinario” quando sussistono esigenze tali da comportare la reiterazione di un istituto a carattere contingente e del tutto eccezionale, da cui deriva la compressione di numerosi valori quali il paesaggio, la cultura, la salute, la conformità dell'iniziativa economica privata all'utilità sociale, la funzione sociale della proprietà. Va, dunque, riconosciuto alle Regioni “un ruolo specificativo – all'interno delle scelte riservate al legislatore nazionale – delle norme in tema di condono” (53) (sent. n. 9).
 
6.5. Produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia
La Corte è intervenuta sulla materia in questione, dichiarando incostituzionale una norma statale recante la disciplina delle grandi concessioni di derivazioni idroelettriche, poiché la stessa, oltre a porre la disciplina di principio, aveva introdotto disposizioni di dettaglio, lesive della competenza legislativa regionale nella medesima materia (sent. n. 1).
 
6.6. Armonizzazione dei bilanci e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario
La Corte ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità di una norma statale che pone un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica attinente alla spesa. Secondo la Corte, infatti, tale principio - applicabile anche alle autonomie speciali, in considerazione dell'obbligo generale di partecipazione di “tutte” le Regioni all'azione di risanamento della finanza pubblica – non esclude che le Regioni possano legittimamente denunciare una legge statale che introduca limiti di spesa per gli enti del servizio sanitario nazionale, “data la stretta connessione sussistente tra la spesa di tali enti e l'equilibrio complessivo della finanza regionale (sentenze n. 169 e n. 162 del 2007)” (sent. n. 120).
Con riguardo alla medesima materia concorrente, la Corte ha altresì rilevato che, dinanzi ad un intervento legislativo statale di coordinamento della finanza pubblica riferito alle Regioni è naturale che ne derivi una, per quanto parziale, compressione degli spazi di competenza delle Regioni (specie in tema di organizzazione amministrativa o di disciplina del personale), nonché della stessa autonomia di spesa loro spettante. (54) Tuttavia, ha precisato la Corte, si tratta di una compressione legittima nel solo caso in cui le norme dello Stato si limitano a porre “criteri ed obiettivi cui dovranno attenersi le Regioni e gli enti locali nell'esercizio della propria autonomia finanziaria, senza invece imporre loro precetti specifici e puntuali (fra le molte, si vedano le sentenze n. 95 del 2007, n. 449 del 2005 e n. 390 del 2004)” (55) (sent. n. 159).
 
7. Competenza legislativa residuale (art. 117, co. 4, Cost.)
 
7.1. Servizi e politiche sociali
Con riguardo alla materia dei servizi sociali, di competenza esclusiva delle Regioni, la Corte ha ricordato che essa ricomprende “… tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti e a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia” (56). Da ciò la Corte ha ricondotto alla materia in esame sia norme che prevedono interventi di politica sociale finalizzati alla rimozione o al superamento di situazioni di bisogno o di difficoltà che la persona incontra nel corso della vita, sia anche una normativa recante l'istituzione del Fondo per l'inclusione sociale degli immigrati, non prevedendo tale normativa un intervento pubblico connesso alla programmazione dei flussi di ingresso ovvero al soggiorno degli stranieri nel territorio nazionale (sent n. 50).
In relazione alla medesima materia, la Corte ha precisato anche che l'attribuzione ai Comuni della facoltà di istituire apposite commissioni per l'eventuale graduazione, fatte salve le competenze dell'autorità giudiziaria ordinaria, delle azioni di rilascio, allo scopo di favorire il passaggio “da casa a casa” di talune categorie di soggetti, nonché per le famiglie collocate utilmente nelle graduatorie comunali per l'accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica è lesiva della competenza residuale delle Regioni in materia di politiche sociali. Secondo la Corte, infatti, la possibilità di istituire queste commissioni, se esercitata dai Comuni, si risolverebbe in una sottrazione di funzioni costituzionalmente spettanti alle Regioni (sent. n. 166).
Infine, la Corte ritenuto che la disciplina legislativa di un Fondo destinato a finanziare interventi di carattere sociale, relativi alla riduzione dei costi delle forniture di energia per usi civili a favore di clienti economicamente disagiati, anziani e disabili, rientrasse nella materia dei servizi sociali di competenza regionale. Secondo la Corte, infatti, tale disciplina riguarda attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti e a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita (sentt. n. 168 e n. 50).
 
7.2. Formazione dei dipendenti pubblici regionali
La Corte ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale di disposizioni di legge statale recanti la riforma del sistema di formazione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Secondo la Corte, infatti, tali norme non intervengono su materie riservate alla potestà legislativa esclusiva delle Regioni, quali la formazione professionale e l'organizzazione degli uffici regionali, poiché impongono alle sole pubbliche amministrazioni statali - e non anche a Regioni ed enti locali - di servirsi, per la formazione del proprio personale, di organismi accreditati dall'Agenzia nazionale. Si tratta di un'interpretazione restrittiva dell'espressione “pubbliche amministrazioni” (non nuova alla Corte) (57), che esclude dalla stessa le Regioni e gli enti locali, e che dunque fa salva la normativa approvata dal legislatore statale. Nel caso di specie, la Corte ha precisato che l'interpretazione conforme a Costituzione è motivabile col fatto che la riforma del sistema di formazione dei dipendenti pubblici, operata con la legge impugnata, si svolge a livello nazionale, e che le disposizioni impugnate si riferiscono più volte espressamente alle sole amministrazioni statali, intendendo così che il legislatore statale non abbia voluto estendere il sistema di accreditamento all'attività di formazione assicurata dalle Regioni e dagli enti locali (sent. n. 75).
 
7.3. Turismo
Con riguardo alla competenza legislativa residuale delle Regioni in materia di turismo, la Corte ha precisato che per l'attribuzione della potestà di imposizione e riscossione del canone per la concessione di aree del demanio marittimo è “determinante la titolarità del bene anziché la titolarità di funzioni legislative e amministrative spettanti alle Regioni in ordine all'utilizzazione dei beni stessi” (58). Tuttavia, secondo la Corte l'ascrivibilità della materia “turismo” alla competenza regionale residuale non esclude di per sé la legittimità di un intervento legislativo di carattere finanziario ed aggiuntivo dello Stato giustificato dall'obiettivo di rafforzare le capacità competitive delle strutture turistiche nazionali, purchè il legislatore statale coinvolga la Conferenza permanente Stato-Regioni mediante apposita intesa.
In relazione alla materia del turismo, la Corte ha, inoltre, ricordato che le funzioni amministrative spettano agli enti territoriali minori, secondo i criteri indicati dall'art. 118 della Costituzione (sent. n. 412). (59)
 
7.4. Organizzazione amministrativa della Regione
Con la sentenza n. 95 la Corte ha disposto che la disciplina delle modalità di accesso all'impiego presso gli enti soggetti al patto di stabilità interno afferisce alla materia dell'organizzazione amministrativa della Regione e degli enti pubblici regionali, di competenza esclusiva regionale. La Corte ha così confermato la sua precedente giurisprudenza (60) sul tema della regolamentazione delle modalità di accesso al lavoro pubblico regionale, da ricondursi per l'appunto alla materia in esame. Nel caso di specie, la norma di legge statale ritenuta legittima dalla Corte né impone alle amministrazioni soggette al patto di stabilità interno alcun limite quantitativo o di spesa per le assunzioni di personale o la stipulazione di contratti di collaborazione coordinata e continuativa, né tantomeno, vieta di instaurare simili rapporti, ma dispone che, se e quando le amministrazioni soggette al patto di stabilità interno decidano, nel triennio 2007-2009, di procedere ad assunzioni di personale a tempo determinato, debbono obbligatoriamente riservare una quota di posti (non inferiore al 60 per cento) a favore di chi abbia già intrattenuto (con l'amministrazione banditrice del concorso) rapporti di collaborazione coordinata e continuativa per la durata complessiva di almeno un anno alla data del 29 settembre 2006 (61).
Secondo la Corte rientra nella materia in oggetto, e dunque nel potere di autoorganizzazione delle Regioni, anche la disciplina di un organo regionale quale la Consulta statutaria. E' cioè legittima una norma regionale che prevede la possibilità di far risultare in modo ufficiale, da parte dei componenti dell'organo di garanzia, i motivi del proprio consenso o dissenso rispetto alla deliberazione assunta. Secondo la Corte, infatti, trattasi di facoltà pacificamente riconosciuta ai membri di tutti i collegi amministrativi (sent. n. 200).
 
8. L'autonomia finanziaria di entrata e di spesa (art. 119 Cost.)
Com'è noto, l'art. 119 della Costituzione attribuisce a Regioni ed enti locali “autonomia finanziaria di entrata e di spesa” (primo comma), oltre che la disponibilità di “risorse autonome” (secondo comma). Nel corso del 2008 diverse sono state le decisioni in cui la Corte ha affrontato i diversi profili delle competenze normative connesse all'autonomia in questione, specie per quanto attiene alla disciplina dei fondi a destinazione vincolata e agli interventi finanziari dello Stato previsti dallo stesso art. 119 Cost.
Tra queste, si ricorda innanzitutto la sentenza n. 216, con cui la Corte, premettendo che l'autonomia finanziaria delle Regioni delineata dal nuovo testo dell'art. 119 Cost. “si presenta, in larga misura, ancora in fieri” (62), ha precisato che nell'attuale fase di perdurante inattuazione della citata disposizione costituzionale, le Regioni siano legittimate a contestare interventi legislativi dello Stato, concernenti il finanziamento della spesa sanitaria, soltanto qualora lamentino una diretta ed effettiva incisione della loro sfera di autonomia finanziaria; evenienza, questa, neppure dedotta in giudizio dalle due ricorrenti (63).
 Confermando la sua precedente giurisprudenza in materia (64), la Corte, chiamata a pronunciarsi su questioni di legittimità costituzionale relative all'istituzione di Fondi statali e ai vincoli di destinazione di risorse finanziarie, ha ribadito che tale disposizione pone comunque precisi limiti al legislatore statale nella disciplina delle modalità di finanziamento delle funzioni spettanti al sistema delle autonomie. In particolare, secondo la Corte non sono consentiti finanziamenti a destinazione vincolata in materie di competenza regionale residuale o concorrente, in quanto ciò si risolverebbe in uno strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni delle Regioni e degli enti locali, nonché di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti materiali di propria competenza. Secondo la Corte, la competenza delle Regioni ricomprende anche la possibilità di erogare contributi finanziari a soggetti privati dal momento che in numerose materie di competenza regionale le politiche pubbliche consistono appunto nella determinazione di incentivi economici ai diversi soggetti che vi operano e nella disciplina delle modalità per la loro erogazione (65) (sent. n. 50).
In altra decisione, la Corte ha nuovamente ricordato che il legislatore statale non può porsi in contrasto con i criteri e i limiti che presiedono all'attuale sistema di autonomia finanziaria regionale, che non consentono finanziamenti di scopo per finalità non riconducibili a funzioni di spettanza statale. Ritiene cioè la Corte che non è consentito allo Stato prevedere finanziamenti in materie di competenza regionale, né istituire fondi settoriali di finanziamento delle attività regionali, perchè ciò costituirebbe un'ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni di Regioni ed enti locali oltre che una sovrapposizione di politiche e di indirizzi statali a quelli legittimamente posti dalle Regioni negli ambiti materiali di propria competenza, con conseguente violazione anche dell'art. 117 Cost. (sent. n. 142).
E ancora, secondo la Corte “il titolo di competenza statale che permette l'istituzione di un fondo con vincolo di destinazione non deve necessariamente identificarsi con una delle materie espressamente elencate nel secondo comma dell'art. 117 Cost., ma può consistere anche nel fatto che detto fondo incida su materie oggetto di “chiamata in sussidiarietà” da parte dello Stato, ai sensi dell'art. 118, primo comma, Cost.” (66) (sent. n. 168). Si tratta di un'ipotesi che si determina quando, per esigenze di carattere unitario, sono attribuite con legge funzioni amministrative a livello statale; funzioni il cui esercizio è poi regolato mediante una disciplina che sia logicamente pertinente e che risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tali fini (67), nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
 
9. La libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni (art. 120, co. 1., Cost.)
 Intervenendo sul tema della libera circolazione di persone e cose tra le Regioni, nella sentenza n. 391 la Corte ha dichiarato incostituzionale una normativa regionale nella parte che imponeva al richiedente, per poter accedere ad incentivi agli investimenti nel settore turistico, di aver la sede legale, amministrativa ed operativa nel territorio della Regione. Secondo la Corte infatti, la discriminazione delle imprese sulla base di un elemento di localizzazione territoriale contrasta con il principio di eguaglianza, oltre che con il principio di cui all’art 120, co. 1, Cost., in base a cui la Regione non può adottare provvedimenti che ostacolino la libera circolazione delle persone e delle cose fra le regioni e non può limitare il diritto dei cittadini di esercitare in qualunque parte del territorio nazionale la loro professione, impiego o lavoro. La Corte ha più volte vietato ai legislatori regionali di frapporre ostacoli di carattere protezionistico alla prestazione, nel proprio ambito territoriale, di servizi di carattere imprenditoriale da parte di soggetti ubicati in qualsiasi parte del territorio nazionale (nonché, in base ai principi comunitari sulla libertà di prestazione dei servizi, in qualsiasi Paese dell’Unione europea). (68)
 
10. Le autonomie speciali
Anche nel 2008 non poche sono state la pronunce della Corte che hanno interessato le Regioni a statuto speciale e le Province autonome, in particolare sul tema delle funzioni normative.
Nella sentenza n. 95 la Corte è intervenuta sulle cosiddette clausole di salvaguardia, in base a cui una normativa statale viene espressamente estesa alle autonomie speciali compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti e delle relative norme di attuazione. In particolare, secondo la Corte, tali clausole di salvaguardia, per la loro genericità e per il loro riferirsi ad una serie eterogenea di disposizioni comprese nello stesso atto legislativo, non sono idonee ad escludere il sindacato di legittimità costituzionale sulle norme ritenute da Regioni e Province autonome pienamente applicabili nel loro territorio.
Nella sentenza n. 145 la Corte è intervenuta sull'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, precisando che detta norma non si applica alle previsioni degli statuti speciali che disciplinano strumenti pattizi, “perché si limita ad attribuire alle Regioni a statuto speciale le forme di maggiore autonomia che il nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione riconosce alle Regioni a statuto ordinario (sentenza n. 175 del 2006; si vedano anche, ex plurimis, le sentenze n. 102 del 2008, n. 238 del 2004 e n. 314 del 2003)” (69). Secondo la Corte, si tratta, infatti, di una disposizione che non disciplina né l'effettivo ambito di applicazione degli “strumenti pattizi” previsti dallo statuto, né la garanzia costituzionale di cui detti strumenti beneficiano nell'ordinamento (70).
Con la sentenza n. 102 la Corte è intervenuta sul tema dell'autonomia tributaria delle Regioni a statuto speciale, ed in particolare sull'individuazione del parametro applicabile per la determinazione della loro competenza legislativa tributaria Secondo la Corte, la riforma costituzionale del Titolo V non ha previsto un'autonomia legislativa tributaria piú ampia di quella complessivamente attribuita alla Regione speciale (nel caso di specie la Sardegna) dal suo statuto di autonomia. Dunque, lo statuto speciale è l'unico parametro applicabile nella specie e, pertanto, le censure del ricorrente basate sulla violazione del Titolo V della Parte II della Costituzione non possono essere prese in considerazione. Secondo la Corte, non è però escluso che lo Stato possa contenere o ampliare la potestà normativa di autodeterminazione dei tributi propri attribuita alla Regione dallo statuto speciale; tuttavia “tale possibilità passa non già attraverso l'emanazione di una legge statale che fissi i princípi fondamentali previsti dall'art. 117 Cost., ma attraverso la modificazione statutaria realizzata attivando lo speciale procedimento di collaborazione previsto dall'art. 54 dello statuto di autonomia, a tenore del quale le disposizioni statutarie in materia di autonomia finanziaria «possono essere modificate con leggi ordinarie della Repubblica su proposta del Governo o della Regione, in ogni caso sentita la Regione»” (71).
Precisa, inoltre, la Corte che alle Regioni a statuto speciale, come a quelle a statuto ordinario, sono comunque applicabili vincoli complessivi e temporanei alla spesa corrente fissati dalla legislazione statale. (72) Si tratta, infatti, di vincoli riconducibili ai princípi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, che si impongono alle autonomie speciali solo in ragione dell'imprescindibile esigenza di assicurare l'unitarietà delle politiche complessive di spesa che lo Stato deve realizzare – sul versante sia interno che comunitario e internazionale – attraverso la partecipazione di tutte le Regioni all'azione di risanamento della finanza pubblica e al rispetto del cosiddetto patto di stabilità.
Da menzionare anche la sentenza n. 104, con cui la Corte ha dichiarato la illegittimità costituzionale di una normativa statale in materia di ambiente (nella specie, si trattava dell'attuazione di direttive comunitarie in materia di misure di protezione sulle zone speciali di conservazione o ZSC e sulle zone di protezione speciale o ZPS) nella parte in cui obbligava le Province autonome di Trento e di Bolzano a rispettare dei “criteri minimi uniformi” definiti con decreto ministeriale. Secondo la Corte, infatti, ai sensi dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, le Province autonome hanno una potestà legislativa primaria in materia di “parchi per la protezione della flora e della fauna”, e, in virtù di questa prescrizione statutaria, il legislatore statale non può imporre alle province autonome di conformarsi, nell'adozione delle misure di conservazione, ai “criteri minimi uniformi” di un emanando decreto ministeriale.
  
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NOTE
 
(1) Cfr. la Relazione sulla giurisprudenza costituzionale del 2008, elaborata dal Servizio studi della Corte costituzionale).
(2) I dati sono tratti dalla Relazione sulla giurisprudenza del 2008, cit.
(3) Per un più articolato confronto con la giurisprudenza del 2007, si rinvia a L. Ronchetti, La giurisprudenza costituzionale del 2007, in A. D'Atena (a cura di), Quinto Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia, Milano, Giuffrè, 2008, pp. 192 ss.
(4) Ronchetti, op. cit., p. 192, parla di “metabolizzazione” del nuovo riparto di competenze legislative.
(5) Si tratta di un ristretto numero di decisioni, tra cui si annoverano anche non pochi casi di dichiarata cessazione della materia del contendere, in linea di massima per intervenuta abrogazione, sostituzione o modificazione delle disposizioni impugnate (v. sentt. n. 289, n. 304, n. 320, n. 342, n. 439 e ord. n. 304).
(6) In tal senso, v. anche l'ordinanza n. 103.
(7) Così la sent. n. 102.
(8) Ex multis, v. sent. n. 94 del 1995.
(9) Da ultimo, v. sent. n. 188 del 2007.
(10) V. già le sentt. n. 255 del 2007, n. 90 e n. 89 del 2006.
(11) Ex multis, v. le sentt. n. 303 del 2003 e n. 6 del 2004.
(12) Sent. n. 63.
(13) Ibidem.
(14) Sent. n.166.
(15) Ibidem.
(16) V. già la sent. n. 236 del 2004.
(17) V. già la sent. n. 378 del 2007.
(18) Ex multis, v. le sentt. n. 387 del 2007 e n. 248 del 2006.
(19) V. già la sent. n. 201 del 2007.
(20) In tal senso, v. già la sent. n. 430 del 2007.
(21) Sent. n. 320.
(22) Sent. n. 168. V. già le sentt. n. 64 del 2008, n. 334 del 2006 e n. 73 del 2005.
(23) Sent. n. 442.
(24) V. le sentt. n. 429 del 2004 e n. 322 del 2006.
(25) Sent. n. 326.
(26) V. già le sentt. n. 29 del 2006, nn. 438 e 401 del 2007 e nn. 159 e 51 del 2008.
(27) Da ultimo, v. le  sentt. nn. 189, 95 e 24 del 2007.
(28) Sent. n. 369.
(29) V., da ultimo, le sentt. n. 102 e n. 94 del 2008.
(30) Sent. n. 370.
(31) Sent. n. 271.
(32) Ibidem.
(33) Così le sentt. n. 17 del 2004 e n. 31 del 2005.
(34) Sent. n. 133.
(35) In tal senso, v. la sent. n. 378 del 2007.
(36) Così la sent. n. 151 del 1986.
(37) Così la sent. n.  641 del 1987.
(38) Sent. n. 104.
(39) Ibidem.
(40) Sent. n. 105.
(41) Ibidem.
(42) Ex multis, v. la sent. n. 407 del 2002.
(43) Sent. n. 63. Sul tema dei rifiuti, da ultimo v. le sentt. n.12 e n. 380 del 2007.
(44) Cfr. la sent. n. 367 del 2007.
(45) Sent. n.180.
(46) Sent. 50. Sul punto, v. già le sentt. n. 13 e n. 423 del 2004.
(47) In ta senso, già le sentt. n. 300 e n. 57 del 2007, n. 424 e n. 153 del 2006.
(48) Sent. n. 371.
(49) Ibidem.
(50) Cfr. già le sentt. n. 134 del 2006 e n. 162 del 2007.
(51) Sent. n. 438.
(52) In tal senso, da ultimo v.  la sent. n. 49 del 2006.
(53) Così la sent. n. 9.
(54) Ex multis, v. le sentt. n. 353 e n. 36 del 2004 e n. 169 e n. 162 del 2007.
(55) Sent. n. 159.
(56) Sent. n. 50.
(60) V. la sent. n. 380 del 2004.
(61) Sent. n. 95.
(62) Sent. n. 216.
(63) Ibidem.
(64) V. le sentt. n. 423 del 2004 e nn. 77 e 51 del 2005.
(65) Sent. n. 50.
(66) Sent. n. 168.
(67) Ibidem.
(68) In tal senso, v. le sentt. n. 440 del 2006 e n. 64 del 2007.
(69) Sent. n. 145.
(70) Ibidem.
(71) Sent. n. 102.
(72) In tal senso, v. già le sentt. nn. 169 e 82 del 2007.

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