AVVERTENZA:  Lo studio che segue è tratto dal Sesto Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in italia, d'imminente pubblicazione.


Sommario:
 
 
 
 
1.      Considerazioni introduttive. Una nuova ripresa della conflittualità
 
I dati complessivi sulla giurisprudenza costituzionale Stato-Regioni per il 2010 si presentano ambivalenti (1).
Il dato complessivo delle decisioni (376 tra sentenze e ordinanze numerate) è tra i più bassi degli ultimi venticinque anni, ma tuttavia risulta più alto rispetto a quello del 2009 (342 decisioni), in cui, tuttavia si era registrato il dato minore dallo smaltimento dell’arretrato (1987-89). L’aumento globale assume dimensioni più rilevanti se si guarda ai capi di dispositivo, che sono di molto superiori a quelli del 2009 (606 contro 417).
Per quanto concerne le pronunce rese nel giudizio in via diretta esse ammontano a 141 (per ben 311 dispositivi), pari al 37,63% del totale: un numero complessivo che è il più alto di sempre e in termini percentuali, secondo solo al dato del 1956 (41,18%). Dunque, sebbene il giudizio in via incidentale mantenga percentuali ancora maggioritarie, esso presenta un’indubbia contrazione, facendo registrare la cifra più bassa di sempre (211 pronunce, pari al 56,12%). Prestando attenzione ai dispositivi la questione è ancor più diversa, poiché quelli resi nei giudizi in via d’azione sono pari al 51,49% del totale (262 dispositivi invece quelli di cui al giudizio incidentale, ossia il 43,23%). Un ulteriore primato il giudizio in via d’azione lo fa registrare riguardo al numero delle sentenze, superiori a quelle del giudizio incidentale (99 contro 98). Sembra dunque ormai superata quella riduzione della conflittualità registratasi nel biennio 2007-2008 e in crescita è anche il numero dei nuovi ricorsi pervenuti alla Corte (123, 13 rispetto al 2009). Tuttavia, positivi sono i dati relativi ai giudizi definiti (185, a cui si sommano due definizioni parziali, con un aumento del 120,24%; il che ha portato a una sensibile diminuzione delle pendenze (da 146 a 84, con un saldo negativo del 42,47%). Conclusioni consolanti, infine, possono trarsi riguardo ai tempi medi di decisione, più che dimezzati rispetto al 2009 (269,06 contro 671,26 giorni), anche in virtù dello “smaltimento”, nel corso del 2009, di pendenze risalenti anche al 2006.
Dal tutto residuale la cifra delle decisioni sui conflitti d’attribuzione tra Stato e Regioni, appena 12 (per 17 dispositivi), a cui deve aggiungersi un caso in cui la Corte ha deciso congiuntamente ricorso in via principale e conflitto fra enti, pari al 3,32% del totale. Un lieve aumento rispetto al 2009, sia in termini complessivi ( 2 pronunce), sia percentuali ( 0,1%), che appare però poco significativo. Anche in tal caso positivo è il saldo tra giudizi definiti e atti di promuovimento (23 contro 11). Negativa, invece, è la tendenza riguardo ai tempi di decisione, che sono cresciuti rispetto al 2009 (390, 13 contro 218,92 giorni), pur restando al di sotto della cifra degli anni precedenti.
In conclusione, non è ormai una novità la configurazione del contenzioso costituzionale Stato-Regioni come “patologicamente ipertrofico”, il quale, se si esclude il ricordato biennio 2007-2008, tende sempre ad assestarsi su cifre alte e crescenti. Il che è stato sottolineato dallo stesso Presidente De Siervo nel corso della Conferenza annuale sulla giustizia costituzionale, ove si è posto l’accento anche sulle ragioni di tale conflittualità: in parte giustificata da una straordinaria situazione di emergenza economica che è stata alla base d’interventi statali con non pochi riflessi sulle competenze regionali; in parte da un sistema costituzionale che non conosce meccanismi istituzionali conciliativi adeguati. La qual cosa aumenta la complessiva “richiesta di giustizia costituzionale”. Sempre piuttosto alta, inoltre, resta la “contrattazione” tra enti riguardo ai ricorsi, in virtù dell’alto numero di modifiche ai provvedimenti statali e regionali in pendenza di giudizio, con diffusi casi di estinzione del giudizio e di cessazione della materia del contendere. Anche ciò a testimoniare il ruolo sempre più “arbitrale” della Corte costituzionale. Le note positive possono riscontrarsi in un forte smaltimento dell’arretrato, nonché in una ripresa della riduzione dei tempi medi per la decisione. Tuttavia, la crescita dei nuovi ricorsi non lascia ben sperare riguardo a una contrazione futura delle pronunce rese nei giudizi in via diretta, facendo emergere sempre più la necessità di trovare nuovi luoghi istituzionali di cooperazione tra Stato e Regioni.
 
 
2.      Profili processuali
 
2.1    Ricorso ex art. 127 e conflitti intersoggettivi. Atti introduttivi
 
Maggiori del solito, seppur non particolarmente innovative, le pronunce concernenti la fase introduttiva del giudizio in via diretta.
In primo luogo, si precisa l’impossibilità di considerare tardiva l’impugnazione di una legge la quale, novando la fonte, riproduca la disciplina contenuta in un precedente testo normativo (sent. n. 9). Va precisato, come da giurisprudenza consolidata (2), che, al fine di valutare la tempestività dell’impugnazione rileva non la data in cui il ricorso sia stato ricevuto dalla parte a cui esso va notificato, bensì quella in cui il notificante ha consegnato l’atto all’ufficiale giudiziario (sent. n. 179).
Si ribadisce, inoltre, la natura perentoria del termine di dieci giorni per il deposito del ricorso (3)(sent. n. 121), la cui inosservanza, oltre a impedire l’integrazione della domanda iniziale, con conseguente inammissibilità delle censure successivamente formulate (4) (sent. n. 169), inficia anche la validità della costituzione in giudizio della parte convenuta (sent. n. 168). Diversamente, la disposizione secondo cui l’atto di costituzione della parte resistente deve contenere anche l’illustrazione delle conclusioni mira a sollecitare un’adeguata prospettazione delle rispettive posizioni sin dall’ingresso delle parti nel giudizio, non subordinando però a tal fine l’ammissibilità della costituzione in giudizio (sent. n. 168). Sempre riguardo alla costituzione in giudizio è stata considerata compatibile con quanto disposto dall’art. 23 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, nella formulazione precedente alla modifica del 2008 (e solo per i ricorsi proposti prima di tale modifica), la costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri priva di argomentazione, in fatto o in diritto, verso le censure regionali, ma che si limiti a contraddire le doglianze concernenti le ulteriori disposizioni normative impugnate contestualmente (sent. n. 40). Riguardo alle Regioni, invece, non si dimentichi che spetta solo al Presidente della Giunta regionale, previa delibera della Giunta, la competenza relativa alla costituzione (ord. n. 202, sent. n. 331), la quale deve ritenersi comunque autorizzata in base alla delibera d’impugnazione (sent. n. 325).
Si conferma, inoltre, l’inammissibilità delle censure di costituzionalità contenute solo nel dispositivo del ricorso, che non trovino accenno nella motivazione dello stesso, nella delibera governativa d’impugnazione o nella allegata relazione ministeriale (sentt. nn. 150, 269, 332) (5). Di più: tra le disposizioni impugnate nel ricorso e quelle individuate nella delibera della Giunta (o del Consiglio dei ministri) deve sussistere una piena corrispondenza (sent. n. 278).
Per giurisprudenza consolidata, da ultimo, nel giudizio in via principale non si applicano le norme sulla rappresentanza in giudizio dello Stato, con la conseguenza che, per la rituale proposizione del giudizio, l’atto deve essere notificato presso la sede del Presidente del Consiglio dei ministri e non presso l’Avvocatura generale dello Stato (sent. n. 208). Discorso analogo può farsi per la disciplina della sospensione feriale dei termini (6), la cui inapplicabilità si giustifica in virtù dell’esigenza di rapidità e certezza cui il processo costituzionale deve rispondere (7) (sent. n. 278).
Nell’ambito dei conflitti di attribuzione, si ricordi che, ai fini della decorrenza del termine d’impugnazione, la pubblicazione ha carattere assorbente rispetto alla conoscenza dell’atto (8), nei casi in cui essa risulti prescritta o si sia innanzi ad atti, di natura normativa e non, diretti a specifici destinatari (9). Irrilevante, invece, è la semplice affissione nell’albo pretorio provinciale (sent. n. 328).
 
 
2.2.   Profili soggettivi
 
Nessuna novità si registra riguardo all’individuazione dei soggetti legittimati a intervenire nel giudizio principale, che si svolge esclusivamente tra titolari di potestà legislativa (10) (sentt. nn. 121, 215, 278), pur con qualche richiamo all’eventuale possibilità di ampliare il novero di tali soggetti ai sensi dell’art. 4, comma 3, delle Norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale (sent. n. 278). Tale preclusione, a maggior ragione vale quando gli intervenienti abbiano effettuato il ricorso fuori termini, non consentendosi un’elusione della perentorietà degli stessi (sentt. nn. 121) (11).
 
 
2.3.   Interesse a ricorrere e vizi deducibili
 
Ormai pacifico è l’assunto secondo il quale, anche dopo la l. cost. n. 3 del 2001, lo Stato può proporre impugnazioni contro le leggi regionali deducendo la violazione di un qualsiasi parametro costituzionale (12) (sentt. nn. 9, 325), mentre inammissibili sono i ricorsi regionali che non lamentino la lesione delle norme sul riparto di competenze (sentt. nn. 10, 40, 52, 156, 278, 324, 325) (13), salvo quando il contrasto tra la normativa statale e le disposizioni costituzionali non si risolva comunque in una esclusione o limitazione delle suddette attribuzioni delle Regioni (sent. n. 16). Pure la legge di delega, in linea di principio,  può essere idonea a ledere l’autonomia regionale (14); nondimeno, l’interesse a ricorrere andrà escluso ogni volta che il legislatore delegante abbia determinato principi e criteri direttivi tali da consentire al Governo l’esercizio della funzione legislativa in modo conforme a Costituzione. Alle Regioni, infine, non è preclusa l’impugnazione di leggi statali ritenute lesive delle attribuzioni degli enti locali, purché ciò comporti una menomazione delle competenze regionali (15) (sent. n. 278).
L’interesse a ricorrere sussiste, di per sé (16), in virtù della sola esistenza della legge oggetto di censura, a prescindere dal fatto che essa abbia avuto concreta attuazione, essendo anzi sufficiente che sia vigente, ancorché non immediatamente, applicabile (sent. nn. 141, 156). Tuttavia, non sono invece idonee ad arrecare alcun vulnus a prerogative regionali costituzionalmente garantite le disposizioni di legge statale recanti clausole di mera qualificazione, prive di reale forza precettiva, in virtù della loro carenza di capacità lesiva (sent. n. 52); il che vale anche per le disposizioni di carattere meramente ricognitivo (sent. n. 346). Né può ritenersi sussistente un interesse a impugnare quando un’interpretazione organica del provvedimento statale faccia affermare la sua inapplicabilità alle Regioni e agli enti locali (sent. n. 172). Il che vale ancor di più in presenza di “clausole di esclusione”, che escludano l’applicabilità di disposizioni statali alle Regioni ad autonomia speciale, salvo che le stesse non specifichino puntualmente in quale modo le competenze regionali sarebbero lese (sent. n. 201).
Da ultimo, si ricordi che l’interesse a ricorrere viene meno, con conseguente cessazione della materia del contendere (vedi infra, par. 2.8) qualora le norme impugnate siano oggetto di abrogazione o modifica di tipo satisfattivo, ma solo qualora le stesse non abbiano avuto concreta attuazione medio tempore (sent. n. 341) (17). Proprio a tal fine, la Corte può anche disporre il rinvio della causa a nuovo ruolo, su richiesta delle parti (sent. n. 90).
Nei conflitti di attribuzione l’interesse a ricorrere non viene meno per il semplice esaurimento degli effetti dell’atto impugnato, poiché la lesione delle competenze costituzionali può concretarsi anche nella mera emanazione dell’atto invasivo; il che fa perdurare l’interesse dell’ente all’accertamento del riparto costituzionale delle competenze (18) (sent. n. 328).
 
 
2.4.   Questioni di legittimità e motivazione
 
L'esigenza di un'adeguata motivazione a sostegno dell'impugnativa si pone in termini perfino più pregnanti nei giudizi diretti che non in quelli incidentali (19) (sentt. nn. 10, 16, 119, 200, 312), dovendo essere presenti le argomentazioni, anche minime, atte a suffragare le censure proposte (sentt. nn. 186, 200, 299) (20); tuttavia, sufficiente può essere anche una censura succinta (21), se chiara e adeguatamente motivata (sentt. nn. 57, 313, 333, 345), riscontrandosi, talvolta, una certa tolleranza della Corte (sent. n. 123, 313).
Sono, dunque, inammissibili le questioni formulate in modo generico (sentt. nn. 45, 52, 124, 200, 221, 278, 312, 325, 326), apodittico (sent. n. 132, 200, 247, 312), meramente assertivo e aspecifico (sent. n. 16), prive di argomentazione riguardo alle specifiche competenze lese (sentt. nn. 15, 45, 200, 233, 278, 325), con erronea indicazione dei termini della questione di costituzionalità (sentt. nn. 181, 278) o comunque prive degli elementi argomentativi idonei a dimostrare l’illegittimità costituzionale delle norme impugnate (sentt. nn. 10, 121, 312). Legittima, invece, è la proposizione di questioni cautelative e ipotetiche, a condizione che non siano implausibili (sent. n. 278) (22), mentre inammissibili sono le censure aventi a oggetto la denuncia di mere circostanze di fatto (23).
L’impugnativa di un’intera legge è inammissibile ove ciò comporti la genericità delle censure e non consenta l’individuazione della questione oggetto dello scrutinio di costituzionalità, essendo adeguatamente motivate solo le disposizioni rivolte verso singole disposizioni (24); ammissibili, invece, sono le impugnative contro intere leggi caratterizzate da normative omogenee e tutte coinvolte dalle censure (25) (sentt. nn. 178, 195, 246, 300) o dalle quali sia comunque possibile individuare con chiarezza le singole censure (26) (sent. n. 223). Tale esigenza di determinatezza, inoltre, non consente di rimettere alla difesa tecnica, che non ha tale prerogativa, l’individuazione delle disposizioni da impugnare (sent. n. 278).
Da ultimo, va precisato che l’accoglimento delle eccezioni d’inammissibilità su una determinata questione determina l’infondatezza delle censure d’illegittimità derivata, venendo a mancare il presupposto stesso della doglianza (sent. n. 45).
 
 
2.5.   Parametro
 
L’erronea indicazione del parametro interposto, nell’impugnazione di leggi regionali per contrasto con la normativa statale, determina l’inammissibilità della questione (sent. n. 221).
Riguardo alle autonomie speciali, invece, non vi è alcuna contraddizione, da parte del ricorrente, nel citare, come parametro del ricorso, sia una specifica disposizione statutaria sia, in subordine, l’art. 117, comma 2, Cost., quando tale modalità espositiva sia tesa comunque a evidenziare l’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata (sentt. nn. 101, 247).
 
 
2.6.   Oggetto
 
Per giurisprudenza consolidata (27), la modifica della “veste formale” delle norme impugnate non comporta di per sé il venir meno della materia del contendere, se faccia permanere i contenuti precettivi delle disposizioni, concernendo aspetti marginali; in tali casi, infatti, la questione dovrà trasferirsi sulla nuova disposizione (sentt. nn. 15, 40, 57, 121, 133, 326). Ciò detto, il ricorrente ha l’onere di una specifica determinazione riguardo alla permanenza dell’interesse a ricorrere contro il nuovo atto (28), pena l’inammissibilità della questione (sent. n. 326). Con specifica attenzione ai decreti legge, nei casi di mancata conversione, poiché la sanatoria non costituisce equipollente della stessa (29), il trasferimento della questione deve ritenersi precluso (30), con conseguente inammissibilità della questione (31), quando il ricorrente abbia la concreta possibilità di una tempestiva nuova impugnazione, (ord. n. 204).
Spostandoci sul piano dei conflitti di attribuzione, benché l’oggetto degli stessi sia la lesione delle attribuzioni costituzionali dell’ente, all’accertamento di tale lesione si può pervenire solo attraverso la tempestiva impugnazione dell’atto che si assume l’abbia prodotta. Inammissibili, pertanto, sono i ricorsi che abbiano a oggetto atti meramente confermativi, consequenziali, riproduttivi, esplicativi o esecutivi, facendo difetto i requisiti dell’originarietà e dell’attualità del conflitto (32), che avrebbe dovuto effettuarsi a proposito dell’atto che lo aveva causato entro il relativo termine (33); in caso contrario, infatti, si avrebbe una surrettizia elusione del termine decadenziale di proposizione del ricorso (34) (sent. n. 369).
Deve ritenersi priva di qualsiasi idoneità lesiva rispetto alle attribuzioni costituzionali dello Stato la promulgazione e la pubblicazione di un ’“atto denominato legge” approvato dal Presidente della Giunta Regionale in qualità di commissario ad acta, trattandosi di una mera parvenza di legge, priva dei necessari requisiti previsti dalla Costituzione per poter essere ritenuta atto legislativo regionale ai sensi dell’art. 121 Cost. (sent. n. 361).
Sebbene vi siano isolate eccezioni in giurisprudenza (35), non costituiscono oggetto di un conflitto, con conseguente impossibilità di configurare una vindicatio potestatis e dunque un “regolamento di competenza” in ordine alla delimitazione delle attribuzioni costituzionali degli enti in conflitto, le controversie circa la titolarità di un bene demaniale, che si risolvano in un’interpretazione della normativa diretta a stabilire a quale di tali enti spetti la proprietà dello stesso (sent. n. 102).
 
 
2.7.   Riunione dei giudizi e separazione delle decisioni con riserva di ogni decisione sulle restanti questioni di legittimità costituzionale
 
Di discreto numero nel 2010 i casi di riunione pura e semplice dei giudizi, motivati dalla connessione oggettiva e/o soggettiva dei ricorsi (sentt. nn. 10, 20, 45, 67, 115, 215, 267, 278, 324, 369), dalla identità di censure (sentt. nn. 15,16, 34, 68, 142, 226, 357; ord. n. 204), dall’omogeneità dei ricorsi o delle norme impugnate (sentt. nn. 52, 124, 149, 266; ord. n. 75). L’identità di censure è alla base della riunione di giudizi anche nell’ambito dei conflitti di attribuzione (sentt. nn. 259, 274). La connessione tra i ricorsi, inoltre, legittima anche la peculiare riunione di giudizi in via principale e giudizi sui conflitti (sent. n. 361).
L’assenza di omogeneità delle questioni sollevate da più ricorsi e all’interno di ogni singolo, invece, porta la Corte a optare per una trattazione separata delle questioni prive di collegamento (sentt. nn. 21, 27, 40, 57, 182, 207, 341; ord. n. 184), sempre nel caso di ricorsi aventi a oggetto i cd. provvedimenti statali omnibus, specie i cd. “decreti “anti-crisi” o affini e, in minor tono, la legge finanziaria (sent. 341).
Non troppo numerosi sono i casi in cui la Corte ha deciso con unica pronuncia le questioni omogenee, riservandosi di decidere separatamente sulle altre questioni, secondo i canoni sopra ricordati (sentt. nn. 10, 15, 16, 20, 121, 133, 176, 215, 325, 326, 331), anche qui quasi sempre riguardo ai cd. “decreti anti-crisi”, salvo il caso della legge finanziaria (sent. 326).
 
 
2.8.   Tipi di decisioni
 
La maggioranza delle questioni di legittimità proposte ha trovato accoglimento nella giurisprudenza del 2010 (87 pronunce per 104 dispositivi, in maggioranza recanti declaratorie d’illegittimità costituzionale pura e semplice). Tra queste si segnalano le undici decisioni contenenti dichiarazioni d’illegittimità consequenziale di disposizioni inscindibilmente connesse a quelle annullate (sentt. nn. 101, 132, 141, 170, 186, 215, 326, 332, 341, 344).
Tra le decisioni processuali, se ne segnalano 28 contenenti dispositivi d’inammissibilità (57 in tutto), a cui deve aggiungersene una di manifesta inammissibilità (ord. n. 204). Diciannove sono le pronunce recanti dichiarazioni di cessazione della materia del contendere (sentt. nn. 1, 2, 4, 40, 57, 112, 125, 151, 357; ordd. nn. 75, 136), generalmente motivata dall’abrogazione, soppressione o modifica satisfattiva della normativa impugnata, in assenza di concreta attuazione medio tempore della stessa. Inoltre, per le stesse ragioni, la cessazione della materia del contendere può determinarsi anche per rinuncia al ricorso (anche quando non formalmente espressa, sent. n. 121), in assenza di regolare accettazione della stessa (sentt. nn. 52, 179, 199; ord. nn. 117, 118, 126, 159) (36). Sei, invece, sono le pronunce di cessazione della materia del contendere consequenziale alla promulgazione parziale di una legge regionale siciliana, con omissione delle parti impugnate, come da costante giurisprudenza costituzionale (37) (ordd. nn. 74, 155, 161, 175, 183, 212).
In ben 31 decisioni è stata dichiarata l’estinzione del processo per rinuncia al ricorso (ordd. nn. 8, 14, 63, 79, 92, 99, 137, 147, 148, 158, 184, 185, 202, 206, 218, 231, 238, 239, 240, 244, 262, 275, 305, 323, 330, 348, 372; sent. n. 176, 267, 278, 361), quasi sempre in virtù dell’abrogazione, sostituzione o modifica del provvedimento impugnato. In 14 casi la rinuncia non ha richiesto l’accettazione della controparte poiché il resistente non si era costituito in giudizio (ordd. nn. 8, 14, 79, 92, 137, 148, 158, 206, 239, 244, 307, 323, 348; sent. n. 361) (38).
In quattro casi la Corte si è trovata a decidere sulla domanda cautelare, dichiarando sovente la stessa assorbita dalla pronuncia di merito (sentt. nn. 16, 68, 326); solo in un caso da sospensiva è stata autonomamente rigettata in sede cautelare, per difetto del periculum in mora (ord. n. 107).
Da ultimo si segnala una declaratoria d’illegittimità costituzionale per lesione del giudicato costituzionale (sent. n. 350).
Nei giudizi per conflitto d’attribuzione, tra quelle di merito, le pronunce di rigetto sono la maggioranza (5); quattro, invece, le decisioni di accoglimento. Tra le processuali vi sono state tre declaratorie d’inammissibilità (sentt. nn. 102, 361, 369). Due, infine, le dichiarazioni di estinzione del processo per rinuncia al ricorso, regolarmente accettata solo in una vicenda (ordd. nn. 307, 375).
 
 
3.      Statuti, forma di governo e legge elettorale regionale
 
3.1.   L’autonomia statutaria e la legge elettorale regionale.
 
Nel 2010 le riflessioni della Corte hanno avuto a oggetto principalmente le questioni concernenti la legislazione elettorale regionale, di competenza concorrente Stato-Regioni ex art. 122 Cost. e i suoi rapporti con l’autonomia statutaria di cui all’art. 123 Cost.
In primo luogo, la Corte precisa che l’integrazione tra forma di governo e legge elettorale, richiesta dalla l. cost. n. 1 del 1999, può essere assicurata anche dal fatto che l’iter di approvazione dei due atti normativi sia parallelo, sebbene poi l’approvazione della legge elettorale sia anteriore a quella statutaria in virtù del procedimento di cui all’art. 123 Cost. Dunque, sebbene tale fatto possa giustificare un’impugnativa governativa della normativa elettorale, la successiva entrata in vigore dello statuto prima della notifica del ricorso ne fanno venir meno le ragioni, se medio tempore la nuova legge elettorale non abbia avuto applicazione, con conseguente cessazione della materia del contendere. In secondo luogo, vengono ritenute legittime le disposizioni della legge della Regione Campania n. 4 del 2009 poste a tutela della rappresentanza di genere in seno al Consiglio regionale, ove si prevede per l’elettore la possibilità di esprimere uno o due voti di preferenza, ma, nel secondo caso, debba essere indicato un candidato per ciascun genere, pena l’annullamento della seconda preferenza. Siffatta normativa, tuttavia, non configura, una diretta attribuzione di un risultato a favore di un sesso, senza turbare dunque la parità di chances delle liste e dei candidati e delle candidate nella competizione elettorale (39), ma ha una mera natura promozionale; né può ritenersi coartata la libertà di voto di cui all’art. 48 Cost., introducendosi una mera facoltà per l’elettore di esprimere una doppia preferenza, in virtù di una funzione riequilibratrice che solo indirettamente ed eventualmente può far ottenere il risultato di un’azione positiva (sent. n. 4).
Ulteriori precisazioni sono fatte poi riguardo alla disciplina delle incompatibilità e ineleggibilità, con particolare attenzione alle Regioni ad autonomia speciale, cui gli statuti attribuiscono una potestà legislativa di tipo primario. Nondimeno, la Corte ha più volte precisato che l’esercizio di tale potestà incontra in ogni caso il limite del rispetto del principio di eguaglianza specificamente sancito in materia dall’art. 51 Cost., a tutela del fondamentale diritto di elettorato passivo (40), il quale può essere disciplinato unicamente da leggi generali e soltanto al fine di realizzare altri interessi costituzionali altrettanto fondamentali e generali (41) (sent. n. 143), tenendo presente il principio per cui l’eleggibilità è la regola, l’ineleggibilità l’eccezione (sent. n. 283); a livello regionale, pertanto, la diversificazione delle cause di ineleggibilità e incompatibilità, può avvenire solo sulla base di condizioni peculiari locali, da apprezzare secondo un criterio di ragionevolezza (42) (sentt. nn. 143, 283), anche quando la normativa tenda ad ampliare il diritto di elettorato passivo, dal momento che in tal modo si comprimono indirettamente gli analoghi diritti di altri soggetti interessati (sent. n. 143) (43). Ciò detto, per le autonomie speciali non è possibile estendere il regime di competenza concorrente previsto dall’art. 122 Cost.; tuttavia, le stesse non si sottraggono all’applicazione dei principi enunciati dalla legge n. 165 del 2004, recante i principi fondamentali della materia per le Regioni a statuto ordinario, che siano però espressivi dell’esigenza indefettibile di uniformità imposta dagli artt. 3 e 51 Cost. (sentt. nn. 143 e 283).
Nella specie, viene in rilievo il vincolo di configurare, a certe condizioni, le ineleggibilità sopravvenute come cause di incompatibilità (art. 2, comma 1, lett. c) della legge n. 165), in virtù di una sorta di parallelismo tra i due istituti. Ora, poiché il cumulo tra l’ufficio regionale e quello locale è senz’altro suscettibile di compromettere il libero espletamento della carica o comunque i principi tutelati dall’art. 97 Cost., come più volte precisato dalla giurisprudenza costituzionale (44), incostituzionali appaiono quelle previsioni che eludano il divieto di cumulo tra le due cariche; ogni deroga, pertanto, dovrà essere valutata secondo uno stretto scrutinio di ragionevolezza, che può riscontransi, ad esempio, nel caso di ridotte dimensioni territoriali del Comune (45). Di conseguenza, poiché l’art. 8 della legge della Sicilia n. 29 del 1951 non considera eleggibili a deputato regionale i sindaci e gli assessori dei Comuni con popolazione superiore a 20 mila abitanti, in virtù del principio del parallelismo sopra richiamato, anche la sopravvenuta ricorrenza della causa di ineleggibilità dovrebbe trovare la medesima disciplina, con conseguente illegittimità di una normativa contraria non giustificata da specifiche ragioni (sent. n. 143).
Legittima, invece, è la previsione dell’ineleggibilità alla carica di consigliere regionale per i titolari di posizioni apicali nell’Azienda sanitaria regionale e nelle strutture sanitarie e socio-sanitarie accreditate (con la mera incompatibilità per le posizioni intermedie), introdotta in Valle d’Aosta. Si tratta, infatti, di una disciplina in armonia con il principi generali di cui alla l. n. 165 del 2004, poiché la posizione delle autorità di vertice delle strutture sanitarie, come d’altronde previsto da molte altre Regioni e dalla stessa disciplina statale più risalente, consente d’influire in vario modo sugli orientamenti degli elettori, determinando quel pericolo di capatatio benevolentiae e di metus publicae potestatis che rende perfettamente ragionevole la disciplina regionale (sent. n. 283).
 
 
3.2.   La disciplina degli organi di governoi
 
Come già affermato dalla Corte (46), ai sensi del nuovo articolo 123 Cost., la disciplina dell’eventuale prorogatio degli organi elettivi regionali dopo la loro scadenza o scioglimento o dimissioni, nonché degli eventuali limiti dell’attività degli organi prorogati, è fondamentalmente di competenza dello statuto della Regione, come parte della disciplina della forma di governo regionale. In virtù del limite dell’armonia con la Costituzione, tuttavia, le disposizioni statutarie che prevedano siffatto istituto, devono interpretarsi come facoltizzanti il solo esercizio delle attribuzioni relative ad atti necessari e urgenti, dovuti o costituzionalmente indifferibili, e non già espressive di una generica proroga di tutti i poteri degli organi regionali; l’assenza di un qualsivoglia limite, infatti, urterebbe con la ratio dell’istituto, quale punto di bilanciamento fra il principio di rappresentatività e quello della continuità delle istituzioni. Limiti siffatti, tuttavia, anche se non disciplinati dallo statuto, potrebbero  essere definiti tramite apposite disposizioni legislative attuative o semplicemente rilevare nei lavori consiliari o dallo specifico contenuto delle leggi adottate; in assenza di una preventiva delimitazione da parte del Consiglio delle materie da disciplinare in regime di prorogatio, invece, non può che rilevarsi l’illegittimità costituzionale delle norme di legge attuate in tale periodo (sent. n. 68).
 
 
4.      Il limite degli obblighi comunitari e l’art. 117, comma 5
 
La violazione delle norme comunitarie, quale parametro interposto ai sensi dell’art. 117, comma 1, Cost., è riscontrata a proposito della cd. “tassa sul lusso” introdotta dalla Regione Sardegna, per contrasto con l’art. 49 del Trattato CE (attuale art. 56 TFUE) introducendo illegittime restrizioni alla libera prestazione di servizi; va sottolineato che tale illegittimità è conseguente alla pronuncia della Corte di giustizia sul rinvio pregiudiziale effettuato dalla Corte sulla legge in questione (sentenza n. 102 e ordinanza n. 103 del 2008) (sent. n. 215). Infatti, se la lesione delle norme di diritto comunitario, quale parametro interposto, da parte di leggi statali o regionali, è sempre proponibile dei ricorrenti, spetta alla Corte costituzionale la possibilità di esperire il ricorso pregiudiziale nel caso in cui la disposizione comunitaria non risulti chiara (sent. n. 325).
Un'altra diretta violazione di norme comunitarie, nella specie quelle in tema di diritto di stabilimento, di tutela della concorrenza e del principio di non discriminazione (art. 49 TFUE), viene rilevata per la normativa regionale che prevede un diritto di proroga in favore del soggetto già possessore della concessione sul demanio marittimo, consentendo il rinnovo automatico della medesima; in tal modo, infatti, si determina una disparità di trattamento (47), escludendo dalla possibilità di prendere il posto del vecchio gestore alla scadenza della concessione per coloro che in precedenza non gestivano il demanio marittimo, se non nel caso in cui non si chieda la proroga o la si chieda senza un valido programma di investimenti (sentt. nn. 180, 340); il che è ancora più vero quando la possibilità di usufruire della proroga sia estesa anche ai soggetti non in possesso dei requisiti di legge (sent. n. 233).
Lesiva della normativa comunitaria è anche l’adozione da parte delle Regioni di una disciplina che, senza adeguata motivazione, rechi deroghe al generale divieto di abbattimento o cattura di uccelli selvatici appartenenti alle specie protette. Come precisato dalla Corte costituzionale (48) (nonché dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia), infatti, tali deroghe risultano ammissibili, ai sensi della normativa europea, solo in casi eccezionali e d’interesse generale, i quali devono trovare specifica indicazione negli atti che le prevedano (sent. n. 266).
Alcune riflessioni hanno poi riguardato la Valutazione d’Impatto Ambientale (V.I.A.), disciplinata dal Codice dell’ambiente (d.lgs. n. 152 del 2006), seppure in connessione con il parametro di cui all’art. 117, comma 2, lett. s), Cost.; censurando la difformità rispetto alla normativa statale, che recepisce direttive comunitarie, di leggi regionali concernenti la proroga delle autorizzazioni per le attività estrattive (sent. n. 67, per cui vedi infra, par. 7.12).
Non può, infine, considerarsi quale parametro interposto la Carta europea dell’autonomia locale, avendo essa natura programmatica e non precettiva (sent. n. 325).
Riguardo all’attuazione del diritto comunitario, la Corte precisa che la competenza per l’attuazione delle direttive, nelle materie di legislazione esclusiva dello Stato, come la tutela dell’ambiente, in cui rientra la disciplina dei rifiuti, appartiene inequivocabilmente allo Stato, e non sono ammesse iniziative delle Regioni di regolamentare nel proprio ambito territoriale la materia, ispirandosi ad una direttiva non ancora recepita per i rifiuti (49) (sentenza n. 127). Non lede le competenze statali in materia, né il principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost., invece, la normativa regionale che disciplini la partecipazione regionale al Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale, di cui a specifico regolamento della comunità europea; la sospensione dell’efficacia della legge regionale al perfezionamento delle procedure statali di autorizzazione, pertanto, non configurano un’attuazione da parte della Regione della normativa comunitaria prima della sua trasposizione nell’ordinamento interno con atto statale (sent. n. 112).
 
 
5.      Riparto delle competenze, sussidiarietà, leale collaborazione
 
5.1.   La c.d. “chiamata in sussidiarietà”
 
Com’è noto, lo strumento della “chiamata in sussidiarietà”, elaborato dalla giurisprudenza costituzionale a partire dalla sentenza n. 303 del 2003, opera al fine di consentire allo Stato l’allocazione e la disciplina di una funzione amministrativa a livello centrale, pur quando la materia, secondo un criterio di prevalenza, appartenga alla competenza regionale concorrente, ovvero residuale. Ciò, tuttavia, a condizione che vengano rispettati i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza nell’allocazione delle funzioni amministrative, rispondendo a esigenze di esercizio unitario di tali funzioni, secondo quanto prescritto dall’art. 118 Cost.; inoltre, la legge statale deve dettare una disciplina pertinente e idonea alla regolazione delle suddette funzioni, che risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tale fine. Da ultimo, essa deve risultare adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o comunque prevedere adeguati meccanismi di cooperazione per l’esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali (sent. n. 278); è quindi necessaria una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, specie con le specifiche Regioni interessate (o in sede di Conferenza Stato-Regioni), che devono essere condotte in base al principio di lealtà (sentt. nn. 121, 278) (50). Lo strumento dell’intesa può considerarsi pienamente satisfattivo del principio di leale collaborazione, risolvendosi in una paritaria codeterminazione dell’atto, senza che una delle volontà possa prevalere sull’altra, degradando l’intesa a parere (51); il superamento delle eventuali situazioni di stallo, infatti, deve essere realizzato attraverso idonee procedure, affinché possano svolgersi reiterate trattative volte a superare le divergenze che ostacolino il raggiungimento di un accordo (52) (sent. n. 121). Tale cogenza delle procedure cooperative s’impone anche quando l’attrazione in sussidiarietà avvenga attraverso lo strumento della delegazione legislativa, dovendosi ritenere vincolato al rispetto di tali canoni il Governo, pur in assenza di specifiche indicazioni del legislatore delegante in relazione alle modalità del coinvolgimento regionale (53) (sent. n. 278). Una deroga a tali canoni può aversi quando la funzione amministrativa in questione sia caratterizzata da una natura eminentemente tecnica, che esige, in quanto tale, scelte improntate all’osservanza di standard e metodologie desunte dalle scienze; in tali evenienze, come nel caso dell’energia nucleare (vedi infra, par. 8.8), il coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni può quindi limitarsi all’espressione di un parere obbligatorio (54) (sent. n. 278). Tale coinvolgimento “affievolito” può giustificarsi anche in base alle esigenze poste dal diritto comunitario, come quella di accelerare la convergenza degli Stati membri nelle condizioni di crescita economica e occupazione. E’ il caso delle “infrastrutture”, settore che si trova all’incrocio tra competenze concorrenti ed esclusive statali, ove si è legittimata l’istituzione di un Fondo per il finanziamento, in via prioritaria, di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale (d.l. n. 112 del 2008, conv. in l. n. 133 del 2008), attribuendo al CIPE l’adozione degli atti di ripartizione del fondo, previo il mero parere della Conferenza unificata; d’altronde, il coinvolgimento “forte” delle Regioni avviene nella fase di concentrazione delle risorse sulle infrastrutture d’interesse strategico nazionale, mediante la stipula di intese istituzionali di programma (sent. n. 16).
La chiamata in sussidiarietà si riscontra anche riguardo all’edilizia residenziale pubblica (per cui vedi infra, par. 9.4), in quanto la determinazione dei livelli minimi di offerta abitativa per specifiche categorie di soggetti deboli non può essere disgiunta dalla fissazione su scala nazionale degli interventi, allo scopo di evitare squilibri e disparità nel godimento del diritto alla casa da parte delle categorie sociali disagiate (55). Il rispetto delle esigenze di leale collaborazione, tuttavia, fa sì che non possa prevedersi in tale settore la procedura di cui alla normativa sulle infrastrutture strategiche, che prescinde dall’intesa con la Conferenza unificata (sent. n. 121).
Ancora una volta, i presupposti per la “chiamata in sussidiarietà” possono riscontrarsi in materia di energia (56) (vedi infra, par. 8.8), nella specie riguardo alla disciplina della DIA in luogo dell’autorizzazione unica alla realizzazione d’impianti da fonti rinnovabili (sent. n. 119). Qualora ciò sia motivato dall’urgenza necessaria per l’esecuzione delle opere, esso deve essere confortato da valide e convincenti argomentazioni e, per le iniziative di rilievo strategico, dovrebbe comportare l’assunzione diretta da parte dello Stato della realizzazione delle opere medesime, con l’illegittimità della previsione di interventi da realizzarsi con capitale interamente o prevalentemente privato, che per sua natura è aleatorio; in tal caso, infatti, non ci sarebbe motivo di sottrarre alle Regioni la competenza nella realizzazione degli interventi, apparendo dunque l’intervento legislativo statale sproporzionato (sent. n. 215).
Chiamate in sussidiarietà, da ultimo, possono aversi anche per gli interventi di politica sociale riconducibili alla materia dei servizi sociali che, per loro stessa natura, sfuggono alla sola dimensione regionale, specie in virtù della competenza statale di cui all’art. 117, comma 2, lett. m) (sent. n. 10, per cui vedi infra, par. 7.9).
 
 
5.2.      Leale collaborazione
 
Le procedure di cooperazione o di concertazione, com’è noto (57), possono rilevare ai fini dello scrutinio di legittimità degli atti legislativi solo in quanto la loro osservanza sia imposta, direttamente o indirettamente, dalla Costituzione (sent. n. 278). Sfugge pertanto alle procedure di leale collaborazione, invece, l’attività di produzione legislativa (58) (sentt. nn. 16, 100, 112, 246, 326). Pertanto, l’approvazione da parte del Ministro della salute e del Ministro dell’economia e delle finanze dei provvedimenti regionali di spesa e programmazione sanitaria previsti dall’Accordo sui piani di rientro concerne i soli provvedimenti amministrativi regionali e non quelli legislativi (sent. n. 100).
I profili attinenti la leale collaborazione, inoltre, non vengono di per sé in rilievo quando lo Stato eserciti competenze rimesse alla sua potestà legislativa esclusiva, sebbene non debba escludersi una qualche forma di coinvolgimento delle Regioni, soddisfatta anche dalla mera richiesta di parere della Conferenza Stato-Regioni (sentt. nn. 15, 325); la qual cosa appare ancora più vera in ambiti in cui le competenze esclusive statali incidano su settori fortemente articolati, in cui concorrono competenze regionali, come nel settore dell’istruzione (sent. n. 309). Discorso analogo può farsi anche per l’adozione di atti regolamentari (sent. n. 52).
Gli strumenti di leale collaborazione, invece, s’impongono nel caso d’intreccio di competenze tra Stato e Regioni (vedi infra, par. 6.1); la disciplina delle relative modalità cooperative, nonché le vie per superare lo stallo dovuto ai dissensi tra le parti, però, non possono che essere rimessi al legislatore statale, non ammettendosi che una Regione usi le proprie prerogative al fine di rendere inapplicabile nel suo territorio una legge statale (59), salva la possibilità per queste ultimi di sottoporre la relativa disciplina al vaglio della Corte (sent. n. 331). Ove lo Stato ricorra allo strumento dell’intesa, nondimeno, deve esserne rispettato il regime giuridico, che consiste nella sostanziale codeterminazione dell’atto e sull’equivalenza delle volontà dei soggetti coinvolti (sent. n. 332).
Da ultimo si riafferma che “né la sfera di competenze costituzionalmente garantita delle Regioni, né il principio di leale collaborazione risultano violati da una norma che prende atto dell’inattività di alcune Regioni nell’utilizzare risorse poste a loro disposizione nel bilancio dello Stato (sent. n. 105 del 2007)” (sent. n. 16).
 
 
5.3.      Poteri sostitutivi
 
Costituisce ormai ius receptum che l’esercizio dei poteri sostitutivi di cui all’art. 120, comma 2, Cost. deve rispondere a determinati requisiti, radicati nella giurisprudenza costituzionale (60): la sussistenza di previsione legislativa (recante i presupposti sostanziali e procedurali); l’essere rivolto al compimento di atti o attività prive di discrezionalità nell’an; il necessario esercizio da parte di un organo di Governo o sulla base di una decisione di questo; la predisposizione legislativa di congrue garanzie procedimentali, in conformità al principio di leale collaborazione. In pendenza dell’esercizio del potere sostitutivo statale si determina, inoltre, la cessazione del potere d’intervento regionale; in caso di adempimento tardivo degli obblighi gravanti sulla Regione, pertanto, dovrà sottoporsi a esame la normativa regionale tardiva, onde valutare se essa abbia “svuotato” l’esercizio del potere sostitutivo. Nei casi di commissariamento delle Regioni con deficit sanitario, dunque, le misure regionali previste al fine di rispettare gli obiettivi poste dai piani di rientro, oltre a dover essere coerenti con gli stessi, non possono sovrapporsi ai poteri attribuiti al commissario ad acta. Ne deriva l’illegittimità di normative che riservino esclusivamente agli organi ordinari della Regione la modifica delle disposizioni finanziarie, di bilancio e contabili, sebbene esse presentino profili di interferenza con l’attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario; in senso analogo deve dirsi per quelle norme che, prevedendo una proroga automatica e generalizzata dei direttori generali delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere (sent. n. 2).
Poiché l’individuazione delle fonti legislative può essere disposta solo da norme di rango costituzionale e, a livello regionale, è solo il Consiglio regionale l’organo titolare del potere legislativo, l’art. 120 Cost. non consente una deroga all’ordine costituzione delle competenze degli organi regionali tale da prevedere poteri legislativi in capo a soggetti diversi, quali il Commissario del Governo (sent. n. 361).
 
 
6.      Oggetto e materie
 
Per l’individuazione della materia alla quale va ricondotta la disciplina oggetto di scrutino deve aversi riguardo all’oggetto e alla regolamentazione stabilita dalle norme impugnate, tenendo conto della loro ratio, della finalità perseguite e del contesto, tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi, così da identificare l’interesse tutelato; dunque la qualificazione legislativa non vale ad attribuire alle norme una natura diversa da quella a essa propria, in ragione della loro oggettiva sostanza (61) (sentt. nn. 16, 52, 207, 235, 247, 278, 326) (62). Nel nuovo assetto costituzionale gli interventi legislativi statali dovranno trovare volta per volta specifica giustificazione nelle potestà costituzionalmente attribuite, essendo venuta meno, in virtù dell’abrogazione della clausola dell’interesse nazionale, l’equazione tra interesse nazionale e competenza statale (sent. n. 278).
Specifici esempi possono farsi per le “infrastrutture”, che non possono ricondursi all’elencazione di cui all’art. 117 Cost., ma comprendono le opere finalizzate alla realizzazione di complessi costruttivi destinati a uso pubblico, incidendo su materie di competenza legislativa concorrente (governo del territorio, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, produzione trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, coordinamento della finanza pubblica), nonché potestà esclusive dello Stato, come l’ambiente, la sicurezza e la perequazione delle risorse finanziarie (sent. n. 16). Non integrano una vera e propria materia “i lavori pubblici”, che si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono, potendo, pertanto, essere ascritti di volta in volta a potestà legislative statali o regionali (63); così anche l’“attività contrattuale della pubblica amministrazione”, che inerisce alle singole materie sulle quali essa si esplica (sent. n. 45) (64).
Deve essere riconosciuta natura accessoria rispetto alla normazione delle attività ricadenti nelle singole materie alla disciplina dell’attività volontaria e negoziale di prevenzione delle liti, con le conseguenze che da ciò derivano in termini di limiti alla potestà legislativa regionale di volta in volta esercitata. Nel fare salve tutte le negoziazioni volontarie e paritetiche, volte alla prevenzione delle liti, nonché le norme contenute nelle carte di servizi, infatti, lo Stato riconosce ad altri enti (ivi comprese, naturalmente, le Regioni) l’implicita capacità di regolare la composizione stragiudiziale di controversie attinenti ad attività, nei limiti della propria sfera di competenza, senza sconfinare nella disciplina della funzione giurisdizionale o comunque di atti e procedure che possono incidere sulla stessa (sent. n. 178, per cui vedi infra, par. 8.4).
 
 
6.1    Intreccio di più materie e competenze in un unico oggetto
 
6.1.1    Principi generali
 
Nei casi d’intreccio di competenze, com’è noto, mancando un meccanismo di composizione delle interferenze previsto dalla Costituzione, la Corte applica il criterio della prevalenza, qualora sia possibile inquadrare in un determinato ambito materiale il nucleo essenziale delle norme sottoposte al suo scrutinio (sentt. nn. 52, 278) (65). Ove non possa ravvisarsi la sicura prevalenza di un complesso normativo rispetto ad altri si verifica un caso di concorrenza di competenze, la quale esige l’adozione di adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni, a salvaguardia delle loro competenze, in applicazione del canone della leale collaborazione (sent. n. 278) (66).
 
 
6.1.2.   Casi pratici d’intreccio di competenze e materie
 
Uno dei settori di maggior intreccio di competenze è stato nel 2010 quello dell’“energia”. In primo luogo si è ricondotta, secondo un criterio di prevalenza, alla materia concorrente della produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, la scelta del legislatore statale di avviare un programma di produzione di energia nucleare (l. n. 99 del 2009, oggetto tuttavia di abrogazione a seguito del referendum tenuto il 12 e 13 giugno 2011), adottando nuovi principi fondamentali adeguati alle evidenti specificità di questo settore; in tale ambito, pertanto, rientrano le norme concernenti la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia nucleare, il regime di autorizzazione unica e le procedure tese al superamento delle mancate intese con gli enti locali interessati (sentt. nn. 278, 331); i rilevanti interessi unitari coinvolti, giustificano, inoltre, la presenza di “chiamate in sussidiarietà” (vedi par. 5.1), specie per quanto attiene alla selezione delle aree d’interesse strategico nazionale (sent. n. 278). Ciò detto, sono coinvolte anche ulteriori competenze statali, quali la tutela dell’ambiente, tenuto conto che la normativa comunitaria impone standard di garanzia per la protezione della popolazione e dell’ambiente contro i rischi di contaminazione; in siffatto settore, dunque, si colloca la disciplina sullo smaltimento dei rifiuti radioattivi e sulla costruzione dei relativi impianti (67) (sentt. nn. 278, 332). Altra potestà esclusiva statale interessata è quella relativa all’ordine pubblico e sicurezza (68), per gli aspetti riguardanti la possibilità di sottoporre i siti nucleari a speciali forme di vigilanza e protezione, al fine di prevenzione dei reati in prossimità delle aree interessate (sent. n. 278). Le citate attribuzioni dello Stato, tuttavia, concorrono con competenze di tipo concorrente, quali il governo del territorio e la tutela della salute, rendendo necessaria la predisposizione di opportune forme di collaborazione con le Regioni ove gli interventi sono destinati a realizzarsi (69) (sent. n. 278); forme che vanno individuate nell’intesa tra lo Stato e la Regione interessata, secondo le modalità previste dalla disciplina statale (sent. n. 332). In secondo luogo, sempre nel settore energetico, viene in rilievo la disciplina statale di favore riguardo all’insediamento sul territorio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati con carbon fossile, tesa a contenere l’emissione nell’ambiente di sostanze inquinanti, che incide sulle materie concorrenti della produzione di energia e del governo del territorio. La normativa statale, pertanto, deve conciliare l’esigenza di promuovere un’opzione energetica con le prerogative, proprie dell’autonomia regionale, di governare lo sviluppo urbanistico. La pari dignità costituzionale di tali esigenze, allora, fa sì che l’intervento statale debba essere conforme a un criterio di proporzionalità (70). Riguardo alla localizzazione degli impianti, quindi, è logico che riprenda pieno vigore l’autonoma capacità delle Regioni e degli enti locali di regolare l’uso del proprio territorio, purché, ovviamente, nel rispetto delle esigenze di pianificazione nazionale, non potendo ostacolare ingiustificatamente l’insediamento degli stessi, mediante l’introduzione di limiti alla localizzazione (71); legittima, invece, è la fissazione di criteri, quand’anche formulati per mezzo della delimitazione di aree ben identificate, ove emergano interessi particolarmente pregnanti affidati alle cure del legislatore regionale, purché ciò non determini l’impossibilità di una localizzazione alternativa (72). Illegittima, in definitiva, è l’adozione da parte della legislazione statale di una generale clausola derogatoria di quella regionale sulla localizzazione degli impianti in questione, in assenza di un imperativo di carattere tecnico che imponga un’incondizionata subordinazione dell’interesse urbanistico a esigenze di funzionalità della rete. Solo quando la legge regionale determini l’impossibilità assoluta dell’insediamento tale clausola potrà trovare applicazione (sent. n. 278).
Altro settore in cui si riscontra un intreccio di competenze è quello “regolamentazione del mercato mobiliare”, ormai non più ancorata a un modello pubblicistico, bensì privatistico, più conforme ai principi comunitari di liberalizzazione dei servizi di investimento e di mutuo riconoscimento. Concorrono, pertanto, la tutela della concorrenza,che legittima l’adozione di misure legislative volte ad assicurare, sul piano macroeconomico e per fini di uniformità sull’intero territorio nazionale, la stabilità finanziaria dei mercati in cui si svolgono le contrattazioni, nonché la tutela del risparmio, e l’ordinamento civile, per quanto concerne le misure poste a tutela della parte “debole” del contratto, che incidono perciò sui rapporti negoziali; inoltre, è interessata anche la competenza concorrente sul coordinamento della finanza pubblica, per gli aspetti concernenti la potestà degli enti territoriali di accedere al mercato dei capitali. La normativa statale (d.l. n. 112 del 2008, conv. in l. n. 133 del 2008), dunque, ha inteso tutelare la sua stabilità del mercato e i risparmiatori che vi operano, soprattutto attraverso la predisposizione di un articolato sistema di vigilanza attribuito ad autorità che operano al di fuori del circuito governativo. In tale ottica, va ricondotta in prevalenza alle competenze esclusive statali citate la fissazione di restrizioni riguardo alla stipula da parte delle Regioni e delle Province autonome di contratti di finanziamento mediante strumenti finanziari derivati; si tratta, infatti, di una misura diretta essenzialmente a contenere l’esposizione delle autonomie territoriali a indebitamenti che, per il rischio che comportano, possono esporre le rispettive finanze ad accollarsi oneri impropri e non prevedibili all’atto della stipulazione dei relativi contratti (sent. n. 52).
Anche l’“edilizia residenziale pubblica” presenta un deciso intreccio di competenze, estendendosi su tre livelli normativi: il primo riguarda la determinazione dell’offerta minima di alloggi destinati a soddisfare le esigenze dei ceti meno abbienti, che rientra nella potestà esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., consentendo, pertanto, la fissazione di principi che valgano a garantire l’uniformità dei criteri di assegnazione su tutto il territorio nazionale (73); il secondo concerne la programmazione degli insediamenti di edilizia residenziale pubblica, che ricade nella materia governo del territorio (74); da ultimo, vi è la gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari (o degli altri enti che a questi sono stati sostituiti a opera della legislazione regionale), di competenza residuale delle Regioni (75) (sent. n. 121).
Come già affermato dalla Corte, nella disciplina dell’“apprendistato” s’incrociano diverse materie, le quali non si presentano “allo stato puro” (76). La formazione aziendale, infatti, rientra nel sinallagma contrattuale e quindi nelle competenze dello Stato in materia di ordinamento civile (77); spetta invece alle Regioni e alle Province autonome la regolamentazione della formazione pubblica, esterna all’azienda, in virtù della potestà residuale sull’istruzione e formazione professionale. Per quanto concerne la naturale proiezione esterna dell’apprendistato professionalizzante e l’acquisizione da parte dell’apprendista dei crediti formativi, inoltre, viene in rilievo la competenza concorrente sull’istruzione, mentre riguardo alla tutela degli apprendisti si ricade nella potestà, sempre concorrente, sulla tutela e sicurezza del lavoro. In conformità al principio di leale collaborazione, come le Regioni non possono, nell’esercizio delle proprie competenze, svuotare sostanzialmente di contenuto la competenza statale (78), quest’ultima deve tener conto di tali interferenze, non potendo comportare una totale estromissione delle Regioni dalla disciplina de qua (sentt. nn. 176, 334). Ne deriva l’illegittimità per lo Stato di attribuirsi unilateralmente il potere di disciplinare le fonti normative per identificare il discrimine tra formazione aziendale (la cui disciplina gli spetta) e formazione professionale extra aziendale (di competenza delle Regioni); le norme regionali, invece, non possono disciplinare unilateralmente i profili formativi dell’apprendistato (sent. n. 334). La normativa statale, infine, può anche indicare norme “cedevoli” per ovviare all’eventuale assenza di regolamentazione regionale, al fine di dar luogo effettivamente ai contratti di apprendistato di alta formazione in quelle Regioni ove ancora non sia stata posta una disciplina in tal senso (sent. n. 176).
 
7.            Potestà esclusiva statale
 
7.1.      La tutela delle minoranze linguistiche (art. 6 Cost.)
 
Tra le materie non espressamente attribuite dall’art. 117 Cost. alla potestà esclusiva statale, ma a essa essenzialmente ascrivibili dall’interpretazione sistematica del testo costituzionale, vi è quella della “tutela della minoranze linguistiche”, esplicitamente sancita dall’art. 6 Cost. Come già affermato dalla Corte (79), in quanto relativo a un elemento identitario di remote ascendenze, il tema della tutela della lingua appare, non solo naturalmente refrattario a una rigida configurazione in termini di materia, ma soprattutto necessariamente sottratto alla competizione, o alla conflittualità, tra legislatori “competenti”. Perciò, è primariamente affidato alla normativa dello Stato, in considerazione delle ragioni storiche della propria più ampia rappresentatività, la garanzia in linea generale delle differenze linguistiche, al fine di rendere compatibili, le necessità del pluralismo con quelle dell’uniformità. Tali esigenze di unità e di eguaglianza (80), nondimeno, non escludono del tutto un potere d’intervento del legislatore regionale, in connessione alle ragioni di convergenti tutele dell’identità culturale e del patrimonio storico delle proprie comunità, che deve svolgersi però entro limiti determinati. In tal senso la legge n. 482 del 1999, evita di stabilire un criterio astratto per l’identificazione delle minoranze linguistiche, rivolgendosi soltanto a quelle considerate “storiche” nell’esperienza italiana, mediante la dettagliata enumerazione delle specifiche popolazioni destinatarie della tutela. Riguardo a tali aspetti la legislazione regionale non trova alcuno spazio, essendole preclusa l’identificazione e la tutela di una propria “lingua” regionale o altre proprie “lingue” minoritarie, anche al di là di quanto riconosciuto e stabilito dal legislatore statale; né, tanto meno, il legislatore regionale può configurare o rappresentare, sia pure implicitamente, la “propria” comunità in quanto tale come “minoranza linguistica” da tutelare ai sensi dell’art. 6 Cost. (sent. n. 170).
Da ciò deriva l’illegittimità della normativa della Regione Piemonte (l. n. 11 del 2009) tesa ad attribuire alla “lingua piemontese” un valore analogo alle minoranze linguistiche di cui all’art. 6 Cost., incentivandone l’uso negli uffici pubblici e nelle trasmissioni televisive. Diversamente, invece, deve dirsi per le disposizioni volte a favorire il ripristino delle denominazioni storiche dei Comuni, promuovendo, anche mediante contributi economici, indagini sulla toponomastica locale, trattandosi di mere misure tese alla valorizzazione del patrimonio culturale e linguistico regionale e locale (sent. n. 170).
 
 
7.2.      Politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea (lett. a))
 
Su di un piano generale, costituisce un assunto che, se i rapporti internazionali sono riferibili a singole relazioni, dotate di elementi di estraneità rispetto al nostro ordinamento, la politica estera, invece, concerne l’attività internazionale dello Stato unitariamente considerata, in rapporto alle sue finalità ed al suo indirizzo (81) (sent. n. 299).
Ciò detto, l’attività delle Regioni volta all’attuazione e all’esecuzione di accordi internazionali deve muoversi all’interno del quadro normativo contrassegnato dall’art. 117, quinto comma, Cost., e dalle norme della l. n. 131 del 2003 (82). Esse, pertanto, non possono dare esecuzione ad accordi internazionali indipendentemente dalla legge di ratifica, quando sia necessaria ai sensi dell’art. 80 Cost., nonché nel caso in cui, oltre a essere riconducibili a quelli stipulati in forma semplificata, intervengano in materie regionali (83). Illegittima, pertanto, è una legge regionale la quale dia esecuzione a una Convenzione internazionale non ancora ratificata (sent. n. 299).
Su di un piano diverso, la Corte precisa come le Regioni possano disciplinare l’accesso a determinate prestazioni assistenziali anche da parte dei non cittadini senza che possano ritenersi lese competenze esclusive statali (sentt. nn. 269, 299).
In primo luogo, la potestà concernente i rapporti dello Stato con l’Unione europea non è lesa da una normativa regionale la quale, “compatibilmente con le previsioni normative vigenti, fatte salve norme più favorevoli”, estenda anche ai cittadini neocomunitari gli interventi previsti dalla legislazione regionale nell’ambito delle varie prestazioni socio-sanitarie erogate dalla Regioni; si tratta, infatti, di disposizioni riguardanti settori di competenza regionale, concorrente o residuale, riconducibili al settore sanitario, dell’istruzione, dell’accesso al lavoro ed all’edilizia abitativa e della formazione professionale, che si limitano ad assicurare anche ai cittadini neocomunitari quelle prestazioni agli stessi dovute nell’osservanza di obblighi comunitari (sentt. nn. 269, 299).
In secondo luogo, le competenze statali sulla condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea (e sull’immigrazione) non impediscono alle Regioni di stabilire per tutte le persone dimoranti nel territorio regionale, anche se prive di titolo di soggiorno, il diritto di fruire degli interventi socio-assistenziali urgenti e indifferibili, necessari per garantire il rispetto dei diritti fondamentali riconosciuti a ogni persona in base alla Costituzione e alle norme internazionali, tra cui rientrano le cure gratuite agli indigenti, nonché la garanzia d’iscrizione al servizio sanitario regionale per chi abbia proposto ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento di diniego del permesso di soggiorno per riconoscimento dello status di rifugiato, richiesta di asilo, protezione sussidiaria o per ragioni umanitarie. Si tratta, infatti, di disposizioni dettate dalle Regioni nell’esercizio della propria competenza legislativa e atte a garantire il diritto all’assistenza sanitaria, in piena conformità alla normativa statale. Quest’ultima (d.lgs. n. 286 del 1998), infatti, recependo l’orientamento giurisprudenziale che riconosce anche allo straniero la titolarità dei diritti fondamentali della persona costituzionalmente riconosciuti (84), in particolare di “ un nucleo irriducibile del diritto alla salute”, pur potendo il legislatore prevedere diverse modalità di esercizio dello stesso (85), già assicura a tutti gli stranieri, nei presidi pubblici e accreditati, una vasta gamma d’interventi di cura, profilassi e prevenzione (sentt. nn. 269, 299). Il riconoscimento dei diritti fondamentali anche per gli immigrati non in regola con il permesso di soggiorno, pertanto, non fa sì che possa dedursi una definizione regionale della categoria “immigrati”, con conseguente legittimità delle normative regionali (sent. n. 299).
In quest’ottica, le Regioni possono prevedere anche forme di assistenza in favore degli stranieri presenti sul territorio regionale, realizzate attraverso la rete regionale di sportelli informativi, al fine di supportare i Comuni nella sperimentazione, avvio ed esercizio delle funzioni relative al rilascio dei titoli di soggiorno, nonché promuovendo il coordinamento tra gli enti locali per lo sviluppo dei servizi volti a facilitare e semplificare i rapporti tra i cittadini stranieri e la pubblica amministrazione (sent. n. 269).
 
 
7.3.            Immigrazione (lett. b))
 
L’intervento pubblico concernente gli stranieri non può limitarsi al controllo dell’ingresso e del soggiorno degli stessi sul territorio nazionale, ma deve necessariamente considerare altri ambiti – dall’assistenza sociale all’istruzione, dalla salute all’abitazione – che coinvolgono molteplici competenze normative, alcune attribuite allo Stato, altre alle Regioni (86) (sent. n. 299). Tuttavia, la potestà regionale non può riguardare aspetti che attengono alle politiche di programmazione dei flussi di ingresso e di soggiorno nel territorio nazionale (87) (sentt. nn. 134, 299).
La costituzione e l’individuazione dei Centri d’identificazione ed espulsione (CIE) attengono ad aspetti direttamente riferibili alla competenza statale in esame, in quanto le suddette strutture sono funzionali alla disciplina che regola il flusso migratorio dei cittadini extracomunitari nel territorio nazionale. La legge regionale, pertanto, non può impedire l’istituzione sul territorio della Regione dei CIE (sent. n. 134).
 
 
7.4.            Armi, munizioni ed esplosivi (lett. d))
 
Uno dei presupposti giustificativi dell’attribuzione, da parte della normativa statale, della possibilità per gli agenti e gli ufficiali di polizia locale di portare le armi è dato dalla particolare tipologia di servizi ai quali sono adibiti; pertanto, le normative regionali non possono attribuire agli addetti alla polizia locale il compito di espletare, muniti di armi, determinati servizi esplicitamente enumerati, potendo al più operare un mero rinvio alla normativa statale (sent. n. 167).
 
 
7.5.   Tutela della concorrenza; sistema tributario e contabile dello Stato (lett. e))
 
7.5.1  Tutela della concorrenza
 
Ricca e significativa la giurisprudenza del 2010 sulla tutela della concorrenza, la quale è fortemente influenzata dal diritto comunitario. Come consolidato (88), tra le misure inerenti a tale materia devono ricomprendersi: da un lato le cd. misure antitrust, che hanno a oggetto gli atti e i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull’assetto concorrenziale dei mercati e ne disciplinano le modalità di controllo; dall’altro, le disposizioni che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l’apertura, eliminando barriere e vincoli al fine di assicurare la concorrenza “nel mercato”; inoltre, rilevano anche gli interventi mirati a garantire la concorrenza “per il mercato”, mediante la fissazione di procedure concorsuali le più aperte possibili (89) (sentt. nn. 45, 325).
In tale settore, pertanto, le disposizioni poste dallo Stato possono legittimamente incidere, nei limiti della loro specificità e dei contenuti normativi propri alle stesse, sulla totalità degli ambiti materiali entro i quali si applicano, configurandosi come inderogabili per le Regioni (90) (sent. n. 45). Tuttavia, l’intervento statale risulta legittimo solo quando connotato dalla particolare rilevanza macroeconomica della fattispecie, necessitante misure di considerevole entità, come tali idonee a incidere sull’equilibrio economico generale, che non può tollerare differenziazioni nel territorio nazionale (sentt. nn. 45, 247). In tal senso, quindi, non si tratta di valutare se le norme statali siano o meno di estremo dettaglio, ma occorre semmai accertare se, alla stregua di uno scrutinio di ragionevolezza, le stesse siano o meno strumentale a eliminare limiti e barriere all’accesso al mercato e alla libera esplicazione della capacità imprenditoriale (91) (sentt. nn. 232, 325). Ciò non toglie, tuttavia, che le Regioni, nei settori di loro competenza, possano dettare discipline con effetti “pro-concorrenziali”, purché gli stessi siano indiretti e marginali e non si pongano in contrasto con gli obiettivi posti dalle norme statali che tutelano e promuovono la concorrenza (sentt. nn. 45, 288) (92).
Se l’incidenza del diritto europeo è indubbia, al legislatore nazionale non può negarsi un margine di apprezzamento rispetto ai principi di tutela, minimi e indefettibili, alla tutela della concorrenza “nel” mercato e “per” il mercato (sent. n. 325). Così, ad esempio, al legislatore italiano non è vietato adottare una disciplina che preveda regole concorrenziali di applicazione più ampia rispetto a quella richiesta dall’Unione europea, come emerge chiaramente riguardo alla disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Con tale definizione, infatti, il legislatore nazionale recepisce sostanzialmente la nozione di servizio d’interesse economico generale propria del diritto comunitario e cioè di quei servizi resi mediante un’attività economica, intesa come qualsiasi attività che consista nell’offerta di beni e servizi su di un determinato mercato, con cui si forniscano prestazioni considerate necessarie nei confronti della generalità dei cittadini. Con la precisazione che il requisito dell’“economicità” concerne anche i servizi che devono ancora essere immessi sul mercato, sulla base di una valutazione di interesse economico generale che ha natura oggettiva; né fa venir meno la “rilevanza economica” l’intervento del capitale pubblico nella gestione del servizio, trattandosi di scelta che avviene appunto in base ai citati parametri economici oggettivi. Ciò premesso, la disciplina comunitaria consente una deroga ai principi di concorrenza, con la gestione diretta del servizio da parte dell’autorità pubblica, quando l’applicazione delle regole concorrenziali ostacoli la specifica missione dell’ente pubblico (art. 106 TFUE); la disciplina nazionale (l. n. 448 del 2001) è, invece, più restrittiva, vietando la gestione diretta, dettando requisiti più rigorosi per l’affidamento del servizio a società miste pubblico-privato (art. 23bis d.l. n. 112 del 2008 e successive modificazioni, anch’esso oggetto di abrogazione a seguito del referendum tenuto il 12 e 13 giugno 2011) e consentendo il cd. affidamento “in house” (cioè a società a capitale integralmente pubblico che costituiscano una sorta di longa manus dell’autorità pubblica) solo in situazioni eccezionali che non consentano il ricorso al mercato, nonché mediante un procedimento peculiare in cui interviene anche l’Autorità garante della concorrenza e del mercato. La disciplina concernente le modalità dell’affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, dunque, va ascritta alla tutela della concorrenza, tenuto conto degli aspetti strutturali e funzionali suoi propri e della sua diretta incidenza sul mercato (93); anzi, la stessa nozione di “servizio pubblico di rilevanza economica”, spetta al legislatore statale, seppure in base ai ricordati parametri di diritto comunitario. Di conseguenza, deve affermarsi la prevalenza del titolo d’intervento statale sulle altre competenze legislative regionali, in particolare i servizi pubblici locali, e su regolamentari degli enti locali. Il che consente, in virtù di quanto sottolineato in precedenza, anche l’adozione da parte dello Stato di norme di dettaglio e autoapplicative, purché rette da fini pro concorrenziali (come per quelle concernenti il ruolo dell’Autorità garante della concorrenza per il ricorso all’in house providing) (94). Inoltre, anche in forza della competenza esclusiva sull’ordinamento civile, lo Stato può disciplinare pure le modalità di acquisto di beni o servizi da parte delle società miste o delle società in house affidatarie di un servizio pubblico, prescrivendo un particolare regime per la conclusione dei contratti e l’assunzione di personale imposto a tali società. Le Regioni, in definitiva, non possono né dettare proprie discipline sostitutive di quella statale riguardo alla qualificazione di “servizio pubblico di rilevanza economica”, né individuale le figure soggettive cui conferire la gestione del servizio pubblico; limiti questi che valgono anche per il regime transitorio, con l’illegittimità di normative regionali, anche quando richiamino il Testo unico degli enti locali, nelle parti però incompatibili con l’art. 23bis del d.l. n. 112 del 2008 (sent. n. 325). Tali conclusioni sono ancora più evidenti con riferimento alle forme di gestione e le procedure di affidamento del servizio idrico integrato (che la Corte ha già escluso possa rientrare tra le funzioni fondamentali degli enti locali) (95), per le quali, tra l’altro, i poteri d’intervento statale si giustificano anche in base alla potestà in materia di tutela dell’ambiente (vedi infra, par. 7.12).In proposito, la disciplina statale, finalizzata al superamento della frammentazione della gestione delle risorse idriche, nonché alla razionalizzazione del mercato al fine di garantirne la concorrenzialità e l’efficienza (96), avrebbe ragionevolmente bilanciato due interessi contrapposti: l’interesse della tutela della concorrenza con l’esigenza degli enti locali, tramite l’“in house”, di gestire i servizi pubblici di rilevanza economica, con il risultato di un’opzione per un sistema concorrenziale derogabile solo quando il ricorso al mercato non presenti carattere di utilità; il che rende legittima anche la disciplina transitoria posta per gli affidamenti di servizi pubblici già in essere, senza tuttavia che possa configurarsi alcun tipo di sanatoria in proposito (sent. n. 325).
Passando ad altri profili, è ormai pacifico come la disciplina degli appalti pubblici, intesa in senso complessivo, includa diversi ambiti di legislazione, che si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono, con un conseguente intreccio fra materie di competenza statale e materie di competenza regionale; tuttavia, le competenze esclusive statali, esercitate con le norme recate dal d.lgs. n. 163 del 2006 (cd. Codice degli appalti), prevalgono in ogni aspetto (97) (sent. n. 186). Riguardo alla materia in esame, rilevano quelle disposizioni volte a evitare comportamenti delle imprese idonei ad alterare le regole concorrenziali, nonché a garantire la progressiva liberalizzazione dei mercati in cui sono ancora presenti barriere all’entrata o altri impedimenti all’ingresso di nuovi operatori economici. Più in dettaglio, si tratta delle norme sulla fase procedimentale pro-dromica alla stipulazione del contratto, che si qualificano per la citata finalità di assicurare la concorrenza “per” il mercato (sent. n. 45). Ciò concerne sia la disciplina delle procedure di gara, sia la regolamentazione della qualificazione e selezione dei concorrenti, delle procedure di affidamento e dei criteri di aggiudicazione, ivi compresi quelli che devono presiedere all’attività di progettazione, entrambe poste a tutela delle regole concorrenziali e dei principi comunitari della libera circolazione delle merci, della libera prestazione dei servizi, della libertà di stabilimento, nonché dei principi costituzionali di trasparenza e parità di trattamento (sent. n. 186) (98). Ne deriva che le normative le quali si discostino dal modello definito in ambito comunitario violano tanto i valori tutelati dal diritto europeo, quanto le corrispondenti normative statali (sent. n. 45). Le Regioni, dunque, sono legittimate a regolare soltanto quelle fasi procedimentali che afferiscono a materie di propria competenza, nonché gli oggetti della procedura rientranti anch’essi in ambiti materiali di pertinenza regionale (99), salva la ricordata possibilità di discipline con effetti “pro-concorrenziali” (sent. n. 45); da escludersi, invece, è il potere di disciplinare le procedure di affidamento per la progettazione d’infrastrutture (100) (sent. n. 186). Va detto, però, che la mancata disciplina in ambito comunitario di un istituto attinente gli appalti pubblici non ne comporta necessariamente la sua illegittimità costituzionale, come nel caso dei cd. “lavori sequenziali”, introdotti dalla Provincia autonoma di Trento nell’esercizio della sua competenza in materia di lavori pubblici di interesse provinciale (vedi infra, par. 14.2) (sent. n. 45).
Di minor interesse è la conferma dell’illegittimità delle discipline regionali che continuino a prevedere un regime autorizzatorio per l’esercizio delle attività di gestione dei centri di telefonia fissa per i titolari già gerenti attività di cessione al pubblico di servizi di telefonia (101); infatti, ciò è in contrasto con i principi di semplificazione dei procedimenti e di libertà di fornitura dei servizi, propri dell’ordinamento comunitario e recepiti dal codice delle comunicazioni elettroniche (sent. n. 69).
Da ultimo, i principi sopra precisati escludono che le Regioni possano dettare una disciplina delle vendite promozionali la quale estenda il divieto delle stesse al di fuori dei casi previsti dalla normativa statale, comportando un’illegittima restrizione della libera concorrenza (sent. n. 232).
 
 
7.5.2.   Sistema tributario e contabile dello Stato
 
Come più volte affermato dalla giurisprudenza della Corte (102), in virtù dei precetti costituzionali non è ammissibile in materia tributaria una piena esplicazione di potestà regionali autonome in carenza della fondamentale legislazione statale di coordinamento. Di conseguenza, nelle more, rimane precluso alle Regioni il potere di istituire e disciplinare tributi propri aventi gli stessi presupposti dei tributi dello Stato e di legiferare sui tributi esistenti istituiti e regolati da leggi statali (103), se non a integrazione della disciplina e nei limiti stabiliti dalla legislazione statale stessa (104); tributi istituiti e regolati da una legge dello Stato, ancorché il relativo gettito sia devoluto alla Regione stessa (105), sono dunque da ritenersi tributi statali (sentt. nn. 123, 255).
Poiché la previsione con legge regionale di un’agevolazione tributaria nella forma del credito di imposta applicabile a tributi erariali costituisce, senza dubbio, un’integrazione della disciplina dei medesimi tributi, in relazione a presupposti non stabiliti dalla legislazione statale, ne deriva la violazione della materia in esame (sent. n. 123). In senso analogo, poiché va riconosciuta prestazione tributaria al cd. “canone di abbonamento radiotelevisivo” (106), il cui gettito è destinato essenzialmente al finanziamento della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo (107), le Regioni, non possono prevedere intese con il Ministero delle comunicazione per l’utilizzo di quota parte del canone di abbonamento (sent. n. 255).
Legittima è la riserva allo Stato del gettito dell’imposta straordinaria sulle attività finanziarie e patrimoniali di cui al d.l. n. 78 del 2010, che non ha finalità di mero riequilibrio della finanza pubblica, ma scopi di copertura di spese a carattere non continuativo in materie sottratte alla competenza regionale, nonché dal gettito temporalmente delimitato (sent. n. 182). 
 
 
7.6.   Ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali (lett. g))
 
La Corte ha reiteratamente affermato che le Regioni non possono porre a carico di organi o amministrazioni dello Stato compiti e attribuzioni ulteriori rispetto a quelli individuati con legge statale (108); inoltre, forme di collaborazione e coordinamento tra apparati statali, regionali e di enti locali, che coinvolgano compiti e attribuzioni di organi dello Stato, seppure auspicabili, non possano essere disciplinate unilateralmente e autoritativamente dalle Regioni, nemmeno nell’esercizio della loro potestà legislativa, ma devono trovare il loro fondamento o presupposto in leggi statali che le prevedano o consentano, o in accordi tra gli enti interessati (109) (sent. n. 104).
La semplice acquisizione di informazioni, trattandosi di strumento con il quale si esplica, a un livello minimo, la leale cooperazione tra Stato e Regioni, in vista dell’esigenza di garantire il più efficiente esercizio delle attribuzioni, tanto statali quanto regionali, non costituisce una lesione della prerogative statali (110). E’ il caso, ad esempio, della trasmissione alla Giunta regionale dei dati relativi agli infortuni sciistici da parte delle Forze di Polizia, con cui la normativa regionale attua anzi le previsioni della legislazione statale in materia (sent. n. 104).
 
 
7.7.   Ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale (lett. h))
 
La giurisprudenza della Corte ha più volte chiarito che la materia della sicurezza riguarda gli interventi finalizzati alla prevenzione dei reati e al mantenimento dell’ordine pubblico (111); intendendo con tale termine il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale (112) (sentt. nn. 21, 167, 274). L’esclusiva potestà statale, tuttavia, non si esaurisce nell’adozione di misure relative alla prevenzione e repressione dei reati, ma comprende anche la tutela dell’interesse generale all’incolumità delle persone, e quindi la salvaguardia di un bene che abbisogna di una regolamentazione uniforme su tutto il territorio nazionale (sent. n. 21). Le Regioni e le Province autonome, pertanto, sono titolari di competenze proprie solo relativamente a provvedimenti riconducibili alla polizia amministrativa, fra cui rientrano le misure dirette a evitare danni o pregiudizi che possono essere arrecati a soggetti giuridici e alle cose nello svolgimento di attività relative alle attribuzioni delle Regioni e degli enti locali (113) (sentt. nn. 72, 167). Ciò comporta, pertanto, che la Regione possa svolgere una mera attività di stimolo e d’impulso, nei limiti consentiti, presso i competenti organi statali, all’adozione di misure volte al perseguimento del fine della tutela della sicurezza, anche nel settore delle politiche di sicurezza transfrontaliere (sent. n. 167). La necessità di una collaborazione fra forze di polizia municipale e forze di polizia di Stato è esplicitamente prevista dall’art. 118, comma 3, Cost., che demanda alla legge statale il compito di disciplinare eventuali forme di coordinamento nella materia dell’ordine pubblico e della sicurezza (nonché dell’immigrazione). Nondimeno, tali auspicabili forme di collaborazione non possono essere disciplinate unilateralmente e autoritativamente dalle Regioni, nemmeno nell’esercizio della loro potestà legislativa (114) (sent. n. 167); inoltre, la riserva di cui all’art. 118, comma 3, Cost., non comporta che qualunque legge statale contenente disposizioni riferibili a tali materie debba sempre e comunque provvedere in tal senso (sentt. nn. 226, 274). Così, ad esempio, la normativa regionale non può stabilire che la polizia locale assuma tra i suoi compiti primari il presidio del territorio, al fine di garantire, in concorso con le forze di polizia dello Stato, la sicurezza urbana degli ambiti territoriali di riferimento, disciplinando non solo modalità di esercizio delle funzioni di pubblica sicurezza da parte della polizia locale, ma anche le forme della collaborazione con le forze della polizia dello Stato (sent. n. 167).
Profili di particolare interesse presenta quanto sancito dalla Corte a proposito dell’istituzione con legge statale di gruppi di osservatori privati volontari (cd. “ronde”), tese alla collaborazione con i sindaci ai fini della salvaguardia della “sicurezza urbana”, che s’inserisce all’interno di una serie di misure in materia di sicurezza pubblica intervenute nel biennio 2008-2009 (cd. “pacchetti sicurezza”). A tal proposito, la Corte già in precedenza aveva affermato la legittimità dell’attribuzione ai sindaci, nella veste di ufficiali del Governo, del potere di adottare provvedimenti anche contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli di minaccia alla “sicurezza urbana” (115); con tale nozione, infatti, si indica esclusivamente la tutela della sicurezza pubblica, intesa come attività di prevenzione e repressione dei reati, con l’esclusione, pertanto, degli ambiti riservati alla polizia amministrativa locale. Il concetto di sicurezza urbana, pertanto, è riconducibile alla potestà esclusiva statale in questione (come conferma la peculiare procedura prevista dalla normativa statale, che prevede l’intervento del Prefetto, del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, che predilige tra i volontari gli ex appartenenti alle Forze di polizia, etc); lo stesso affidamento ai privati di compiti di prevenzione dei reati e mantenimento dell’ordine pubblico non pone particolare problemi, avendo una funzione di mera osservazione e segnalazione (alle sole Forze di polizia) e tenuto conto che già la normativa penalistica prevede in capo ai cittadini il potere di denunziare i reati, sino alla possibilità di procedere, in casi determinati, all’arresto in flagranza. Diversamente, invece, deve argomentarsi per quanto attiene alla segnalazione di situazioni di “disagio sociale”; l’ampiezza di tale formulazione, infatti, impedisce di limitarla a fattispecie concernenti l’attività di prevenzione dei reati, abbracciando ipotesi di emarginazione o di difficoltà di inserimento dell’individuo nel tessuto sociale che evocano interventi ispirati a finalità di politica sociale, riconducibili segnatamente alla materia dei servizi sociali, di competenza legislativa regionale residuale (vedi infra, par. 9.1); per tale aspetto, dunque, la legislazione statale non può che risultare illegittima (sent. n. 226). Dal che deriva anche l’illegittimità del decreto ministeriale con cui si fissano i requisiti delle associazioni di osservatori volontari e i compiti di queste, nella parte in cui fa riferimento alle situazioni di disagio sociale, trattandosi, tra l’altro, di un regolamento adottato al di fuori di una potestà statale di tipo esclusivo, con violazione dell’art. 117, comma 6 Cost. Legittima, invece, è la previsione in via regolamentare di una mera facoltà per le Regioni e degli enti locali di organizzare corsi di formazione per i volontari in questione (sent. n. 274).
Confermata risulta la giurisprudenza che riconduce alla materia in esame non soltanto la disciplina dei giochi d’azzardo, ma anche quella relativa ai giochi che non sono ritenuti giochi d’azzardo (116), in considerazione dei caratteri comuni dei giochi, quali l’aleatorietà e la possibilità di vincite in denaro, cui si riconnette un disvalore sociale, nonché la forte capacità di attrazione e concentrazione di utenti e la probabilità altrettanto elevata di usi illegali degli apparecchi impiegati per lo svolgimento degli stessi anche nel caso dei giochi leciti (sent. n. 72).
Anche riguardo alla disciplina sulla circolazione stradale da ascriversi alla potestà in questione, seppure, in connessione con la materia dell’ordinamento civile, sono ribadite le conclusioni della Corte (117): come previsto dal Codice della strada (d.lgs. n. 285 del 1992), infatti, la sicurezza delle persone nella circolazione stradale rientra tra le finalità primarie di ordine sociale ed economico perseguite dallo Stato, senza che possa distinguersi a tal fine tra strade statali, regionali o provinciali. Pertanto, alle Regioni è inibito ogni intervento normativo che tenda a sostituirsi a quanto previsto dal Codice della strada, come, ad esempio, riguardo alla disciplina dei cd. “autovelox”(sent. n. 223).
L’esigenza di tutela dell’ordine e della sicurezza dei cittadini legittima le disposizioni del Testo unico di pubblica sicurezza relative alla sospensione della licenza di pubblico esercizio adottati allo scopo di evitare il verificarsi di situazioni di pericolosità sociale; non avendo natura sanzionatoria nei confronti dell’esercente, infatti, non può prospettarsi alcuna lesione delle prerogative delle Regioni e delle Province autonome (118); discorso analogo deve farsi per la sospensione della suddetta licenza in seguito all’accertamento della somministrazione di bevande alcoliche oltre l’orario consentito, trattandosi di misura tesa a evitare che gli episodi di ubriachezza possano essere potenzialmente lesivi dell’ordine pubblico, specie riguardo alla circolazione stradale (sent. n. 259).
Anche le disposizioni che attengono a profili di sicurezza delle costruzioni, in quanto collegati ad aspetti di pubblica incolumità (che si distingue dalla prevenzione sanitaria), sono riconducibili all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.; spetta, quindi, allo Stato adottare una disciplina applicativa dell’installazione degli impianti all’interno degli edifici, anche attraverso un regolamento ministeriale, senza che possano essere interessate materie di competenza concorrente, quali il governo del territorio o la tutela della salute (sent. n. 21).
Rientrano nell’ ordine pubblico e sicurezza anche la definizione delle attività necessarie a garantire la sicurezza aeroportuale relativa al controllo bagagli e passeggeri e la disciplina dell’assegnazione delle bande orarie negli aeroporti coordinati (sent. n. 21) (119).
Non ledono la potestà esclusiva statale, invece, le norme regionali in materia d’impianti sciistici che riproducano disposizioni statali o dettino prescrizioni aggiuntive tese al migliore utilizzo degli impianti (sent. n. 104).
Legittima è pure la previsione con legge regionale di un mero sostegno economico alla stipulazione di convenzioni tra associazioni di volontariato e gli enti locali interessati, al fine di promuovere l’educazione alla convivenza e al rispetto della legalità, senza disporre alcunché sui casi ed i modi di utilizzo delle associazioni d’arma e delle Forze dell’ordine (sent. n. 167).
 
 
7.8    Giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa (lett. l))
 
7.8.1.   Giurisdizione e norme processuali
 
La competenza esclusiva dello Stato in materia di giurisdizione penale, come già affermato dalla Corte (120), fa escludere una competenza regionale quanto alla polizia giudiziaria (sent. n. 167). Illegittima, pertanto, è l’attribuzione agli addetti alla polizia locale della qualifica di agenti e ufficiali di polizia giudiziaria da parte delle Regioni; la competenza a operare tale riconoscimento è riservata a leggi e regolamenti che debbono essere, in quanto attinenti alla sicurezza pubblica, esclusivamente di fonte statale (121), senza che rilevi, in proposito, l’esistenza di norme statali analoghe (sent. n. 167).
Le competenze regionali riguardo ai servizi e all’assistenza sociale non consentono alle Regioni l’adozione di leggi che fissino quali compiti delle politiche della Regione la garanzia dell’effettività del diritto di difesa, anche in riferimento alla disciplina del diritto di difesa dei non abbienti, agli immigrati presenti a qualunque titolo sul territorio della Regione; si tratta, infatti, di profili riservati alla potestà statale in materia di processo (sent. n. 299).
 
 
7.8.2.   Ordinamento civile
 
Trova ormai definitiva conferma la configurazione dell’ordinamento civile quale codificazione del limite diritto privato, fondato sull’esigenza, sottesa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire nel territorio nazionale l’uniformità della disciplina dettata per i rapporti tra privati, ponendosi dunque quale limite alla legislazione regionale (122) (sentt. nn. 123, 151).
Come più volte ribadito, la fase di conclusione ed esecuzione del contratto di appalto, di cui al Codice degli appalti pubblici, in cui l’amministrazione si pone in una posizione di tendenziale parità con la controparte, agendo non nell’esercizio di poteri amministrativi, bensì della propria autonomia negoziale, va ascritta all’ordinamento civile (123); a tale fase, dunque, accedono gli istituti che rispondono ad interessi unitari e che, implicando valutazioni e riflessi finanziari, non tollerano discipline differenziate nel territorio dello Stato (sent. n. 45). Ciò non significa, tuttavia, che in relazione a peculiari esigenze di interesse pubblico, non possano residuare in capo alla pubblica amministrazione poteri pubblici riferibili, tra l’altro, a specifici aspetti organizzativi afferenti alla stessa fase esecutiva (sent. n. 45). Dunque, se la revisione dei prezzi costituisce senz’altro un aspetto inerente a tale settore, ciò non comporta l’illegittimità di una normativa della Provincia autonoma di Trento che sul punto rinvii genericamente alla disciplina statale (sent. n. 357).
Il conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni alla pubblica amministrazione si realizza mediante la stipulazione di un contratto di lavoro di diritto privato; conseguentemente, la disciplina della fase costitutiva di tale contratto, così come quella del rapporto che sorge per effetto della conclusione di quel negozio giuridico, appartengono alla materia in esame. Tale disciplina, infatti, non riguarda né procedure concorsuali pubblicistiche per l’accesso al pubblico impiego, né la scelta delle modalità di costituzione di quel rapporto giuridico, bensì attiene ai requisiti soggettivi che debbono essere posseduti dal contraente privato, alla durata massima del rapporto, ad alcuni aspetti del regime economico e giuridico, ed è pertanto riconducibile alla regolamentazione del particolare contratto che l’amministrazione stipula con il soggetto ad essa esterno cui conferisce l’incarico dirigenziale (sent. n. 324). Sempre sul piano del rapporto di lavoro, il conferimento a determinati dipendenti di un certo trattamento economico accessorio, toccando un aspetto essenziale del regime giuridico del rapporto contrattuale di lavoro subordinato, interviene a disciplinare i reciproci diritti ed obblighi delle parti, rientrando così nell’ordinamento civile; ne consegue l’illegittimitàdi norme regionali che dispongano in tal senso, le quali contrastano anche con il principio secondo cui il trattamento economico dei dipendenti pubblici “privatizzati” è rimesso alla contrattazione collettiva, a salvaguardia del precetto costituzionale d’uguaglianza (124) (sent. n. 332). Ancora, alla potestà esclusiva dello Stato attiene, anche la disciplina del potere di controllo dei datori di lavoro sullo stato di malattia dei propri dipendenti, che costituisce uno dei poteri principali che l’ordinamento attribuisce a una delle parti di un rapporto contrattuale (quello di lavoro subordinato), la cui disciplina deve essere uniforme sul territorio nazionale e imporsi anche alle Regioni a statuto speciale (sent. n. 151) (125). Allo stesso modo deve ragionarsi per la disciplina degli emolumenti da corrispondere al lavoratore in assenza per malattia, nonché per la facoltà di chiedere l’esonero, trattandosi di diritti patrimoniali che trovano la loro causa nel rapporto contrattuale e nella normativa del codice civile (sent. n. 151). Infine, l’istituto della mobilità volontaria, costituendo una fattispecie di cessione del contratto, negozio tipico disciplinato dal codice civile (artt. 1406-1410), inerisce a rapporti di diritto privato, di competenza esclusiva statale (sent. n. 324).
In virtù di quanto sottolineato, una legge regionale non può disporre l’impignorabilità di determinate categorie di beni, introducendo una limitazione al soddisfacimento patrimoniale delle ragioni dei creditori non prevista dalla normativa statale (sent. n. 123).
Lede la potestà in esame pure una disposizione regionale che, senza formulare alcun richiamo alla normativa dello Stato in tema di diritto d’autore, non preveda alcun requisito o condizione per i diritti sui software originali, estendendoli anche al software proprietario, cioè al programma per elaboratore, rilasciato con licenza d’uso (sent. n. 122).
 
7.8.3.   Ordinamento penale
 
Come quello privato, anche il diritto penale costituisce un limite inderogabile dalle Regioni (sent. n. 122) (126). Queste ultime, pertanto, possono limitarsi a dettare disposizioni recanti solo un mero rinvio alla legge statale, restando loro preclusa una specifica e autonoma determinazione delle fattispecie cui sono collegate le pene previste dalla legislazione statale (sent. n. 295) (127). Pertanto, nell’ambito della disciplina dei software, le Regioni non possono escludere dal campo di applicazione dei precetti penali condotte qualificate come abusive (sent. n. 122).
 
 
7.9.   Determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (lett. m))
 
La competenza in esame, che costituisce “un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di una adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti “(sentenza n. 134 del 2006), si riferisce alla fissazione dei livelli strutturali e qualitativi di prestazioni che, concernendo il soddisfacimento di diritti civili e sociali, devono essere garantiti, con carattere di generalità, a tutti gli aventi diritto (128); dunque, essa può essere invocata in relazione a specifiche prestazioni delle quali le norme statali definiscono il livello essenziale di erogazione (129) (sent. n. 10).
Trattandosi di materia “trasversale”, pertanto, essa consente una restrizione dell’autonomia legislativa delle Regioni, senza che ciò permetta allo Stato, in linea di principio, d’individuare il fondamento costituzionale della disciplina di interi settori materiali (130) (sentt. nn. 10, 207), o la regolamentazione dell’assetto organizzativo e gestorio degli enti preposti all’erogazione delle prestazioni (131) (sent. n. 207). Tuttavia, tale titolo di legittimazione può essere invocato anche nei particolari casi in cui la determinazione del livello essenziale di una prestazione non consenta, da sola, di realizzare utilmente la finalità di garanzia dallo stesso prevista, rappresentando la base giuridica anche della previsione e della diretta erogazione di una determinata provvidenza, oltre che della fissazione del livello strutturale e qualitativo di una data prestazione, al fine di assicurare più compiutamente il soddisfacimento dell’interesse ritenuto meritevole di tutela (132). In altri termini, quando ricorrano peculiari circostanze e situazioni, quale ad esempio una fase di congiuntura economica eccezionalmente negativa, l’esigenza di assicurare, in modo uniforme, appropriato e tempestivo, l’effettiva tutela del nucleo irrinunciabile della dignità della persona umana nei confronti di chi si trovi in condizioni di estremo bisogno, rende necessaria una regolamentazione coerente e congrua rispetto a tale scopo (133), anche al fine di salvaguardare il principio di continuità nel godimento di un diritto fondamentale (134) (sent. n. 10).
Da quanto detto deriva la legittimità di norme statali che prevedano l’erogazione di specifiche provvidenze economiche (come la cd. “carta sociale”), con l’istituzione di uno specifico fondo a onere dello Stato, senza che siano pregiudicate le competenze regionali in materia di servizi sociali, né l’autonomia finanziaria delle Regioni; si giustifica, inoltre, anche l’attribuzione allo Stato della relativa potestà regolamentare e delle funzioni amministrative relative all’intervento, senza necessità di attivare le procedure di leale collaborazione. La straordinarietà delle misure statali, d’altronde, fa sì che venuta meno la congiuntura economica eccezionale tali processi collaborativi possano riattivarsi (sent. n. 10). Discorso analogo può farsi per gli interventi a favore dell’edilizia residenziale pubblica, anche qui con l’istituzione di un apposito fondo (per cui vedi infra, par. 12.1). Come già riconosciuto dalla Corte (135), infatti, la determinazione dei livelli minimi di offerta abitativa per categorie di soggetti particolarmente disagiate, da garantire su tutto il territorio nazionale, viene concretamente realizzata attribuendo a tali soggetti una posizione preferenziale, che possa assicurare agli stessi il soddisfacimento del diritto sociale alla casa compatibilmente con l’effettiva disponibilità di alloggi nei diversi territori. Rientra dunque nella potestà esclusiva statale l’individuazione prioritaria di tali categorie sociali, la quale, tra l’altro, deve avere carattere soggettivo, oltre che oggettivo. Ciò, tuttavia, non esclude la possibilità che le Regioni, una volta soddisfatte le esigenze delle categorie deboli specificamente elencate, possano, nell’ambito del proprio territorio, individuare altre categorie meritevoli di sostegno (sent. n. 121).
Riguardo ai livelli essenziali di assistenza in materia sanitaria (cd. LEA), l’incidenza da parte della normativa statale sulle competenze regionali è ammessa solo nei limiti necessari a evitare che, in parti del territorio nazionale, gli utenti debbano assoggettarsi a un regime di assistenza sanitaria inferiore, per quantità e qualità, a quello ritenuto intangibile dallo Stato (136) (sent. n. 207). In tale settore, centrale è la funzione svolta dalle intese siglate in sede di Conferenza Stato-Regioni, il cui carattere fondamentale è sottolineato dalla Corte ai fini della puntuale articolazione, sulla base delle previsioni recate dalla legge statale, delle forme di accesso ai servizi di assistenza (sent. n. 40). Tra i suddetti livelli di assistenza rientra anche l’erogazione di farmaci. In tale settore, la legislazione statale assicura la totale rimborsabilità dei farmaci di classe A, ma prevede in capo alla Commissione consultiva tecnico-scientifica dell’AIFA la possibilità d’individuare, all’interno di tale categoria, taluni farmaci totalmente o parzialmente esclusi dal rimborso, in virtù del loro carattere non essenziale; esclusione che è concretamente disposta con provvedimento amministrativo della Regione, in base all’andamento della propria spesa farmaceutica. Ne consegue, che ogni intervento ultroneo del legislatore regionale, che escluda anche parzialmente la rimborsabilità di una determinata categoria di farmaci, risulta illegittimo (sent. n. 44).
 
7.10. Norme generali sull’istruzione (lett. n))
 
Tra le disposizioni statali che definiscono la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario e uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante un’offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio di istruzione, rientra senz’altro quanto previsto riguardo all’obbligo di istruzione (137). Tale obbligo (fissato in dieci anni dalla l. n. 296 del 2006), per un primo ciclo è assolto nella scuola dell’infanzia, nella scuola primaria e in quella secondaria di primo grado, per un secondo ciclo nel sistema dei licei o in quello d’istruzione e formazione professionale, alla luce dei livelli essenziali di prestazioni definiti in sede nazionale, previo accordo con le Regioni. Tale ciclo prevede dunque due sistemi distinti ma integrati, la cui attuazione deve avvenire secondo gradualità, sulla base di percorsi sperimentali avviati appunto dalle Regioni, che accreditano le strutture sulla base di criteri definiti dallo Stato previa intesa con la Conferenza unificata. Ne consegue che le discipline regionali non possono introdurre percorsi formativi diversi, rompendo l’unità del sistema d’istruzione e formazione; il che è ancor più vero quando tale introduzione avvenga in assenza dei citati accordi, con conseguente violazione anche del principio di leale collaborazione (sent. n. 309).
Fissato dunque in dieci anni l’obbligo d’istruzione, l’accesso all’apprendistato qualificante (vedi supra, par. 6.1.2) potrà avvenire solo dopo il compimento del sedicesimo anno di età, con la conseguente illegittimità di discipline regionali che fissino un’età minima più bassa (sent. n. 334).
 
 
7.11.    Coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale (lett. r))
 
Come dalla Corte già chiarito in passato (138), rientra nella competenza in esame la disciplina dello sportello unico per le attività produttive; essa, infatti, si fonda sulla concentrazione in una sola struttura della responsabilità dell’unico procedimento attraverso cui i soggetti interessati possono ottenere l’insieme dei provvedimenti abilitativi necessari per la realizzazione di nuovi insediamenti produttivi, nonché sulla concentrazione nello “sportello unico” dell’accesso a tutte le informazioni da parte dei medesimi soggetti interessati; il tutto al fine di evitare ai cittadini in tempi troppo lunghi e difficoltà di rapporti con le amministrazioni (sent. n. 15). 
 
7.12.       Tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e dei beni culturali (lett. s))
 
Tra le materie maggiormente interessate dalla giurisprudenza del 2010 vi è sicuramente quella della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e dei beni culturali, specie per la disciplina di cui al Codice dell’ambiente.
Come ormai pacifico, la materia in questione ha un contenuto allo stesso tempo oggettivo, in quanto riferito a un bene, cioè l'ambiente, e finalistico, perché tende alla migliore conservazione del bene stesso (sent. n 341) (139). Essa ha dunque natura “trasversale”, poiché sullo stesso bene concorrono diverse competenze, le quali, tuttavia, restano distinte tra loro, perseguendo diverse finalità (sent. n. 341): da un lato, l’interesse alla tutela e alla conservazione dell'ambiente, mediante la fissazione standard minimi, da intendersi come adeguata e non riducibile tutela, valevole, tra l’altro, anche nei confronti delle autonomie speciali (sentt. nn. 101, 234, 315, 341); dall’altro, l’interesse alle utilizzazioni dell’ambiente, per cui alle Regioni è data la facoltà di adottare norme di tutela più elevate nell'esercizio delle proprie competenze (140) (sentt. nn. 67, 193, 315, 341, 373). Le stesse, inoltre, possono anche esercitare funzioni amministrative di tutela, conferite dallo Stato in conformità al principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 cost. (sent. n. 193).
Ancora una volta particolare attenzione presenta il settore delle risorse idriche, bene a cui il Codice dell’ambiente riconosce natura d’interesse primario, ponendo specifiche norme per la sua tutela. Il riparto delle competenze al riguardo, però, dipende dall’oggetto delle relative discipline, dovendosi distinguere una competenza regionale residuale concernente l’uso e la fruizione delle acque e una competenza esclusiva statale riguardo alla tutela delle stesse (141), che può in tal modo limitare le attribuzioni regionali (142) (sent. n. 1). Pertanto, le concessioni di acque minerali e termali, per essendo provvedimenti amministrativi che riguardano la loro utilizzazione, devono osservare i limiti di tutela ambientale posti dal Piano di tutela delle acque, in modo che non sia pregiudicato il patrimonio idrico; le Regioni, quindi, non possono derogare al principio di temporaneità delle concessioni, prevedendo proroghe per quelle  perpetue già in atto (143) (sent. n. 1). Come già affermato dalla Corte (144), la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell’acqua, è aspetto senz’altro ascrivibile alla materia in esame, pur in connessione con la tutela della concorrenza (per le misure tese a evitare che il concessionario unico abusi della sua posizione dominante); attraverso tale determinazione nell’ambito territoriale ottimale, infatti, il legislatore statale fissa livelli uniformi di tutela dell’ambiente, perseguendo la finalità di garantire la tutela e l’uso, secondo criteri di solidarietà, delle risorse idriche (sent. nn. 1, 142); e ciò anche in relazione alla scelta delle tipologie dei costi che la tariffa è diretta a recuperare, essendovi espressamente inclusi quelli ambientali, da recuperare anche secondo il principio “chi inquina paga” (sent. n. 142). Dunque, alle Regioni è inibito d’intervenire sul procedimento di determinazione della tariffa (sent. n. 142), nonché di determinare oneri tariffari ulteriori o diversi da quelli previsti dalla disciplina statale (sent. n. 29). Sempre nell’ambito delle risorse idriche si colloca anche la disciplina degli scarichi. In tale settore, ai sensi della stessa disciplina statale, la Regione può legittimamente intervenire nell’ambito delle autorizzazioni agli scarichi in pubblica fognatura, anche introducendo deroghe riguardo al soggetto a cui deve essere rivolta la domanda di autorizzazione; pertanto, legittimo è l’affidamento al soggetto gestore del servizio idrico integrato della competenza sul rilascio di tali autorizzazioni, restando implicito che ciò possa avvenire solo previa verifica dei requisiti necessari per l’esercizio di tale attività. Tuttavia, nel caso di attività svolta in consorzio, l’autorizzazione non può essere richiesta e concessa solo al titolare dello scarico finale, non potendo venir meno le responsabilità dei singoli consorziati (sent. n. 234). Da ultimo, le potestà statali esaminate non consentono alle Regioni la competenza a dettare discipline che sottraggano alla Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche le attribuzione di cui al Codice dell’ambiente (sent. n. 325).
Per giurisprudenza consolidata, anche la disciplina della V.I.A. (Valutazione d’impatto ambientale), come quella della V.A.S. (Valutazione ambientale strategica) deve essere ascritta alla tutela dell’ambiente; si tratta, infatti, di una procedura che valuta in concreto e preventivamente la “sostenibilità ambientale”, rappresentando un livello di tutela uniforme che s’impone sull’intero territorio nazionale, pur nella concorrenza di altre materie, di competenza regionale, e, tra l’altro, recepisce principi propri dell’ordinamento comunitario (sentt. nn. 67, 120, 127, 186, 221) (145). Ne consegue che le Regioni sono tenute, per un verso, a rispettare i livelli uniformi di tutela apprestati in materia, per l’altro a mantenere la propria legislazione negli ambiti di competenza fissati dal Codice dell’ambiente, nella specie quanto al procedimento di VIA (sent. n. 186) (146), così, ad esempio, sono illegittime le norme regionali che, in luogo del procedimento amministrativo previsto dalla normativa statale, stabiliscano una proroga dei termini per le autorizzazioni all’esercizio di attività estrattive (sent. n. 67). Quanto detto, inoltre, vale in tutti i settori in cui la VIA venga in rilevo; così in ambito energetico, per cui illegittima è l’esclusione con legge regionale delle variazioni del tracciato degli elettrodotti (sent. n. 119); per la progettazione di costruzioni autostradali (sent. n. 186); nel settore dell’urbanistica, in cui, al più, alle Regioni può spettare una competenza a includere nel procedimento di VIA anche strutture di dimensioni più ridotte di quelle contemplate dalla normativa statale (sent. n. 168). Tuttavia, va precisato che la semplificazione dei procedimenti amministrativi per la realizzazione di opere pubbliche, nell’ambito delle competenze regionali, non è di per sé lesiva della normativa statale sulla tutela dell’ambiente, dovendo ritenersi che, in assenza di specifico assunto contrario, ciò non comporti deroghe riguardo agli aspetti inerenti l’obbligo di VIA o VAS (sent. n. 221). 
Anche la disciplina dei rifiuti rientra tra gli aspetti di tutela ambientale, come più volte sottolineato dalla Corte (147). Pertanto, spetta alla sola normativa statale, che attua tra l’altro direttive comunitarie, la definizione di ciò che deve considerarsi “rifiuto”, senza che le Regioni possano in qualche modo escludere determinate categorie di sostanze (148) (sent. n. 127); inoltre, la Regione non può, nelle more dell’emanazione degli indirizzi nazionali, come per i criteri sull’assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani, intervenire con proprie discipline di pianificazione; né risulta possibile alcuna deroga al principio della unicità della gestione integrata dei rifiuti prevista dal Codice dell’ambiente (sent. n. 373). Infine, poiché la disciplina statale non attribuisce ai Comuni alcuna competenza riguardo all’autorizzazione alla gestione dei centri di raccolta dei rifiuti urbani, le Regioni non possono subordinare la gestione di tali centri al preventivo rilascio di un’autorizzazione da parte del Comune (sent. n. 127).
Le disposizioni che hanno a oggetto la stabilità del suolo e l’equilibrio idrogeologico rientrano anch’essa tra le competenze esclusive statali (149) (sentt. nn. 254, 341). Così per la normativa del Codice dell’ambiente che rimette alla pianificazione di bacino l’individuazione delle aree a particolare rischio geologico, idraulico e valanghivo, che ha carattere immediatamente predittivo nei confronti della legislazione regionale (sent. n. 168); tale piano, infatti, contiene l’individuazione e la quantificazione delle situazioni, in atto e potenziali, di degrado del sistema fisico e delle relative cause, l’indicazione delle direttive alle quali devono uniformarsi la difesa del suolo, la sistemazione idrogeologica e idraulica e l’utilizzazione delle acque e dei suoli, nonché l’individuazione delle zone da assoggettare a specifici vincoli e prescrizioni in rapporto alle specifiche condizioni idrogeologiche, ai fini della conservazione del suolo, della tutela dell’ambiente e della prevenzione contro presumibili effetti dannosi di interventi antropici. Aspetti, che, pertanto, non possono trovare autonoma regolamentazione neppure da parte delle Regioni ad autonomia speciale, in base alle competenze statutarie (150) (sent. n. 254). Così, legittimo è anche l’affidamento da parte della legge statale (finanziaria 2010) alla competente direzione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio dell’individuazione delle situazione a più elevato rischio idrogeologico; si tratta, infatti, di attività di tipo conoscitivo, di natura tecnica, finalizzate alla tutela, secondo metodologie uniformi, dello stato dei terreni, per cui non si rende necessario il coinvolgimento regionale (che, tra l’altro, avviene indirettamente mediante il parere delle Autorità di bacino) (sent. n. 341). Rientra nella materia in esame anche l’istituzione presso il Ministero dell’economia e delle finanze di un Fondo per la tutela dell’ambiente e la promozione dello sviluppo del territorio, con le cui risorse sono concessi contributi statali per interventi realizzati dagli enti destinatari, nei rispettivi territori, per il risanamento e il recupero dell’ambiente e lo sviluppo economico dei territori stessi; si tratta, infatti, di misure specifiche destinate a incrementare uno sviluppo eco-compatibile in territori che necessitano di interventi di risanamento (sent. n. 121).
Venendo al “settore energetico”, sebbene essenzialmente rimessa alla competenza concorrente sulla produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia (vedi infra, par. 8.8), la disciplina della realizzazione di impianti alimentati da energie rinnovabili concerne anche profili attinenti alla tutela dell’ambiente(151).  In particolare, nelle more dell’approvazione delle linee guida previste dalla legge statale, le Regioni non possono adottare una disciplina recante divieti alla realizzazione d’impianti siffatti in un determinato territorio. La mancata emanazione delle linee guida nazionali per il corretto inserimento nel paesaggio degli stessi non consente, infatti, alle Regioni di provvedere autonomamente all’individuazione di criteri per il corretto inserimento degli impianti, in virtù del preminente interesse di tutela ambientale e paesaggistica sotteso ai criteri uniformi di cui alle linee guida (sentt. nn. 119, 124, 168, 344); lo stesso rispetto del principio di leale cooperazione, impedisce l’individuazione da parte delle Regioni delle aree ritenute non idonee all’installazione di impianti eolici e fotovoltaici (152) (sentt. nn. 119, 124). Le esigenze di tutela ambientale, come già accennato, vengono in rilevo anche riguardo alla specifica disciplina della VIA in ambito energetico, secondo la quale allo Stato spetta l’autorizzazione dell’impianto, alla Regione l’effettuazione, sulla base delle normativa statale, della valutazione d’impatto ambientale (sent. n. 171).
Passando agli aspetti inerenti all’ecosistema si riconosce una competenza piena dello Stato in materia di arre naturali protette (153), che s’impone anche alle Regioni ad autonomia speciale (sent. n. 315). La legge quadro in materia di aree protette (l. n. 394 del 1991), pertanto, pur essendo stata introdotta prima di suddetta riforma, assume la veste di disciplina recante standard minimi e uniformi in materia, sebbene talune funzioni amministrative concernenti la gestione e la tutela di siffatte aree vengano conferite alle Regioni; nella specie, le stesse possono regolare l’esercizio delle funzioni indispensabili per il perseguimento dei fini propri delle arre protette, cioè la funzione di tutela e quella di valorizzazione, nel rispetto però delle procedure di leale cooperazione (con l’esclusione quindi di attribuzioni regolate unilateralmente dalle normative regionali) (sent. n. 315). Tra le competenze esclusive statali rientrano senz’altro i divieti di caccia, che costituiscono una delle finalità più rilevanti per l’istituzione di un’area protetta, tento conto che oggetto della caccia è la fauna selvatica, bene ambientale di notevole rilievo la cui tutela spetta allo Stato, salva sempre la potestà della Regione di prescrivere, purché nell’esercizio di proprie autonome competenze legislative, livelli di più elevati (154) (sent. n. 193). Le Regioni, pertanto, non possono estendere anche ai soggetti non residenti nei Comuni dell’area protetta l’esercizio dell’attività venatoria, tassativamente vietata dalla normativa statale (sent. n. 315). Non derogabile dalle Regioni è anche il principio di rappresentatività degli organi di gestione della caccia (155), con la conseguente illegittimità della previsione di una composizione dei Comitati di gestione degli ambiti territoriali in deroga al criterio di pariteticità tra associazioni venatorie e degli agricoltori (sent. n. 268).
Infine, all’interno della tutela dell’ambiente si colloca anche la “tutela del paesaggio”, il quale costituisce un valore primario” e “assoluto (156). Con specifico riferimento al procedimento volto al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, la Corte ha affermato l’inderogabilità degli istituti di protezione ambientale, di cui al cd. “Codice del paesaggio” (d.lgs. n. 42 del 2004). che dettano una disciplina uniforme valevole su tutto il territorio nazionale nel cui ambito deve essere annoverata l’autorizzazione paesaggistica (157). Pertanto illegittime sono le norme regionali che modificano la decorrenza del termine fissato dal legislatore statale per la piena applicazione della procedura autorizzatoria in questione; né, in senso contrario, potrebbero farsi valere potestà attuativo-integrative delle Province autonome (sent. n. 101).
Da ultimo si segnala la declaratoria d’illegittimità costituzionale della normativa della Provincia autonoma di Bolzano recante la disciplina dell’obbligo d’iscrizione, nonché la relativa procedura, all’Albo nazionale gestori ambientali, in quanto riproduttiva di norma già dichiarata incostituzionale dalla sentenza n. 315 del 2009 (sent. n. 350).
 
8.      Potestà concorrente
 
8.1.   Principi fondamentali
 
In linea di principio, come già sottolineato in giurisprudenza (158), la delega legislativa può ammettersi anche nelle materie di potestà ripartita, non dovendosi confondere il grado di determinatezza proprio dei principi e criteri direttivi della delega con quello, qualitativamente distinto e non necessariamente coincidente, dei principi fondamentali della materia (sent. n. 278).
La nozione di principio fondamentale (per cui non vale l’autoqualificazione data dalla normativa statale), inoltre, non può essere cristallizzata in una formula valida in ogni circostanza, ma deve tenere conto del contesto, del momento congiunturale in relazione ai quali l’accertamento va compiuto e della peculiarità della materia (sent. n. 16).
Il rispetto del rapporto tra normativa di principio e normativa di dettaglio, invece, va inteso nel senso che l’una è volta a prescrivere criteri e obiettivi, mentre all’altra spetta l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi (159) (sentt. nn. 16, 278, 341). La stessa specificità delle prescrizioni, di per sé, non fa escludere il carattere di principio di una norma, qualora essa risulti legata al principio stesso da un evidente rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione (160); il che consente ai principi d’incidere su una o più materie di competenza regionale e determinare una, sia pure parziale, compressione degli spazi entro cui possono esercitarsi le competenze legislative e amministrative delle Regioni (sent. n. 16).
 
 
8.2.   Istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e formazione professionale
 
L’ambito di legislazione regionale inerisce alla disciplina di situazioni specificatamente collegate alla realtà territoriale delle Regioni, anche sotto il profilo socio-economico; ciò, concerne sia il settore della programmazione scolastica regionale, sia quello del dimensionamento sul territorio della rete scolastica (161); la qual cosa comprende anche la distribuzione del personale docente tra le istituzioni scolastiche (162) (sent. n. 235).
 
 
8.3.         Professioni
 
Poche le novità riguardo alla materia delle professioni. In primo luogo, si ribadisce che, quale che sia il settore in cui una determinata professione si esplichi, la determinazione dei principi fondamentali della relativa disciplina spetta sempre allo Stato (sentt. nn. 132). In secondo luogo, è confermato che l'individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato (sentt. nn. 131, 132, 300); principio che si configura quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale (163), con conseguente sua impossibilità di dar vita a nuove figure professionali (sentt. nn. 131, 132, 300). Di conseguenza, l'istituzione di un registro o albo professionale e la previsione delle condizioni per la iscrizione in esso, poiché hanno una funzione individuatrice della professione, sono inibite alla fonte regionale (sentt. nn. 131, 132) (164). A quest’ultima, dunque, resta solo la possibilità di disciplinare quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale (sent. n. 300)
In base a tali affermazioni risulta illegittima una normativa regionale in materia di mediazione familiare, la cui attività è solo accennata nella legge statale, definendo la figura del mediatore familiare, con la previsione di appositi elenchi e dei requisiti per l’iscrizione in essi (sent. n. 131). Discorso analogo per la creazione di figure inerenti le professioni turistiche (165) (sent. n. 132), nonché per l’istituzione, la regolamentazione del percorso formativo e l’attribuzione di compiti e funzioni riconducibili a professioni sanitarie della figura dell’autista soccorritore (sent. n. 300).
Non introduce, invece, alcuna nuova figura professionale la disciplina della Regione Veneto sulla Commissione conciliativa regionale (l.r. n. 15 del 2009), prevedendo che essa sia composta da un magistrato a riposo, da un avvocato e da un medico legale; questi ultimi, infatti, possiedono già ben precisi profili professionali e non acquistano alcuna ulteriore qualificazione per effetto della loro partecipazione alle attività della Commissione stessa (sent. n. 178).
 
 
8.4.   Tutela della salute
 
E’ ormai pacifico che la tutela della salute ha un significato più ampio rispetto alla materia dell’ “assistenza sanitaria e ospedaliera”, di cui alla precedente formulazione dell’art. 117 Cost. (166) (sentt. nn. 21, 207), fissando una più netta distinzione fra la competenza regionale e quella statale (167) (sent. n. 207), che ricomprende le norme idonee a preservare, con carattere di uniformità, un bene che per sua natura non si presterebbe a essere protetto diversamente alla stregua di tutele differenziate (168) (sent. n. 278).
Come già precisato dalla Corte (169), l’organizzazione sanitaria presenta forti connessioni con la materia in esame (sentt. nn. 178, 207), poiché le modalità di organizzazione del servizio sanitario costituiscono la cornice funzionale e operativa che garantisce la qualità e l’adeguatezza delle prestazioni erogate (sent. n. 207). Infatti, l’obbligo delle istituzioni pubbliche di fornire adeguate prestazioni sanitarie ai cittadini presuppone un’organizzazione in grado di contenere i costi e di razionalizzare le spese, in vista di un efficace uso delle risorse disponibili; aspetti questi in cui è imprescindibile il ruolo della legislazione statale di principio, al fine di assicurare coerenza e unitarietà di disciplina (sent. n. 178). In virtù di tali principi la prevenzione delle controversie, e dei relativi costi elevati, rientra pienamente tra gli strumenti idonei a raggiungere i predetti obiettivi, che devono essere perseguiti dalle aziende sanitarie, con l’effetto di liberare risorse da impiegare nel miglioramento dei servizi. Così, nel settore delle richieste di risarcimento del danno derivante da responsabilità medica, la stessa normativa statale, con riguardo alla conciliazione obbligatoria, consente discipline regionali con riferimento a negoziazioni “volontarie e paritetiche”, tali cioè da escludere qualsiasi posizione autoritativa di organi di mediazione non statali, da cui possano discendere effetti limitativi del diritto di azione. In altri termini, si ammettono quei mezzi tesi a consentire al cittadino un più rapido soddisfacimento delle proprie richieste e alle amministrazioni sanitarie una riduzione dei pesi finanziari e amministrativi di lunghe e costose controversie(sent. n. 178). Tra i principi fondamentali della materia, risulta da tempo presente quello della separazione tra gestione liquidatoria delle passività delle USL e le attività poste in essere dalla ASL; sebbene esso contenga anche elementi a contenuto specifico e dettagliato, in virtù del rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione con le norme di principio che connotano il settore dell’organizzazione sanitaria locale, lo stesso può ritenersi legittimamente imposto dal legislatore statale (170), con la conseguente illegittimità di norme regionali che dispongano in senso contrario (sent. n. 108). Anche la delimitazione temporale dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni sanitarie, strumentale alla prestazione del servizio, è espressione della tutela della salute (171); ne consegue l’illegittimità di disposizioni regionali che stabiliscano l’accesso e l’inquadramento del personale dirigenziale al di fuori delle procedure selettive pubbliche, in evidente contrasto con la normativa statale di principio, che richiede non solo procedure concorsuali di selezione dei dirigenti, ma anche strumenti di verifica del loro operato (sent. n. 150).
Può ascriversi alla materia in esame anche la disciplina degli accertamenti medico-legali sui dipendenti assenti per malattia; anche se attivata per soddisfare un interesse del datore di lavoro, infatti, essa configura una prestazione di tipo sanitario che si sostanzia, quanto meno, in una diagnosi sulla salute del lavoratore conforme o difforme rispetto a quella effettuata dal medico curante o alla condizione denunciata dal lavoratore e che può anche determinare l’adozione di misure che eccedono la persona del dipendente, qualora l’accertamento evidenzi patologie che presentino rischi di contagio. Tuttavia, lo Stato non può dettare una dettagliata regolamentazione di tali accertamenti, senza lasciare alle Regioni alcuno spazio neppure per una normazione di esecuzione, nonché vincolando risorse in contrasto con l’autonomia finanziaria di cui all’art. 119 Cost. (sent. n. 207).
Da ultimo, anche l’autorizzazione e la vigilanza delle istituzioni sanitarie private costituisce aspetto della tutela della salute; in tal senso alle Regioni non è consentito prevedere l’esclusione dell’autorizzazione all’esercizio di attività sanitarie per gli studi medici e odontoiatrici, introducendosi una normativa in netto contrasto con la legislazione statale di principio, che stabilisce la necessità di tale autorizzazione per assicurare livelli essenziali di sicurezza e di qualità delle prestazioni in tutti gli ambiti nei quali il possesso della dotazione strumentale e la sua corretta gestione e manutenzione assume preminente interesse per assicurare l’idoneità e la sicurezza delle cure; né, a tal fine, rileva che siffatte strutture siano prive dell’accreditamento presso il servizio sanitario nazionale, non incidendo tale circostanza sul tipo di prestazioni da erogare (sentt. nn. 150, 245).
 
8.5.   Governo del territorio
 
La disciplina del governo del territorio, per consolidato orientamento giurisprudenziale, comprende essenzialmente gli usi ammissibili del territorio e la localizzazione di impianti o attività (sentt. nn. 21, 278) (172).
Com’è noto, molti aspetti dell’edilizia residenziale ricadono in tale ambito; lo Stato, pertanto, può indicare con legge la previsione di un piano nazionale di edilizia abitativa, regolando, in conformità all’art. 118 Cost., anche la fase di attuazione tecnica. La legge statale, infatti, può prevedere, in via generale, una tipologia di interventi da realizzarsi sulla base di criteri oggettivi, tenendo conto dell’effettivo bisogno abitativo presente nelle diverse realtà territoriali, senza interferire nelle competenze regionali concernente la gestione dei relativi immobili. Dunque, in tale piano non possono trovare posto interventi privi di carattere sociale e tesi a garantire il fine unitario dell’incremento quantitativo dell’edilizia residenziale pubblica; il che vale anche per la disciplina dei diritti edificatori, ascrivibile, tra l’altro anche all’ordinamento civile (sent. n. 121). Ne consegue, per gli aspetti esaminati, la legittimità dell’istituzione di un apposito fondo statale, anche prescindendo dall’intesa con le Regioni (sent. n. 121).
Va ricondotta al governo del territorio e non al turismo, in applicazione del criterio di prevalenza, la disciplina urbanistico-edilizia relativa all’installazione dei mezzi mobili di pernottamento. Il rispetto del riparto di competenze, pertanto, non consente allo Stato di escludere l’obbligo di conseguimento di specifico titolo abilitativo per le strutture turistico recettive all’aperto, realizzate tramite l’installazione di mezzi mobili di pernottamento; trattandosi di una disciplina limitata a specifiche tipologie d’interventi edilizi, realizzati in contesti ben definiti e circoscritti, infatti, essa ha carattere eccessivamente dettagliato (sent. n. 278).
Eccede le competenze statali anche la normativa con cui si attribuisce alla delibera del consiglio comunale, al fine di costituire fondi d’investimento immobiliare per la valorizzazione degli immobili militari, d’intesa con i Comuni interessati, efficacia di autorizzazione alle varianti allo strumento urbanistico generale, per le quali non occorre la verifica di conformità agli atti di pianificazione provinciale e regionale (sent. n. 341).
 
 
8.6.   Porti e aeroporti civili
 
Costituisce principio fondamentale della materia in esame il precetto statale che prevede il parere obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici sui progetti relativi alle opere portuali, anche di competenza regionale, con la sola esclusione di quelli d’importo inferiore a venticinque milioni di euro e finanziati dallo Stato in misura minore del 50 per cento; ne consegue l’illegittimità di normative regionali che provvedano in senso contrario (sent. n. 314).
 
 
8.7.   Ordinamento della comunicazione
 
Le misure regionali di sostegno del sistema integrato delle comunicazioni di pubblica utilità devono essere ascritte alla materia ordinamento della comunicazione, senza che venga in rilievo la disciplina dei mercati e il contrasto delle posizioni dominanti, disciplinati, invece, dalla normativa statale sul “sistema integrato della comunicazione” di cui d.lgs. n. 177 del 2005, dettata a tutela della concorrenza. Diversi, infatti, sono le finalità degli strumenti posti al fine di individuare le attività economiche nell’ambito delle quali la Regione può adottare specifici interventi di sostegno organizzativo ed economico, con scopi di formazione e promozionale, che definiscono il “sistema integrato delle comunicazioni”. Da ciò, pertanto, deriva l’irrilevanza, ai fini di sindacare l’illegittimità delle disposizioni adottate dal legislatore regionale, della mancata inclusione dell’“editoria annuaristica ed elettronica” non fruibile attraverso internet, della “stampa quotidiana e periodica” e della “pubblicità esterna” tra le attività ricomprese nel suddetto “sistema integrato regionale” (sent. n. 255).
La giurisprudenza costituzionale già in passato ha ritenuto espressione di un principio fondamentale della materia in esame la previsione del divieto di porre a carico degli operatori oneri o canoni, perseguendo la finalità di garantire agli stessi un trattamento uniforme e non discriminatorio (173); in caso contrario, infatti, ogni Regione potrebbe liberamente prevedere obblighi pecuniari a carico dei soggetti operanti sul proprio territorio, con il rischio di un’ingiustificata discriminazione rispetto agli operatori di altre Regioni, per i quali tali obblighi potrebbero non essere imposti. La norma, pertanto, svolge una garanzia di parità di trattamento, volta a non ostacolare l’ingresso di nuovi soggetti nel settore, per cui anche le deroghe a tale divieto non possono essere previste se non dalla disciplina statale. Inoltre, si è affermato come la previsione da parte del legislatore regionale di oneri economici posti a carico degli operatori, in relazione all’attività di consulenza tecnica svolta dall’ARPA, sia suscettibile di determinare un trattamento discriminatorio e non uniforme tra gli operatori del settore, con conseguente violazione del principio fissato dal legislatore statale (174). Tale esigenza di non discriminazione, infine, si pone nello stesso modo per tutti gli obblighi pecuniari, siano essi imposti in occasione del rilascio dell’autorizzazione ovvero previsti per interventi di vigilanza e di controllo che si rendano necessari nel corso dello svolgimento del servizio e dunque inerenti al rapporto instauratosi con l’amministrazione proprio in forza dell’originario titolo autorizzativo. Da ciò deriva l’illegittimità di una normativa regionale la quale ponga a carico dei richiedenti l’autorizzazione all’installazione o alla modifica degli impianti di telefonia mobile gli oneri relativi allo svolgimento dei controlli effettuati dall’ARPAT all’atto del rilascio dell’autorizzazione. Ad analoga conclusione si deve pervenire anche per la fissazione a carico dei titolari degli impianti fissi per la telefonia mobile, nonché dei concessionari per radiodiffusione di programmi radiofonici e televisivi a carattere commerciale, degli oneri relativi all’effettuazione dei controlli, compiuti dall’ARPAT nell’ambito delle sue funzioni di vigilanza e controllo (sent. n. 272).
 
 
8.8.         Produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia
 
Come già affermato dalla Corte, l’espressione utilizzata nel terzo comma dell’art. 117 Cost. deve ritenersi corrispondente alla nozione di “settore energetico” di cui alla legge n. 239 del 2004, così come alla nozione di “politica energetica nazionale” utilizzata dal legislatore statale nell’art. 29 del d.lgs. n. 112 del 1998 (175); il che ha trovato conferma anche all’art. 7 del d.l. n. 112 del 2008 (conv. in l. n. 133 del 2008) che, nel definire la strategia energetica nazionale, vi ha significativamente incluso la realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare (176) (sent. n. 278), sulle cui specificità si ci è soffermati in precedenza (vedi supra, par. 6.1.2).
Nella materia in questione rientra il rilascio dell’autorizzazione per gli impianti di trasmissione, trasformazione e distribuzione dell’energia elettrica sopra la soglia di 100 mila volt e assoggettati a valutazione d’impatto (177), in cui si giustifica, oltre alla normativa statale di principio, anche la chiamata in sussidiarietà di funzioni amministrative (178). Nello specifico la disciplina statale prevede una competenza Regionale e Provinciale per il rilascio di autorizzazioni relative a elettrodotti con tensione non superiore a 150 chilovolts, nonché il rilascio di un’autorizzazione unica, a prescindere dalle soglie di potenza, per gli impianti appartenenti alla “rete nazionale”; il che però non esclude che le Regioni possano intervenire con proprie normative negli ambiti alle stesse residui, in particolare riguardo alla VIA (179) (sent. n. 313)
Nel settore delle energie rinnovabili il legislatore statale ha recepito il favor della normativa comunitaria, nonché di quella internazionale di cui al Protocollo di Kyoto, per la promozione delle stesse, al fine di eliminare la dipendenza dai carburanti fossili (180); Favor che rende illegittime quelle normative regionali le quali prevedano limiti alla produzione di energia da fonti rinnovabili (sent. n. 124). Tuttavia, le discipline regionali non possono anticipare, in tale settore, il recepimento della normativa comunitaria, che spetta in via preliminare allo Stato in virtù di specifiche ragioni di uniformità della rete nazionale (sent. n. 313).
Rientra dunque nella potestà legislativa in questione la disciplina dell’insediamento degli impianti di energia eolica (181), pur non trascurandosi la rilevanza che riveste la tutela dell’ambiente e del paesaggio (182) (sentt. nn. 119, 124, 168, 313, 344, 366). In tal ambito, quindi, risponde a esigenze di uniformità la disciplina statale dei titoli abilitativi (autorizzazione unica regionale e denuncia inizio attività) per la realizzazione degli impianti (183) (sentt. nn. 119, 174, 313, 341). L’autorizzazione unica regionale, solo limitatamente derogabile a favore di procedure semplificate, concreta, infatti, una procedura uniforme mirata a realizzare le esigenze di tempestività e contenimento dei termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi inerenti alla costruzione ed esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, che resterebbe vanificata ove a essa si abbinasse o sostituisse una disciplina regionale, anche se concepita nell’ambito di una diversa materia (184) (sent. n. 194); la stessa, inoltre, svolge il fine fondamentale di consentire la composizione degli interessi in gioco, da realizzarsi mediante lo svolgimento di apposita conferenza di servizi (185); le normative regionali, pertanto, non possono procedere in senso opposto, senza che possa ritenersi sufficiente la previsione della necessità di ottenere l’autorizzazione paesaggistica nelle aree vincolate (sent. n. 313). Anche le ipotesi di applicabilità della procedura semplificata di DIA in alternativa all’autorizzazione unica, di conseguenza, sono rimesse alla legislazione statale di principio, da estendersi anzi anche ad aspetti di dettaglio per via della chiamata in sussidiarietà dello Stato di funzioni amministrative relative ai problemi energetici di livello nazionale (186); ciò anche riguardo alla valutazione dell’entità delle trasformazioni che l’installazione dell’impianto determina, ai fini dell’eventuale adozione di procedure semplificate (187). Alla Regione, pertanto, non è data la possibilità di innalzare autonomamente le soglie per cui può procedersi con la DIA, riservate dalla legislazione alla competenza ministeriale d’intesa con la Conferenza unificata (sentt. nn. 119, 124, 194, 313, 366). La normativa regionale, non può intervenire neppure sui termini di sospensione per il rilascio di nuove autorizzazioni per la realizzazione di tale tipo d’impianti, né, più in generale, sui termini autorizzatori, che sono espressione di un principio fondamentale di semplificazione e celerità amministrativa (sentt. nn. 124, 168). Discorso analogo deve farsi per l’indicazione di adempimenti relativi all’installazione degli impianti eolici in difformità ai criteri fissati dalla legge statale (sent. n. 344). Compatibile con la disciplina statale sull’autorizzazione unica, di cui anzi costituisce attuazione, è invece la normativa regionale che, imponga l’obbligo di produzione, a posteriori, di una documentazione bancaria idonea ad accertare le capacità finanziarie del soggetto autorizzato, a pena di decadenza dall’autorizzazione (sent. n. 119).
Sempre riguardo all’installazione e all’esercizio di impianti da energie rinnovabili, la legge statale vieta tassativamente l’imposizione di corrispettivo (le cosiddette misure di compensazione patrimoniale) quale condizione per il rilascio dei relativi titoli abilitativi, tenuto anche conto che, secondo l’ordinamento comunitario e quello nazionale, la costruzione e l’esercizio di impianti siffatti sono libere attività d’impresa, soggette alla sola autorizzazione amministrativa della Regione. Devono, invece, ritenersi ammissibili gli accordi che contemplino misure di compensazione e riequilibrio ambientale, nel senso che il pregiudizio subito dall’ambiente per l’impatto del nuovo impianto, oggetto di autorizzazione, viene “compensato” dall’impegno a una riduzione delle emissioni inquinanti da parte dell’operatore economico proponente. Le Regioni, pertanto, possono prevedere misure di compensazione quale contenuto di un’autorizzazione, a fini di riequilibrio ambientale (sentt. nn. 119, 124) (188). Sono illegittime, invece, quelle discipline regionali che prevedano oneri e condizioni a carico del richiedente l’autorizzazione che si concretizzano in vantaggi economici per la Regione e per gli altri enti locali (sent. n. 124).
La previsione di limiti generali alla possibilità di realizzare impianti di produzione di energia alimentati da biomasse è riconducibile,  anch’essa alla disciplina attinente ai principi fondamentali della materia, precludendosi alle Regioni la possibilità d’intervenire su tali aspetti in contrasto con la normativa statale (sent. n. 332).
Da ultimo, legittima è la collocazione con legge regionale presso l’Agenzia regionale di protezione ambientale del Catasto informatico degli elettrodotti, non ledendosi la normativa statale istitutiva delle ARPA (sent. n. 119).
 
8.9.   Valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali
 
Nell’esercizio delle proprie potestà in materia le Regioni, oltre ai limiti derivanti dall’art. 117, comma 2, lett. s), devono rispettare i principi dettati dalla legislazione statale. Pertanto, le stesse non possono legiferare autonomamente per la definizione di indirizzi e criteri riguardanti le attività di tutela, pianificazione, recupero, riqualificazione e valorizzazione del paesaggio, poiché il Codice del paesaggio ribadisce il principio di cooperazione tra le amministrazioni pubbliche. Allo stesso modo, le Regioni non possono eludere il principio della prevalenza del piano paesaggistico sugli atti di pianificazione a incidenza territoriale posti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette (189) (sent. n. 193). Legittima, invece, è l’introduzione di misure di mitigazione, accanto a quelle di conservazione e compensazione, per gli interventi e i programmi di rilevante incidenza sulle aree protette, in ossequio a quanto previsto dalla normativa comunitaria (sent. n. 193).
 
 
9.      Potestà residuale
 
9.1.  Servizi sociali
 
In tale materia rientrano tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti e a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario (sent. n. 226) (190); interventi, quindi,  attinenti all’ambito materiale dell’assistenza e, appunto, dei servizi sociali (191), pur nella stretta connessione che esso trova con le competenze statali di cui all’art. 117, comma 2, lett. m) (sentt. nn. 10, 121).
Su questa base, pertanto, la Regione può approntare le misure assistenziali necessarie a garantire le condizioni affinché gli immigrati possano accedere alle misure alternative alla detenzione (quali, ad esempio, la disponibilità di un alloggio); misure che possono, eventualmente, essere concesse anche agli stranieri extracomunitari entrati illegalmente nel territorio dello Stato, ovvero privi del permesso di soggiorno (sent. n. 299).
 
 
9.2.  Comunità montane
 
Ancora una volta, si ribadisce la riconducibilità alla potestà residuale delle Regioni della disciplina delle Comunità montane, alle quali va riconosciuta natura giuridica di ente autonomo, seppure non “costituzionalmente necessario”, quale proiezione dei Comuni che vi fanno capo o di Unioni di Comuni, enti locali costituiti fra Comuni montani (192). Il che comporta che siano le stesse Regioni a dover provvedere, in base all’art. 119 Cost., al loro finanziamento, salva la possibilità di ricondurre ai principi di coordinamento della finanza pubblica quelle norme dettate per il contenimento della spesa pubblica (sentt. nn. 27, 326).
 
 
9.3.   Organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali
 
La giurisprudenza costituzionale è pacifica nel ritenere che la regolamentazione delle modalità di accesso al lavoro pubblico regionale è riconducibile alla materia dell’organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali, di competenza residuale delle Regioni (193) (sentt. nn. 100, 235).
Significative, sebbene non del tutto innovative (194), le pronunce con cui si sono posti nuovi limiti al cd. spoils system regionale. La compatibilità con l’art. 97 Cost. di disposizioni legislative che ricollegano al rinnovo dell’organo politico l’automatica decadenza di titolari di uffici amministrativi è subordinata a due condizioni: che si riferiscano a soggetti titolari di organi di vertice dell’amministrazione e che gli stessi siano nominati sulla base di valutazioni personali coerenti all’indirizzo politico regionale. In casi diversi, invece, tali meccanismi contrastano con i principi di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa, poiché pregiudicano la continuità della stessa e v’introducono elementi di parzialità; inoltre, sottraendo al soggetto dichiarato decaduto dall’incarico le garanzie del giusto procedimento e svincolando la rimozione del dirigente dall’accertamento oggettivo dei risultati conseguiti ledono anche il principio del giusto procedimento, nonché quelli di efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa, nonché il diritto alla tutela giudiziaria delle situazioni soggettive dell’interessato inerenti alla carica (sentt. nn. 34, 224).
In virtù di tali principi, le disposizioni che prevedono meccanismi di decadenza automatica al rinnovo delle cariche politiche per i direttori generali delle Asl della Regione Calabria e per il direttore generale dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Calabria (Arpacal), risultano illegittime; per entrambe le figure, infatti, i rapporti con l’organo politico risultano mediati da strutture dipendenti dalla Giunta e la nomina è subordinata al possesso di specifici requisiti di competenza e professionalità (per il direttore generale dell’Arpacal è anche preceduta da avviso pubblico), dunque basata sull’apprezzamento oggettivo, ed eventualmente anche comparativo, delle qualità professionali e del merito. Quanto detto vale anche per la previsione di una decadenza automatica del direttore amministrativo e del direttore sanitario nel caso di nomina di un nuovo direttore generale delle aziende sanitarie e ospedaliere della Regione Lazio; anche in tal caso, infatti, non sussiste un rapporto di stretta simmetria tra le modalità di conferimento dell’incarico dirigenziale e le cause di cessazione di esso, poiché la scelta fiduciaria del direttore amministrativo non implica che l’interruzione del rapporto possa avvenire con il medesimo margine di apprezzamento discrezionale, venendo in rilievo altri profili, concernenti l’espletamento con continuità delle funzioni dirigenziali, non consentendosi alcuna valutazione qualitativa dell’operato del direttore amministrativo effettuata con le garanzie del giusto procedimento; si determinerebbe così una vera e propria “discontinuità della gestione” in contrasto con l’art. 97 della Costituzione (195) (sent. n. 34).
Consolidata è anche l’applicazione alle amministrazioni regionali del principio del pubblico concorso, le cui deroghe, finalizzate a valorizzare le esperienze professionali già maturate, seppure previste espressamente dallo stesso art. 97, terzo comma, Cost., devono essere delimitate in modo rigoroso e giustificate da peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico funzionali alle esigenze di buon andamento dell’amministrazione (196); il che è dato dal mero fatto di aver prestato attività a tempo determinato presso l’amministrazione, che non giustifica di per sé neppure una riserva di posti (197), o dalla personale aspettativa degli aspiranti a una misura di stabilizzazione (sentt. nn. 9, 149, 150, 169, 195, 213, 225, 235). La natura comparativa e aperta della procedura, dunque, è elemento essenziale del concorso pubblico e procedure selettive riservate violano il “carattere pubblico” del concorso (sentt. nn. 100, 169, 354), il quale è diretto anche e prima di tutto ad assicurare il diritto di tutti i cittadini di poter concorrere, in condizione di uguaglianza, agli uffici pubblici (sent. nn. 213, 225). Ne deriva, che procedure non concorsuali possono aversi solo previa la fissazione di adeguati criteri selettivi volti a garantire la necessaria professionalità degli assunti e un equilibrato rapporto con il personale selezionato mediante concorso pubblico, stabilendo delle percentuali rigorose entro le quali è consentito, all’ente pubblico, il ricorso a selezioni interne (sentt. nn. 213, 225) (198); pure nei casi in cui ricorrano gli estremi per l’ammissibilità di procedure concorsuali miste, la legge non può lasciare indeterminata la proporzione tra dirigenti selezionati mediante concorso pubblico esterno e dirigenti selezionati con concorso interno per titoli o addirittura la scelta sul tipo di concorso da adottare (sent. n. 213). In conclusione, la valutazione di pregresse esperienze lavorative maturate nell’ambito dell’amministrazione può anche costituire un criterio selettivo, purché non escluda o irragionevolmente riduca, le possibilità di accesso per tutti gli altri aspiranti al pubblico impiego (sent. n. 213). Va precisato che al principio del concorso pubblico deve riconoscersi un ambito di applicazione ampio, includendo anche le ipotesi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio e di trasformazione di rapporti non di ruolo in rapporti di ruolo (sentt. nn. 150, 195) (199); così anche per le ipotesi che determinano un automatico e generalizzato slittamento di soggetti specificamente individuati verso la qualifica superiore, di cui deve essere dichiarata l’illegittimità (200) (sent. n. 150). Per le assunzioni a tempo determinato, invece, la temporaneità dell’incarico può giustificare deroghe al principio del pubblico concorso (201), legittimando la previsione di procedure selettive più snelle di quelle per titoli ed esami, ordinariamente previste per le assunzioni a tempo indeterminato (sent. n. 235).
Da quanto detto, pertanto, deriva l’illegittimità di tutte le norme regionali che prevedano deroghe al principio del concorso pubblico in assenza di indicazioni relative alle esaminate regioni giustificative (sent. n. 267). Così per il conferimento di incarichi dirigenziali, per quote piuttosto elevate, a persone esterne all’amministrazione regionale (sentt. nn. 9, 100), anche in base a semplice domanda dei dirigenti precari (sent. n. 225); così, nel settore sanitario, per quanto concerne la stabilizzazione dei medici “incaricati” per far fronte a situazioni di emergenza (sent. n. 149), nonché dei dirigenti sanitari, di area medica e non (sent. n. 150). Ancora, illegittima è la previsione, senza indicare specifiche esigenze di personale, né fissare alcun limite numerico o alcuna forma di selezione, dell’indiscriminata trasformazione in rapporti di lavoro a tempo determinato dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (sent. n. 179); né possono riscontrarsi ragioni di deroga al principio del concorso neppure nell’esigenza di perequare trattamenti normativi e retributivi dei dipendenti in servizio, che risponde a un mero interesse strumentale dell’amministrazione, prescindendo dalla natura delle funzioni attribuite ai dipendenti (sent. n. 195). Non lede l’art. 97 della Costituzione, invece, una legge regionale la quale, senza disporre alcunché in ordine all’utilizzo delle graduatorie concorsuali ai fini della copertura dei posti vacanti, rimetta ad apposita delibera della Giunta l’adozione di modalità e criteri per la stabilizzazione del personale precario (sent. n. 327).
 
 
9.4.   Edilizia residenziale pubblica
 
La gestione del patrimonio immobiliare degli IACP rientra nella competenza residuale delle Regioni (202). Sono, però, legittimi interventi statali recanti una semplice attività promozionale, di mero stimolo alla conclusione di accordi, liberamente stipulabili dalle Regioni, senza incidere sull’attività gestionale vera e propria. Illegittima, invece, è la fissazione di criteri inerenti le procedure di alienazione di tali immobili o la stipula di convenzioni per lo svolgimento delle relative attività strumentali (sent. n. 121).
 
 
9.5.   Organizzazione dei servizi tecnici e amministrativi regionali
 
Attiene alla potestà residuale delle Regioni dell’organizzazione dei servizi tecnici ed amministrativi regionali, senza nessuna violazione della normativa nazionale sul diritto d’autore la regolamentazione dell’utilizzazione di programmi per elaboratore elettronico dei quali la Regione detenga il codice sorgente (sent. n. 122). In virtù di tale competenza, inoltre, le Regioni possono dettare disposizioni tese a favorire, da parte degli enti regionali, l’utilizzo del cd. software libero (sent. n. 122).
 
 
9.6.   Commercio
 
Altra potestà individuale già individuata dalla Corte è quella del commercio (203). La legislazione statale di cui al d.lgs. n. 114 del 1998, pertanto, si applica alle Regioni soltanto sino all’adozione di proprie normative in materia (204)(sentt. nn. 247, 288).
Con particolare riferimento all’attività commerciale in forma itinerante, all’interno della sua generale regolamentazione rientra anche la possibilità di disciplinarne lo svolgimento, ponendo divieti in ragione delle peculiari situazioni di talune aree metropolitane, finalizzate alla ordinata fruizione e alla valorizzazione dei centri storici delle città d’arte a vocazione turistica (come d’altronde già la stessa legislazione statale consentiva). Divieti siffatti, dunque, non coinvolgono la tutela della concorrenza, non avendo i connotati della particolare rilevanza macroeconomica e non introducendo discriminazioni tra differenti categorie di operatori economici (sent. n. 247); né, d’altro canto, potrebbe ritenersi violato l’art. 41 Cost., poiché la libertà d’iniziativa economica può trovare limiti in ragioni di utilità sociale, non arbitrari e realizzati con misure non incongrue (205) (sent. nn. 247, 289, 312). Neppure possono profilarsi contrasti con l’art. 117, comma 1, Cost., sulla base che un tale divieto inciderebbe maggiormente sui cittadini extracomunitari regolari, poiché esso ha carattere generale e obiettivo (206) (sent. n. 247).
Rientra nella materia in questione la disciplina degli orari e della chiusura domenicale degli esercizi commerciali (207), anche in tal caso senza che sia interessata la tutela della concorrenza. Legittima, pertanto, risulta una normativa regionale che introduca un regime di liberalizzazione riguardo all’apertura domenicale degli esercizi commerciali, in particolare per quelli di ridotte dimensioni, lasciando ai Comuni taluni margini relativi all’individuazione dei giorni d’apertura; tale normativa ha infatti effetti pro-concorrenziali, sia pure marginali e indiretti, evitando anzi distorsioni determinate da orari di apertura significativamente diversificati, dettando criteri legati al settore merceologico, alla dimensione dell’esercizio commerciale e agli effetti sull’occupazione; né pone problemi la sussistenza di un peculiare regime per gli esercizi di dimensioni ridotte, tenuto conto che anche la normativa statale pone distinzioni fra esercizi commerciali proprio in base a un criterio dimensionale (sent. n. 288).
 
 
10.    Potere estero delle Regioni
 
La Corte ha ripetutamente affermato, quanto al “potere estero” delle Regioni, che esso si risolve, nelle materie di competenza regionale, in attività di “mero rilievo internazionale”, cioè compiute con omologhi organismi esteri aventi per oggetto: finalità di studio o di informazione (in materie tecniche); la partecipazione a manifestazioni dirette ad agevolare il progresso culturale o economico in ambito locale; l’enunciazione di propositi intesi ad armonizzare unilateralmente le rispettive condotte (208); sulla stessa linea si pongono le azioni finalizzate al raccordo delle proprie attività con iniziative dell’amministrazione statale, dell’Unione europea o anche degli organismi internazionali che siano ovviamente adottate nel rispetto dei principi della politica estera fissati dallo Stato (209). All’interno di tale ambito, dunque, devono collocarsi le disposizioni di legge regionale con cui si stabilisce, nella materia delle migrazioni, la promozione di intese e di azioni congiunte con gli enti locali, con le altre Regioni, con gli uffici centrali e periferici delle amministrazioni statali, con le istituzioni europee, le agenzie delle Nazioni Unite competenti, nonché intese volte a facilitare l’ingresso in Italia di cittadini stranieri per la frequenza di corsi di formazione professionale o tirocini formativi (in conformità alla legislazione statale); da un lato, si tratta di misure di mero raccordo, in vista del più efficace perseguimento, in via puramente indiretta e accessoria, delle finalità delineate dal legislatore statale in tema di politiche migratorie; dall’altro, si dettano disposizioni che si riferiscono a un ambito di competenza legislativa regionale residuale, nella specie la formazione professionale, peraltro espressamente da realizzare “in conformità alla legislazione statale” (sent. n. 269).
 
 
11.    Potere regolamentare
 
Come già precisato dalla Corte (210), il sesto comma dell’art. 117 Cost., attribuisce allo Stato la potestà regolamentare nelle materie di sua competenza esclusiva senza alcuna limitazione connessa alla tipologia dei regolamenti (sent. n. 52).
 
 
12.    Autonomia finanziaria.
 
12.1.  Art. 119 Cost.
 
L’art. 119 Cost. prevede un sistema di finanza pubblica in cui trovano posto l’autonomia legislativa e finanziaria delle Regioni, il necessario coordinamento statale, gli interventi statali di perequazione senza vincoli di destinazione e gli interventi speciali, di cui al quinto comma. Tuttavia, com’è noto, la suddetta disposizione costituzionale non ha ricevuto sinora attuazione, con la conseguenza che le Regioni non possiedono risorse sufficienti a fronteggiare in modo adeguato il carico delle tutele che su di loro graverebbe, se lo Stato si limitasse a fissare i livelli essenziali delle prestazioni, senza alcuna previsione in ordine alla provvista dei mezzi finanziari. La fissazione dei livelli essenziali, dunque, non può essere priva di conseguenze sulla finanza regionale, giacché l’obbligo di dare attuazione alle prescrizioni normative statali implica la necessità che le singole Regioni provvedano a stanziare le somme necessarie, traendo le risorse dai propri bilanci, subendo così le conseguenze di scelte unilaterali dello Stato. Dunque, fino alla piena attuazione dell’art. 119 Cost., si devono ricercare forme concrete di bilanciamento dei principi di autonomia e di tutela dei diritti fondamentali di natura sociale, che comportino il minimo sacrificio possibile dell’uno e dell’altro (sent. n. 121). Di conseguenza, sebbene l’art. 119, comma 4, Cost., stabilisca che le funzioni attribuite alle Regioni siano finanziate integralmente dalle fonti previste dallo stesso art. 119, in mancanza delle citate norme d’attuazione l’intervento dello Stato può incidere sugli spazi di autonomia regionale, specie se, oltre a rispondere ai principi di eguaglianza e solidarietà, rivesta quei caratteri di straordinarietà, eccezionalità e urgenza conseguenti a situazioni di crisi internazionale economica e finanziaria, come nel caso della previsione di erogazioni eccezionali (sent. n. 10, per cui vedi supra, par. 7.9). Così, la previsione di un Fondo a salvaguarda delle politiche abitative regionali (ancora par. 7.9), la cui gestione è rimessa a una procedura di codecisione, non è lesiva delle prerogative regionali in materia di autonomia finanziaria (sent. n. 121).
Punto fermo della giurisprudenza costituzionale sull’art. 119 Cost. resta il divieto per il legislatore statale di prevedere, in materia di competenza regionale residuale o concorrente, nuovi finanziamenti a destinazione vincolata, anche a favore di soggetti privati (211); con la precisazione, tuttavia, che l’istituzione di un fondo con vincolo di destinazione non deve necessariamente identificarsi con una delle materie espressamente elencate nel secondo comma dell’art. 117 Cost., ma anche essere conseguenza della “chiamata in sussidiarietà” da parte dello Stato (sent. n. 16). 
Alcune interessanti statuizioni hanno invece riguardato il patrimonio regionale, di cui all’art. 119, comma 6, Cost. Premesso che l’autonomia patrimoniale delle Regioni e degli enti locali non è incondizionata, ma si conforma ai principi che il legislatore statale fissa nelle materie di sua competenza legislativa (sent. n. 325), la legislazione in materia di patrimonio degli enti pubblici non ne distingue, in linea di principio, il regime giuridico in base all’ente titolare; pertanto, la giurisprudenza costituzionale ha sempre sottoposto a uno stretto scrutinio quelle discipline che introducono differenziazioni, giustificando queste ultime solo se discendenti dalla distinta posizione che le Regioni e gli enti autonomi assumono nel disegno costituzionale (212). Ciò premesso, nel caso di interventi statali tesi all’installazione di reti e impianti di comunicazione elettronica, illegittima è l’esclusione delle Regioni dal novero dei soggetti i quali possano opporsi a tale installazione, qualora la stessa avvenga sul patrimonio indisponibile regionale. Dal che, tuttavia, non si deduce l’impossibilità per il legislatore di prevedere una generale clausola di prevalenza degli interessi tesi allo sviluppo delle comunicazioni sulle pretese regionali, purché senza realizzare quella disparità di trattamento di cui sopra, con la conseguente applicabilità anche per le Regioni dell’indennità nel caso di costituzione di una servitù, come previsto per i soggetti privati (sent. n. 20).
L’ultimo comma dell’art. 119 Cost. pone un vincolo di equilibrio finanziario che si sostanzia nel consentire agli enti locali di ricorrere all’indebitamento solo per finanziare le spese di investimento. Tali nozioni, come già chiarito dalla Corte (213), non possono essere determinate a priori in modo assolutamente univoco, spettando, invece, allo Stato, con determinazione non manifestamente irragionevole, definirne il significato in relazione ai diversi contesti che possono venire in rilievo (sent. n. 52).
Da ultimo, si ricordi che, in materia d’interventi di spesa, ai sensi dell’art. 81 Cost., anche le leggi regionali recanti nuove spese devono recare l’apposita indicazione dei relativi mezzi di copertura (sent. n. 70) (214); copertura che deve essere credibile, sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, in equilibrato rapporto con la spesa che si intende effettuare in esercizi futuri (sent. n. 141) (215). Né il legislatore regionale può sottrarsi a quella fondamentale esigenza di chiarezza e solidità del bilancio cui l’art. 81 Cost. si ispira (216) (sentt. nn. 100, 141).
 
 
12.2.     Armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (art. 117, comma 3)
 
Preliminarmente, deve ricordarsi che, per costante giurisprudenza costituzionale (217), l’analisi delle manovre finanziarie complesse non può avere carattere atomistico, poiché alla riduzione di alcune risorse finanziarie si accompagna sovente l’aumento di altre; spetta pertanto alle Regioni dimostrare, allorché rivendichino l’illegittimità di norme che prevedono la riduzione dei trasferimenti erariali, che la stessa determini l’insufficienza dei mezzi finanziari per l’adempimento dei propri compiti (sent. n. 27).
La giurisprudenza della Corte è ormai costante nel ritenere che norme statali che fissano limiti alla spese di enti pubblici regionali sono espressione della finalità di coordinamento finanziario (sentt. nn. 52, 141, 326) (218). Il legislatore statale può, dunque, legittimamente imporre alle Regioni vincoli alla spesa corrente per assicurare l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari (sentt. nn. 52, 141, 326), in particolare in virtù del patto di stabilità interno, il cui ambito di applicazione attiene appunto alla materia in esame (sent. n. 325); inoltre, pur affermando che le misure statali non devono prevedere in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obbiettivi (219) (sentt. nn. 16, 52, 156, 326), la Corte ha sancito la legittimità delle norme puntuali tese a realizzare in concreto la finalità del coordinamento finanziario, che per sua natura eccede le possibilità di intervento dei livelli territoriali sub-statali (220) (sentt. nn. 16, 52). In tal modo, i principi dettati dalla legge statale assumono carattere “finalistico”, tale da incidere su una o più materie di competenza regionale, anche di tipo residuale (sentt. nn. 16, 326, 370) (221). Ciò, tuttavia, non fa escludere la necessità che le misure statali di contenimento della spesa debbano comunque superare un vaglio di ragionevolezza, che costituisce anzi il vero limite dell’intervento del legislatore statale in materia; inoltre, le misure statali non possano prescindere dalla individuazione certa delle fonti di finanziamento delle spese degli enti locali territoriali; in caso contrario, infatti, verrebbe compromessa la certezza sia delle fonti di spesa degli enti interessati, sia delle risorse economiche effettivamente disponibili per gli enti stessi (sent. n. 326).
Dai principi sottolineati deriva la legittimità del reperimento di risorse Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), relativamente a somme assegnate, ma non ancora impegnate o programmate, disponendo una nuova programmazione di esse per il conseguimento di obiettivi considerati prioritari per il rilancio dell’economia. Le somme, infatti, non sono ancora state utilizzate dalle Regioni e sono destinate a rientrare nella disponibilità delle stesse, peraltro in virtù di provvedimenti amministrativi (delibere CIPE) adottati previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni, dunque nel rispetto del principio di leale collaborazione (sent. n. 16). In senso analogo deve dirsi per la disciplina di cui al d.l. n. 112 del 2008 (conv. in l. n. 133 del 2008), che dispone la concentrazione, da parte delle Regioni, su infrastrutture di interesse strategico regionale delle risorse del Quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013 e previste dall’apposito Fondo nazionale; ivi, infatti, oltre a conformarsi a priorità e obiettivi stabiliti dalla normativa comunitaria, non s’impone un vincolo specifico o puntuali modalità di utilizzo, ma si lasciano alle Regioni adeguati spazi di manovra nell’individuazione delle infrastrutture, con la predisposizione di adeguati mezzi di coinvolgimento delle stesse (sent. n. 16). Conclusioni che possono estendersi anche alla confluenza in apposito Fondo statale per l’edilizia residenziale pubblica (vedi supra, par. 7.9)delle somme stanziate ma non iscritte nei bilanci e non impegnate, le quali, inoltre, non sono sottratte in via permanente al circuito regionale, ma sono destinate a essere nuovamente programmate (sent. n. 121).
Tra i più frequenti principi di coordinamento della finanza pubblica vi sono quelli posti al fine del contenimento della spesa sanitaria, al fine di evitare l’aumento incontrollato della stessa (222) (sentt. nn. 100, 149): è il legislatore statale, infatti, a dover effettuare un bilanciamento tra l’esigenza di garantire egualmente a tutti i cittadini il diritto fondamentale alla salute, nella misura più ampia possibile, e quella di rendere compatibile la spesa sanitaria con la limitatezza delle disponibilità finanziarie che è possibile a essa destinare (223) (sent. n. 149; ord. n. 243). Esempi in tal senso sono dati dall’introduzione di meccanismi normativi relativi alle condizioni di accesso delle Regioni a speciali finanziamenti premiali nel caso di politiche regionali virtuose (224), nonché finalizzate a conseguire obiettivi posti da obblighi comunitari (225) (sentt. nn. 40, 141), come per i finanziamenti integrativi subordinati alla riduzione della spesa per il personale e per i posti letto, secondo modalità ciascuna specifica per ogni realtà regionale (sent. n. 40),  anche in relazione alle strutture private accreditate (sent. n. 289); discorso simile può farsi per l’imposizione alle strutture private accreditate con il Servizio sanitario nazionale di una decurtazione sulle tariffe concernenti la remunerazione delle prestazioni rese per conto di detto Servizio (ord. n. 243). Le esigenze di contenimento della spesa sanitaria legittimano anche l’indicazione di restrizioni riguardo alla possibilità per le Regioni di ricorrere a consulenze esterne, pur potendo le stesse dettare requisiti aggiuntivi, rendendo ancora più rigorosa la normativa statale (sent. n. 100); illegittime, invece, sono le norme regionali che, determinando la costituzione di nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato per lavoratori incaricati causino aggravio di oneri finanziari a carico della Regione e, in definitiva, del Servizio sanitario nazionale (sent. n. 149), mentre esse non ledono le competenze statali quando non individuino autonomamente i requisiti del personale da stabilizzare, rinviando sul punto alla normativa di principio (sent. n. 179). Ancora, costituiscono principi di contenimento della spesa sanitaria gli strumenti, individuati con accordo adottato dalla Conferenza Stato-Regioni, tesi alla riduzione delle spese per il personale, da realizzarsi mediante una revisione della consistenza organica e sottoposta a controllo da parte di apposito “Tavolo tecnico”; la legge regionale, pertanto, non può, senza stabilire riduzioni di organico, prevedere l’utilizzo delle somme derivanti dai minori costi imputabili a cessazioni di rapporti di lavoro per spese relative al personale sanitario (sent. n. 333). Anche i criteri per il riordino degli organi della governance della sanità rientrano in tale settore;  illegittime sono così le discipline regionali che contrastino con l’indicazione di legge statale recante una forte limitazione per quelli che non presentino il carattere dell’indispensabilità, contrarie, come per l’Autorità per il servizio sanitario di cui alla legge della Regione Calabria n. 11 del 2009 (sent. n. 267). Va precisato, in conclusione, che per le autonomie speciali, poiché lo Stato non concorre al finanziamento della spesa sanitaria, il legislatore statale non ha titolo per dettare norme di coordinamento finanziario e, nella specie, non può prevedere che siano riversate sul bilancio dello Stato le economie di spesa farmaceutica (226) (sent. n. 133).
La “trasversalità” dei principi di coordinamento finanziario si palesa ancora una volta riguardo alla disciplina di riordino delle Comunità montane, di cui alla legge finanziaria 2008 e alla legge finanziaria 2010; ivi si prevedono rispettivamente, la progressiva riduzione del finanziamento statale di tali entie l’abolizione tout court del concorso statale al finanziamento delle Comunità montane di cui al Fondo di finanziamento ordinario, nonché alle altre disposizioni legislative relative alle Comunità montane, pur stabilendosi all’interno della manovra (sino all’attuazione della l. n. 42 del 2009) interventi privilegiati per i Comuni già appartenenti alle Comunità montane, previa intesa da raggiungere in sede di Conferenza unificata. Si tratta, dunque, di misure tese al contenimento della spesa pubblica corrente, nella finanza pubblica allargata e nell’ambito di misure congiunturali dirette a questo scopo nel quadro della manovra finanziaria (sentt. n. 27, 326); e, d’altronde, vi è una certa gradualità nella riduzione del concorso statale, che non può dirsi del tutto soppresso, in virtù del ricordato trasferimento ai Comuni facenti parte delle Comunità di parte delle risorse (sent. n. 326). Ciò detto, in virtù di quel canone di ragionevolezza che deve caratterizzare le scelte statali in materia sopra ricordato, se si considera il collegamento tra il Fondo ordinario di finanziamento delle Comunità montane e il concorso statale al Fondo consolidato e al Fondo per lo sviluppo degli investimenti, emergono due profili problematici: da un lato, l’assenza di qualsiasi concorso statale al finanziamento delle Comunità montane a copertura dei mutui in essere, accesi sotto la vigenza e la copertura finanziaria del d.lgs. n. 504 del 1992, rende tali obbligazioni carenti di provvista, in violazione dell’art. 119 Cost., in combinato disposto con l'art. 3 Cost. e il principio di certezza del diritto, lasciando privo di copertura finanziaria e, comunque, di una regolamentazione sia pure transitoria, taluni investimenti strutturali effettuati mediante la stipulazione di mutui originariamente “garantiti” dal finanziamento statale; dall’altro le generiche norme in cui si prevede la cessazione dei finanziamenti statali di cui alle “altre disposizioni di legge relative alle comunità montane”, previste dalla legge finanziaria del 2010, ledono i principi di certezza delle entrate, di affidamento e di corrispondenza tra risorse e funzioni pubbliche all’esercizio delle quali esse sono preordinate (sent. n. 326). Illegittima, inoltre, è la previsione di misure dettagliate, quali, ad esempio, l’indicazione di puntuali criteri altimetrici in base ai quali individuare gli enti a cui in via prioritaria vada ridotto il trasferimento (227); individuazione che, per i criteri da adottare al fine di ridurre il fondo, non può prescindere dall’intesa con la Conferenza unificata per l’emanazione delle misure attuative, in virtù della stretta connessione con la potestà residuale regionale in materia di ordinamento delle Comunità montane (vedi sufra, par. 9.2) (sent. n. 27)
Il coordinamento finanziario può richiedere, per la sua stessa natura, anche l’esercizio di poteri di ordine amministrativo, di regolazione tecnica, di rilevazione di dati e di controllo, da cui la possibilità per lo Stato di prevedere e disciplinare tali poteri, anche in forza dell’art. 118, primo comma, Cost. Ne deriva che l’attività ispettiva finalizzata al coordinamento della finanza pubblica può concretarsi in verifiche analitiche, perché può essere necessario compiere controlli puntuali, anche per campione, per accertare lo stato della finanza pubblica ed averne una visione unitaria (228). E’ pertanto legittima la nuova legge di contabilità e finanza pubblica, l. n. 196 del 2009, che ha attribuito un essenziale ruolo preliminare ai Servizi ispettivi di finanza pubblica, strumentale anche al fine del reperimento delle informazioni utili ad assicurare il perseguimento degli obiettivi e il coordinamento della finanza pubblica da parte dell’apposita Conferenza permanente. Ciò, tuttavia, non significa che le ispezioni dei Servizi ispettivi di finanza pubblica nei riguardi delle Regioni possano essere effettuate senza limitazioni, dovendo rispettare l’autonomia finanziaria delle Regioni, sia di entrata sia di spesa, ed essere finalizzate alla raccolta di dati e informazioni utili al perseguimento delle finalità in questione (sent. n. 370). Eccede la competenza statale, invece, una analitica disciplina della fasi del pagamento di cui alla procedura di spesa (sent. n. 156).
Rientra nei poteri concorrenti di coordinamento della finanza pubblica anche la disciplina delle condizioni e dei limiti di accesso degli enti territoriali al mercato dei capitali; in tale settore, tuttavia, occorre salvaguardare le sfere di autonomia degli enti territoriali al fine di evitare che il potere di coordinamento si trasformi in attività di direzione o indebito condizionamento statale dell’attività dei predetti enti (sent. n. 52) (229).
Come osservato in precedenza a proposito delle passività delle USL (vedi supra, par. 8.4) sussiste un parallelismo tra responsabilità di disciplina e di controllo e responsabilità finanziaria (230), in virtù del quale le strutture pubbliche oggetto di interventi di riforma devono iniziare ad operare completamente libere dai pesi delle passate gestioni. Nell’ipotesi in cui l’esercizio di funzioni e servizi resi dalla pubblica amministrazione venga trasferito o delegato da una ad altra amministrazione, l’autorità che dispone il trasferimento o la delega, pur nell’ambito della sua discrezionalità, deve disciplinare gli aspetti finanziari dei relativi rapporti attivi e passivi, specie il finanziamento della spesa necessaria per l’estinzione delle passività pregresse (231). Dunque, non può ritenersi conforme ai principi fondamentali di tale settore, con conseguente illegittimità delle discipline regionali, la totale omissione di ogni e qualsiasi regolamentazione a questo riguardo, potendo ciò tradursi in cattivo esercizio delle funzioni affidate alla cura della pubblica amministrazione (sent. n. 364).
La prospettiva dello svolgimento da parte della Regione di principi di coordinamento della finanza pubblica dettati dalla legislazione statale si riscontra nelle normative regionali le quali prevedano, in capo alle Province, un obbligo di rendiconto annuale in riferimento alle risorse alle stesse trasferite per l’esercizio di funzioni amministrative loro conferite. Non si crea, infatti, alcuna lesione dell’autonomia finanziaria della Provincia in materia di spesa, giacché tale obbligo viene in rilievo quale controllo di tipo informativo sulle risorse trasferite (sent. n. 128).
Costituzionalmente legittime, in quanto espressione di principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica sono anche le disposizioni statali che impongono alle pubbliche amministrazioni obblighi di trasmissione di dati finalizzati a consentire il funzionamento del sistema dei controlli sulla finanza di Regioni ed enti locali; specie nel caso delle informazioni rese alla Corte dei conti, infatti, norme siffatte hanno una chiara funzione regolatrice della cosiddetta “finanza pubblica allargata” (sent. n. 57) (232).

12.3.   I tributi e le entrate propri delle Regioni ed enti locali (art. 119, comma 2)
 
Anche dopo la sua “regionalizzazione” a opera della l. n. 244 del 2007 e successive modificazioni, l’IRAP, che a decorrere dal 1° gennaio 2009 (termine poi prorogato al 1° gennaio 2010) diviene tributo proprio della Regione istituito con legge regionale, resta un tributo disciplinato dalla legge statale in alcuni suoi elementi strutturali e, quindi, in questo senso, erariale; infatti, lo Stato continua a regolare compiutamente la materia e a circoscrivere con precisione gli ambiti di intervento del legislatore regionale (233); le Regioni, infatti, non possono modificare le basi imponibili e possono modificare l’aliquota solo nei limiti stabiliti dalle leggi statali (sent. n. 357).
Per quanto concerne nello specifico la Provincia autonoma di Trento la legge provinciale n. 16 del 2008 ha previsto l’istituzione dell’IPAP, tributo sostitutivo dell’IRAP, stabilendo però che, fino all’individuazione delle regole fondamentali per assicurare il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, esso rimanga assoggettato alla disciplina statale dell’IRAP. Si tratta dunque di un tributo istituito dalla Provincia ma non da essa disciplinato; pertanto, sono applicabili all’IPAP i limiti previsti dalla legge statale per le leggi provinciali e regionali in tema di IRAP. Ciò precisato, in virtù dell’art. 73 dello statuto d’autonomia, alla Provincia autonoma, relativamente ai tributi erariali per cui lo Stato ne preveda la possibilità, è consentito modificare aliquote e prevedere esenzioni, detrazioni e deduzioni purché nei limiti delle aliquote superiori definite dalla normativa statale. Tale possibilità riguarda quei tributi erariali il cui gettito è devoluto alle Province autonome e alle quali è lasciata la responsabilità della scelta di una minore entrata tributaria attraverso la riduzione delle aliquote, non invece quei tributi per i quali, invece, lo Stato ha ritenuto necessario stabilire solo un’aliquota fissa; poiché l’IRAP rientra nella prima categoria, legittima è la modifica dell’aliquota speciale fissa prevista da disposizioni provinciali (sent. n. 357).
 
 
12.4.    Interventi speciali (art. 119, comma 5)
 
Rientra tra gli interventi speciali la predisposizione di strumenti a carattere unitario finalizzati a equilibrare il volume di risorse finanziarie inserite nel circuito economico, in particolare destinando benefici alle aree del Mezzogiorno, con lo scopo di ridurre squilibri, favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o instaurare assetti concorrenziali (234). La natura esclusivamente statale della potestà, pertanto, esclude che sia lesiva del principio di leale collaborazione la previsione del mero parere della Conferenza Stato-Regioni e non della previa intesa riguardo all’adozione dell’atto di destinazione delle risorse (sent. n. 15).
 
 
13.    Art. 120, comma 1, Cost.
 
L’art. 120, comma 1, Cost., esprime un divieto di barriere di carattere protezionistico alla prestazione, nel proprio ambito territoriale, di servizi di carattere imprenditoriale, che è proprio anche dei principi comunitari sulla libertà di prestazione dei servizi, in qualsiasi paese dell’Unione europea (235); illegittima, anche per contrasto con l’art. 41 Cost., è dunque la discriminazione delle imprese sulla base di un elemento di localizzazione territoriale (sent. n. 124).
 
 
14.    Autonomie speciali
 
14.1  Statuti speciali e “clausola di maggior favore”
 
Come ormai noto, l’art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001 (cd. “clausola di maggior favore”) ha la funzione di garantire alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome, in attesa della revisione dei singoli statuti, quegli spazi di maggiore autonomia previsti dalle norme contemplate dal nuovo Titolo V.
L’operatività della clausola in questione è stata nuovamente riconosciuta per la tutela della salute, da ritenersi di estensione maggiore rispetto alle competenze di cui allo Statuto del Friuli-Venezia Giulia in materia di igiene e sanità, assistenza sanitaria e ospedaliera (236) (sent. n. 108). Così ancora per la polizia amministrativa locale, di potestà residuale regionale, in luogo della polizia locale, di potestà statutaria concorrente (sent. n. 167). Discorso analogo deve farsi in materia di istruzione, per cui la Regione Sardegna non ha più una competenza meramente integrativo-attuativa, ma una potestà legislativa concorrente (sent. n. 235).
Per le materie afferenti alla potestà legislativa primaria delle Regioni speciali (e delle Province autonome), invece, permangono i noti limiti fissati dagli statuti, cioè l’armonia con la Costituzione, il rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica (sentt. nn. 45, 221, 233, 254, 327).
 
14.2.    Trentino-Alto Adige
 
Tuttora soggette alla competenza piena prevista dallo statuto è la materia dei lavori pubblici. Tuttavia, essa deve esercitarsi nel rispetto dei ricordati limiti alla competenza primaria delle Province autonome (237); con la conseguenza che le disposizioni contenute nel Codice degli appalti, che costituiscono diretta attuazione delle prescrizioni poste a livello europeo, sia riguardo alla fase del procedimento amministrativo di evidenza pubblica, sia a quella di conclusione ed esecuzione del contratto s’impongono anche per siffatta competenza quali norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica (238); considerazioni analoghe possono farsi per il contenzioso giurisdizionale attinente i lavori pubblici (239) (da cui esula, tuttavia l’istituto dell’accordo bonario per le riserve). Sono pertanto illegittime norme provinciali, con l’esclusione di quelle prive di contenuto precettivo o meramente ricognitive di principi di cui alla legislazione statale o al diritto comunitario, che: deroghino alle norme di garanzia che disciplinano le procedure di gara; riducano i margini di tutela della concorrenza previsti per i contratti di sponsorizzazione; incidano sui limiti per l’applicazione di procedure di evidenza pubblica; riducano il numero dei partecipanti ammessi alle procedure ristrette; introducano criteri meno rigorosi per il ricorso alle procedure negoziate, o lo ammettano in ambiti non consentiti; amplino i settori in cui possono stipularsi accordi quadro (sent. n. 45).
Le Province autonome non sono titolari di competenza propria nella materia dell’ordine pubblico e della sicurezza, ma sono alle stesse, attribuiti, in relazione alle materie di propria spettanza, solo compiti di polizia amministrativa, sempre che la loro rilevanza si esaurisca all’interno delle competenze regionali dirette a disciplinare le richiamate materie, senza toccare quegli interessi di fondamentale importanza per l’ordinamento che è compito dello Stato curare attraverso la tutela dell’ordine pubblico. Tra queste rientra l’individuazione dei giochi proibiti e la disciplina di quelli leciti (vedi supra, par. 7.7), con la conseguente legittimità dell’esercizio di poteri amministrativi statali recanti prescrizioni in materia; né vale a sottrarre la disciplina in questione allo Stato la circostanza che l’osservanza di tali prescrizioni sia imposta nei locali destinati a ospitare pubblici esercizi non, trovandoci al di fuori delle finalità che contraddistinguono la disciplina degli esercizi pubblici (240) (sent. n. 72).
Più ampia rispetto al nuovo art. 117 Cost. deve ritenersi la competenza attribuita dallo statuto alla Province autonome in materia di istruzione e formazione professionale (241); si tratta di una potestà di tipo concorrente, relativa all’istruzione elementare e secondaria la quale è soggetta al rispetto dei principi fondamentali fissati dalla legge statale, tra cui rientra il potere del Ministro della pubblica istruzione di stabilire con decreto i modelli delle pagelle e diplomi. Da ciò deriva l’illegittimità, anche per contrasto con l’art. 5 Cost., dell’atto con cui la Provincia autonoma di Bolzano ha previsto l’eliminazione della denominazione e dell’emblema della Repubblica italiana dai modelli, attestati e certificazioni delle scuole secondarie (sent. n. 328)
Riguardo al servizio idrico integrato, lo statuto d’autonomia attribuisce alle Province autonome la competenza alla sua regolamentazione (242), confermata anche dal nuovo assetto  costituzionale; spetta dunque alla Provincia di Trento la disciplina sui corrispettivi del servizio in questione (sent. n. 357).
Ancora una volta la Corte torna sull’“ordinamento dei masi chiusi e delle comunità familiari rette da antichi statuti e consuetudini”, in cui il legislatore provinciale gode di una potestà più ampia anche di quella primaria, che si giustifica nell’esigenza di rispettare o ristabilire la disciplina del maso chiuso quale si è stratificata nella tradizione e nell’esperienza giuridica riconducibile al diritto preesistente a quello nazionale (243); il che vale pure per normative le quali incidano sul diritto privato e sulla giurisdizione (244); ogni qualvolta non siano riscontrabili tali giustificazioni, invece, riemergono gli ordinari impedimenti alla competenza legislativa primaria della Provincia autonoma in materia di diritto privato e di esercizio della giurisdizione. Pertanto, non lesiva della competenza provinciale è la previsione con legge statale del necessario esperimento del tentativo di conciliazione prima di proporre una domanda giudiziale relativa all’ordinamento dei masi chiusi, trattandosi di una misura di carattere processuale con chiari intenti di deflazione del contenzioso, estranea dunque alla regolazione della figura giuridica del maso chiuso (sent. n. 173).
Alle Province autonome è poi attribuita una competenza in materia di cave e torbiere, che consente alle stesse di disciplinare la lavorazione dei relativi materiali inerti, senza intervenire, però, sulla qualificazione dei materiali oggetto di lavorazione quale rifiuti o sottoprodotti (sent. n. 345).
Riguardo all’ordinamento finanziario delle Province autonome di Trento e Bolzano lo statuto prevede per le sue modificazioni un principio consensuale. Disposizioni statali adottate al di fuori di tale procedimento, quindi, risultano illegittime, sebbene recanti clausole di salvaguardia che però non escludano, ad esempio, variazioni della compartecipazione regionale ai tributi erariali (sent. n. 133).
Da ultimo, si ricordi che ai sensi delle disposizioni statutarie di attuazione, l’emanazione di nuove norme statali non determina una diretta abrogazione delle leggi provinciali preesistenti, ma solo l’obbligo di adeguamento entro i sei mesi successivi alla pubblicazione dell’atto legislativo statale nella Gazzetta Ufficiale (o nel più ampio termine da esso stabilito); obbligo il cui mancato adempimento può essere fatto valere dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso contro leggi provinciali che non si sono “adeguate” (sent. n. 45).
 
14.3.    Sicilia
 
Per la Regione Sicilia la giurisprudenza del 2010 si è incentrata in particolare sull’autonomia finanziaria. Come più volte osservato dalla Corte, lo Statuto delinea una concezione dell’ordinamento finanziario ispirata a una netta separazione fra finanza statale e finanza regionale, poiché l’ordinamento finanziario della Regione si basa sull’esercizio di una potestà impositiva del tutto autonoma, in spazi lasciati liberi dalla legislazione tributaria dello Stato. Le norme di attuazione dello statuto, tuttavia, hanno costruito un diverso modello, prevedendo l’attribuzione alla Regione del gettito della maggior parte dei tributi erariali riscosso nel territorio regionale (indicando con tale espressione quelle fattispecie in cui si matura, nell’ambito territoriale regionale, l’obbligo di pagare il debito tributario), ferma restando l’applicazione nella Regione delle disposizioni delle leggi tributarie dello Stato (245); la ratio è pertanto quella di fondare il riparto del gettito tributario tra Stato e Regione su un criterio generale sicuro ed efficiente, agevolmente ricavabile dalla legge, quale quello del luogo di riscossione del tributo, e non invece su un criterio imperniato sul luogo di realizzazione del presupposto d’imposta. Non a caso, le ipotesi diverse, trovano una previsione esplicita. Da quanto detto deriva che l’affluenza di entrate tributarie a uffici situati fuori del territorio regionale, disposta per mere esigenze amministrative, non incide sulla spettanza alla Regione dei relativi proventi (246); pertanto, competono allo Stato i proventi di tutte le imposte in cui il domicilio fiscale del soggetto nei cui confronti si realizza la fattispecie di riscossione si trovi al di fuori del territorio regionale (sent. n. 116). Va precisato, inoltre, che è riservato allo Stato anche il gettito inerente le “imposte di produzione”, senza che possa considerarsi esaustiva l’elencazione in proposito contenuta nelle norme di attuazione Statuto; viceversa, alla Regione spettano quelle definibili quale “imposte sul consumo”, tassativamente elencate dalle norme in questione. Ciò detto, le accise, la cui introduzione è successiva alle norme statutarie di attuazione, anche se in un qualche significato potrebbero definirsi sul consumo, sono di spettanza statale non rientrando tra quelle tassativamente elencate di spettanza regionale; solo lo Stato, quindi, può intervenire sulla disciplina delle accise sui prodotti energetici (sent. n. 115). La previsione di cui all’art. 43 dello Statuto della Sicilia di una Commissione paritetica tesa a determinare le norme relative al passaggio alla Regione degli uffici e del personale dello Stato, nonché le disposizioni d’attuazione dello Statuto stesso, non rende di per sé illegittima l’introduzione di ulteriori organi di confronto Stato-Regioni; così, per il “tavolo di confronto” previsto dalla l. n. 42 del 2009, istituito presso la Conferenza Stato-Regioni, che svolge mere funzioni consultive, informative e di studio ai fini dell’attuazione della delega per la realizzazione del federalismo fiscale, che, non a caso, fa esplicitamente salve le previsioni di cui agli statuti speciali (sent. n. 201). Non lede l’autonomia finanziaria regionale, infine, l’introduzione di imposte sostitutive da parte del legislatore statale, compatibilmente con le competenze attribuite alle autonomie speciali. Tale formulazione, infatti, rende esplicito che il gettito dell’imposta sostitutiva, andando appunto a sostituire imposte il cui gettito era destinato alla Regione, non potrà avere altra destinazione se non quella regionale; solo nei casi di nuove entrate tributarie, di carattere aggiuntivo, un’entrata tributaria erariale riscossa in Sicilia potrebbe affluire alle casse dello Stato (247) (sent. n. 342).
Le competenze statutariamente attribuite alla Regione Sicilia non consentono alla disciplina regionale di creare un proprio sistema informatico e propri tagliandi di revisione dei veicoli diversi da quelli statali; la disciplina dettata dallo Stato, infatti, ha l’evidente finalità di garantire l’uniformità delle operazioni di revisione su tutto il territorio nazionale, evitando anche ricadute negative in sede di concreta applicazione da parte delle competenti autorità amministrative (sent. n. 369).
 
14.4.    Friuli-Venezia Giulia
 
Anche per la Regione Friuli-Venezia Giulia deve riconoscersi una potestà legislativa piena in materia di lavori pubblici d’interesse regionale, soggetta però ai limiti ricordati in precedenza. Con particolare riguardo alla progettazione, la quale non costituisce una materia, ma un momento del complesso iter procedimentale preordinato alla realizzazione dell’opera pubblica (248), il Codice degli appalti pubblici prevede che essa si articoli, secondo tre livelli di successivi approfondimenti tecnici, in preliminare, definitiva ed esecutiva. Tale norma statale deve dunque considerarsi elemento coessenziale alla riforma economico-sociale (249), poiché tesa ad assicurare la qualità dell’opera e la rispondenza alle finalità relative alla conformità alle norme ambientali e urbanistiche, nonché il soddisfacimento dei requisiti essenziali, definiti dal quadro normativo nazionale e comunitario, con la conseguente illegittimità di una legge regionale che affermi la non essenzialità della progettazione preliminare, considerandola assorbita nell’approvazione dell’elenco annuale dei lavori. Diversamente, non legittima è l’indicazione dell’“offerta economicamente più vantaggiosa” quale criterio preferenziale per l’affidamento degli incarichi di progettazione, ponendo alle stazioni appaltanti un onere motivazionale nel caso di scelta dell’altro criterio previsto dal Codice degli appalti, cioè quello del “prezzo più basso”; la normativa regionale, infatti, non esclude nessuno dei criteri fissati dal legislatore statale, limitandosi a indicare un ordine di priorità nella scelta, superabile con apposita motivazione (sent. n. 221).
Anche riguardo alla competenza legislativa primaria in materia di caccia non si esclude la soggezione agli standard minimi e uniformi di tutela della fauna sull’intero territorio nazionale contenuti in leggi statali, le quali hanno natura di norme fondamentali di riforma economico-sociale, indicando il nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica (250); pertanto, la Regione non può individuare autonomamente le specie cacciabili, né derogare alla disciplina statale per quanto concerne la quota di territorio da destinare a protezione della fauna selvatica (251) (sent. n. 233).
Infine, la Regione Friuli-Venezia Giulia ha una competenza di tipo concorrente in materia di opere di prevenzione e soccorso per calamità naturali; questa non consente però deroghe all’osservanza delle norme tecniche per le costruzioni nelle zone sismiche, in virtù della necessità di salvaguardare le caratteristiche ambientali dei centri storici, se non entro quanto previsto dalla disciplina statale, che per tali casi attribuisce siffatta competenza al Ministro per le infrastrutture e i trasporti, previo parere favorevole del Consiglio superiore dei lavori pubblici (sent. n. 254).
 
14.5.    Valle d’Aosta
 
Come già osservato a proposito delle Province autonome di Trento e Bolzano, si conferma l’illegittimità di norme statali recanti modifiche all’ordinamento finanziario adottate al di fuori di quanto previsto dalle norme di attuazione dello statuto speciale della Valle d’Aosta, relativamente all’autonomia finanziaria, che prevedono un peculiare procedimento, in cui si contemplano i lavori di una commissione paritetica Stato-Regione e il parere del Consiglio di Valle (sent. n. 133).
 
15.    Art. 132 Cost.
 
L’art. 132 della Costituzione delinea, al fine di distaccare uno o più Comuni (o Province) da una Regione ad un'altra, un procedimento speciale, plurifasico e aggravato rispetto quello legislativo ordinario, richiedendo l’approvazione, mediante referendum, della maggioranza delle popolazioni interessate, nonché il parere dei Consigli regionali coinvolti. Con particolare riferimento a tale secondo adempimento, esso ha la finalità di consentire la complessiva emersione di tutti gli interessi locali implicati nella operazione e la loro organica valutazione (252). Tuttavia, tale incidenza dei pareri non può comportare in capo al Parlamento la concretizzazione di ulteriori oneri procedimentali; deve escludersi, pertanto, che gli organi parlamentari debbano rendere conoscibili, anche attraverso un obbligo di motivazione, le ragioni per cui non si sia dato seguito al parere consiliare, non trattandosi di un limite costituzionalmente previsto, senza che sia invocabile neppure la lesione del principio di leale collaborazione. Resta, semmai, la possibilità per le Regioni di far valere l’eventuale irragionevolezza della modifica territoriale approvata, in virtù dell’incidenza sulle competenze alle stesse attribuite (sent. n. 246).
 
16.    Art. 133 Cost.
 
L’art. 133, comma 2, Cost., nell’attribuire alla Regione il potere, con legge, d’istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni, prescrive di sentire le popolazioni interessate; tale obbligo, anche per la mera modificazione delle circoscrizioni comunali (253), deve realizzarsi mediante referendum (254), strumento che garantisce l’esigenza partecipativa delle popolazioni interessate (255). La discrezionalità del legislatore regionale, pertanto, è limitata alla regolamentazione del procedimento che conduce alla variazione, in particolare stabilendo gli eventuali criteri per la individuazione delle popolazioni interessate al procedimento referendario (256), senza che possano ammettersi deroghe per le variazioni di minor rilievo. Con la conseguente illegittimità di norme regionali che introducano deroghe siffatte per i casi in cui la modifica delle circoscrizioni comunali derivi da permuta e/o da cessione di terreni voluta dalle due amministrazioni comunali confinanti (sent. n. 214).
 
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NOTE
 
(1)   Per un approfondimento sui dati quantitativi, e non solo, della giurisprudenza costituzionale del 2010 vedi la Relazione sulla giurisprudenza costituzionale del 2010, a cura del Servizio Studi della Corte costituzionale, disponibile al sito www.cortecostituzionale.it.
(2)   Si vedano, da ultimo, le sentt. nn.225, 250 e 318 del 2009.
(3)   Tra le tante, vedi le sentenze nn. 191 del 1980, 72 del 1981 e le ordinanze nn. 126 del 1997, 528 e 643 del 1998, 99 del 2000.
(4)   Ex plurimis, sentenza n. 298 del 2009.
(5)   Cfr. la sentenza n. 533 del 2002.
(6)   Tra le tante, vedi le sentenze nn. 233 del 1993 e 318 del 2009 e le ordinanze nn. 126 del 1997 e 42 del 2004.
(7)   Cfr. la sentenza n. 30 del 1973.
(8)   Si vedano l’ordinanza n. 195 del 2004 e la sentenza n. 121 del 2005.
(9)   Così le sentenze nn. 611 del 1987 e 140 del 2009.
(10)  Vedi, da ultimo, le sentenze nn. 225 e 250 del 2009.
(11)  Cfr. le sentenze nn. 111 del 1975, 172 del 1994, 469 del 2005 e 405 del 2008.
(12)  Tra tutte, vedi la sentenza n. 274 del 2003.
(13)   Fra la più recenti, cfr. le sentenze nn. 234, 249 e 254 del 2009.
(14)   Cfr. le sentenze nn. 359 del 1993 e 503 del 2000.
(15)   Vedi la sentenza n. 196 del 2004 e la sentenza n. 120 del 2008.
(16)   Come nella sentenza n. 133 del 2006.
(17)   Cfr., da ultimo, le sentt. n. 164 e 234 del 2009.
(18)   Vedi le sentenze nn. 199 del 2004, 287 del 2005 e 222 del 2006.
(19)   Così, da ultimo, le sentt. nn. 139, 148 e 200 del 2009.
(20)   Tra le più recenti le sentenze nn. 232, 250 e 251 del 2009.
(21)   Da ultimo, vedi la sentenza 318 del 2009.
(22)   Ordinanza n. 342 del 2009.
(23)  Si vedano le sentenze nn. 36 del 2004 e 169 del 2007.
(24)   Così la sentenza n. 94 del 2003.
(25)   Cfr. la sentenza n. 201 del 2008.
(26)   Vedi le sentenze nn. 74 del 2004 e 59 del 2006.
(27)   Si vedano, da ultimo, le sentenze nn. 139 e 237 del 2009.
(28)   Sentenze nn. 430 del 1997, 405 del 2000 e 37 del 2003.
(29)   Sentenza n. 84 del 1996.
(30)  Sentenza n. 429 del 1997.
(31)  Cfr. ordd. nn. 174 del 1995 e 341 del 2002.
(32)  Sentenze nn. 18 del 1956, 32 del 1958 e 472 del 1975.
(33)  Cfr. le sentenze nn. 63 del 1965, 94 e 112 del 1972, 206 del 1975 e 28 del 1979.
(34)  Vedi le sentenze n. 84 del 1976 e n. 525 del 1990.
(35)  Sentenza n. 383 del 1991, rimasta appunto isolata, come specificato dalla successiva sentenza n. 309 del 1993.
(36)  Così, tra le tante, le ordinanze nn. 418 del 2008 e 153 del 2009.
(37)  Tra le tante, ordinanze nn. 410 del 2006, 229 del 2007, 304 del 2008, 186 del 2009.
(38)  Cfr. la sentenza n. 247 e l’ordinanza n. 292 del 2009.
(39)  Vedi le sentenze n. 422 del 1995 e n. 49 del 2003.
(40)  Da ultimo la sentenza n. 288 del 2007.
(41)  Così la sentenza n. 235 del 1988 e la già citata sentenza n. 288 del 2007.
(42)  Cfr. le sentenze nn. 276 del 1997 e 376 del 2004.
(43)  Così le sentenze n. 463 del 1992 e n. 84 del 1994.
(44)  Si vedano le sentenze nn. 5 del 1978, 97 del 1991, 44 del 1997 e, da ultimo, n. 201 del 2003.
(45)  Cfr. ancora la sentenza n. 201 del 2003.
(46)  Così la sentenza n. 196 del 2003.
(47)  Sentenza n. 1 del 2008.
(48)  Sentenze nn. 168 del 1999 e 250 del 2008.
(49)  Cfr. la sentenza n. 233 del 2009.
(50)  Vedi le sentenze nn. 6 del 2004, 62 e 383 del 2005.
(51)  Così la sentenza n. 24 del 2007.
(52)  Cfr. la sentenza n. 339 del 2005.
(53)  Ancora la sentenza n. 383 del 2005.
(54)  Così già la sentenza n. 285 del 2005.
(55)  Cfr. la sentenza n. 166 del 2008.
(56)  Vedi la sentenza n. 383 del 2005.
(57)  Così la sentenza n. 437 del 2001 e, da ultimo, la n. 225 del 2009.
(58)  Tra le tante, da ultimo, vedi le sentenze nn. 88, 107, 225, 232, 249 e 284 del 2009.
(59)  Vedi la sentenza n. 198 del 2004
(60)  Si vedano, tra le tante, le sentenze nn. 240 del 2004 e 383 del 2005)
(61)  Cfr. le sentenze nn. 482 del 2005 e 447 del 2006.
(62)  Vedi le sentenze nn. 165, 169 e 430 del 2007, n. 322 del 2009.
(63)  Sent. n. 303 del 2003.
(64)  Così la sentenza n. 401 del 2007.
(65)  Da ultimo cfr. la sentenza n. 339 del 2009.
(66)  Così le sentenze nn. 50 e n. 219 del 2005 e la n. 88 del 2009
(67)  Cfr. la sentenza n. 62 del 2005 e la sentenza n. 247 del 2006.
(68)  Sentenze n. 6 del 2004 e n. 383 del 2005
(69)  Ancora la sentenza n. 62 del 2005
(70)  Cfr. la sentenza n. 383 del 2005.
(71)  Vedi la sentenza n. 307 del 2003
(72)  Così la sentenza n. 331 del 2003.
(73)  Cfr. già la sentenza n. 486 del 1995.
(74)  Così la sentenza n. 451 del 2006
(75)  Vedi la sentenza n. 94 del 2007
(76)  Cfr. la sentenza n. 24 del 2007
(77)  Così la sentenza n. 50 del 2005
(78)  Cfr. la sentenza n. 418 del 2006
(79)  Vedi, da ultimo, la sentenza n. 159 del 2009
(80)  Cfr. la sentenza n. 62 del 1960.
(81)  Così le sentenze nn. 211 del 2006, 131 e 158 del 2008.
(82)  Vedi la sentenza n. 12 del 2006.
(83)  Sentenza n. 379 del 2004
(84)  Così la sentenza n. 148 del 2008,
(85)  Vedi la sentenza n. 252 del 2001
(86)  Cfr. le sentenze nn. 300 del 2005 e 156 del 2006
(87)  Ancora le sentenze n. 300 del 2005, n. 156 del 2006, nonché n. 50 del 2008
(88)  Vedi le sentenze nn. 272 del 2004, 401 e 430 del 2007, 63 del 2008, 148 e 314 del 2009.
(89)  Cfr. le sentenze n. 401 del 2007 e 160 del 2009
(90)  Vedi la sentenza n. 430 del 2007
(91)  Cfr. la sentenza n. 430 del 2007
(92)  Così le sentenze nn. 430 e 431 del 2007
(93)  Ex plurimis, si vedano le sentenze nn. 272 del 2004, 29 e 80 del 2006, 401 del 2007, 326 del 2008, 160, 304, 307 e 314 del 2009
(94)  Cfr. le sentenze nn. 431 del 2007, 320 del 2008, 148 del 2009.
(95)  Cfr. la sentenza n. 272 del 2004.
(96)  Vedi la sentenza n. 246 del 2009.
(97)  Così la sentenza n. 401 del 2007.
(98)  Si vedano le sentenze nn. 401 e 431 del 2007 e n. 411 del 2008.
(99)  Cfr. la sentenza n. 160 del 2009.
(100) Sentenza n. 322 del 2008
(101) Così già la sentenza n. 350 del 2008.
(102) Sentenze n. 37 del 2004 e n. 102 del 2008.
(103) Cfr. le sentenze nn. 37 del 2004, 335 e 397 del 2005, 2 e 75 del 2006, 102 del 2008.
(104) Ex plurimis si vedano le sentenze n. 397 del 2005, n. 2 del 2006, nn. 216 e 298 del 2009
(105) Si vedano le sentenze nn. 216 e 298 del 2009.
(106) Vedi le sentenze nn. 81 del 1963, 535 del 1988, 284 del 2002.
(107) Cfr. la sentenza n. 284 del 2002.
(108) Si vedano, ad esempio, le sentenze nn. 134 del 2004, 322 del 2006, 10 del 2008.
(109) Cfr. le sentenza nn. 429 del 2004 e 322 del 2006.
(110) Da ultimo vedi la sentenza n. 327 del 2003.
(111) Si vedano le sentenze n. 407 del 2002, nn. 6, 162 e 428 del 2004, nn. 95 e 383 del 2005, nn. 222 e 237 del 2006, n. 129 del 2009.
(112) Così la sentenza n. 290 del 2001.
(113) Vedi la sentenza n. 196 del 2009.
(114) Così le sentenze nn. 134 e 429 del 2004, n. 322 del 2006, n. 10 del 2008.
(115) Sentenza n. 196 del 2009.
(116) Cfr. la sentenza n. 237 del 2006
(117) Così la sentenza n. 428 del 2004
(118) Cfr. la sentenza n. 129 del 2009.
(119) Vedi le sentenze nn. 51 del 2008 e 18 del 2009.
(120) Si veda la sentenza n. 313 del 2003.
(121) Così già la sentenza n. 185 del 1999.
(122) Si vedano, tra le tante, le sentenze n. 352 del 2001, n. 50 del 2005, n. 295 del 2009.
(123) Cfr. la sentenza n. 401 del 2007.
(124) Sentenza n. 189 del 2007.
(125) Cfr. le sentenze n. 95 e 189 del 2007.
(126) Vedi sentenze nn. 183 del 2006, 168 e 295 del 2009.
(127) Cfr. la sentenza n. 387 del 2008.
(128) Ex plurimis, sentenze n. 322 del 2009, n. 50 e 168 del 2008.
(129) Cfr. sentt. nn. 423 del 2004, 120 e 285 del 2005, 328 del 2006.
(130) Cfr. le sentenze nn. 285 e 383 del 2005.
(131) Vedi la sentenza n. 371 del 2008.
(132) Sentenza n. 328 del 2006.
(133) Si vedano le sentenze nn. 94 del 2007 e 166 del 2008.
(134) Cfr. la sentenza n. 13 del 2004.
(135) Sentenza n. 166 del 2008.
(136) Così la sentenza n. 387 del 2007.
(137) Così la sentenza n. 200 del 2009.
(138) Vedi la sentenza n. 376 del 2002.
(139) Si vedano le sentenze nn. 367 e 378 del 2007, 104 del 2008, 12, 225 e 315 del 2009.
(140)  Cfr. le sentenze nn. 378 del 2007 e 104 del 2008.
(141)  Così le sentenze nn. 105 del 2008 e 225 del 2009.
(142)  Vedi la sentenza n. 168 del 2008.
(143)  Cfr. le sentenze nn. 61 e 225 del 2009.
(144)  Sentenza n. 246 del 2009.
(145)  Da ultimo, vedi le sentenze nn. 225 e 234 del 2009.
(146)  Cfr. sentenza n. 234 del 2009.
(147)  Cfr. sentenze nn.62 del 2008, 10 e 314 del 2009.
(148)  Si vedano le sentenze nn. 61 e 315 del 2009.
(149)  Così le sentenze nn. 232, 246 e 254 del 2009.
(150)  Cfr. le sentenze nn. 378 del 2007, 104 del 2008 e 12 del 2009.
(151)  Vedi la sentenza n. 16 del 2009.
(152)  Così la sentenza n. 282 del 2009.
(153)  Tra le tante, vedi le sentenze nn. 422 del 2002, 108 del 2005, 387 del 2008, 272 del 2009.
(154)  Sentt. nn. 61 e 279 del 2009.
(155)  Vedi le sentenze nn. 299 del 2001 e n. 165 del 2009.
(156)  Così le sentenze nn. 180 e 437 del 2008, nn. 367 e 378 del 2007.
(157)  Cfr. la sentenza n. 232 del 2008.
(158)  Vedi le sentenze nn. 359 del 1993, 280 del 2004 e 50 del 2005.
(159)  Cfr. le sentenze nn. 181 del 2006, 401 del 2007 e 237 del 2009.
(160)  Ancora la sentenza n. 237 del 2009, nonché la n. 430 del 2007.
(161)  Cfr. la sentenza n. 200 del 2009.
(162)  Così la sentenza n. 13 del 2004.
(163)  Cfr. la sentenza nn. 138 e 328 del 2009, nonché, ex plurimis, le sentenze n. 179 del 2008, nn. 57 e 300 del 2007 e nn. 153 e 424 del 2006.
(164)  Vedi le sentenze nn. 57 e 300 del 2007, n. 93 del 2008, nn. 138 e 328 del 2009.
(165)  Così, da ultimo, la sentenza n. 271 del 2009.
(166)  Tra le tante, vedi le sentenze n. 270 del 2005 e 184 del 2006.
(167)  Così la sentenza n. 162 del 2007.
(168)  Cfr. le sentenze n. 361 del 2003 e n. 63 del 2006.
(169)  Così la sentenza n. 181 del 2006.
(170)  Si vedano le sentenze n. 416 del 1995, n. 435 del 2005, n. 116 del 2007.
(171)  Cfr. le sentenze n. 422 del 2006 e n. 295 del 2009.
(172)  Cfr. le sentenze n. 307 del 2003, 336 e 383 del 2005 e 237 del 2009.
(173)   Vedi la sentenza n. 336 del 2005.
(174)  Così la sentenza n. 450 del 2006.
(175)  Così la sentenza n. 383 del 2005.
(176)  Vedi la sentenza n. 339 del 2009.
(177)  Si vedano le sentenze nn. 383 del 2005 e 364 del 2006
(178)  Cfr. le sentenze nn. 6 del 2004 e 103 del 2006.
(179)  Vedi la sentenza n. 225 del 2009.
(180)   Cfr., tra le tante, la sentenza n. 364 del 2006.
(181)   Così le sentenze nn. 342 del 2008 e 282 del 2009.
(182)   Cfr. la sentenza n. 166 del 2009.
(183)   Così le sentenze n. 364 del 2006 e n. 383 del 2005
(184)   Ordinanza n. 203 del 2006.
(185)   Sentenza n. 249 del 2009.
(186)   Cfr. la sentenza n. 383 del 2005.
(187)   Sentenza n. 336 del 2005.
(188)   Cfr. sentenze n. 248 del 2006.
(189)   Vedi le sentenze nn. 180 e 437 del 2008.
(190)   Cfr. le sentenze nn. 287 del 2004, 50 del 2008, 124 e 168 del 2009.
(191)   Tra tutte, vedi le sentenze nn. 50 e 168 del 2008, nn. 124 e 168 del 2009.
(192)   Così le sentenze n. 229 del 2001, n. 244 e n. 456 del 2005, n. 397 del 2006 e n. 237 del 2009.
(193)   Da ultimo, vedi la sentenza n. 95 del 2008.
(194)   Vedi le sentenze n. 233 del 2006, nn. 103 e 104 del 2007.
(195)   Cfr. la sentenza n. 55 del 2009.
(196)   Cfr. le sentt. nn. 517 del 2002, 205 del 2004, 159 e 190 del 2005, 81 e 363 del 2006, 191 del 2007, 215 e 293 del 2009.
(197)   Vedi la sentenza n. 205 del 2006.
(198)   Vedi le sentenze nn. 34 del 2004, 407 del 2005, 81 e 205 del 2006.
(199)   Così le sentenze nn. 205 del 2004 e 293 del 2009.
(200)   Si vedano le sentenze nn. 159 e 465 del 2005.
(201)   Cfr. le sentenze n. 252 e 293 del 2009.
(202)   Così la sentenza n. 94 del 2007.
(203)   Cfr. le sentenze nn. 64 e 165 del 2007.
(204)   Si vedano la sentenza n. 1 del 2004 e l’ordinanza n. 199 del 2006.
(205)   Cfr. la sentenza n. 167 del 2009.
(206)   Così la sentenza n. 388 del 1992.
(207)   Vedi la sentenza n. 350 del 2008.
(208)   Così la sentenza n. 454 del 2007.
(209)   Vedi la sentenza n. 131 del 2008.
(210)   Sentenza n. 200 del 2009
(211)   Così la sentenza n. 168 del 2008.
(212)   Cfr. le sentenze nn. 243 del 1974, 276 del 1991, 355 del 1994.
(213)   Vedi la sentenza n. 425 del 2004.
(214)   Così, tra le più recenti, vedi le sentenze nn. 359 del 2007 e 213 del 2008.
(215)   Cfr. la sentenza n. 213 del 2008.
(216)   Così la sentenza n. 359 del 2007.
(217)   Tra le tante, si vedano le sentenze n. 298 del 2009, n. 381 del 2004, n. 437 del 2001, n. 507 del 2000.
(218)   Da ultimo vedi le sentenze nn. 139 e 237 del 2009.
(219)   Così la sentenza n. 289 del 2008, nonché le sentenze nn. 237 e 284 del 2009.
(220)   Cfr. la sentenza n. 417 del 2005.
(221)   Ex multis vedi le sentenze n. 376 del 2003, n. 417 del 2005, n. 159 del 2008 e n. 237 del 2009.
(222)   Così la sentenza n. 203 del 2008.
(223)   Vedi la sentenza n. 94 del 2009.
(224)   Cfr. la sentenza n. 98 del 2007.
(225)   Si vedano le sentenze n. 36 del 2004 e n. 36 del 2005.
(226)   Cfr. la sentenza n. 341 del 2009.
(227)   Vedi la sentenza n. 237 del 2009.
(228)   Cfr. la sentenza n. 267 del 2006.
(229)   Così la sentenza n. 376 del 2003.
(230)   Cfr. le sentenze nn. 355 del 1993 e 416 del 1995.
(231)   Vedi le sentenze nn. 89 del 2009, 437 del 2005, 116 e 364 del 2007.
(232)   Così le sentenze nn. 376 del 2003, 35 e 417 del 2005.
(233)   Cfr. la sentenza n. 216 del 2009.
(234)   Cfr. sentt. n. 14 del 2004 e 175 del 2005.
(235)   Così la sentenza n. 207 del 2001.
(236)   Così la sentenza n. 134 del 2006.
(237)   Vedi le sentenze nn. 378 del 2007 e 226 del 2009.
(238)   Così la sentenza n. 447 del 2006, ma già la sentenza n. 482 del 1995.
(239)   Cfr. sentenza n. 73 del 2008.
(240)   Cfr. la sentenza n. 129 del 2009.
(241)   Sentenza n. 213 del 2009.
(242)   Vedi la sentenza n. 412 del 1994.
(243)   Così le sentenze nn. 4 del 1956, 340 del 1996 e 405 del 2005.
(244)   Cfr. la sentenza n. 55 del 1964.
(245)   Cfr. le sentenze nn. 111 e 138 del 1999, n. 306 del 2004.
(246)   Così le sentenze nn. 71 e 81 del 1973.
(247)   Cfr. la sentenza n. 29 del 2004.
(248)   Così la sentenza n. 401 del 2007.
(249)   Cfr. la sentenza n. 482 del 1995.
(250)   Cfr. le sentenze nn. 536 del 2002 e 227 del 2003.
(251)   Così la sentenza n. 165 del 2009.
(252)   Così la sentenza n. 334 del 2004.
(253)   Cfr. la sentenza n. 433 del 1995.
(254)   Da ultimo nella sentenza n. 237 del 2004.
(255)   Così la sentenza n. 279 del 1994.
(256)   Vedi la sentenza n. 94 del 2000.

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