Sommario:

 

1. Considerazioni introduttive.
2. Profili processuali.
2.1. Ricorso ex art. 127 e conflitti intersoggettivi. Atti introduttivi.
2.2. Profili soggettivi.
2.3. Interesse a ricorrere e vizi deducibili.
2.4. Questioni di legittimità e motivazione.
2.5. Parametro.
2.6. Oggetto.
2.7. Riunione dei giudizi e separazione delle decisioni con riserva di ogni decisione sulle restanti questioni di legittimità costituzionale.
2.8. Tipi di sentenze.
2.8.1. Giudizio in via principale.
2.8.2. conflitto di attribuzione tra enti.
3. Art. 114 Cost.
4. Statuti, forma di governo e legge elettorale regionale.
4.1. L’autonomia statutaria e la legge elettorale regionale.
4.2. Le prerogative dei consiglieri regionali.
5. Il limite degli obblighi comunitari e l’art. 117, comma V, Cost..
6. Riparto delle competenze e sussidiarietà.
6.1. La cd. “chiamata in sussidiarietà”.
6.2. Leale collaborazione.
6.3. Art. 120 Cost. e poteri sostitutivi.
7. Oggetto e materie.
7.1. Le materie e il ricorso in via principale: alcuni dati quantitativi.
7.2. Intreccio di più materie e competenze in un unico oggetto.
7.2.1. Principi generali.
7.2.2. Casi pratici d’intreccio di competenze.
8. Potestà esclusiva statale.
8.1. Art. 33 Cost.
8.2. Minoranze linguistiche (art. 6 Cost.)
8.3. Politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea (lett. a)).
8.4. Immigrazione (lett. b)).
8.5. Tutela della concorrenza; sistema tributario e contabile dello Stato (lett. e)).
8.5.1. Tutela della concorrenza.
8.5.2. Sistema tributario e contabile dello Stato.
8.6. Ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali (lett. g)).
8.7. Ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale (lett. h)).
8.8. Giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa (lett. l)).
8.8.1. Giurisdizione e norme processuali.
8.8.2. Ordinamento civile.
8.9. Determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (lett. m)).
8.10. Norme generali sull’istruzione (lett. n)).
8.11. Previdenza sociale (lett. o)).
8.12. Tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e dei beni culturali (lett. s)).
9. Potestà concorrente.
9.1. Istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e formazione professionale.
9.2. Professioni.
9.3. Ricerca scientifica.
9.4. Tutela della salute.
9.5. Governo del territorio.
9.6. Grandi reti di trasporto e navigazione.  
9.7. Produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia.
10. Potestà residuale.
10.1. Servizi sociali. 
10.2. Comunità montane. 
10.3. Organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali e organizzazione degli uffici regionali.
10.3.1. Organizzazione amministrativa e art. 97 Cost.: lo spoils system regionale.
10.3.2. Organizzazione regionale e principio del concorso pubblico.
10.3.3. Organizzazione amministrativa ed evidenza pubblica. 
10.4. Commercio.
10.5. Caccia.
11. Potere regolamentare.
12. Autonomia finanziaria.
12.1. Art. 119 Cost.
12.2. Armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (art. 117, comma 3).
13. Autonomie speciali.
13.1. Statuti speciali e “clausola di maggior favore”
13.2. Trentino-Alto Adige.
13.3. Sicilia.
13.4. Friuli-Venezia Giulia.
13.5. Sardegna.
14. Art. 133 Cost.


NOTE

1. Considerazioni introduttive [1].

 

I dati complessivi sulla giurisprudenza costituzionale Stato-Regioni del 2011 come spesso accade, appaiono ambivalenti [2].

Il dato complessivo delle decisioni (342 tra sentenze e ordinanze numerate) è minore rispetto al 2010 e uguale a quello del 2009, anno in cui si era registrata la cifra più bassa a partire dagli anni dello smaltimento dell’arretrato (1987-89).


Riguardo ai rapporti Stato-Regioni, partendo dal giudizio in via principale, questo vede una decisa contrazione del numero totale delle decisioni, che sono 91 tra sentenze e ordinanze (a cui va aggiunta un’ordinanza per correzione di errori materiali), ben 50 in meno rispetto alle 141 del 2010. Un dato che è confermato anche dalla proporzionale riduzione dei capi di dispositivo (203 rispetto a 311).


Anche l’incidenza percentuale delle decisioni rese nel giudizio in via diretta sul totale delle pronunce della Corte scende notevolmente, attestandosi sul 26,61%, contro il 37,63% del 2010. Guardando su più anni, tuttavia, il numero delle decisioni resta piuttosto alto (superiore rispetto al triennio 2007-2009), mentre in termini percentuali è secondo solo a quello del 2010 nell’ultimo decennio.  


Si conferma, inoltre, ancora una volta, il primato del giudizio in via d’azione rispetto a quello in via incidentale riguardo al numero delle sentenze (71 contro 67), evidenziandosi anche la preponderanza che le sentenze hanno, come consueto, nel giudizio in via principale. 


In forte crescita è stato anche il numero dei nuovi ricorsi pervenuti alla Corte nel 2011, che raggiunge il suo picco massimo (170 rispetto ai 123 del 2010, con un incremento del 38,21%) e negativi tornano a essere i dati relativi ai giudizi definiti (95, a cui si sommano 7 definizioni parziali, con una riduzione del 48,65%). Fattori che sono alla base del notevole aumento delle pendenze (da 84 a 159, con un saldo dell’89,29 %). Segnali positivi, invece, si hanno riguardo ai tempi medi di decisione (203,29 giorni contro i 269,06 del 2010, con una riduzione del 24,44%), confermandosi il trend positivo dopo il “dimezzamento” dello scorso anno.


Come mostrano le figure 6 e 7 sempre residuale la cifra delle decisioni sui conflitti d’attribuzione tra Stato e Regioni, 15 per 23 dispositivi, comunque in lieve aumento rispetto al 2010 sia in termini percentuali (4,39%  del totale contro 3,32%), sia per cifra assoluta ( 3 decisioni, 6 dispositivi); il che conferma una tendenza a una lieve crescita a partire dal 2009. 





Molto positivo, invece, è il saldo tra giudizi definiti e atti di promuovimento (19 contro 13), con una riduzione delle pendenze del 42,86%, che rappresenta la cifra più bassa dal 1971. Anche in tal caso confortante è la tendenza riguardo ai tempi di decisione, che sono diminuiti rispetto al 2010 (262,84 contro 390,13 giorni, con un decremento del 32,63%) risultando tra i minori degli ultimi anni.

 

In conclusione, sebbene alcuni dati possano apparire più incoraggianti rispetto al 2009-2010, risulta  chiaro che, se si eccettua quanto avvenuto nel biennio 2007-2008, la cifra delle decisioni sui ricorsi in via principale è ormai “naturalmente” assestata a un livello piuttosto alto, il che conferma la complessità del sistema autonomistico italiano. Se si considera anche il dato dei conflitti tra enti, inoltre, si evidenzia come circa un terzo del lavoro della Corte sia, oramai, quello di svolgere una funzione “arbitrale” nel dirimere le controversie tra Stato e Regioni. 


La conflittualità tra Stato e Regioni, tornata a crescere a partire dal 2009, tende a ripercorrere quanto avvenuto nel periodo 2003-2006, presentando tuttavia caratteri nuovi: non più la difficoltà di attuare un nuovo testo costituzionale, ma le fisiologiche problematiche poste da un sistema complesso, con numerose possibilità di sovrapposizioni di competenze e la mancanza di un adeguato apparato istituzionale di risoluzione dei conflitti. La qual cosa rende il giudizio di costituzionalità le “sede naturale” della riconduzione a sistema del pluralismo istituzionale.  Va segnalato che resta costante la “contrattazione” tra enti riguardo ai ricorsi, con diffusi casi di estinzione del giudizio e di cessazione della materia del contendere, che si attestano sempre attorno al 15% del totale dei dispositivi, come si vedrà in seguito. Vi è, comunque, il dato positivo della progressiva riduzione dei tempi medi di decisione, che testimonia l’impegno della Corte costituzionale nel far sì che la conflittualità tra Stato e Regioni non si risolva in un fenomeno eccessivamente preoccupante.

 

 

2. Profili processuali

 

2.1. Ricorso ex art. 127 e conflitti intersoggettivi. Atti introduttivi

 

Non particolarmente innovative le decisioni della Corte che hanno riguardato gli atti introduttivi dei giudizi contenziosi tra Stato e Regioni.

Ancora una volta viene ribadito il principio della scissione fra il momento in cui la notificazione deve intendersi perfezionata nei confronti del notificante rispetto a quello in cui essa lo è per il destinatario, essendo sufficiente per il primo la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario [3]. La ratio di tale effetto anticipato, però, si lega all’esigenza di tutelare il diritto di difesa del ricorrente , anche sotto il profilo del principio di ragionevolezza, nonché l’interesse dello stesso a non subire l’esito di un procedimento parzialmente sottratto ai suoi poteri d’impulso. L’anticipazione, pertanto, non ha ragione di operare per stabilire il dies a quo inerente alla decorrenza di un termine successivo del processo, come quello per il deposito del ricorso notificato; esso, pertanto, decorre dal momento in cui l’atto perviene al destinatario (sent. n. 106).

La natura politica dell’atto d’impugnazione comporta l’inammissibilità delle censure di costituzionalità contenute solo nel dispositivo del ricorso, che non siano espressamente indicate nella delibera d’impugnazione o nell’allegata relazione [4] (sentt. nn. 7, 205, 227); tra le disposizioni impugnate nel ricorso e quelle individuate nella delibera della Giunta (o del Consiglio dei ministri), dunque, deve sussistere una piena corrispondenza [5] (sent. n. 205). Anche nell’ambito dei conflitti d’attribuzione la mancata indicazione degli atti impugnati nella delibera a ricorrere comporta inammissibilità del conflitto (sent. n. 62). 

Nella competenza ad autorizzare la promozione dei giudizi di costituzionalità deve ritenersi compresa anche la deliberazione di costituirsi in giudizio, proprio in virtù della natura politica dei due atti; competenza che spetta soltanto alla Giunta regionale e al Consiglio dei ministri (sentt. nn. 61, 69) [6]. Va sottolineata, inoltre, la natura perentoria del termine per la costituzione [7] (sent. n. 69).

Come da giurisprudenza consolidata, ai giudizi innanzi alla Corte non si applica l'istituto della sospensione feriale dei termini [8], in virtù dell'esigenza di rapidità e certezza cui il processo costituzionale deve rispondere [9] (sent. n. 310).

 

 

2.2. Profili soggettivi

 

Nessuna novità si registra riguardo all’individuazione dei soggetti legittimati a intervenire nel giudizio principale, che si svolge esclusivamente tra titolari di potestà legislativa [10] (sentt. nn. 33, 69). Ai soggetti privi di tale potestà, invece, residuano i mezzi di tutela delle rispettive posizioni soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed eventualmente nel giudizio in via incidentale (sent. n. 33, 69).

Nei conflitti di attribuzione fra enti non è ammesso l’intervento di soggetti diversi da quelli legittimati a promuovere il ricorso o a resistervi, con l’eccezione relativa all’ipotesi in cui gli atti impugnati siano oggetto di un giudizio di fronte agli organi della giurisdizione comune, in cui l’interventore sia parte e la pronuncia della Corte sia suscettibile di condizionare l’esito di tale giudizio [11] (sent. n. 305).

 

 

2.3. Interesse a ricorrere e vizi deducibili

 

Come da consolidata giurisprudenza della Corte [12], le Regioni possono evocare parametri di legittimità diversi rispetto a quelli che sovrintendono al riparto di attribuzioni solo se la lamentata violazione determini una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite o ridondi sul riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni (sentt. nn. 33, 79, 128). Con particolare attenzione all’impugnazione di decreti legislativi, le doglianze regionali basate sull’art. 76 Cost. richiedono, per essere ammissibili, che la lamentata violazione dei principi e dei criteri direttivi enunciati dalla legge delega, da parte del legislatore delegato, sia suscettibile di comprimere le attribuzioni regionali [13]; le Regioni, pertanto, hanno l’onere di operare la necessaria indicazione della specifica competenza regionale che ne risulterebbe offesa e delle ragioni di tale lesione (sentt. n. 33).

L’impugnativa da parte dello Stato delle leggi regionali è sottoposta, ai sensi dell’art. 127 della Costituzione, a un termine tassativo riferito alla pubblicazione e non anche all’efficacia della legge stessa; la pubblicazione di una legge regionale, in asserita violazione del riparto costituzionale di competenze, è di per sé stessa lesiva della competenza statale, indipendentemente dalla produzione degli effetti concreti e dalla realizzazione delle conseguenze pratiche [14]. Ne deriva che il differimento nel tempo dell’entrata in vigore di disposizioni regionali, condizionato al verificarsi di un evento o all’adozione di un atto, non produce l’inammissibilità del ricorso in via principale (sent. n. 45).

Da ultimo, si ricordi che l’interesse a ricorrere viene meno, con conseguente cessazione della materia del contendere (vedi infra, par. 2.8) o, talvolta, inammissibilità della questione (sent. n. 40),  qualora le norme impugnate siano oggetto di abrogazione o modifica di tipo satisfattivo, ma solo quando le stesse non abbiano avuto concreta attuazione medio tempore [15] (sent., n 40) Non trova invece applicazione nei giudizi in via d’azione l’istituto dell’acquiescenza (sent. n. 165); così anche per i conflitti intersoggettivi, data l’indisponibilità delle competenze di cui si controverte [16] (sent. n. 275).

 

 

2.4. Questioni di legittimità e motivazione

 

L'esigenza di un'adeguata motivazione a sostegno dell'impugnativa si pone, nei giudizi in via principale, in termini perfino più pregnanti che in quelli in via incidentale [17] (sentt. nn. 88, 227); tuttavia, sufficiente può essere anche una censura succinta [18], se chiara e adeguatamente motivata (sentt. nn. 106, 339). Sono, dunque, inammissibili le questioni formulate in modo generico (sentt. nn. 8, 43, 114, 129, 185), apodittico (sent. n. 8), meramente assertivo (sent. n. 61), prive di argomentazione (sentt. nn. 61), del tutto prive di motivazione (sentt. nn. 33, 69, 88), sprovviste di autonoma motivazione (sentt. nn. 40, 68, 79), inconferenti (sent. n. 114, 185). E anche nei giudizi sui conflitti intersoggettivi la genericità delle censure o la mera evocazione dei parametri violati comporta inammissibilità della questione (sent. n. 62).  

Nello specifico, va precisato che non possono coesistere, se non in rapporto di subordinazione nel ricorso, una censura attinente sia all’an sia al quomodo dell’esercizio della potestà regionale [19] (sent. n. 35).

 

 

2.5. Parametro

 

Va precisato che la competenza esclusiva dello Stato in materia di rapporti tra lo Stato e l’Unione europea (art. 117, comma, 2, lett. a)) non può essere considerata un diverso e ulteriore presidio, rispetto agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., del rispetto dei vincoli comunitari; essa, dunque, non può assurgere a parametro per il mancato rispetto della normativa comunitaria quale norma interposta (sent. n. 185).

Riguardo alle autonomie speciali, invece, l’indicazione quale parametro di legittimità delle norme di cui al nuovo Titolo V della Costituzione, in luogo delle disposizioni dello statuto speciale, deve essere suffragata da idonea argomentazione, pena l’inammissibilità del ricorso [20] (sent. n. 90). Si ricordi, poi, che per tali Regioni parametro del giudizio di costituzionalità possono essere anche le norme di attuazione degli statuti speciali [21] (sent. n. 109). Con specifico riguardo allo Statuto del Trentino-Alto Adige, inoltre, possono fungere da parametro di costituzionalità anche le norme adottate ai sensi dell’art. 104, cioè con legge statale su concorde richiesta del Governo, della Regione e delle due Province autonome; è la stessa norma statutaria, infatti, che abilita queste disposizioni a modificare il titolo VI dello Statuto stesso (sent. n. 323).

Si ricordi, infine, che l’erronea indicazione del parametro interposto, nell’impugnazione di leggi regionali per contrasto con la normativa statale, quale ad esempio l’evocazione di una competenza esclusiva statale, determina l’inammissibilità della questione (sent. n. 33).

 

 

2.6. Oggetto

 

Come più volte affermato dalla Corte, nei giudizi in via diretta le questioni proposte nei confronti dei decreti legge possono traferirsi sulla legge di conversione [22], qualora non vengano in essa introdotte innovazioni tali da risolvere i punti d’interesse [23] (sent. n. 153, 232). Inoltre, l’impugnazione dei decreti legge successivamente alla conversione deve ritenersi tempestiva, poiché è tale legge che rende definitiva la normativa solo provvisoriamente dettata dal decreto [24] (sentt. nn. 205, 207, 208, 232).

La novazione della fonte da parte della legislazione regionale, con intrusione negli ambiti di competenza esclusiva statale, invece, costituisce causa di illegittimità della norma regionale [25] (sent. n. 35).

Prive di oggetto, infine, sono le questioni inerenti norme già espunte dall’ordinamento a seguito di declaratoria d’illegittimità costituzionale (sent. n. 36).

Più ampio il numero delle decisioni che hanno riguardato l’oggetto dei conflitti d’attribuzione, sebbene senza particolari novità.

In tale sede, la Corte lo ha più volte sottolineato [26], non è consentito far valere censure di illegittimità costituzionale inerenti ad atti non aventi forza di legge, altrimenti, tramite lo strumento del conflitto, la Corte sarebbe chiamata a un sindacato generale di legittimità costituzionale su tali atti (sent. n. 90). L’eventuale contrasto dell’atto amministrativo con la norma di legge, tra l’altro, non comporta di per sé il “tono costituzionale” del conflitto, potendo questo farsi valere nelle sedi giurisdizionali competenti [27] (sent. n. 90). L’assenza di una lesione o menomazione di attribuzioni costituzionale, d’altronde, facendo venir meno l’elemento oggettivo del conflitto, comporta l’inammissibilità dello stesso (sent. n. 156).

Conclusione ormai non controversa è che la figura dei conflitti di attribuzione non si restringe alla sola ipotesi di contestazione circa l’appartenenza del medesimo potere da parte di due soggetti contendenti che lo rivendichino; devono considerarsi, infatti, anche quelle ipotesi in cui dall’illegittimo esercizio di un potere consegua la menomazione della sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnate a un altro soggetto [28]. Tuttavia, in questa ultima ipotesi, occorre che l’atto per il suo contenuto sia idoneo ad arrecare di per sé pregiudizio alle competenze costituzionali vantate dall’ente ricorrente. Il che non si verifica quando la lesione si sostanzi e si esaurisca nella mera presunta erronea applicazione della legge da parte dell’atto impugnato, poiché il pregiudizio denunciato non sarebbe riconducibile a un’autonoma attitudine lesiva dello stesso, ma soltanto al modo erroneo in cui è stata applicata la legge [29] (sent. n. 305).

Per costante giurisprudenza, costituisce atto idoneo a dar vita a un conflitto intersoggettivo qualsiasi comportamento dotato di efficacia e rilevanza esterna, anche se preparatorio o non definitivo, che sia comunque diretto a esprimere in modo chiaro e inequivoco la pretesa di esercitare una data competenza [30], il cui svolgimento possa determinare un’invasione nella altrui sfera di attribuzioni o, comunque, una menomazione delle possibilità di esercizio della medesima [31] (sent. n. 332). Tale attitudine lesiva manca, invece, a quegli atti privi di efficacia vincolante che si risolvano, ad esempio, in mere istruzioni o pareri non vincolanti o indicazioni tecniche [32] (sent. n. 340).

Estranee alla materia dei conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni sono poi le controversie circa la titolarità di un bene, che non coinvolgano, neppure mediatamente, l’accertamento della violazione di norme attributive di competenza di rango costituzionale [33]; l’oggetto del conflitto, infatti, è dato dalla richiesta di un “regolamento di competenza”, mentre la controversia relativa alla titolarità di un bene e l’interpretazione della normativa che a essa si riferisce restano di competenza dei giudici comuni. Il ricorso per conflitto d’attribuzione, in altri termini, deve contenere una vindicatio potestatis, non una vindicatio rerum, estranea alla competenza del giudice costituzionale [34] (sent. n. 319).

Inammissibili sono poi le questioni con cui si faccia valere il riferimento di un atto statale a Regioni diverse dalla ricorrente (sent. n. 91), nonché concernenti l’impugnazione di atti oggetto di sostituzione (sent. n. 62).

 

 

2.7. Riunione dei giudizi e separazione delle decisioni con riserva di ogni decisione sulle restanti questioni di legittimità costituzionale

 

Non molti, nell’ambito dei giudizi in via principale, i casi di riunione pura e semplice dei giudizi, motivati dalla connessione oggettiva e/o soggettiva dei ricorsi (sentt. nn. 45, 67), dall’analogia delle questioni o della materia (sent. nn. 208, ord. n. 342), dall’omogeneità dei ricorsi o delle norme impugnate (sentt. nn. 33, 190, 213).

L’assenza di omogeneità delle questioni sollevate da più ricorsi e all’interno di ogni singolo, invece, porta la Corte alla trattazione separata delle questioni prive di collegamento (sentt. nn. 123, 207, 232, 330), quasi sempre nel caso di ricorsi aventi a oggetto i cd. “decreti “anti-crisi” o affini (sent. n. 207, 232, 330).

Non troppo numerosi anche i casi in cui la Corte ha deciso con unica pronuncia le questioni omogenee, riservandosi di decidere separatamente sulle altre, secondo i canoni sopra ricordati (sentt. nn. 67, 150, 170, 205, 208), anche qui sovente riguardo ai cd. “decreti anti-crisi” (sentt. nn. 205, 208).

Nei conflitti d’attribuzione la riunione si ha in quattro pronunce (sentt. nn. 62, 92, 255, 332).

 

 

2.8. Tipi di decisioni

 

2.8.1. Giudizio in via principale

 

Come ricordato, nel 2011 il numero totale di decisioni rese nel giudizio in via principale, calcolate al netto delle riunioni e separazioni dei giudizi di cui al paragrafo precedente, è di 91 decisioni per 203 dispositivi. Nella maggioranza dei casi esse risolvono questioni di legittimità proposte dallo Stato: 75 decisioni per 148 dei dispositivi contro 16 e 55 su questioni di provenienza regionale (figura 9). A tale numero vanno aggiunte le due declaratorie d’inammissibilità della costituzione in giudizio della Regione e un caso di inammissibilità dell’intervento di soggetti diversi dallo Stato e dalle Regioni o Province autonome (dispositivi di cui non si tiene conto, tuttavia, nei dati di cui in seguito). In 5 casi la Corte si è trovata a decidere sulla domanda cautelare, dichiarando la stessa assorbita dalla pronuncia di merito (sentt. nn. 182, 189, 190), o non trattandola in seguito alla decisione nel merito (sentt. nn. 187, 263).




Disaggregando il dato per le varie Regioni può osservarsi come le impugnative statali abbiano avuto a oggetto le normative di quasi tutte le Regioni e Province autonome, salvo il Lazio, il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta. Si evidenzia in particolare il dato della Basilicata, del Friuli-Venezia Giulia e della Puglia, tutte e tre con 18 dispositivi aventi a oggetto normative delle stesse. Significativo anche il dato di Campania (13) e dell’Abruzzo (11).


Diversamente deve dirsi, invece, per le Regioni in qualità di parte ricorrente. Qui, infatti, è ben più ristretto il numero delle Regioni interessate, in particolare l’Emilia-Romagna (20), la Toscana (18) e la Puglia (14). Va precisato che il numero di capi di dispositivo indicato è necessariamente maggiore al totale dei capi di dispositivo di provenienza regionale, poiché è fenomeno usuale che a un singolo capo di dispositivo corrispondano questioni proposte da più Regioni e riunite dalla Corte.


La figura 12 mostra il riparto della tipologia di decisioni per capi di dispositivo.

La maggioranza delle questioni di legittimità proposte ha trovato accoglimento nella giurisprudenza del 2011: 86 dispositivi su 203, in gran parte recanti declaratorie d’illegittimità costituzionale pura e semplice (di cui due d’illegittimità consequenziale); 59, invece, i dispositivi di non fondatezza. Tra le decisioni processuali, si segnalano i 25 dispositivi d’inammissibilità (per 17 pronunce) e uno di manifesta inammissibilità (sent. n. 68).

Ai casi in esame vanno aggiunte sette pronunce recanti dichiarazioni di cessazione della materia del contendere (sentt. nn. 68, 89, 153, 192, 310, 325; ord. n. 238); essa è generalmente motivata dall’abrogazione, soppressione o modifica satisfattiva della normativa impugnata, in assenza di concreta attuazione medio tempore della stessa (sentt. nn. 68, 89, 153, 192; ord. n. 238). Tuttavia, la cessazione della materia del contendere può determinarsi anche per rinuncia al ricorso, in assenza di regolare accettazione, sempre in caso di modifica delle disposizioni impugnate che non abbiano avuto applicazione (sentt. nn. 310, 325) [35]. Otto, invece, sono le pronunce di cessazione della materia del contendere consequenziale alla promulgazione parziale di una legge regionale siciliana, con omissione delle parti impugnate, come da costante giurisprudenza costituzionale [36] (ordd. nn. 2, 57, 76, 166, 226, 251, 315, 316).

In ben 16 decisioni (per 17 dispositivi) è stata dichiarata l’estinzione del processo per rinuncia al ricorso (ordd. nn. 22, 51, 58, 110, 148, 160, 168, 204, 256, 292, 342; sentt. nn. 67, 77, 123, 209, 217), quasi sempre in virtù dell’abrogazione, sostituzione o modifica del provvedimento impugnato (ordd. nn. 51, 58, 110, 148, 160, 168, 204, 209, 217, 292) (se non di successivo accordo tra Stato e Regione in materia, ordd. nn. 22). In sette casi la rinuncia non ha richiesto l’accettazione della controparte poiché il resistente non si era costituito in giudizio (ordd. nn. 51, 110, 204; sentt. nn. 67, 77, 123, 217) [37].


In termini percentuali, dunque, poco meno della metà delle decisioni della Corte si è risolto con dispositivi di accoglimento. Piuttosto alto (15,77% in totale), resta il dato delle estinzioni e delle cessazioni delle materie del contendere, inferiore solo a quello del 2006 negli ultimi anni. In decisa diminuzione rispetto, invece, il dato delle inammissibilità.


Disaggregando il dato tra Stato e Regioni (figura 14) emerge come la maggioranza delle questioni proposte dallo Stato abbia trovato accoglimento (74 accolte, 31 rigettate e 16 dichiarate inammissibili); per le Regioni, invece, gran parte delle decisioni reca dispositivi di non fondatezza (28, contro i soli 12 di accoglimento e i 10 d’inammissibilità).

Inoltre, con particolare attenzione alle declaratorie d’illegittimità costituzionale, appare evidente la predominanza delle questioni promosse dallo Stato, mentre un maggiore livellamento si registra nelle altre vicende. Del tutto a vantaggio dello Stato il dato delle estinzioni e delle cessazioni della materia del contendere, il che mostra come sia soprattutto nel caso d’impugnazione di leggi regionali o della Province autonome che si verifica quella “contrattazione” sui provvedimenti impugnati di cui in premessa.


Provando a riaggregare i dati possono farsi ulteriori valutazioni. Il “tasso di accoglimento” delle questioni proposte dallo Stato, infatti, è pari al 50%, mentre quello delle  Regioni è del 21,82%. Un divario inferiore a quello degli ultimi 2 anni, ma comunque significativo. Se a tale cifra si sommano anche i casi di estinzione e cessazione della materia del contendere, in cui si presume che le ragioni dell’impugnativa abbiano trovato comunque soddisfazione, inoltre, il divario è ancora più ampio (68,24% contro 30,91%).


Il rigetto delle questioni, invece, si registra nella maggioranza dei dispositivi su questioni di provenienza regionale (28 su 55), per una percentuale del 50,91%; lo Stato, al contrario, vede il rigetto della questione solo per 31 dispositivi su 148, pari al 20,95%.


Sul piano processuale, come ricordato, i dispositivi d’inammissibilità ammontano a 25, a cui si aggiunge un dispositivo di manifesta inammissibilità. Tale dato si ripartisce in 16 dispositivi concernenti questioni proposte dallo Stato e 10 questioni di provenienza regionale. In termini percentuali ciò comporta che per lo Stato l’inammissibilità colpisce le censure proposte nel 10,81% dei casi, per le Regioni nel 18,18% dei casi. Una distanza da sempre presente, ma che viene a ridursi rispetto all’ultimo triennio, quando l’inammissibilità colpiva oltre un terzo delle questioni proposte dalle Regioni a fronte di un dato statale inferiore perlomeno della metà. La cifra regionale, inoltre, è la più bassa dal 2006, segno probabilmente di una maggiore precisione con cui sono state formulate le doglianze regionali.


Volendo, infine, dare un dato dei casi in cui lo Stato e le Regioni non vedono comunque soddisfatte le proprie ragioni, è possibile aggregare il numero dei dispositivi di rigetto a quello dei dispositivi d’inammissibilità. In tal modo, pur nel  differente valore che i due tipi di pronuncia hanno, può ottenersi un tasso che con un uso molto estensivo del termine potremmo definire “di soccombenza”, che tenga conto sia dei profili processuali sia di quelli di merito. I dispositivi che pronunciano il rigetto o l’inammissibilità di questioni proposte dallo Stato sono pari a 47 (31 16); per le Regioni il dato è di 38 (28 10). Rapportando tali cifre al totale dei dispositivi vertenti su questioni statali e regionali si ottiene una percentuale del 31,76% per lo Stato e del 69,09% per le Regioni. E’ così possibile dare un’indicazione globale che unisca quanto elaborato dalle figure 15, 16 e 17, mostrando la netta preponderanza della soccombenza regionale, sebbene meno accentuata rispetto al biennio precedente, ma sempre su valori decisamente alti, specie se rapportata alla soccombenza statale.


2.8.2. Conflitto di attribuzione tra enti

 

Nei giudizi per conflitto d’attribuzione le decisioni, come ricordato, sono state 15. Tra queste 12 hanno avuto a oggetto questioni proposte dalle Regioni o Province autonome, solo tre questioni di provenienza statale. Riguardo ai capi di dispositivo, se ne registrano 23, 20 su questioni di provenienza regionale, 3 di provenienza statale. Il dato, pertanto, è esattamente inverso rispetto a quello del giudizio in via principale, con una netta preminenza delle decisioni sui ricorsi regionali.


Venendo ai tipi di sentenze, le pronunce di accoglimento rappresentano la maggioranza relativa (sei), mentre quattro sono le decisioni di rigetto (di cui una sull’istanza di sospensione); tutte le pronunce di merito hanno avuto a oggetto questioni di provenienza regionale. Tra le processuali vi sono state nove declaratorie d’inammissibilità (sentt. nn. 62, 90, 91, 156, 305, 319, 340), sette dispositivi su questioni promosse dalle Regioni, due dallo Stato. In una sentenza (per due dispositivi, entrambi su questioni di provenienza regionale) si ha invece cessazione della materia del contendere (sentt. nn. 62). Due le dichiarazioni di estinzione del processo per rinuncia al ricorso (ordd. nn. 20, 132), una per parte ricorrente; l’estinzione, regolarmente accettata solo in una vicenda (ordd. nn. 20), è conseguenziale alla revoca o sostituzione dell’atto impugnato. Tre le decisioni sulla domanda cautelare, solo in un caso separatamente esaminata e rigettata per difetto di periculum in mora e  fumus boni iuris (ord. n. 302); nelle altre due vicende, invece, l’istanza è stata dichiarata assorbita dalla pronuncia di merito (sentt. nn. 255, 264). 


Il conflitto tra enti, per il 2011, pertanto, presenta una rilevanza essenzialmente per quanto concerne le impugnative di atti statali da parte delle Regioni o Province autonome. Per tali aspetti, poco meno di un terzo (quasi la metà tenendo conto di estinzioni e cessazioni della materia del contendere) delle questioni proposte da queste ultime ha trovato accoglimento: il “tasso di accogliento” è dunque più alto rispetto al giudizio in via principale. Va rilevato, tuttavia, come oltre un terzo delle questioni promosse dalle Regioni sia stato dichiarato inammissibile, con un dato assai più negativo rispetto al ricorso in via diretta. Per lo Stato, appunto, la valutazione è poco significativa, dato il basso numero di ricorsi, anche se vanno rilevati un tasso di accoglimento pari a zero e l’assenza di pronunce di merito.

 

 

3. Art. 114 Cost.

 

Come già precisato dalla Corte (sentenza n. 278 del 2010), nel vigente assetto istituzionale della Repubblica, la Regione gode di una particolare posizione di autonomia, costituzionalmente protetta, che la distingue dagli enti locali (art. 114 Cost.); deve escludersi, pertanto, che con l’espressione “ente locale” il legislatore possa riferirsi alla Regione (sent. n. 33).

 

4. Statuti, forma di governo e legge elettorale regionale

 

4.1. L’autonomia statutaria e la legge elettorale regionale

 

Il rapporto tra statuto e legge regionale è disegnato dalla Costituzione in termini sia di gerarchia, in virtù del carattere fondamentale della fonte statutaria, confermato dalla previsione di un procedimento aggravato per la sua adozione [38], sia di competenza, in quanto l’art. 123 Cost. prevede l’esistenza nell’ordinamento regionale ordinario di vere e proprie riserve normative a favore della fonte statutaria rispetto alle competenze del legislatore regionale [39] (sent. n. 188).

Nell’ambito di tali riserve normative rientra la determinazione del numero dei membri del Consiglio, poiché la composizione dell’organo legislativo regionale rappresenta una fondamentale scelta politica riguardo alla forma di governo della Regione [40]. Di conseguenza, quando la fonte statutaria indica un numero fisso di consiglieri, senza possibilità di variazione, la legge regionale non può prevedere meccanismi diretti ad attribuire seggi aggiuntivi, dovendo questa armonizzarsi con la forma di governo. Qualora la legislazione elettorale regionale voglia prevedere il meccanismo del cosiddetto “doppio premio” (cioè premio di maggioranza più eventuali seggi aggiuntivi), di cui all’art. 15, comma 13, della legge statale n. 108 del 1968, pertanto, tale possibilità deve essere espressamente stabilità nello statuto. Da qui l’illegittimità costituzionale della legge elettorale della Puglia (l. r. n. 2 del 2005), per violazione dell’art. 123 Cost., in virtù della previsione di tale meccanismo in presenza di un numero fisso di consiglieri (sent. n. 188).

Riguardo all’approvazione della legge elettorale regionale, com’è noto, ai sensi della normativa transitoria di cui alla l. cost. n. 1 del 1999, questa deve seguire nel tempo l’adozione del nuovo statuto, al fine di assicurare che il sistema di elezione sia in armonia con la forma di governo, evitando disfunzionalità date dal possibile condizionamento dello statuto da parte della legge elettorale [41]. Ne deriva l’illegittimità della legge adottata dalla Regione Basilicata (l. n. 3 del 2010, modificata dalla l. n. 19 del 2010), per la parte recante disposizioni non di mero dettaglio (quale l’eliminazione del cd. “listino” presidenziale), poiché approvata prima del nuovo statuto, senza che vi sia stata una coincidenza temporale con l’approvazione dello stesso, come nella vicenda della Campania; inoltre, la legge in questione neppure stabiliva il differimento della sua entrata in vigore all’adozione del nuovo statuto, sulla falsariga delle discipline delle Marche e della Toscana (sent. n. 45). Va precisato, tuttavia, che, anche prima dell’approvazione statutaria, la legge regionale può modificare, in aspetti di dettaglio, la disciplina delle leggi statali vigenti (semmai discutibile è la modalità di tale forma di legislazione) [42]. Così, la normativa lucana ben poteva introdurre un mero meccanismo di distribuzione dei seggi tra circoscrizioni; allo stesso modo, non censurabile è anche nella parte in stabilisce il rinvio dell’entrata in vigore delle disposizioni in questione alla successiva legislatura, trattandosi di un profilo che investe semplicemente l’efficacia nel tempo delle norme (sent. n. 45).

Riguardo alle incompatibilità e ineleggibilità la Corte ribadisce il suo consolidato orientamento sulla disciplina di tali istituti in relazione alle cariche elettive regionali e presso gli enti locali. Il cumulo tra l’ufficio regionale e quello locale, dunque, è senz’altro suscettibile di compromettere il libero espletamento della carica o comunque i principi tutelati dall’art. 97 Cost. (sent. n. 294). Pertanto, il principio del divieto di cumulo degli incarichi, espresso dall’art. 65 del d.lgs. n. 267 del 2000, s’impone alle Regioni, che non possono prevedere normative che dettino regole che vadano in senso opposto a tale principio [43] (sent. n. 310). Siffatte conclusioni valgono anche per le Regioni ad autonomia speciale le quali, salvo il ricorrere di peculiari condizioni locali, non si sottraggono all’applicazione della legge quadro statale in materia (l. n. 165 del 2004), recando la stessa principi indefettibili espressione degli artt. 3 e 51 Cost. [44]. Da ciò deriva il vincolo per il legislatore regionale a configurare, a certe condizioni, le ineleggibilità sopravvenute come cause di incompatibilità, in virtù di una sorta di parallelismo tra i due istituti (sent. n. 294). Inoltre, il termine per rimuovere la causa d’incompatibilità deve essere ragionevolmente breve [45]; la legislazione regionale, quindi, non può stabilire, come nel caso della Regione siciliana, che, per le incompatibilità accertate in sede giurisdizionale, il diritto di opzione possa essere esercitato entro dieci giorni dal passaggio in giudicato della sentenza (sent. n. 294).

 

 

4.2. Le prerogative dei consiglieri regionali

 

Oggetto di scrutinio da parte della Corte è anche la materia delle prerogative dei consiglieri regionali e, in particolare, dell’insindacabilità garantita dall’art. 122, quarto comma, Cost. In via generale, il “mero esercizio” della giurisdizione civile nei confronti di un consigliere, pure in presenza di una eccezione della difesa di quest’ultimo tesa a far valere l’insindacabilità, non può ritenersi, di per sé, lesivo della guarentigia. L’art. 122, comma 4, Cost., infatti, prevede un’immunità sostanziale e non già un’esenzione dalla giurisdizione, non volendo assicurare una posizione di privilegio ai consiglieri regionali, ma preservare da interferenze e condizionamenti esterni le determinazioni inerenti alla sfera di autonomia costituzionalmente riservata al Consiglio regionale [46] (sent. n. 332).

La Regione, pertanto, può, censurare solo il “cattivo uso” della funzione giurisdizionale, ritenendo che la pronuncia sia in contrasto con la previsione contenuta nella citata disposizione costituzionale [47]. Atti di mero impulso processuale, imposti dalla legge senza margini di discrezionalità in presenza di determinate condizioni, o comunque privi di ogni contenuto decisorio, quindi, non hanno idoneità lesiva [48]; diversamente, invece, per le pronunce sulle istanze istruttorie delle parti (sent. n. 332).

La guarentigia in questione ricomprende tutte quelle attività che costituiscono esplicazione di una funzione tipica, affidata al Consiglio regionale dalla Costituzione o da altre fonti normative cui la prima rinvia [49]. In analogia con quanto previsto dall’art. 68, primo comma, Cost., peraltro, l’immunità in parola si estende anche a quei comportamenti che, pur non rientrando fra gli atti tipici, siano collegati da nesso funzionale con l’esercizio delle attribuzioni proprie dell’organo di appartenenza, tra cui, in particolare, spicca la divulgazione esterna delle opinioni espresse in sede consiliare [50]. Nondimeno, a tal fine risultano necessarie due condizioni: la sostanziale corrispondenza contenutistica rispetto all’atto tipico e il legame di ordine temporale, idonei a imprimere alle dichiarazioni esterne una connotazione divulgativa dell’attività istituzionale [51]. Ora, le interrogazioni e le interpellanze vanno senz’altro annoverate tra gli atti consiliari tipici, in quanto strumentali alle funzioni di controllo e di sindacato politico che il Consiglio esercita nei confronti della Giunta [52]; pertanto, un articolo di stampa,  praticamente coevo all’atto tipico e che si limiti, nella sostanza, a riprodurre i contenuti dell’interrogazione, possiede quel nesso funzionale in questione (sent. n. 332).

Tra le attività coperte dalla garanzia dell’insindacabilità possono essere annoverate anche quelle di vigilanza e di controllo che spettano alle commissioni consiliari; con la conseguenza che detta garanzia si estende anche alle dichiarazioni esterne che, in stretta successione temporale, ne riflettano i contenuti [53] (sent. n. 332).

 

 

5. Il limite degli obblighi comunitari e l’art. 117, comma 5, Cost.

 

Il diritto dell’Unione europea viene in rilievo, quale parametro, in diverse pronunce.

In primo luogo va segnalato quanto statuito in materia di concessioni relative al demanio marittimo. In tale settore, come già precisato dalla Corte [54], la normativa statale pone, ai sensi del d.l. n. 194 del 2009, una disciplina carattere transitorio, in attesa della revisione della legislazione in materia; revisione da realizzarsi, quanto ai criteri e alle modalità di affidamento delle concessioni, nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell’esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti. Integra, dunque, una violazione delle norme europee in tema di diritto di stabilimento, di tutela della concorrenza e del principio di non discriminazione (art. 49 TFUE), recepite dalla normativa statale, la previsione con legge regionale di una proroga in favore dei titolari di concessione sul demanio marittimo; in tal modo, infatti, si determina una disparità di trattamento [55], escludendo dalla possibilità di prendere il posto del vecchio gestore, alla scadenza della concessione, per coloro che in precedenza non gestivano il demanio marittimo, se non nel caso in cui non si chieda la proroga o la si chieda senza un valido programma di investimenti; né, a tal fine, rileverebbe il fatto che la Regione non disponga una proroga automatica, ma da valutare caso per caso, creandosi comunque un ostacolo agli altri operatori del mercato (sent. n. 213).

In secondo luogo, vengono ribadite le conclusioni della giurisprudenza costituzionale in materia di accise [56]. In base all’attuale normativa comunitaria, per le accise sui carburanti, l’obbligazione tributaria sorge già con la fabbricazione e, fino al momento della sua esigibilità, la tassazione è assoggettata a un regime di sospensione; le accise, pertanto, sono trattate come tributi indiretti afferenti alla fabbricazione (produzione), indipendentemente dalla loro incidenza economica sul consumo. Il consumatore, quindi, sebbene possa subire il “peso” dell’accisa, ove questa sia inglobata nel prezzo del carburante, non può essere ritenuto soggetto passivo dell’imposta. L’attribuzione di un contributo economico a favore del consumatore, dunque, non si risolve in una parziale riduzione del tributo, potendo essere così disposto dalle Regioni speciali cui spetta una competenza in materia; è il caso del contributo per l’acquisto di carburanti per le vetture “ecologiche” di cui alle legislazione del Friuli-Venezia Giulia, che determina una riduzione del prezzo del carburante stesso, rimborsato poi al gestore (sent. n. 185).

Ancora, come già chiarito dalla Corte [57], lesiva della normativa comunitaria è l’adozione da parte delle Regioni di una disciplina che, senza adeguata motivazione, rechi deroghe al generale divieto di abbattimento o cattura di uccelli selvatici appartenenti alle specie protette. In base anche alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, infatti, tali deroghe risultano ammissibili, ai sensi della normativa europea, solo in casi eccezionali e d’interesse generale, i quali devono trovare specifica indicazione negli atti che le prevedano [58] (sent. n. 190).

Non lede il parametro in questione, da ultimo, una normativa regionale che prevede l’attivazione di un numero telefonico di pronto intervento per la polizia locale; la presenza di una direttiva che ha lo scopo di fornire a tutti i cittadini un medesimo numero di accesso (“112”) ai servizi di emergenza sul territorio europeo, infatti, non esclude la possibilità di attivare ulteriori numeri d’emergenza nazionali o locali (sent. n. 35).

Spostandoci sul piano dell’attuazione del diritto comunitario, la Corte si è pronunciata in riferimento alla  materia tutela dell’ambiente. Per tale materia, il potere di interloquire con la Commissione europea spetta allo Stato, in base quanto previsto dall’art. 117, commi 3 e 5, Cost., che indicano la competenza statale nella disciplina dei rapporti delle Regioni e delle Province autonome con l’Unione europea e nella definizione delle procedure di partecipazione delle stesse alla formazione degli atti comunitari. Né può affermarsi la competenza delle Regioni o della Province autonome sulla base della cedevolezza dei regolamenti statali di attuazione delle direttive comunitarie, ad esempio nelle materie di competenza primaria delle Province autonome; un potere diretto di interlocuzione attribuito alla Provincia, infatti, viola i princìpi generali dell’ordinamento giuridico e le norme fondamentali di riforma economico-sociale (sent. n. 151).

 

 

6. Riparto delle competenze, sussidiarietà, leale collaborazione

 

6.1.   La cd. “chiamata in sussidiarietà”

 

Com’è noto, lo strumento della “chiamata in sussidiarietà”, elaborato dalla giurisprudenza costituzionale a partire dalla sentenza n. 303 del 2003, costituisce un peculiare elemento di flessibilità, introducendo un meccanismo dinamico diretto appunto a superare l’equazione tra titolarità delle funzioni legislative e titolarità delle funzioni amministrative (sent. n. 232). La valutazione della necessità del conferimento di una funzione amministrativa a un livello territoriale superiore rispetto a quello comunale deve essere effettuata dall’organo legislativo corrispondente almeno al livello territoriale interessato, in virtù del principio di legalità sostanziale [59]; tale scelta, nondimeno, deve giustificarsi in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza [60] (sent. n. 232). In tal modo, pertanto, si consente allo Stato l’allocazione e la disciplina di una funzione amministrativa a livello centrale, pur quando la materia, secondo un criterio di prevalenza, appartenga alla competenza regionale concorrente, ovvero residuale (sentt. nn. 32, 165). Tuttavia, affinché la Regione possa venire spogliata della propria capacità di disciplinare la funzione amministrativa attratta in sussidiarietà, è necessaria la previsione di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di governo coinvolti, attraverso strumenti di leale collaborazione o adeguati meccanismi di cooperazione per l’esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali (sentt. nn. 33, 165, 232). Procedure che vengono individuate essenzialmente nell’intesa, che, tra l’altro, l’ordinamento riserva non già complessivamente al sistema regionale, quanto piuttosto alla specifica Regione che sia stata privata di un proprio potere (sentt. nn. 33, 92) [61]. Ai fini del perfezionamento dell’intesa, inoltre, la legge statale non può prevedere la decisività della volontà di una sola parte, poiché è necessario che il contenuto dell’atto sia frutto di una codecisione paritaria; in caso di dissenso, pertanto, vanno indicate idonee procedure per consentire lo svolgimento di reiterate trattative volte a superare le divergenze [62]. Solo nell’ipotesi di ulteriore esito negativo di tali procedure può essere rimessa al Governo una decisione unilaterale  (sentt. nn. 33, 165).

Non risulta legittima, così, la normativa statale tesa alla creazione di zone “a burocrazia zero” nel Meridione d’Italia, la quale  possiede un campo di applicazione generalizzato, perché riferito a tutti i procedimenti amministrativi in tema di nuove iniziative produttive, idoneo a coinvolgere anche procedimenti destinati ad esplicarsi entro ambiti di competenza regionale concorrente o residuale. Tale disciplina, infatti, non reca l’indicazione dell’esigenza di assicurare l’esercizio unitario perseguito attraverso tali funzioni,  né la congruità, in termini di proporzionalità e ragionevolezza, dell’avocazione delle funzioni rispetto al fine voluto e ai mezzi predisposti per raggiungerlo (sent. n. 232).

La chiamata in sussidiarietà si riscontra, poi, per il trasporto pubblico locale, nella specie per l’inserimento di opere nell’ambito di quelle di valore strategico nazionale. Si tratta di casi in cui l’intesa riguarda soltanto la fase di decisione e di localizzazione dell’opera, con l’indicazione del relativo finanziamento; non così, invece, per la decisione statale di revocare lo stesso in conseguenza dello stralcio dell’opera stessa da quelle di rilevanza strategica, non essendo immaginabile che una Regione possa “costringere” lo Stato a mantenere tale qualificazione per un’opera pubblica (sent. n. 79).

I presupposti per l’attrazione in sussidiarietà sono rilevati anche in materia di porti e aeroporti civili, con la conseguente legittimità della previsione di fondi vincolati (vedi infra, par. 12.1); tuttavia, in virtù del rispetto delle ricordate esigenze di leale collaborazione, la ripartizione di tale fondo deve avvenire previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni e con le singole Regioni interessate (sent. n. 79).

Ancora una volta la “chiamata in sussidiarietà” si ritrova in materia di energia [63], in particolare  per gli interventi strategici che impongono una realizzazione unitaria e coordinata E’ questo il caso, ad esempio, dell’energia nucleare (per cui vedi infra, par. 7.2.2) (sent. n. 33).

 

 

6.2. Leale collaborazione

 

Secondo un ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale [64], le procedure di cooperazione o di concertazione possono rilevare ai fini dello scrutinio di legittimità degli atti legislativi solo in quanto la loro osservanza sia imposta, direttamente o indirettamente, dalla Costituzione (sentt. nn. 33, 79). Il che, a maggior ragione, vale per il decreto-legge, fonte la cui adozione è legata al manifestarsi di esigenze di necessità e urgenza [65] (sent. n. 79).

I profili attinenti alla leale collaborazione, inoltre, non vengono di per sé in rilievo quando lo Stato eserciti competenze rimesse alla sua potestà legislativa esclusiva, sebbene non debba escludersi una qualche forma di coinvolgimento delle Regioni, soddisfatta anche dalla mera richiesta di parere della Conferenza Stato-Regioni [66] (sent. n. 153); strumento ritenuto adeguato anche quando le competenze esclusive statali incidano su settori fortemente articolati [67] (sent. n. 153).

Gli strumenti di leale collaborazione s’impongono, invece, nel caso d’intreccio di competenze tra Stato e Regioni (vedi infra, par. 7.1). In tal caso, il principale modo attraverso cui le Regioni concorrono alla determinazione del contenuto di atti legislativi statali che incidono su materie di competenza regionale è costituito dal sistema delle Conferenze (sent. n. 33).

Affinché il mancato coinvolgimento delle Conferenze, pur previsto da un atto legislativo di rango primario, possa comportare un vulnus al principio costituzionale di leale cooperazione, è necessaria, dunque, l’incidenza su ambiti materiali di pertinenza regionale [68]. Ora, quando a espressione del principio di leale collaborazione la normativa statale preveda il rilascio di un parere, come nel caso dell’adozione di decreti legislativi, ciò esige che le parti si conformino a tale principio. Così, chi richiede il parere deve mettere il soggetto consultato nelle condizioni di esprimersi, mentre quest’ultimo deve provvedere ad analizzare l’atto e a esprimere la propria valutazione nel rispetto del termine fissato. In assenza di un preciso termine legale, stabilito che quello in concreto concesso alla Conferenza (Stato-Regioni o unificata) sia stato non incongruo, deve escludersi che tale Conferenza possa rifiutarsi di rendere il parere e con ciò procrastinare il termine; in caso contrario, si verrebbe a configurare un potere sospensivo o addirittura di veto non conciliabile con l’attribuzione costituzionale al Governo del potere legislativo delegato [69] (sentt. n. 33). Ciò, pertanto, come avvenuto nella vicenda della legge delega in materia di energia nucleare (vedi infra, par. 7.2.2), consente al Governo di soprassedere dall’emissione del parere, per come disciplinato dalla legge, quando le istanze regionali siano state comunque espresse, sebbene in forma irrituale (come in sede di Conferenza delle Regioni), qualora da ciò emerga l’impossibilità di adottare un parere secondo la normativa prevista per la Conferenza unificata (sent. n. 33).

Nel caso di delegazione legislativa, inoltre, qualora ne ricorrano i presupposti, il rispetto dei canoni di leale collaborazione è necessario pur in assenza di specifiche indicazioni del legislatore delegante in relazione alle modalità del coinvolgimento regionale [70]. Certamente, il legislatore delegato è poi libero nell’attività di ulteriore rafforzamento delle istanze partecipative del sistema regionale e degli enti locali, che, quando l’interesse in gioco non sia accentrato esclusivamente in capo alla singola Regione, è ben espressa dall’intervento della Conferenza Stato-Regioni e della Conferenza Stato-città ed autonomie locali (sent. n. 33).

Il raggiungimento dell’intesa è condizione anche per la nomina di un commissario straordinario; da tale atto può prescindersi solo se, in applicazione del principio di leale cooperazione, si sia dato luogo a reiterate trattative volte a superare le divergenze che ostacolino il raggiungimento di un accordo [71] (sentt. nn. 255, 264).

 

 

6.3. Poteri sostitutivi

 

Come noto, l’art. 120 Cost. stabilisce che il potere sostitutivo spetti al Governo, nei confronti delle Regioni e degli enti locali, solo in determinate evenienze quali: il mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria; il ricorrere di un pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica; la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. L’esercizio di tale potere, inoltre, deve compiersi in base alle procedure stabilite dalla legge a garanzia dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione.

In attuazione dell’art. 120 Cost., l’art. 8 della legge n. 131 del 2003 prevede che il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, assegni all’ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari e che, solo decorso inutilmente detto termine, il Consiglio dei ministri, sentito l’organo interessato, assuma i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomini un apposito commissario. Nei casi di assoluta urgenza, il Consiglio dei ministri può adottare i provvedimenti necessari, immediatamente comunicati alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza unificata, che possono chiederne il riesame.

Pertanto, non è conforme né all’art. 120 Cost., né ai requisiti di cui alla l. n. 131 del 2003, l’attribuzione di un potere sostituivo direttamente a un organo amministrativo, sia pure nominando un commissario; né può prevedersi l’esercizio del potere sostitutivo per la semplice inerzia degli enti competenti, senza che ricorrano le ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 120 Cost. e senza alcuna limitazione procedurale, che consenta all’ente inadempiente di compiere l’atto o gli atti, evitando così di essere sostituito (sent. n. 165).

L’esercizio del potere sostitutivo, inoltre, non può essere previsto nei casi in cui vi sia uno spostamento di competenze amministrative, a seguito di attrazione in sussidiarietà, dovendosi ritenere che la leale collaborazione, necessaria in tale evenienza, non possa essere sostituita, puramente e semplicemente, da un atto unilaterale dello Stato [72] (sent. n. 165).

Come già sottolineato dalla Corte [73], l’operato del commissario ad acta, incaricato dell’attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario, sopraggiunge all’esito di una persistente inerzia degli organi regionali, essendosi questi ultimi sottratti a un’attività che pure è imposta dalle esigenze della finanza pubblica. In tali casi, dunque, le misure regionali previste al fine di rispettare gli obiettivi posti dai piani di rientro, oltre a dover essere coerenti con gli stessi, non possono sovrapporsi ai poteri attribuiti al commissario ad acta [74]. Pertanto, le funzioni amministrative di tale organo devono essere poste al riparo da ogni interferenza degli organi regionali, senza che possa essere evocato il rischio di fare di esso l’unico soggetto cui spetti di provvedere per il superamento della situazione di emergenza sanitaria in ambito regionale; con conseguente illegittimità di normative regionali tese a sottrarre al commissario l’esercizio di funzioni ammnistrative (sent. n. 78).

Va precisato, da ultimo, che i commissari straordinari del Governo sono organi statali, la cui disciplina non può che spettare allo Stato; dunque, non è lesiva delle competenze regionali e provinciali la previsione normativa secondo cui i commissari straordinari sono nominati con un decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri; discorso che vale anche per la norma in virtù della quale, con il decreto di nomina, sono determinati i compiti del commissario, i poteri di controllo e di vigilanza sul suo operato e le relative dotazioni di mezzi e di personale (sent. n. 165).

 

 

7. Oggetto e materie

 

Come consolidato in giurisprudenza, per l’individuazione della materia alla quale va ricondotta la disciplina oggetto di scrutino deve aversi riguardo all’oggetto e alla regolamentazione stabilita dalle norme impugnate, tenendo conto della loro ratio, della finalità perseguite e del contesto, tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi, così da identificare l’interesse tutelato (sentt. nn. 69, 207, 300) [75].

In applicazione di tali principi non integrano una vera e propria materia i “lavori pubblici”, che si qualificano, invece, a seconda dell’oggetto al quale afferiscono, potendo, pertanto, essere ascritti di volta in volta a potestà legislative statali o regionali [76] (sent. n. 43).

 

 

7.1. Le materie e il ricorso in via principale: alcuni dati quantitativi

 

Analizzando i  dati del giudizio in via principale 2011, tenuto conto della scarsa incidenza del conflitto tra enti, è possibile fornire taluni dati significativi relativamente ai parametri invocati dallo Stato e dalle Regioni a sostegno dei ricorsi. Va precisato che, sebbene il dato sia rapportato sul totale dei dispositivi resi dalla Corte in tali giudizi, frequente è la presenza di diversi parametri per ciascuna questione risolta con ogni singolo dispositivo, per cui il dato è numericamente ben più alto.

Partendo dall’analisi dai parametri invocati dallo Stato, guardando alla lamentata lesione del riparto di competenze di cui al Titolo V, parte II, Cost., che però non costituisce il gruppo maggiore di censure, è possibile sottolineare come nella gran parte dei casi il parametro sia dato dall’art. 117, comma 2, Cost.  


In dettaglio, nelle vicende in cui lo Stato ha lamentato la lesione di una sua potestà esclusiva, la grande maggioranza delle questioni ha avuto a oggetto solo tre delle lettere dell’art. 117, comma 2, Cost. e in particolare: la lett. e) (30 casi, concernenti principalmente la tutela della concorrenza), la lett. l) (43 casi, quasi sempre in materia di ordinamento civile) e la lett. s) (29 casi). Tutte, a ben vedere, potestà statali a carattere “trasversale” o comunque in grado d’incidere su diverse competenze regionali.


Piuttosto ristretto il gruppo di materie di competenza concorrente per cui lo Stato ha lamentato la lesione dei principi fondamentali della materia. Tra queste, come è facile rilevare, spicca il coordinamento della finanza pubblica, anche questa una potestà, come si vedrà, a eminente carattere finalistico. 


Da ultimo, riguardo alle altre norme del Titolo V, Parte II, Cost., nonché agli Statuti speciali e relative norme di attuazione, il parametro di gran lunga più invocato è l’art. 117, comma 1, Cost., il quale, pertanto, è secondo solo all’ordinamento civile, come emerge dalle figure 22 e 23. Non indifferente il dato in cui a parametro del giudizio si siano poste le norme sulle competenze delle autonomie speciali. Appena 6 i casi in cui lo Stato ha fatto valere il mancato rispetto del principio di leale collaborazione. Infine, va aggiunto il dato relativo alla violazione della l. cost. n. 1 del 1999, in collegamento con l’art. 122 Cost.


Riguardo alle Regioni, nella maggioranza dei casi i parametri del giudizio invocati non hanno riguardato i commi 2, 3 e 4 dell’art. 117 Cost.


L’art. 117, comma 2, Cost, è stato invocato solo in tre occasioni, con riferimento alla tutela dell’ambiente, all’ordinamento civile e alla lett. m). Molto ristretto anche il numero di casi in cui è stata lamentata la lesione di potestà residuali regionali: oltre a due vicende in cui si ha solo un generico riferimento all’art. 117, comma 4, Cost., per due volte è stata richiamata la materia trasporto pubblico locale, per una le Comunità montane e i servizi sociali.

 

Più frequente, come ovvio, che le Regioni lamentino l’invasione da parte dello Stato del proprio spazio di competenza nelle materie di cui all’art. 117, comma 3, Cost. Tra queste, sono quattro quelle più invocate (energia, governo del territorio, protezione civile e tutela della salute), che rappresentano la netta maggioranza delle materie complessivamente invocate dalle Regioni. Ai dati del grafico vanno aggiunti due casi in cui le Regioni hanno invocato genericamente l’art. 117, comma 3, senza precisare la materia di riferimento. 


Il gruppo più consistente, come accennato, è dato dalle vicende in cui la Regione abbia invocato la lesione di altre disposizioni del Titolo V o di norme contenute negli statuti speciali e nelle relative disposizioni di attuazione. Il dato più consistente riguarda l’art. 118 Cost. (28 casi) e il principio di leale collaborazione (25). Da segnalare che in dieci vicende le Regioni hanno lamentato solo una generica violazione dell’art. 117 Cost. Speculare a quello statale (14) il numero dei casi in cui si è invocata la violazione degli statuti speciali e delle norme di attuazione.


L’invocazione di parametri non attinenti al riparto di competenze tra Stato e Regioni assume un rilievo significativo essenzialmente riguardo alle impugnative statali, costituendo anzi, il gruppo più numeroso di censure, come ricordato. In particolare, lo Stato lamenta soprattutto la lesione degli artt. 3 e 97 della Costituzione.

Le Regioni, tenuto conto dei limiti alle stesse poste riguardo ai vizi deducibili (vedi supra, par. 2.3), adducono quasi esclusivamente la violazione delle norme costituzionali in materia di atti aventi forza di legge.


 

 

7.2. Intreccio di più materie e competenze in un unico oggetto

 

7.2.1. Principi generali

 

Come noto, nell’assenza di un meccanismo di composizione delle interferenze previsto dalla Costituzione, l’intreccio di competenze viene risolto mediante l’applicazione di due criteri alternativi: la prevalenza, ove possa ravvisarsi la sicura prevalenza di un complesso normativo rispetto ad altri; la leale collaborazione, che esige l’adozione di adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni, a salvaguardia delle loro competenze (sentt. nn. 33, 330) [77].

 

 

7.2.2. Casi pratici d’intreccio di competenze e materie

 

Dalla giurisprudenza del 2011 si evidenzia nuovamente il ricorrere di un forte intreccio di competenze nel settore dell’energia nucleare, già ampiamente scrutinato dalla sentenza n. 278 del 2010.

Ivi, in applicazione del criterio di prevalenza, si era ricondotta alla materia concorrente della produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia la scelta del legislatore statale di avviare un programma di produzione di energia nucleare (l. n. 99 del 2009, successivamente oggetto di abrogazione referendaria). I rilevanti interessi unitari coinvolti, giustificano, nondimeno, la presenza di “chiamate in sussidiarietà” (vedi par. 6.1), alla luce dell’esigenza di assicurare l’attuazione della scelta di politica energetica d’introdurre quale ulteriore fonte di produzione di energia quella di origine nucleare (sent. n. 33). La materia, tuttavia, presenta per molti profili un forte intreccio di competenze, essendo coinvolte anche la tutela dell’ambiente, l’ordine pubblico e  sicurezza, il governo del territorio, la tutela della salute, la protezione civile. Il che rende opportuni, ove il legislatore delegante la reputi opportuna, la configurazione di momenti di confronto con il sistema regionale, nel caso di specie tramite la previa acquisizione del parere della Conferenza unificata (che, però, come osservato supra, par. 6.2, può essere reso anche in forma irrituale) (sent. n. 33).

Nel dettaglio, la potenziale attitudine del singolo impianto nucleare, per quanto materialmente localizzato in un determinato territorio, a incidere sugli interessi e sui beni di comunità territoriali insediate anche in altri ambiti regionali, giustifica la previsione – ai fini del rilascio dell’autorizzazione unica – dell’intesa con la Conferenza unificata. La partecipazione della singola Regione interessata, invece, si realizza nella fase anteriore della certificazione dei siti, in relazione alla quale è necessaria l’acquisizione dell’intesa, appunto, con ciascuna delle Regioni il cui territorio risulti idoneo alla localizzazione dell’impianto; un'intesa anche nella fase di rilascio dell’autorizzazione, invece, comporterebbe un aggravio procedimentale sproporzionato. Un adeguato meccanismo di rappresentazione del punto di vista della Regione interessata, che ragionevolmente bilanci le esigenze di buon andamento dell’azione amministrativa e gli interessi locali puntualmente incisi, invece, è costituito dal parere obbligatorio, seppur non vincolante, della Regione stessa. Attraverso tale consultazione mirata, quest’ultima è messa nelle condizioni di esprimere la propria definitiva posizione, distinta nella sua specificità da quelle che verranno assunte, in sede di Conferenza unificata, dagli altri enti territoriali; dal che ne derivava l’illegittimità della normativa statale in parte qua (sent. n. 33).

La previsione dell’intesa sulla certificazione del sito, nondimeno, intervenendo successivamente all’elaborazione dei criteri tecnici, fa sì che lo schema dei parametri esplicativi degli stessi non possa essere eccessivamente dettagliato, ché sennò si priverebbe la Regione di ogni spazio di codeterminazione. Nel caso di mancata intesa, inoltre, è prevista la costituzione di un comitato interistituzionale e solo qualora l’attività dello stesso abbia esito negativo lo Stato può far prevalere la sua volontà, con d.p.r., che potrà anche essere oggetto d’impugnazione innanzi alla Corte sotto il profilo della conformità del comportamento statale ai canoni della leale collaborazione e rispetto ai canoni della “chiamata in sussidiarietà” prima ricordati (sent. n. 33).

La fase di gestione dei rifiuti radioattivi, invece, va ascritta alla competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente, sebbene verso di essa convergono attività certamente riconducibili, su di un piano di concorrenza, all’art. 117, terzo comma, Cost., quanto al governo del territorio; sicché si rende costituzionalmente necessario un coinvolgimento sia del sistema regionale complessivamente inteso, quanto alla individuazione del sito, sia della Regione interessata, quanto alla specifica localizzazione e alla realizzazione delle opere [78] (sent. n. 33).

 

 

8. Potestà esclusiva statale

 

8.1. Art. 33 Cost.

 

In virtù delle disposizioni costituzionali la Regione non può dettare unilateralmente disposizioni sul personale delle aziende ospedaliero-universitarie, ma deve garantire il principio dell’autonomia delle università e il principio di leale collaborazione tra università e Regione (artt. 33, 117 e 118 Cost) (sentt. nn. 68, 217). La Corte, infatti, già in passato ha già dichiarato l’illegittimità di disposizioni legislative regionali in materia di personale sanitario che, riferendosi anche al personale delle aziende ospedaliero-universitarie, privavano le università della facoltà di procedere alla individuazione della quota di personale di eventuale propria competenza, secondo quanto previsto dall’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 517 del 1999 [79].

Ne deriva che, a prescindere da qualsiasi valutazione sulla legittimità costituzionale delle riserva di posti contemplate da leggi regionali, queste non possono riferirsi anche al personale delle aziende ospedaliero-universitarie, senza prevedere neppure un rinvio a protocolli di intesa tra università ed enti ospedalieri, né alcuna forma d’intesa con il rettore (sent. n. 68); allo stesso modo deve ragionarsi per le disposizioni regionali che prevedano un blocco del turn-over (sent. n. 217).

 

 

8.2. Minoranze linguistiche (art. 6 Cost.)

 

Come già affermato dalla Corte [80], la tutela attiva delle minoranze linguistiche costituisce un principio fondamentale dell’ordinamento costituzionale, ai sensi non solo dell’art. 6 Cost., ma anche di principi supremi che qualificano l’ordinamento vigente [81], in particolare il principio pluralistico e il principio di eguaglianza di cui agli artt. 2 e 3 Cost. [82] (sent. n. 88).

La legge n. 482 del 1999, nondimeno, si riferisce esclusivamente alla “tutela delle minoranze linguistiche storiche”, attribuendo ai loro appartenenti una serie di speciali diritti, i quali necessitano di una disciplina che ne garantisca un ragionevole bilanciamento con l’assetto istituzionale di riferimento e con le situazioni giuridiche soggettive degli altri cittadini (sent. n. 88).

La speciale legislazione di “tutela delle minoranze linguistiche storiche”, però, non esaurisce la disciplina sollecitata dalla notoria presenza di un assai più ricco e variegato pluralismo culturale e linguistico, che va sotto i termini di “lingue regionali ed idiomi locali”. Dunque, se una legge regionale non può procedere a individuare come meritevole di tutela una lingua non riconosciuta come tale dal legislatore statale, essa può dettare disposizioni che, in relazione a una lingua minoritaria, siano inquadrabili nello specifico contesto della tutela dell’“originale patrimonio culturale e linguistico regionale” e delle sue espressioni più significative [83]. Non a caso, sia prima sia dopo la legge n. 482 del 1999, sono state adottate apposite leggi regionali di sostegno dei diversi patrimoni linguistici e culturali delle Regioni, attraverso la costituzione o il sostegno di strutture organizzative a ciò congeniali e per il tramite di variegate forme di finanziamento (sent. n. 88).

In tal senso, legittime appaiono quelle disposizioni regionali che incentivino il ricorso ai dialetti nella “cartellonistica”, cioè quelle rappresentazioni destinate a diffondere determinate informazioni negli ambiti a cui si riferiscono le disposizioni in questione (sent. n. 88).

 

  

8.3. Politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea (lett. a))

 

Come più volte precisato dalla Corte, l’ordinamento italiano riconosce anche allo straniero la titolarità dei diritti fondamentali della persona costituzionalmente riconosciuti [84]. Con particolare attenzione al diritto all’assistenza sanitaria, conformemente alla normativa statale (d.lgs. n. 286 del 1998),  vi è “ un nucleo irriducibile del diritto alla salute”, protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana, il quale impone di impedire la costituzione di situazioni prive di tutela, che possano appunto pregiudicare l’attuazione di quel diritto; esso, perciò, deve essere riconosciuto anche agli stranieri, qualunque sia la loro posizione rispetto alle norme che regolano l’ingresso e il soggiorno nello Stato, pur potendo il legislatore prevedere diverse modalità di esercizio dello stesso [85] (sent. n. 61).

Ciò precisato, al legislatore italiano è certamente consentito dettare norme, non palesemente irragionevoli e non contrastanti con obblighi internazionali, che regolino l’ingresso e la permanenza di extracomunitari in Italia. Inoltre, la legge statale può anche subordinare, non irragionevolmente, l’erogazione di determinate prestazioni, non dirette a rimediare a gravi situazioni di urgenza, alla circostanza che lo straniero abbia un titolo di soggiorno nel territorio dello Stato non episodico e di non breve durata. Tuttavia, una volta che il diritto a soggiornare alle condizioni predette non sia in discussione, non si possono discriminare gli stranieri, stabilendo nei loro confronti particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadini [86]. Ne deriva che le Regioni, nell’esercizio delle proprie competenze, possono prevedere l’equiparazione di cittadini e stranieri al fine di fruire delle prestazioni economiche erogate dalle Regioni stesse (sent. n. 61).

 

 

8.4. Immigrazione (lett. b))

 

Anche nel 2011 la Corte torna sul tema dell’immigrazione, precisando come l’intervento pubblico concernente gli stranieri non possa limitarsi al controllo dell’ingresso e del soggiorno degli stessi sul territorio nazionale, ma debba necessariamente considerare altri ambiti, quali l’assistenza sociale, l’istruzione, la salute, l’abitazione, che coinvolgono molteplici competenze normative, statali e regionali [87]; alle Regioni, invece, resta inibito disciplinare aspetti che attengono alle politiche di programmazione dei flussi di ingresso e di soggiorno nel territorio nazionale [88] (sent. n. 61).

Come si osservava in precedenza, lo straniero è titolare dei diritti fondamentali della persona costituzionalmente riconosciuti. Le Regioni, pertanto, nell’ambito delle rispettive attribuzioni e dotazioni di bilancio, possono adottare i provvedimenti concorrenti al perseguimento dell’obbiettivo di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono il pieno godimento dei diritti e degli interessi riconosciuti agli stranieri nel territorio dello Stato, con particolare riguardo a quelle inerenti all’alloggio, alla lingua, all’integrazione sociale, nel rispetto dei diritti fondamentali della persona umana [89]. Norme che possono ritenersi applicabili anche in favore degli stranieri non in regola con il permesso di soggiorno, poiché, avendo di mira esclusivamente la tutela di diritti fondamentali, non incidono sulla politica di regolamentazione dell’immigrazione ovvero sulla posizione giuridica dello straniero presente nel territorio nazionale o regionale o sullo status dei beneficiari (sent. n. 61) [90].

Per quanto concerne i profili attinenti al bisogno alloggiativo, in particolare, si versa nell’ambito materiale dell’assistenza e dei servizi sociali, spettante alla competenza legislativa residuale della Regione; il che consente a quest’ultima di adottare una normativa tesa a estendere l’accessibilità al diritto sociale in questione, che la Corte ha ritenuto riconducibile fra i diritti inviolabili dell’uomo di cui all’art. 2 della Costituzione [91] (sent. n. 61).

 

 

8.5. Tutela della concorrenza; sistema tributario e contabile dello  Stato (lett. e))

 

8.5.1. Tutela della concorrenza

 

Sempre piuttosto nutrita è la giurisprudenza sulla tutela della concorrenza, competenza statale, posta a ulteriore presidio della libertà d’iniziativa e economica garantita dall’art. 41 Cost. (sent. n. 67). Tale materia non ha solo un ambito oggettivamente individuabile, che attiene alle misure legislative di tutela in senso proprio, quali, ad esempio, quelle che hanno a oggetto gli atti e i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull’assetto concorrenziale dei mercati e ne disciplinano le modalità di controllo; infatti, dato il suo carattere “finalistico”, essa assume una portata più generale e trasversale, non preventivamente delimitabile, che deve essere valutata in concreto al momento dell’esercizio della potestà legislativa sia dello Stato sia delle Regioni nelle materie di loro rispettiva competenza (sent. n. 150). Ciò non toglie, tuttavia, che le Regioni, nei settori di loro competenza, possano dettare discipline con effetti “pro-concorrenziali”, purché gli stessi siano indiretti e marginali e non si pongano in contrasto con gli obiettivi posti dalle norme statali che tutelano e promuovono la concorrenza; in caso contrario, infatti, il carattere trasversale e potenzialmente omnicomprensivo della materia finirebbe con lo svuotare del tutto le nuove competenze regionali attribuite dal legislatore costituente  (sentt. nn. 43, 150, 339) [92].

In sede di scrutinio di costituzionalità, pertanto, occorre verificare se le norme adottate dallo Stato siano essenzialmente finalizzate a garantire la concorrenza fra i diversi soggetti del mercato, allo scopo di accertarne la coerenza rispetto all’obiettivo di assicurare un mercato aperto e in libera concorrenza [93]. Non possono ricondursi alla tutela della concorrenza, invece, quelle misure statali che non intendono incidere sull’assetto concorrenziale dei mercati o che addirittura lo riducono o lo eliminano. In definitiva, è necessario un esame contenutistico sia per ciò che costituisce il portato dell’esercizio della competenza legislativa esclusiva da parte dello Stato, sia per ciò che riguarda l’esplicazione della potestà legislativa regionale (sent. n. 150).

La disciplina concernente le modalità di affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica rientra nella potestà esclusiva statale, tenuto conto degli aspetti strutturali e funzionali suoi propri e della sua diretta incidenza sul mercato [94]; dal che deriva l’illegittimità di normative regionali che dettino un regime transitorio, riferito alla cessazione degli affidamenti diretti già in essere, difforme dall’art. 23bis del d.l. n. 112 del 2008 (sent. n. 123).

Tra siffatti servizi di rilevanza economica deve farsi rientrare il servizio idrico integrato, che s’inserisce in uno specifico e peculiare mercato [95]. Va quindi escluso ogni potere degli enti infrastatuali di pervenire a una diversa qualificazione di tale servizio (sent. n. 187); conseguenza è l’illegittimità di norme regionali che prevedano l’affidamento delle concessioni per l’uso di acque pubbliche anche al di fuori delle procedure di gara a evidenza pubblica, prevista dalla normativa statale (sent. n. 339). Anche la disciplina delle Autorità d’ambito territoriale ottimale attiene alla tutela della concorrenza, perché l’individuazione di un’unica Autorità d’ambito consente la razionalizzazione del mercato [96]; interessata, nondimeno, è pure la potestà statale sulla tutela dell’ambiente, perché l’allocazione delle competenze sulla gestione all’Autorità d’ambito territoriale ottimale serve a razionalizzare l’uso delle risorse e le interazioni e gli equilibri fra le diverse componenti della “biosfera”. Ne consegue che lo Stato ha piena facoltà di disporre la soppressione delle Autorità d’ambito, senza che possano essere invocate le competenze regionali in materia di servizi pubblici locali e di organizzazione della cooperazione degli enti locali. Ciò non significa che alle Regioni sia vietato qualsiasi intervento al riguardo; la stessa normativa statale (d.l. n. 2 del 2010, conv. in l . n. 42 del 2010), non a caso, prevede che le Regioni attribuiscano le funzioni già esercitate dalle Autorità d’ambito nel rispetto dei principi di cui all’art. 118 Cost., riservando al legislatore regionale un’ampia sfera di discrezionalità nello scegliere i moduli organizzativi più adeguati a garantire l’efficienza del servizio idrico integrato, nonché le forme di cooperazione fra i diversi enti territoriali interessati (sent. n. 128). Riguardo alle concessioni demaniali idriche, infine, le Regioni non possono sottrarre le stesse all’applicazione del d.lgs. n. 59 del 2010 che, recependo la normativa comunitaria, assicura il corretto e uniforme funzionamento del mercato (sent. n. 235).

Altro settore rilevante è quello dei “lavori pubblici”, che, come ricordato (par. 7), include diversi ambiti di legislazione, che si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono, con un conseguente intreccio fra materie di competenza statale e materie di competenza regionale, non configurandosi né una materia relativa ai lavori pubblici nazionali né, tantomeno, una afferente ai quelli d’interesse regionale (sent. n. 43).

Riguardo alla fase di evidenza pubblica, nondimeno, le competenze esclusive statali, di cui d.lgs. n. 163 del 2006 (cd. Codice degli appalti), prevalgono in ogni aspetto, avendo la finalità di assicurare la concorrenza “per” il mercato [97] (sent. n. 43). La gara pubblica, infatti, costituisce uno strumento indispensabile per tutelare e promuovere la concorrenza [98]. Così, la disciplina delle procedure di gara, la regolamentazione della qualificazione e selezione dei concorrenti, delle procedure di affidamento e dei criteri di aggiudicazione, costituisce espressione della potestà in questione; essa mira, infatti, a garantire che le medesime si svolgano nel rispetto delle regole concorrenziali e dei principi comunitari della libera circolazione delle merci, della libera prestazione dei servizi, della libertà di stabilimento, nonché dei principi costituzionali di trasparenza e parità di trattamento (sent. n. 43).

Ciò detto, non è possibile tracciare una netta linea di demarcazione che faccia unicamente perno sul profilo soggettivo, distinguendo le procedure di gara indette da amministrazioni statali da quelle poste in essere da amministrazioni regionali o sub-regionali, per inferirne che solo le prime sarebbero di spettanza statale, mentre le seconde rientrerebbero nell’ambito della potestà legislativa regionale. La perimetrazione delle sfere materiali di competenza non può, infatti, essere determinata avendo riguardo esclusivamente alla natura del soggetto che indice la gara o al quale è riferibile quel determinato bene o servizio, in quanto occorre fare riferimento, invece, al contenuto delle norme censurate al fine di inquadrarlo negli ambiti materiali indicati dall’art. 117 Cost. [99]. Il legislatore regionale può stabilire, infatti, quali siano i destinatari dei propri precetti nei limiti in cui l’adozione di questi ultimi rientri nell’ambito di specifiche competenze delle Regioni. Queste, dunque, possono regolare quelle fasi procedimentali che afferiscono a materie di propria competenza, nonché gli oggetti della procedura rientranti anch’essi in ambiti materiali di pertinenza regionale [100]; inoltre, in applicazione di quanto ricordato, alle stesse residua la possibilità di dettare discipline con effetti “pro-concorrenziali”. Inoltre, non ledono le prerogative statali le norme regionali meramente programmatiche dettate al fine di regolamentare l’esecuzione di lavori e opere pubbliche (sent. n. 43).

Nel dettaglio, rientra nella competenza statale la previsione di criteri uniformi della progettazione relativa a lavori, servizi e forniture [101]; l’attività di progettazione, infatti, deve svolgersi secondo una precisa articolazione, essendo questa essenziale per assicurare, con il progetto esecutivo, l’eseguibilità dell’opera e indispensabile per rendere certi i tempi e i costi di realizzazione dell’opera stessa [102] (sent. n. 43); anche la presentazione dello studio di fattibilità, pur cadendo in un momento antecedente alla fase dell’evidenza pubblica, costituisce parte integrante di quest’ultima (sent. n. 7). Le Regioni, pertanto, non possono dettare una disciplina che riduca il numero dei partecipanti cui sia rivolto l’invito per l’affidamento degli incarichi di progettazione, di coordinamento della sicurezza in fase di progettazione e di direzione dei lavori (sent. n. 114). La riconduzione dell’attività di progettazione alla competenza esclusiva dello Stato, nondimeno, opera esclusivamente per quanto attiene alla fissazione dei criteri in base ai quali tale attività deve essere svolta, in modo da assicurare in ogni caso la più ampia competitività e la libera circolazione degli operatori economici nel segmento di mercato in questione, ma non si estende fino ad incidere sulla spettanza del concreto svolgimento dell’attività progettuale alle singole amministrazioni aggiudicatrici (sent. n. 43).

Ancora, l’adozione di adeguate misure di pubblicità costituisce un elemento imprescindibile delle procedure di gara, a garanzia della massima conoscenza e della conseguente partecipazione alle stesse [103]; le Regioni, pertanto, non possono fissare forme di pubblicità che siano meno garantiste rispetto a quelle di cui alla normativa statale (sent. n. 114).

Non altera i livelli di tutela della concorrenza fissati dal legislatore statale, invece, l’indicazione dell’“offerta economicamente più vantaggiosa” quale criterio preferenziale per l’affidamento degli incarichi di progettazione, poiché non esclude l’applicazione dell'altro criterio previsto dal Codice degli appalti, cioè quello del “prezzo più basso”, limitandosi a indicare un ordine di priorità nella scelta, superabile con apposita motivazione (sentt. nn. 43, 221) [104]. Non così per la previsione del sistema di esclusione automatica delle offerte anomale, nel caso di applicazione del criterio del prezzo più basso, poiché difforme a quanto previsto dalla normativa statale a fini di tutela della concorrenza [105] (sent. n. 114).

Con particolare riferimento alle gare concernenti il settore energetico, riguardo alla determinazione dei requisiti minimi della rete di trasmissione nazionale e ai parametri di aumento dell’energia prodotta e della potenza installata concernenti la procedura di gara, va riconosciuta la necessità di assicurare un potere specifico degli organi dello Stato, chiamati ad assicurare la concorrenza nel settore economico di riferimento [106]. Tuttavia, date le interferenze su aspetti organizzativi, programmatori e gestori della materia, di competenza concorrente, relativa alla produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, vi è la necessità di un coinvolgimento, sul piano amministrativo, delle Regioni [107] (sent. n. 339). Sempre nel settore delle energie, (vedi infra, par. 9.7), illegittima è l’attribuzione con legge regionale di un’ingiustificata posizione di vantaggio ai soggetti pubblici per l’installazione d’impianti alimentati da fonti rinnovabili; in tal modo, infatti, si crea una distorsione del mercato delle energie in questione, che deve essere, invece, pienamente aperto a tutti gli operatori economici (sent. n. 67) [108].

 

 

8.5.2. Sistema tributario e contabile dello Stato

 
In via di principio, come già affermato dalla Corte, la legge regionale non può prevedere agevolazioni tributarie nella forma del credito di imposta applicabile a tributi erariali [109]. Nondimeno, le agevolazioni in questione possono avere per oggetto, oltre che i tributi propri in senso stretto, cioè istituiti e disciplinati con legge regionale, anche quei tributi statali per i quali, indipendentemente dalla destinazione del gettito, la legge statale consente espressamente alla Regione di disporre agevolazioni, nel rigoroso rispetto dei limiti stabiliti dalla legislazione statale stessa (sent. n. 60).  Va precisato che anche per tali norme di agevolazione tributaria vale la riserva relativa di legge di cui all’art. 23 Cost., perché realizzano un’integrazione degli elementi essenziali del tributo [110]; con la conseguenza che i profili fondamentali della disciplina devono essere regolati direttamente dalla fonte legislativa. Il che non esclude che tali agevolazioni siano concesse dalla Giunta regionale (senza che vengano in rilevo problemi di buon andamento della pubblica amministrazione), purché nei limiti stabiliti annualmente dalla legge finanziaria regionale; quest’ultima, inoltre, non deve limitarsi a fissare i tetti massimi dell’importo delle agevolazioni accordate, ma anche determinare in modo sufficiente le fattispecie di agevolazione, individuandone gli elementi fondamentali, quali i presupposti soggettivi e oggettivi per usufruire del beneficio, nonché i relativi tributi (sent. n. 60).

Rientra nelle competenze dello Stato in materia di ordinamento contabile la possibilità di incidere su somme iscritte in fondi statali provvedendo a una diversa utilizzazione di risorse non impegnate o programmate in un periodo determinato, disponendo la nuova programmazione di esse per il conseguimento degli obiettivi di rilevanza strategica nazionale [111], quale l’esigenza di ridurre il debito pubblico dello Stato (sent. n. 207).

 

 

8.6. Ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali (lett. g))

 

La disciplina statale diretta a revisionare organicamente il settore lirico-sinfonico (d.l. n. 64 del 2010), prendendo le mosse dalla riorganizzazione delle fondazioni a esso preposte, costituisce esercizio della potestà in oggetto, ricorrendo tutte le condizioni richieste dalla giurisprudenza della Corte [112] (sent. n. 153).

Va sottolineato, infatti, che, nonostante l’acquisizione della veste giuridica formale di fondazioni di diritto privato, tali soggetti conservano, pur dopo la loro trasformazione, una marcata impronta pubblicistica [113]. Ciò emerge dalla preminente rilevanza dello Stato nei finanziamenti, nel conseguente assoggettamento al controllo della Corte dei conti, nel patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, nell’inclusione nel novero degli organismi di diritto pubblico soggetti Codice degli appalti; natura pubblica a cui si accompagna il carattere nazionale degli enti in questione. E ciò, soprattutto, perché le finalità delle anzidette fondazioni, ossia la diffusione dell’arte musicale, la formazione professionale dei quadri artistici e l’educazione musicale della collettività, travalicano largamente i confini regionali e si proiettano in una dimensione estesa a tutto il territorio nazionale.

Inoltre, l’assoggettamento alla disciplina del codice civile colloca per questo aspetto residuo le fondazioni in esame, munite di personalità giuridica di diritto privato pur svolgendo funzioni di sicuro rilevo pubblicistico, all’interno dell’ordinamento civile, materia sempre di competenza legislativa esclusiva dello Stato; legittimazione dello Stato a doppio titolo, dunque, coerente con lo scopo di trasmettere i valori civili fondamentali tradizionalmente coltivati dalle più nobili istituzioni teatrali e culturali della Nazione, in ossequio ai principi di cui all’art. 9, primo e secondo comma, Cost., che solo una normativa di sistema degli enti strumentali dettata dallo Stato può contribuire a realizzare adeguatamente. D’altronde, da questo punto di vista, riguardo alle istituzioni di alta cultura, lo Stato può limitare con una propria disciplina, l’autonomia ordinamentale alle stesse riconosciuta (art. 33, comma 6, Cost.).

 

 

8.7. Ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale (lett. h))

 

La giurisprudenza della Corte ha più volte chiarito che la materia della sicurezza riguarda gli interventi finalizzati alla prevenzione dei reati e al mantenimento dell’ordine pubblico, inteso, quest’ultimo, come il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale [114] (sentt. nn. 35, 300). Gli “interessi pubblici primari” rilevanti, nondimeno, sono unicamente gli interessi essenziali al mantenimento di una ordinata convivenza civile; diversamente opinando, invece, si produrrebbe una smisurata dilatazione della nozione di sicurezza e ordine pubblico, tale da porre in crisi la stessa ripartizione costituzionale delle competenze legislative, con l’affermazione di una preminente competenza statale potenzialmente riferibile a ogni tipo di attività. La semplice circostanza che la disciplina normativa attenga a un bene giuridico fondamentale non vale, dunque, di per sé, a escludere la potestà legislativa regionale o provinciale, radicando quella statale (sent. n. 300).

Ciò precisato, illegittima è la previsione con legge regionale di intese di collaborazione nell’attività di pubblica sicurezza tra le amministrazioni locali, anche al di fuori dei rispettivi territori di appartenenza, con comunicazione al prefetto solo nel caso in cui riguardino personale avente la qualità di agente in servizio armato.  La qualificazione dell’attività in questione come di “concorso alla tutela della sicurezza pubblica”, in riferimento alla “salvaguardia della vita delle persone” tramite interventi di prevenzione e repressione, fa sì, infatti, che tale normativa risulti lesiva della competenza legislativa esclusiva statale (sent. n. 35).

Come già affermato dalla Corte, le Regioni possono istituire osservatori o altri organi con funzioni di studio e ricerca par la promozione della legalità e la sicurezza [115]; illegittima, invece, è la creazione di enti che abbiano un ruolo operativo, che ecceda la funzione istruttoria e di studio [116] (sent. n. 325).

Sebbene la disciplina dei giochi leciti rientri nella competenza in esame [117], le misure sulla collocazione nel territorio delle sale da gioco e attrazione e delle apparecchiature da gioco, poste dalle Regioni al fine di tutelare i soggetti ritenuti più vulnerabili, non ledono la potestà esclusiva dello Stato. Si tratta di disposizioni, infatti, che non incidono direttamente sull’individuazione e installazione dei giochi leciti, ma su fattori (quali la prossimità a determinati luoghi e la pubblicità) che potrebbero, da un lato, indurre al gioco un pubblico costituito da soggetti psicologicamente più vulnerabili o immaturi e, quindi, maggiormente esposti alla capacità suggestiva dell’illusione di conseguire, tramite il gioco, vincite e facili guadagni; dall’altro, influire sulla viabilità e sull’inquinamento acustico delle aree interessate (sent. n. 300).

Non lede le competenze statali in materia di circolazione stradale, infine, la ricordata previsione regionale che incentivi l’uso del dialetto nella “cartellonistica” (vedi supra, par. 8.2.); non si tratta, infatti, di rappresentazioni riconducibili alla segnaletica stradale, sebbene possa farsi applicazione delle sanzioni previste dal Codice della strada nel caso in cui detta “cartellonistica” possa pregiudicare o rendere più difficile la percezione della segnaletica stradale (sent. n. 88).

 

 

8.8 Giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa (lett. l))

 

8.8.1. Giurisdizione e norme processuali

 

L’attribuzione allo Stato della potestà esclusiva in materia di giurisdizione penale fa escludere una competenza regionale quanto alla polizia giudiziaria [118]. Illegittima, pertanto, è l’attribuzione da parte delle Regioni della qualifica di agenti e ufficiali di polizia giudiziaria agli addetti alla polizia locale, senza che rilevi il richiamo della legge regionale alla legge statale; il problema, infatti, non è di stabilire se la legislazione regionale sia o meno conforme a quella statale, ma, se possa disporre il riconoscimento delle qualifiche di cui si tratta, indipendentemente dalla conformità o dalla difformità rispetto alla legge dello Stato (sent. n. 35).

 

 

8.8.2. Ordinamento civile

 

Piuttosto vasta la giurisprudenza sull’ordinamento civile.

Riguardo alla materia degli appalti, se la fase dell’evidenza pubblica rientra nell’ambito della tutela della concorrenza (vedi supra, par. 8.5.1), quella negoziale va ascritta all’ordinamento civile; essa, infatti, ha inizio con la stipulazione del contratto, in cui  l’amministrazione si pone in una posizione di tendenziale parità con la controparte, agendo non nell’esercizio di poteri amministrativi, bensì della propria autonomia negoziale [119] (sentt. nn. 43, 53). Ciò non significa, tuttavia, che in relazione a peculiari esigenze di interesse pubblico, non possano residuare in capo alla pubblica amministrazione poteri pubblici riferibili, tra l’altro, a specifici aspetti organizzativi afferenti alla stessa fase esecutiva (sent. n. 43). La previsione di una potestà esclusiva statale si giustifica, anche per tale fase, in virtù dell’esigenza, sottesa al principio costituzionale d’uguaglianza, di garantire l’uniformità di trattamento sul territorio nazionale della fase di conclusione ed esecuzione del contratto d’appalto (sent. n. 43).

Alla luce di tali principi, pertanto, illegittima è la fissazione da parte delle Regioni, di termini diversi da quelli previsti dalla normativa statale per l’applicazione dei “prezzari” scaduti ai progetti già approvati. Allo stesso modo deve ragionarsi per determinazione dei corrispettivi concordata tra il responsabile del procedimento o il dirigente e il professionista incaricato, all’esito della procedure di affidamento diretto dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria (sent. n. 43). Anche la disciplina del collaudo e della verifica di regolarità dell’esecuzione dei contratti di lavori, forniture e servizi rientra nella potestà in esame, la cui procedura, perciò, non può considerarsi derogabile dalle Regioni (sent. n. 53). Così, infine, per l’individuazione del tipo contrattuale da utilizzare per la regolamentazione dei rapporti di lavori, servizi e forniture, che spetta al legislatore statale, ferma restando l’autonomia negoziale delle singole amministrazioni aggiudicatrici; vanno quindi censurate le norme regionali che introducano particolari tipologie contrattuali inerenti all’espletamento dell’attività di manutenzione (sent. n. 43) [120].

Riguardo agli aspetti connessi alla composizione della commissione giudicatrice incaricata di esprimersi nell’ipotesi di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, nonché alle modalità di scelta dei suoi componenti, invece, la disciplina relativa attiene più specificamente alla organizzazione amministrativa degli organismi cui è affidato il compito di procedere alla verifica del possesso dei necessari requisiti, da parte della imprese concorrenti, per aggiudicarsi la gara. Dal che deriva che non può essere esclusa la competenza legislativa regionale nella disciplina di tali aspetti (sent. n. 43) [121].

Nella competenza legislativa statale in materia di ordinamento civile rientrano anche tutte le disposizioni concernenti il rapporto di lavoro subordinato e i rinvii alla contrattazione collettiva, oggetto quest’ultima di una vera e propria riserva a favore dello Stato (sentt. nn. 7, 68, 69, 108, 150). La disciplina della fase costitutiva del contratto di lavoro, così come quella del rapporto che sorge per effetto della conclusione dello stesso, infatti, si realizzano mediante la stipula di un contratto di diritto privato e, pertanto, appartengono alla materia in esame [122] (sent. n. 69).  Così, lede la competenza statale, oltre che i principi in materia di pubblico concorso (vedi infra, par. 10.3.2), una legge regionale che, attraverso il ricorso all’istituto della mobilità, preveda la “ruolizzazione” di personale titolare di contratto o incarico a tempo indeterminato (sent. n. 68). Allo stesso modo deve dirsi per la trasformazione in contratti di lavoro a tempo indeterminato di contratti di lavoro flessibile in corso (sent. n. 69). Anche per i contratti che disciplinano i rapporti di collaborazione per lavoro autonomo vale quanto detto; così, la Regione non può disporre la proroga dei contratti in essere, incidendo sulla disciplina privatistica che vuole che la durata di simili contratti sia predeterminata al momento della stipulazione (sent. n. 170).

Attiene alla materia in esame, dunque, anche il trattamento economico dei dipendenti pubblici il cui rapporto d’impiego sia stato privatizzato, con conseguente disciplina da parte della contrattazione collettiva [123] (sentt. nn. 69, 77, 339). Sono così illegittime norme regionali in tale ambito, anche quando si limitino a recepire il contenuto del contratto collettivo nazionale di lavoro del personale del comparto delle Regioni e delle autonomie locali e a ricalcarne pedissequamente la previsione (sent. n. 7). Inoltre, proprio in virtù della riserva allo Stato della disciplina del rapporto di lavoro contrattualizzato, sono illegittime discipline regionali eccentriche riguardo all’orario di lavoro o ai trattamenti economici (sentt. nn. 7, 108) [124], nonché alle giornate di riposo (sent. n. 150). Discorso analogo può farsi per l’introduzione d’indennità economiche tese a favorire la risoluzione preventiva del rapporto di lavoro con i dipendenti degli enti pubblici regionali (sent. n. 69) [125].

Il regime della proprietà pubblica è aspetto sicuramente compreso nell’ambito dell’ordinamento civile. Così, le Regioni non possono prevedere la cessione a un soggetto privato, nella specie una società patrimoniale d’ambito a capitale pubblico incedibile, di beni demaniali; è il caso del regime proprietario delle infrastrutture idriche, per cui il principio della proprietà pubblica delle reti, concernendo aspetti inerenti il demanio accidentale, non è derogabile dalle Regioni (sent. n. 320).

La potestà in questione ricomprende anche la disciplina degli aspetti dominicali del demanio statale [126], incluso il potere d’imposizione e di riscossione del canone per la concessione di aree del demanio statale, in relazione alla quale è determinante la titolarità del bene e non la titolarità delle funzioni legislative o amministrative delle Regioni in ordine all’utilizzazione dei beni [127]. Spetta dunque allo Stato la fissazione del pedaggio per l’utilizzazione delle autostrade e dei raccordi in gestione diretta, nonché la determinazione dei criteri e delle modalità per la loro applicazione, in ragione della natura e del regime demaniale del bene cui afferisce (sent. n. 208).

La legislazione regionale, inoltre, non può disciplinare le modalità di accesso alla battigia, che fa parte del demanio marittimo e la cui disciplina è riservata alla potestà legislativa esclusiva statale (sent. n. 235) .

Non lede la competenza statale, invece, una norma regionale che, richiamandosi ai principi di eguaglianza e non discriminazione previsti dalla costituzione dai Trattati europei, riconosca a tutti i cittadini di Stati dell’U.E. l’accesso alla fruizione di servizi pubblici in condizioni di parità con i cittadini italiani. La competenza in questione, insieme a quella di cui all’art. 117, comma 2, lett. i), non può dirsi lesa dalla precisazione che i diritti generati dalla legislazione regionale sull’accesso ai servizi siano riconosciuti anche alle forme di convivenza disciplinate dal d.p.r. n. 223 del 1989 (che ricomprende nella famiglia anagrafica anche l’insieme di persone legate da vicoli affettivi); lungi dal disciplinare tali forme di convivenza, infatti, la normativa regionale si limita a indicare l’ambito soggettivo di applicazione della legislazione sull’accesso ai servizi (sent. n. 8).

Non lesiva di attribuzioni statali è anche la previsione regionale di norme programmatiche tese a garantire la non discriminazione nell’erogazione di servizi pubblici, stabilendo anche la conformazione delle sanzioni a tale principio; non s’introduce, infatti, un obbligo a contrarre, né si dispongono direttamente sanzioni (sent. n. 94).

Non rientra nell’ordinamento civile, infine, la previsione della possibilità per i soggetti maggiorenni di designare una persona che abbia accesso alle strutture di ricovero e cura per le ogni esigenza dell’assistito e a cui vengano riferite le comunicazioni sullo stato di salute dello stesso; non si tratta di una disposizione regionale che incide sull’istituto della rappresentanza ma che, anzi, è in linea con quanto già previsto dal cd. “Codice della privacy” (d. lgs. n. 196 del 2003), il quale contempla proprio l’ipotesi dell’indicazione di un incaricato per l’accesso alle informazioni sanitarie (sent. n. 94).

 

 

8.9. Determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (lett. m))

 

Come ormai noto, la competenza in esame “attribuisce al legislatore statale un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di una adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto” [128]. La conseguente incidenza sull'esercizio delle funzioni nelle materie di competenza delle Regioni e delle Province autonome esige che le scelte statali, almeno nelle loro linee generali, siano operate con legge, la quale deve determinare adeguate procedure e precisi atti formali per procedere alle specificazioni e articolazioni ulteriori che si rendano necessarie nei vari settori (sent. n.8). La natura “trasversale” della potestà statale, in tal modo, consente una forte restrizione dell’autonomia legislativa delle Regioni, allo scopo appunto di assicurare un livello uniforme di godimento dei diritti civili e sociali [129] (sent. n. 232). Tale titolo di legittimazione, però, non può essere invocato se non in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione (sent. n. 232) [130], mediante la fissazione di standard strutturali e qualitativi da garantire ai fruitori dei vari servizi [131] (sentt. nn. 9, 232).

Non può farsi riferimento alla potestà in questione, pertanto, proprio perché non sorretta da esigenze di uniformità, rispetto a una scelta legislativa che, prevedendo la possibilità di istituzione di “zone a burocrazia zero” solo in talune parti del territorio statale (il Meridione d’Italia), tende ad avvantaggiare, rispetto alla generalità degli utenti che intendono intraprendere nuove iniziative produttive, quelli che agiscono nelle suddette zone (sent. n. 232).

Aspetti peculiari presenta la disciplina dell’erogazione dei farmaci, la quale rientra senz’altro nei livelli essenziali di assistenza in materia sanitaria (cd. LEA), il cui godimento deve essere assicurato a tutti in condizioni d’eguaglianza sull’intero territorio nazionale [132]; con essa s’intrecciano, nondimeno, altre competenze,  quale l’ordinamento civile, poiché per i prodotti farmaceutici vige un sistema di “prezzo contrattato”, in forza del quale l’eventuale modifica delle quote di spettanza dovute alle aziende farmaceutiche, ai grossisti e ai farmacisti è rimessa all’autonomia contrattuale dei soggetti del ciclo produttivo e distributivo attraverso convergenti manifestazioni di volontà [133]. La normativa statale introdotta dal d.l. n. 78 del 2010 riguardo alla revisione dei criteri di remunerazione della spesa farmaceutica, inoltre, interessa anche ulteriori ambiti materiali, come la tutela della salute e il coordinamento della finanza pubblica. S’impone di verificare, dunque, l’esercizio del titolo di legittimazione statale, tenuto conto che il limite di tale esercizio può essere relativamente mobile e dipendere concretamente dalle scelte legislative operate [134]. Ora, la legislazione statale nell’ambito dei LEA, che pure hanno una generale finalizzazione di tipo egualitario, non esclude che una Regione possa differenziare per il suo territorio il livello di rimborsabilità dei farmaci, purché la eventuale determinazione amministrativa regionale sia preceduta dal procedimento individuato dai diversi interventi normativi succedutisi in materia; interventi alla cui base si è sempre posta l’esigenza di coniugare la necessaria opera di contenimento della spesa farmaceutica con la garanzia che continuino a erogarsi a carico del Servizio sanitario nazionale i farmaci reputati, secondo un apprezzamento tecnico-scientifico, idonei a salvaguardare il diritto alla salute degli assistiti [135]. La legge statale, in conclusione, dato l’intreccio di competenze, in ossequio al principio di leale collaborazione, non può escludere il coinvolgimento delle Regioni nella revisione delle modalità di remunerazione dei farmaci, ché altrimenti si priverebbe la Regione del ricordato potere di differenziare, in via amministrativa, il livello di rimborsabilità degli stessi (sent. n. 330).

 

 

8.10. Norme generali sull’istruzione (lett. n))

Le norme generali in materia di istruzione definiscono la struttura portante del sistema e richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario e uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante un’offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio dell'istruzione, nonché la libertà di istituire scuole e la parità tra le scuole statali e non statali in possesso dei requisiti richiesti dalla legge; esse, dunque, si distinguono dai principi fondamentali della materia di cui alla competenza concorrente sull’istruzione, i quali, nel fissare criteri, obiettivi, direttive o discipline, pur tese ad assicurare l’esistenza di elementi di base comuni sul territorio nazionale in ordine alle modalità di fruizione del servizio dell'istruzione, necessitano per la loro attuazione, dell'intervento del legislatore regionale [136] (sent. n. 92).

In tale contesto, dunque, rientra nella potestà statale, tesa a dare attuazione a disposizioni di ordine generale, la previsione che nel primo ciclo d’istruzione sia perseguito l’obiettivo della qualità ed efficienza del servizio scolastico, nel quadro della qualificazione dell’offerta formativa e nell’ambito di proficue collaborazioni tra l’amministrazione scolastica e i Comuni interessati (sent. n. 92).

 

 

8.11. Previdenza sociale (lett. o)

 

Come più volte affermato dalla Corte, ledono la potestà statale in esame le norme regionali che attribuiscano a un rapporto di lavoro essenzialmente precario una qualificazione di lavoro subordinato, al solo fine di incrementare il trattamento pensionistico dei dipendenti [137] (sent. n. 189).

Non spetta alla Regione disporre un’equiparazione del trattamento previdenziale degli assessori regionali non consiglieri con quello degli assessori che ricoprano la carica di consigliere. Ove tale equiparazione fosse effettuata con legge regionale, infatti, non solo si avrebbe una lesione della competenza legislativa esclusiva dello Stato, ma si determinerebbero difformità nella disciplina del trattamento previdenziale dei dipendenti pubblici da una Regione all’altra (sent. n. 325).

 

 

8.12. Tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e dei beni culturali (lett. s))

 

Come di consueto la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e dei beni culturali costituisce uno dei titoli di legittimazione maggiormente oggetto di scrutinio da parte della Corte.

La materia in questione concerne la fissazione non solo di standard minimi, ma di un’adeguata e non riducibile tutela non derogabile dalle Regioni (sentt. nn. 33, 187) [138]. Tali livelli uniformi, nondimeno, fungono da limite invalicabile per la legislazione regionale, poiché l’esigenza di una valutazione unitaria del sistema “ambiente” non tollera discipline regionali differenziate, che insidiano l’organicità della tutela complessiva già individuata a livello nazionale (sent. n. 67). Neppure qualora vi sia un vuoto di disciplina alle Regioni è consentito regolamentare nel proprio ambito territoriale la materia [139] (sent. n. 70). Limiti che trovano applicazione anche nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, in quanto tale materia non è compresa tra le previsioni statutarie riguardanti le competenze legislative, primarie o concorrenti, regionali o provinciali (sent. n. 151). Alle Regioni, tuttavia, è data la facoltà di adottare norme di tutela più elevate nell'esercizio delle proprie competenze [140] (sentt. mn. 151, 187).

Per giurisprudenza consolidata, la disciplina della V.I.A. (Valutazione d’impatto ambientale), così come quella della V.A.S. (Valutazione ambientale strategica), devono essere ascritte alla tutela dell’ambiente, sebbene siano tra esse distinte non solo normativamente, ma anche concettualmente; infatti, la prima ha ad oggetto la valutazione degli impatti generati da opere specifiche, la seconda gli effetti indotti sull’ambiente dall’attuazione delle previsioni contenute in determinati strumenti di pianificazione e programmazione (sent. n. 227) [141].  La VAS, dunque, interviene nell’ambito di piani o programmi, statali o regionali, che possono afferire a qualsiasi ambito materiale (trasporti, energia, telecomunicazioni, agricoltura, etc.), ma non è riferibile a nessuno di questi; la valutazione, infatti, concerne unicamente profili di compatibilità ambientale e si pone solo come uno strumento conoscitivo e partecipativo nella scelta dell’autorità che propone il piano o programma, al solo fine di assicurare che venga salvaguardato e tutelato l’ambiente [142]. Ne consegue che la VAS si conclude con un giudizio di compatibilità ambientale, individuando in concreto i limiti di tutela ambientale che devono essere rispettati [143] (sent. n. 33). Riguardo alla VIA, invece, le Regioni sono tenute, per un verso, a rispettare i livelli uniformi di tutela apprestati in materia; per l’altro, a mantenere la propria legislazione negli ambiti di competenza fissati dal cd. Codice dell’ambiente (d.lgs. n. 152 del 2006) (sent. n. 227, ord. n. 258). Quanto detto, inoltre, vale in tutti i settori in cui la VIA venga in rilevo; così in ambito energetico, per cui illegittima è l’esclusione con legge regionale degli impianti eolici cd. “sotto-soglia” da valutazione d’impatto ambientale, non riscontrandosi alcuna esclusione nella normativa statale (sent. n. 67). Caso particolare è la cosiddetta “VIA postuma”, cioè l’ipotesi in cui la valutazione di impatto ambientale non fosse necessaria quando è stata rilasciata l’autorizzazione o la concessione per l’esercizio di una attività, ma lo sia divenuta al momento del rinnovo dell’autorizzazione o concessione [144]. Il presupposto di tale prescrizione deve essere cercato nella necessità, emergente dalla giurisprudenza comunitaria, di effettuare un ragionevole bilanciamento tra l’interesse alla tutela ambientale e il mantenimento della localizzazione storica di impianti e attività, il cui azzeramento sarebbe l’effetto possibile di un’applicazione retroattiva degli standard di valutazione divenuti obbligatori in seguito. In tal senso appare ragionevole una normativa regionale che aggiunga, a completamento della valutazione sulle modifiche all’impianto, necessaria e indispensabile nella sua pienezza, una verifica ulteriore anche sulle parti non interessate dalle modifiche stesse, in coerenza con la previsione del periodo precedente, che impone la VIA su tutta l’opera o attività anche nell’ipotesi di rinnovo dell’autorizzazione o concessione. La prospettiva di quest’ultima valutazione, infatti, non è l’eventuale cessazione dell’attività, ma la mitigazione dell’impatto ambientale, tenuto conto dell’effetto combinato del tempo trascorso e delle modifiche apportate. Il ragionevole bilanciamento degli interessi in campo, così, giustifica l’intento di non travolgere e azzerare opere o attività da lungo tempo legittimamente localizzate, senza tuttavia consentire che tale status acquisito possa trasmettersi a interventi di modifica successivi, da assoggettare a VIA (sent. n. 209).

Venendo al “settore energetico”, la disciplina concernente l’energia nucleare rientra in parte nell’ambito della tutela dell’ambiente, come già ricordato (vedi supra, par. 7.2.2). Così, in particolare, per la normativa concernente lo smantellamento di impianti nucleari a fine vita; l’implicazione di prioritarie esigenze di tutela ambientale, infatti, esclude la necessità costituzionale di un coinvolgimento del sistema regionale [145]. Pertanto, la gestione, secondo standard tecnici di sicurezza, dei rifiuti radioattivi e del combustile nucleare, dovendo assicurare un idoneo trattamento delle scorie radioattive, spetta esclusivamente allo Stato; il carattere eminentemente tecnico delle prescrizioni affidate alla competenza dell’Agenzia per la sicurezza nazionale, inoltre, rende palese che non vi sono, nel caso specifico, interessi intestabili alla sfera di autonomia politico-legislativa delle Regioni (sent. n. 33) [146]. Poiché spetta allo Stato la fissazione di quegli standard uniformi prima ricordati, nell’ambito dell’individuazione delle aree per la realizzazione degli impianti solari termodinamici e fotovoltaici, le Regioni non possono derogare alla normativa statale riguardo all’installazione di tali impianti nelle aree protette, prevedendone il divieto in luogo della valutazione d’incidenza (sent. n. 67). Sempre in ambito energetico deve precisarsi che le “risorse geotermiche” costituiscono un bene giuridico multifunzionale, per le diverse utilità che esse esprimono: quella economica, relativa alla produzione di energia, e quella ambientale conseguente al fatto che esse costituiscono una fonte di energia rinnovabile e, quindi, compatibile con la tutela dell’ambiente [147]. La disciplina statale sulla gestione e sull’utilizzazione delle risorse geotermiche, stabilendo il loro inserimento nel piano energetico nazionale, ha dunque lo scopo di ottenere energia rinnovabile e senza inquinamento, conseguenza dell’esercizio da parte dello Stato delle competenze esclusive in materia ambientale, sebbene in concorso con le competenze in materia di energia. Tali norme, inoltre, hanno certamente il valore di una “riforma economico-sociale” di rilevante importanza e, pertanto, debbono essere osservate anche dalle Regioni a statuto speciale e dalle Province autonome (sent. n. 112).

Anche la disciplina dei rifiuti rientra tra gli aspetti di tutela ambientale, come più volte sottolineato dalla Corte [148] (sentt. nn. 69, 187). Dunque, spetta alla sola normativa statale, che attua tra l’altro direttive comunitarie, la definizione di ciò che deve considerarsi “rifiuto”, senza che rilevi il luogo di produzione del rifiuto, prescindendosi quindi dalla eventuale connessione con competenze regionali (sentt. nn. 187, 244) [149]. In ordine alla disciplina dei rifiuti, pertanto, non sono ammesse iniziative delle Regioni tese a regolamentare nel proprio ambito territoriale la materia [150], ponendosi la normativa statale come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza [151] (sent. n. 187). Le Regioni, quindi, non possono determinare uno slittamento temporale dell’effettivo passaggio delle funzioni amministrative in tema di raccolta e smaltimento dei rifiuti, individuando in modo eccentrico rispetto alla legge statale l’ente pubblico responsabile dell’intera attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti (sent. n. 69) [152]. Allo stesso modo, il legislatore regionale non può fissare dei limiti, riferiti al soggetto produttore dei rifiuti speciali non pericolosi, per la possibilità di smaltimento di questi ultimi nelle discariche ubicate nella Regione, individuando un principio di responsabilità del produttore e di autosmaltimento che appare estraneo alla legislazione statale in materia ambientale [153] (sent. n. 244).

Particolare attenzione presenta il settore delle risorse idriche, in particolare riguardo alla disciplina degli scarichi idrici, come più in generale la tutela delle acque dall’inquinamento [154] (sentt. nn. 44, 187). In tale settore, i margini di intervento che la disciplina nazionale pur rimette alle Regioni sono assai puntuali, non consentendo interventi macroscopicamente in deroga sia alle norme di indirizzo comunitario sull’inquinamento del mare, sia alle finalità perseguite e agli strumenti predisposti dall’azione statale a tutela dell’ambiente (sent. n. 44); sono illegittime, pertanto, discipline regionali che intervengano a dettare strumenti che incidano in senso deteriore sull’ambiente nell’ambito della realizzazione e adeguamenti degli impianti per la depurazione delle acque (sent. n. 187).

Infine, anche le disposizioni che hanno a oggetto la stabilità del suolo e l’equilibrio idrogeologico rientrano  tra le competenze esclusive statali [155] (sentt. nn. 109).

Passando agli aspetti inerenti più propriamente all’ecosistema, va precisata l’illegittimità di leggi regionali che dettino discipline di tutela della fauna in sé per sé, senza legami con l’esercizio della caccia o la disciplina dei parchi naturali; la disciplina statale dei divieti posti a salvaguardia delle specie protette, con le relative deroghe, d’altronde, rientra tra gli standard minimi di tutela ambientale [156] (sent. n. 151).

In materia di aree naturali protette, poi, si riconosce una competenza piena dello Stato, che inerisce alle finalità essenziali della tutela della natura, attraverso la sottoposizione di porzioni di territorio a speciale protezione (sentt. nn. 44, 263) [157]. La legge quadro in materia di aree protette (l. n. 394 del 1991), pertanto, pur essendo stata introdotta prima della riforma del Titolo V, assume la veste di disciplina recante standard minimi e uniformi in materia, mentre alle Regioni residua la possibilità di determinare, nell’ambito delle proprie competenze, livelli ulteriori di tutela (sentt. nn. 44, 263, 325) [158]. Il territorio dei parchi, siano essi nazionali o regionali, quindi, ben può essere oggetto di regolamentazione da parte della Regione, in materie riconducibili ai commi terzo e quarto dell’art. 117 Cost., purché in linea con il nucleo minimo di salvaguardia del patrimonio naturale, da ritenersi vincolante per le Regioni [159] (sent. n. 44). La disciplina delle aree protette si estrinseca non solo nelle limitazioni all’esercizio della caccia [160], nella quale, indubbiamente, rientra l’addestramento dei cani da caccia [161], ma anche nella predisposizione di strumenti programmatici e gestionali per la valutazione di rispondenza delle attività svolte nei parchi, alle esigenze di protezione della flora e della fauna [162] (sentt. nn. 44, 263); tra questi rientra la delimitazione delle aree contigue a quelle protette, la quale non può essere disciplinata dalle Regioni senza prevedere l’intesa tra le stesse e l’organismo di gestione dell’area protetta [163] (sent n. 263). Le Regioni, inoltre, non possono estendere anche ai soggetti non residenti nei Comuni dell’area protetta l’esercizio dell’attività venatoria, tassativamente vietata dalla normativa statale [164] (sent. n. 263). Lo svolgimento di attività che, pur riconducibili alle esigenze di sviluppo economico del territorio, determinano un particolare afflusso di persone e di animali nel territorio del parco, va rimesso alla regolamentazione tecnica dell’ente preposto all’area protetta, secondo un procedimento in cui è pure richiesta la cooperazione delle Regioni e degli enti locali [165]. La creazione delle aree cinofile rimessa direttamente ai Comuni, con la cooperazione solo eventuale degli organi del parco, quindi, è illegittima [166]; il regolamento dei parchi regionali, infatti, è sì adottabile con legge regionale, ma in conformità a determinati principi, tra cui rientrano i divieti che la legge statale enuclea come condizioni essenziali per l’esistenza stessa di aree di particolare conservazione della natura, nonché la titolarità, nella promozione di iniziative atte a favorire la crescita economica, sociale e culturale delle comunità residenti, dell’organo di gestione del parco, in coordinamento con quelle delle Regioni e degli enti locali (sent. n. 44). La riserva allo Stato in materia, inoltre, rende illegittimo il conferimento con legge regionale di un potere regolamentare in capo al Consiglio regionale in materia di parchi, data la previsione di cui alla normativa statale che attribuisce tale potere all’Ente Parco (sent. n. 70). La legge regionale, infine, non può prevedere il transito di mezzi motorizzati al di fuori dei limiti fissati dagli standard minimi nazionali, che, tra l’altro, attribuiscono al regolamento dal parco tali aspetti (sent. n. 325).

Riguardo alla disciplina della caccia, per giurisprudenza costante della Corte, la delimitazione del periodo entro il quale è consentito l’esercizio venatorio è ascrivibile al novero delle misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili, rientrando dunque nella materia della tutela dell’ambiente, vincolante per il legislatore regionale [167]. Tale disciplina ha ad oggetto, oltre che l’individuazione dei periodi dell’anno in cui la caccia è consentita, anche i limiti orari nei quali quotidianamente detta attività è lecitamente svolta in relazione a determinate specie cacciabili; con conseguente illegittimità di misure regionali che estendano tali limiti (sent. n. 191). Inoltre, nella predisposizione del calendario venatorio, le Regioni non possono prescindere dal parere dell’ISPRA, costituendo la sua necessità uno standard uniforme di tutela ambientale (sent. n. 310).

Ancora, l’abbattimento di determinate specie per motivi biologico sanitari, anche in adempimento a obblighi comunitari, va effettuato previo parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica, con l’illegittimità di normative regionali difformi (sent. n. 151).

Costituisce standard uniforme di tutela dell’ecosistema, infine, anche il limite fissato dalla legge statale per la raccolta dei funghi epigei (sent. n. 151).

Da ultimo, all’interno della tutela dell’ambiente si colloca anche la “tutela del paesaggio” [168], il quale costituisce, ai sensi dell’art. 9 Cost., un valore costituzionale in sé e per sé [169]. Con il termine “paesaggio” s’intende “la rappresentazione materiale e visibile della Patria, coi suoi caratteri fisici particolari, con le sue montagne, le sue foreste, le sue pianure, i suoi fiumi, le sue rive, con gli aspetti molteplici e vari del suo suolo, quali si sono formati e son pervenuti a noi attraverso la lenta successione dei secoli” (sent. n. 309). Dunque, la legislazione regionale non può prevedere una procedura per l’autorizzazione paesaggistica diversa da quella dettata dalla legislazione statale, perché alle Regioni non è consentito introdurre deroghe agli istituti di protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme valevole su tutto il territorio nazionale nel cui ambito deve essere annoverata l’autorizzazione paesaggistica di cui al cd. “Codice del paesaggio” (d.lgs. n. 42 del 2004) [170].

 

 

9. Potestà concorrente

 

 

9.1. Istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e formazione professionale

 

Come precisato dalla Corte [171], l’ambito della legislazione regionale in materia comprende essenzialmente la programmazione delle rete scolastica, competenza che già l'art. 138 del d.lgs. n. 112 del 1998 aveva delegato alle Regioni. Spetta a queste ultime, pertanto, la disciplina di situazioni legate a valutazioni coinvolgenti le specifiche realtà territoriali delle Regioni, anche sotto il profilo socio-economico, quali appunto il settore del dimensionamento sul territorio della rete scolastica, tra cui rientra l’istituzione di nuove scuole o di nuove sezioni nelle scuole d’infanzia già esistenti, senza che vengano in rilevo, tra l’altro, aspetti che ridondino sulla didattica (sent. n. 92).

Ne deriva, inoltre, l’illegittimità d’interventi statali che incidano sulla disciplina della chiusura o dell'accorpamento degli istituti scolastici nei piccoli Comuni, costituendo quest’ultimo un ambito di sicura competenza regionale proprio perché strettamente legato alle singole realtà locali, il cui apprezzamento è demandato agli organi regionali; così, di competenza delle Regioni sono le misure finalizzate alla riduzione del disagio degli utenti in caso di tali chiusure o accorpamenti, in connessione, tra l’altro, con la potestà regionale in materia di servizi sociali (sent. n. 92).

 

 

9.2. Professioni

 

Poche le novità riguardo alla materia delle professioni.

Come più volte ribadito dalla Corte, quale che sia il settore in cui una determinata professione si esplichi, la determinazione dei principi fondamentali della relativa disciplina spetta sempre allo Stato, venendo in rilievo la sola prioritaria attinenza dell’intervento legislativo al campo delle professioni [172] (sent. n. 230).

L'individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, dunque, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato (sentt. nn. 77, 230) [173]; la legge regionale, così, non può creare nuove professioni, né introdurre diversificazioni in seno all’unica figura professionale disciplinata dalla legge dello Stato [174], né, infine, assegnare tali compiti all’amministrazione regionale, in particolare alla Giunta [175] (sent. n. 230). Infatti, la potestà legislativa regionale si esercita sulle professioni individuate e definite dalla normativa statale di principio, che si configura quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale [176] (sent. n. 230).

Di conseguenza, l'istituzione di un registro o albo professionale e la previsione delle condizioni per la iscrizione in esso, poiché hanno una funzione selettiva e individuatrice della professione, sono inibite alla fonte regionale [177], che può al più dettare disposizioni con una funzione meramente ricognitiva o di comunicazione e di aggiornamento di professioni già riconosciute dalla legge statale [178]. Ne risulta che alle Regioni residua solo la possibilità di disciplinare quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale [179] (sent. n. 230).

In base a tali affermazioni è illegittima una normativa regionale che, disciplinando organicamente le attività sportive e ricreative, provveda all’istituzione di figure professionali nuove o preveda specifici albi e percorsi professionali diversi dalla normativa statale (sent. n. 230).

 

 

9.3. Ricerca scientifica

 

Riguardo al riparto di competenze tra Stato e Regioni in tale materia, la Corte ha già in passato avuto modo di sottolineare che, se è indubbio che spetta allo Stato la determinazione dei programmi della ricerca scientifica a livello nazionale e internazionale, non è da escludere che le Regioni possano comunque svolgere autonomamente una propria attività sui singoli progetti dei quali ogni Regione abbia assunto, specificamente, la responsabilità della realizzazione [180] (sent. n. 122).

Tuttavia, lo sviluppo della cultura (art. 9 Cost.) giustifica un intervento dello Stato “anche al di là del riparto di competenze per materia tra Stato e Regioni di cui all’art. 117 Cost.” [181]; inoltre, un valore costituzionalmente protetto come la ricerca scientifica (artt. 9 e 33 Cost.), in grado di rilevare a prescindere da ambiti di competenze rigorosamente delimitati, rende ammissibile un intervento “autonomo” statale, non solo in relazione alla disciplina delle istituzioni di alta cultura, università e accademie, ma anche su una materia di competenza concorrente, come, appunto, l’attività di ricerca scientifica [182] (sent. n. 153).

Nell’ambito della ricerca sperimentale scientifica, oltre che in quello della tutela dell’igiene e sanità, vengono a operare gli Istituti zooprofilattici sperimentali, tale le cui finalità rientra, appunto, la protezione e tutela degli animali impiegati a fini scientifici e sperimentali [183]. Riguardo agli IZS, dunque, la normativa statale, già prima della novella del Titolo V, Parte II, Cost., prevedeva una “equilibrata distribuzione di competenze tra Stato e Regioni” (sent. n. 122), attribuendo a queste ultime il compito di definire, attraverso il piano sanitario regionale, gli obiettivi e l’indirizzo per l’attività degli istituti [184]. Le Regioni, di conseguenza, possono attribuire agli IZS ulteriori compiti e funzioni di interesse regionale, in virtù delle attribuzioni a esse affidate di disciplinare le modalità gestionali, organizzative e di funzionamento degli IZS, nonché di esercitare funzioni di vigilanza amministrativa, di indirizzo e di verifica. Conforme alla normativa statale, pertanto, è l’indicazione del Consiglio di amministrazione quale organo d’indirizzo e controllo dell’IZS, dovendosi interpretare la funzione di controllo come equivalente a quella di verifica dell’attività prevista dalla legge statale. Alle Regioni, invece, è inibita la possibilità di individuare modalità ulteriori, rispetto a quanto previsto dalla legge statale, per il finanziamento degli IZS, con mezzi facenti parte del bilancio dello Stato, in violazione dei principi di coordinamento finanziario (sent. n. 122).

 

 

9.4. Tutela della salute

 

Nella materia della tutela della salute, le pronunce di maggior interesse hanno riguardato l’organizzazione del servizio farmaceutico, ascrivibile a tale competenza, in continuità  con il regime anteriore alla modifica del titolo V della parte seconda della Costituzione [185] (sentt. nn. 8, 150, 330). Secondo il costante orientamento della Corte, infatti, la complessa regolamentazione pubblicistica dell’attività economica di rivendita dei farmaci mira ad assicurare e controllare l’accesso dei cittadini ai prodotti medicinali e, in tal senso, a garantire la tutela del fondamentale diritto alla salute, restando solo marginale, sotto questo profilo, sia il carattere professionale, sia l’indubbia natura commerciale dell’attività del farmacista. Le Regioni, dunque, in attuazione della legislazione statale sulla vendita dei farmaci da banco, possono stabilire limiti di superficie minima per l’apposito reparto degli esercizi commerciali destinato allo svolgimento di tale attività (sent. n. 150). In tale settore competono allo Stato le responsabilità, attraverso gli organi tecnico-scientifici della sanità, con riguardo alla sperimentazione e alla certificazione d’efficacia, e di non nocività, delle sostanze farmaceutiche e del loro impiego terapeutico a tutela della salute pubblica [186]. Inoltre, al fine di assicurare la protezione della salute pubblica, un intervento sul merito delle scelte terapeutiche in relazione alla loro appropriatezza non può fondarsi su valutazioni di pura discrezionalità politica dello stesso legislatore, ma deve prevedere l’elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi a ciò deputati [187] (sent. n. 8). Ora, il legislatore statale è più volte intervenuto per individuare i principi fondamentali volti a regolare le modalità e i criteri in base ai quali è ammesso l’uso dei farmaci al di fuori delle indicazioni per le quali è stata autorizzata la loro immissione in commercio (AIC). In particolare, le disposizioni statali circoscrivono il ricorso ai farmaci cd. off label a condizioni eccezionali e a ipotesi specificamente individuate; ne deriva l’illegittimità di norme regionali che introducano una disciplina generalizzata in ordine all’indicato utilizzo dei farmaci, rimettendo i criteri direttivi alla Commissione regionale del farmaco, eludendo il ruolo che la legislazione statale attribuisce all’Agenzia Italiana del Farmaco nella materia considerata (sent. n. 8).

Come noto, l’organizzazione sanitaria presenta forti connessioni con la materia in esame. Nel dettaglio, anche la delimitazione temporale dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni sanitarie, strumentale alla prestazione del servizio, è espressione della tutela della salute [188]; pertanto, sono illegittime quelle disposizioni regionali che stabiliscano l’accesso e l’inquadramento del personale dirigenziale al di fuori delle procedure selettive pubbliche, in evidente contrasto con la normativa statale di principio, che richiede procedure concorsuali di selezione dei dirigenti (sent. n. 68). Alle Regioni, inoltre, neppure è dato prevedere casi di stipulazione di contratti di lavoro a tempio determinato al di fuori di quanto previsto dai principi fondamentali di cui alla legge statale (sent. n. 77).

 

 

9.5. Governo del territorio

 

Secondo la giurisprudenza della Corte, nella materia in questione, l’ambito cui ricondurre le relative competenze “va ricercato non secondo il criterio dell’elemento materiale, consistente nell’incidenza delle attività in questione sul territorio, bensì attraverso la valutazione dell’elemento funzionale, nel senso della individuazione degli interessi pubblici sottesi allo svolgimento di quelle attività” [189] (sent. n. 208).

Vanno ricondotte nell’ambito della normativa di principio in materia le disposizioni legislative riguardanti i titoli abilitativi per gli interventi edilizi e, in particolare, le disposizioni che definiscono le categorie di interventi, perché è in conformità a queste ultime che è disciplinato il regime dei titoli abilitativi, con riguardo al procedimento e agli oneri, nonché agli abusi e alle relative sanzioni, anche penali [190]. La linea di distinzione tra le ipotesi di nuova costruzione e quelle degli altri interventi edilizi, d’altronde, non può non essere dettata in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, la cui morfologia identifica il paesaggio (vedi supra, par. 8.12). Sul territorio, infatti, si contrappongono due tipi di interessi pubblici diversi: quello alla conservazione del paesaggio, affidato allo Stato, e quello alla fruizione del territorio, affidato anche alle Regioni [191]. Rientra nella competenza legislativa statale, di conseguenza, stabilire la linea di distinzione tra le ipotesi di nuova costruzione e quelle degli altri interventi edilizi; se il legislatore regionale potesse definire a propria discrezione tale linea, infatti, la conseguente difformità normativa che si avrebbe tra le varie Regioni produrrebbe rilevanti ricadute sul paesaggio e sulla sua tutela (sent. n. 309).

 

 

9.6. Grandi reti di trasporto e navigazione

 

Come già chiarito dalla Corte per la materia degli aeroporti con la sentenza n. 51 del 2008, la disposizione costituzionale in questione  riguarda principalmente le infrastrutture e non i loro aspetti gestori e di utilizzazione (sent. n. 208).

 

 

9.7. Produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia

 

In via generale, va sottolineato che nel settore energetico assai frequenti sono le chiamate in sussidiarietà, motivate dall’esigenza di garantire la realizzazione di opere d’interesse strategico per la repubblica (sent. n. 165).

Come già accennato, la legge statale n. 99 del 2009, che, nel definire la strategia energetica nazionale, vi ha significativamente incluso la realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare [192], sulle cui specificità si ci è soffermati in precedenza (vedi supra, par. 7.2.2), costituisce espressione della legislazione di principio della materia in questione (sent. n. 33).

Nel settore delle energie rinnovabili il legislatore statale e la normativa comunitaria manifestano un ampio favor per la massima diffusione delle stesse [193] (sent. n. 192).  Rientra dunque nella potestà legislativa in questione la disciplina dell’insediamento degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, con conseguente vincolo per le Regioni al rispetto dei principi di cui alla legislazione statale [194] (sentt. nn. 44, 192,308); non trascurabile, nondimeno, è la rilevanza che riveste la tutela dell’ambiente e del paesaggio, giacché una forte espansione delle fonti di energia rinnovabili è, di per sé, funzionale alla tutela ambientale, nel suo aspetto di garanzia dall’inquinamento, ma potrebbe incidere negativamente sul paesaggio [195] (sentt. nn. 192, 275, 308). Come già precisato dalla Corte, nelle more dell’approvazione delle linee guida ministeriali d’intesa con la Conferenza Unificata, in ossequio al principio di leale collaborazione, le Regioni non possono porre limiti all’edificabilità degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili su determinate zone del loro territorio (sentt. n. 44, 192, 308) [196]; né alle stesse è possibile sospendere le procedure autorizzative per la realizzazione di impianti siffatti [197] (sent. n. 192). La mancata emanazione delle linee guida nazionali per il corretto inserimento nel paesaggio degli stessi non consente, infatti, alle Regioni di provvedere autonomamente all’individuazione di criteri per il corretto inserimento degli impianti, in virtù del preminente interesse di tutela ambientale e paesaggistica sotteso ai criteri uniformi di cui alle linee guida (sent. n. 67, 192, 308); e, al fine di valutare le normative regionali intervenute su tali aspetti, irrilevante è che tali linee guida siano state successivamente adottate e che le Regioni vi si siano adeguate [198] (sentt. nn. 67, 192, 308). Alla Regione, inoltre, non è data la possibilità di innalzare autonomamente le soglie per cui può procedersi con procedure semplificate (quali la DIA), riservate dalla legislazione alla competenza ministeriale d’intesa con la Conferenza unificata [199] (sentt. nn. 119, 124, 194, 313, 366). L’esigenza di garanzia di un libero mercato nell’ambito delle energie rinnovabili è particolarmente sentita alla luce dei principi di diritto europeo. Così, illegittime sono le misure di compensazione patrimoniale, poiché la costruzione e l’esercizio di impianti per l’energia rinnovabile sono libere attività d’impresa, soggette alla sola autorizzazione amministrativa della Regione. In particolare ciò riguarda quelle discipline regionali che prevedano oneri e condizioni a carico del richiedente l’autorizzazione che si concretizzano in vantaggi economici per la Regione e per gli altri enti locali [200] (sent. n. 310).

Le disposizioni statali attinenti alla durata ed alla programmazione delle concessioni di grande derivazione d’acqua per uso idroelettrico si ascrivono alla materia in esame. Da ciò ne deriva, come già sottolineato dalla Corte [201], l’illegittimità costituzionale di norme statali che rechino precetti specifici e puntuali, quale la proroga automatica di dette concessioni, trattandosi di disposizioni di dettaglio. Né a diverse conclusioni può giungersi nel caso di “cedevolezza” delle disposizioni in questione. A prescindere dall’ammissibilità, dopo la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, delle norme statali “cedevoli” in ambiti devoluti alla potestà legislativa regionale, le misure statali appaiono incoerenti con i principi generali, stabiliti dalla legislazione statale, della temporaneità delle concessioni e dell’apertura alla concorrenza, contrastando con i principi comunitari in materia; infatti, seppure per un periodo temporalmente limitato, esse impediscono l’accesso di altri potenziali operatori economici al mercato, ponendo barriere all’ingresso tali da alterare la concorrenza tra imprenditori [202] (sent. n. 205).

 

 

10. Potestà residuale

 

10.1. Servizi sociali

 

All’interno della materia dei servizi sociali rientra la disciplina dei requisiti soggettivi dei destinatari del sistema integrato dei servizi regionali, concernente la predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti e a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario. In tale settore, nondimeno, le scelte dei beneficiari fatte dalle Regioni possono essere sindacate dalla Corte in base al rispetto del principio di ragionevolezza [203]. Illegittima, pertanto, è la preclusione nella fruizione del sistema integrato dei servizi concernenti provvidenze sociali fornite dalla Regione nei confronti di cittadini extracomunitari in quanto tali, nonché di cittadini europei non residenti da almeno trentasei mesi. Detta esclusione non risulta rispettosa del principio di uguaglianza, in quanto introduce elementi di distinzione arbitrari, non essendovi alcuna ragionevole correlabilità tra quelle condizioni positive di ammissibilità al beneficio e gli altri peculiari requisiti che costituiscono il presupposto di fruibilità di provvidenze;  provvidenze che, per la loro stessa natura, non tollerano distinzioni basate né sulla cittadinanza, né su particolari tipologie di residenza volte a escludere proprio coloro che risultano i soggetti più esposti alle condizioni di bisogno e di disagio che un siffatto sistema di prestazioni e servizi si propone di superare (sent. n. 40).

Come già ricordato, inoltre, rientrano in tale ambito le misure regionali tese a favorire l’accesso dei cittadini stranieri ai servizi sul territorio regionale, ivi compreso quello all’alloggio (sent. n. 61).

 

 

10.2. Comunità montane

 

La Corte ribadisce, ancora una volta, la potestà delle Regioni nella disciplina delle Comunità montane, alle quali va riconosciuta natura giuridica di ente autonomo, seppure non “costituzionalmente necessario”, quale proiezione dei Comuni che vi fanno capo o di Unioni di Comuni, enti locali costituiti fra Comuni montani [204]. Ciò comporta che siano le stesse Regioni a dover provvedere, in base all’art. 119 Cost., al loro finanziamento, salva la possibilità di ricondurre ai principi di coordinamento della finanza pubblica quelle norme dettate per il contenimento della spesa pubblica [205] (sentt. n. 91, 207).

 

 

10.3. Organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali e organizzazione degli uffici regionali

 

10.3.1. Organizzazione amministrativa e art. 97 Cost.: lo spoils system regionale

 

In piena continuità con la giurisprudenza precedente, da ritenersi ormai consolidata, sono le pronunce in materia di spoils system [206]. In particolare vengono nuovamente censurati i meccanismi di decadenza automatica per i direttori generali e amministrativi delle Asl. Si tratta, infatti, di casi in cui i rapporti con l’organo politico risultano mediati da strutture dipendenti dalla Giunta e per la cui nomina è necessario il possesso di specifici requisiti di competenza e professionalità; non sussiste, pertanto, un rapporto di stretta simmetria tra le modalità di conferimento dell’incarico dirigenziale e le cause di cessazione dello stesso, poiché la scelta fiduciaria non implica che l’interruzione del rapporto possa avvenire con il medesimo margine di apprezzamento discrezionale. Vengono in rilievo, inoltre, altri profili, concernenti l’espletamento con continuità delle funzioni dirigenziali, non consentendosi alcuna valutazione qualitativa dell’operato del direttore amministrativo effettuata con le garanzie del giusto procedimento. Disposizioni siffatte, dunque, determinando una sorta di “discontinuità della gestione” e, introducendo elementi di parzialità nell’azione ammnistrativa, sono in palese contrasto con l’art. 97 della Costituzione [207]; inoltre, sottraendo al soggetto dichiarato decaduto dall’incarico le garanzie del giusto procedimento e svincolando la rimozione del dirigente dall’accertamento oggettivo dei risultati conseguiti ledono anche il principio del giusto procedimento, quelli di efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa, nonché il diritto alla tutela giudiziaria delle situazioni soggettive dell’interessato inerenti alla carica (sent. n. 228).

 

 

10.3.2. Organizzazione regionale e principio del concorso pubblico

 

Nell’ambito dell’organizzazione regionale, in particolare degli uffici regionali, rientra anche la normativa regionale in materia di pubblico impiego, per cui è consolidata l’applicazione alle amministrazioni regionali del principio del pubblico concorso (artt. 51 e 97 Cost.), pur non potendosi ritenere che sussista un’attribuzione costituzionale dello Stato a definire preventivamente le deroghe ammissibili al principio del concorso pubblico (sent. n. 156).

Tali deroghe devono essere finalizzate a valorizzare le esperienze professionali già maturate e, seppure previste espressamente dallo stesso art. 97, comma 3, Cost., devono essere delimitate in modo rigoroso e giustificate da  peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico funzionali alle esigenze di buon andamento dell’amministrazione [208] (sentt. nn. 42, 52, 67, 68, 310, 310); a tal fine, non può ritenersi sufficiente l’aver prestato attività a tempo determinato presso l’amministrazione [209], né basta la personale aspettativa degli aspiranti a una misura di stabilizzazione [210] (sentt. nn. 42, 52). Occorrono, invece, particolari ragioni giustificatrici, ricollegabili alla peculiarità delle funzioni che il personale da reclutare è chiamato a svolgere, in particolare relativamente all’esigenza di consolidare specifiche esperienze professionali maturate all’interno dell’amministrazione e non acquisibili all’esterno (sentt. nn. 42, 67, 189, 299).

La natura comparativa e aperta della procedura, dunque, è elemento essenziale del concorso pubblico, mentre procedure selettive riservate violano il “carattere pubblico” del concorso e, conseguentemente, i principi d’imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione che esso assicura (sentt. nn. 7, 42, 108, 123, 299) [211]. Ne deriva che, pure quando siano ammissibili procedure non concorsuali, queste possono aversi solo previa la fissazione di adeguati criteri selettivi volti a garantire la necessaria professionalità degli assunti e un equilibrato rapporto con il personale selezionato mediante concorso pubblico (sentt. nn. 68, 108, 123, 310), stabilendo delle percentuali rigorose entro le quali è consentito, all’ente pubblico, il ricorso a selezioni interne (sentt. nn. 7, 108, 123, 189) [212]. Inoltre, il previo superamento di una qualsiasi “selezione pubblica” è un requisito troppo generico per autorizzare una successiva stabilizzazione senza concorso, non garantendo che la previa selezione abbia natura concorsuale e sia riferita alla tipologia e al livello delle funzioni che il personale successivamente stabilizzato è chiamato a svolgere [213] (sent. n. 127). Tali principi valgono anche per le procedure riservate a soggetti estranei alla pubblica amministrazione o al personale dipendente da enti di diritto privato (sent. n. 299).
Non si dimentichi, poi, che i limiti alle misure di stabilizzazione sono spesso posti da norme statali quali principi di coordinamento finanziario (vedi infra, par. 11.2).

Va precisato che al principio del concorso pubblico deve riconoscersi un ambito di applicazione ampio, includendo anche la progressione nei pubblici uffici, che deve avvenire anche previa rideterminazione della dotazione organica complessiva [214], con conseguente incostituzionalità delle ipotesi di  reinquadramento nella qualifica superiore di personale senza una specifica verifica attitudinale in relazione alla qualifica e alle funzioni da conferire (sentt. nn. 7, 108). E’ il caso anche delle riserve integrali di posti per il personale assunto con incarico a tempo determinato (sentt. nn. 42, 52, 108, 123), della previsione di progressione verticale in base ai risultati di un concorso già espletato (sent. n. 108), dell’automatico e generalizzato slittamento di soggetti specificamente individuati verso la qualifica dirigenziale, di cui deve essere dichiarata l’illegittimità [215] (sent. n. 68). Così, ancora, per la trasformazione di rapporti non di ruolo in rapporti di ruolo (sentt. nn. 52, 68) [216]; infatti, l’estensione del regime giuridico proprio dell’impiego di ruolo a coloro che erano, precedentemente all’inquadramento, legati con l’amministrazione da un rapporto di diritto privato, nonché l’equiparazione a tutti gli effetti del servizio reso in tale veste a quello prestato nell’ambito di un rapporto di pubblico impiego, risulta in contrasto con il principio di imparzialità, risolvendosi in un ingiustificato privilegio rispetto alla posizione di coloro che siano stati assunti dall’origine a seguito di regolare concorso pubblico (sent. n. 52). Da ultimo, viola l’art. 97 Cost. anche la previsione con legge regionale dell’obbligo di assunzione a tempo indeterminato, in luogo del mero mantenimento in servizio, del personale utilizzato da precedente impresa o società affidataria di un appalto, da parte del nuovo appaltatore; in casi siffatti, infatti, difettano i criteri di trasparenza, pubblicità e imparzialità per il reclutamento di personale delle società a partecipazione pubblica totale o di controllo (sent. n. 68).

Anche le norme regionali dirette a disciplinare la possibilità di ricorrere a contratti a tempo determinato sono inquadrabili nella materia dell’organizzazione degli uffici regionali [217] (sent. n. 7). In tali casi, tuttavia, la temporaneità dell’incarico può giustificare deroghe al principio del pubblico concorso. Così, per gli incarichi di collaborazione con organi elettivi e politici, richiedenti un particolare rapporto di fiducia con il personale scelto, le Regioni possono derogare ai criteri statali di cui al d.lgs. n. 165 del 2001, prevedendo, in alternativa, altri criteri di valutazione ugualmente idonei a garantire la competenza e la professionalità dei soggetti di cui si avvale e sempre che non ne sia prevista la successiva stabilizzazione [218]; è il caso, ad esempio, della valutazione di competenze derivanti da pregresse esperienze istituzionali e politiche, di professionalità maturate in incarichi di responsabilità o consulenza, in uffici pubblici o, per le segreterie particolari, di pregresse esperienze pluriennali (sent. n. 7).

 

 

10.3.3. Organizzazione amministrativa ed evidenza pubblica

 

In materia di realizzazione di opere pubbliche, affinché operi detta competenza è necessario che le norme regionali disciplinino aspetti attinenti specificamente all’organizzazione interna degli apparati amministrativi e tecnici regionali, deputati a svolgere funzioni inerenti alla stipulazione dei contratti o alla realizzazione delle opere (sent. n. 53). Così, rientra nella potestà regionale in esame anche la regolamentazione delle modalità organizzative dell’attività del responsabile unico del procedimento, anche riguardo alle procedure di gara, senza che possano ritenersi di per sé lese attribuzioni statali (sent. n. 43). Discorso analogo può farsi per la disciplina degli emolumenti accessori da destinare ai soggetti che, all’interno dell’amministrazione appaltante, collaborano all’attività di progettazione e alle attività tecnico-amministrative connesse, che non può ritenersi afferente alla determinazione dei criteri di progettazione, di competenza esclusiva dello Stato (vedi supra, par. 8.5.1) (sent. n. 43).

 

 

10.4. Commercio

 

Altra potestà residuale già individuata dalla Corte è quella del commercio [219]. La legislazione statale di cui al d.lgs. n. 114 del 1998, pertanto, si applica alle Regioni soltanto sino all’adozione di proprie normative in materia [220] (sentt. nn. 247, 288).

In particolare, rientra nella materia in questione la disciplina degli orari e della chiusura domenicale degli esercizi commerciali [221], come confermato, d’altronde, anche dal d.l. n. 233 del 2006; ivi, nel dettare le regole di tutela della concorrenza nel settore della distribuzione commerciale, non vi si ricomprende la disciplina degli orari e della chiusura domenicale o festiva nell’elenco degli ambiti normativi per i quali espressamente esclude che lo svolgimento di attività commerciali possa incontrare limiti e prescrizioni. Il limite alla legge regionale, semmai, sta nella necessità di non recare un vulnus alla tutela della concorrenza. In base a tali principi, pertanto, risulta legittima una normativa regionale che introduca un regime di liberalizzazione riguardo all’apertura domenicale degli esercizi commerciali di vendita al dettaglio; tale normativa ha, infatti, effetti pro-concorrenziali, sia pure marginali e indiretti [222] (sent. n. 150).

 

 

10.5. Caccia

 

Rientra tra le materie di potestà residuale delle Regioni anche la disciplina della caccia, benché lo Stato trovi ampi spazi d’azione per tutti quegli aspetti riconducibili alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (vedi supra par. 8.11); la competenza regionale, pertanto, riguarda solo gli aspetti strettamente attinenti all’attività venatoria [223], quali, ad esempio, le modalità di annotazione dei capi abbattuti sul tesserino di caccia (sent. n. 227).

 

 

11. Potere regolamentare

 

Il sesto comma dell’art. 117 Cost., attribuisce allo Stato la potestà regolamentare soltanto nelle materie di sua competenza esclusiva. Nell’ambito della potestà ripartita, pertanto, deve escludersi la possibilità per lo Stato d’intervenire, al fine di dettare i principi fondamentali della materia, con regolamenti, sebbene del tipo dei regolamenti di delegificazione (sent. n. 92).

 

 

12. Autonomia finanziaria.

 

12.1. Art. 119 Cost.

 

Punto fermo della giurisprudenza costituzionale sull’art. 119 Cost. è il divieto per il legislatore statale di prevedere, in materie di competenza regionale residuale o concorrente, nuovi finanziamenti a destinazione vincolata, anche a favore di soggetti privati [224]; con la precisazione, tuttavia, che l’istituzione di un fondo con vincolo di destinazione non deve necessariamente identificarsi con una delle materie espressamente elencate nel secondo comma dell’art. 117 Cost., ma può essere anche conseguenza della “chiamata in sussidiarietà” da parte dello Stato [225] (sent. n. 79). 

Inoltre, in materia d’interventi di spesa, ai sensi dell’art. 81 Cost. anche le leggi regionali recanti nuove spese devono recare l’apposita indicazione dei relativi mezzi di copertura (sentt. nn. 68, 106) [226]; copertura che deve essere credibile, sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, nonché in equilibrato rapporto con la spesa che si intende effettuare in esercizi futuri (sentt. nn. 68, 106, 272) [227]. Né il legislatore regionale può sottrarsi a quella fondamentale esigenza di chiarezza e solidità del bilancio cui l’art. 81 Cost. si ispira [228] (sent. n. 106). L’indicazione della copertura è richiesta anche quando alle nuove o maggiori spese possa farsi fronte con somme già iscritte nel bilancio, o perché rientrino in un capitolo che abbia capienza per l’aumento di spesa, o perché possano essere fronteggiate con lo “storno” di fondi risultanti dalle eccedenze degli stanziamenti previsti per altri capitoli [229] (sent. n. 272).

 

 

12.2 Armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (art. 117, comma 3, Cost.)

 

Piuttosto ricca, anche nel 2011, la giurisprudenza costituzionale in materia di coordinamento finanziario.

Le Regioni e gli enti locali, come è noto, sono chiamati a concorrere al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, assunti in sede europea per garantire il rispetto del Patto di stabilità e crescita. A tal fine, questi enti sono assoggettati alle regole del cosiddetto “Patto di stabilità interno”, che, da un lato, indicano limiti complessivi di spesa e, dall’altro lato, prevedono sanzioni volte ad assicurarne il rispetto (sent. n. 155). La giurisprudenza della Corte è ormai costante nel ritenere che norme statali che fissano limiti alla spesa di enti pubblici regionali, dunque, sono espressione della finalità di coordinamento finanziario [230] (sent. n. 163); il legislatore statale, pertanto, può legittimamente imporre alle Regioni vincoli alla spesa corrente per assicurare l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obbiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti [231] (sentt. nn. 163, 182).  Questi vincoli, perché possano considerarsi rispettosi dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali, devono riguardare l’entità del disavanzo di parte corrente oppure – ma solo in via transitoria e in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale – la crescita della spesa corrente. Infatti, la legge statale può stabilire solo un limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa [232] (sent. n. 182).

Il carattere “finalistico” dei principi di coordinamento finanziario, nondimeno, consente di collocare a livello centrale anche i poteri puntuali necessari perché la finalità di coordinamento trovi realizzazione concreta (sentt. nn. 122, 229) [233]. Le misure tese a ridurre la spesa delle pubbliche amministrazioni, dunque, operano nei confronti delle Regioni quali principi di coordinamento finanziario [234] (sent. n. 182); il che vale anche per le Regioni ad autonomia speciale (sent. n. 229) [235]. In tal senso, anche la spesa per il personale, per la sua importanza strategica ai fini dell’attuazione del patto di stabilità interna, costituisce un importante aggregato della spesa di parte corrente, con la conseguenza che le disposizioni relative al suo contenimento assurgono a principio fondamentale della legislazione statale [236] (sentt. nn. 69, 108, 182, 301). Pertanto, rientra in tale categoria di norme la previsione della possibilità di stabilizzazione del personale precario delle amministrazioni limitata al solo personale di qualifica non dirigenziale; con conseguente illegittimità di norme regionali che dispongano in senso contrario (sent. n. 69); così anche per l’introduzione con legge regionale di procedure finalizzate alla progressione di carriera mediante selezione interna (sent. n. 108), nonché per la proroga dei termini per la stabilizzazione di determinate categorie dei lavoratori (sent. n. 310). Anche le ricordate sanzioni che operano nei confronti degli enti che abbiano superato i limiti del patto di stabilità interno, dunque, costituiscono principi di coordinamento della finanza pubblica [237]. E’ il caso della revoca di diritto degli incarichi dirigenziali a personale esterno, dei contratti di lavoro subordinato a tempo determinato e dei contratti di collaborazione per lavoro autonomo, i quali non possono essere oggetto di proroga da parte delle Regioni colpite dalle sanzioni per violazione del Patto (sent. n. 155). Anche il divieto per le pubbliche amministrazioni di erogare compensi per lavoro straordinario senza l’attivazione di sistemi di rilevazione automatica delle presenze, di cui all’art. 3, comma 83, della l. n. 244 del 2007, rientra in quest’ambito; la Regione, pertanto, non può rinviare l’efficacia di detto principio stabilendo proroghe di alcun tipo (sent. n. 325).

Il coordinamento finanziario può richiedere, per la sua stessa natura, anche l’esercizio di poteri di ordine amministrativo, di regolazione tecnica, di rilevazione di dati e di controllo [238] (sent. n. 229). Spetta così allo Stato l’attività ispettiva, perché propedeutica all’esercizio della funzione di coordinamento della finanza pubblica [239]. Le norme concernenti l’individuazione della componente ministeriale del collegio dei revisori degli IZS, in tal modo, s’impongono alle Regioni, con conseguente illegittimità di discipline regionali che non si uniformino a quanto previsto dalla normativa statale (sent. n. 122). Esercizio di coordinamento finanziario è anche la competenza statale a fissare una tempistica uniforme per tutte le Regioni circa la trasmissione di dati attinenti alla verifica del mantenimento dei saldi di finanza pubblica. Tempi non coordinati delle attività di monitoraggio – strumentali allo scopo di definire, per ciascun anno, i termini aggiornati del patto di stabilità – provocherebbero, infatti, difficoltà operative e incompletezza della visione d’insieme, indispensabile perché si consegua l’obiettivo del mantenimento dei saldi di finanza pubblica (sent. n. 229).

Tra i più frequenti principi di coordinamento della finanza pubblica vi sono quelli posti al fine del contenimento della spesa sanitaria [240] (sent. n. 77, 123), la cui attuazione è data principalmente dai programmi operativi di riorganizzazione del servizio sanitario regionale (sent. n. 123). L’esplicita condivisione da parte delle Regioni della assoluta necessità di contenere i disavanzi del settore sanitario, infatti, determina una situazione nella quale l’autonomia legislativa concorrente delle Regioni nel settore della tutela della salute, in particolare nell’ambito della gestione del servizio sanitario, può incontrare limiti alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa  (sent. n. 163). In virtù di quanto prima ricordato, tuttavia, i “tagli”  di voci di spesa sanitaria operati dalla legislazione statale non si applicano in via diretta alle Regioni, alle Province autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale, per i quali costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica, fornendo solo un limite complessivo di spesa (sent. n. 182).

Quanto affermato riguarda anche i “tetti” alla spesa per il personale della sanità [241] (sentt. nn. 68, 182), riguardo a cui lo Stato può fissare limiti e progressive riduzioni di spesa, lasciando le Regioni libere d’individuare i mezzi più idonei [242] (sent. n. 182); illegittime, pertanto, sono le norme regionali che, determinando la costituzione di nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato per i lavoratori incaricati, comportino una revisione della dotazione organica che violi i limiti di spesa fissati dal legislatore statale (sentt. nn. 68).

Anche le norme sui piani di rientro di cui all’art. 1, comma 796, lettera b), della l. n. 296 del 2006, costituiscono principi diretti al contenimento della spesa pubblica sanitaria e, dunque, sono espressione di un correlato principio di coordinamento della finanza pubblica [243] (sent. n. 163). In tal senso si colloca la previsione, per le Regioni sottoposte a Piane di rientro e oggetto di commissariamento, del mantenimento dell’assetto della gestione commissariale previgente ai fini della prosecuzione del piano di rientro stesso; di conseguenza, illegittima è la proroga con legge regionale di tutti i contratti di lavoro precario, nonché degli incarichi dirigenziali, in quanto pregiudicano le misure predisposte dal commissario ad acta riguardo all’attuazione del piano di rientro (sent. n. 77). Illegittimo è pure il ricorso a nuove assunzioni, poiché la normativa sui piani di rientro precisa che gli obiettivi posti dallo stesso debbano essere raggiunti “a legislazione vigente” (sent. n. 77). Così anche l’attribuzione integralmente a carico del fondo sanitario regionale del costo delle prestazioni di riabilitazione (sent. n. 123). Tali aspetti, invece, non sono lesi dalla mera previsione di un piano di riorganizzazione del personale coerente con il riassetto della rete ospedaliera che tenga conto anche della stabilizzazione del personale precario(sent. n. 77).

Anche l’indicazione delle categorie di soggetti esentate dal pagamento della quota di compartecipazione alla spesa sanitaria (cosiddetto “ticket”), costituisce un principio fondamentale della legislazione in materia di tutela della salute, nonché di coordinamento della finanza pubblica. Le Regioni, pertanto, non possono includere tra i soggetti esenti categorie non comprese dalla legislazione statale, specie quando ciò contrasti con quanto disposto dai Piani di rientro (sent. n. 325).

In materia di Comunità montane, è senz’altro vera la circostanza secondo la quale numerose leggi statali hanno disposto nel tempo finanziamenti a favore di tali enti. Le sopravvenute esigenze di contenimento della spesa pubblica nella finanza locale, nondimeno, possono giustificare interventi legislativi di riduzione e razionalizzazione delle erogazioni dello Stato in favore delle Regioni e degli enti locali in tale settore, nel segno di una diversa allocazione delle risorse in vista di un riequilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari [244]; d’altronde, in via di principio non sussiste alcun obbligo dello Stato di procedere al finanziamento di attività rientranti nelle competenze legislative regionali (sent. n. 207). Tuttavia, non può essere ricondotta all’alveo dei principi fondamentali della materia del coordinamento della finanza pubblica, in quanto contiene una disciplina di dettaglio ed autoapplicativa, la legge n. 244 del 2007 nella parte in cui dispone, in via principale e direttamente, la conseguenza, molto incisiva, della soppressione delle comunità che si trovino nelle specifiche e puntuali condizioni previste dalla normativa in questione [245]; la previsione della cessazione dell’esistenza di Comunità montane o dell’automatico scorporo di Comuni dall’ambito delle stesse, infatti, vanifica il contenuto precettivo della legge regionale eventualmente adottata, con violazione del criterio di riparto di competenze e del principio di legalità costituzionale. Ne deriva, dunque, l’illegittimità anche della disciplina attuativa di cui al d.PC.M. 19 novembre 2008 (sent. n. 91).

Da ultimo, si ricordi che, in vigenza del vecchio art. 119 Cost., l’autonomia finanziaria regionale incontrava il vincolo delle “forme e dei limiti stabiliti da leggi della Repubblica”; detto parametro è stato sempre interpretato dalla Corte nel senso che la potestà legislativa tributaria regionale non può essere legittimamente esercitata in mancanza di una previa disposizione di legge statale che definisca, quanto meno, gli elementi essenziali del tributo [246]. In base a tale disposizione, la potestà normativa regionale si configurava, perciò, come meramente attuativa delle leggi statali, con conseguente illegittimità di tributi regionali che non trovassero nella legge statale un’apposita previsione (sent. n. 280).

 

13. Autonomie speciali

 

13.1. Statuti speciali e “clausola di maggior favore”

 

Come ormai noto, l’art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001 (cd. “clausola di maggior favore”) ha la funzione di garantire alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome, in attesa della revisione dei singoli statuti, quegli spazi di maggiore autonomia previsti dalle norme contemplate dal nuovo Titolo V (sent. n. 165).

Per le materie afferenti alla potestà legislativa primaria delle Regioni speciali (e delle Province autonome), invece, permangono i noti limiti fissati dagli statuti, cioè: l’armonia con la Costituzione, il rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica (sentt. nn. 112, 114, 184, 328).

 

 

13.2. Trentino-Alto Adige

 

In materia di “energia”, in virtù dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, alla Provincia autonoma si deve estendere, in quanto più favorevole alle ragioni dell’autonomia, la stessa disciplina dettata dagli artt. 117 e 118 Cost. per le Regioni a statuto ordinario [247]. Quanto alle funzioni trasferite alle Province autonome ai sensi dell’art. 1 del d.P.R. n. 235 del 1977, aggiunto dal d.lgs. n. 463 del 1999, si deve osservare che le competenze legislative e amministrative derivanti dal nuovo Titolo V della Parte seconda della Costituzione sono più ampie rispetto a quelle statutarie. Da ciò deriva che nelle prime sono comprese le seconde (sent. n. 165).

Nello specifico, come osservato in precedenza (vedi supra, par. 9.7), le risorse geotermiche hanno un valore energetico e uno ambientale, che consente di ritenere la disciplina statale relativa a tali aspetti quale recante principi fondamentali di riforma economico sociale; tale normativa classifica siffatte risorse “di pubblico interesse e di pubblica utilità” solo entro una determinata soglia di potenza energetica, dividendole in due categorie: l’una, relativa alle risorse ad alta entalpia, di “interesse nazionale”, l’altra, relativa alle risorse a media e bassa entalpia, di “interesse regionale o provinciale”. Classificazione che, dunque, s’impone anche al legislatore provinciale. Tuttavia, se le Province autonome sono tenute a osservare le norme statali per quegli aspetti che riguardano la gestione e la migliore utilizzazione delle risorse geotermiche, esse mantengono i loro diritti per quanto concerne gli aspetti economici, in virtù della potestà primaria loro attribuita in materia di “miniere”; infatti, spettano alla Provincia i canoni relativi ai permessi di ricerca e alle concessioni delle risorse geotermiche (sent. n. 112).

La materia “paesaggio”, a differenza della tutela dell’ambiente, è compresa tra quelle di competenza esclusiva delle Province autonome. Tale competenza, tuttavia, deve coesistere con la ricordata competenza statale e con quella concorrente in materia di energia. Nell’ambito delle energie rinnovabili, dunque, lo Stato non può porre vincoli che non trovino una  giustificazione nell’esigenza di mantenere integra la tutela ambientale, o nella necessità che la normativa legislativa e regolamentare provinciale si inserisca nell’ambito delle finalità stabilite nella disciplina europea e statale (sent. n. 275).

Ai sensi dello Statuto speciale e delle norme di attuazione, con riferimento alla difesa del suolo dal rischio idrogeologico, si riscontra un concorso di competenze tra Stato e Province autonome, che prevede incisive forme di collaborazione tra i suddetti enti. Pertanto, lo Stato non può intervenire con norme che, pur motivate dalla urgenza di fronteggiare situazioni a elevato rischio idrogeologico, nel prevedere la possibilità di nomina governativa di un commissario straordinario con poteri assai incisivi (come la deroga alle disposizioni vigente e il potere sostitutivo sugli organi ordinari e straordinari), limitino il coinvolgimento della Provincia autonoma solo a un parere sulla nomina. La scelta della forma più debole di coinvolgimento e la limitazione dello stesso alla sola fase di nomina, infatti, contrastano con le attribuzioni delle Province autonome di cui sopra (sent. n. 109).

 

 

13.3. Sicilia

 

Anche nel 2011 la Corte si è soffermata sull’autonomia finanziaria della Regione siciliana.

Come noto, in base al principio stabilito dall’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, spettano alla Regione siciliana tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate (sent. n. 152).

Ciò detto, la normativa statale di cui al d.l. n. 40 del 2010, finalizzata a garantire un più efficace contrasto agli indebiti utilizzi dei crediti d’imposta e ad agevolarne il recupero, mediante l’introduzione dell’obbligo, a carico dell’Agenzia delle entrate, della trasmissione dei dati relativi ai crediti d’imposta alle indicate amministrazioni ed enti, anche territoriali, tenuti al detto recupero, incide anche sulla Regione siciliana. La Regione, infatti, proprio in base al richiamato principio, deve sopportare il costo del credito d’imposta, sia pure limitatamente all’importo di cui godono i contribuenti residenti nel suo territorio. In tal caso, ove si tratti di crediti d’imposta illegittimamente impiegati, di cui la norma in esame intende agevolare il recupero, è alla Regione siciliana che spetta, non solo provvedere al detto recupero, ma anche acquisire il gettito da esso derivante; tale gettito, lungi dal costituire il frutto di una nuova entrata tributaria erariale, non è altro che l’equivalente del gettito del tributo previsto. È pertanto costituzionalmente illegittimo l’art. 1, comma 6, del d.l. n. 40 del 2010, nella parte in cui stabilisce che le entrate derivanti dal recupero dei crediti d’imposta “sono riversate all’entrata del bilancio dello Stato e restano acquisite all’erario”, anche con riferimento a crediti d’imposta inerenti a tributi che avrebbero dovuto essere riscossi nel territorio della Regione siciliana (sent. n. 152).

Non è invece lesiva dell’autonomia finanziaria regionale la normativa statale in questione nella parte in cui disciplina la definizione agevolata delle controversie fra le società ex concessionarie del servizio nazionale della riscossione e l’amministrazione finanziaria. Il gettito delle entrate derivanti dalla eventuale definizione agevolata, infatti, è del tutto svincolato dal presupposto della riscossione, nel territorio regionale, di un tributo erariale. Dette controversie attengono o alla contestazione di pretese risarcitorie recate da inviti a dedurre nell’ambito di giudizi di responsabilità contabile o alla contestazione di atti di citazione che introducono giudizi di responsabilità contabile o ancora alla richiesta, rivolta dalle predette ex concessionarie all’amministrazione finanziaria, di rimborso o di discarico di quote di tributi, anticipate all’erario e poi rivelatesi inesigibili. Si tratta, comunque, di casi tutti di controversie che, pur diverse, non attengono a questioni inerenti alla riscossione di un tributo erariale.  Dal che se ne deduce anche che la normativa in questione non avrebbe dovuto adottarsi in conformità al procedimento di cui alle norme di attuazione, che prevede il coinvolgimento regionale [248]; non trattandosi di nuove entrate tributarie riservate all’erario, infatti, non si verifica la violazione del principio di leale collaborazione. Discorso opposto deve farsi, invece, per la disciplina della definizione agevolata di quelle controversie, espressamente qualificate come tributarie, che scaturiscano da contestazioni inerenti alla riscossione dei tributi erariali, anche di quelli che avrebbero dovuto essere riscossi nel territorio regionale siciliano. Trattandosi di controversie che trovano il loro presupposto nell’esistenza di un rapporto tributario e la cui definizione delinea un’agevolazione in ordine a tributi preesistenti, la previsione della esclusiva destinazione a fondi erariali del gettito derivante dalla definizione agevolata di tali controversie si pone in contrasto con le norme sull’autonomia finanziaria della Regione (sent. n. 152).

 

 

13.4. Friuli-Venezia Giulia

 

In materia di lavori pubblici d’interesse regionale è attribuita dallo Statuto d’autonomia una potestà esclusiva alla Regione Friuli-Venezia Giulia. Tuttavia, la stessa deve esercitarsi nel rispetto dei noti limiti alla competenza primaria delle autonomie speciali [249]. Pertanto, le disposizioni contenute nel Codice degli appalti s’impongono anche per siffatta competenza, in quanto espressione di esigenze unitarie connesse alla tutela della concorrenza e l’ordinamento civile. Per quanto concerne gli aspetti inerenti la tutela della concorrenza, infatti, tali disposizioni costituiscono diretta attuazione delle prescrizioni poste a livello europeo; riguardo al regime privatistico inerente la fase di esecuzione e conclusione del contratto di appalto, invece, si configurano quali principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica; per tutti quagli aspetti che concernono la tutela di istanze unitarie, specie per i profili finanziari, infine, valgono come norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica [250] (sent. n. 114). Così (vedi supra, par. 8.5.2), anche per tale Regione deve ribadirsi quanto sottolineato riguardo alle normative in materia di “offerta economicamente più vantaggiosa” quale criterio preferenziale per l’affidamento degli incarichi di progettazione o di disciplina delle offerte anomale (sent. n. 114).

 

 

13.5. Sardegna

 

Come già ricordato per il Friuli-Venezia Giulia, tuttora soggetta alla competenza piena prevista dallo statuto è la materia dei lavori pubblici di esclusivo interesse della Regione. La legislazione regionale, dunque, deve esercitarsi nel rispetto delle disposizioni contenute nel Codice degli appalti, che s’impongono anche per siffatta competenza quali norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica e norme con le quali è stata data attuazione agli obblighi di diritto comunitario (sentt. n. 184, 328) [251]. Così, la normativa statale sulle procedure di selezione e i criteri di aggiudicazione, in quanto strumentale a garantire la tutela della concorrenza e ai principi comunitari [252], s’impone anche alle Regioni a statuto speciale e le Province autonome, che non possono stabilire al riguardo una disciplina suscettibile di alterare le regole di funzionamento del mercato [253] (sentt. nn. 184, 328). Ne consegue che le disposizioni regionali non possono recare una disciplina dei sistemi di qualificazione delle imprese per la partecipazione alle gare per gli appalti di lavori pubblici di interesse regionale difforme da quella nazionale di cui al d.lgs. n. 163 del 2006 (sent. n. 328). Discorso analogo, come già rilevato, può farsi per la disciplina delle offerte anomale anche se relative agli appalti sotto la soglia di rilevanza comunitaria; la distinzione tra contratti sotto soglia e sopra soglia non costituisce, infatti, utile criterio ai fini dell’identificazione delle norme statali strumentali a garantire la tutela della concorrenza, in quanto tale finalità può sussistere in riferimento anche ai contratti riconducibili alla prima di dette categorie [254] (sent. n. 184).

 

 

14. Art. 133 Cost.

 

La Corte già in passato ha precisato che le leggi regionali attraverso le quali si realizza la variazione della circoscrizione territoriale dei Comuni, ovvero se ne dispone la variazione della denominazione, sono tipiche leggi-provvedimento, caratterizzate da un aggravamento procedurale, imposto dall’art. 133, comma 2, Cost. e regolato, quanto al suo ambito applicativo e alle sue modalità attuative, dalla fonte regionale [255]. All’interno di tale procedimento, l’adempimento con cui si “sentono” le popolazioni interessate costituisce una fase obbligatoria che deve in ogni caso avere autonoma evidenza nel procedimento [256]. L’assenza di tale fase, dunque, non costituisce solo una mera irregolarità formale (da sanzionare in quanto la fase mancante costituisce un preciso vincolo per il modus operandi del legislatore regionale [257]), ma comporta una grave omissione, che impedisce la valutazione della volontà delle popolazioni interessate alla variazione territoriale, cui non è stato permesso di esprimersi (sent. n. 36).

 

 

                                                                                                 Nicola Viceconte

[1] Va precisato che, se per i dati quantitativi l’analisi sarà limitata al giudizio in via principale e, con qualche eccezione, al conflitto tra enti, la parte sostanziale tiene conto anche delle pronunce rese nel giudizio in via incidentale su profili d’interesse regionale.

[2] Per i dati quantitativi generali e un approfondimento sugli stessi si veda la Relazione sulla giurisprudenza costituzionale del 2011, a cura del Servizio Studi della Corte costituzionale, disponibile al sito www.cortecostituzionale.it.

[3] Così, da ultimo, la sentenza n. 318 del 2009.

[4] Vedi le sentenze nn. 275 e 365 del 2007.

[5] Così, da ultimo, la sentenza n. 278 del 2010.

[6] Tra le più recenti, si veda la sentenza n. 325 del 2010.

[7] Ex plurimis, cfr. le sentenze nn. 397 del 2005, 160 del 2006, 364 del 2010.

[8] Tra le tante, vedi le sentenze nn. 233 del 1993 e 318 del 2009 e le ordinanze nn. 126 del 1997 e 42 del 2004.

[9] Cfr. la sentenza n. 30 del 1973.

[10] Così, da ultimo, le sentenze nn. 121, 215 e 278 del 2010.

[11] Fra le molte, vedi le sentenze n. 279 del 2008, n. 368 del 2007, n. 312 del 2006.

[12] Tra la più recenti, cfr. le sentenze nn. 40, 52 e 156 del 2010.

[13] Cfr. le sentenze nn. 87 del 1996, 408 del 1998, 503 del 2000, 353 del 2001, 303 del 2003, 250 del 2009.

[14] Vedi le sentenze nn. 332 del 1998 e 407 del 2002.

[15] Cfr., da ultimo, le sentenze nn. 98 del 2007 e 40 del 2010.

[16] Tra le tante, si ricordano le sentenze nn. 191 del 1994, 163 e 389 del 1995, 511 del 2002, 95 del 2003.

[17] Così, da ultimo, le sentenze nn. 16, 119 e 278 del 2010.

[18] Da ultimo, vedi la sentenza 318 del 2009.

[19] Così la sentenza n. 391 del 2006.

[20] Cfr. la sentenza n. 258 del 2004.

[21] Ex multis, si vedano le sentenze nn. 263 e 287 del 2005.

[22] Sentenza n. 298 del 2009.

[23] Sentenze nn. 272 e 287 del 2004, 62 e 383 del 2005,  430 del 2007.

[24] Tra le tante, vedi la sentenza n. 383 del 2005.

[25] Ex plurimis, si vedano sentenze n. 167 del 2010 e n. 26 del 2005.

[26] Sentenza n. 9 del 2004.

[27] Cfr. le sentenze nn. 380 del 2007 e 235 del 2008.

[28] Ex plurimis, vedi le sentenze n. 195 del 2007, n. 99 del 1991, n. 285 del 1990 e n. 110 del 1970.

[29] Vedi in particolare la sentenza n. 467 del 1997; nello stesso senso, fra le altre, si vedano le sentenze n. 95 del 2003, n. 245 e 473 del 1992.

[30] Sentenza n. 12 del 1957.

[31] Tra le tante, vedi le sentenze nn. 771 del 1988, 211 del 1994, 382 del 2006.

[32] Così le sentenze nn. 97 del 2003, 73 del 2005, 334 del 2004, 197 del 2007.

[33] Vedi le sentenze nn. 213 del 2001 e 443 del 2008.

[34] Tra le tante, si vedano le sentenze n. 302 del 2005 e 102 del 2010.

[35] Così, tra le tante, le ordinanze nn. 418 del 2008 e 153 del 2009.

[36] Ex multis, ordinanze nn. 74, 155, 161, 175, 183 e 212 del 2010.

[37] Da ultimo vedi le ordinanze  nn. 206, 239 e 244 del 2010.

[38] Sentenza n. 4 del 2010.

[39] Così le sentenze nn. 196 del 2003, 2 del 2004, 188 del 2007.

[40] Cfr. la sentenza n. 3 del 2006.

[41] Così la sentenza n. 4 del 2010.

[42] In tal senso la sentenza n. 196 del 2003.

[43] Così la sentenza n. 201 del 2003.

[44] Da ultimo, vedi le sentenze nn. 143 e 283 del 2010.

[45] Cfr. le sentenze nn. 235 del 1989 e 160 del 1997.

[46] Tra le tante, vedi le sentenze nn. 391 e 392 del 1999, n. 195 del 2007.

[47] Si vedano le sentenze nn. 195 e 235 del 2007.

[48] Così le sentenze nn. 173 e 235 del 2007.

[49] Cfr. le sentenze nn. 289 del 1997, 76 e 276 del 2001, 337 del 2009.

[50] Sentenza n. 391 del 1999.

[51] Sul punto si vedano le sentenze nn. 76 e 276 del 2001 e n. 221 del 2006.

[52] In tal senso le sentenze nn. 274 del 1995, 382 del 1998, 391 del 1999.

[53] Sul punto si veda la sentenza n. 276 del 2001.

[54] Cfr. le sentenze nn.180 e 340 del 2010.

[55] Così la sentenza n. 1 del 2008.

[56] Sentenza n. 115 del 2010.

[57] Vedi la sentenza n. 266 del 2010.

[58] Sentenze nn. 168 del 1999 e 250 del 2008.

[59] Per tutte, vedi la sentenza n. 6 del 2004.

[60] Ex plurimis, vedi le sentenze n. 278 del 2010, n. 76 del 2009, n. 165 e n. 88 del 2007, n. 214 del 2006, n. 151 del 2005.

[61] Vedi le sentenze nn. 6 del 2004, 62 e 383 del 2005.

[62] Così le sentenze nn. 339 e 383 del 2005, 24 del 2007, 121 del 2010.

[63] Tra le tante, si veda  la sentenza n. 215 del 2010.

[64] Così le sentenze n. 437 del 2001, 387 del 2007, 371 del 2008 e, da ultimo, la n. 278 del 2010.

[65] Cfr. la sentenza n. 298 del 2009.

[66] Vedi le sentenze nn. 133 e 142 del 2008, 325 del 2010.

[67] Così la sentenza n. 51 del 2005.

[68] Cfr. la sentenza n. 401 del 2007.

[69] Vedi la sentenza n. 225 del 2009.

[70] Sentenza n. 278 del 2010.

[71] Ex plurimis: sentenze n. 332 del 2010, n. 24 del 2007, n. 21 del 2006, n. 339 del 2005, n. 27 del 2004.

[72] Cfr. la sentenza n. 383 del 2005.

[73] Così la sentenza n. 193 del 2007.

[74] Così la sentenza n. 2 del 2010.

[75] Vedi le sentenze nn. 81 e 422 del 2006, 165 e 430 del 2007, 368 del 2008.

[76] Cfr. le sentenze nn. 401 del 2007, 160 del 2009 e 45 del 2010.

[77] Così le sentenze nn. 50 e n. 219 del 2005, n. 88 del 2009 e n. 278 del 2010.

[78] Cfr. la sentenza n. 62 del 2005 e la sentenza n. 278 del 2010.

[79] Così la sentenza n. 233 del 2006.

[80] Da ultimo si veda la sentenza n. 170 del 2010.

[81] Così le sentenze nn. 312 del 1983, 289 del 1987, 768 del 1988 e 62 del 1992.

[82] Vedi, da ultimo, la sentenza n. 159 del 2009.

[83] Ancora la sentenza n. 170 del 2010.

[84] Si vedano le sentenze nn. 148 del 2008, 269 e 299 del 2010.

[85] Così la sentenza n. 252 del 2001.

[86] Cfr. le sentenze nn. 306 del 2008 e 187 del 2010.

[87] Si vedano le sentenze nn. 300 del 2005, 134 del 2006 e 299 del 2010.

[88] Da ultimo le sentenze nn. 134 e 299 del 2010.

[89] Così le sentenze nn. 269 e 299 del 2010.

[90] In tal senso ancora la sentenza n. 269 del 2010.

[91] Così le sentenze nn. 404 del 1988 e 209 del 2009.

[92] Vedi le sentenze nn. 430 e 431 del 2007,  nn. 160 e 283 del 2009, nn. 45  e 288 del 2010.

[93] Cfr. le sentenze nn. 430 del 2007 e 63 del 2008.

[94] Ex plurimis, si vedano le sentenze nn. 272 del 2004, 29 e 80 del 2006, 401 del 2007, 326 del 2008, 160, 304, 307, 314 del 2009, 325 del 2010.

[95] Così le sentenze n. 246 del 2009 e n. 325 del 2010.

[96] Vedi le sentenze nn. 144 e 378 del 2007, 168 del 2008 e 246 del 2009.

[97] Tra le tante, si vedano le sentenze nn. 401 e 431del 2007, 322 del 2008, 160 e 283 del 2009, 186 del 2010.

[98] Così le sentenze nn. 401 del 2007 e 1 del 2008.

[99] Cfr. la sentenza n. 401 del 2007.

[100] Vedi le sentenze nn. 160 del 2009 e 45 del 2010.

[101] Così, da ultimo, la sentenza n. 221 del 2010.

[102] Ancora la sentenza n. 401 del 2007.

[103] Così la sentenza n. 401 del 2007.

[104] In tal senso la sentenza n. 221 del 2010.

[105] Vedi la sentenza n. 160 del 2009.

[106] Sentenza n. 1 del 2008.

[107] Sentenza n. 383 del 2005.

[108] Cfr. la sentenza n. 314 del 2009.

[109] Così la sentenza n. 123 del 2010.

[110] Vedi ancora la sentenza n. 123 del 2010.

[111] Cfr. la sentenza n. 16 del 2010.

[112] Vedi le sentenze nn. 270 e 405 del 2005.

[113] Così la sentenza n. 59 del 2000.

[114] Si vedano le sentenze nn. 129 e 196 del 2009, 226 e 274 del 2010.

[115] Così la sentenza n. 105 del 2006.

[116] Vedi le sentenze nn. 55 del 2001 e 134 del 2004.

[117] Cfr. la sentenza n. 237 del 2006 e la sentenza n. 72 del 2010.

[118] Si vedano le sentenze n. 313 del 2003 e 167 del 2010.

[119] Così le sentenze n. 401 del 2007 e n. 160 del 2009.                                           

[120] Cfr. la sentenza n. 401 del 2007.

[121] Vedi sempre la sentenza n. 401 del 2007.

[122] Cfr. la sentenza n. 324 del 2010.

[123] Vedi le sentenze nn. 189 del 2007 e 332 del 2010.

[124] In tal senso le sentenze nn. 308 del 2006 e 189 del 2007.

[125] Si vedano le sentenze nn. 189 del 2007 e 332 del 2010.

[126] Sentenza n. 370 del 2008.

[127] Vedi la sentenza n. 286 del 2004.

[128] Così le sentenze nn. 88 del 2003 e 134 del 2006.

[129] Cfr. le sentenza n. 387 del 2007.

[130] Ex plurimis, vedi le sentenze nn. 285 e 383 del 2005.

[131] Così la sentenza n. 282 del 2002.

[132] Ancora la sentenza n. 282 del 2002.

[133] Cfr. la sentenza n. 295 del 2009.

[134] Sentenza n. 271 del 2008.

[135] Così la sentenza n. 44 del 2010.

[136] Sul punto vedi la sentenza n. 200 del 2009.

[137] Cfr. le sentenze n. 268 del 2007, n. 50 del 2005, n. 287 del 2004.

[138] Così, tra le tante, la sentenza n. 61 del 2009.

[139] Si veda la sentenza n. 373 del 2010.

[140] Cfr. le sentenza nn. 378 del 2007, 104 del 2008 e 30 del 2009.

[141] Da ultimo, vedi le sentenze nn. 225 e 234 del 2009 e n. 186 del 2009.

[142] Così la sentenza nn. 225 del 2009.

[143] Cfr. la sentenza n. 221 del 2010.

[144] Sul punto vedi la sentenza n. 120 del 2010.

[145] Cfr. la sentenza n. 278 del 2010.

[146] Così la sentenza n. 278 del 2010.

[147] Cfr. le sentenze nn. 105 del 2008, 225 del 2009 e 1 del 2010.

[148] Si vedano le sentenze nn 62 del 2008, 10, 61 e 314 del 2009, 127 e 373 del 2010.

[149] Così le sentenze nn. 62 del 2008 e 249 del 2009.

[150] Cfr. la sentenza n. 373 del 2010.

[151] Vedi le sentenze nn. 62 del 2008 e 314 del 2009.

[152]Cfr. le sentenze nn. 380 del 2007, 62 del 2008 e 314 del 2009.

[153] In tal senso le sentenze nn. 335 del 2001 e 10 del 2009.

[154] Sentenze nn. 246 e 251 del 2009.

[155] Così le sentenze nn. 232, 246 e 254 del 2009, 341 del 2010.

[156] Cfr. la sentenza n. 387 del 2008.

[157] Tra le tante, vedi le sentenze nn. 422 del 2002, 108 del 2005, 387 del 2008, 272 del 2009, 20 e 315 del 2010.

[158] Così le sentenze nn. 61 del 2009 e 193 del 2010.

[159] Cfr. la sentenza n. 232 del 2008.

[160] Così, da ultimo, la sentenza n. 315 del 2010.

[161] Cfr. le sentenze nn. 350 del 1991 e 165 del 2009.

[162] Vedi la sentenza n. 387 del 2008.

[163] Così la sentenza n. 315 del 2010.

[164] Ancora la sentenza n. 315 del 2010.

[165] Vedi la sentenza n. 108 del 2005.

[166] Sulla necessità di intesa, in tema di protezione della natura, si vedano le sentenze n. 437 del 2008 e n. 378 del 2007.

[167] Vedi le sentenze n. 272 del 2009 e n. 313 del 2006, nonché, successivamente, le sentenze nn. 193 e 233 del 2010.

[168] In tal senso le sentenze nn. 272 del 2009 e 101 del 2010.

[169] Così la sentenza n. 367 del 2007.

[170] Cfr. le sentenze nn. 232 del 2008 e 101 del 2010.

[171] Così la ricordata sentenza n. 200 del 2009.

[172] Tra le tante, vedi le sentenze nn. 424 del 2005, 40 del 2006, 138 del 2009, 222 del 2008, 132 del 2010.

[173] Da ultimo vedi le sentenze nn. 131, 132 e 300 del 2010.

[174] Cfr. la sentenza n. 328 del 2009

[175] Vedi le sentenze nn. 449 del 2006 e 93 del 2008.

[176] Cfr. la sentenza nn. 138 e 328 del 2009, nonché, ex plurimis, le sentenze n. 179 del 2008, nn. 57 e 300 del 2007 e nn. 153 e 424 del 2006.

[177] Vedi le sentenze nn. 57 e 300 del 2007, n. 93 del 2008, nn. 138 e 328 del 2009, n. 132 del 2010.

[178] Così la sentenza n. 271 del 2009.

[179] Vedi le sentenze nn. 153 del 2006 e 300 del 2010.

[180] In tal senso la sentenza n. 422 del 2006.

[181] Così la sentenza n. 307 del 2004.

[182] Così la sentenza n. 31 del 2005.

[183] Sentenza n. 166 del 2004.

[184] Vedi la sentenza n. 124 del 1994.

[185] Cfr. la sentenza n. 87 del 2006.

[186] Così la sentenza n. 185 del 2008.

[187] In tal senso la sentenza n. 282 del 2002.

[188] Cfr. le sentenze n. 422 del 2006,  n. 295 del 2009 e n. 150 del 2010.

[189] Così la sentenza n. 383 del 2003.

[190] Sentenza n. 303 del 2003.

[191] Così la sentenza n. 367 del 2007.

[192] Vedi la sentenza n. 278 del 2010.

[193] Cfr., tra le tante, la sentenza n. 364 del 2006.

[194] Così le sentenze nn. 124, 168, 332 e 366 del 2010.

[195] Cfr. la sentenza n. 166 del 2009.

[196] Si vedano le sentenze nn. 119 e 344 del 2010, 166 e 382 del 2009.

[197] Così, da ultimo, le sentenze nn. 124 e 168 del 2010.

[198] Cfr. la sentenza n. 344 del 2010.

[199] Sentenze nn. 119, 124, 194, 168, 332 e 266 del 2010.

[200] Cfr. sentenze nn. 119 e 124 del 2010.

[201] Vedi la sentenza n. 1 del 2008.

[202] Così le sentenze nn. 180, 233 e 340 del 2010.

[203] Cfr. la sentenza n. 432 del 2005.

[204] Così le sentenze n. 229 del 2001, n. 244 e n. 456 del 2005, n.397 del 2006 e n. 237 del 2009.

[205] Vedi le sentenze nn. 27 e 326 del 2010.

[206] Vedi le sentenze n. 233 del 2006, nn. 103 e 104 del 2007, 34 e 224 del 2010.

[207] Cfr. la sentenza n. 55 del 2009.

[208] Cfr. le sentt. nn. 517 del 2002, 205 del 2004, 159 e 190 del 2005, 81 e 363 del 2006, 191 del 2007, 215 e 293 del 2009, 100, 150 e 195 del 2010.

[209] Vedi la sentenza n. 205 del 2006.

[210] Così la sentenza n. 81 del 2006.

[211] In tal senso le sentenze nn. 235, 149 e 100 del 2010, 215 e 293 del 2009, 205 del 2006 e 34 del 2004.

[212] Vedi le sentenze nn. 34 del 2004, 407 del 2005, 81 e 205 del 2006, 213 del 2010.

[213] Cfr. le sentenze nn. 293 del 2009 e 325 del 2010.

[214] Si vedano le sentenze nn. 1 del 1999, 218 del 2002, 274 del 2003, 159 del 2005.

[215] Sentenze nn. 159 e 465 del 2005, n. 150 del 2010.

[216] Così le sentenze nn. 205 del 2004, 293 del 2009 e 150 del 2010.

[217] Sentenza n. 235 del 2010.

[218] Cfr. le sentenze nn. 27 del 2008, 252 e 293 del 2009.

[219] Cfr. le sentenze nn. 64 e 165 del 2007.

[220] In tal senso si vedano la sentenza n. 1 del 2004,  l’ordinanza n. 199 del 2006 e soprattutto le sentenze nn. 247 e 288 del 2010.

[221] Vedi le sentenze nn. 350 del 2008 e 288 del 2010.

[222] Così ancora la sentenza n. 288 del 2010.

[223] Cfr. la sentenza n. 332 del 2006.

[224] Così la sentenza n. 168 del 2008.

[225] Vedi ancora la sentenze n. 168 del 2008 e la n. 16 del 2010.

[226] Così, tra le più recenti, vedi le sentenze nn. 359 del 2007, 213  386 del 2008, 70 del 2010.

[227] Cfr. le sentenze n. 213 del 2008 e nn. 100 e 141 del 2010.

[228] Così le sentenze nn. 359 del 2007, 386 del 2008 100 e 141 del 2010.

[229] Vedi la sentenza n. 30 del 1959.

[230] Così le sentenze nn. 139 e 237 del 2009 e, da ultimo, le sentenze nn. 52, 141 e 326 del 2010.

[231] Sentenze nn. 36 del 2004 e 417 del 2005 e, più di recente, sentenza n. 52 del 2010.

[232] Così le già ricordate sentenze nn. 36 del 2004 e 417 del 2005, ma anche le nn. 449 del 2005 e 88 del 2006.

[233] Tra tutte si rimanda alla sentenza n 376 del 2003.

[234] Cfr. la sentenza n. 289 del 2008.

[235] Così le sentenze nn. 120 del 2008 e 169 del 2007.

[236] Vedi la sentenza n. 169 del 2007.

[237] Sul punto si vedano le sentenze nn. 180 e 289 del 2008, nn. 169 e 412 del 2007, n. 4 del 2004.

[238] Così la sentenza n. 376 del 2003 e in seguito le nn. 159 e 190 del 2008 e n. 57 del 2010.

[239] Cfr. la sentenza n. 370 del 2010..

[240] Vedi la sentenza n. 94 del 2009, nonché le nn. 40 e 100 del 2010.

[241] Cfr. le sentenze nn. 120 del 2008 e 333 del 2010.

[242] Vedi la sentenza n. 120 del 2008.

[243] Cfr. le sentenze nn. 100 e n. 141 del 2010.

[244] Così le sentenze nn. 237 del 2009 e 326 del 2010.

[245] Sul punto vedi ancora la sentenza n. 237 del 2009.

[246] Così le sentenze n. 355 del 1998, n. 295 del 1993, n. 294 del 1990, n. 214 e n. 204 del 1987, n. 272 e n. 271 del 1986.

[247] In tal senso la sentenza n. 383 del 2005.

[248] In proposito cfr. le sentenze nn. 98 e 347 348 del 2000, n. 288 del 2001 e n. 133 del 2002.

[249] Vedi le sentenze nn. 378 del 2007 e 226 del 2009.

[250] Così la sentenza n.  447 del 2006, ma già la sentenza n. 482 del 1995.

[251] Cfr. la sentenza n. 45 del 2010

[252] Si vedano le sentenze nn. 401 e 431 del 2007, 320 del 2008 e 186 del 2010.

[253] Ancora la sentenza n. 45 del 2010.

[254] Così la sentenza n. 160 del 2009.

[255] Cfr. la sentenza n. 47 del 2003.

[256] Tra le tante, vedi le sentenze n. 47 del 2003 e n. 237 del 2004.

[257] Così la sentenza n. 94 del 2000.

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