AVVERTENZA: Lo studio che segue è tratto dal Quinto Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia (Milano, Giuffré, 2008)

Sommario: 
 
 
1. Considerazioni introduttive: tra i sempre allarmanti dati   quantitativi e qualche timida nota positiva
 
Nel 2006 il numero delle decisioni su ricorsi in via principale raggiunge, in termini percentuali, il picco massimo a partire dal 1956. Le 113 pronunce, il cui numero è secondo solo a quello del 1988, infatti, costituiscono il 24,41 % del totale delle decisioni rese dalla Corte nell’anno (463 in totale). Rispetto al 2005, pertanto, si registra un incremento sia in termini numerici ( 12), sia percentuali ( 3,46%). Inoltre, sebbene il giudizio in via incidentale mantenga la sua predominanza, se si pone attenzione al numero delle sentenze, può osservarsi come anche per il 2006 questo sia maggiore nei giudizi in via d’azione (82, contro le 70 rese nel giudizio incidentale).
Un incremento rispetto al 2005 si registra anche riguardo ai conflitti d’attribuzione, nella cui sede sono state rese 22 decisioni (6 pronunce in più, pari ad un aumento dell’1,43 %).
Quanto detto sembra confermare il sempre più accresciuto ruolo “arbitrale” della Corte costituzionale, sempre più giudice sui conflitti di competenza che giudice dei diritti. Il che può trovare conferma anche nell’accresciuta “negoziazione” tra enti riguardo ai ricorsi, testimoniato dal sempre più alto numero di casi di estinzione del giudizio (18 tra giudizio principale e conflitti) e di cessazione della materia del contendere (25 in tutto). Tuttavia, anche in sede di decisione di ricorsi proposti in via principale è sempre più frequente che la Corte abbia modo d’incidere su aspetti rilevanti della convivenza sociale e quindi (in sostanza) dei diritti fondamentali dei cittadini (si veda sul punto la conferenza stampa sulla giustizia costituzionale nel 2006 del Presidente della Corte costituzionale Franco Bile).
In ogni caso, è indubbia l’ormai stabile ipertrofia del contenzioso tra Stato e Regioni, al quale la Corte ha tentato di porre un argine attraverso una severa giurisprudenza sui presupposti processuali dei ricorsi.
Alcune note positive possono comunque senz’altro sottolinearsi.
In primo luogo, infatti, il rapporto tra decisioni ed atti di promuovimento registra un saldo positivo sia per i ricorsi in via principale (definiti 135 ricorsi su 111 sopravvenienze, con un saldo di 24) sia per i conflitti (26 ricorsi decisi su 14 promossi, 12), rafforzandosi il dato positivo degli ultimi 3 anni.
In secondo luogo, assai confortante è il dato relativo ai tempi medi di decisione, calcolati in base all’intervallo decorrente tra pubblicazione dell’atto di promuovimento e la trattazione della causa. Quasi dimezzato risulta, infatti, tale periodo per i giudizi in via principale (392,40 giorni contro i 672,97 del 2005), ridotto di un terzo per i giudizi sui conflitti (729,55 giorni contro i 1.113). Il che testimonia la particolare attenzione prestata dalla Corte ad un fenomeno che, come detto, presenta dati quantitativi senza precedenti, sintomo di una preoccupante conflittualità tra enti.
 
 
2. Profili processuali
 
Piuttosto numerose, benché non particolarmente innovative, risultano le pronunce della Corte costituzionale in cui sono stati presi in considerazione i caratteri processuali del giudizio in via principale e di quello sui conflitti intersoggettivi.
Sul piano dei provvedimenti cautelari si registrano 2 richieste di sospensione della legge regionale impugnata (sentt. nn. 3, 21), in un caso oggetto di successiva rinunzia (sent. n. 3), in un altro assorbita dalla pronuncia di merito (sent. n. 21). Non luogo a provvedere sull’istanza proposta su una legge statale viene pronunciato invece nell’ord. n. 245. Nei conflitti d’attribuzione la sospensione dell’atto impugnato si registra nell’ord. n. 152.
 
 
2.1.       Ricorso ex art. 127 e conflitti intersoggettivi. Atti introduttivi
 
Soffermandoci sugli aspetti più strettamente procedurali vanno segnalati alcuni casi d’inammissibilità della costituzione in giudizio di una delle parti per carenza di procura ad litem, che dagli atti non risultava conferita specificamente al giudizio in questione (sentt. nn. 12, 22 e 29). Ancora si ribadisce la perentorietà del termine di dieci giorni dalla notifica del ricorso per il deposito dello stesso (ordd. nn. 218 e 344), così come di quello per la notifica del ricorso, pari a sessanta giorni dalla pubblicazione della legge impugnata (sent. n. 214).
Sotto un altro profilo, la Corte ha confermato l’inammissibilità delle censure di costituzionalità contenute nel ricorso che non trovino nella delibera d’autorizzazione all’impugnazione adottata dal Consiglio dei Ministri, o nella relazione ministeriale a cui questa rinvii, una loro previsione (1), nonché un sufficiente grado di specificazione (2) (sentt. nn. 3, 49, 323, 396, 398, 423 e 450), salva al più l'autonomia tecnica dell'Avvocatura dello Stato nell'individuazione dei motivi di censura (sent. n. 3) (3). Discorso analogo può farsi riguardo ai ricorsi promossi dalle Regioni (sentt. nn. 89 e 155; ord. n. 196). La corrispondenza tra delibera e ricorso, d’altronde, soddisfa un'esigenza non soltanto di natura formale, ma sostanziale, che richiede una determinazione impegnativa e inequivoca del Governo o della Giunta regionale a proporre un conflitto, tenuto conto dell'importanza dell'atto e degli effetti costituzionali ed amministrativi che lo stesso può produrre (ord. n. 196).
 
 
2.2. Profili soggettivi
 
Nessuna innovazione può registrarsi riguardo all’individuazione dei soggetti legittimati a intervenire nel giudizio principale. In conformità alla consolidata giurisprudenza costituzionale, dunque, sono stati dichiarati inammissibili gli interventi di soggetti diversi dai titolari delle competenze legislative in contestazione, ancorché destinatari attuali o potenziali delle norme impugnate (sentt. nn. 59, 80, 103, 129, 265 e 450) (4).
Allo stesso modo, nei conflitti d’attribuzione, la Corte resta ferma nell’escludere l’intervento in giudizio di soggetti diversi da quelli legittimati a promuovere il conflitto o a resistervi; unica eccezione si ha qualora gli atti impugnati siano oggetto di un giudizio pendente innanzi alle giurisdizioni comuni, in cui l'interventore nel giudizio costituzionale sia parte, e la pronuncia della Corte sia suscettibile di condizionare la stessa possibilità che il giudizio comune abbia luogo (5) (sentt. nn. 89 e 312).
In ogni caso, deve ricordarsi che, ai sensi dell'art. 27, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, il ricorso per conflitto deve essere notificato altresì all'organo che ha emanato l'atto, quando si tratti di autorità diverse da quelle di Governo e da quelle dipendenti dal Governo, con il conseguente potere della Corte di ordinare l’integrazione del contraddittorio ove ciò non sia avvenuto (ord. n. 353).
 
 
2.3.   Vizi deducibili
 
L’ormai consolidata giurisprudenza riguardo ai motivi d’impugnazione delle leggi statali e regionali trova pacifica conferma anche per l’anno 2006 (6), dove anzi sono piuttosto ridotte le pronunce in cui tali questioni presentano aspetti problematici.
Deve dunque ribadirsi che lo Stato può impugnare una legge regionale deducendo la violazione di qualsiasi parametro costituzionale (sent. n. 80), mentre le Regioni non sono legittimate a far valere nei ricorsi in via principale vizi diversi dalla lesione delle proprie competenze costituzionalmente previste; ulteriori vizi saranno deducibili solo quando gli stessi si risolvano comunque in violazioni o menomazioni delle competenze regionali (sent. n. 116) (7).
 
 
2.4.   Questioni di legittimità
 
Assai ricco si presenta il numero delle pronunce in cui sono individuati i requisiti delle questioni di legittimità costituzionale sollevate con ricorso principale.
In continuità con la precedente giurisprudenza (8), la Corte ha ribadito l’esigenza che, anche nei ricorsi in via principale, ogni questione di legittimità costituzionale sia definita nei suoi precisi termini e adeguatamente motivata (sentt. nn. 20, 29, 51, 214 e 215) (9). L'esigenza di un'adeguata motivazione a sostegno dell'impugnativa, anzi, si pone «in termini perfino più pregnanti nei giudizi diretti che non in quelli incidentali» (sentt. nn. 139 e 233, in tono minore 129).
In conseguenza di ciò, dunque, sono inammissibili le questioni del tutto generiche o prive dei requisiti argomentativi minimi dell’atto introduttivo (sentt. nn. 49, 175, 207, 213, 216, 246, 253, 364, 365, 391, 397 e 399) (10); mancanti della puntuale individuazione delle specifiche norme legislative da considerarsi violate (sentt. nn. 51 e 253); prive dell’argomentazione riguardo al titolo di legittimazione statale che si ritiene leso (sent. n. 51).
L’inammissibilità di questioni generiche, inoltre, non può certo essere sanata dalle memorie depositate in prossimità dell’udienza di discussione (sentt. nn. 20, 216, 246) (11).
Ammissibile, invece, è in via di principio l’impugnazione di interi provvedimenti legislativi, purché le censure di costituzionalità risultino omogenee e non generiche e dunque sia possibile individuare con chiarezza le norme su cui si appuntano le singole censure (sentt. nn. 22, 59, 216, 238 e 239) (12).
La Corte, inoltre, ha ribadito più volte la perdurante validità del principio secondo il quale una disposizione di legge non può essere ritenuta costituzionalmente illegittima soltanto perché tra le varie opzioni interpretative e applicative se ne possa ipotizzare qualcuna lesiva di norme costituzionali (sentt. nn. 238, 239).
Da ultimo, riguardo ai conflitti, si è sottolineata la necessità di un’adeguata identificazione dei termini del conflitto stesso, che comporta un’intrinseca coerenza tra il petitum e la motivazione del ricorso (sent. n. 382).
 
 
2.5.   Parametro
 
Alcune interessanti osservazioni possono poi farsi a proposito del parametro di costituzionalità, in particolare riguardo all’autonomia speciale, in virtù di quanto previsto dalla c.d. “clausola di maggior favore” (vedi infra, par. 14). Infatti, quando viene addotta la violazione di una disposizione contemplata nel Titolo V da parte di una legge di una Regione speciale, il ricorrente ha l'onere di prendere in esame anche i parametri costituzionali ricavabili dal relativo statuto, al fine di valutare se effettivamente le forme di autonomia riconosciute dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 siano più estese rispetto a quelle già risultanti dalle disposizioni statutarie, pena l’inammissibilità della questione (sentt. nn. 175 e 312). Tuttavia, può registrarsi una certa tolleranza della Corte, che ha ritenuto ammissibili anche questioni postulate alla luce dell’art. 117, ma individuate in base a parametri statutari non specificati dal ricorrente, desumibili però dal contesto del ricorso (sentt. nn. 207 e 391).
Non si dimentichi, da ultimo, che nel caso di norme interposte è necessario che sia individuato il parametro costituzionale la cui violazione sarebbe conseguenza della lesione della norma impugnata (sentt. nn. 51 e 248).
 
2.6.   Oggetto e interesse a ricorrere
 
Per quanto concerne l’oggetto del giudizio la Corte ha da sempre riconosciuto a qualsiasi legge regionale, purché venuta ad esistenza, la natura di atto impugnabile, a prescindere dal fatto che la stessa abbia avuto concreta attuazione, ma essendo sufficiente che sia applicabile, ancorché non immediatamente (sentt. nn. 3, 118 e 133). Tuttavia, l’ammissibilità del ricorso è comunque subordinata alla possibilità che il suo accoglimento produca un’utilità per il ricorrente, difettando altrimenti l’interesse a ricorrere (sent. n. 3), con una certa attenzione alla sussistenza “in concreto” di quest’ultimo (Padula).
Anche l’abrogazione della norma impugnata non fa di per sé venir meno l’oggetto del ricorso né l’interesse a ricorrere, quando risulti che la stessa abbia avuto applicazione (sent. n. 405).
Neppure le modifiche della “veste formale” delle norme oggetto d’impugnazione, nonché quelle di natura meramente terminologica e formale, che non incidono sul contenuto normativo delle disposizioni impugnate, fanno venir meno la materia del contendere, dovendo le questioni di legittimità essere trasferite sulle nuove disposizioni (sentt. nn. 239, 449) (13).
Inidonee a ledere le attribuzioni legislative regionali sono invece ritenute le disposizioni prive di un autonomo contenuto lesivo, ma di carattere meramente ricognitivo (sent. n. 248).
Nell’ambito dei conflitti d’attribuzione la giurisprudenza della Corte ha più volte riconosciuto che qualsiasi comportamento dello Stato o di una Regione è idoneo a porsi quale oggetto del giudizio, purché sia dotato di efficacia o di rilevanza esterna e sia diretto ad esprimere in modo chiaro ed inequivoco la pretesa di esercitare una data competenza, il cui svolgimento possa determinare un'invasione attuale dell'altrui sfera di attribuzioni o comunque una menomazione delle possibilità di esercizio della medesima (14); su questa base può essere sicuramente impugnata in forma autonoma anche la premessa di un decreto ministeriale cui sia, appunto, imputata un’esplicita negazione della autonomia finanziaria di spesa della Regione (sent. n. 382).
Ai fini d’individuare gli atti dello Stato impugnabili la Corte ha più volte specificato che lo Stato deve essere inteso “non come persona giuridica, bensì come sistema ordinamentale…complesso e articolato, costituito da organi, con o senza personalità giuridica, ed enti distinti dallo Stato in senso stretto, ma con esso posti in rapporto di strumentalità in vista dell'esercizio, in forme diverse, di tipiche funzioni statali” (sent. n. 31) (15). Così sono stati ritenuti impugnabili gli atti dell’Agenzia del demanio, a cui spetta, sino all'attuazione dell'ultimo comma dell'art. 119 Cost., la proprietà e disponibilità dei beni demaniali (16); pertanto, nei rapporti con il sistema regionale, tale Agenzia deve considerarsi parte integrante del sistema ordinamentale statale (sent. n. 31). Analogo ragionamento la Corte ha applicato riguardo agli atti dell’Agenzia delle entrate (sent. n. 334).
Sempre nell’ambito dei conflitti, infine, è stata esclusa la qualità di atto impugnabile per gli atti di carattere meramente preliminare, privi di effetti autonomi, i quali s’inseriscono in fasi provvisorie di più ampie fattispecie procedimentali (sentt. nn. 167 e 334).
 
 
2.7.   Riunione dei giudizi e separazione delle decisioni con riserva di ogni decisione sulle restanti questioni di legittimità costituzionale
 
Anche per il 2006 si registra un certo numero di casi di riunione dei giudizi, sia nel giudizio in via principale (sentt. nn. 49, 103, 181, 405 e 451), sia nei conflitti (sentt. nn. 21, 167, 214, 221 e 327), generalmente in virtù della connessione oggettiva dei ricorsi, dell’analogia delle questioni sollevate e dell’omogeneità o identità della materia e dei profili d’illegittimità.
L’assenza di omogeneità delle questioni sollevate da più ricorsi e all’interno di ogni singolo, invece, porta la Corte a optare per una trattazione separata delle questioni prive di collegamento (sentt. nn. 88, 118, 133, 155 e 447).
In diminuzione, benché piuttosto frequenti, sono invece i casi in cui la Corte ha deciso con unica pronuncia le questioni omogenee secondo i canoni sopra ricordati, riservandosi di decidere separatamente sulle altre questioni (sentt. nn. 80, 87, 134, 213 e 233). Casi i quali, come già in passato, si verificano in particolare in quei giudizi aventi ad oggetto i c.d. provvedimenti statali omnibus e in particolare la legge finanziaria (sentt. nn. 134, 213 e 233)
 
  
2.8.   Tipi di decisioni
 
Dalla giurisprudenza costituzionale del 2006 emerge ancora una volta una certa propensione della Corte per il criterio dell’interpretazione conforme a Costituzione, ai fini di scongiurare la pronuncia d’incostituzionalità (sentt. nn. 12, 246 e 412).
Abbastanza numerose (22 sentenze), invece, sono le decisioni manipolative, in maggioranza di carattere ablativo (sentt. nn. 23, 82, 102, 103, 322, 412, 413 e 449) o additivo (sentt. nn. 29, 49, 88, 129, 133, 182, 213, 214 e 396); solo 2 (nn. 134 e 182) sono le sentenze sostitutive.
In 14 casi, di cui 3 per rinunzia parziale (sentt. nn. 81, 365 e 422), è stata dichiarata l’estinzione del processo per rinuncia al ricorso (ordd. nn. 5, 11, 85, 99, 163, 348, 356, 379, 417 e 418), sovente motivata dall’abrogazione, sostituzione o modifica del provvedimento impugnato (ordd. nn. 5, 11, 163, 230, 417 e 418). In 6 casi la rinuncia non ha richiesto l’accettazione della controparte poiché il resistente non si era costituito in giudizio (ordd. nn. 11, 99, 163, 348 e 418; sentt. n. 81).
A tali pronunce devono affiancarsi i 25 casi in cui si è dichiarata la cessazione della materia del contendere, generalmente in virtù dell’abrogazione o modifica della normativa da cui il ricorso traeva origine (sentt. nn. 20, 80, 103, 181, 345 e 370) o per sopravvenuta carenza d’interesse (sent. nn. 214 e 216) e in un caso a seguito di rinuncia (parziale) accettata dalla controparte (sent. n. 425).
L’abrogazione o modifica della norma oggetto di censura, senza che la stessa abbia avuto medio tempore una qualche applicazione, ha invece comportato l’inammissibilità della questione nella sentenza n. 3.
Piuttosto numerosi sono i casi di cessazione della materia del contendere consequenziale alla promulgazione parziale di una legge regionale siciliana (in un caso l’intera legge non è stata promulgata, ord. n. 385), con omissione delle parti impugnate (ordd. nn. 111, 136, 147, 171, 204, 231, 309, 330, 340, 347, 348, 349, 358, 389, 404 e 410).
Da ultimo, 12 sono le pronunce d’illegittimità consequenziale di disposizioni inscindibilmente connesse a quelle annullate (sentt. nn. 40, 116, 253 e 424).
Nei conflitti d’attribuzione devono segnalarsi alcune decisioni d’inammissibilità per difetto d’interesse a ricorrere, in cui l’oggetto del ricorso era stato superato da un’intesa tra Stato e Regioni (sent. n. 235) o dall’abrogazione della norma da cui scaturiva il conflitto (sent. n. 333). Quattro, invece, sono i casi di estinzione del processo per rinuncia al ricorso (sent. n. 167; ordd. nn. 226, 275 e 357).
 
 
2.9.   Principio di continuità
 
Un’unica pronuncia mostra attenzione alla necessità di salvaguardare il principio di continuità. Nella specie, l’esigenza di garantire la funzionalità di determinati settori dell’amministrazione ha portato la Corte, come sovente in precedenza (17), ad escludere la declaratoria di illegittimità costituzionale di norme statali parzialmente in deroga al riparto di competenze di cui al nuovo Titolo V, in virtù della loro natura transitoria (sent. n. 243).
 
 
3.      L’organizzazione regionale
 
3.1. L’autonomia statutaria (art. 123 Cost.).
 
Anche nel 2006 la Corte ha avuto modo di dare alcune indicazioni riguardo alla posizione dello statuto regionale nel sistema delle fonti. Un certo interesse mostra quanto affermato nella sentenza n. 119, ove lo statuto viene esplicitamente definito come fonte sovraordinata alla legge regionale; la Corte, pertanto, pur avendo negato in precedenti decisioni la natura di “costituzioni regionali” degli statuti, definendoli quali atti a competenza riservata e specializzata (sentt. nn. 372, 378 e 379 del 2004), sembra aver delineato i rapporti tra quest’ultimi e la legge regionale in termini di gerarchia (De Siervo) piuttosto che di separazione di competenze (Anzon, Sorrentino).
Riguardo al procedimento d’approvazione degli statuti alcune precisazioni sono poste con riferimento alla pubblicazione dello statuto regionale; in particolare la Corte ha ritenuto che il procedimento previsto dall’art. 123 Cost. debba ritenersi sottratto all’autonomia statutaria, da cui deriva l’incostituzionalità, pertanto, di quelle disposizioni che intervengano su tale procedimento “rettificandolo”; al più, infatti, può consentirsi l’adozione di alcuni accorgimenti tesi ad evitare la sovrapposizione tra i due controlli previsti dall’art. 123 (sent. n. 12).
Sul piano dei contenuti statutari, invece, ha trovato conferma quanto stabilito dalla sentenza n. 313 del 2003, con la conseguente incostituzionalità di leggi regionali che, in mancanza dell’adozione di un nuovo statuto, attribuiscano alla Giunta regionale il potere regolamentare in determinati ambiti (sent. n. 119).
 
 
3.2. La forma di governo regionale
 
Indicazioni assai rilevanti sono fornite dalla giurisprudenza costituzionale riguardo alla forma di governo regionale con la sentenza n. 12.
Anzitutto, la Corte ha dato una lettura assai rigida delle disposizioni costituzionali in materia, in particolare riguardo alla forma di governo ad elezione diretta del Presidente della Giunta regionale; con la sostanziale conseguenza di escludere quasi del tutto la possibilità per gli statuti di “modellare” tale forma di governo (Mangiameli). A detta della Corte, infatti, poiché in forme di governo quale quella in esame il corpo elettorale investe contemporaneamente il Presidente della Giunta del potere esecutivo ed il Consiglio del potere legislativo e di controllo nei confronti del Presidente, deve presumersi nella fase iniziale della legislatura regionale la sussistenza di una certa armonia dell'indirizzo politico tra i due organi; pertanto, tra questi non sussiste “una relazione fiduciaria assimilabile a quella tipica delle forme di governo parlamentari, ma un rapporto di consonanza politica, istituito direttamente dagli elettori, la cui cessazione può essere ufficialmente dichiarata sia dal Presidente sia dal Consiglio con atti tipici e tassativamente indicati dalla Costituzione” (con applicazione del c.d. principio aut simul stabunt aut simul cadent).
In conseguenza di tali principi, quindi, deve escludersi, da un lato la possibilità di prevedere negli statuti una qualsiasi forma d’investitura fiduciaria dell’esecutivo regionale all’inizio della legislatura; dall’altro l’introduzione di circuiti fiduciari collaterali ed accessori, come le mozioni di sfiducia individuale indirizzate dal Consiglio verso i singoli assessori, che comportino l’obbligo per il Presidente di sostituire l’assessore sfiduciato, le quali lederebbero la prerogativa presidenziale di nominare e revocare gli assessori (art. 122, comma 5, Cost.) (18).
L’autonomia statutaria risulta limitata anche riguardo alle conseguenze attribuibili alla votazione della mozione di sfiducia al Presidente. La Corte, infatti, ha ritenuto in contrasto con l’art. 126, commi 1 e 3, Cost., le disposizioni dello statuto abruzzese che prevedevano la decadenza della Giunta e del suo Presidente come effetto dell’approvazione della mozione di sfiducia, poiché conseguenza certamente sproporzionata quando non motivata dal ricorrere di comportamenti anitigiuridici o pericolosi per la sicurezza nazionale, la quale inoltre impedirebbe l'emanazione di atti urgenti e indifferibili.
 
 
3.3. Statuti regionali e leggi elettorali
 
Qualche spunto interessante si registra anche per quanto concerne i rapporti tra lo statuto regionale e la disciplina elettorale, che ai sensi dell’art. 122 Cost. è rimessa alla potestà legislativa concorrente Stato-Regioni.
Nella sent. n. 3la Corte ha ritenuto non lesiva degli artt. 122 e 123 Cost. la disposizione di cui alla legge elettorale della Regione Marche (art. 4, comma 1, l. n. 27/2004), la quale fissa in 42 più il Presidente della Giunta regionale il numero dei consiglieri regionali, mentre lo Statuto regionale successivamente pubblicato prevede che il Consiglio regionale sia composto da 42 membri (art. 7, comma 1), ma anche che il Presidente della Giunta, eletto in concomitanza al Consiglio, ne faccia parte (art. 11, comma 2). Infatti, da un lato l'interpretazione letterale e sistematica di tali norme statutarie porta ad escludere che il Presidente della Giunta regionale sia considerato un componente del Consiglio regionale come gli altri membri di esso e dunque compreso nel numero dei 42; dall’altro lato, l’efficacia della disposizione impugnata era comunque differita all’entrata in vigore del nuovo statuto regionale, non ancora adottato in quel momento e dunque non poteva determinarsi alcun problema relativo all’ambito della potestà legislativa regionale in materia.
 
 
3.4. Il procedimento legislativo regionale
 
La Corte è poi ritornata (19), con la già citata sentenza n. 12, sui c.d. “organi di garanzia statutaria”, in particolare riguardo a un possibile coinvolgimento degli stessi nel procedimento legislativo regionale. Si ribadisce così che la previsione statutaria di un eventuale parere sui progetti di legge da parte di organi siffatti non reca alcun pregiudizio alle attribuzioni del Consiglio regionale ai sensi dell’art. 121 Cost., rientrando nella disciplina del procedimento legislativo regionale, la quale va ricompresa nei principî fondamentali di organizzazione e funzionamento di cui all'art. 123, primo comma, Cost. (20).
3.5. Le prerogative dei consiglieri regionali
 
Interessante risulta infine quanto deciso sul ricorso per conflitto d’attribuzione con la sentenza n. 221. Ivi, infatti, la Corte ha ripercorso quanto affermato in precedenti decisioni riguardo ai limiti all’insindacabilità delle opinioni espresse dai consiglieri regionali (21), di cui all’art. 122 Cost.. Com’è noto, la giurisprudenza consolidata richiede la sussistenza di un nesso funzionale tra l'opinione espressa in sede consiliare e la sua successiva divulgazione; il che comporta la necessità di una sostanziale corrispondenza di contenuto fra le stesse, che non può essere soddisfatta da una generica comunanza di argomento idonea a ricondurre entrambi gli atti ad un generico, comune contesto politico. Inoltre, deve sussistere una “sostanziale contestualità” tra le due dichiarazioni e ciò esige che vi sia un ragionevole collegamento temporale tra atto tipico e sua divulgazione, pena la stessa interruzione del nesso funzionale. Tale contestualità, dunque, non può certo ravvisarsi quando tra i due atti vi sia un intervallo di tempo così ampio da risultare incompatibile con la stessa finalità divulgativa, come per le dichiarazioni rese alla stampa oltre un anno dopo la presentazione di una mozione consiliare (che è il caso di cui alla sentenza in esame). E ancor più pregnante è la sussistenza del requisito della contestualità nei casi in cui l’atto consiliare sia successivo alla dichiarazione esterna, pena l’inversione dell'ordine logico, prima che giuridico tra i due atti (così nel caso di specie, ove erano intercorsi dieci giorni tra dichiarazione alla stampa e atto consiliare).
 
  
4.      Il limite degli obblighi comunitari e art. 117, comma 5
 
Alcune riflessioni di non poco momento possono farsi anche riguardo ai rapporti tra ordinamento interno e comunitario.
L’idoneità degli norme comunitarie a porsi, ai sensi dell’art. 117, comma 1, Cost., quale parametro interposto di costituzionalità di atti legislativi, dunque, viene riconosciuta (sentt. nn. 51, 80, 119 e 246), purché sia adeguatamente specificato l’obbligo comunitario la cui pretesa violazione comporti la lesione della disposizione costituzionale (sent. n. 51).
Nello specifico, in materia di appalti, stabilendo la normativa comunitaria, recepita da atti legislativi nazionali, il ricorso alle procedure di evidenza pubblica per tutti i casi di affidamento di opere sopra un certo valore, la legge regionale non può prevedere forme di scelta del contraente secondo procedure diverse, per appalti che eguaglino o superino la soglia comunitaria (sent. n. 129).
Riguardo all’attuazione del diritto comunitario la Corte ha ribadito quanto già precisato nella sentenza n. 129 del 1996, secondo cui le esigenze unitarie poste a base di un eventuale accentramento nello Stato della competenza ad attuare una direttiva comunitaria – in deroga al riparto costituzionale di competenze legislative – devono discendere con evidenza dalla stessa normativa comunitaria, sulla base di esigenze organizzative che ragionevolmente facciano capo all'Unione europea. (sent. n. 398).
Si conferma inoltre la legittimità delle c.d. “norme statali cedevoli”, tese ad introdurre una disciplina attuativa di obblighi comunitari, anche in ambiti di competenza delle Regioni, nel caso d’inerzia o inadempimento delle stesse (sent. n. 399).
 
 
5. Potere regolamentare
 
Nel 2006 la Corte ha avuto modo nuovamente di soffermarsi sulla nuova ripartizione del potere regolamentare tra Stato, Regioni ed enti locali.
In particolare, nella sent. n. 246, la Corte sembra aver interpretato l’art. 117, comma 6, Cost. come recante una vera “riserva di regolamento locale” riguardo all’organizzazione e allo svolgimento delle funzioni fondamentali attribuite agli enti locali con legge (Di Genio). Pertanto, sebbene in base all’art. 118 Cost. si riconosca in capo al legislatore regionale, nell'ambito delle proprie competenze legislative, la possibilità di disporre discrezionalmente dell’allocazione di funzioni amministrative agli enti locali, ulteriori rispetto alle loro funzioni fondamentali, ciò non consentirebbe di affidare ad un organo della Regione – neppure in via suppletiva – la potestà regolamentare propria dei Comuni o delle Province in riferimento a quanto attribuito loro dalla legge regionale medesima; ai sensi dell’art. 117, comma 6, Cost., infatti, solo gli enti locali possono adottare i regolamenti relativi all'organizzazione ed all'esercizio delle funzioni loro affidate dalla Regione.
L’art. 117, comma 6, Cost., viene in rilievo anche nella sent. n. 328, ove la Corte ha annullato, in un conflitto d’attribuzione, un regolamento ministeriale adottato in ambiti in cui s’intrecciavano competenze regionali concorrenti e residuali.
 
 
6.      Riparto delle competenze, sussidiarietà, leale collaborazione
 
6.1.   La c.d. “chiamata in sussidiarietà”
 
La giurisprudenza costituzionale del 2006 presenta diversi casi di “chiamata in sussidiarietà” delle funzioni amministrative.
La Corte ha avuto così modo di ribadire conclusioni omai consolidate riguardo a tale peculiare procedura tesa a tutelare, in virtù del principio di sussidiarietà, esigenze di esercizio unitario a livello statale di determinate funzioni amministrative (22). Se, dunque, è legittima l’attrazione di tali funzioni, nonché della relativa potestà legislativa, da un lato la valutazione dell'interesse pubblico alla base di tale “attrazione” deve risultare proporzionata e ragionevole alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità; dall’altro, ci deve essere un coinvolgimento della Regione interessata, in conformità al principio di leale collaborazione, anche se non sempre chiaro appare invece il momento in cui tale coinvolgimento regionale deve avvenire (se nella fase legislativa o in quella amministrativa del procedimento, come la sent. n. 6 del 2004 sembrava aver indicato) (sent. n. 214).
Com’è noto, tali principi hanno trovato primaria applicazione in materia d’infrastrutture e opere pubbliche, la qual cosa trova conferma anche nel 2006 (sent. n. 214, in ambito di concessioni autostradali).
Ulteriori ambiti di applicazione si sono registrati riguardo al turismo, censurandosi l’art. 12 del d. l. n. 35/2005, ove si prevedevano in capo ad un organo istituito con legge statale (il Comitato nazionale per il turismo) determinati poteri di coordinamento stabile delle politiche del settore turistico, nonché la sua promozione all’estero; misura senz’altro sproporzionata, attribuendo ad un organo statale una generalità di attività di coordinamento del settore, in carenza tra l’altro di qualsiasi coinvolgimento regionale nell’istituzione del Comitato (sent. n. 214). Legittima, invece, è la previsione (art. 12, commi 2, 3, 4 e 7 del d.l. n. 35/2005) di poteri in capo all’Agenzia nazionale del turismo (già ENIT), sotto la vigilanza del Ministero delle Attività produttive, con specifiche funzioni promozionali nel settore turistico; in tal caso, infatti, la proporzionalità dell’intervento è data dall’esigenza di garantire unitarietà all’attività di promozione del turismo italiano e il coinvolgimento regionale è assicurato dalla previa intesa per la nomina di tutti gli organi dell’Agenzia (sent. n. 214).
Ulteriori casi di “assunzione in sussidiarietà” si sono poi registrati in materia di governo del territorio, a tutela delle esigenze di repressione penale degli abusi edilizi (sent. n. 183), e di pesca (sent. n. 213).
 
 
6.2.   Leale collaborazione
 
Il principio di leale collaborazione viene individuato dalla Corte quale criterio che “deve presiedere a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e Regioni: la sua elasticità e la sua adattabilità lo rendono particolarmente idoneo a regolare in modo dinamico i rapporti in questione, attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti” (sent. n. 31). Tuttavia, trattandosi di un parametro fortemente generico, esso richiede continue precisazioni e concretizzazioni, che possono essere di natura legislativa, amministrativa o giurisdizionale. Un certo favor è dato dalla Corte al sistema delle Conferenze Stato-Regioni e autonomie locali (sent. n. 31).
Con particolare attenzione all'attribuzione alle Regioni ed agli enti locali delle funzioni amministrative, la materia è certamente sorretta dal principio di sussidiarietà, ma in numerosi casi è necessario anche attenersi scrupolosamente al principio costituzionale di leale collaborazione, poiché può sorgere l’esigenza di bilanciare l'interesse dello Stato e gli interessi delle collettività locali (sent. n. 31). Così, ad esempio, nella disciplina del demanio idrico e in particolare nel procedimento di sdemanializzazione di aree statali, proprio il bilanciamento tra le esigenze dello Stato e gli interessi delle Regioni e delle comunità locali, che alla gestione del demanio idrico sono deputate, rende illegittima, in assenza di chiara e giustificata previsione legislativa, la totale esclusione delle comunità regionali dal procedimento di sdemanializzazione; il parere favorevole delle stesse, d’altronde, trova la sua fonte in un preciso accordo assunto in Conferenza, che non può essere unilateralmente derogato, salvo il ricorrere di particolari esigenze che devono comunque trovare espressa previsione legislativa (sent. n. 31).
Come si osservava nel paragrafo precedente, il rispetto del principio di leale collaborazione riveste un ruolo assai rilevante nell’ambito della c.d. “chiamata in susssidiarietà”, rendendo sempre necessario un adeguato coinvolgimento regionale, normalmente nella veste dell’intesa “in senso forte” (23). Così, senz’altro illegittima è la nomina da parte del Ministro dell'ambiente del commissario straordinario dell'Ente Parco nazionale dell'arcipelago toscano, in assenza di avvio e prosecuzione del procedimento per raggiungere l'intesa con la Regione Toscana per la nomina del Presidente dello stesso Ente; il che esige, laddove occorra, lo svolgimento di reiterate trattative volte a superare le divergenze che ostacolino il raggiungimento di un accordo e che sole legittimano la nomina del commissario straordinario (sent. n. 21).
Tuttavia, l’accessorietà della funzione di vigilanza alla titolarità della funzione a cui essa attiene (vedi infra, par. 7) esclude che il coinvolgimento della Regione debba realizzarsi nella necessaria forma dell’intesa anche per questo aspetto. Una volta attratte a livello statale, infatti, le funzioni amministrative debbono ritenersi statali e, per quelle di vigilanza, «non vi è alcuna prescrizione costituzionale dalla quale possa desumersi che il livello di collaborazione regionale debba consistere in una vera e propria intesa, anziché nella richiesta del parere del Presidente della Regione» (sent. n. 214).
Sotto un altro aspetto, deve ricordarsi che il mancato coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni nella fase di emanazione di decreti legge o in quella della loro conversione in legge, in ambiti che incidono su competenze regionali, non integra, di per sé, un vizio di costituzionalità della norma statale, né postula la lesione del principio di leale collaborazione (sent. n. 181) (24).
Infine, si ricordi che il principio di leale cooperazione costituisce il criterio, in concorrenza con quello di prevalenza, con cui vengono generalmente risolti i casi d’intreccio di competenze (vedi infra, par. 7.1). Il rispetto di tale principio, infatti, non può venir meno neanche qualora lo Stato eserciti competenze rimesse alla sua potestà legislativa esclusiva, quando queste si presentano connesse o intrecciate con competenze legislative regionali (sent. nn. 133 e 156), come è frequente nel caso di coinvolgimento delle c.d. competenze esclusive statali “trasversali” (sent. n. 134).
 
 
6.3.   Poteri sostitutivi
 
Ribadendo quanto aveva avuto modo di precisare già con la sentenza n. 43 del 2004 (e con numerose sentenze successive (25)), la Corte ha sottolineato l’ammissibilità di leggi regionali le quali, nelle materie di propria competenza, prevedano l’esercizio di poteri sostitutivi in capo a organi regionali, in caso di inerzia o di inadempimento da parte dell’ente locale ordinariamente competente, al fine di salvaguardare interessi unitari che sarebbero compromessi dall'inerzia o dall'inadempimento medesimi. Tuttavia, l’eccezionalità di tali poteri sostitutivi comporta la necessità che la legge regionale rispetti l’autonomia costituzionalmente garantita degli enti locali e dunque, in conformità al principio di leale collaborazione, appresti congrue garanzie procedimentali per l’esercizio di detti interventi sostitutivi (sent. n. 397).
Le garanzie sopra ricordate, però, operano solo nei confronti di enti la cui autonomia trovi in Costituzione una precisa garanzia, ai sensi dell’art. 118 Cost., per i quali dunque la sostituzione da parte di organi regionali costituisce un’invasione, seppur giustificata, di propri ambiti di competenza amministrativa; diversamente, invece, deve affermarsi per enti sub-regionali privi di detta autonomia costituzionale, quali le Comunità montane. Ciò, comunque, non esclude che anche il potere sostitutivo esercitato nei confronti di detti enti debba comunque soggiacere «alle regole procedimentali eventualmente predeterminate di volta in volta dal legislatore, nonché al principio generale del giusto procedimento, che impone di per sé la garanzia del contraddittorio a tutela degli enti nei cui confronti il potere è esercitato» (sent. n. 397).
 
 
7.      Oggetto e materie
 
Alcune interessanti considerazioni generali sono ribadite dalla Corte riguardo alla disciplina delle sanzioni (26). La natura accessoria di tale potestà fa sì che il potere sanzionatorio debba attribuirsi allo Stato o alle Regioni in ragione della competenza a cui tale potere accede, in virtù della specifica competenza legislativa che la Costituzione ritiene più adatta alla tutela di determinati diritti o interessi (sentt. nn. 63, 106 e 116; ord. n. 199) (27). Inoltre, l'esigenza di una disciplina uniforme del sistema sanzionatorio comporta che, anche nei casi d’intreccio di competenze, il mero ricorrere di un titolo d’intervento statale, anche di tipo concorrente, può giustificare l’attribuzione alla competenza statale del regime delle sanzioni (sent. n. 106).
Da quanto detto deriva anche l’impossibilità di riconoscere l’esistenza di una materia della “vigilanza”, poiché «questa deve essere considerata accessorio naturale della competenza sanzionatoria sia statale sia regionale (sentenza n. 384 del 2005)» (sentt. nn. 63 e 106); il che, ovviamente, non esclude affatto che le Regioni possano essere coinvolte nelle attività di vigilanza, attenendo necessariamente alla competenza statale solo l’individuazione dei comportamenti da qualificarsi come violazioni e l’irrogazione delle relative sanzioni.
Sempre su un piano generale deve ricordarsi che, così come organi dello Stato possono essere chiamati a dare applicazione a leggi regionali, ove queste disciplinino oggetti di loro competenza, ugualmente gli organi della Regione devono far rispettare le leggi dello Stato, senza che ciò possa essere considerato illegittima interferenza nella potestà legislativa regionale (sent. n. 63).
 
 
7.1.       Intreccio di più materie e competenze in un unico oggetto
 
7.1.1. Principi generali
 
La complessità della realtà sociale da regolare comporta sovente una notevole difficoltà nel riferire le normative ad una sola materia, concernendo situazioni non omogenee, ricomprese in materie diverse sotto il profilo della competenza legislativa.
Tale intreccio di competenze, che deve essere oggetto di analisi caso per caso, con riguardo alle concrete fattispecie normative (sent. n. 213), è assai comune soprattutto quando vi sia il coinvolgimento delle c.d. competenze esclusive statali “trasversali” (sent. n. 134).
In siffatti casi, dunque, deve farsi applicazione o del criterio della prevalenza di una materia sull'altra o del principio di leale collaborazione, come più volte la Corte ha avuto modo di sottolineare (sentt. nn. 133 e 213) (28): il criterio della prevalenza viene certamente in soccorso qualora appaia evidente l’appartenenza del nucleo essenziale di un complesso normativo ad una materia piuttosto che ad altre (sentt. nn. 133, 181, 222 e 422) (29); in ogni altro caso, invece, deve ricorrersi al principio di leale collaborazione (sentt. nn. 133, 156 e 406).
 
 
7.1.2.   Casi pratici d’intreccio di competenze e materie
 
Un caso in cui competenze statali e regionali si trovano fortemente intrecciate si registra nella sentenza n. 116, avente ad oggetto la materia degli OGM. In tale ambito, un ruolo assai rilevante assumono le disposizioni di recepimento di normative comunitarie, che prevedono un principio di coesistenza tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali, rendendo lecite dunque le colture con l’impiego di OGM autorizzati a livello comunitario. Si tratta di materia, pertanto, in cui vengono in discussione competenze esclusive statali, quale la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; di tipo concorrente, come la tutela della salute e della ricerca scientifica; residuali regionali, quale l’agricoltura. In virtù della competenza in materia di tutela dell’ambiente, nonché del potere di dettare i principi fondamentali riguardo alla tutela della salute, solo alla legislazione statale spetta la specificazione del principio di coesistenza, con l’eliminazione dunque di tutti i limiti posti dalle legislazioni regionali. Tale specificazione, infatti, rappresenta il punto di sintesi tra divergenti interessi di rilievo costituzionale: la libertà di iniziativa economica dell'imprenditore agricolo e l'esigenza che tale libertà non sia esercitata in contrasto con l'utilità sociale. Ora, l'imposizione di limiti di tal specie alla libertà di iniziativa economica può giustificarsi solo sulla base di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali, la cui elaborazione non può che spettare alla legge dello Stato, chiamata ad individuare in modo uniforme e vincolante per le Regioni il punto di equilibrio fra esigenze contrapposte (30). Per quanto concerne i profili attinenti alla coltivazione a fini produttivi, invece, attenendo essenzialmente alla materia dell’agricoltura, di competenza residuale delle Regioni, la legislazione regionale può intervenire sulle modalità di applicazione del principio di coesistenza, al fine di adattarlo alla caratteristiche morfologiche e produttive delle singole zone agricole.
Fortemente intrecciata anche la disciplina relativa all’installazione, alla localizzazione e all’esercizio degli impianti di comunicazione elettronica, ove si sovrappongono il governo del territorio, l’ordinamento della comunicazione, la tutela della salute (sent. n. 265, per cui vedi infra par. 9.7, e sent. n. 450). Con particolare attenzione a queste ultime due materie, sulla base di principi desumibili dalla legislazione statale, la definizione delle tecnologie concernenti gli impianti che, unitariamente, costituiscono la rete delle infrastrutture di comunicazione elettronica è riservata allo Stato (l. n. 36 del 2001 e d.lgs. n. 259 del 2003). Ciò, dunque, esclude una competenza regionale per quanto attiene alla approvazione dei progetti di rete o delle relative varianti che si discostino dagli standard tecnici fissati in sede nazionale. Ferma la suddetta competenza dello Stato, invece, le normative regionali possono prevedere scambi o acquisizioni di informazioni, anche d'ordine tecnico, tra i soggetti (o dai soggetti) variamente interessati alla realizzazione della rete infrastrutturale (sent. n. 450).
La disciplina relativa agli impianti concernenti infrastrutture necessarie alle comunicazioni elettroniche ha punti di collegamento anche con la potestà legislativa esclusiva dello Stato, di tipo trasversale, sulla tutela dell'ambiente e sulla tutela della concorrenza (31). Il principio fondamentale di cui all'art. 93 del d.lgs. n. 259 del 2003, in particolare, vieta a tutte le pubbliche amministrazioni di imporre «oneri o canoni» che non siano stabiliti dalla legge statale, perseguendo dunque la finalità di garantire a tutti gli operatori un trattamento uniforme e non discriminatorio; si deve escludere, dunque, la previsione di un potere della Giunta regionale di determinare la misura di oneri economici posti a carico degli operatori, in relazione all'attività di consulenza tecnica svolta dall'ARPA (sent. n. 450).
Un ulteriore caso di forte intreccio di competenze si registra nella sentenza n. 133, avente ad oggetto l’istituzione di un fondo destinato ad incentivare la produzione di energie tratte da fonti rinnovabili. In tal caso, infatti, sono coinvolte una pluralità di materie, di potestà esclusiva statale e ripartita (tutela dell’ambiente, ricerca scientifica, produzione di energia), di cui alcune non si esauriscono in un delimitato ambito materiale (tutela dell’ambiente e ricerca scientifica). Il rispetto del principio di leale collaborazione in tale ambito, pertanto, comporta, nella fase di attuazione della disposizione e di erogazione delle risorse, il raggiungimento di un’intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, come previsto dalla legge statale (legge n. 239 del 2004).
Una sovrapposizione di competenze si riscontra anche relativamente alla disciplina della formazione continua del personale sanitario, in particolare alla c.d. ECM (formazione continua dei medici) di cui al d. lgs. n. 502 del 1992, ascrivibile sia alla tutela della salute, di potestà concorrente, sia alla formazione professionale, di potestà residuale delle regioni; in ogni caso, si tratta di materie su cui non può esercitarsi, ai sensi dell’art. 117, comma 6, Cost., il potere regolamentare dello Stato (sent. n. 328).
Intreccio di competenze, da risolversi secondo il canone della leale cooperazione, dunque mediante forme di cooperazione tra Stato e Regioni, sono riscontrate dalla Corte anche in materia di immigrazione, ove la riserva statale s’intreccia con le competenze regionali sul piano sociale e assistenziale (vedi infra 8.3) (sent. n. 156), nonché per la disciplina dell’apprendistato (32), ove concorrono sia la potestà esclusiva statale in materia di ordinamento civile, sia quella concorrente in materia di tutela del lavoro, sia il complessivo ordinamento dell’istruzione (sentt. nn. 406 e 425).
 
 
7.2.   Materie-non materie
 
Poche novità si registrano riguardo alle c.d. materie “trasversali” (o materie-non materie [D’Atena]), tra le quali sono state analizzate la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, la tutela della concorrenza (sentt. nn. 29 e 80) nonché la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (sentt. nn. 133 e 398).
 
 
8.       Potestà esclusiva statale
  
8.1.   Autonomo titolo di legittimazione: la ricerca scientifica
 
La Corte ha attribuito un valore peculiare alla materia della ricerca scientifica, in quanto tesa al perseguimento di finalità la cui promozione può essere perseguita anche con una disciplina che concerna diversi ambiti di competenza. Pertanto, qualora la ricerca verta su materie di competenza esclusiva statale, a queste occorre riferirsi per stabilire la competenza legislativa (sent. n. 133) (33).
 
 
8.2.   Politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea (lett. a)
 
La politica estera è individuata dalla Corte, in virtù della riserva di cui all’art. 117 Cost., quale componente peculiare e tipica dell'attività dello Stato, che ha un significato al contempo diverso e specifico rispetto al termine “rapporti internazionali”. Infatti, «mentre i “rapporti internazionali” sono astrattamente riferibili a singole relazioni, dotate di elementi di estraneità rispetto al nostro ordinamento, la “politica estera” concerne l'attività internazionale dello Stato unitariamente considerata in rapporto alle sue finalità ed al suo indirizzo» (sent. n. 211). Ne deriva, pertanto, l’illegittimità costituzionale di qualsiasi disposizione regionale che intervenga nella sfera della politica estera, come nell’ambito della cooperazione allo sviluppo (sent. n. 211).
La competenza statale in questione, invece, non può essere certo lesa delle attribuzioni regionali in materia di controllo d’incidenti rilevanti, sulla base che l'eventuale informazione dei servizi di sicurezza di altri Stati non potrebbe che essere attuata a cura dello Stato. La semplice ed eventuale trasmissione di informazioni riguardanti piani di emergenza locali, che può essere peraltro effettuata attraverso gli appropriati organi statali, in alcun modo è invasiva della competenza in esame (sent. n. 32).
 
 
8.3.   Immigrazione (lett. b)
 
La materia dell’immigrazione ha trovato disciplina nel decreto legislativo n. 286 del 1998, che già in vigenza del vecchio Titolo V attribuiva alle Regioni alcune competenze in ambito sociale e assistenziale, istituendo anche meccanismi di cooperazione tra Stato e Regioni. Ancor di più nel nuovo riparto di competenze legislative, pertanto, deve riconoscersi la sussistenza di legittime competenze regionali, soprattutto sul piano assistenziale, che possono intrecciarsi con la competenza statale in materia; sembra così potersi distinguere tra “politiche dell’immigrazione”, di competenza statale (attinenti essenzialmente le modalità di acceso e soggiorno degli stranieri in Italia) e “politiche per gli immigrati”, che più che altro concernono l’ambito assistenziale (Corsi, Baldin, Ruggeri-Salazar). La legittimità di tali interventi regionali è comunque certa quando questi avvengano nel rispetto delle prerogative statali (quale ad esempio quella riguardo ai casi e alle modalità di rilascio del permesso di soggiorno) e delle forme di collaborazione Stato-Regioni previste dalla normativa statale (sent. n. 156).
Allo Stato, comunque, è senz’altro consentita la previsione di forme di raccordo tra lo Sportello unico per l'immigrazione e gli uffici regionali e provinciali per l'organizzazione e l'esercizio di funzioni amministrative in materia di lavoro attribuite allo sportello medesimo; tale previsione, infatti, è tesa ad assicurare la funzionalità del procedimento volto a disciplinare l'ingresso e l'avviamento al lavoro del cittadino extracomunitario e dunque espressione della competenza statale in esame (sent. n. 407).
 
 
8.4.   Tutela della concorrenza; sistema tributario e contabile dello Stato (lett. e)
 
8.4.1.   Tutela della concorrenza
 
In continuità con la sua giurisprudenza (34), nel sottolineare la natura trasversale della competenza statale sulla tutela della concorrenza, la Corte ha specificato che essa ha una portata così ampia da legittimare interventi dello Stato volti sia a promuovere sia a proteggere l'assetto concorrenziale del mercato (sent. n. 80).
Nella sentenza n. 29la Corte ha ricondotto così alla competenza in esame la disciplina di cui all’art. 113 del T.U.sugli enti locali, in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, in particolare le procedure per l’affidamento della gestione delle reti e dei servizi stessi. Pur incidendo su una materia che di per sé appartiene alla competenza residuale delle Regioni (servizi pubblici locali), infatti, le disposizioni ivi contenute, disciplinando l'affidamento della gestione dei servizi di rilevanza economica, sono finalizzate alla creazione di un sistema teso a salvaguardare la concorrenzialità del mercato; l’art. 113 può dunque ritenersi sostanzialmente quale norma-principio della materia, «alla cui luce è possibile interpretare il complesso delle disposizioni in esame nonché il rapporto con le altre normative di settore, nel senso cioè che il titolo di legittimazione dell'intervento statale in oggetto è fondato sulla tutela della concorrenza, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, e che la disciplina stessa contiene un quadro di principi nei confronti di regolazioni settoriali di fonte regionale» (35). Deve precisarsi, tuttavia, che solo le disposizioni di carattere generale che disciplinano le modalità di gestione e l'affidamento dei servizi pubblici locali di “rilevanza economica” costituiscono esercizio della competenza in esame e pertanto non possono essere derogate da norme regionali. Da ultimo, le suddette finalità garantistiche della concorrenza sono riconosciute anche alla disciplina transitoria, che, in modo non irragionevole, stabilisce i casi in cui cessano le concessioni già in essere, in relazione all'effettuazione di procedure ad evidenza pubblica e al tipo di società affidataria del servizio.
Alla normativa regionale, tuttavia, è consentito escludere le società a capitale interamente pubblico, alle quali gli enti locali abbiano attribuito la proprietà di reti, impianti e dotazioni patrimoniali destinati all’esercizio di servizi pubblici, dalla partecipazione alle gare ad evidenza pubblica indette per la scelta del soggetto gestore del servizio; non contenendo, infatti, la legge statale alcuna prescrizione su tale aspetto, vertendosi pur sempre in materia di competenza residuale delle Regioni, risulta legittima una disciplina integrativa siffatta (sent. n. 29).
Al contrario, invece, la legge regionale non può prevedere un divieto per le società a capitale interamente pubblico, già affidatarie in via diretta della gestione di un pubblico servizio, di partecipare alle gare per la scelta del gestore; il già citato art. 113 T.U.E.L., infatti, nel prevedere un divieto siffatto, ha stabilito una disciplina transitoria tesa a garantire un graduale riequilibrio del settore (sent. n. 29).
 
 
8.4.2.   Sistema tributario e contabile dello Stato
 
Nel 2006 si conferma l’orientamento ormai consolidato secondo cui la natura statale di un determinato tributo, istituito e disciplinato con legge dello Stato, non preclude l’eventuale attribuzione del gettito alle Regioni ed alle Province, benché escluda la possibilità per le stesse di legiferare su tale categoria di tributi (sentt. nn. 2, 412 e 413) (36). Infatti, pur nel caso di destinazione parziale o totale del gettito di tributi alle Regioni, lo Stato può legiferare sugli stessi anche con norme di dettaglio, senza che si determini alcuna violazione dell’autonomia tributaria regionale (sent. n. 155) (37). Tuttavia, in determinati casi sembra sussistere la possibilità di una potestà legislativa regionale integrativa (Caretti), nei limiti di quanto indicato dalla legge statale (sentt. nn. 412 e 413).
In applicazione di tali principi, pertanto, l’addizionale regionale IRPEF, istituita e regolata dal d. lgs. n. 446 del 1997, deve considerarsi a tutti gli effetti tributo statale, con la preclusione per le Regioni d’intervenire a regolare, anche in via integrativa, la misura di tale addizionale, se non nei limiti di quanto previsto dalla stessa normativa statale (sent. n. 2, ord. n. 148). Conclusioni analoghe possono farsi per l’IRAP e l’IRE (sent. n. 155), per l’ICI (sent. n. 75), salva l’autonomia espressamente concessa dalla stessa legge ai Comuni, nonché per il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi (sentt. nn. 412, 413).
I rapporti tra Stato e Regioni in materia tributaria, inoltre, devono far escludere che ogni intervento modificativo di un tributo che comporti un minor gettito per le Regioni debba essere accompagnato da misure compensative per la finanza regionale, tenuto conto, tra l’altro, che nel valutare il gettito complessivo destinato alla finanza regionale, e dunque la sussistenza di eventuali riduzioni, si deve considerare nel suo complesso la manovra fiscale; come già precisato dalla Corte (38), infatti, a seguito di manovre di finanza pubblica, possono anche determinarsi riduzioni nella disponibilità finanziaria delle Regioni, purché esse non siano tali da comportare uno squilibrio incompatibile con le complessive esigenze di spesa regionale e, in definitiva, rendano insufficienti i mezzi finanziari dei quali la Regione stessa dispone per l'adempimento dei propri compiti (sent. n. 155).
Da ultimo, la riserva allo Stato in materia comporta che il potere dominicale che spetta allo stesso, quale proprietario, di disporre dei propri beni, non incontra i limiti della ripartizione delle competenze secondo le materie (39) (sent. n. 213). E’ pertanto illegittima una norma regionale che affidi alla Giunta regionale la determinazione dell’ammontare del canone da corrispondere per la concessione dei beni del demanio marittimo, incidendo su prerogative spettanti esclusivamente allo Stato in qualità di ente proprietario di detto demanio (sent. n. 213).
 
 
8.5.   Ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali (lett. g)
 
L’attribuzione in via esclusiva allo Stato di tale competenza esclude che possa essere riconosciuta alle Regioni la possibilità di attribuire legislativamente − in forma autoritativa ed unilaterale − l'esercizio di funzioni pubbliche a uffici della amministrazione dello Stato o ad enti pubblici nazionali, seppure in sede locale; in tal modo, infatti, ne verrebbe all'evidenza compromessa la stessa funzionalità ed il buon andamento, il quale richiede «un modello normativo unitario e coordinato, cui riservare la individuazione e la organizzazione delle attribuzioni e dei compiti demandati a quegli uffici o a quegli enti (sentt. nn. 30 e 322)» (40). Al più, nelle materie di competenza regionale, è possibile immaginare forme di collaborazione e coordinamento, previste in leggi statali o in accordi, che coinvolgono compiti ed attribuzioni dello Stato (sentt. nn. 30, 213 e 322).
In tal senso, l'acquisizione, l'elaborazione e lo scambio di informazioni non determinano, di regola, alcuna lesione di attribuzioni statali o regionali, rappresentando meri strumenti di leale cooperazione tra Stato e Regioni, tesi a garantire il più efficiente esercizio delle attribuzioni tanto statali, quanto regionali” (sent. n. 42) (41).
Dunque, in virtù dei presupposti sin qui indicati, non è illegittima la previsione con legge regionale di meccanismi di destinazione di risorse umane e strumentali agli uffici giudiziari in base alla richiesta del capo degli uffici periferici degli organi giudiziari e non del Ministro della Giustizia. Premesso, tra l’altro, che la Costituzione non stabilisce una riserva di competenza organizzativa del Ministro della Giustizia in ordine a qualunque servizio comunque in relazione con la giustizia, nessun vincolo a carico di organi dello Stato può derivare dalla mera previsione di una richiesta, di carattere facoltativo, di personale e beni strumentali fatta dai capi degli uffici giudiziari periferici (sent. n. 207).
Né può ritenersi lesiva della competenza in esame la previsione con legge regionale di un’attività regionale di promozione d’intese con lo Stato o Amministrazioni indipendenti, trattandosi di disposizioni che si rivolgono esclusivamente alla Regione, senza disciplinare unilateralmente funzioni statali (sent. 246).
Lede invece detta competenza una disciplina regionale che stabilisca un coinvolgimento delle Forze dell’ordine e di pubblica sicurezza, mediante la fissazione unilaterale di obblighi in capo alle stesse, nella disciplina dei compiti e ruoli della Regione nell’attività di prevenzione e spegnimento degli incendi (sent. n. 322).
 
 
8.6.   Ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale (lett. h)
 
In continuità con la sua giurisprudenza (42), anche antecedente alla riforma del Titolo V (43), la Corte ha individuato la riserva di competenza allo Stato in materia soltanto nelle funzioni primariamente dirette a tutelare beni fondamentali, quali l'integrità fisica o psichica delle persone, la sicurezza dei possessi ed ogni altro bene che assume prioritaria importanza per l'esistenza stessa dell'ordinamento. La sicurezza pubblica, dunque, va intesa in termini restrittivi, come relativa alle sole misure inerenti alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell'ordine pubblico (sentt. nn. 222 e 237) (44). Il che, tra l’altro, può comportare anche l’opportunità che l'ordinamento statale persegua opportune forme di coordinamento tra Stato ed enti territoriali, tese a migliorare le condizioni di sicurezza dei cittadini e del territorio, anche mediante accordi fra gli enti interessati (sent. n. 105) (45).
Ne deriva, pertanto, la piena legittimità di attività regionali conoscitive del fenomeno della criminalità, mediante l’attivazione di organismi di studio e ricerca in materia di sicurezza, che in nessun modo possono ledere la competenza statale (sent. n. 105).
Alla materia in questione deve poi ricondursi anche la regolamentazione dell’addestramento delle razze canine, quando finalizzato alla salvaguardia dell’incolumità pubblica dal rischio di aggressione da parte di animali addestrati secondo modalità tali da stimolarne l’aggressività. La ratio d’interventi siffatti, in quanto tesa essenzialmente alla prevenzione di reati contro la persona, consente di ricondurre il nucleo essenziale di tale disciplina, che pure incide su competenze regionali (quale la tutela della salute) alla materia dell’ordine pubblico e sicurezza, secondo il criterio di prevalenza sopra esaminato (vedi par. 6.1) (sent. n. 222).
Rientra certamente nella potestà legislativa in esame la disciplina dei giochi d’azzardo, nonché di quei giochi i quali, pur non classificati propriamente quali “giochi d’azzardo”, presentino un elemento aleatorio e comportino la distribuzione di vincite. Più in particolare, le prescrizioni in tema di numero di apparecchi per tali giochi e di modalità di installazione degli stessi costituiscono espressione di tale competenza statale; infatti, si tratta di macchine che, seppur lecite, possono avere effetti pericolosi per la sicurezza pubblica, qualora non controllate, potendo incentivare in maniera eccessiva la propensione al gioco (sent. n. 237).
Emerge, pertanto, come la Corte adotti un criterio “finalistico” al fine di ricondurre le discipline statali al titolo competenziale in questione, legittimando così la compressione delle competenze regionali spesso connesse (Bonetti).
 
 
8.7.   Giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa (lett. l)
 
8.7.1.   Ordinamento civile
 
Tra gli aspetti fatti rientrare dalla Corte nell’ordinamento civile deve registrarsi la conferma di quanto precedentemente stabilito riguardo alla disciplina del c.d. mobbing (46). Viene infatti ribadito che, avuto riguardo alla condotta di coloro che pongono in essere gli atti e comportamenti vessatori nei confronti del lavoratore, la relativa disciplina rientra essenzialmente nell'ordinamento civile (sentt. nn. 22, 238 e 239). Allo Stato spetta, pertanto, la competenza a dettare la definizione del mobbing ove e quando lo ritenga opportuno (sent. n. 22). In riferimento alle conseguenze prodotte dagli atti e comportamenti vessatori, invece, emergono profili attinenti alla salute del lavoratore e alla qualificazione degli atti da lui compiuti, in relazione ai quali la disciplina del mobbing è riconducibile anche alla tutela della salute e alla tutela e sicurezza del lavoro (sentt. nn. 22, 238 e 239); per tali aspetti, dunque, le Regioni possono intervenire con propri atti normativi, anche con misure di sostegno idonee a studiare il fenomeno in tutti i suoi profili e a prevenirlo o limitarlo nelle sue conseguenze (sent. n. 22).
Viola evidentemente la competenza statale in materia un legge regionale che operi un diretto trasferimento coattivo di beni di proprietà da una persona giuridica estranea all’ordinamento sanitario regionale – la Fondazione Ordine Mauriziano – ad una A.S.L.; incidendo sul patrimonio della persona giuridica in questione, infatti, la legge regionale incide certamente sull’ordinamento civile, che comprende i trasferimenti patrimoniali tra persone giuridiche(sent. n. 173).
L’attribuzione allo Stato in via esclusiva della competenza in esame impedisce inoltre alle Regioni la possibilità d’intervenire su istituti disciplinati dal codice civile, quali quello della rappresentanza, dell’autonomia negoziale, nonché sulla disciplina degli atti di disposizione del proprio corpo (sent. n. 253).
Non invade invece la materia in questione una disciplina regionale di forme di garanzia di pari opportunità nell’accesso ai percorsi di formazione e di riqualificazione professionale per le persone che risultino discriminate e esposte al rischio di esclusione sociale per motivi derivanti dall'orientamento sessuale o dall'identità in genere; trattasi, infatti, di aspetti che non incidono sulla disciplina dei singoli contratti di lavoro, rientrando invece nell’ambito della istruzione e formazione professionale (vedi infra, par. 11.7), di potestà residuale delle Regioni (sent. n. 253).
Sul piano della determinazione negativa della materia viene invece escluso che possa rientrare nell’ordinamento civile ogni disciplina, la quale tenda a regolare e vincolare l'opera dei sanitari (sent. n. 181) (47).
Neppure può farsi rientrare nella materia in esame la disciplina delle forme di decadenza automatica dall’incarico, al rinnovo degli organi politici, dei dirigenti regionali apicali (c.d. spoil siystem); la scadenza del termine di durata dell’incarico, infatti, non interviene sugli aspetti privatistici del rapporto di lavoro, ma comporta la mera cessazione degli effetti del provvedimento di nomina; la caducazione di quest’ultimo, poi, causa necessariamente la cessazione di ogni rapporto tra amministrazione e dirigente, poiché trattasi di soggetto generalmente esterno alla stessa (sent. n. 233, per cui vedi anche infra, par. 11.6). 
Lede senz’altro la competenza statale sull’ordinamento civile una legge regionale che, intervenendo in materia di rapporto di lavoro, crei un procedimento negoziale, vincolante per il datore di lavoro, le cui controparti (le organizzazioni sindacali del pubblico impiego) siano autoritativamente individuate; in tal modo, infatti, si pone ad un privato un vincolo destinato ad incidere sul suo potere di autodeterminarsi, il che attiene senz’altro all’ambito dei rapporti privatistici di cui alla materia qui in esame (sent. n. 411).
In conclusione, la giurisprudenza del 2006 non sembra dare una chiara interpretazione della materia ordinamento civile (Lamarque): se esso cioè debba considerarsi quale materia trasversale, in continuità con il limite del diritto privato di cui al vecchio Titolo V, e dunque con la conseguente sottrazione alle Regioni della possibilità di regolamentare i profili civilistici dei rapporti giuridici rientranti dal punto di vista materiale nella competenza regionale (Bartole, Pitruzzella); oppure se tale materia ponga alle Regioni il più moderato limite ad agire sugli istituti di diritto civile (Alpa).
 
8.7.2.   Ordinamento penale
 
Il riparto di competenze in materia di ordinamento penale attribuisce al solo legislatore statale il potere di incidere sulla sanzionabilità penale dei comportamenti; pertanto, a costui va riconosciuta la discrezionalità riguardo ai casi di estinzione del reato o della pena, o di non procedibilità (48) (sent. n. 183). La considerazione del trattamento penale assume, d'altro canto, preminenza agli effetti delle competenze legislative, pur nella generica riconducibilità ad altra materia delle norme precettive la cui violazione è sanzionata (sent. n. 183) (49).
Con particolare attenzione al governo del territorio, pertanto, la competenza esclusiva statale d’individuare le fattispecie penalmente rilevanti riguardo agli abusi edilizi non preclude alle Regioni l’esercizio della propria competenza in materia di sanzioni amministrative in ambito edilizio.  E' infatti pacifico nella giurisprudenza penale e amministrativa che la valutazione espressa in sede di giudizio penale per il reato paesaggistico non vincola le determinazioni amministrative in materia edilizia (sent. n. 183). Pertanto, la previsione dell’irrilevanza penale di determinati abusi non preclude l’applicabilità delle sanzioni amministrative previste a tutela del paesaggio e del territorio dalla disciplina regionale (sent. n. 182).
Le competenze regionali in materia di governo del territorio, infine, non sono lese dall’attribuzione ad un organo statale (la Soprintendenza nella specie) della potestà di fornire un parere vincolante sulla compatibilità paesaggistica degli interventi edilizi; tale previsione, finalizzata alla mera disciplina della punibilità degli abusi, costituisce infatti solo la modalità di realizzare una forma di uniformità di metodi di valutazione ai fini del riscontro dell’irrilevanza penale degli interventi, che giustifica la “chiamata in sussidiarietà” di funzioni amministrative (sent. n. 182).
 
 
8.8.   Determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (lett. m)
 
Come già la Corte ha avuto modo di affermare, il potere di predeterminare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche incidendo sulle materie di competenza legislativa delle Regioni, non può trasformarsi nella pretesa dello Stato di disciplinare e gestire direttamente queste materie, escludendo o riducendo radicalmente il ruolo delle Regioni (sent. n. 248). Tale titolo di legittimazione legislativa, infatti, può essere invocato solo in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione, mentre non può individuare il fondamento costituzionale della disciplina, da parte dello Stato, di interi settori materiali (sentt. nn. 181 e 248) (50).
In ogni caso, tale competenza, pur attribuendo al legislatore statale un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di una adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, esige «che queste scelte, almeno nelle loro linee generali, siano operate dallo Stato con legge, che dovrà inoltre determinare adeguate procedure e precisi atti formali per procedere alle specificazioni ed articolazioni ulteriori che si rendano necessarie» (sentenza n. 88 del 2003)» (sent. n. 134).
Inoltre, il carattere “trasversale” della potestà esclusiva statale in questione, tale da incidere su numerose competenze regionali, fa sì che non possa prescindersi dal ricorso a strumenti di cooperazione tra lo Stato e le Regioni, da realizzarsi nella forma dell’intesa, pena la violazione del principio di leale collaborazione (sent. n. 134).
Da ultimo, deve sottolinearsi che, poiché non solo la determinazione dei livelli essenziali, ma anche la fissazione dei relativi standard attuativi e specificativi degli stessi costituisce esercizio della competenza in esame, anche in questo caso devono valere le garanzie appena ricordate (sent. n. 134).
Sin qui su di un piano generale. Nello specifico costituisce esercizio della competenza in esame la disciplina del diritto d’accesso ai documenti amministrativi, come specificato dalla stessa legge n. 15 del 2005, di modifica della l. n. 241/1990, la quale consente comunque alle Regioni e agli enti locali, nell’ambito delle proprie competenze, la possibilità di garantire livelli ulteriori di tutela (sentt. nn. 398 e 399). In tale ambito vanno dunque inquadrate le norme che prevedono specifiche garanzie per i cittadini al fine di accedere alle informazioni ambientali, senza che possa essere coinvolta la competenza statale in materia di tutela dell’ambiente; spetta dunque allo Stato l’attuazione di direttive comunitarie in materia di informazioni ambientali (sent. n. 399), pur potendo le Regioni legittimamente intervenire in tale ambito con discipline integrative, nel rispetto della normativa statale (sent. n. 398).
 
8.9. Norme generali sull’istruzione (lett. n)
 
Riguardo all’istruzione la Corte ha affermato che, sebbene l’istituzione di master e scuole di eccellenza universitaria rientri nella competenza degli atenei ai sensi dell’art. 33 Cost., in conformità ad alcuni criteri generali di cui ai decreti del Ministro dell’Università, né la competenza esclusiva statale né quella degli atenei possono ritenersi lese da discipline regionali che introducano forme di finanziamento di corsi siffatti e la disciplina dei relativi accordi tra ente regionale e istituzione universitaria (sent. n. 102).
Su di un piano più generale, infatti, deve riconoscersi alle Regioni una competenza a prevedere forme di programmazione regionale in materia d’istruzione universitaria, anche mediante il recepimento degli accordi di programma tra ministero, atenei ed altri soggetti pubblici (sent. n. 102).
La competenza statale e la riserva all’autonomia universitaria della disciplina sullo status dei docenti, da ultimo, non pregiudica la possibilità per le Regioni di prevedere forme d’incompatibilità tra cariche in organi regionali di programmazione universitaria e funzioni di direzione accademica (quali preside rettore o presidente di polo), qualora tali incompatibilità abbiano carattere “univoco”, non incidendo sullo status dei docenti, ma solo sulla partecipazione ad un organo regionale (sent. n. 102).
 
 
8.10. Organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e città metropolitane (lett. p)
L’attribuzione in via esclusiva allo Stato di tale competenza esclude la possibilità per la legge regionale di disciplinare forme di ineleggibilità a cariche elettive in enti locali territoriali, pur se coincidenti con quanto previsto dalla disciplina statale (sent. n. 29).
 
  
8.11. Tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e dei beni culturali (lett. s)
 
Assai numerose sono le decisioni in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e dei beni culturali, in cui la Corte ha ribadito le conclusioni raggiunte nella sue precedenti pronunce.
Si conferma la natura “trasversale” di tale materia, che si configura come un valore costituzionalmente protetto, da tutelare nell’ambito di tutte le discipline che in qualche modo possano incidere su di esso (sent. n. 133). Tuttavia, se sull'ambiente la competenza dello Stato può dirsi piena, non può negarsi la legittimità di legislazioni regionali le quali, nel quadro ed in armonia con quella statale, nell'esercitare la competenza che loro appartiene riguardo ad altre materie, approntino ulteriori strumenti di tutela, legati alla specificità dei luoghi (sentt. n. 133 e 398) (51). Se, infatti, la tutela tanto dell'ambiente quanto dei beni culturali è riservata allo Stato, la valorizzazione dei secondi è di competenza legislativa concorrente; da un lato, quindi, spetta allo Stato il potere di fissare principi di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale, dall'altro, le leggi regionali, emanate nell'esercizio di potestà concorrenti o residuali, possono assumere tra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale, purché siano rispettate le regole uniformi fissate dallo Stato (sentt. nn. 182, 246 e 247). I confini tra potestà legislativa statale e regionale, tuttavia, non sempre si presentano chiari e le soluzioni data dalla giurisprudenza costituzionale ancora non appaiono del tutto definite (Cecchetti).
Così, risulta legittima una disciplina regionale in materia energetica che individui tra gli obiettivi che intende perseguire quello di ridurre le emissioni inquinanti e di assicurare le condizioni di compatibilità ambientale nello svolgimento di determinate attività; infatti, non può ritenersi lesa la competenza statale in questione quando la disciplina regionale non deroghi agli standard di protezione minima degli equilibri ambientali stabiliti dallo Stato, né tanto meno assegni alla Regione il compito di fissare valori-limite per le emissioni o standard di protezione dell'ambiente e del paesaggio (sent. n. 246).
Ha trovato conferma la giurisprudenza costituzionale relativa al controllo sul pericolo d’incidenti rilevanti, che la Corte aveva ricondotto al titolo competenziale in esame (52). Tuttavia, tale disciplina si presenta connessa e intrecciata inestricabilmente con altri interessi e competenze regionali concorrenti, in particolare con la competenza regionale concorrente della protezione civile; il che spiega perché la disciplina statale in materia (d.lgs. n. 334 del 1999) riservi allo Stato il compito di fissare standard di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale, ammettendo tuttavia interventi specifici del legislatore regionale (sent. n. 32).
Anche la giurisprudenza costituzionale in materia d’inquinamento elettromagnetico è stata ribadita dalla Corte (53). In tale ambito compete allo Stato, nel complessivo sistema di definizione degli standard di protezione dall'inquinamento elettromagnetico, la fissazione delle soglie di esposizione e cioè la determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, limitatamente, per questi ultimi, alla definizione dei valori di campo ai fini della progressiva minimizzazione dell'esposizione; alle Regioni, invece, spetta la disciplina dell'uso del territorio in funzione della localizzazione degli impianti di comunicazione e quindi la indicazione degli obiettivi di qualità, consistenti in criteri localizzativi degli impianti stessi, nel rispetto delle esigenze della pianificazione nazionale di settore; tali criteri, tuttavia, non possono impedire od ostacolare ingiustificatamente l'insediamento degli impianti (sent. n. 103). Il che, pertanto, consente alle Regioni, nel rispetto delle esigenze di funzionalità ed unitarietà della rete nazionale, di attribuire ai Comuni la definizione dei siti tecnologici di localizzazione o delocalizzazione delle antenne per la telefonia mobile o di stabilire la necessità di un parere regionale sulle modalità di costruzione degli elettrodotti, trattandosi di elementi attinenti al governo del territorio (sent. n. 103). I principi sin qui esposti comportano, inoltre, il riconoscimento in via esclusiva allo Stato della competenza di prescrivere l'utilizzo di determinate tecnologie riguardo alla trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica, sia al fine di assicurare la tutela dell'ambiente e del paesaggio, nonché di promuovere l'innovazione tecnologica e le azioni di risanamento volte a minimizzare l'intensità e gli effetti dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sia al fine di assicurare unitarietà ed uniformità alla rete nazionale (sent. n. 103).
In piena conformità a quanto deciso dalla Corte nella sentenza n. 62 del 2005, sono poi censurate le disposizioni di legge regionale recanti una disciplina del transito e dello stoccaggio di rifiuti radioattivi, in quanto lesiva delle competenze statali in materia ambientale (sent. n. 247).
Anche la predisposizione di standard minimi e uniformi di tutela della fauna costituisce legittimo intervento statale (sentt. nn. 313 e 441); tra i suddetti rientrano sia l'elencazione delle specie cacciabili, sia la disciplina delle modalità di caccia e dunque senz’altro la delimitazione temporale del prelievo venatorio disposta dall'art. 18 della legge n. 157 del 1992, poiché rivolta ad assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili (sent. n. 313) (54).
All’interno della tutela dell’ambiente la Corte ha ricondotto anche la tutela del paesaggio (55) (sent. n. 182 e, in tono minore, n. 51). In ogni caso, è evidente la possibilità di sovrapposizioni con le competenze regionali in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali (sent. n. 182). Pertanto, sebbene la pianificazione paesaggistica possa ritenersi oggetto di competenza regionale, la stessa deve attenersi alle prescrizioni previste in via generale dalla disciplina statale, nella specie il Codice dei beni culturali e del paesaggio (d. lgs. n. 42 del 2004), che prevede la necessaria concertazione con lo Stato per la modifica del regime dei beni d’interesse paesaggistico (sent. n. 182). Inoltre, la Regione, nell’esercizio delle sue competenze in materia di governo del territorio, pur potendo inserire la tutela paesaggistica all’interno della pianificazione territoriale ed urbanistica, non può derogare a quei livelli uniformi di tutela del paesaggio previsti dalla disciplina statale (Codice dei beni culturali), con l’esclusione, pertanto, della possibilità di attribuire ai Comuni, attraverso il piano strutturale, la disciplina dei beni paesaggistici. L'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica, infatti, deve considerarsi un valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale, in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull'intero territorio nazionale (sent. n. 182).
 
9.      Potestà concorrente
 
Ancora nel 2006 la Corte costituzionale ha avuto modo di precisare le modalità di esercizio del potere legislativo di Stato e Regioni nelle materie di competenza concorrente. Il rapporto tra norma “di principio” e norma “di dettaglio”, pertanto, deve essere inteso nel senso che l'una può prescrivere criteri ed obiettivi, spettando invece all'altra l'individuazione degli “strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi” (56) (sent. n. 181).
 
9.1.   Principi fondamentali
 
Come oramai pacifico (vedi anche la l. n. 131 del 2003), spettando allo Stato la determinazione dei principi fondamentali, in assenza di nuova formulazione degli stessi, la legislazione regionale deve svolgersi nel rispetto di quelli desumibili dalla normativa statale in vigore (sentt. nn. 40 e 153) (57).
Le disposizioni recanti principi fondamentali, inoltre, non possono certo contenere «una disciplina in sé compiuta e autoapplicativa, che, come tale, non lascia il minimo spazio non solo per un'ipotetica legiferazione ulteriore, ma persino per una normazione secondaria di mera esecuzione (sent. n. 177 del 1988)» (sent. n. 87).
 
 
9.2.   Tutela e sicurezza sul lavoro
 
La competenza regionale in materia di tutela del lavoro legittima la previsione di norme che fissino l’obiettivo di favorire specifiche politiche regionali per particolari categorie di lavoratori a rischio di esclusione sociale, quali i soggetti transessuali o trangender. Sebbene, infatti, la legislazione statale di principio (art. 2, lett. k), d. lgs. n. 276 del 2003) non contempli tra i lavoratori definiti “svantaggiati” tale categoria di persone, una legge regionale che contenga mere disposizioni d’indirizzo tese a favorire l’inserimento lavorativo di particolari categorie di soggetti non lede certo le prerogative statali (sent. n. 253).
Non viola i principi posti dalla legge statale (d. lgs. n. 276 del 2003) neanche l’istituzione e disciplina con legge regionale di albi regionali delle agenzie per il lavoro; se, infatti, alle Regioni è attribuita la competenza in materia di rilascio delle autorizzazioni per svolgere l’attività d’intermediazione, costituisce legittima conseguenza che le stesse possano istituire l’albo delle imprese autorizzate. Ciò, tuttavia, non esime dall’obbligo di comunicazione di tale rilascio al Ministero del Lavoro, né impedisce l’inserzione di tali imprese nella sezione regionale dell’albo statale di tali intermediari (sent. n. 406).
 
 
9.3.   Professioni
 
La giurisprudenza del 2006 ha modo di confermare importanti principi affermati già negli anni precedenti riguardo alla materia delle professioni.
In primo luogo, si ribadisce che «l'individuazione di una specifica area caratterizzante la “professione” è ininfluente ai fini della regolamentazione delle competenze derivante dall'applicazione nella materia in esame del terzo comma dell'art. 117 Cost. » (58) (sent. n. 40).
In secondo luogo, con particolare attenzione alle professioni sanitarie, trova conferma il principio fondamentale per cui l'individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e ordinamenti didattici, nonché l’istituzione di nuovi albi, è riservata alla legislazione statale (59) (sentt. nn. 40, 153, 423, 424 e 449). Anche la mera indicazione, da parte della legge regionale, di specifici requisiti per l'esercizio della professione in parte coincidenti con quelli già stabiliti dalla normativa statale viola senza dubbio la competenza dello Stato, risolvendosi in un'indebita ingerenza nelle competenze dello Stato (sent. n. 153).
 
 
9.4.   Ricerca scientifica
 
In precedenza si è avuto modo di osservare (vedi supra, par. 8.1.) come la Corte abbia sovente riconosciuto alla ricerca scientifica natura di “valore” costituzionalmente protetto, la cui promozione può essere perseguita anche con una disciplina che precipuamente concerna materie diverse (sent. n. 133).
Non lede i principi fondamentali della materia in esame una legge regionale che preveda la possibilità per le aziende ospedaliere universitarie di aumentare la dotazione organica senza la necessaria intesa con il rettore dell’Università; l’obbligatorietà di quest’ultima, infatti, ai sensi dell’art. 5 del d. lgs. n. 57 del 1997, «si riferisce alla specifica individuazione dei professori e ricercatori universitari che dovranno essere destinati a svolgere attività assistenziale all'interno dell'azienda ospedaliera e non già alla definizione della dotazione organica dell'azienda stessa» (sent. n. 365).
 
9.5.   Tutela della salute
 
Piuttosto cospicua risulta la giurisprudenza costituzionale sulla tutela della salute.
La competenza legislativa concorrente in materiaè assai più ampia rispetto alla precedente relativa all'assistenza ospedaliera ed esprime l'intento di una più netta distinzione fra la competenza regionale e quella statale (sent. n. 134) (60). Tuttavia, deve considerarsi la frequente sovrapposizione della potestà esclusiva dello Stato in punto di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, coma 2, lett. m), che può incidere ulteriormente sull’autonomia regionale (sent. n. 134).
In precedenza (8.7.1.) si osservava come, sebbene la disciplina del mobbing, per quanto attiene alla definizione del fenomeno, attenga all’ordinamento civile, vi siano alcuni aspetti del fenomeno che possono essere regolati dal legislatore regionale; si tratta, ad esempio, delle misure di sostegno psicologico e, se del caso, dell'individuazione delle procedure per accedere alle terapie di tipo medico di cui la vittima può avere bisogno, nonché il regime degli atti o comportamenti posti in essere da quest'ultima come reazione a quanto patito (sent. n. 22). Discorso analogo può farsi per le misure di prevenzione delle ipotesi di mobbing e le relative ispezioni sui luoghi di lavoro (sent. n. 238). Non eccede la competenza regionale, pertanto, una legge che, rinunciando a formulare una propria definizione del mobbing, faccia riferimento ad elementi desumibili dalla normativa statale concernente gli ambiti in cui il fenomeno del si manifesta (sentt. nn. 22 e 238).
Un certo interesse mostrano alcune statuizioni della Corte riguardo al divieto di fumo, che già in passato aveva riconosciuto a tale divieto natura di principio fondamentale, posto a tutela della salute della persona, la quale, essendo ugualmente pregiudicata dall'esposizione al fumo passivo su tutto il territorio della Repubblica non può trovare forme di protezione differenziate, rimesse alla discrezionalità dei legislatori regionali  (61) (sent. n. 63). Ne deriva, pertanto, che spetta allo Stato non solo individuare la fattispecie d’illecito amministrativo della violazione del divieto di fumo e la misura delle sanzioni corrispondenti, ma anche il relativo procedimento volto ad accertare la trasgressione al divieto e ad irrogare in concreto le sanzioni, attendo la vigilanza sul rispetto delle sanzioni alla stessa competenza sanzionatoria (sent. n 63 e, in misura minore, sent. n. 59). Infatti, una regolamentazione differenziata di tale procedimento pregiudicherebbe l’effettività di tali sanzioni, in contrasto con quell’esigenza di uniformità che caratterizza le norme sanzionatorie in questione (sent. n. 63). In ogni caso, ragioni di opportunità e rispetto del principio di leale collaborazione rendono assai preferibile una regolamentazione di tale procedimento che non escluda del tutto le Regioni, che ben può realizzarsi in una accordo da raggiungere in sede di Conferenza Stato-Regioni (ancora sent. n. 63).
Anche la regolamentazione dell’organizzazione sanitaria deve ritenersi attratta dalla tutela della salute, data la connessione dei profili organizzativi con il complessivo livello delle prestazioni sanitarie, essendo queste ultime dipendenti, sotto molteplici aspetti, dalla professionalità e dall'impegno di tutti i sanitari addetti ai servizi, e segnatamente di coloro che rivestono una posizione apicale (sentt. nn. 181, 449).
Così, la Corte ascrive a tale materia le problematiche concernenti il rapporto di lavoro dei dirigenti del ruolo sanitario pubblico (sempre sentt. nn. 181, 449). In particolare, il novellato testo dell’art. 15-quater del d. lgs. n. 502 del 1992, stabilisce che tale rapporto non è più caratterizzato dall’irreversibilità della scelta tra rapporto di lavoro esclusivo e non esclusivo; con il corollario per cui la scelta per un regime di non esclusività non preclude la direzione di strutture semplici o complesse, pur restando in vigore l’art. 15-quinquies del decreto in esame, che richiede, ai fini della direzione di strutture sanitarie, la sussistenza di un rapporto di lavoro esclusivo. In tal modo, è possibile il mantenimento dell’incarico a chi opti per la non esclusività, con la possibilità in ogni caso di ripristinare il rapporto esclusivo a richiesta dell’interessato. La disciplina statale, pertanto, non avrebbe introdotto un nuovo principio fondamentale opposto a quello di cui all’art. 15-quinquies ricordato, creando al più una sorta di “cedevolezza” del principio in esame (Belletti). Dunque, nell’esercizio delle loro competenze, le Regioni sono libere di disciplinare le modalità relative al conferimento degli incarichi di direzione di strutture sanitarie, anche privilegiando in senso assoluto il regime del rapporto esclusivo (sent. n. 181).
Ancora in materia di dirigenza sanitaria, deve considerarsi principio fondamentale della materia il necessario possesso dei titoli richiesti per l’accesso alla dirigenza del Servizio sanitario nazionale anche per i ruoli dirigenziali delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e della professione ostetrica (sent. n. 449).
La tutela della salute comprende anche la disciplina ordinamentale degli IRCSS, pur in connessione con ulteriori materie, in particolare l’ordinamento civile, attesa la natura privatistica del rapporto di lavoro intercorrente tra i dirigenti degli IRCCS e i predetti Istituti. Specificatamente riguardo alla disciplina concernente le modalità di cessazione dall’incarico di direttore amministrativo e direttore sanitario di detti istituti, l’incidenza che tale disciplina esercita sull'organizzazione e la gestione di servizi sanitari e, di riflesso, anche sull'efficienza degli stessi, la fa attribuire all’ambito materiale in questione; ne consegue, quindi, che la regolamentazione di tale peculiare profilo non può ritenersi rilevante solo rispetto allo svolgimento del rapporto intercorrente, iure privatorum, tra i dirigenti degli IRCCS e i medesimi Istituti, riguardando, piuttosto, aspetti direttamente attinenti all’assistenza sanitaria (sent. n. 422). La tutela di esigenze unitarie in materia di tutela della salute giustifica poi la sussistenza di un controllo del Ministro della salute sulle attività di ricerca degli IRCCS, il quale ha come scopo la verifica della loro rispondenza al programma nazionale di ricerca sanitaria predisposto dal medesimo Ministero; il che fa escludere la possibilità per le Regioni di prevedere forme di vigilanza che interferiscano con tale attività di controllo ministeriale (sent. n. 422).
Costituisce principio fondamentale della materia in esame anche quello in base a cui il conferimento delle sedi farmaceutiche avvenga mediante concorso per titoli ed esami, rispondendo all'esigenza di garantire in modo stabile ed efficace il servizio farmaceutico sull'intero territorio nazionale, nonché di assicurare la parità di trattamento tra i farmacisti ai fini del conferimento delle sedi vacanti o di nuova istituzione (sent. n. 448).
Da ultimo, il rispetto dei principi fondamentali previsti dalla legislazione statale (d. lgs. n. 517 del 1999) rende illegittima una disciplina regionale relativa alla nomina di direttore generale di aziende ospedaliero-universitarie che non preveda la definizione a tal fine di specifici protocolli d’intesa tra Stato e Regioni, nel rispetto del principio di leale collaborazione (sent. n. 233, per cui vedi infra, par. 11.6).
 
 
9.6. Protezione civile
 
Come ricordato in precedenza (par. 8.11) detta competenza regionale si presenta sovente connessa con quella esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente. Tuttavia, deve sottolinearsi come già con l'istituzione del Servizio nazionale della protezione civile (legge n. 225 del 1992) il legislatore statale abbia rinunciato ad un modello centralizzato per una organizzazione diffusa a carattere policentrico (62) (sentt. nn. 32, 129, 284 e 323). E’ proprio il legislatore statale, pertanto, a prevedere, nel rispetto dei principi di sussidiarietà ed adeguatezza, un'articolazione delle competenze amministrative tale da conciliare le necessarie esigenze unitarie ed il carattere decentrato e diffuso dell'organizzazione della protezione civile (sent. n. 32); s’individuano, in tal modo, eventi da fronteggiare mediante interventi attuabili dagli enti e dalle amministrazioni competenti in via ordinaria (art. 2, comma 1, lett. a), l. n. 225/1992); eventi che impongono l'intervento coordinato di più enti o amministrazioni competenti in via ordinaria (art. 2, comma 1, lettera b); eventi che, per intensità o estensione, richiedono mezzi e poteri straordinari (art. 2, comma 1, lettera c) (sentt. nn. 284, 323).
Ne deriva, pertanto, che alle Regioni è consentito intervenire con una propria disciplina per fronteggiare gli eventi calamitosi che non comportino il necessario intervento dello Stato, mantenendosi nel sistema regionale di protezione civile (sent. n. 323)
Allo stesso modo, il legislatore regionale può disciplinare tutte quelle funzioni amministrative trasferite alle Regioni, anche attribuendo alle Province importanti compiti amministrativi in materia di piani e coordinamento riguardo agli incidenti rilevanti, senza pertanto che possano ritenersi lese altre competenze statali (quale quella di cui all’art. 117, comma 2, lett. f, Cost.) (sent. n. 32).
Per quanto concerne la prevenzione dei rischi, di conseguenza, la legislazione nazionale vigente configura un sistema composito di competenze, ordinato secondo il criterio della maggiore o minore generalità degli indirizzi, in base al quale ciascun livello di governo deve contenere l'esercizio dei propri poteri all'interno degli indirizzi dettati su più vasta scala dal livello superiore (sent. n. 129).
I rapporti tra Stato e Regioni in materia comportano, tuttavia, l’esclusione di poteri straordinari e derogatori delle normative vigenti in capo alle Regioni nei casi di stato d’emergenza a seguito di calamità naturali (art. 107, comma 1, lett. b)e c), d. lgs. n. 112/1998); la rilevanza nazionale di tali funzioni (sovente connessa anche alla tutela dell’ambiente), infatti, fa sì che debba ritenersi quale principio fondamentale della materia l’attribuzione al Consiglio dei Ministri del potere di dichiarare lo stato di emergenza, attribuendo al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dell’interno la potestà di adottare ordinanze in deroga alle normative vigenti, purché nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico (art. 5, l. n. 225 del 1992) (sentt. nn. 82 e 284). Tuttavia, benché alle Regioni non sia consentito sospendere l’efficacia di tali provvedimenti straordinari del Governo, il potere di ordinanza deve essere comunque ben definito nel contenuto, nei tempi e nelle modalità di esercizio (sent. n. 284) (63).
In virtù di quanto osservato, contrasta con la disciplina statale di principio (Testo unico sull’edilizia), che prevede per la realizzazione di opere in zone a rischio sismico la necessità di un’esplicita autorizzazione della struttura regionale competente, la legge regionale della Toscana n. 1 del 2005, che deroga a tale principio prevedendo un mero preavviso da darsi alla struttura regionale (sent. n .182).
 
9.7.   Governo del territorio
Tra le varie pronunce rientranti nella materia in questione spiccano quelle in cui la Corte è tornata sulla disciplina del settore edilizio (sent. n. 451), con particolare attenzione alla fattispecie del condono edilizio, già analizzata nella sentenza n. 196 del 2004 (avente ad oggetto la disciplina di cui al d. lgs. n. 269 del 2003) (sent. n. 49). Ivi, si osservava che, in particolare nella disciplina del condono edilizio di tipo straordinario, convergono, oltre alla competenza concorrente in esame (nonché a quella in materia di valorizzazione dei beni culturali ed ambientali), per quanto riguarda la esenzione dalla sanzionabilità penale, anche la competenza legislativa esclusiva dello Stato sull’ordinamento penale (che richiede la piena collaborazione dei Comuni con gli organi giurisdizionali chiamati ad applicare la legge sul condono), nonché varie altre competenze innominate riconducibili al quarto comma dell'art. 117 Cost. (ad esempio, commercio, turismo, insediamenti produttivi); né deve sottovalutarsi la tradizionale titolarità da parte dei Comuni dei fondamentali poteri di gestione dell'assetto urbanistico ed edilizio del territorio, ivi compreso l'ordinario e limitato potere di sanatoria edilizia. Dunque, se i profili penalistici sono integralmente sottratti al legislatore regionale, solo alcuni limitati contenuti di principio della legislazione statale possono ritenersi sottratti alla disponibilità dei legislatori regionali. Pertanto, spetta certamente allo Stato la previsione del titolo abilitativo edilizio in sanatoria di cui al comma 1 dell'art. 32, la determinazione del limite temporale massimo di realizzazione delle opere condonabili e delle volumetrie massime condonabili; limite, quest’ultimo, che deve trovare esplicito richiamo o recepimento nelle leggi regionali in materia (sent. n. 49).
Residuano invece in capo alle Regioni ampi spazi d’azione, quali la possibilità di determinare le condizioni e le modalità per l’ammissibilità al condono di varie tipologie di abuso edilizio, nonché di determinare limiti volumetrici inferiori a quelli previsti nella disciplina statale (64).
Tuttavia, resta ferma la possibilità di applicare quanto previsto dal citato d. lgs. n. 269 del 2003, pur quando invasivo delle competenze regionali, quale normativa cedevole, nel caso d’inerzia regionale nell’adozione di detta disciplina entro il termine massimo prescritto dalla normativa statale; con la conseguente incostituzionalità delle discipline regionali che eccedano tale termine (ancora sent. n. 49).
Una volta riconosciuto un certo margine d’intervento per le Regioni nella disciplina del condono edilizio, pertanto, da un lato, non può attribuirsi rilievo, ai fini dell'eventuale illegittimità costituzionale di tale intervento, agli effetti che solo in via indiretta ed accidentale dovessero derivare al gettito di entrate di spettanza dello Stato; dall’altro, è conseguenza naturale e coerente con il disegno costituzionale illustrato una certa diversificazione da Regione a Regione, con tutto ciò che ne consegue per gli interessati e per le pronunce giurisdizionali che facciano applicazione di tale disciplina (sempre sent. n. 49).
La competenza statale, da ultimo, non può dirsi violata da una legge regionale che preveda un obbligo di comunicazione all’autorità giudiziaria (o al competente ordine professionale), da parte dell’Amministrazione comunale, delle dichiarazioni non veritiere, rese da un professionista in sede di definizione della domanda di sanatoria o di controlli successivi alla stessa; trattandosi di un generico obbligo di comunicazione, infatti, in nessun modo può incidere sulla disciplina penale o sulle competenze statali in materia di professioni (sent. n. 49).
Tra i principi fondamentali posti dalla legislazione statale in materia di governo del territorio (con intreccio anche con le materie ordinamento della comunicazione e tutela della salute, sent. n. 265) devono individuarsi anche quelli inerenti all’installazione d’impianti di telecomunicazione (art. 87 d. lgs. n. 259 del 2003), nella specie alla tempestività delle procedure e alla riduzione dei termini per l'autorizzazione all'installazione delle infrastrutture indicate; il che rende illegittima la previsione con legge regionale di procedimenti autorizzatorii ulteriori rispetto a quelli di cui alla disciplina statale, costituendo un inutile appesantimento dell'iter autorizzatorio in contrasto con i principi fondamentali indicati (sentt. nn. 129, 265).
 
 
9.8.   Porti e aeroporti civili
 
L’attuale assetto di competenze in materia di aree portuali, tenuto conto anche del già avvenuto conferimento di funzioni amministrative alle Regioni in materia (d. lgs. n. 112 del 1998), non consente allo Stato di attrarre alla sua competenza le funzioni amministrative relative al rilascio di concessioni demaniali marittime nell’ambito di aree portuali di carattere eminentemente turistico, quali il porto di Viareggio, originariamente escluse dal conferimento di funzioni amministrative per motivi d’interesse nazionale legato alla sicurezza dello Stato o ad esigenze della navigazione (come previsto originariamente dal D.P.C.M. 21 dicembre 1995), anche in virtù del ricadere la materia del turismo nella competenza legislativa residuale delle Regioni; un’eventuale attribuzione allo Stato della competenza amministrativa e legislativa sui porti turistici che, per le rilevanti dimensioni e importanza, possano assumere interesse economico internazionale o comunque rilevanza nazionale, infatti, potrebbe avvenire solo d’intesa con le Regioni interessate, nel rispetto del principio di leale collaborazione (sentt. nn. 89 e 90).
 
 
9.9. Produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia
 
Su un piano generale la Corte ha sottolineato come anche nel sistema previgente la materia in esame non fosse riservata esclusivamente allo Stato (sent. n. 133); le Regioni, pertanto, possono legittimamente perseguire obiettivi di adattamento alla realtà locale dei diversi profili della fornitura di energia, pur senza pregiudicare gli assetti nazionali del settore energetico e gli equilibri su cui esso si regge nel suo concreto funzionamento (sent. n. 248).
Il necessario rispetto dei principi fondamentali posti con legge dello Stato impedisce, invece, alla legge regionale di attribuire alle amministrazioni locali la potestà di disciplinare in forma esclusiva il servizio di distribuzione energetica mediante il contratto di servizio, in sostituzione della concessione; la disposizione di cui all'art. 1, comma 2, lettera c), della legge n. 239 del 2004, secondo cui l'attività distributiva dell'energia è attribuita “in concessione”, infatti, deve ritenersi quale principio fondamentale della materia relativamente all’attività di distribuzione dell’energia (sent. n. 248).
La Corte ha inoltre confermato la perdurante validità della normativa transitoria di cui all’art. 1, comma 33, l. n. 239/2004, la quale esclude la possibilità per la normativa regionale d’incidere sul regime delle concessioni statali di distribuzione già rilasciate poiché tesa a garantire la certezza dei rapporti giuridici già instaurati dai concessionari dell'attività di distribuzione dell'energia e comunque riferita a concessioni relative ad ambiti territoriali largamente eccedenti quelli delle singole Regioni (sent. n. 248) (65).
Principio fondamentale della materia deve qualificarsi anche quanto previsto dall’art. 14, comma 5-quinquies, del d. lgs. n. 79 del 1999, ove si fissa al 1° luglio 2007 la data in cui debba attribuirsi al cliente finale la facoltà operativa di acquistare energia elettrica dal fornitore di propria scelta. La determinazione uniforme di tale data, non derogabile dalle Regioni, infatti, «appare giustificata dalla necessità di garantire in modo adeguato ed in forma bilanciata la tutela dei consumatori e il processo di liberalizzazione del mercato elettrico nazionale, anche con riguardo alle funzioni dell'acquirente unico» (sent. n. 248).
L’assetto normativo complessivo in materia fa sì che la competenza autorizzatoria relativa agli elettrodotti sia ripartita tra Stato e Regioni secondo due criteri fondamentali: da un lato, tale competenza spetta a Regioni e Province per gli impianti con tensione non superiore a 150.000 volts (d. lgs. n. 112 del 1998, artt. 29, comma 2, lett. g), 30, e 31, comma 2); dall’altro, si prevede un’autorizzazione unica da parte del Ministro delle attività produttive per tutti gli impianti appartenenti alla rete nazionale di trasporto dell'energia elettrica quale che ne sia la potenza (art. 1-sexies, comma 1, d. l. n. 239/2003). La l. n. 239/2004, poi, quanto alla individuazione della consistenza della rete nazionale, ha introdotto tutta una serie di strumenti di codecisione paritaria tra lo Stato ed il sistema delle autonomie regionali. Ora, considerato che il potere di sanatoria segue la competenza a rilasciare il titolo autorizzativo, l’assetto normativo illustrato fa escludere che alla Regione spetti alcun potere di autorizzazione in sanatoria solo con riguardo agli impianti costituenti parte della rete nazionale (sent. n. 248).
Sempre il ricorrere di esigenze di uniformità fanno sì che debba considerarsi quale principio fondamentale della materia, ai sensi dell'art. 12, comma 4, d. lgs. n. 387 del 2003, anche l'indicazione di un termine massimo uniforme sul territorio nazionale, pari a 180 giorni, per la conclusione dei procedimenti tesi al rilascio di autorizzazioni per la costruzione (nonché la modifica, il rifacimento e la riattivazione) e l’esercizio d’impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, nonché per la costruzione di opere ad essi comunque connesse (sent. n. 364).
Non lede i principi fondamentali della materia (di cui alla legge n. 239 del 2004), invece, la legge della Regione Emilia-Romagna n. 26 del 2004: nel disciplinare le finalità che la Giunta regionale deve perseguire nella determinazione degli indirizzi di sviluppo del sistema elettrico regionale, infatti, la legge richiama espressamente gli obiettivi generali della politica energetica nazionale (sent. n. 246).
Perfettamente conforme ai principi di cui alla legislazione statale è anche la regolamentazione con legge regionale delle misure tese a garantire l'adeguatezza delle attività energetiche strategiche di produzione, trasporto e stoccaggio per assicurare adeguati standard di sicurezza e di qualità del servizio; è la stessa legge statale n. 239/2004, infatti, ad attribuire anche alle Regioni tali compiti (sent. n. 246).
 
 
9.10. Valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali
 
Anche la competenza in esame si presenta sovente connessa con quella esclusiva statale, nella specie la tutela dell’ambiente, con le conseguenti limitazioni all’autonomia regionale che ne derivano (sent n. 182, per cui vedi supra par. 8.11).
Certamente rientra in tale competenza la disciplina della raccolta dei tartufi. La legislazione statale di principio in materia individua un generale principio di libertà di raccolta, fissando tuttavia un limite, non derogabile dalle Regioni, all’ambito dei boschi e dei terreni non coltivati, al fine di bilanciare le esigenze di difesa del patrimonio ambientale e dei diritti dei proprietari dei fondi con le esigenze degli operatori del settore, (sent. n. 212). Nessun limite incontrano invece le Regioni nell’individuare i requisiti per il riconoscimento delle tartufaie controllate (in particolare riguardo ai limiti massimi di estensione), data l’assenza di qualsiasi enunciazione di principio riguardo all’estensione di tali tartufaie (sent. n. 212).
 
9.11. Armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e art. 119, secondo comma, della Costituzione riguardante i “tributi e le entrate propri” delle Regioni ed enti locali
 
Anche per l’anno 2006 la giurisprudenza della Corte ha avuto modo di affrontare la tematica della legittimità costituzionale di norme inserite nelle annuali leggi finanziarie, dirette alla istituzione di fondi speciali in materie riservate alla competenza esclusiva o concorrente delle Regioni.
Come ripetutamente precisato (66), non è consentita, nelle suddette materie, l'istituzione di fondi speciali o comunque la destinazione, in modo vincolato, di risorse finanziarie, senza lasciare alle Regioni e agli enti locali un qualsiasi spazio di manovra. E ciò anche nell'ipotesi in cui siano previsti interventi finanziari statali, nelle medesime materie, destinati direttamente a soggetti privati; in caso contrario, infatti, si violerebbero i criteri e i limiti che presiedono all'attuale sistema di autonomia finanziaria regionale, che non consentono finanziamenti di scopo per finalità non riconducibili a funzioni di spettanza statale (sentt. nn. 118, 133).
 
 
9.11.1.    Armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario
 
Tra i vari principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica la Corte ha individuato anche il controllo sulla gestione effettuato dalla Corte dei Conti ai sensi della legge n. 20 del 1994, la quale ha esteso tale tipo di controllo a tutte le amministrazioni pubbliche e che ha acquisito ulteriore rilevo in seguito ai vincoli posti dal c.d. “patto di stabilità interno”, i cui contenuti, a partire dalla legge n. 289 del 2002 (finanziaria 2003), sono qualificati come principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica (sent. n. 267). Le competenze della Corte dei Conti, tuttavia, non possono ritenersi lese dalla previsione da parte di una legge della Regione Valle d’Aosta che disciplini un'attività di controllo interno alla Regione, attribuito ad un'Autorità di vigilanza, istituita presso il Consiglio regionale; tale controllo, infatti, non si sovrappone, né pone limitazioni a quello di livello unitario da esercitarsi dalla Corte dei conti, configurandosi dunque come ascrivibile alle competenze statutarie (sent. n. 267).
Se il riparto di competenza in materia non consente allo Stato di porre vicoli puntuali a singole voci di spesa in ambiti di competenza regionale, la funzione di coordinamento finanziario legittima la prescrizione di limiti di carattere generale rivolti a tutte le amministrazioni pubbliche, al fine di limitare la spesa pubblica complessiva, in quanto limiti connessi ad obiettivi nazionali (sent. n. 399) (67).
 
 
9.11.2.    ...e art. 119, secondo comma, della Costituzione riguardante i “tributi e le entrate propri” delle Regioni ed enti locali
 
Come già sottolineato in precedenza (par. 8.4.2), in applicazione di principi ormai consolidati, la Corte costituzionale qualifica l’addizionale regionale IRPEF come tributo statale in senso proprio, in quanto istituito e disciplinato da normativa dello Stato (d. lgs. n. 446/1997), escludendo pertanto la possibilità per le Regioni di legiferare sulla misura di tale addizionale, se non entro gli stretti limiti previsti dalla stessa disciplina statale. Ciò, tuttavia, non impedisce al legislatore regionale, a cui è comunque consentito prevedere entro certi limiti alcuni aumenti dell’aliquota addizionale, di determinare detti aumenti secondo criteri di progressività, dovendosi ritenere la stessa un principio applicabile all’intero sistema tributario (sent. n. 2 e ord. n. 148).
 
10.      Autonomia di spesa e interventi speciali
 
Gli “interventi speciali” cui fa riferimento l'art. 119, quinto comma, Cost., come la Corte ha già avuto modo di precisare (68), costituendo interventi aggiuntivi rispetto al finanziamento delle funzioni spettanti ai Comuni o agli altri enti locali (art. 119, quarto comma), devono riferirsi alle finalità di perequazione e di garanzia enunciate nella stessa norma costituzionale o comunque a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni, nonché debbono essere indirizzati a determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. A tal fine gli interventi statali possono incidere anche su ambiti competenziali regionali, con l’esigenza tuttavia che in tali casi le Regioni non siano escluse dall'esercizio di qualsiasi compito di programmazione e di riparto dei fondi all'interno del proprio territorio (sent. n. 451).
In applicazione di tali principi, dunque, si riconosce quale legittimo intervento speciale quello di cui alla legge finanziaria 2004, recante finanziamenti finalizzati all'attuazione di programmi tesi alla costruzione e al recupero di unità immobiliari site nel territorio di comuni determinati, quali quelli ad alta tensione abitativa (sent. n. 451).
 
 
11.    Potestà residuale
 
Maggiori rispetto agli anni precedenti sono i casi in cui sono prese in considerazione materie di potestà residuale, sovente già individuate dalla Corte in precedenti decisioni.
In primo luogo, la Corte ha ribadito l'impossibilità di ricondurre un determinato oggetto di disciplina normativa alla potestà legislativa residuale delle Regioni «per il solo fatto che tale oggetto non sia immediatamente riferibile ad una delle materie elencate nei commi secondo e terzo dell'art. 117 Cost.» (69) (sent. n. 213). I passaggi secondo cui deve individuarsi una materia residuale sembrano, infatti, essere tre: esistenza di un’area dotata d’individualità disciplinare (in base a criteri storico-normativi); possibilità di denominare tale area; impossibilità di ricondurre tale nomen ad uno degli elenchi di cui all’art. 117, commi 2 e 3, Cost. (sent. n. 213).
In secondo luogo, sempre su un piano generale, la Corte ha ponderato quale logica conseguenza delle disposizioni costituzionali, in una materia appartenente alla competenza residuale delle Regioni, sia la diversificazione tra le legislazioni regionali (ord. n. 199), sia la rilevante divergenza tra queste ultime e la disciplina statale (sent. n. 233).
Tra le specifiche materie di potestà residuale, solo incidentalmente si fa riferimento all’agricoltura (sent. n. 116), senza che la Corte abbia esaminato direttamente o esclusivamente i profili inerenti tale materia, presentandosi connessa ad ulteriori competenze.
 
11.1. Commercio
 
Il commercio viene individuato quale materia di potestà residuale in due occasioni (sent. n. 89 e ord. n. 199). In particolare la Corte, facendo applicazione dei principi da essa elaborati riguardo al rapporto tra competenza legislativa e regime sanzionatorio ad essa relativo (vedi supra,par. 7), avendo riconosciuta la natura residuale della materia in questione, ha ritenuto legittima la previsione con legge regionale di sanzioni inerenti la violazione degli orari di chiusura degli esercizi commerciali (ord. n. 199).
 
11.2. Servizi pubblici locali
Anche i servizi pubblici locali sono stati ascritti alla competenza residuale delle Regioni, pur legittimandosi, come osservato in precedenza (8.4.1.), forti compressioni dell’autonomia regionale, in virtù del titolo d’intervento statale di cui all’art. 117, comma 2, lett. e) (sent. n. 29).
 
11.3. Trasporto pubblico locale
 
Confermando quanto già raggiunto in precedenza (70), il trasporto pubblico locale viene individuato quale materia di potestà legislativa residuale regionale, benché allo Stato sia consentito incidere fortemente su tale materia nell’esercizio della sua competenza sulla tutela della concorrenza. Ne deriva, pertanto, l’illegittimità di leggi regionali che proroghino gli affidamenti preesistenti in tale settore, rispetto al termine ultimo previsto dalla normativa statale per il passaggio ad un regime di affidamento mediante procedure di evidenza pubblica, avendo tale passaggio finalità di sviluppo del libero mercato nel settore (sent. n. 80).
 
11.4. Pesca
 
La pesca costituisce certamente una materia oggetto della potestà legislativa residuale delle Regioni, sulla quale, tuttavia, possono interferire più interessi eterogenei, taluni statali, altri regionali, con indiscutibili riflessi sulla ripartizione delle competenze legislativa ed amministrativa; talune attività e taluni aspetti riconducibili alla pesca, dunque, atteso il carattere unitario con cui si presentano e la conseguente esigenza di una loro regolamentazione uniforme, non possono che essere disciplinati dallo Stato (sent. n. 213).
Più in particolare, viene ritenuta legittima la previsione con legge regionale di una partecipazione di rappresentanti delle Capitanerie di porto in organi regionali che operano in ambito della pesca. L’esercizio di tale competenza regionale in materia, infatti, non lede la competenza di cui all’art. 117, comma 2, lett. g), poiché è la stessa legge statale (d. lgs. n. 112 del 1998) a prevedere la possibilità per le Regioni di avvalersi degli uffici delle Capitanerie di porto per lo svolgimento di determinati compiti in materia (sent. n. 213).
 
 
11.5. Turismo
 
Ulteriore materia di potestà residuale individuata dalla Corte è quella del turismo (sentt. nn. 90, 214), come del resto già affermato in precedenti decisioni (71). Il rilievo del turismo nell'ambito dell'economia italiana e l'estrema varietà dell'offerta turistica italiana, però, fa sì che la valorizzazione di tale settore presupponga un'attività promozionale unitaria, che può giustificare la “chiamata in sussidiarietà” di alcune funzioni amministrative anche in quest’ambito (sent. n. 214, per cui vedi supra,par. 6.1).
 
 
11.6. Organizzazione amministrativa della Regione
 
La Corte, con la sentenza n. 233, ha ascritto anche tale ulteriore materia all’art. 117, comma 4, Cost., precisando tuttavia che la potestà legislativa regionale deve esercitarsi nel rispetto dei principi fondamentali di organizzazione e funzionamento previsti dagli statuti regionali ai sensi dell’art. 123 Cost.
Nello specifico, tale competenza legittima la Regione a disciplinare la decadenza e il rinnovo degli organi di vertice dell’amministrazione regionale, purché limitatamente allo stesso ordinamento regionale, senza poter intervenire sulle nomine per i rappresentanti regionali in organi statali o di enti pubblici nazionali, né in intese o concerti su autorità statali.
In virtù di tale competenza tra l’altro, la Corte legittima la previsione del c.d. spoil system per le nomine degli organi di vertice degli enti regionali ed i rappresentanti regionali nei c.d.a. degli enti della Regione, in quanto nomine inerenti a rapporti fondati sull’intuitus personae; la coerenza dell’indirizzo politico regionale, infatti, richiederebbe una piena identità di visione tra strutture politiche ed organi di vertice amministrativo, giustificando dunque forme di decadenza automatiche di tali cariche apicali nei casi di rinnovo degli organi d’indirizzo politico regionale, con pieno rispetto dell’art. 97 Cost. e anzi, sua migliore realizzazione. Tale schema, invece, non può essere applicato per il conferimento d’incarichi dirigenziali di livello non generale, né essere esteso sino a comportare l’azzeramento dell’intera dirigenza in carica di un’amministrazione nel caso di rinnovo del vertice dirigenziale secondo i criteri prima esposti. La decadenza automatica, infatti, può valere come osservato solo per gli incarichi caratterizzati da quell’intuitus personae con l’organo politico.
Come già osservato (vedi supra, par. 8.7.1), inoltre, la previsione di tali forme di decadenza dall’incarico dirigenziale non lede neppure le competenze statali in materia di ordinamento civile.
Il potere di nomina degli organi di vertice amministrativo regionale, tuttavia, può trovare un limite quando esso intervenga in ambiti riconducibili a materie di competenza concorrente. Così, per il caso di nomina di direttore generale di aziende ospedaliero-universitarie, dovendo ricondursi la disciplina della stessa alla tutela della salute, la legislazione regionale deve attenersi ai principi fondamentali previsti dalla legislazione statale (posti, tra l’altro, anche a tutela dell’autonomia universitaria di cui all’art. 33 Cost.), che richiede la definizione di specifici protocolli d’intesa tra Stato e Regioni (d. lgs. n. 517 del 1999) (vedi supra, par. 9.5).
 
 
11.7.  Istruzione e formazione professionale
Nella materia in esame devono ritenersi compresi quegli aspetti della formazione professionale che non incidano sul contratto di lavoro, come già affermato dalla Corte in sue precedenti decisioni (72). Così, mentre la formazione da impartire all'interno delle aziende attiene precipuamente all'ordinamento civile, la disciplina di quella esterna rientra nella competenza regionale in materia di istruzione professionale, anche se con interferenze con altre materie ove lo Stato ha potestà d’intervento, in particolare con l'istruzione (sentt. nn. 253, 406, 425). Dunque, certamente devono ritenersi esercizio di tale potestà legislativa regionale quelle disposizioni che assicurano pari opportunità nell'accesso ai percorsi di formazione e di riqualificazione alle persone che risultino discriminate e esposte al rischio di esclusione sociale per motivi derivanti dall'orientamento sessuale o dall'identità in genere, nonché favoriscono l'accrescimento della cultura professionale correlata all'acquisizione positiva dell'orientamento sessuale o dell'identità di genere di ciascuno (sent. n. 253).
La competenza in esame consente inoltre alle Regioni la possibilità di disciplinare anche la formazione esterna dei soggetti i quali abbiano in corso un contratto d’apprendistato. E’ la stessa legge statale (d. lgs. n. 276 del 2003), infatti, ad attribuire alle Regioni compiti anche normativi in materia di definizione dei profili formativi, dei rapporti tra siffatti profili e la definizione della formazione, con riguardo all'eventuale ulteriore istruzione e in coerenza con il collegamento stabilito tra lo svolgimento dei rapporti di lavoro a contenuto anche formativo e il settore dell'istruzione (sent. n. 425).
 
 
11.8. Caccia
 
Tra le materie di potestà residuale delle Regioni viene per la prima volta riconosciuta, in contrasto con parte della dottrina (Bartole, Bin, Falcon, Tosi), anche la disciplina della caccia, benché soltanto per quanto attiene agli aspetti strettamente attinenti all’attività venatoria (sent. n. 332). Una potestà d’intervento statale, pertanto, permane per quegli aspetti da ascrivere alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (sent. n. 313, per cui vedi supra par. 8.11)
 
12.    Potere estero delle Regioni
 
Con la sentenza n. 12 la Corte ha effettuato una ricognizione dei nuovi rapporti tra Stato e Regioni riguardo all’esecuzione e l’attuazione degli obblighi internazionali e comunitari. Nel nuovo quadro costituzionale, pertanto, tutte le attività delle Regioni a tal proposito devono muoversi all'interno del quadro normativo contrassegnato dall'art. 117, quinto comma, Cost., ove si attribuisce alle Regioni, nelle materie di loro competenza, la funzione attuativa ed esecutiva degli accordi internazionali e degli atti della Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da leggi dello Stato (di cui agli artt. 5 e 6 della l. n. 131 del 2003).
Quanto detto, quindi, consente di ritenere compatibile con la Costituzione una disposizione dello Statuto abruzzese ove si prevede che la Regione “partecipa […] all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali dello Stato”, pur senza richiamare espressamente i limiti previsti dalla citata disposizione costituzionale. Infatti, il riferimento testuale dell'impugnata norma statutaria alla dizione usata dall'art. 117, quinto comma, Cost. confermerebbe il suo inserimento nel quadro normativo illustrato, «senza che sia rinvenibile alcuna espressione che possa far pensare ad una illegittima volontà derogatoria della Regione Abruzzo».
 
13.    Art. 120, comma 1
 
Come già avvenuto in passato (73), la Corte ha censurato una normativa regionale che precludeva il transito e la presenza, anche provvisoria, di materiali nucleari provenienti da altri territori, non essendo consentito alle Regioni adottare misure capaci di ostacolare in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni (sent. n. 247).
L’art. 120, comma 1, Cost., comportando il divieto per i legislatori regionali di frapporre barriere protezionistiche alla prestazione di servizi di carattere imprenditoriale ubicati sull’intero territorio nazionale (74), rende certamente illegittima l’introduzione, nelle procedure di affidamento di lavori pubblici d’interesse regionale, di criteri di preferenza per le imprese localizzate sul territorio regionale (sent. n. 440).
 
14.    Autonomie speciali
 
Abbastanza numerose sono, anche per il 2006, le statuizioni della Corte riguardo all’operare della riforma del Titolo V nei confronti delle autonomie speciali.
Su un piano generale, la Corte ha avuto ancora modo di precisare conclusioni già raggiunte ha proposito della cd. “clausola di maggior favore” di cui all’art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001, la quale consente, sino all’adeguamento dei rispettivi statuti, l’estensione alle Regioni ad autonomia speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano delle disposizioni del nuovo titolo V per le parti in cui prevedano forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite (sentt. nn. 51, 75); ciò in virtù di un giudizio di preferenza, nel momento della loro applicazione, a favore delle disposizioni costituzionali che garantiscono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle attribuite dalle disposizioni statutarie (sent. n. 175). Tale disposizione, tuttavia, tesa ad evitare che il rafforzamento del sistema delle autonomie delle Regioni ordinarie possa determinare un divario rispetto a quelle Regioni che godono di forme e condizioni particolari di autonomia, ha una finalità essenzialmente transitoria e pertanto carattere di assoluta specialità (sent. n. 370).
L’operatività della clausola di maggior favore, ad esempio, è riconosciuta relativamente alla materia tutela della salute, da ritenersi di estensione maggiore rispetto alle competenze di cui allo Statuto del Friuli-Venezia Giulia in materia sanitaria (75) (sent. n. 134).
Non può invece ritenersi che l’art. 10 l. cost. n. 1/03 possa operare anche per gli enti locali delle Regioni ad autonomia speciale, ché anzi, una maggiore autonomia per gli enti locali potrebbe corrispondere ad una minor autonomia della Regione speciale. Pertanto, la necessaria previsione in statuto del Consiglio delle autonomie locali, di cui alla nuova formulazione dell’art. 123 Cost., non può ritenersi estensibile anche alle Regioni a statuto speciale, che dunque possono istituire tale organo con legge, o non istituirlo affatto; d’altronde, l’art. 123 Cost., imponendo un’espressa riserva statutaria, presuppone ovviamente che la fonte regolatrice sia nella disponibilità della Regione, il che non può avvenire per gli Statuti speciali (sent. n. 370).
In assenza dei presupposti sopra indicati, quindi, per le materie che gli statuti speciali riconducono alla competenza piena della Regione o della Provincia autonoma, il legislatore conserva il potere di vincolare la legislazione regionale “attraverso l’emanazione di leggi qualificabili come “riforme economico-sociali” (sent. n. 51). Così, ad esempio, per il principio secondo cui il trattamento economico del personale degli enti locali, in seguito alla c.d. “privatizzazione “ del pubblico impiego, deve essere disciplinato mediante contratti (sent. n. 308). Così, ancora, per il divieto di applicare l’istituto della revisione prezzi di cui all’art. 1664 c.c. agli appalti pubblici, afferendo lo stesso ad un interesse unitario e a scelte legislative di carattere generale che implicano valutazioni politiche e riflessi finanziari, che non tollerano discipline differenziate nel territorio (sent. n. 447).
Tra le singole competenze regionali, la Corte esclude che la competenza in materia tributaria della Regione Friuli-Venezia Giulia consenta alla stessa di disciplinare casi di esenzione dall’ICI; ai sensi del combinato disposto degli artt. 5 e 51 dello Statuto, trattandosi di tributo da ritenersi in toto statale (vedi par. 8.4.1.) (sent. n. 75).
La potestà legislativa primaria in materia di “ordinamento degli uffici e degli Enti dipendenti della Regione” e di “stato giuridico ed economico del personale”, di cui allo Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, attribuisce all’autonomia regionale non solo il potere di disciplinare normativamente gli uffici regionali, ma anche organizzarli, destinando ad essi il personale ritenuto necessario (sent. n. 88).
La Corte censura poi la legge della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol n. 7 del 204, in quanto attribuiva alle Province Autonome la potestà di disciplinare con legge l’ordinamento del personale degli enti locali, pur nel rispetto delle prerogative dei Comuni; tale previsione, infatti, si pone in contrasto con la disciplina statutaria (art. 65), che attribuisce la regolazione dell’ordinamento del personale comunale agli stessi Comuni, nel rispetto dei principi generali previsti dalla legge regionale. Lo Statuto regionale, infatti, costituisce l'unica fonte della potestà legislativa tanto della Regione (artt. 4-7) quanto delle Province (artt. 8-10), salva la facoltà di attribuire con legge statale alla Regione e alle Province competenza legislativa su materie ulteriori (art. 17); l'assenza di una previsione statutaria al riguardo, pertanto, esclude che uno degli enti dell'ordinamento regionale aventi potestà legislativa possa delegarne l'esercizio ad altri enti (sent. n. 132).
Ai sensi delle disposizioni statutarie e delle relative norme di attuazione (art. 8, n. 18 e art. 1, comma 1) deve ritenersi preclusa allo Stato l'adozione di una disciplina normativa in materia di sicurezza degli impianti di trasporto funiviario applicabile alle Province autonome di Trento e Bolzano, essendo attribuita a tali enti la disciplina delle “comunicazioni e trasporti di interesse provinciale, compresi la regolamentazione tecnica e l'esercizio degli impianti di funivia”; benché allo Stato spetti la disciplina concernente la sicurezza degli impianti e dei veicoli, ai fini della tutela dell'interesse generale all'incolumità delle persone (76), infatti, con riguardo agli impianti di funivia, lo statuto speciale attribuisce alle province autonome anche i profili attinenti alla “regolamentazione tecnica” degli impianti, ossia a quel complesso di prescrizioni concernenti la realizzazione dell'opera che in larga parte si sostanziano nei profili connessi alla sicurezza, e che comunque da essi non possono prescindere (sent. n. 327).
Le competenze della regione Sardegna riguardo all’ordinamento degli enti locali, pur consentendo l’adozione di una legge regionale che disciplini lo scioglimento dei Consigli degli stessi e la rimozione degli amministratori, non può spingersi sino a disciplinare i casi in cui tali fenomeni siano dettati da ragioni di ordine pubblico e sicurezza, rientrando tali profili nell’area di competenza statale, come risulta anche dall’art. 49 dello Statuto sardo (sent. n. 396).
Non lede la normativa statutaria (art. 19, St. Trentino-Alto Adige) la previsione dell’insegnamento della lingua italiana già a partire dalla prima elementare, poiché l’obbligo statutario di prevedere l’insegnamento con inizio dalla seconda o terza classe non impedisce l’anticipazione di tale materia di studio (ord. n. 430).
La competenza che lo statuto della Valle d'Aosta attribuisce alla Regione in materia “urbanistica” rende legittima una legge regionale che introduca uno strumento di semplificazione procedimentale per interventi edilizi di minore impatto, su strutture già esistenti ed autorizzate (sent. n. 450).
Da ultimo, la Corte è intervenuta anche sulla forma di governo e la disciplina elettorale delle Regioni ad autonomia speciale, nella specie il Trentino- Alto Adige (sent n. 232). In virtù della l. cost. n. 2 del 2001, che ha modificato l'art. 47 dello statuto speciale, infatti, le Province autonome di Trento e Bolzano possono disciplinare la forma di governo della Provincia (77), mediante apposita legge provinciale “rinforzata” (78). Tuttavia, per la Provincia autonoma di Bolzano, vige una disposizione transitoria in virtù della quale, nelle more dell’approvazione della legge rinforzata suddetta, continuano ad applicarsi, in quanto compatibili, le leggi elettorali vigenti. La competenza legislativa elettorale, pertanto, è stata sottratta al Consiglio regionale dalla revisione dello Statuto regionale e la citata disposizione transitoria non può certo essere interpretata come forma di ripristino di tale competenza fino all’entrata in vigore delle nuove leggi elettorali, facendo riferimento alle leggi elettorali «vigenti»; inoltre, deve considerarsi che, in virtù della modifica dell'art. 25 dello statuto, il Consiglio regionale, da organo legislativo dal quale promanavano i Consigli provinciali è divenuto una sorta di “sommatoria” dei due Consigli provinciali: il che fa escludere che siffatto organo possa ritenersi abilitato a legiferare in materia di elezioni relative ai Consigli provinciali, dei quali esso costituisce mera derivazione (sent. n. 232).
 
 
 
NOTE
 
(1) Tra le tante, si vedano le sentt. nn. 106 del 2005, 166 del 2004, 338 del 2003.
(2) Così, ex plurimis, anche le sentt. nn. 300 del 2005, 43 e 134 del 2004, 315 del 2003.
(3) Cfr. sentenza n. 533 del 2002.
(4) Talvolta, tuttavia, la Corte ha precisato che la decisione di non ammettere l’intervento di soggetti diversi trovava fondamento nell’assenza di argomenti, addotti dagli interessati, in grado di far abbandonare il proprio precedente indirizzo (sentt. nn. 80 e 103). Il che potrebbe far pensare alla possibilità di decisioni diverse qualora vi siano argomentazioni tali da convincere la Corte a mutare indirizzo.
(5) Così le sentt. nn. 386 del 2005 e 76 del 2001.
(6) Così la giurisprudenza costituzionale consolidatasi a partire dalla sent. n. 274 del 2003.
(7) Vedi in particolare le sentt. n. 398 del 1998, nn. 50, 62 e 383 del 2005.
(8) Tra le tante, sentt. nn. 270 del 2005, 73, 286 e 43 del 2004.
(9) Vedi, tra le altre, le sentt. nn. 450 e 360 del 2005, n. 213 del 2003, n. 384 del 1999, n. 261 del 1995.
(10) Cfr. sentt. nn. 286 e 423 del 2004.
(11) Così sent. n. 335 del 2005.
(12) Cfr. sentt. nn. 74 del 2004 e 94 del 2003.
(13) Cfr. ord. n. 137 del 2004, sentenza n. 533 del 2002.
(14) Vedi la sent. n. 211 del 1994; analogamente, si vedano le sentt. nn. 341 del 1996 e 137 del 1998.
(15) Così la sent. n. 72 del 2005.
(16) Così la sent. n. 72 del 2005.
(17) Cfr. sentt. n. 417 del 2005 e n. 36 del 2004.
(18) Giova in questa sede ricordare come in tale pronuncia la Corte abbia precisato chiaramente che il potere di nomina e revoca degli assessori costituisce una necessaria attribuzione del Presidente della Giunta solo per i casi in cui gli statuti abbiano optato per una forma di governo a presidente eletto direttamente.
(19) Sent. n. 378 del 2004.
(20) Più in particolare, non può considerarsi incostituzionale la previsione di un obbligo di motivazione da parte del Consiglio regionale per disattendere l’eventuale parere negativo dato da un organo di garanzia statutaria, poiché tale motivazione concerne meramente la decisione di non tener conto del parere negativo, che costituisce atto consiliare distinto dalla deliberazione legislativa e non fa corpo con essa. Inoltre, nessuna limitazione del potere presidenziale di promulgazione, né alcuna pretesa introduzione di una nuova forma di controllo di legittimità costituzionale delle leggi, può riscontrarsi in un parere che ha ad oggetto, come nel caso di specie, mere deliberazioni legislative e non leggi già perfette.
(21) In particolare con la sentenza n. 276 del 2001, che applica ai consiglieri regionali i principi fissati in via generale dalle note sentenze nn. 10 e 11 del 2000 per i parlamentari.
(22) Così, tra le tante, le sentt. nn. 383, 285, 270 e 242 del 2005, n. 6 del 2004, e n. 303 del 2003.
(23) Così la giurisprudenza costituzionale a partire dalle sentt. n. 303 del 2003 e n. 6 del 2004.
(24) Cfr. la sent. n. 272 del 2005.
(25) In particolare si vedano le sentt. nn. 167 del 2005, 236 e 69 del 2004.
(26) Cfr. le sentt. nn. 50 e 384 del 2005, nn. 12 e 428 del 2004, n. 307 del 2003.
(27) Così la sentt. n. 28 del 1996.
(28) Così le sentt. n. 370 del 2003, nn. 50, 219 e 231 del 2005.
(29) Cfr. sentt. n. 50 del 2005.
(30) Cfr. sent. n. 307 del 2003.
(31) Cfr. sent. n. 336 del 2005.
(32) Vedi, in particolare, la sent. n. 50 del 2005.
(33) Cfr. le sentt. n. 423 del 2004 e n. 31 del 2005.
(34) Sent. n. 272 del 2004.
(35) Cfr. ancora sent. n. 272 del 2004.
(36) Si vedano, tra le tante, le sentt. nn. 37 e 381 del 2004.
(37) Cfr. le sentt. nn. 397 e 495 del 2005.
(38) Cfr. la sentt. n. 431 del 2004, nonché le sentt. nn. 17, 29 e 381 del 2004.
(39) Vedi la sent. n. 427 del 2004.
(40) Cfr. sent. n. 26 del 2005.
(41) Così la sent. n. 327 del 2003 e, già nel vigore del vecchio Titolo V, le sentenze n. 421 del 1998, nn. 412 e 342 del 1994.
(42) Vedi le sent. n. 313 del 2003 e n. 407 del 2002.
(43) Cfr. la sent. n. 290 del 2001.
(44) Si vedano le sentt. n. 383 del 2005 e n. 428 del 2004.
(45) In proposito si vedano le sentt. n. 55 del 2001 e n. 134 del 2004.
(46) Vedi sent. n. 359 del 2003.
(47) Così la sent. n. 282 del 2002.
(48) Vedi la sent. n. 70 del 2005.
(49) Cfr. sent. n. 384 del 2005.
(50) Cfr. le sentt. nn. 285 e 383 del 2005, nonché le sentt. nn. 423 e 16 del 2004 e n. 282 del 2002.
(51) Così le sentt. n. 407 del 2002, nn. 62 e 108 del 2005.
(52) Cfr. sent. n. 214 del 2005.
(53) Cfr. le sentt. n. 336 del 2005 e n. 307 del 2003.
(54) Cfr. sentt. n. 226 del 2003 e n. 536 del 2002.
(55) Così Cecchetti; contra Traina, che la riconduce invece alla tutela dei beni culturali.
(56) Così la sent. n. 390 del 2004.
(57) Orientamento consolidato a partire dalla sent. n. 282 del 2002, confermato, da ultimo, dalle sentt. nn. 120, 319, 355 e 424 del 2005.
(58) Così le sentt. nn. 355 e 424 del 2005.
(59) Così le sentt. n. 319, 355 e 424 del 2005.
(60) Così la sent. n. 282 del 2002. Vedi anche la sent. n. 270 del 2005.
(61) Cfr. sent. n. 361 del 2003.
(62) Così la sent. n. 327 del 2003.
(63) Cfr. sentt. n. 127 del 1995 e n. 418 del 1992.
(64) Cfr. sentt. nn. 70 e 71 del 2005.
(65) Così la sent. n. 383 del 2005.
(66) Tra le altre, vedi le sentt. n. 231, nn. 51, 242 e 31 del 2005, n. 423 del 2004.
(67) Cfr. sent. n. 36 del 2004.
(68) Cfr. sent. n. 16 del 2004.
(69) Così la sent. n. 370 del 2003.
(70) Cfr. sent. n. 222 del 2005.
(71) Cfr. sent. n. 197 del 2003.
(72) Vedi le sentt. nn. 50 e 279 del 2005.
(73) Sent. n. 62 del 2005.
(74) Cfr. sent. n. 270 del 2001.
(75) Cfr. sentt. n. 452 del 1989; n. 294 del 1986 e n. 245 del 1984.
(76) Così le sentenze numeri 31 del 2001; n. 30 del 1998; n. 135 del 1997; n. 2 del 1993 e n. 58 del 1976.
(77) Specificamente, le modalità di elezione del Consiglio provinciale, del Presidente della Provincia e degli assessori, i rapporti tra gli organi della Provincia, la presentazione e l'approvazione della mozione motivata di sfiducia nei confronti del Presidente della Provincia, i casi d'ineleggibilità e d'incompatibilità con le predette cariche.
(78) Ossia approvata a maggioranza assoluta dei componenti il Consiglio provinciale, con la sospensione della promulgazione della legge, fino alla sua approvazione da parte della «maggioranza dei voti validi», se, entro tre mesi dalla pubblicazione (avente natura meramente “notiziale”), un cinquantesimo degli elettori o un quinto dei componenti del Consiglio provinciale chiede che la legge sia sottoposta a referendum provinciale.
 

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