Punto 2) all’ordine del giorno

PARERE SUL DISEGNO DI LEGGE RECANTE “DISPOSIZIONI PER LA FORMAZIONE DEL BILANCIO ANNUALE E PLURIENNALE DELLO STATO (LEGGE FINANZIARIA 2005)” (A.C. N. 5310)

1. CONSIDERAZIONI POLITICHE GENERALI


L’ANCI sottolinea la grande difficoltà ad esprimere una valutazione completa ed esauriente sul provvedimento principale di politica economica che si presenta monco, in quanto rinvia ad altro successivo provvedimento la delineazione delle scelte governative sul tema dello sviluppo, dell’innalzamento del tasso di crescita dell’economia, sulla politica fiscale, parti integranti ed indispensabili per la formulazione di un giudizio completo.

Per quanto più direttamente ci interessa il provvedimento persegue obiettivi che impattano, in modo forte o addirittura contrastano con l’autonomia dei comuni.

La regola che sta alla base dell’impianto generale, almeno del Titolo II avente ad oggetto le ‘Disposizioni in materia di spesa’, è la cd. golden rule di Gordon Brown, mutuata dalla politica economica inglese, secondo cui il bilancio statale deve rimanere in sostanziale pareggio nell’arco complessivo del ciclo economico.

Bisogna tener presente che per conseguire tale obiettivo, il governo inglese ogni due anni pubblica una Spending review che fissa la spesa per ciascun Dipartimento per tre anni. La Spending review del luglio 2004 ha confermato per l’anno finanziario 2005-2006 i programmi di spesa della precedente del 2002 e ha definito i nuovi programmi per il 2006-2008, che non sono determinati

sulla base di tassi di crescita uniformi, ma “have targeted resources at the Governement’s priorities”. Questo per far capire che l’applicazione di tale regola deve riguardare un arco temporale pluriennale e non può essere frutto di una scelta improvvisata. È necessaria gradualità nell’inserimento della regola ed una strategia prospettica per la sua applicazione pluriennale, altrimenti il rischio concreto è di innescare una spinta recessiva, penalizzando i Comuni ( il Paese ), senza una logica di intervento.

Con la versione italiana della golden rule, tetto del 2% rispetto all’anno precedente (4,8% per i comuni rispetto al 2003), l’obiettivo del Governo è raggiungere la parità fra entrate ed uscite, aumentare l’avanzo primario al fine di favorire la riduzione del rapporto debito-PIL, utilizzare il nuovo debito solo per finanziare gli investimenti. La parte corrente del bilancio risulterebbe così in pareggio e l’indebitamento andrebbe a finanziare unicamente gli investimenti.

E’ di immediata comprensione che il tetto del 2% alla crescita non è un limite alla crescita della spesa, ma un taglio che bloccherà la crescita.

Ciò detto, il dato che maggiormente preoccupa i Comuni è la previsione di una applicazione sostanzialmente uniforme e indifferenziata del tetto. Ha senso far crescere, rectius tagliare, tutte le spese nella stessa misura? La scelta di un tasso di crescita uniforme a tutte le voci di spesa, lascia molte perplessità. La mancata distinzione tra “spese buone” e “spese cattive” penalizza i Comuni che hanno una spesa produttiva crescente a differenza del comparto della PA centrale. Siamo in presenza di un’ equazione ragionieristica che non ha nessuna logica di tipo politico, soprattutto se si parla di rilancio dell’economia del Paese.

La previsione secondo cui il limite di crescita programmato può essere superato solo per spese per investimenti nei limiti delle maggiori entrate derivanti da maggiorazioni di aliquote e di tariffe , valutata anche la connotazione generale che si vorrebbe dare a questa finanziaria, è una vittoria di Pirro.

La finanziaria da ai Comuni ciò che è loro. Imponendo peraltro un forte limite: le nuove entrate si possono usare solo per investimenti, soprattutto, immaginiamo, quelli già programmati, per i quali magari sono stati già assunti obblighi contrattuali e che sono fortemente a rischio con l’introduzione del tetto del 4,8%.

La scelta di applicare il tetto anche alle spese per investimenti già programmati è una misura politica, che limiterà fortemente la capacità operativa delle amministrazioni comunali. Il risultato sarà un colpo durissimo alla capacità di programmazione finanziaria dell’ente e alla possibilità per i Sindaci di attuare il programma su cui hanno ricevuto la fiducia degli elettori.

Altro aspetto da considerare con attenzione, sulla determinazione della spesa e sugli effetti del taglio è la variabile dell’inflazione galoppante. Infatti, in base ai dati correnti (vd. crescita esponenziale del costo del petrolio), la spinta inflazionistica sarà presumibilmente più forte, con un contemporaneo aumento dei costi produttivi che incideranno sul raggiungimento della soglia del 4,8% .

Altro argomento su cui occorre porre l’attenzione, attiene al grande assente: dov’è il federalismo? Non vi è traccia di decentramento di poteri e compiti dal centro alla periferia con conseguente e corrispondente riduzione degli apparati e delle voci di spesa del bilancio dello Stato (pensiamo al catasto). E dov’è il federalismo fiscale? I contenuti di questa finanziaria sotto ogni profilo non contengono alcun spiraglio di federalismo fiscale, semmai stabilizzano l’impostazione anticipata con il decreto 168/04. Per di più, è opportuno evidenziare che in base a quanto disposto dall’art. 6 primo comma, le disposizioni di questa finanziaria costituiscono principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica. Come a dire che il sistema finanziario delineato da questo provvedimento sarebbe un’anticipazione del federalismo fiscale! Ora, se è così, è di tutta evidenza – per chi ha letto l’art. 119 della Costituzione – la probabile incostituzionalità del sistema previsto.

Non ci si può esimere dal sottolineare alcuni rilievi circa i profili di incostituzionalità del provvedimento:

lesione dell’art.114, I e II comma, della Costituzione ed in particolare del principio di pari dignità costituzionale fra i soggetti costitutivi della Repubblica e del riconoscimento di una piena autonomia politica degli enti territoriali, nel libero perseguimento degli interessi generali di cui sono portatori nello svolgimento della funzione di rappresentanza della prima comunità.
Lesione dell’art.119, I comma, della Costituzione in quanto limita la libera determinazione degli enti territoriali per quanto attiene alla loro autonoma attività di spesa.

Il tetto incide direttamente sugli impegni di spesa già contratti dagli enti e non trova alcun aggancio e riscontro reale, quale presupposto di fatto, nei dati relativi all’andamento della spesa dei comuni, costantemente monitorata, perché già soggetta a vincoli di contenimento prefissati. La conseguenza è che si colpiscono, ai fini del contenimento della spesa pubblica nel suo complesso, i comuni che stanno responsabilmente rispettando i vincoli a cui sono già soggetti, in base alla normativa vigente e non, o non solo, i centri di spesa della finanza pubblica, responsabili del disavanzo e della crescita incontrollata della spesa pubblica.

La decisione di introdurre una norma quale quella in esame che contiene un vincolo, così pervasivo, all’autonomia degli enti territoriali, ed in specie all’autonomia di spesa, è puramente e soltanto la conseguenza di una scelta di politica economica e finanziaria discrezionale, non suffragata ed obbligata da alcun parametro economico in rialzo sull’andamento della spesa dei comuni.

Ponendo un limite di spesa configurato in modo rigido, senza considerare possibili, particolari disponibilità finanziarie dell’ente locale né l’andamento delle entrate, si viola il principio della proporzionalità in quanto impone in maniera rigida e vincolante un obbligo non modulabile in ragione della concreta situazione finanziaria dell’ente e dell’andamento della spesa corrente.

La norma viola l’art. 97 Cost, in quanto non tiene conto della normale programmazione finanziaria, degli obiettivi di intervento prefissati dai Comuni programmazione finanziaria che può, normalmente, differenziarsi, in termini quantitativi e qualitativi, da anno a anno, prevedendo investimenti, di grande rilievo ed impatto, programmati o in corso di programmazione e qualificanti le politiche dell’ente, contrastando in generale con il principio generale di buon andamento della Pubblica Amministrazione.


2. RILIEVI DI MERITO

A. PATTO DI STABILITA’


Fissare un tetto alla spesa complessiva, partendo dal dato del 2003 ed aggiungendo una percentuale pari al 4,8% non è sostenibile dai Comuni per molti motivi:

- la crescita della spesa complessiva dei comuni – al netto delle spese per il personale - dal 2001 al 2003 è stata dell’ 8,3% pari a 3,11 miliardi di euro, passando così da 37,23 a 40,345 miliardi di euro;

- la spesa in conto capitale – voce investimenti fissi lordi – è cresciuta del 10,85% nel 2001, del 4,57% nel 2002 e del 4,55% nel 2003, passando così da 13,3 miliardi di euro del 2001 a 14,59 del 2003;

- la spesa corrente totale aumenta del 7,48% nel 2001, del 1,93% nel 2002 e del 3,23% nel 2003, passando così da 36,74 miliardi di euro del 2001 a 38,66 del 2003;

- nel periodo 2001-2003 le uscite in conto capitale dei comuni sono aumentate di 1,8 miliardi di euro, su un totale della PA di 5,2 miliardi, pari a circa il 30% del totale.

Cosa ci dicono questi dati:

- che la gestione dei Comuni è una gestione sana ed efficiente. Lo dimostra il fatto che la spesa corrente è sotto controllo visto che aumenta poco più del tasso di inflazione reale (si veda relazione Corte dei Conti);

- che i comuni sono il settore della PA che realizza maggiori investimenti, desumibile dal fatto che da soli “pesano” il 30% del totale delle uscite in conto capitale degli ultimi due anni;

- che “bloccare” la spesa per investimenti dei comuni vuol dire bloccare il sistema Paese;

- che i Comuni non saranno in grado di rispettare il tetto del 4,8% sul 2003, perché la crescita media del biennio precedente è del 8,3%. In valori assoluti ciò significa che a fronte di una crescita tendenziale di 3,45 miliardi di euro (stima della crescita della spesa complessiva al netto della spesa per il personale nel periodo 2003-2005), il tetto del 4,8% proposto dal Governo comporta un contenimento della spesa dei comuni pari a 1,48 miliardi di euro e quindi si avrà una crescita tendenziale della spesa dei comuni di circa 1,97 miliardi di euro.

Facendo delle proiezioni sui consuntivi dei comuni si evince inoltre che:
i Comuni più penalizzati sembrano essere quelli con più di 100.000 abitanti dell’area nord ovest;
seguono i Piccoli comuni sempre della stessa area geografica;
poi i Comuni compresi fra 5000 e 100.000 abitanti del nord est;

In generale l’impressione è che, comunque, il blocco colpisca a macchia di leopardo determinando in tanti casi situazioni di stallo o di paralisi. Quasi nessuno dei comuni capoluogo riuscirà a contenere la sua crescita nel 4,8% se non tagliando in modo netto le spese per gli investimenti. Così come quasi la totalità dei piccoli comuni dovrà aumentare le entrate e rivedere le politiche degli investimenti programmati.

B. QUESTIONE ENTRATE

Non viene ripetuto il taglio ai trasferimenti erariali prodotto negli anni 2002, 2003 e 2004. Il monte trasferimenti del 2005 scaturirà dai trasferimenti 2001 da cui decurtare i trasferimenti aggiuntivi del 2004 (260 milioni). Inoltre non vengono rifinanziati : 1) il Fondo nazionale ordinario investimenti (nel 2004 pari a 103. 291.000 di euro) per l’80% destinato ai comuni sotto i 5.000 abitanti; 2) il Fondo per la fornitura gratuita dei libri di testo (nel 2004 pari a 103.291.000 euro) ; 3) il Fondo di contribuzione per gli L.S.U. dei comuni di Napoli e Palermo (nel 2004 pari a 98.127.000 di euro).

Nella sostanza non si verifica alcun incremento rispetto alle spettanze del 2004 ma un decremento pari a 224.709.00 di euro.

Il tutto senza considerare che i 340 milioni di euro previsti nel ddl finanziaria del 2005 non costituiscono un incremento in senso proprio ma derivano automaticamente dalla cessazione dell’efficacia delle disposizioni di cui all’art. 24, comma 9 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 che prevedeva un taglio del tre cento per i soli anni 2002 – 2004.

In sostanza questo è il differenziale dei trasferimenti tra il 2005 e il 2004 e tra il 2005 e il 2003:
(in milioni di euro)

FINANZIARIA 2005

Fondi stanziati con la finanziaria 2005: 340

Tagli:

Rifinanziamento dei fondi stanziati nella finanziaria 2004: - 260

Decurtazione fondo ordinario investimenti: - 103.291

Decurtazione fondo per i libri di testo: - 103.291

Decurtazione fondo LSU Palermo: - 98.127
_______
- 564.709


Taglio netto finanziaria 2005: - 224.709

DIFFERENZIALE 2004-2003

Taglio rispetto ai fondi stanziati con la finanziaria 2003: - 508

DIFFERENZIALE 2003-2005: - 732.709

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La seconda novità riguarda le addizionali che non saranno bloccate, ma – vale la pena di ricordarlo - con quel vincolo di destinazione di cui si è già detto.

Nessuna risposta invece sulla dinamizzaizone della compartecipazione, sui tributi di scopo e sulla devoluzione del catasto. Né altre risposte sono presenti su questioni ordinamentali che riguardano la Tarsu, Tosap e la stessa ICI ( su cui avevamo registrato rassicurazioni in sede tecnica).


3. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

1. Bloccare la spesa per investimenti dei comuni vuol dire dare un colpo ulteriore alla possibilità di ripresa economica del Paese. Si penalizza soprattutto chi ha fatto una sana ed efficiente programmazione finanziaria che oggi sta iniziando a realizzare;

2. Utilizzare l’autonomia fiscale introducendo tasse per investimenti nuovi: è uno scambio non accettabile. Gli investimenti dei Comuni producono reddito (PIL) è giusto allora che entrino in un disegno complessivo di finanza pubblica che miri a premiare chi - grazie ad una sana gestione - investe concorrendo alla crescita dell’intero Paese.

3. La spesa corrente dei comuni è sotto controllo, il tetto che punta al contenimento della spesa corrente, incide dunque su una voce (quella dei servizi) già fortemente ridimensionata come dimostra il suo basso tasso di crescita (1,93 nel 2002 e del 3,23% nel 2003).

4. Considerare la spesa dei Comuni uguale a quella dei ministeri, è un errore. Su 55 euro di spesa comunale, 38,6 sono di spesa corrente e 16,44 di investimenti.


4. ALCUNE PROPOSTE

- Eliminare l’estensione del patto di stabilità ai piccoli comuni;

- Rendere neutri per il patto i co-finanziamenti per la realizzazione delle infrastrutture comunali erogati da province, regioni, governo ed istituzioni europee;

- Eliminare dal patto le spese per il pagamento degli interessi sul debito (come previsto per lo stato)

- Eliminare dal patto il pagamento di prestazioni sociali in danaro connesse a diritti soggetti (come previsto per lo Stato)

- Stabilire una media da cui partire per il riferimento storico (oggi 2003) per prevedere una applicazione graduale della regola;

- Agevolare la costituzione di società comunali per realizzare infrastrutture locali a cui affidare il compito di realizzare opere pubbliche (la capitalizzazione sarebbe fuori dal patto);

- Introdurre tributi di scopo: straordinari, eccezionali, a tempo determinato e per finanziare gli investimenti;

- Decentrare le funzioni catastali almeno partendo dalle città metropolitane;

- Prevedere un patto agevolato per il Sud;

- Rifinanziare il fondo per la restituzione dell’IVA pagata sui contratti di esternalizzazione dei servizi

- Rifinanziare il piano di e-government Regioni – Enti locali;

- Piano per il finanziamento di infrastrutture per la mobilità urbana;

- Rifinanziamento del Fondo nazionale per il sostegno alle abitazioni in locazione (buono casa).

- Maggiori risorse per il fondo edilizia scolastica;

- Fondo per coprire gli oneri che graveranno sui comuni a seguito dell’applicazione della legge 53/03; in particolar modo per l’attuazione dei due decreti relativi all’ampliamento del diritto-dovere e all’alternanza scuola-lavoro.


5. CONCLUSIONI

Rispetto alle osservazioni e valutazioni proposte, l’ANCI esprime parere non favorevole al disegno di legge recante “disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello stato (legge finanziaria 2005)” (a.c. n. 5310).

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