Audizione con le Commissioni di Camera e Senato competenti in materia di politiche comunitarie in merito al test di sussidiarietà - II fase, promosso dal Comitato delle Regioni nei mesi di ottobre – novembre 2006
 
 
 
Nel corso del quarto trimestre dello scorso anno il Comitato delle Regioni ha promosso la seconda fase del test sulla sussidiarietà, teso a rafforzare l’applicazione del principio di sussidiarietà enunciato all’art. 5 del trattato istitutivo della Comunità europea, attraverso il coinvolgimento delle realtà regionali degli Stati membri.
Tale principio, introdotto con il trattato di Maastricht, costituisce una delle modalità fondamentali con cui le Istituzioni comunitarie esercitano le proprie competenze, in particolare nelle materie di competenza concorrente della Comunità.
Come è noto, il principio di sussidiarietà significa che le istituzioni europee posso agire solo nei casi e nei limiti in cui il loro intervento è effettivamente necessario o è comunque da ritenersi più opportuno per il perseguimento degli obiettivi stabiliti dall’ordinamento comunitario.
In ogni altro caso gli Stati membri e, all’interno degli Stati, le autonomie riconosciute, conservano pienezza di poteri.
 
Il test ha avuto oggetto la proposta di raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio (COM 2006, 479) su un “Quadro europeo delle Qualifiche e dei Titoli per l’apprendimento permanente” , e cioè sui requisiti minimi delle attività di formazione professionale ai fini del riconoscimento dei relativi titoli in tutti i paesi dell’Unione.
Il test era finalizzato ad acquisire l’opinione delle amministrazioni periferiche degli Stati membri, che hanno una competenza in materia, in ordine ad una serie di questioni, riguardanti sia il merito della proposta di raccomandazione che più in generale la metodologia proposta per lo svolgimento del test stesso, oltre il rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità dell’azione comunitaria.
 
Il Consiglio regionale delle Marche si è proposto per l’effettuazione del test, ritenendo che si trattasse di una esperienza positiva per verificare, in concreto, il principio di sussidiarietà .
Sostenere, infatti, l’applicazione del principio di sussidiarietà significa ridurre le distanze tra l’ordinamento europeo e quelle istituzioni che sono a più diretto contatto con i cittadini, e quindi con i cittadini stessi.
Inoltre la partecipazione del Consiglio regionale delle Marche al test predetto è stata intesa come una concreta applicazione delle norme contenute nella legge n. 11 del 2005 (sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario) che hanno attribuito agli organi legislativi regionali la possibilità di partecipare alla fase di formazione del diritto comunitario (c.d. fase ascendente). Tale facoltà, come è noto, era riservata in precedenza ai soli esecutivi.
 
Ma quali erano le domande del test e come ha risposto il Consiglio regionale delle Marche ?
Le principali domande poste nel test hanno riguardato, in primo luogo, la verifica del rispetto del principio di attribuzione delle competenze, vale a dire il corretto inquadramento normativo proposto dalla Commissione europea per l’adozione della raccomandazione; al riguardo, si ritiene che il rinvio effettuato dalla proposta agli articoli 149 e 150 del trattato Ce sia corretto, come pure è corretta l’applicazione del principio di sussidiarietà, in quanto le materie indicate nei due articoli citati prendono in considerazione argomenti quali l’istruzione e la formazione professionale che rientrano nelle competenze concorrenti della Comunità.
Altra questione affrontata è quella del rispetto della necessità dell’intervento comunitario, che costituisce uno dei presupposti fondamentali dell’applicazione concreta del principio di sussidiarietà; anche in tal caso, si è ritenuto che l’azione della Comunità sia più efficace di quella degli Stati membri, dal momento che la proposta tende ad armonizzare la materia del riconoscimento dei titoli e delle qualifiche, funzionale a rendere più agevole la libera circolazione dei lavoratori e a favorire quindi la realizzazione del mercato interno.
Il test è proseguito soffermandosi sul rispetto del principio di proporzionalità, teso a verificare la correttezza dello strumento utilizzato per realizzare l’obiettivo che costituisce l’oggetto della proposta analizzata.
Al riguardo, si è rilevato che l’utilizzo di un atto non vincolante quale la raccomandazione, se da una parte viene incontro alle esigenze manifestate dagli Stati membri di non essere giuridicamente costretti ad osservare disposizioni normative con carattere obbligatorio, dall’altro rischia di limitare gli effetti sperati, quelli cioè di giungere ad una armonizzazione generale dei requisiti minimi su cui fondare il riconoscimento dei titoli di formazione e di istruzione rilasciati negli Stati membri, il c. d. Quadro europeo delle qualifiche che ho prima ricordato.
Non si può negare, infatti, che l’adesione ad un atto di questa natura su base esclusivamente volontaria costituisce di per se stessa un ostacolo alla realizzazione dell’obiettivo dichiarato di armonizzare la materia.
Venendo poi alle domande concernenti il monitoraggio del contesto in cui la proposta della Commissione è stata elaborata, con particolare riguardo al partenariato attivato con le Istituzioni locali, si ritiene che si tratti di un aspetto di grande rilievo, tenuto conto che in Italia la materia affrontata con il test rientra nella competenza legislativa concorrente delle Regioni, e che quindi le istituzioni competenti dovevano essere sentite preventivamente dalla Commissione europea fin dalla predisposizione della proposta.
In proposito va precisato che durante lo svolgimento del test non è stato possibile acquisire tutte le informazioni necessarie per capire se questo particolare aspetto del principio di sussidiarietà sia stato rispettato del tutto, dal momento che non sono stati reperiti sul sito internet della Commissione europea i documenti di consultazione forniti dai soggetti che hanno preso parte al partenariato. Risulta comunque da fonti della giunta regionale delle Marche che la consultazione si è effettivamente svolta.
 
 
Quanto alla procedura seguita per l’effettuazione del test va ricordato chetrattandosi di una prima esperienza e visti i tempi ristretti assegnati, si è immediatamente avviata un’istruttoria a cura dell’Ufficio della commissione consiliare sulle Politiche comunitarie con l’intervento di personale esclusivamente interno.
L’Ufficio consiliare ha peraltro coinvolto la competente struttura della Giunta regionale, al fine di fornire una risposta esauriente ai quesiti formulati.
Questa circostanza rappresenta senz’altro uno degli aspetti più significativi dell’esperienza, in quanto ha consentito una collaborazione informale ma fattiva tra le strutture di giunta e consiglio, per un fine comune quello cioè di rappresentare la posizione della Regione su tematiche rilevanti.
Questa prassi purtroppo non è sempre seguita nell’ ambito delle politiche comunitarie ove prevale il ruolo degli esecutivi, mentre dovrebbe essere favorita anche per un miglior e più proficuo esercizio delle prerogative di ciascun organo.
L’invio formale del contributo della Regione Marche al Comitato delle Regioni è stato preceduto da una comunicazione all’ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, il quale ha approvato le risultanze del test.
Per ragioni contingenti il personale del Consiglio regionale incaricato dello svolgimento del test non ha potuto prendere parte alle riunioni organizzative che si sono tenute a Bruxelles, nè è stato possibile intervenire alla riunione di sintesi e di verifica dei risultati che si è svolta a gennaio 2007.
 
Da un punto di vista procedurale va comunque osservato che la partecipazione ad un’eventuale futura esperienza di questo tipo dovrebbe opportunamente prevedere il coinvolgimento delle Commissioni consiliari competenti in materia, anche al fine di consentire loro lo svolgimento di audizioni con i soggetti interessati.
Va comunque valutato positivamente il metodo di lavoro adottato che ha consentito un pieno coinvolgimento del personale regionale incaricato, anche mediante modalità di comunicazione semplici ed immediate ( es. posta elettronica ) ed interlocuzioni continue con il personale del Comitato delle Regioni in relazione alle problematiche via via emerse.
Il giudizio conclusivo sull’esperienza è senz’altro positivo.
L’adesione ad iniziative di questo genere dovrebbe essere incoraggiata ed ampliata, e se possibile dovrebbe estendersi fino a consentire alle istituzioni locali di proporre esse stesse gli argomenti da sottoporre a consultazione.
In questo senso nella scelta delle materie il Comitato delle Regioni potrebbe privilegiare temi sui quali le Regioni, ed in particolare i Consigli regionali, stanno concentrando la propria azione istituzionale, a partire dalla politica di coesione e dallo sviluppo economico e sociale dei territori europei.
 
Questa audizione mi permette anche di soffermarmi brevemente su una importante normativa regionale recentemente approvata su iniziativa consiliare e precisamente della Commissione consiliare Politiche comunitarie.
Parlo della legge regionale 2 ottobre 2006, n. 14, che oltre ad introdurre nell’ordinamento regionale la legge comunitaria ha, da un verso, disciplinato le procedure di adozione degli atti di programmazione comunitaria e, dall’altro, istituito nell’ambito dei lavori del Consiglio la così detta Sessione comunitaria .
L’importanza di questa legge risiede essenzialmente nell’aver disciplinato una precisa procedura di approvazione da parte del Consiglio dei programmi cofinanziati dall’Unione europea, e delle modifiche che si dovessero rendere necessarie in sede di negoziato con la Commissione e nel corso dell’attuazione.
Altro aspetto di spicco consiste nell’aver previsto l’apertura di una Sessione comunitaria da parte del Consiglio in occasione della presentazione annuale della proposta di legge comunitaria da parte della Giunta, durante la quale il Consiglio è messo in grado di effettuare il monitoraggio delle politiche comunitarie.
In questo modo l’Assemblea è portata a conoscenza delle azioni poste in essere dalla Giunta regionale per dare attuazione ai programmi cofinanziati dalla Comunità europea e delle interrelazioni con le politiche regionali di settore.
L’obbiettivo è quello della verifica dei risultati conseguiti, anche sotto il profilo dell’efficienza e dell’efficacia della spesa pubblica, nell’ambito della più generale funzione di indirizzo e di controllo che lo Statuto regionale assegna al Consiglio.
 
Con queste brevi note concludo il mio intervento rivolgendo un ringraziamento particolare ai Presidenti delle Commissioni parlamentari qui riunite per l’opportunità che ci è stata offerta di riferire e confrontare le nostre esperienze.
Si tratta di un metodo che conferma e rinsalda il sistema di rapporti istaurato tra gli organi legislativi dello Stato, che considero molto proficuo per il buon funzionamento delle istituzioni da noi rappresentate.
 

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