TENDENZE E PROBLEMI DELLA LEGISLAZIONE REGIONALE


Il presente studio, elaborato dall'Istituto, è parte del Rapporto 2006 sullo "Stato della legislazione tra Stato, Regioni e Unione Europea", realizzato su iniziativa e con il coordinamento dell'Osservatorio sulla legislazione della Camera dei Deputati ed in collaborazione con gli Uffici legislativi delle Regioni e delle due Province autonome. Esso figura nel tomo II dell'omonima opera, pubblicata a Roma, nel 2007, dalla Camera dei Deputati, la quale è, altresì, integralmente scaricabile in formato pdf (Tomo I, Tomo II).  
 


Il 22.1.2007, il 'Rapporto sullo stato della legislazione tra Stato, Regioni e UE' è stato presentato alla Camera dei Deputati. Per l'audio dell'evento, si rinvia al sito di Radio radicale.


 INDICE


INTRODUZIONE (Antonio D’Atena)

1. LA COMPETENZA LEGISLATIVA REGIONALE NEL 2005: CONFERME E PROBLEMI (Carlo Desideri)

1.1 Il numero e la dimensione delle leggi regionali: conferma delle tendenze in corso

1.2 La tipologia delle leggi: ancora uno sforzo innovativo

1.3 L’impegno legislativo nei diversi macrosettori e materie

1.4 L’affermazione e il consolidamento della competenza residuale

1.5 Consolidamenti e tensioni

Note al capitolo



2. DOPO GLI STATUTI: I REGOLAMENTI REGIONALI TRA NORME E PRASSI (Aida Giulia Arabia)

Testo del capitolo

Note al capitolo


3. LA QUALITÀ DELLA LEGISLAZIONE: DAL DRAFTING ALLA COMUNICAZIONE (Aida Giulia Arabia)

3.1 Considerazioni introduttive

3.2 La semplificazione e il riordino

3.3 La fattibilità e la valutazione delle leggi

3.4 Per concludere

Note al capitolo



4. RAPPORTI TRA GIUNTA E CONSIGLIO (Laura Ronchetti)

4.1 Considerazioni introduttive

4.2 Attività svolte all’inizio della VIII legislatura

4.3 Programma della Giunta e indirizzo politico

4.4 Composizione della Giunta

4.5 Composizione del Consiglio

Note al Capitolo


5. PROCEDIMENTI PER L’APPROVAZIONE E L’ATTUAZIONE DEGLI STATUTI REGIONALI (Antonio Ferrara)

5.1 Lo stato di avanzamento del procedimento di approvazione dei nuovi statuti ordinari

5.2 Forma, struttura e dati tecnici di redazione degli statuti

5.2.1 I dati quantitativi

5.2.2 Denominazione giuridica

5.2.3 Formula di promulgazione

5.2.4 Indice

5.2.5 Preambolo o premessa

5.2.6 Partizioni di livello superiore all’articolo

5.2.7 Numerazione e rubricazione degli articoli

5.2.8 Partizioni di livello inferiore all’articolo

5.2.9 Riferimenti normativi esterni

5.2.10 Norme transitorie e finali

5.3 L’attuazione degli statuti regionali ordinari

5.3.1 La revisione dei regolamenti consiliari

5.3.2 La legislazione elettorale regionale

5.3.3 Il Consiglio delle autonomie locali (CAL)

5.3.4 Il Consiglio regionale dell’economia e del lavoro (CREL)

5.3.5 Gli organi di garanzia statutaria

5.3.6 Le altre leggi di attuazione statutaria

5.4 Lo stato del procedimento di approvazione delle leggi statutarie delle regioni a statuto speciale e dei procedimenti di revisione dei rispettivi statuti di autonomia

Note al capitolo


6. TENDENZE NELLA SANITÀ REGIONALE (George France)

6.1 Introduzione

6.2 La tutela della salute

6.3 Il governo della spesa

6.4 L’apprendimento regionale nel policymaking

Note al Capitolo


7. ALCUNI ASPETTI DELLA LEGISLAZIONE REGIONALE IN MATERIA DI FINANZA E CONTABILITÀ (Enrico Buglione)

7.1 Finalità e principali risultati dell’indagine

7.2 Procedimento di formazione e contenuti delle leggi finanziarie regionali

7.3 Leggi finanziarie regionali per il 2006

7.3.1 Tempi di approvazione e struttura

7.3.2 Una sintesi dei contenuti

7.4 Interventi sulle entrate

7.4.1 Disposizioni delle finanziarie per il 2006

7.4.2 Disposizioni in altri provvedimenti adottati nel 2005

7.5 Il Patto di stabilità interno nelle regioni speciali

Note al capitolo



8. FORMAZIONE E ATTUAZIONE DELLE POLITICHE DELL’UNIONE EUROPEA (Vincenzo Santantonio)

8.1 Premessa. Un nuovo quadro normativo

8.2 Statuti ed Unione europea

8.3 Le leggi sulle procedure di partecipazione alla formazione del diritto comunitario

8.4 Le leggi sulle procedure di attuazione del diritto comunitario

8.5 Le leggi comunitarie regionali

8.6 Conclusioni

Note al capitolo
 




INTRODUZIONE

Mentre la VII legislatura regionale è stata, quasi per intero, percorsa dalla tensione tra l’attuazione della riforma costituzionale del 2001 e le iniziative rivolte a riformarla, nella legislatura apertasi con le elezioni dell’aprile 2005, tale tensione è venuta decisamente scemando, per effetto del progressivo esaurimento del nuovo percorso riformatore.
Vero è che, quando essa è iniziata, l’iter procedimentale della “riforma della riforma” non era ancora giunto al capolinea: alla sua conclusione mancando ancora la seconda lettura parlamentare e la verifica referendaria (svoltasi – com’è noto – nel giugno 2006). Non deve, però, dimenticarsi che il processo di elaborazione delle regole che avrebbero dovuto sostituire quelle licenziate nel 2001 si era concluso già nell’autunno del 2004: e, più esattamente, il 15 ottobre di quell’anno, quando la Camera dei Deputati, modificando la formulazione licenziata, in prima lettura, dal Senato, aveva messo a punto il testo definitivo. Il quale, successivamente confermato dal Senato, è stato approvato in seconda lettura dai due rami del Parlamento il 20 ottobre ed il 16 novembre 2005.
Se si dà il giusto peso a questo dato, non sorprende che, all’apertura dell’VIII legislatura regionale, la nota dominante sia costituita dall’assestamento dell’assetto prefigurato dal legislatore costituzionale del 2001.
Un assestamento che trova espressione, oltre che nell’adozione di misure normative di stretta attuazione della costituzione novellata, nell’esercizio, da parte delle Regioni, delle funzioni (vecchie e nuove) loro spettanti e – più in generale – nelle dinamiche istituzionali di cui esse sono state, a vario titolo, protagoniste.
Sul piano dell’attuazione in senso stretto, il primo anno della nuova legislatura regionale non risulta, peraltro, particolarmente ricco. Per la ragione che i processi precedentemente avviati si erano, in genere, esauriti. Alcuni di essi si erano conclusi tra il 2003 ed il 2004. Altri sono giunti a compimento a ridosso della fine della legislatura precedente: si pensi alla legge statale sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea (la n. 11/2005), pubblicata il 15 febbraio 2005, ai nove statuti ordinari adottati nella VII legislatura (gli ultimi dei quali promulgati nell’aprile 2005), alle leggi elettorali delle Regioni che se ne sono dotate, le quali hanno completato il proprio iter tra la fine del 2004 ed i primi mesi del 2005. Gli unici interventi attuativi “nuovi”, in quanto successivi all’aprile 2005, riguardano, oltre che lo statuto di una Regione (pubblicato nel settembre di quest’anno), i regolamenti interni di alcuni Consigli regionali e alcune leggi regionali disciplinanti i Consigli regionali dell’economia e del lavoro, i Consigli delle autonomie locali e gli organi di garanzia statutaria.
Benché conclusisi, per lo più, in precedenza, è, tuttavia, nella nuova legislatura regionale che i processi di cui si è appena detto hanno iniziato a produrre i propri effetti, dando vita ad un ambiente normativo molto diverso da quello in cui si era sviluppata la legislatura precedente. Essi, cumulandosi con quelli compiutisi anteriormente (si pensi alla legge La Loggia del 2003) ed inserendosi in un contesto in via di stabilizzazione, per effetto del consolidamento degli indirizzi della giurisprudenza costituzionale, hanno contribuito a mettere il sistema a regime; o – più esattamente – “quasi” a regime, a causa della persistente latitanza di cinque statuti regionali e della mancata adozione di alcune discipline statali di particolare rilievo, tra le quali fanno spicco la nuova disciplina della finanza e quella delle funzioni “fondamentali” degli enti territoriali infraregionali.
Ma – come si è anticipato – non è solo sul versante delle regole che si colgono i segni del processo di assestamento di cui si è detto all’inizio. Segni non meno rilevanti si colgono, infatti, su un versante diverso (ancorché collegato): quello dei comportamenti degli attori regionali e delle dinamiche istituzionali che essi hanno concorso a determinare.
È questo il terreno in cui si colloca l’attività normativa delle Regioni, la quale costituisce l’oggetto principale – pur se non esclusivo – del Rapporto che si licenzia.
Non spetta ovviamente a queste brevi note introduttive entrare nel merito dei temi specificamente affrontati negli otto capitoli in cui il rapporto si articola. Questi ultimi hanno, rispettivamente, ad oggetto: la competenza legislativa regionale (Carlo Desideri), i regolamenti regionali dopo gli statuti (Aida Giulia Arabia), la qualità della legislazione (ancora Aida Giulia Arabia), i rapporti Giunta-Consiglio (Laura Ronchetti), i procedimenti per l’approvazione e l’attuazione degli statuti regionali (Antonio Ferrara), le tendenze della sanità regionale (George France), alcuni aspetti della legislazione regionale in materia di finanza e contabilità (Enrico Buglione), la formazione e l’attuazione delle politiche comunitarie (Vincenzo Santantonio).
In questa sede, non è, peraltro, fuor di luogo ricordare come il rapporto è stato realizzato e sottolineare qual è – almeno a giudizio dello scrivente – lo specifico valore aggiunto che esso presenta.
Quanto al come – o, più paludatamente: al metodo – è da dire che, al pari dei cinque rapporti che lo hanno preceduto, anch’esso si compone di capitoli costruiti sulla base di un questionario elaborato d'intesa dall'Osservatorio sulla legislazione della Camera dei Deputati, dall'ISSiRFA e dagli Uffici legislativi dei Consigli regionali. Questi ultimi hanno fornito notizie ed osservazioni sulle esperienze maturate nelle singole realtà regionali. Notizie e osservazioni, che, unitamente alle rilevazioni di fonte ISSiRFA, costituiscono la base conoscitiva su cui si fondano le singole elaborazioni.
Passando al “valore aggiunto”, esso può essere condensato in una formula che figura – ad altro riguardo – in uno dei capitoli del Rapporto: la “cultura del dato”. Tutte le elaborazioni, essendo saldamente ancorate a rilevazioni di carattere empirico, offrono ai lettori elementi di valutazione non altrimenti disponibili. E contribuiscono, quindi, ad una conoscenza dell’esperienza regionale italiana e delle dinamiche che in essa si sviluppano diversa da quella acquisibile mediante altri strumenti.

Antonio D’Atena


1. LA COMPETENZA LEGISLATIVA REGIONALE NEL 2005: CONFERME E PROBLEMI (Carlo Desideri)

1.1 Il numero e la dimensione delle leggi regionali: conferma delle tendenze in corso.

Nell’anno 2005 le Regioni nel loro insieme – ordinarie e a statuto speciale – hanno emanato complessivamente 599 leggi (1). Questo dato sembra confermare dunque la tendenza – che ormai si registra da alcuni anni – alla diminuzione del numero di leggi prodotto annualmente dalle Regioni.
E’ possibile in proposito fare un confronto con alcuni dati disponibili negli anni precedenti, in particolare i Rapporti sullo stato della legislazione del 2002 e del 2003 (2). Il primo - che tuttavia contiene dati riferiti al periodo giugno 2001-dicembre 2002 – segnala (v. Tab. 1, pag. 362) un dato complessivo, per le Regioni ordinarie e a statuto speciale, di 1194 leggi. Il secondo, con dati riferiti all’anno solare, segnala (v. Tab. 1 pag. 418) un numero complessivo di 623 leggi.
Peraltro il confronto tra il 2005 e il 2003 evidenzia come alla diminuzione del numero delle leggi corrisponde, però, nel 2005 un numero di articoli più ampio, sia pure non di molto (3). Inoltre – tenendo conto anche della mancanza dei dati del 2005 per due Regioni - più numerosi sembrano essere i commi delle leggi del 2005 rispetto a quelli del 2003: 22556 rispetto a 20293 (4).
Con qualche approssimazione può dunque confermarsi la tendenza anzidetta, o comunque che non vi è un incremento della produzione legislativa regionale per anno. Nella stessa direzione vanno del resto i dati offerti da altre analisi come quella – relativa alle sole Regioni ordinarie - contenuta nel Terzo Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia dell’ISSiRFA-CNR, riferita peraltro ad un ampio arco di tempo: gli anni 1990-2005 (5).
Al fenomeno del decremento delle leggi regionali, verso un numero che comunque sembra stabilizzarsi negli ultimi anni, concorrono probabilmente più fattori. Si è messo l’accento a volte sulle incertezze che sarebbero intervenute a seguito della riforma costituzionale del 2001, in particolare per la parte che riguarda le difficoltà di interpretazione e applicazione delle norme relative al riparto delle competenze tra Stato e Regioni. L’analisi più dettagliata dei dati disponibili in ordine alla distribuzione delle leggi tra le varie materie e settori, sulla quale torneremo più avanti, evidenzia inoltre che le Regioni hanno legiferato molto poco nelle materie residuali e concorrenti di nuova attribuzione. Va considerata poi l’attenzione che, almeno a partire dalla stagione del c.d. “federalismo amministrativo”, le Regioni hanno dedicato ai processi di riordino e razionalizzazione della legislazione che ha portato – oltre che a numerose abrogazioni di leggi esistenti – a una diminuzione degli interventi legislativi episodici e quindi della frammentazione legislativa.
Per altro verso va segnalato che è cresciuto tuttavia il ruolo e l’estensione delle leggi finanziarie divenute in più casi “contenitori” di interventi sostanziali di vario tipo.
Da un lato vi è dunque un riordino, realizzato con leggi intersettoriali e settoriali, e dall’altro una crescita dimensionale specialmente di alcune leggi (6), tra le quali leggi “contenitore”che non sembrano contribuire alla chiarezza e alla leggibilità della legislazione.
Le Tabelle 1a e 1b consentono, per le Regioni a statuto ordinario, di leggere i dati relativi al 2005 con riferimento alla VII e alla VIII legislatura regionale, tenendo conto che nel mese di aprile si sono tenute le elezioni politiche regionali. Fa eccezione la Regione Molise, nella quale non si sono svolte le elezioni, che viene dunque presa in considerazione solo nella Tab.1c relativa a tutto il 2005.
Benché sia notevolmente minore il numero dei mesi rientranti nella VII legislatura rispetto a quelli della VIII (3 mesi contro 9 mesi), si può constatare – v. la Tab. 1a - che il numero totale delle leggi, 191, è superiore a quello delle leggi emanate – v. la Tab. 1b - nella VIII legislatura, 153. Peraltro si può constatare come il divario appaia anche più evidente ove si consideri la struttura e le dimensioni delle leggi: le 191 leggi della VII legislatura infatti si articolano in ben 3415 articoli e 9620 commi e si estendono in 2673809 caratteri, mentre le 153 leggi della VIII molto più modestamente si articolano in 1349 articoli e 3012 commi e si estendono in 1037131 caratteri.
Il notevole divario si spiega evidentemente, nel caso dell’ampia produzione legislativa nei pochi mesi della VII legislatura, proprio con l’imminenza delle elezioni. Così come, nel caso della più limitata produzione successiva, con i tempi politici e tecnici di avvio della nuova legislatura. Si tratta di un fenomeno in realtà già noto, che viene qui confermato – anche nella sua evidenza e rilevanza – dai dati disponibili.

1.2. La tipologia delle leggi: ancora uno sforzo innovativo.

Passando a considerare la tipologia delle leggi regionali, sembra che anche sotto questo profilo si possa constatare di massima una conferma di tendenze già registrate negli anni precedenti. Dalla Tab. 5c, relativa sia alle Regioni a statuto ordinario che a quelle a statuto speciale, si ricava che vi è una netta prevalenza delle leggi “settoriali”, 206, seguite da 131 leggi di “manutenzione”, 112 di “bilancio”, 53 leggi “provvedimento”, 31 istituzionali e 13 intersettoriali. La tendenza non muta distinguendo tra Regioni ordinarie e a statuto speciale, tranne, nel caso di queste ultime, un distacco più ampio tra leggi “settoriali” e di “manutenzione” (71 contro 17) rispetto a quanto si verifica nelle Regioni ordinarie (135 contro 114).
Di un certo interesse può forse apparire il dato che nel caso delle Regioni ordinarie distingue tra la VII e la VIII legislatura, che evidenzia per la VII una prevalenza delle leggi “settoriali” su quelle di “manutenzione” (79 contro 45), mentre il rapporto si inverte nella VIII dove le leggi di “manutenzione” prevalgono su quelle “settoriali” (51 contro 31). Di nuovo si tratta di un fenomeno che probabilmente si può spiegare con i tempi politici e tecnici di avvio della nuova legislatura.
Il confronto dei dati relativi al 2005 con i precedenti Rapporti sullo stato della legislazione del 2002 e del 2003 sembra fornire dei riscontri utili a quanto finora emerso.
Cominciando a considerare il Rapporto per il 2002, che tuttavia come ricordato è relativo al periodo che va dal giugno 2001 al dicembre 2002, si può constatare – v. Tab. 2c, pag. 370 – che il primato va alle leggi “provvedimento”, che sono 475 rispetto alle 403 leggi “settoriali”. Va tenuto conto, però, che nella classificazione utilizzata nel 2002 manca la categoria delle leggi di “manutenzione”, per cui è ragionevole ipotizzare che tale tipo di leggi almeno in parte rientrino tra le leggi in generale denominate “provvedimento”.
Quanto appena detto per il Rapporto 2002, può valere anche per il Rapporto 2003, relativo stavolta all’anno solare, dove anche si segnala – v. la Tab. 2c, pag. 426 – la prevalenza delle leggi “provvedimento”, 236, rispetto alle leggi “settoriali”, che sono 191. Anche in tal caso manca, però, la categoria delle leggi di “manutenzione”.
Sotto un altro profilo si può constatare come sia piuttosto ridotto, rispetto alle leggi “settoriali”, il numero delle leggi classificate come “intersettoriali” e come anzi sembra esserci una tendenza alla diminuzione di tale tipo di leggi, che passano da 30 (nel periodo giugno 2001-dicembre 2002) a 22 (nel 2003) e infine (nel 2005) a 13. In realtà, va tenuto conto che tale tipo di leggi sono state emanate in effetti soprattutto a seguito delle riforme del c.d. “federalismo amministrativo”, che investiva appunto più materie e settori, ma che nel tempo sembra essersi attenuato il ricorso a tale tipo di strumento normativo.
Dai dati disponibili per il 2005 e in una certa misura, come detto, anche dai dati relativi al 2002 e al 2003 risulta che, nel complesso della produzione legislativa regionale, un peso rilevante hanno le leggi “settoriali”, dove per tali si intendono di massima leggi che disciplinano in maniera pressoché completa un settore di attività, più o meno ampio, rientrante in una materia di competenza regionale. Quanto alle leggi di “manutenzione”, la loro presenza relativamente ampia può essere interpretata come sintomo di una tendenza ad aggiustare piuttosto che riformare, ma anche come indice di una certa stabilità del quadro normativo, salva la fisiologica esigenza di adeguarlo nel tempo. La loro presenza non appare dunque un dato da leggere in maniera negativa (7).
Sembra così emergere che, in realtà, una parte notevole dell’attività normativa regionale è dedicata alla elaborazione di leggi nuove; il che fa ipotizzare un ruolo attivo e in gran parte innovatore delle Regioni nei processi di trasformazione e riforma costituzionale e amministrativa da alcuni anni in corso nel nostro Paese, ed anche un processo di consolidamento delle Regioni come istituzioni rispondenti alle esigenze e agli interessi delle comunità di riferimento. In senso analogo vanno peraltro i rilievi che emergono da altre analisi sulle leggi regionali, come quella qui già ricordata svolta dall’ISSiRFA-CNR.

1.3. L’impegno legislativo nei diversi macrosettori e materie.

I dati relativi alla classificazione delle leggi secondo i macrosettori e le materie mettono in luce – v. la Tab. 6 – che, su 549 leggi (8), 107 hanno ad oggetto i “servizi alla persona e alla comunità”, 102 lo “sviluppo economico e le attività produttive”, 94 l’ “ordinamento istituzionale”, 88 il “territorio, ambiente e infrastrutture”. Le più numerose, 128, sono comunque le leggi classificate nel macrosettore “finanza regionale”. Vi sono poi 30 leggi (di massima si tratta di leggi di semplificazione, di abrogazione, di collegati) classificate “multisettore” in quanto riguardanti tutti i macrosettori (9).
Per il profilo qui considerato non appare possibile un confronto diretto con i dati risultanti dai precedenti Rapporti sullo stato della legislazione, in quanto sia nel Rapporto 2002 che in quello 2003 i dati sono disponibili solo per numero di articoli e non per numero di leggi (10).
Quanto rilevato per l’anno 2005 appare confermare comunque una tendenza che emerge anche da altre analisi (11). La Regione si conferma un soggetto di rilievo sotto il profilo dei servizi alla comunità, così come per lo sviluppo economico.
Alcuni elementi più significativi delle tendenze in atto si possono ricavare però da una lettura più specifica - v. la Tab. 6 - con riguardo alle materie comprese nei macrosettori.
Sotto questo profilo, con particolare riguardo al settore dello sviluppo economico, emerge con evidenza che la maggior parte delle leggi emanate dalle Regioni riguardano il settore dell’agricoltura e dello sviluppo rurale e della pesca in genere: le materie dell’ “agricoltura e foreste” e della “caccia, pesca e itticoltura” da sole totalizzano 52 leggi, a fronte di 1 legge per l’artigianato, 7 per l’industria e 2 per il sostegno all’innovazione per i settori produttivi. Anche il turismo, materia per la quale la vocazione regionale dovrebbe essere indubbia, totalizza 10 leggi, comprese peraltro quelle per l’agriturismo.
Nel macrosettore del “territorio, ambiente e infrastrutture”, accanto allo sviluppo della legislazione nelle materie di più consolidata tradizione regionale come il “territorio e l’urbanistica” e i “trasporti”, va segnalato un significativo numero di leggi nella materia della “protezione della natura e dell’ambiente” che conferma il permanere dell’impegno regionale in un campo attribuito alla competenza esclusiva dello Stato in sede di riforma del Titolo V della Costituzione.
Nel macrosettore dei “servizi alla persona e alla comunità”, accanto al numero più ampio di leggi dedicate alla “tutela della salute”, può notarsi la presenza di un numero significativo di leggi nel campo dei “servizi sociali” e dei “beni e attività culturali”.
Anche se come già detto non è possibile confrontare direttamente i dati del 2005 con quelli dei rapporti precedenti, a causa della non omogeneità dei dati rilevati, si può osservare che di massima i dati per numero di articoli del Rapporto sullo stato della legislazione per il 2002 (v. la Tab. 2e, pag. 372) confermano, per il macrosettore dello “sviluppo economico e attività produttive”, il carattere predominante dell’ “agricoltura e foreste” e delle materie ad essa da sempre connesse come la caccia e la pesca rispetto alle altre materie, con l’eccezione del turismo, oggetto di una non trascurabile attività legislativa.
Una situazione analoga emerge dal Rapporto per il 2003 (v. la Tab. 2e, pag. 428), anche se qui i dati sembrano segnalare una notevole diminuzione dell’impegno legislativo per il turismo.
Dall’insieme della legislazione regionale, considerata per macrosettori e materie, certamente emerge l’immagine della Regione come un ente impegnato sia in ordine alle condizione di vita civili e sociali delle popolazioni sia in ordine allo sviluppo economico. Guardando all’interno del macrosettore dello “sviluppo economico e attività produttive” emerge evidente come sia assolutamente predominante almeno per ora l’impegno delle Regioni nelle materie – l’agricoltura e lo sviluppo rurale in particolare - nelle quali le Regioni hanno una più consolidata esperienza e tradizione di intervento, costruendo – si può ritenere – anche legami e rapporti più stretti con settori e interessi di riferimento. Molto ridotto appare invece l’impegno delle Regioni in materie come l’artigianato e l’industria che pure rientrano, dopo la riforma costituzionale del 2001 del Titolo V tra le competenze residuali delle Regioni. Anche nel caso del turismo lo sviluppo della legislazione appare forse inferiore a quanto ci si poteva attendere in una materia così vicina al territorio e alle sue vocazioni. Sicuramente molte disposizioni ed interventi per l’artigianato e l’industria sono contenuti nelle leggi finanziarie – divenute come già detto contenitori anche di discipline sostanziali – tuttavia ciò vale anche per l’agricoltura e le materie ad essa connesse. In realtà, il divario tra le materie è ampio e si può ipotizzare che, oltre alla già accennata maggiore facilità delle Regioni a continuare nell’impegno in settori di tradizione più consolidata, possano pesare anche altri fattori, tra i quali probabilmente – malgrado le riforme – la tendenza al mantenimento di competenze operative a livello nazionale o comunque - considerando le responsabilità statali per lo sviluppo del Paese – un assetto di rapporti intergovernativi ancora da definire e chiarire. Nel caso specifico del turismo può inoltre aver pesato – come già ricordato in altra occasione (12) - l’incertezza determinata dall’approvazione di una legge quadro in materia contemporaneamente all’attribuzione del turismo – con la riforma del titolo V della Costituzione – alla sfera della competenza residuale-generale delle Regioni.
Infine si può anche notare – v. la Tab. 6 - come l’impegno legislativo regionale appaia ridotto in quelle materie – relative ad esempio all’energia, alla ricerca scientifica, alle comunicazioni - la cui attribuzione alla competenza regionale ad opera della riforma del 2001 ha suscitato non poche perplessità, così che si è anche pensato e si sta continuando a pensare di ridefinirle anche sotto il profilo del titolo di competenza.

1.4. L’affermazione e il consolidamento della competenza residuale.

Elementi significativi si ricavano anche dai dati relativi ai diversi titoli delle competenze legislative esercitate dalle Regioni. In particolare - con riferimento alla Tab. 4c sulle fonte giuridica della potestà legislativa, che classifica per il complesso delle Regioni ordinarie e a statuto speciale le leggi nelle categorie della potestà “concorrente”, “residuale” e “mista” - si può constatare come con 291 leggi la potestà “residuale” sia decisamente più esercitata rispetto alla “concorrente”. Né questo dato può subire mutamenti sia pure dovesse accertarsi una prevalenza della potestà “concorrente” all’interno della categoria della potestà “mista”.
Quanto appena rilevato appare riscontrabile anche nella Tab. 4a, riferita alle sole Regioni a statuto ordinario, anche se in tal caso la prevalenza della potestà “residuale” risulta di solo tre leggi nel caso della VII legislatura, mentre appare molto più evidente nel caso della VIII legislatura.
Il confronto con quanto emerso dal Rapporto 2002 sullo stato della legislazione - anche se non vi è una piena omogeneità dei dati (mancando due Regioni, ma diverse dalle due che mancano nella rilevazione per il 2005) - conferma, v. la Tab. 2f, pag.373 - la prevalenza della potestà (allora denominata) “primaria” su quella “concorrente” (643 leggi rispetto a 519). Una situazione non diversa emerge dal Rapporto 2003 sullo stato della legislazione dove i dati – stavolta non per numero di leggi ma di articoli – confermano comunque la netta prevalenza della potestà (di nuovo qui denominata) “primaria” rispetto a quella “concorrente”.
Il peso notevole, ma non la prevalenza, della competenza residuale è, in effetti, confermato dai dati del Rapporto qui già ricordato dell’ISSiRFA-CNR, riferiti all’intero periodo 2001-2005 per le sole Regioni a statuto ordinario (13). Se ne ricava peraltro che, mentre le leggi di competenza residuale rappresentano più del 42% del totale, il loro peso è diversamente distribuito nei vari macrosettori, essendo nettamente prevalente nel caso dell’“ordinamento istituzionale” (più dell’86%) e in quello dello “sviluppo economico e attività produttive” (più dell’84%) e decisamente inferiore nel caso del “territorio, ambiente e infrastrutture” (più del 19%) e in quello dei “servizi alla persona e alla comunità (più del 32%).
Le classificazioni in questione possono presentare degli aspetti problematici, tuttavia - al di là della stessa prevalenza o meno dell’esercizio di un tipo di potestà rispetto all’altra - ciò che non sembra discutibile è il peso comunque assunto dalla potestà “residuale” nell’attività legislativa regionale, con una prevalenza certa – tra l’altro – nel macrosettore dello “sviluppo economico e attività produttive”. Il che non è un risultato da poco se si tiene conto dei dubbi e delle critiche che hanno accompagnato l’introduzione di tale tipo di potestà.

1.5 Consolidamenti e tensioni.

La rilevazione relativa all’anno 2005 sembra dunque mettere in luce alcuni profili dell’esperienza regionale che di massima trovano riscontro anche nelle rilevazioni effettuate negli anni precedenti, nonché in analisi e valutazioni riferite ad un arco di tempo pluriennale (14).
In sintesi, per quanto riguarda il numero delle leggi – come anche dimostrano i dati del 2005 – resta confermato che le riforme amministrative e poi costituzionali non hanno determinato una inflazione della legislazione, come pure da alcune parti si temeva; il numero di leggi prodotte dalle Regioni è andato al contrario diminuendo, con una certa stabilizzazione negli anni più recenti. Per altro verso, accade in certi casi che si faccia ricorso a testi normativi “pesanti” di grande estensione, “contenitori” di interventi di vario tipo, il che non contribuisce alla facile leggibilità e interpretazione della normativa.
Quanto rilevato nel 2005 conferma, poi, che la legislazione regionale in gran parte ha carattere innovativo, il che è certamente ancora effetto delle riforme amministrative e costituzionali, ma anche segno di una vitalità degli enti regionali. Va altresì considerato che molte leggi “settoriali” hanno ad oggetto interventi di ampio respiro di carattere organizzativo e di regolazione. Ciò si verifica anche nel settore dello “sviluppo economico e attività produttive”, non più – come accadeva in passato – caratterizzato prevalentemente da leggi di incentivazione.
Con riguardo alle materie di intervento - anche se appare comunque significativo l’impegno regionale nei tre grandi ambiti della vita civile e sociale, dell’economia e del territorio e ambiente - si è visto che esistono situazioni diverse, con materie che vedono uno sviluppo in realtà limitato rispetto alle aspettative e potenzialità come delineate dalle riforme amministrative e costituzionali. Sotto questo profilo possono avere giocato difficoltà interne alle Regioni nell’avvio degli interventi specialmente in settori di nuova competenza, ma anche – come forse è il caso delle materie dell’industria e del turismo - fattori esterni connessi alla presenza di un quadro di riparto di materie e/o di rapporti tra Stato e Regioni che resta non chiaro e problematico.
Infine, l’ampio ricorso alla potestà legislativa residuale anche nel 2005 sembra una importante conferma che il mutamento del ruolo delle Regioni, come enti capaci di una competenza di tipo generale, introdotto con la riforma costituzionale del 2001, coglieva una realtà in qualche modo già pervenuta ad un punto di maturazione e rispetto alla quale si esprime gran parte dell’impegno legislativo delle Regioni.
Numerose leggi di competenza residuale riguardano sia il campo dello “sviluppo economico e attività produttive”, sia quello dei “servizi alla persona e alla comunità”. Non sono poche, poi, le leggi delle Regioni – in genere dalle Regioni stesse classificate, in sede di risposta ai questionari, come leggi di potestà residuale – che nel 2005, come già avvenuto negli anni scorsi, affrontano temi e problemi in parte nuovi, cercando di dare delle risposte a esigenze emergenti nelle comunità di riferimento (15). Si tratta di temi che in certi casi sono difficilmente collocabili nelle materie tradizionali. Sembra emergere così una tendenza delle Regioni a creare nuove materie o, almeno, a superare o ampliare la visione che finora si è avuta delle materie.
Benché l’osservatorio legislativo - non considerando altri aspetti dell’attività regionale, come l’amministrazione e la finanza – offra una visione parziale della realtà regionale, sembra che comunque gli elementi di conoscenza che da qui possono trarsi segnalino un consolidamento delle Regioni come enti rispondenti alle esigenze e agli interessi delle rispettive comunità.
Per altro verso, la stessa analisi della normativa segnala la presenza di tensioni irrisolte in ordine alle competenze e al quadro dei rapporti tra Stato e Regioni. Di massima, si può infatti ritenere che il mancato o debole sviluppo dell’attività legislativa in alcune materie residuali o concorrenti pure attribuite alle Regioni sia – fatto salvo il peso di altri fattori – il sintomo di difficoltà interpretative o anche – in particolare in alcuni casi - di un disagio dinanzi a materie il cui carattere “regionale” appare in effetti dubbio.
Una conferma di tali difficoltà e tensioni, sotto il profilo appena accennato, è offerto dal contenzioso tra lo Stato e le Regioni. Con riferimento ad alcuni casi significativi relativi alle leggi regionali emanate nel 2005 (16), si può constatare come il contenzioso si manifesti soprattutto in ordine a certi tipi di materie e di interventi rispetto ai quali evidentemente appare più difficile individuare confini precisi, oppure non si intende riconoscere l’interpretazione data dalle Regioni.
Le impugnazioni da parte statale di norme regionali riguardano in particolare: il rispetto del principio della libera circolazione delle persone, delle merci e dei servizi, venendo dunque in discussione il confine con la competenza esclusiva statale sulla tutela della concorrenza (v. il caso della legge n.5/2005 della Basilicata, della legge n.11/2005 delle Marche, della legge n.39/2005 della Toscana); il rispetto di norme di principio e di competenze organizzative nel caso di norme sugli incendi boschivi e sulla protezione civile (rispettivamente le leggi n.13/2005 della Basilicata e n.1/2005 dell’Emilia-Romagna); la competenza in ordine a materie di incerta definizione come l’immigrazione e i vari problemi connessi (legge n.5/2005 del Friuli Venezia Giulia); l’ampiezza effettiva della competenza regionale nella materia della comunicazione (legge n.25/2005 della Valle d’Aosta; legge n.8/2005 del Veneto) e dell’energia (legge n.1/2005 della Provincia di Bolzano, relativa in particolare alle grandi derivazioni a scopo idroelettrico; legge n.39/2005 della Toscana di riordino della materia); la tutela della salute insieme alla ricerca scientifica (legge n.26/2005 del Veneto di “Istituzione dell’Istituto oncologico veneto”); la materia del lavoro per il profilo del mobbing (legge n.18/2005 dell’ Umbria); la competenza regionale in ordine alla pesca in mare (legge n.66/2005 Toscana); l’estensione della disciplina normativa e dei contenuti dei piani territoriali regionali (legge n.12/2005 della Lombardia; legge n.1/2005 della Toscana).
Le tensioni riguardano dunque i confini e/o l’effettiva estensione di alcune materie, l’attribuzione di un dato oggetto o intervento a questa o quella materia. In alcuni casi sembrano confermare i dubbi su certe scelte fatte in sede di riforma costituzionale, in altri segnalano situazioni di non facile definizione che forse potrebbero trovare soluzioni più semplici in un quadro certo di rapporti collaborativi tra Stato e Regioni. A volte sembrano evidenziare, però, una difficoltà e resistenza statale proprio in presenza di spinte innovative provenienti dalle Regioni nel momento in cui tendono a ricercare soluzioni e strumenti nuovi di intervento, come nel caso da ultimo ricordato delle impugnative delle leggi della Lombardia e della Toscana che finiscono per contestare – in nome di una rivendicazione settoriale di competenze (17) – proprio quella che è la novità della pianificazione territoriale come prospettata dalle Regioni, vale a dire il carattere di pianificazione integrata, che mette insieme i profili urbanistici, di sicurezza territoriale, ambientali e culturali.

NOTE

(1) Aggiungendo alle 554 leggi indicate nelle risposte al questionario (v. la Tab. n.1c), le leggi delle due Regioni – Campania e Puglia – che non hanno inviato risposte, si giunge ad un totale di 599 leggi.
(2) Il Rapporto 2004-2005 contiene esclusivamente dati di carattere generale sulla produzione legislativa regionale, che risultano comparabili soltanto in piccola parte con i dati forniti dagli altri rapporti.
(3) Aggiungendo ai 7809 articoli indicati dalle risposte al questionario i 561 articoli della Campania e della Puglia, che, come accennato, non hanno inviato risposte, si giunge per il 2005 ad un totale di 8370 articoli, superiore a quello di 7857 per l’anno 2003.
(4) Non sono invece comparabili i dati sulle dimensioni delle leggi (espresse in numero di caratteri) in quanto incompleti anche per il 2003.
(5) Cfr. A.G.Arabia e C:Desideri, L’attività normativa nella settima legislatura regionale, p. 479 e ss., in particolare la Tab. n. 1, in ISSiRFA-CNR, Terzo Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia, Giuffrè Editore , Milano, 2005.
(6) Se il dato sul numero delle leggi per anno è indubbiamente rilevante, va dato tuttavia il giusto peso anche al dato relativo alla dimensione delle leggi, per la quale vi sono diversità anche notevoli tra le Regioni. Guardando ai dati contenuti nel Rapporto 2003 sullo stato della legislazione si può così constatare infatti – v. in particolare le Tab. 1 e 1a - che vi sono Regioni con un numero di leggi eguale o anche inferiore ad altre che tuttavia – come segnala la rilevazione sul numero dei caratteri, vale a dire sulla estensione fisica delle leggi – hanno un prodotto normativo annuale molto più grande: ad esempio alle 30 leggi della Calabria con 398066 caratteri corrispondono 30 leggi della Lombardia con ben 654694 caratteri; alle 55 leggi della Toscana con 546929 caratteri corrispondono 28 leggi dell’Emilia-Romagna che tuttavia hanno la dimensione, più ampia, di 670461 caratteri. L’incompletezza dei dati non consente, come già detto, un confronto complessivo tra il 2003 e il 2005; va segnalato però che in alcune Regioni per le quali il dato è disponibile, si registra una contrazione rilevante della dimensione complessiva delle leggi prodotte (Calabria, Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto); in altre non vi sono modifiche di rilievo; in altre invece l’estensione delle leggi cresce in maniera significativa (v. la Tab. 1c che raccoglie i dati del 2005 a raffronto con la Tab. 1 del Rapporto 2003).
(7) Sulla doppia lettura che può darsi delle leggi di manutenzione v. già i dati e le riflessioni nel contributo curato da A.G. Arabia, Focus sulla produzione normativa nella VII legislatura regionale, in Camera dei Deputati, Rapporto sullo stato della legislazione 2004-2005 tra Stato, Regioni e Unione Europea, in particolare pag. 107.
(8) Dal computo complessivo delle 554 leggi, sono state detratte le 4 “leggi voto” della Regione Sicilia e lo Statuto dell’Umbria.
(9) Mentre le leggi intersettoriali, delle quali si è trattato al par. 2, sono quelle che disciplinano per intero più settori o più ampi sub-settori, per leggi multisettoriali il questionario ha inteso, oltre al tipo di leggi accennate nel testo, quelle che disciplinano singoli istituti o strumenti (ad esempio forme di programmazione o di accordi) utilizzabili in tutti o più macrosettori.
(10) Secondo il Rapporto 2002 (v. la Tab. 2d pag. 371) il macrosettore con un numero di articoli più ampio era quello della “finanza regionale”, seguito dallo “sviluppo economico e attività produttive”, dal “territorio, ambiente e infrastrutture”, dai “servizi alla persona e alla comunità” e dall’ “ordinamento istituzionale”. Il Rapporto 2003 (v. Tab. 2d, pag. 427) presentava una situazione analoga, anche se stavolta il macrosettore “servizi alla persona e alla comunità” precedeva quello del “territorio, ambiente e infrastrutture”.
(11) Cfr. A.G.Arabia e C:Desideri, L’attività normativa nella settima legislatura regionale, da p. 479, in particolare la Tab. n. 1, in ISSiRFA-CNR, Terzo Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia, Giuffrè Editore , Milano, 2005.
(12) A.G. Arabia e C. Desideri, Gli orientamenti e le novità della normativa regionale sulle attività produttive, in ISSiRFA-CNR, Regioni e attività produttive, Rapporto sulla legislazione e sulla spesa, 1998-2004: un bilancio, Giuffrè Editore, Milano, 2006, p.4 e seguenti.
(13) Cfr. A.G. Arabia e C.Desideri, op.cit., in particolare la Tab. 9, pag. 499. In questa rilevazione non è stata adottata la classificazione della potestà “mista”, preferendosi attribuire le leggi alle due categorie “residuale” e “concorrente”, in base ad un criterio di prevalenza.
(14) Cfr. A.G. Arabia e C. Desideri, L’attività normativa nella settima legislatura regionale, in ISSiRFA-CNR, Terzo Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia, Giuffrè Editore , Milano, 2005.
(15) Senza pretesa di completezza, nel 2005 appaiono esempi significativi, tre le leggi classificate dalle Regioni di potestà residuale: la legge n. 29/2005 Abruzzo sulla “Promozione e diffusione di una cultura dell’educazione alla pace e ai diritti umani”; n. 40/2005 Abruzzo “Politiche regionali per il coordinamento e l’amministrazione dei tempi delle città”; n. 3/2005 Basilicata “Promozione della cittadinanza solidale”; n. 10/2005 Basilicata “Promozione dei diritti ed opportunità per l’infanzia e l’adolescenza e per lo sviluppo di progetti per città dei bambini e delle bambine”; n. 3/2005 Calabria “Piano degli interventi sugli immobili confiscati alla criminalità mafiosa”; n. 9/2005 Emilia-Romagna “Istituzione del garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza”; n. 12/2005 Emilia-Romagna “Valorizzazione delle organizzazioni di volontariato”; n. 5/2005 Lazio “Riutilizzo e fruizione sociale dei beni confiscati alla criminalità organizzata”; n. 16/2005 Molise “Provvedimenti per l’adozione di minori da parte di coppie residenti nella Regione”; n. 46/2005 Molise “Istituzione della giornata regionale per la donazione del midollo osseo dedicata a C.S.”; n. 35/2005 Toscana per la costituzione di un “laboratorio di monitoraggio e modellistica ambientale per lo sviluppo sostenibile”. Tra le leggi classificate di potestà concorrente: n. 4/2005 Emilia Romagna che modifica una precedente legge sulla vivisezione; n. 5/2005 Emilia-Romagna sulla tutela del benessere degli animali; n. 7/2005 Friuli Venezia Giulia sul mobbing ; n. 12/2005 Lazio “Tutela e valorizzazione dei dialetti di Roma e del Lazio”; n. 24/2005 Toscana per la “promozione della salute e della sicurezza negli ambienti domestici”; n. 8/2005 Provincia di Trento sul “sistema integrato di sicurezza”; n. 18/2005 Umbria sul mobbing; n. 3/2005 Umbria sulle “terapie complementari” (sorriso e pet therapy).
(16) Si tratta dei casi di impugnativa di leggi regionali da parte del governo segnalati dalle Regioni stesse in risposta al questionario.
(17) L’impugnativa della legge della Lombardia riguarda l’integrazione nel PTR degli indirizzi di riassetto ai fini della prevenzione dei rischi idrogeologici e sismici. L’impugnativa della legge della Toscana riguarda la presunta invasione della sfera di competenza statale in materia di tutela dell’ambiente e di tutela del paesaggio.




2. DOPO GLI STATUTI: I REGOLAMENTI REGIONALI TRA NORME E PRASSI (Aida Giulia Arabia)

Dopo l’acceso dibattito degli ultimi anni, originato in particolare dalla legge costituzionale n. 1 del 1999, la titolarità del potere regolamentare, i profili formali e di contenuto della fonte, trovano, ora, per nove Regioni ordinarie, la giusta disciplina nelle nuove carte statutarie.
Se fino al 2003 - anno in cui la Corte costituzionale interviene a bloccare una prassi basata su una non chiara e riconoscibile interpretazione della disciplina costituzionale in ordine alla titolarità del potere regolamentare - appare evidente un incremento, rispetto al passato, dell’utilizzo della fonte secondaria, è a tutti nota l’inversione di tendenza registratasi nel 2004, a seguito della decisione n. 313 del 2003 della Corte costituzionale (1). Interessante appare, ora, la situazione relativa al 2005, almeno per le Regioni ordinarie e, in modo più accentuato, per alcune di esse. Per quelle a statuto speciale invece, soprattutto il Friuli Venezia Giulia e le due province autonome che, da sempre e in modo marcato, ricorrono ai regolamenti - in genere di attuazione e di esecuzione di leggi regionali e provinciali - non sono evidenti modifiche di tendenze già segnalate nei precedenti Rapporti.
Gli statuti vigenti di otto Regioni ordinarie (Calabria, Emila-Romagna, Lazio, Liguria, Piemonte, Puglia, Toscana e Umbria) hanno, dunque, legittimato l’esercizio del potere regolamentare da parte degli esecutivi, anche se non in modo “secco”. Solo nel caso della Regione Marche la funzione è assegnata al consiglio con possibilità di delega alla giunta.
In tutti gli statuti che attribuiscono la competenza alla giunta è previsto, innanzitutto, l’esercizio del potere del consiglio nei casi di regolamenti “delegati” dallo Stato nelle materie di competenza legislativa esclusiva di quest’ultimo.
Alcuni statuti disciplinano strumenti atti a coinvolgere il consiglio nel procedimento di adozione dei regolamenti. In particolare, quello dell’Emilia-Romagna prevede che l’assemblea legislativa esprima parere obbligatorio sulla conformità allo statuto ed alla legge dei regolamenti derivanti dalla legge regionale o dall’ordinamento comunitario, mentre gli statuti delle Regioni Liguria, Piemonte, Puglia, Toscana e Umbria inseriscono nel procedimento regolamentare il parere obbligatorio della commissione consiliare competente per materia. Il parere dell’organo di garanzia statutaria è richiesto, invece, dallo statuto della Regione Emilia-Romagna, nei casi previsti dalla legge, e dallo statuto del Lazio, nel caso di regolamenti di delegificazione. Inoltre, lo statuto della Regione Puglia disciplina la possibilità per la giunta di avvalersi anche del parere del Consiglio di Stato. In alcuni statuti l’attribuzione della potestà regolamentare si basa – oltre che sullo statuto – sull’intermediazione della legge regionale. In tal senso si sono mossi, in generale, lo statuto del Lazio e del Piemonte mentre negli statuti delle Regioni Calabria, Puglia e Umbria la potestà regolamentare resta sottoposta al potere del legislatore – che fissa le norme generali della materia - solo nel caso di adozione di regolamenti di delegificazione.
Queste, in sintesi, sono le prescrizioni statutarie in materia di regolamenti. Il quadro che emerge dalla prassi è, invece, riportato nella tabella 7. In alcune Regioni (Calabria e Lazio) la presenza di soli regolamenti di giunta si spiega col fatto che in esse la fase statutaria si è conclusa nel 2004. Il regolamento del consiglio del Lazio che appare in tabella è il n. 1 del 2005 con il quale l’assemblea legislativa ha provveduto a ratificare - a seguito della sentenza n. 313 della Corte costituzionale e ai sensi dell’art. 20, co. 15, della l.r. n. 2 del 2004 - i regolamenti regionali adottati dalla giunta. Nelle Regioni che hanno visto l’entrata in vigore del nuovo statuto nel corso del 2005 (Emilia-Romagna, Liguria, Piemonte, Toscana e Umbria), la funzione regolamentare viene esercitata dalle giunte a partire da quella data ad eccezione della Regione Piemonte che, come già sottolineato in altra sede (2), ha emanato regolamenti di giunta a partire dall’equivoco originato dalla riforma costituzionale del 1999 e ha continuato a farlo anche dopo la sentenza n. 313 del 2003 della Corte costituzionale che, come noto, “ripristina” la disciplina del potere regolamentare – quindi, la competenza del consiglio regionale - contenuta negli statuti originari, rimettendo ai nuovi la scelta di eventuali modifiche o conferme in ordine a titolarità, forme e contenuti della fonte secondaria. I regolamenti di consiglio indicati in tabella – per le Regioni Emilia-Romagna, Toscana e Umbria - sono, pertanto, anteriori alla conclusione della fase statutaria.
Solo in una Regione ordinaria (Marche) sono presenti regolamenti emanati dall’assemblea legislativa, conformemente alla scelta operata nella nuova carta statutaria. I regolamenti sono, altresì, di consiglio in quelle Regioni dove sono ancora vigenti gli statuti originari (Lombardia e Veneto). Una particolarità emerge dai dati della Regione Basilicata che sottolinea la presenza di regolamenti di entrambi gli organi (v. infra). Anche nel caso della Regione Molise è presente, accanto ai regolamenti di consiglio, un regolamento di giunta (3), abrogativo di altro regolamento dell’esecutivo emanato in precedenza quando, equivocando – come del resto tutte le Regioni ordinarie - la riforma costituzionale del 1999, anche la Regione Molise aveva optato per l’immediata attribuzione della funzione regolamentare alla giunta regionale.
Come si ricava sempre dalla tabella 7, nel 2005 le Regioni nel loro insieme (ordinarie e speciali) hanno emanato 334 regolamenti (4) o, meglio, 364, se al dato della tabella si sommano 3 regolamenti della Campania e 27 regolamenti della Puglia che non hanno risposto al questionario. Confrontando questi dati con quelli contenuti nel Rapporto sulla legislazione del 2002 (che però si riferisce al periodo giugno 2001-dicembre 2002) e in quello del 2003, rispettivamente di 524 (5) e di 378 (6) regolamenti, si evidenzia soprattutto rispetto al 2003 una contrazione. Ciò è dovuto sicuramente al fatto che alcune Regioni ordinarie - dopo la sentenza della Corte costituzionale sopra richiamata e in assenza del nuovo statuto - hanno ripristinato la prassi del mancato esercizio della funzione regolamentare, determinata in passato dalla concentrazione nel consiglio di ogni potestà normativa ma anche da una legislazione già essa stessa ridotta dalla legislazione statale di principio, spesso esaustiva nella disciplina, a legislazione sostanzialmente regolamentare. Il decremento del dato è evidente anche confrontando le dimensioni dei regolamenti emanati. A fronte di 3811 articoli e 11.077 commi dei regolamenti del 2003 (7), nel 2005 gli articoli risultano essere 3521 e i commi 9357 (v. tabella 10).
Se si confrontano i dati dell’anno di riferimento con quelli dell’anno solare 2002 contenuti in altra indagine (8), i regolamenti, pari a 286, risultano invece essere in aumento, ma inferiori di 14 unità rispetto al 2003. Contribuiscono naturalmente all’incremento i dati della Regione Friuli Venezia Giulia e delle due province autonome che da sole contano, rispettivamente, 132, 84 e 21 regolamenti (v. tabella 7).
Ritornando al 2005 e isolando i dati delle Regioni speciali, è possibile confrontare i dati dell’anno in esame anche suddivisi per legislatura (v. tabella 7) con quelli degli anni 2001-2004 allegati al Focus richiamato in nota 1. Dall’incremento costante degli anni 2001-2002-2003 con, rispettivamente, 101, 107 e 152 regolamenti, si passa al decremento del 2004 con 96 regolamenti per arrivare a registrare un lieve incremento nel 2005 con 114 regolamenti (agli 84 regolamenti indicati in tabella bisogna, infatti, aggiungere i 3 regolamenti della Regione Campania e i 27 regolamenti della Regione Puglia).
Questo in termini assoluti. Non mancano, infatti, eccezioni significative come, ad esempio, i casi della Regione Lazio e Puglia che, conclusa la fase statutaria, sembrano riscoprire notevolmente la fonte secondaria. Il caso più significativo, però, è quello della Regione Lazio che, a fronte dei 4 regolamenti del 2001 e i 3 del 2002-2003-2004, emana, nel 2005, ben 19 regolamenti (18 di giunta e uno di consiglio di ratifica dei regolamenti di giunta emanati fino al 2003, di cui 12 nella VII e 7 nell’VIII legislatura). La Regione Puglia con 27 regolamenti (23 nella VII e 4 nell’VIII legislatura) conferma, invece, una tendenza che già si era manifestata negli anni precedenti. A partire dal 2001, infatti, si registrano incrementi quasi costanti: 11 regolamenti nel 2001, 10 nel 2002, 17 nel 2003 e 14 nel 2004 (9).
Il dato è ancora più interessante se si pensa che all’incremento dei regolamenti corrisponde anche un numero di leggi inferiore allo standard regionale. Partendo dalla Regione Lazio, dalle 41 leggi del 2001 (10) si arriva, infatti, alle 19 leggi del 2005, di cui però 15 emanate nella VII e 4 nell’VIII legislatura. E la stessa situazione è presente nella Regione Puglia: dalle 37 leggi del 2001 (11) si passa alle 20 leggi del 2005 (6 emanate nella VII e 14 nell’VIII legislatura). In questi dati, però - almeno con riferimento ancora solo al 2005 - non si può immediatamente leggere uno spostamento dall’utilizzo della legge a quello del regolamento. In entrambi i casi, infatti, è vero che la produzione legislativa è inferiore alla produzione regolamentare, ma probabilmente questo potrebbe essere spiegato con le fisiologiche difficoltà di avvio della nuova legislatura. Questa considerazione, però, potrebbe maggiormente valere nel caso della Regione Lazio che promulga 15 leggi nella VII e 4 nell’VIII legislatura, ma non potrebbe valere nel caso della Regione Puglia che, invece, emana 6 leggi nella VII e 14 nell’VIII legislatura. Questo a riprova ulteriore dell’impossibilità di affermare rispetto ad un arco di tempo limitato (solo il 2005 appunto) la considerazione sopra evidenziata.
Altro dato di rilievo è quello della Regione Toscana che, a partire dal 2001, mostra di utilizzare la fonte regolamentare con incrementi costanti fino ad arrivare alle 18 unità del 2005. Le Regioni Umbria e Calabria, dopo l’arresto della funzione regolamentare del 2004, ritornano nel 2005 ad utilizzare la fonte secondaria emanando, rispettivamente, 8 e 7 regolamenti. Anche nelle Regioni Lombardia e Piemonte il dato si attesta sulle 8 unità. Non è immediatamente comprensibile la situazione che emerge dalla Regione Basilicata, vale a dire la “distribuzione” della funzione regolamentare tra giunta e consiglio. Come si ricava già dal Focus già più volte richiamato in nota (12), la Regione sembra non aver subito influenze dalla situazione determinata, in primo luogo, dall’errata interpretazione della legge costituzionale n. 1 del 1999 e, in secondo luogo, dagli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 313 del 2003, più volte richiamata. A voler trovare una spiegazione al fenomeno, potrebbe aver favorito la prassi della “condivisione” del potere la norma (art. 11) dello statuto vigente (quello del 1971) che, attribuendo al consiglio, oltre alla funzione legislativa, la funzione di approvazione di piani e programmi, avrebbe implicitamente consentito che tutto ciò che non fosse appunto approvazione di piani e programmi e che avesse quindi natura di “atto amministrativo” attuativo-esecutivo potesse essere emanato dalla giunta (13). Quella della Regione Basilicata è, però, una prassi comune sia a molte Regioni ordinarie sia alle Regioni speciali che, in base ai loro statuti, hanno assegnato la potestà regolamentare al consiglio; tale prassi dovrebbe essere arginata, da ora in avanti, dall’attribuzione del potere regolamentare alla giunta, almeno in quelle Regioni ordinarie che hanno operato tale scelta. La diffusione di atti formalmente amministrativi ma a contenuto generale - i cd. “regolamenti travestiti” (14) - continua quindi a manifestarsi ancora nelle Regioni ordinarie ed in alcune Regioni speciali. Come già sottolineato, ad esempio, negli anni passati, dalla Regione Sardegna (15), il progressivo ricorso ad atti a contenuto generale con valore normativo esterno (regolamenti in senso sostanziale, piani, regolamenti assessorili) – non disciplinati sotto il profilo procedurale e dei limiti, adottati da organi afferenti all’esecutivo e spesso nemmeno pubblicati - ha, da un lato, “ristretto” la regolazione legislativa, dall’altro, “violato” garanzie istituzionali e posizioni soggettive.
Infine, come si ricava sempre dalla tabella 7, il ricorso alla fonte regolamentare appare essere ancora molto limitato in alcune Regioni ordinarie e nelle Regioni speciali di Sardegna, Sicilia e Valle d’Aosta. Si passa, infatti, dall’unico regolamento delle Regioni Marche e Veneto, ai 2 regolamenti della Liguria e della Valle d’Aosta, ai 3 regolamenti dell’Emilia-Romagna e della Sicilia fino ad arrivare ai 4 regolamenti della Regione Molise.
I dati relativi alla classificazione dei regolamenti secondo i macrosettori e le materie mettono in luce (v. tabella 13) che, su 333 regolamenti classificati, 101 hanno ad oggetto i “servizi alla persona e alla comunità”, 89 lo “sviluppo economico e le attività produttive”, 74 il “territorio, l’ambiente e le infrastrutture”, 42 l’”ordinamento istituzionale”, 13 la “finanza regionale”. Vi sono, poi, 14 regolamenti multisettoriali. Per il profilo qui considerato è possibile operare un confronto diretto con i dati risultanti dai Rapporti sullo stato della legislazione del 2002 e del 2003.
Nel Rapporto sulla legislazione per il 2002 (16), i cui dati, come già evidenziato, sono però riferiti ad un periodo di 18 mesi, su un totale di 523 regolamenti classificati (solo uno non è stato classificato), 164 sono riferiti allo sviluppo economico, 156 ai servizi alla persona, 93 al territorio, 86 all’ordinamento istituzionale e 24 alla finanza regionale. In percentuale, la stessa tendenza risulta confermata, per l’anno solare 2002, confrontando i dati offerti dal Primo rapporto sullo stato del regionalismo già richiamato (17). Su un totale di 286 regolamenti, infatti, prevalgono i regolamenti riguardanti lo sviluppo economico e le attività produttive (102 regolamenti) seguiti da quelli relativi ai servizi alla persona e alla comunità (74 regolamenti), da quelli relativi al territorio (55 regolamenti), da quelli riguardanti il settore dell’ordinamento istituzionale (46 regolamenti) e, infine, da quelli inerenti alla finanza regionale (9 regolamenti).
La medesima situazione è evidente nei dati contenuti nel Rapporto sulla legislazione per il 2003 (18). Accanto ai 118 regolamenti del macrosettore delle attività produttive cui, però, seguono immediatamente i 117 regolamenti relativi al macrosettore dei servizi alla persona, si rinvengono i 67 regolamenti del macrosettore relativo al territorio e all’ambiente, cui si aggiungono i 64 regolamenti relativi all’ordinamento istituzionale e i 12 regolamenti della finanza regionale.
Come già sottolineato nelle parte sulla legislazione, la tendenza della Regione che si conferma come un soggetto di rilievo tanto per lo sviluppo economico quanto sotto il profilo dei servizi alla persona e alla comunità, risulta ulteriormente rafforzata dai dati sui regolamenti. D’altra parte, trattandosi di regolamenti di attuazione e di esecuzione, tanto maggiore è il numero delle leggi in un dato settore, tanto maggiore - con le dovute proporzioni - dovrebbe essere anche il numero dei regolamenti nel medesimo settore.
Alcuni elementi significativi della tendenza appena richiamata e, probabilmente, in fase di ulteriore consolidamento, si possono ricavare anche con riguardo alle materie comprese nei macrosettori (v. tabella 13). Sotto questo profilo, con particolare riguardo al settore dello sviluppo economico, emerge con evidenza che la maggior parte dei regolamenti emanati dalle Regioni riguardano la materia dell’agricoltura e dello sviluppo rurale e della pesca che insieme totalizzano 40 regolamenti, seguita dal commercio, fiere e mercati con 13 regolamenti e dal turismo con 9 regolamenti. Con riguardo, invece, al settore dei servizi alla persona e alla comunità si nota la presenza di un numero significativo di regolamenti nel campo dei servizi sociali (27 regolamenti), seguiti in pari numero da quelli classificati nelle materie dell’istruzione scolastica e del lavoro (18 regolamenti). Con attenzione, poi, al macrosettore del “territorio, ambiente e infrastrutture”, prevale la protezione della natura e dell’ambiente con 22 regolamenti, seguita dalla materia territorio e urbanistica con 19 regolamenti. Infine, nel macrosettore dell’ordinamento istituzionale il numero più ampio di regolamenti si rinviene nella materia relativa al personale e all’amministrazione con ben 35 regolamenti. Se si confrontano i dati del 2005 con quelli dei Rapporti sulla legislazione per il 2002 e per il 2003 (19), le tendenze qui evidenziate appaiono, almeno per alcune materie confermate, anche se sono evidenti alcune oscillazioni. Le Regioni, infatti, nel settore dello sviluppo economico emanano più regolamenti nelle materie dell’agricoltura e foreste (43 regolamenti nel 2002 e 28 nel 2003); nel settore dei servizi alla persona emanano un numero ampio di regolamenti nei servizi sociali (50 nel 2002 e 22 nel 2003, preceduto, però, per l’anno indicato da 29 regolamenti relativi alla tutela della salute); nel settore “territorio e ambiente” è sempre la materia “protezione della natura e dell’ambiente” ad essere al primo posto con 22 regolamenti per entrambi i periodi di rilevazione e, infine, nel macrosettore dell’ordinamento istituzionale è sempre la materia “personale e amministrazione” a prevalere, rispettivamente con 60 regolamenti nel periodo giugno 2001-dicembre 2002 e 40 regolamenti nel 2003. In assoluto, nelle tre rilevazioni richiamate il dato relativo alla materia del personale e dell’amministrazione è, dunque, quello maggiormente significativo. Forse non è tanto azzardato ipotizzare che almeno alcune Regioni abbiano operato un’ampia delegificazione di interi ambiti di normativa, rimandando al regolamento la definizione della maggior parte delle disposizioni di dettaglio (20). Già nel Rapporto 2003 sullo stato della legislazione (21) sia la Regione Molise sia la provincia di Trento evidenziavano che per alcuni aspetti riguardanti, ad esempio, la materia di reclutamento del personale regionale, da alcuni anni si assisteva alla riduzione del numero delle leggi e al costante aumento del numero dei regolamenti “sostitutivi” della precedente disciplina contenuta in norme primarie.

NOTE

(1) Per la ricostruzione dell’intera vicenda si rinvia al Focus sulla produzione normativa nella VII legislatura regionale, in Camera dei Deputati, Rapporto sullo stato della legislazione 2004-2005 tra Stato, Regioni e Unione europea, pag. 105 ss.
(2) A.G. Arabia-C. Desideri, L’attività normativa nella settima legislatura regionale, in Terzo Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia, Milano, Giuffrè, 2005, pag. 502-503. Qui è stato messo in luce il ruolo giocato dalla sentenza del Tar Piemonte sui buoni scuola (sez. II, n. 1272/2004, in ISSIRFA.CNR.IT, “La giurisprudenza amministrativa”, anno 2004) nel consolidamento della prassi regionale suindicata. I giudici amministrativi, infatti, non annullano il regolamento di giunta n. 11/R del 1 agosto 2003 sulla base di una norma (art. 39, co. 4) del vecchio statuto piemontese che “consente al legislatore regionale di affidare alla giunta “ogni altra attribuzione” che non sia già prevista in via generale, dalla Costituzione”. La disposizione, secondo il Tar, è perfettamente conforme al nuovo testo dell’art. 121, comma 2, ed anche all’art. 123 della Carta, atteso che nessuna di tali norme contiene alcuna “riserva di regolamento” a favore del consiglio, mentre la giurisprudenza costituzionale richiamata dai ricorrenti “non assume alcuna rilevanza nel caso di specie, riguardando l’opposta situazione in cui lo statuto regionale non contenga una norma di tenore analogo al citato art. 39, comma 4, dello statuto piemontese”. In altre parole, la clausola residuale per cui tutto ciò che non è espressamente attribuito al consiglio può essere esercitato dalla giunta, ha “legittimato” l’emanazione di regolamenti da parte dell’esecutivo piemontese già prima dell’entrata in vigore del nuovo statuto.
(3) Si tratta del regolamento n. 4 del 2005 che ha abrogato il regolamento n. 2 del 2001.
(4) Di questi regolamenti, 23 sono di consiglio, adottati tutti in base a competenza propria; 311 sono di giunta adottati in base a competenza propria (303 regolamenti) e in base a competenza delegata (8 regolamenti). Inoltre, 46 regolamenti di giunta (pari al 15,2 % del totale) sono stati emanati sentito il parere della commissione consiliare di settore (v. tabelle 11 e 12).
(5) V. tabella 3a, in Appendice al Rapporto 2002 sullo stato della legislazione, pag. 375.
(6) V. tabella 3, in Appendice al Rapporto 2003 sullo stato della legislazione, pag. 431.
(7) V. tabella 3a , in Appendice al Rapporto 2003 sullo stato della legislazione, pag. 432.
(8) V. tabella 2 allegata al capitolo sull’attività normativa delle Regioni, in Primo Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia (2002), Milano, Giuffrè, 2003, pag. 157-158.
(9) V. tabella 4 allegata al Focus già più volte citato.
(10) V., per gli anni fino al 2004, tabella 1 allegata al Focus già più volte citato.
(11) V., per gli anni fino al 2004, tabella 1 allegata al Focus già più volte citato.
(12) V., in particolare, tabella 4, pag. 116.
(13) Ad esempio, v., per l’anno in esame, le seguenti deliberazioni della giunta regionale: D.G.R. n. 1092 del 2 maggio 2005 “Regolamento attuativo dell’art. 1, co. 9 della legge 10 marzo 2000, n. 62 - Norme per la parità scolastica a disposizione sul diritto allo studio e all’istruzione”; D.G.R. n. 1753 del 30 agosto 2005 “Regolamento sull’agriturismo attuativo della l.r. n. 17/2005 - Agriturismo e turismo rurale”; D.G.R. n. 2695 del 22 novembre 2005 “Tributo speciale per il deposito di rifiuti in discarica – Regolamento di attuazione, costituzione e riparto del fondo incentivante – legge n. 549/1995 e l.r. n. 6/2001 come modificata dalla l.r. n. 28/2003”. Le tre deliberazioni – che recano però nel titolo la parola “regolamento” hanno, infatti, forma di atto amministrativo ma sostanza di atto normativo a fini generali.
(14) V. Rapporto 2002 sullo stato della legislazione, Introduzione a Tendenze e problemi della legislazione regionale, pag. 277.
(15) V. Rapporto 2002 sullo stato della legislazione, pag. 245.
(16) V. tabella 4c, pag. 378.
(17) V. tabella 2, pag. 157.
(18) V. tabella 4c, pag. 435.
(19) V., in particolare, tabella 4d a pag. 379 per il Rapporto 2002 e tabella 4d a pag. 436 per il Rapporto 2003.
(20) Diverse leggi si limitano ad individuare obiettivi e procedure, demandando al regolamento la disciplina della materia; talora, l’acquisto di efficacia della legge è condizionato all’entrata in vigore del regolamento.
(21) V., in particolare, pag. 276.





3. LA QUALITÀ DELLA LEGISLAZIONE: DAL DRAFTING ALLA COMUNICAZIONE (Aida Giulia Arabia)

3.1. Considerazioni introduttive

Se è vero che “una buona democrazia vive anche della qualità degli atti che un organo riesce ad esprimere” (1) allora è altrettanto vero che molta strada hanno fatto le Regioni in tal senso. Ma siccome la democrazia non è mai pienamente compiuta, molta strada rimane ancora da fare.
La qualità della legislazione parte, infatti, dalla buona redazione di un testo normativo, passa per la semplificazione e il riordino, arriva alla valutazione e al controllo degli effetti prodotti dagli interventi normativi, toccando, quindi, in ultima analisi, il buon andamento del sistema politico; interessa, infine, anche l’informazione e la comunicazione.
Preliminare a tutti gli altri strumenti riconducibili alla qualità della legislazione e necessaria a realizzare obiettivi di chiarezza e leggibilità è innanzitutto la buona redazione delle leggi, anche mediante l’uso – ormai generalizzato – delle regole di drafting. La seconda versione del Manuale sulle Regole e suggerimenti per la redazione dei testi normativi elaborata, nel 2002, da un gruppo di lavoro coordinato dall’OLI è, infatti, formalmente adottata – o, comunque, utilizzata in via di prassi - da un ampio numero di Regioni, che in alcuni casi (Abruzzo, Emilia-Romagna, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana, provincia di Trento) hanno sviluppato anche strumenti di controllo sull’applicazione del Manuale stesso. Tali strumenti si sostanziano principalmente nell’elaborazione di schede o griglie predisposte degli uffici legislativi in cui vengono rilevate le violazioni delle regole di drafting e della proprietà del linguaggio, proponendo la riformulazione del testo in applicazione delle osservazioni mosse. In alcune Regioni, il resoconto del monitoraggio viene riportato anche nell’annuale Rapporto sullo stato della legislazione (Abruzzo, Emilia-Romagna). Il consiglio regionale della Toscana, inoltre, svolge anche un controllo e monitoraggio successivo (sulle leggi pubblicate) dell’uso delle regole del Manuale attraverso un “indice di qualità tecnica redazionale” (2) della legislazione regionale.
È chiaro, però, che l’adozione del Manuale da sola non basta, se ad accompagnare una legge tecnicamente corretta non seguono altre regole che soddisfino ulteriori e connesse esigenze di qualità. Quando ad esempio, una legge finanziaria è composta da articoli “fiume” – che vanno dai 100 ai 500 commi - serve a poco il rispetto delle tecniche di redazione. Utilizzare la finanziaria per realizzare obiettivi “estranei” alla garanzia degli equilibri di bilancio – intervenendo, ad esempio, con modificazioni estese e rilevanti di leggi in vigore e inserendo in esse numerose disposizioni autonome di rilievo in diversi settori di competenza regionale - risponde poco alle esigenze di chiarezza e leggibilità, non solo del testo legislativo di riferimento ma anche dell’intero corpus normativo. E’ vero che in alcune Regioni vengono, ormai, emanate leggi finanziarie “leggere”, ma è altrettanto vero che diverse finanziarie superano ancora i 100 commi (3). Un criterio per ridurre l’articolazione delle finanziarie potrebbe essere il ricorso ai provvedimenti “collegati”, volti, come avviene per lo Stato, ad integrarne le disposizioni o a disciplinare, con norme nuove, specifici settori. Un ruolo in tal senso sembra giocato dai “collegati” della Regione Calabria che, a partire dal 2002, hanno contribuito ad alleggerire le leggi finanziarie, anche se il medesimo risultato non è stato realizzato, ad esempio, nelle Regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia e nella provincia autonoma di Trento, dove le finanziarie complesse non smettono di essere tali anche se accompagnate da “collegati” (4). Proprio nel 2005 nella provincia autonoma di Trento, è stato costituito, in consiglio provinciale, un gruppo di lavoro sulla razionalizzazione normativa (5) che, tra l’altro, ha proposto una ridefinizione delle leggi finanziarie e la cancellazione della legge di adeguamento, provvedimento omnibus che accompagnava le finanziarie incrementando la “confusione” legislativa. L’art. 35 della l.p. n. 20 del 2005 ha stabilito, tra l’altro, che la legge finanziaria non può contenere disposizioni di riforma organica di un settore.

3.2. La semplificazione e il riordino

Passando alla razionalizzazione complessiva del sistema normativo - proseguendo per una strada intrapresa ormai da alcuni anni – emerge anche nel 2005 l’impegno a combattere l’inflazione e la stratificazione delle leggi nel tempo, attraverso l’emanazione di vere e proprie leggi di semplificazione legislativa (e normativa). Inoltre, nelle leggi regionali di settore e – come sopra rilevato – nelle leggi finanziarie sono presenti con più frequenza abrogazioni esplicite (totali o parziali) di leggi e regolamenti, anche in vista del superamento del fenomeno - diffuso nella legislazione meno recente - dell’utilizzo di formule di abrogazione generiche e “innominate”.
Ai fini della certezza del diritto sicuramente non giovano, però, i casi di abrogazioni differite a data certa o al verificarsi di un evento, contenute anche in molte leggi del 2005. Basti citare, ad esempio, quanto possa risultare problematico il monitoraggio dell’efficacia delle norme soprattutto in materia di agricoltura quando esse sono condizionate all’acquisizione del parere di compatibilità comunitaria, considerato che i pareri non vengono né richiesti né forniti in un unico documento.
Accanto alle leggi di semplificazione di cui si è dato conto nel bilancio di legislatura contenuto nel Rapporto dello scorso anno, meritano di essere segnalate per il 2005 nuove iniziative ad opera delle Regioni Campania e Piemonte che così si affiancano alle altre Regioni che da anni ricorrono allo strumento della legge di semplificazione per “ripulire” l’ordinamento da una serie di leggi considerate inutili. La l.r. n. 21 del 2005 della Regione Campania regola il processo di riordino della legislazione regionale disciplinando la presentazione annuale da parte della giunta di uno o più disegni per la semplificazione, il riassetto normativo e l’eventuale codificazione della disciplina legislativa di ogni settore o materia di competenza della Regione; stabilisce, inoltre, l’abrogazione espressa di 100 leggi regionali – riportate in allegato - già tacitamente abrogate o, comunque, prive di efficacia. La l.r. n. 13 del 2005 della Regione Piemonte semplifica il complesso normativo regionale mediante l’abrogazione espressa di 640 leggi regionali già implicitamente abrogate o comunque non più operanti (o applicate) e introduce l’analisi di impatto della regolamentazione quale strumento per migliorare la qualità della normazione. Infine, merita attenzione la l.r. n. 1 del 2005 della Regione Lombardia – già segnalata nel Rapporto 2004-2005 – che ritorna sul tema della semplificazione legislativa (6) abrogando 185 leggi e 12 regolamenti regionali – riportati in allegato - con la formula “sono o restano abrogati”. La legge disciplina, inoltre, l’analisi di impatto della regolamentazione e detta norme in materia di semplificazione amministrativa. Contiene, infine, un capo “intruso” che opera la manutenzione di alcune leggi in materia di funzionamento di strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali. I casi elencati non sono mere leggi di “disboscamento” ma provvedono tutte a disciplinare ulteriori strumenti diretti a migliorare la qualità della legislazione. La riduzione del carico complessivo di norme che gravano sul sistema da sola serve a poco se non è accompagnata da altri strumenti che in parte soddisfino esigenze di coordinamento della legislazione (leggi di riordino e testi unici), in parte siano indirizzati all’efficacia e all’applicabilità della legge emanata. Le leggi richiamate in precedenza rispondono a tale esigenza: infatti, la legge della Regione Campania prevede il piano di riordino da realizzarsi non solo con l’alleggerimento della legislazione vigente ma anche con l’eventuale e successiva codificazione; le leggi delle Regioni Piemonte e Lombardia disciplinano lo strumento tecnico-normativo dell’analisi di impatto della regolazione che consiste nella valutazione preventiva degli effetti delle proposte di atti legislativi e regolamentari, su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni.
La riduzione del volume della legislazione è accompagnata, in molte Regioni, anche dalla predisposizione e dall’elaborazione di una serie di provvedimenti organici che prevedono il riordino complessivo di interi settori o di importanti subsettori e campi di attività, la previsione, in alcuni casi, di ampie delegificazioni della materia/settore e l’abrogazione contestuale della normativa preesistente. Nel 2005, ad esempio, sono state abrogate 223 leggi regionali e numerose disposizioni soprattutto nell’ambito delle leggi di riordino. Nella provincia di Trento, invece, l’opera di “pulitura” è avvenuta in sede di legge finanziaria. Gli allegati D ed E alla l.p. n. 20 del 2005, infatti, indicano le leggi provinciali abrogate (72 totalmente, 16 parzialmente e 8 leggi della Regione già recepite nell’ordinamento provinciale).
Anche se in alcune Regioni il ricorso alle leggi di riordino è ancora un intervento occasionale e non sistematico, nel 2005 – nelle Regioni che hanno risposto al questionario - sono state emanate 50 leggi ascrivibili a tale tipologia e, in molte di esse (Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Marche, Toscana e province autonome di Trento e Bolzano) sembra ormai prevalente l’impegno a legiferare in modo completo e con unica legge una data materia (v., ad esempio, la l.r. n. 1 del 2005 della Regione Toscana sul governo del territorio e l.r. n. 26 del 2005 della Regione Friuli Venezia Giulia in materia di innovazione, ricerca scientifica e sviluppo tecnologico). Resta sempre episodico e marginale, invece, il ricorso ai testi unici. Nel 2005 ne sono stati approvati 1 in Abruzzo (l.r. n. 24 in materia di sistemi di trasporto a mezzo di impianti a fune) e 1 in Toscana (l.r. n. 28 in materia di commercio). Ma non bisogna formalizzarsi sulle definizioni: non conta che un testo si chiami testo unico, codice o legge organica; conta solo che disciplini una materia ben definita in modo esaustivo.

3.3 La fattibilità e la valutazione delle leggi

La razionalizzazione normativa è, come sottolineato in precedenza, un obiettivo realizzato in molte Regioni e, in alcune di esse, è anche un obiettivo da perseguire. Ma le semplificazioni da sole non bastano. All’abrogazione delle numerose leggi inutili deve seguire, infatti, l’utilizzazione di ulteriori strumenti diretti a “comprimere” il ricorso ad ulteriori atti di difficile applicazione.
Come già evidenziato nel Rapporto 2004-2005, ai temi della fattibilità e della valutazione delle leggi è però dedicato ancora poco spazio. Anche se di fattibilità ne parlava già il Rapporto Giannini e successivamente la Relazione Barettoni Arleri da esso originata, il problema delle ricadute applicative delle leggi è stato in pratica poco affrontato: solo in alcune Regioni - per quei progetti di legge che disegnano politiche complesse e che presuppongono azioni difficili da gestire perchè, ad esempio, prevedono il coinvolgimento di una pluralità di soggetti istituzionali – vengono elaborate schede preventive di fattibilità.
Sempre nel Rapporto sopra richiamato si sono evidenziate le cause della mancata diffusione di tale strumento, imputabile – come lì si diceva - a difficoltà oggettive, quali la scarsa collaborazione degli uffici della giunta che spesso non forniscono i dati necessari, i problemi connessi all’organizzazione e alla preparazione del personale degli uffici preposti alla fattibilità, i problemi dei tempi di elaborazione dell’analisi in esame che molto si discosta dai tempi della politica, considerando, tra l’altro, che spesso i testi legislativi approvati sono frutto di emendamenti che stravolgono il testo originario sottoposto ad analisi di fattibilità.
E’ molto diffuso, invece, prevedere – nelle schede per l’istruttoria legislativa - controlli sulla coerenza ordinamentale dei progetti di legge in relazione al Titolo V della Costituzione e controlli sulla coerenza normativa e sulla coerenza finanziaria (Abruzzo, provincia di Bolzano, Emilia-Romagna, Piemonte, Toscana, provincia di Trento, Umbria, Valle d’Aosta). In alcune Regioni, come previsto nelle leggi di riforma della contabilità regionale, viene effettuato solo un controllo di compatibilità finanziaria sui progetti di legge che comportano oneri a carico del bilancio regionale (Basilicata, Liguria, Marche). Come più volte sottolineato negli anni da alcune Regioni, le relazioni finora elaborate non hanno inciso molto sulla redazione delle norme e sul dibattito che precede la loro approvazione. Spesso, infatti, sono volutamente sommarie, magari per nascondere l’insostenibilità o la mancanza di rilevanza dell’intervento. Al fine di valorizzare e rendere incisiva l’attività legislativa, le relazioni dovrebbero fornire, invece, dati concreti, verificabili, significativi, dunque, utili al dibattito politico.
Ma il legislatore non deve esaurire la sua responsabilità solo nella produzione di norme. Deve anche estenderla alla verifica della loro attuazione. E’ soprattutto dopo la riforma del Titolo V della Costituzione che, accanto agli strumenti di valutazione ex ante, sembra affermarsi un tipo di valutazione successiva all’emanazione degli atti legislativi. Si tratta, in particolare, di prevedere meccanismi che possano far valutare gli effetti prodotti sui destinatari delle norme introdotte; in sintesi, di individuare strumenti, tempi e modalità di controllo dell’attività e della valutazione dell’efficacia di un intervento normativo. Allo scopo di diffondere l’utilizzo di strumenti innovativi per il controllo sull’attuazione delle leggi e la valutazione dell’efficacia delle politiche in seno alle assemblee legislative è nato nel 2002 - per iniziativa di 4 consigli regionali (Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Toscana) - il progetto CAPIRe (Controllo delle assemblee sulle Politiche e gli Interventi regionali) al quale hanno formalmente aderito, negli anni, altre 10 assemblee legislative (7). Dal mese di marzo 2006 il progetto è promosso e finanziato direttamente dalla Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei consigli regionali e delle province autonome.
Le Regioni e alcune in modo generalizzato, già da tempo, prevedono, soprattutto nelle leggi che attuano politiche complesse e articolate, “formule” per consentire il controllo e il monitoraggio degli effetti da esse prodotti. Si passa da relazioni (8) che la giunta deve presentare al consiglio - contenenti informazioni sullo stato di attuazione degli interventi - all’istituzione di organismi variamente denominati (comitati, conferenze, nonchè osservatori) con finalità di monitoraggio e, spesso, anche di vigilanza sull’applicazione degli interventi. Spesso, però, queste relazioni sono poco utilizzabili perché le formule in essa usate sono vaghe e generiche, poco utili, dunque, ai fini dell’instaurazione di un serio processo conoscitivo. Un ruolo nuovo e significativo potrebbe, invece, essere sicuramente giocato dall’inserimento di vere e proprie clausole valutative, ben scritte, da inserire solo nelle leggi di notevole rilevanza (evitandone, quindi, l’inflazione) e, dunque, nei casi in cui il controllo dei legislatori risulti necessario (es. impegno di ingenti risorse finanziarie e controllo sul loro utilizzo da parte dei soggetti attuatori).
A partire dal 2001, sempre più consigli regionali inseriscono clausole valutative nelle leggi emanate. Si arriva, così, nel 2005 a 9 Regioni che hanno previsto tale strumento per un totale di 17 clausole redatte (9). Nel 2005, le strutture di alcune assemblee legislative (Lombardia e Toscana) hanno avviato la pubblicazione periodica di “Note informative” sull’attuazione delle politiche regionali. Si tratta di documenti sintetici - elaborati a partire dalle informazioni contenute nelle relazioni predisposte dagli uffici della giunta - che descrivono i risultati ottenuti e le criticità emerse nella fase di implementazione degli interventi regionali. In particolare, sono state elaborate 3 “Note informative” curate dall’Ufficio “Analisi leggi e Politiche regionali” della Regione Lombardia e 6 “Note informative” curate dal Settore “Tecniche legislative e Documentazione Statistica” della Regione Toscana, relative all’attuazione di altrettante leggi regionali (10).
I risultati delle attività informative legati al controllo e alla valutazione delle politiche (Relazioni previste dalle clausole valutative, Note informative e Rapporti ex post) sono presentati e - a volte - discussi in commissione o in aula nelle Regioni Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Umbria. E’ auspicabile, comunque, che dalla valutazione si arrivi sempre al dibattito politico e che il confronto e la discussione sulle c.d. relazioni di “ritorno” porti il legislatore a superare le difficoltà applicative emerse.
Già da tempo, molte assemblee legislative (Basilicata, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Toscana) hanno dedicato specifiche risorse, a volte anche tramite l’istituzione di uffici ad hoc, al fine di assistere i legislatori nella verifica dell’attuazione delle leggi e nella promozione di studi di valutazione dell’impatto delle politiche. Di recente anche il Molise ha compiuto una scelta simile istituendo il Servizio Documentazione, Studi e Monitoraggio delle politiche.
Infine, in molte Regioni è proseguita anche nel 2005 un’intensa attività di formazione del personale sui temi della valutazione, nell’ambito del progetto CAPIRe e non solo. Per citare solo qualche esempio, l’Emilia-Romagna ha avviato una collaborazione con il Master in analisi delle politiche pubbliche del Consorzio per la ricerca e l’educazione permanente del Piemonte.

3.4. Per concludere

I temi del riordino e della qualità della legislazione sono, ormai, nell’agenda politica di tutte le Regioni. Molta strada è stata percorsa, ma molta ne rimane ancora da fare.
Per la razionalizzazione del sistema normativo, l’impegno a combattere l’inflazione e la stratificazione delle leggi nel tempo è proseguito nel 2005 e ha visto “diffondersi” anche al sud lo strumento della legge di semplificazione per disboscare l’ordinamento da una serie di leggi già tacitamente abrogate o, comunque, non più efficaci. Dopo la Regione Puglia, infatti, che era già intervenuta nel 1998, è la Regione Campania che mostra di voler intervenire per rendere più chiaro e comprensibile l’intero complesso normativo.
Per la qualità della legislazione, è molto diffuso l’impegno degli uffici di supporto ai lavori delle commissioni in fase preventiva e stanno decollando alcune esperienze significative di valutazione delle politiche. E’ auspicabile in tal senso l’effetto “trascinamento” che potrebbe giocare il progetto CAPIRe data, ormai, l’adesione di un ampio numero di Regioni. La valutazione delle politiche è, infatti, uno strumento capace di contribuire in modo significativo a migliorare le modalità di svolgimento di tutte le funzioni di competenza dell’assemblea - da quelle di indirizzo a quella legislativa e probabilmente anche a quella di rappresentanza - proprio perché un consiglio che è consapevole degli effetti delle proprie leggi e delle politiche attivate è anche un consiglio in grado di rapportarsi in modo più incisivo con il contesto sociale ed economico che lo esprime (11).
Merita, inoltre, particolare attenzione un breve accenno agli altri strumenti interessanti la qualità della legislazione e, più propriamente, i profili dell’informazione e della conoscenza delle regole giuridiche. Quanto alla pubblicazione degli atti, in tutte le Regioni è ormai diffusa la pubblicazione nei bollettini ufficiali delle fonti notiziali a corredo della legge regionale. Nella maggior parte dei casi si tratta della pubblicazione delle note per facilitare la lettura delle disposizioni modificate o alle quali è operato il rinvio, alcune volte dei lavori preparatori delle leggi. Talvolta, quando la legge pubblicata sia di sola modifica, viene pubblicato anche il testo coordinato (Emilia-Romagna e Lombardia). Nella provincia di Trento non si ricorre più ai testi coordinati da quando sono in funzione le banche dati informatiche e alcuni opuscoli a diffusione più ampia. Grande attenzione al miglior utilizzo degli strumenti informatici - al fine di garantire al cittadino l’accessibilità totale e immediata a tutte le norme: dalle leggi ai provvedimenti amministrativi - è dedicata anche dalle altre Regioni. Spesso si ricorre ai sistemi informatici (e alla stampa) anche al fine di fornire descrizioni sintetiche dei contenuti essenziali delle leggi. In molti siti istituzionali (v. ad esempio Calabria, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche, Toscana), nonché in alcuni Rapporti sulla legislazione regionale, si possono leggere schede di sintesi delle leggi regionali approvate che, in modo schematico e con linguaggio semplice, contribuiscono alla comprensione dei contenuti. In alcune Regioni (esempio Lombardia) all’inizio di ogni anno vengono preparate raccolte delle leggi dell’anno precedente, accompagnate da una breve sintesi.
Da segnalare, infine, l’approvazione, nella Regione Veneto, di un programma operativo della Direzione per l’assistenza legislativa che prevede la sperimentazione - avvalendosi anche di consulenti esterni - di forme speciali di comunicazione legislativa da sperimentare sul sito web del consiglio regionale.
Per concludere, le iniziative per la qualità, dal drafting alla valutazione e da ultimo alla comunicazione - potenziate e incrementate – non potranno che fare del bene al cittadino ed anche alle istituzioni.

NOTE

(1) G. Tarli Barbieri, Linguaggio e tecnica normativa. Il sistema delle fonti, in Parlamenti regionali, n. 12/2004, pag. 138.
(2) L’indice è stato ideato e sperimentato sulla legislazione del 2002. Il monitoraggio è proseguito sulla legislazione del 2003 e del 2004. I risultati della sperimentazione sono riportati in due pubblicazioni che si possono leggere in www.consiglio.Regione.toscana.it>leggi e banche dati>indici di qualità.
(3) Cfr. i Rapporti sulla legislazione dei vari anni e per le finanziarie del 2005-2006 la tabella 1 e il grafico 1 contenuti nel capitolo Alcuni aspetti della legislazione regionale in materia di finanza e contabilità, in questo volume.
(4) Per una visione complessiva delle dimensioni delle finanziarie, v. i Rapporti citati nella nota precedente.
(5) Per un’analisi dettagliata dell’attività del gruppo di lavoro, v. il Supplemento n. 3 a “Documenti 284”, Periodico di documentazione e informazione sull’attività del consiglio della provincia di Trento, in www.consiglio.provincia.tn.it>periodici e newsletter>consiglio provinciale documenti.
(6) Il primo intervento di semplificazione risale al 1999 (l.r. n. 15), il secondo al 2002 (l.r. n. 15).
(7) Si tratta delle assemblee della provincia autonoma di Trento e delle Regioni Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Trentino-Alto Adige e Veneto.
(8) In alcune Regioni (ad esempio il Piemonte) per le relazioni sullo stato di attuazione delle leggi vengono elaborate apposite griglie di lettura dalle quali si rileva: l’oggetto della relazione, la normativa di riferimento, il periodo considerato, le previsioni normative a confronto con i contenuti della relazione, la lettura finanziaria e i dati analitici.
(9) Cfr. Nota per CAPIRe n. 11, Le clausole valutative nelle esperienze regionali. Riflessioni su un’esperienza ancora in corso, in www.capire.org>CAPIReinforma>note per CAPIRe. I dati in essa riportati sono stati integrati con altre 2 clausole del Friuli Venezia Giulia, 2 altre clausole della Toscana, un’altra clausola del Piemonte e un’altra del Molise non prese in considerazione.
(10) Le Note informative si possono leggere in www.capire.org>attività>note informative.
(11) Le considerazioni riportate sono dell’allora vicepresidente della Regione Toscana E. Cecchetti in una relazione sui temi del controllo e della valutazione presentata al seminario su Le Assemblee legislative e la valutazione delle politiche – Come produrre nuova conoscenza sulle politiche pubbliche e aggiungere valore al processo legislativo?, tenutosi a Firenze in data 12 novembre 2004, in www.capire.org>attività>strutture di valutazione.



4. RAPPORTI TRA GIUNTA E CONSIGLIO (Laura Ronchetti)

4.1. Considerazioni introduttive

Con l’inizio della VIII legislatura in tutte le Regioni ordinarie, tranne che in Molise, nel 2005 si è compiuto un importante passaggio nell’assestamento delle relazioni tra Giunta e Consiglio. In occasione della formazione dei nuovi organi regionali, infatti, si è potuto prendere atto di una sostanziale omogeneità della forma di governo a livello regionale. La convergenza registrata nei rapporti tra Giunta e Consiglio conferma la fedeltà dei nuovi Statuti alla forma di governo indicata come preferenziale dalla Costituzione. Nessuna Regione, infatti, ha abbandonato l’elezione diretta del Presidente della Giunta, rinunciando in tal modo alla facoltà, costituzionalmente prevista, di atteggiare differentemente questi rapporti.
Pur nell’ambito della medesima forma di governo in qualche Regione, in particolare in Emilia-Romagna, Liguria, Toscana, Umbria e Veneto, si sono registrate tuttavia alcune varianti a favore del momento assembleare. Ciò non toglie che ovunque la partecipazione del Consiglio all’indirizzo politico regionale sembrerebbe essere una risposta agli impulsi provenienti dalla Giunta. Significativa quindi risulta la collaborazione tra i due organi. La frammentazione e la complessa articolazione interna ai Consigli, tuttavia, non giovano alla capacità delle assemblee di stimolare e indirizzare le Giunte.

4.2. Attività svolte all’inizio della VIII legislatura

L’autonomia del Presidente della Giunta nella nomina e nella revoca degli assessori sembrerebbe essere rafforzata, in pressoché tutte le Regioni a Statuto ordinario, dalla avvenuta formazione della Giunta prima ancora che il Consiglio si fosse riunito in prima seduta (Tavola I). Questa successione temporanea è chiaramente imposta da alcuni dei nuovi Statuti che prevedono che il Presidente nomini i componenti della Giunta regionale entro dieci giorni dalla proclamazione (art. 42 St. Lazio; art. 50 St. Piemonte), mentre il Consiglio si riunisce in prima seduta il primo giorno non festivo della seconda (art. 20 St. Lazio) o della terza settimana (art. 20 St. Piemonte) successiva alla data della proclamazione degli eletti (1). La Giunta si è costituita prima anche nelle Marche, dove lo Statuto prevede che il Presidente «presenta» gli assessori nella prima riunione del Consiglio (art. 7, comma 2 St.). Tale scelta sembrerebbe, invece, meno stringente in base agli Statuti che prevedono che il Presidente della Giunta dia «comunicazione della nomina dei componenti della Giunta» (art. 33, comma 4, St. Calabria) o provveda alla nomina (art. 63, comma 2 e 3, St. Umbria) nella prima seduta successiva a quella in cui è stato eletto il Presidente del Consiglio.
Solo in Liguria, Emilia-Romagna, Toscana e Veneto il Presidente ha provveduto alla formazione della Giunta dopo la prima riunione del Consiglio. In particolare in Emilia-Romagna il decreto di nomina degli assessori reca la stessa data della seduta di insediamento del Consiglio mentre in Veneto, dove non si è approvato un nuovo Statuto, il decreto di nomina degli assessori reca la data della seconda seduta del Consiglio, il cui ordine del giorno prevedeva la relativa «comunicazione» del Presidente. Negli altri casi si è osservato quanto previsto dai rispettivi Statuti. In Liguria, nonostante il nuovo Statuto non fosse ancora entrato in vigore al momento delle elezioni, il Presidente può nominare i componenti della Giunta regionale entro dieci giorni dal giuramento di fedeltà alla Costituzione della Repubblica e allo Statuto (art. 41) che deve prestare proprio nella prima seduta del Consiglio regionale» (art. 38); in Emilia-Romagna il Presidente «assume le proprie funzioni all’atto dell’insediamento dell’Assemblea legislativa e nomina il vicepresidente e gli assessori entro sette giorni da tale data» (art. 44, coma 1); ancora più “assembleare” il procedimento di formazione della Giunta della Toscana in cui la presentazione degli assessori al Consiglio è atto separato e propedeutico alla loro nomina: il Presidente nella prima seduta del Consiglio ha illustrato il programma di governo e ha presentato il vicepresidente e gli altri componenti della Giunta che sono stati nominati dopo l’approvazione del programma di governo o comunque decorso il termine di 10 giorni (art. 32).
Anche se la Giunta è stata presentata al Consiglio in tutte le Regioni tranne che in Basilicata e in Lombardia, in nessuna Regione, invece, il Consiglio ha adottato una delibera sulla sua composizione. Si ha notizia che solo in Liguria si sia svolta in proposito una discussione in Aula.

4.3. Programma della Giunta e indirizzo politico

Anche il programma della Giunta è stato presentato a ciascun Consiglio (Tavola II). Sul programma tuttavia si sono espressi solo i Consigli dell’Umbria, nonché quelli dell’Emilia-Romagna e della Toscana i cui Statuti hanno passato sul punto il sindacato di costituzionalità solo perché non riconoscono alla delibera del Consiglio alcun effetto giuridico (sent. n. 372/04 sull’art. 32 St. Toscana e sent. n. 379/04 sull’art. 28 St. Emilia-Romagna). Lo Statuto umbro prevede, in particolare, che il Presidente illustri il «programma di governo» «nell’ambito» del quale il Consiglio indica, con una mozione, gli indirizzi e gli obiettivi ritenuti prioritari (art. 43, comma 2).
A dimostrazione della forza trainante della Giunta nella determinazione dell’indirizzo politico, ad inizio legislatura si è registrata ovunque, tranne che in Veneto, una netta prevalenza di approvazione di leggi di iniziativa della Giunta. In almeno cinque Regioni non sono stati quasi mai portati a compimento gli iter di formazione di leggi di iniziativa consiliare (2). Guardando ai dati di fine legislatura si conferma peraltro una netta prevalenza delle priorità indicate dalla Giunta, salvo che in Abruzzo (3) e in Sicilia (4). L’iniziativa congiunta di Giunta e consiglieri, d’altra parte, non è affatto diffusa, contando 14 casi registratisi in 9 Regioni (5).
I Consigli tuttavia si sono dimostrati generalmente molto prolifici nel presentare proposte di legge, soprattutto a inizio legislatura (6), Se in Liguria alla fine della VII Legislatura la Giunta non ha più presentato proposte di legge (7), sull’intero 2005 l’unica Giunta che si è dimostrata più propositiva del Consiglio è stata quella della Valle d’Aosta (8).
I Consigli comunque sono stati, in questo inizio legislatura, piuttosto occupati ad approvare pareri su atti non regolamentari della Giunta e in genere atti amministrativi (9).

4.4. Composizione della Giunta

Nel passaggio dalla VII alla VIII legislatura la composizione della Giunta ha visto, grazie a modifiche statutarie, un aumento di assessori in almeno cinque Regioni: 4 nel Lazio, 3 in Liguria, 2 nelle Marche e in Piemonte, 1 in Umbria (Tavola II). Il numero degli assessori, comunque, varia dal minimo di 6 della Basilicata al massimo di 16 del Lazio e della Lombardia.
Mentre solo in Calabria, con 10 assessori e un vicepresidente (art. 35, comma 3), la Giunta conta un assessore in meno rispetto alla precedente legislatura, in Toscana, dove il nuovo Statuto prevede una Giunta formata da «massimo» 14 membri (art. 35), la Giunta conta 13 membri. Nelle altre Regioni i cui nuovi Statuti hanno indicato un numero minimo e uno massimo di assessori, invece, si è raggiunto il limite superiore consentito: nel Lazio 16 (art. 45), in Emilia-Romagna (art. 45) e in Liguria 12 (art. 41), nelle Marche 10 (art. 27), in Umbria 9 (art. 67, comma 2).
Circa il 40 per cento degli assessori erano stati eletti consiglieri, con una diminuzione di casi di assessori interni registrata un po’ ovunque, tranne che in Toscana dove sono aumentati. La Toscana tuttavia è l’unica Regione che, con il Friuli Venezia Giulia e la Provincia di Trento, vanta una disposizione sulla incompatibilità tra la carica di assessore e il mandato da consigliere: l’art. 35 St. prevede che «la nomina ad assessore comporta la sospensione di diritto dall’incarico di consigliere regionale e la sostituzione con un supplente, secondo le modalità previste dalla legge elettorale regionale». In Piemonte si è provveduto analogamente in via di fatto, tanto che nella prima seduta del Consiglio regionale cinque consiglieri hanno presentato le proprie dimissioni perché chiamati a ricoprire l’incarico di assessori. Nella stessa seduta il Consiglio ha provveduto alle relative surrogazioni e solo allora la Giunta è stata presentata al Consiglio (art. 50 St.). In Veneto non risultano presentate le dimissioni dei dieci consiglieri nominati assessori, dimissioni che si ebbero nella VII legislatura in seguito all’estensione del trattamento indennitario dei consiglieri agli assessori stessi.

4.5. Composizione del Consiglio

Il numero dei componenti del Consiglio è restato invariato nella maggioranza delle Regioni, mentre è diminuito di tre consiglieri quello dell’Abruzzo (Tavole III e IV). Gli incrementi più significativi, consentiti dai nuovi Statuti, sono quelli del Lazio con 11 e della Toscana con 15 consiglieri in più.
Nonostante numeri che oscillano dai 30 membri del Consiglio della Basilicata e dell’Umbria fino a un massimo di 80 in Lombardia, i gruppi consiliari non sono mai meno di 10 (Tavola IV), fino a raggiungere il numero di 16 nel Consiglio regionale del Lazio composto da 71 membri. Rispetto alla precedente legislatura, tuttavia, si è registrato un calo numerico dei gruppi un po’ ovunque, tranne che in Abruzzo (da 10 a 13), nel Lazio (da 13 a 16) e in Umbria (da 9 a 10). Il decremento più significativo lo ha vissuto il Consiglio regionale della Calabria che, nella precedente legislatura, vedeva i suoi 45 consiglieri divisi in ben 20 gruppi mentre, per il momento, i 50 eletti della VIII legislatura hanno costituito 10 gruppi.
Questa eccessiva frammentazione, nonostante si ripercuota sulla funzionalità dell’organo, è consentita dai regolamenti interni che, pur prevedendo numeri minimi di membri per la costituzione di un gruppo, recano deroghe che consentono anche la formazione di un gruppo monocratico. Alcuni regolamenti interni consentano tout court la formazione di un gruppo formato da un solo consigliere (Abruzzo, Basilicata, Bolzano, Toscana). Tutti gli altri regolamenti interni, invece, prevedono che un gruppo sia formato almeno da 5 (Veneto, Sicilia), da 3 (Calabria, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Umbria) o da 2 consiglieri (Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Piemonte). La formazione di un gruppo di numero inferiore, anche monocratico, può tuttavia essere autorizzata dall’Ufficio di presidenza (Liguria) o avviene di diritto, qualora il consigliere sia stato unico eletto in una lista: che abbia partecipato alle elezioni autonomamente (Emilia-Romagna, Trento, Veneto, Sicilia, Umbria) o che trovi corrispondenza in uno dei due rami del Parlamento (Calabria, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Marche, Piemonte, Sicilia, Umbria), o che abbia presentato con lo stesso contrassegno candidati in tutti i collegi circoscrizionali (Liguria), o che abbia ottenuto un quoziente pieno in una circoscrizione o abbia realizzato i resti di almeno 5 circoscrizioni (Lombardia) o abbia raggiunto il quoziente del 5% (Calabria).
Deve segnalarsi inoltre un anomalo aumento delle commissioni permanenti (Tavole III e IV) nel Lazio che, con le nuove 6, sono diventate ben 18, 10 in più rispetto al Consiglio regionale del Piemonte, secondo in ordine decrescente. Il Lazio conta anche il maggior numero di commissioni speciali, 6, mentre ovunque si è registrato un loro decremento. Solo l’Emilia-Romagna e le Marche possono tuttavia vantare un’assenza di commissioni speciali che si prolunga dalla precedente legislatura.

NOTE

(1) Secondo il nuovo Statuto questo dovrebbe essere il caso anche della Regione Puglia di cui purtroppo non sono pervenute le informazioni richieste. Cfr. artt. 33 e 41.
(2) Cfr. tabella 2b - Iniziativa legislativa - 2005 – VIII Legislatura – Regioni a Statuto ordinario.
(3) Cfr. tabella 2a - Iniziativa legislativa – 2005 – VII Legislatura – Regioni a Statuto ordinario .
(4) Cfr. tabella 2c – Iniziativa legislativa – 2005 – Regioni a Statuto ordinario e speciale.
(5) Cfr. tabella 2d – Leggi di iniziativa mista – 2005.
(6) Cfr. tabella 3b – Dati quantitativi sull’iniziativa legislativa – 2005 – VIII Legislatura.
(7) Cfr. tabella 3a - Dati quantitativi sull’iniziativa legislativa – 2005 VII Legislatura.
(8) Cfr. tabella 3c – Dati quantitativi sull’iniziativa legislativa – 2005.
(9) Cfr. tabella 14 – Attività amministrativa del Consiglio – 2005.



5. PROCEDIMENTI PER L’APPROVAZIONE E L’ATTUAZIONE DEGLI STATUTI REGIONALI (Antonio Ferrara)

5.1. Lo stato di avanzamento del procedimento di approvazione dei nuovi statuti ordinari
Lo stato di avanzamento dei procedimenti di approvazione degli statuti ordinari è, alla data di chiusura di questo Rapporto (settembre 2006) (1), la seguente:
 Nove Regioni hanno in vigore il nuovo statuto (Puglia, Calabria (2), Lazio, Toscana, Piemonte, Marche, Emilia-Romagna, Umbria e Liguria);
 Il Consiglio della Regione Abruzzo ha approvato una nuova deliberazione statutaria, in prima (28 giugno 2006) e seconda lettura (12 settembre 2006), a seguito della sentenza della Corte costituzionale del 20 gennaio 2006, n. 12, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni del testo approvato il 21 settembre 2004 (3);
 Nella Regione Molise la commissione speciale per l’autoriforma ha approvato la proposta di legge statutaria il 28 settembre 2005;
 Nella legislatura in corso le altre Regioni non hanno approvato alcun testo né in Consiglio (4) né in Commissione (5) (6).

La maggior parte delle Regioni in cui si è conclusa la settima legislatura senza la definitiva approvazione consiliare delle rispettive deliberazioni legislative statutarie hanno nuovamente istituito delle Commissioni speciali (Abruzzo, Campania, Lombardia e Molise) (7) o ordinarie (Veneto) con il compito specifico di elaborare il testo dello statuto regionale e spesso anche della legge elettorale regionale e/o del nuovo regolamento interno del Consiglio regionale (8).
Nella Tabella che segue sono schematicamente indicati i dati concernenti l’iter di formazione dei vari statuti (9).

Per quanto attiene al procedimento di approvazione degli statuti, è da rilevare, in primo luogo, che nel corso del 2005 il Governo, a fronte alla scelta compiuta dai consigli regionali di Umbria ed Emilia-Romagna di dar seguito alle decisioni di accoglimento parziale dei ricorsi governativi sulle rispettive leggi statutarie con deliberazioni che consentivano – di fatto – la promulgazione parziale degli statuti (privi delle disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte), ha deciso di impugnare in via successiva le leggi regionali (statutarie) così promulgate, lamentando che le Regioni medesime non avessero nuovamente approvato in doppia deliberazione conforme e a maggioranza assoluta il nuovo testo dello statuto, in violazione dell’art. 123 della Costituzione (10).
La Corte costituzionale con la sent. 29 novembre 2005, n. 469 ha dichiarato inammissibili questi ricorsi – e non ha affrontato il merito della questione – in quanto proposti non già nell’ambito dello speciale procedimento di controllo preventivo previsto dall’art. 123 Cost. ma nell’esercizio del potere governativo di impugnare le ordinarie leggi regionali, esperibile, ai sensi dell’art. 127 Cost., soltanto a seguito della pubblicazione definitiva della legge. Ha ritenuto, infatti, la Corte che le distinte procedure di controllo, individuate dalle due diverse previsioni costituzionali, sono assolutamente tipiche di ciascuna fonte legislativa regionale e che il controllo successivo sulle leggi non è mai e in nessun caso estensibile alle fonti statutarie.
Secondo l’insegnamento della Corte questo inammissibile controllo successivo sarebbe peraltro inutile, in quanto il ricorso preventivo è sempre reiterabile - limitatamente alle nuove norme che non avrebbero potuto formare oggetto del precedente ricorso - qualora il testo della deliberazione statutaria sia successivamente modificato dal Consiglio regionale. Lo stesso vale, nel ragionamento seguito dai giudici della Consulta, anche per il caso in cui il Consiglio regionale non abbia adottato una nuova deliberazione statutaria a seguito di una sentenza di accoglimento parziale del ricorso – il vizio formale del procedimento di adozione dello statuto lamentato dal Governo – ma la Regione abbia comunque provveduto ad una nuova pubblicazione notiziale dell’atto da cui risulti o sia ricavabile il testo statutario che la stessa intenda come definitivo. E’ dalla data di questa nuova pubblicazione che decorre il termine per il nuovo ricorso.
Per gli eventuali vizi formali del procedimento di adozione dello statuto, che possano comunque sfuggire alla tipicità dell’azione prevista dall’art. 123 Cost., resta in ogni caso aperta – chiarisce ancora la Corte – la possibilità del ricorso per conflitto di attribuzione nei confronti della promulgazione e della successiva pubblicazione. La Consulta con la successiva ordinanza 28 dicembre 2005, n. 479 ha però dichiarato inammissibile il conflitto tra poteri dello Stato promosso dai promotori del referendum sullo statuto regionale dell’Umbria (che lamentavano un vizio di natura procedimentale), in quanto i promotori di un referendum regionale non sono equiparabili agli organi statali, ma debbono essere assimilati ai poteri degli enti territoriali interessati.
Con riferimento al procedimento di approvazione degli statuti è da segnalare, inoltre, che nel corso della seconda metà del 2005 le Regioni Molise e Campania hanno approvato la legge di disciplina del referendum sulle leggi regionali statutarie ai sensi dell’art. 123 della Costituzione (11). In precedenza vi avevano già provveduto la maggior parte delle altre Regioni ad eccezione di Basilicata, Lombardia e Puglia.
Su ricorso del Governo la Corte costituzionale con sent. 13 dicembre 2005, n. 445 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di quella parte della disposizione della legge della Regione Liguria che dava erroneamente per ammissibile - in palese violazione del tenore letterale del terzo comma dell’art. 123 Cost. - la possibilità di una richiesta referendaria limitata ad alcune delle disposizioni della deliberazione statutaria anziché al testo dello statuto nella sua interezza (12). Secondo i giudici della Consulta, infatti, tanto nel caso in cui sia stata dichiarata la illegittimità totale quanto nel caso in cui sia stata dichiarata la illegittimità parziale della deliberazione statutaria, ogni pronuncia di annullamento determina di per sé una mutazione dell’oggetto del referendum e le operazioni del procedimento referendario eventualmente compiute prima del ricorso del Governo divengono sempre necessariamente inefficaci.

5.2. Forma, struttura e dati tecnici di redazione degli statuti

5.2.1. I dati quantitativi

I nuovi statuti hanno in media una dimensione di poco più di 51.600 caratteri distribuiti in circa 75 articoli, a loro volta ripartiti in circa 3 commi; contro una media delle leggi regionali dello stesso periodo di poco meno di 16.000 caratteri distribuiti in 15 articoli con circa 2 commi.
 Lo statuto più lungo è quello del Lazio (più di 74.000 car.) e il più breve quello della Liguria (meno di 17.000 car.);
 La maggiore lunghezza media degli articoli si riscontra in Emilia-Romagna (981 car.) e la minore ancora in Liguria (217 car.);
 Il maggior numero di articoli si ha in Piemonte (104), il minore nelle Marche (57);
 Il più grande numero di commi si conta nel Lazio (291), il più piccolo in Puglia (176);
 La più alta media di commi per articolo è della Calabria (3,67), la più bassa sempre della Liguria (2,62).

Per consentire una facile lettura sinottica dei dati quantitativi completi riportiamo qui di seguito una Tabella suddivisa per Regioni.

5.2.2. Denominazione giuridica

Per quanto riguarda, in primo luogo, la denominazione giuridica degli atti con cui le varie Regioni hanno adottato i rispettivi statuti vi è da notare che le Regioni Lazio, Liguria, Marche, Piemonte - sulla base dell’apposita normazione che si sono date a riguardo (13) - hanno scelto un’autonoma denominazione e numerazione dell’atto: “Legge statutaria”, che ne marchi il carattere di species rispetto alle altre leggi regionali; mentre Calabria, Emilia-Romagna, Puglia e Umbria hanno preferito mantenere la denominazione e la numerazione ordinaria di “Legge regionale”, che ne marchi l’appartenenza ad un comune, più ampio, genus (rimettendo alla titolazione della legge e alla formula di promulgazione le peculiarità procedurali di specie). Originale, invece, è la soluzione adottata dalla Regione Toscana che ha adottato la denominazione di “Statuto” senza alcuna numerazione, in quanto – in tutta evidenza – lo statuto può essere uno solo (art. 123.1 ciascuna Regione “ha uno Statuto”), parzialmente modificabile o integralmente sostituibile ma comunque destinato a mantenere la sua necessaria unicità e continuità nel corso del tempo. Ne deriva di conseguenza, logicamente, anche il divieto di abrogazione totale – spesso esplicitato – e probabilmente l’illegittimità di leggi statutarie che non sono di revisione dello statuto.

5.2.3. Formula di promulgazione

La Costituzione affida la promulgazione delle leggi regionali al Presidente della giunta (121.4; 123.3). La promulgazione degli statuti è però più precisamente regolata dalle leggi regionali di disciplina del referendum confermativo. Il computo dei termini e la formula promulgativa mutano, infatti, in relazione al fatto che sia stata presentata o no una richiesta di referendum, che sia stata promossa o no una questione di legittimità costituzionale e dall’esito dei relativi sub-procedimenti.
 La struttura più breve ed essenziale è quella che riscontriamo in Liguria, Puglia e Toscana: Il Consiglio regionale ha approvato. Il Presidente della Giunta (regionale) approva.
 Le altre sei Regioni che hanno promulgato il proprio statuto (Calabria, Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Piemonte e Umbria) hanno ritenuto necessario attestare in più che, dopo l’approvazione consiliare, “nessuna richiesta di referendum è stata presentata”. Il Lazio aggiunge anche che “sono trascorsi 3 mesi dalla pubblicazione del testo della legge statutaria nel B.U. della Regione” (che è precisamente il termine entro il quale si può fare richiesta del referendum previsto dall’art. 123.3 Cost.).
 La Calabria ha ulteriormente indicato che l’approvazione consiliare è avvenuta “con la maggioranza assoluta dei suoi componenti” e ancora più precisamente l’Umbria, nella sua formula, annuncia che la deliberazione legislativa è stata approvata ai sensi dell’art. 123, comma secondo, della Costituzione (e dunque a doppia deliberazione conforme, oltre che a maggioranza assoluta).
 L’Umbria precisa inoltre che “il Governo ha promosso il giudizio di legittimità costituzionale conclusosi con la sentenza della Corte costituzionale n. 378 del 29 novembre 2004”, mentre il Lazio – sulla cui deliberazione statutaria non vi è stata impugnativa – informa che “il Governo non ha promosso questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale”.

5.2.4. Indice

Gli statuti di tutte le Regioni, tranne Liguria e Umbria, hanno un indice o un sommario, collocato in genere subito prima dell’articolato. Solo nello statuto del Lazio il sommario è posposto all’atto vero e proprio.

5.2.5. Preambolo o premessa

Quattro dei nove statuti hanno un preambolo o una premessa contenenti una serie di evocazioni suggestive. Si tratta di:
 Richiami storici, - quali il Risorgimento e la Resistenza (Emilia-Romagna, Marche), la Liberazione (Piemonte), ma anche il Medioevo (Liguria) - evocativi degli ideali ad essi collegati (spesso precisamente individuati);
 Riferimenti a valori o diritti sanciti dalla Costituzione italiana, dalla Carta dei diritti dell’Unione europea e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo;
 Riferimenti o richiami a tradizioni culturali, quali quella cristiana e quella laica e liberale, su un piano più generale, ma anche alle specificità linguistiche e alle tradizioni storiche locali che connotano l’identità culturale del territorio regionale (Piemonte);
 Una (pittoresca) descrizione del territorio e della sua vocazione naturale quale elemento identitario della Regione (Liguria);
 Riconoscimento di nuovi diritti, quali quelli delle generazioni future (Emilia-Romagna, Marche) e degli animali (Piemonte).

5.2.6. Partizioni di livello superiore all’articolo

Tutti gli statuti, per la loro complessità, sono divisi in partizioni contenenti uno o più articoli.
 Gli statuti Lazio, Puglia, Toscana e Umbria – quando occorre – ricorrono, con ordine crescente, a sezioni, capi e titoli. Similmente anche la Liguria ha uno statuto suddiviso in tre tipi di partizioni superiori all’articolo; in questo caso, tuttavia, si è utilizzata una difforme denominazione che, sempre a crescere, divide l’articolato in sezioni, titoli e capi.
 Gli statuti di Emilia-Romagna e Piemonte raggruppano gli articoli, al più, in capi e titoli.
 Gli statuti di Calabria e Marche suddividono l’articolato esclusivamente in titoli.
La massima ripartizione dell’articolato si registra in Piemonte (8 titoli e 23 capi), la minore nelle Marche (10 titoli). La massima dimensione media dei raggruppamenti di articoli si registra nel Lazio e la più bassa in Emilia-Romagna.
Riportiamo qui di seguito una Tabella suddivisa per Regioni con i dati completi.


5.2.7. Numerazione e rubricazione degli articoli

Tutti gli articoli degli statuti sono numerati in cifre arabe e recano una rubrica nell’intestazione (14). Nel solo statuto della Regione Piemonte le norme transitorie e finali sono indicate, a parte, con numeri romani e senza rubricazione.

5.2.8. Partizioni di livello inferiore all’articolo

In tutti gli statuti sono presenti, a volte, enumerazioni interne al comma contraddistinte, in genere, da lettere. Nella Regione Umbria, in un solo caso, sono stati impiegati dei trattini (St. art. 2.1).
Il maggior ricorso all’elencazione per punti si ha in Emilia-Romagna, che ne fa uso per ben 25 volte, lo statuto della Regione Toscana all’estremo opposto presenta un solo caso di partizione interna ad un comma.
Riportiamo qui di seguito una Tabella con i dati completi.

5.2.9. Riferimenti normativi esterni

Negli statuti, per la loro peculiare natura, si ritrovano sempre numerosissimi riferimenti alla Costituzione, alle leggi dello Stato, alle leggi regionali e al regolamento interno del Consiglio. A seconda dei casi, si tratta di un mero riferimento (introdotto in genere dalle parole “di cui all’art. x dell’atto A” o equivalenti) o di un vero e proprio rinvio normativo (in via di esempio: “Secondo le disposizioni della fonte normativa F che disciplina la materia M” o formula similare). L’ipotesi più frequente, su cui ci soffermiamo in particolare, è il rinvio alle leggi della Regione che può essere, a seconda delle ipotesi, o “secco” (come, ad es., il rimando alla legge di attuazione che stabilisce il gonfalone regionale) o recante già parte della disciplina (quantomeno di principio), vincolando - in maniera più o meno ampia - il contenuto degli atti legislativi conseguenti (come, ad es., le leggi di conferimento delle funzioni amministrative agli enti locali, che vincolano il legislatore regionale ordinario, quantomeno, al rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, o le leggi di attuazione dei referendum regionali, che vanno a precisare il funzionamento di istituti già disciplinati nelle loro linee essenziali dalle norme statutarie). Sebbene i poteri normativi degli esecutivi regionali, anche dopo le riforme, appaiono più ridotti a confronto con i corrispondenti poteri del Governo nazionale, tutti i rinvii alla legge, intesa come fonte (la quasi totalità) e non come atto specificamente individuato, adempiono la medesima funzione tipica della riserva di legge in ambito statale.
Le leggi cui lo statuto fa rinvio non sono sempre necessarie e non sempre sono successive all'entrata in vigore dello statuto medesimo. Non sono necessarie, ad es., quelle leggi che autorizzano le Giunte a fare qualcosa che altrimenti non rientra nelle loro ordinarie facoltà (legge di autorizzazione a disciplinare con regolamento determinate materie; legge di autorizzazione alla redazione di testi unici) e devono essere necessariamente successive, invece, - oltre a quelle di natura periodica (e.g. la legge di bilancio) - solo quelle leggi di attuazione che realizzano per la prima volta e rendono effettive previsioni innovative dell’ordinamento regionale preesistente (come, ad es., in genere l’istituzione dei Consigli delle autonomie locali e, ove previsti, degli organi di garanzia statutaria) o che, comunque, intervengono sulla legislazione previgente per adeguarla al nuovo quadro costituzionale e statutario (com’è spesso avvenuto, ad es., per la legislazione elettorale).
Dalle più precise risposte fornite dalle Regioni al questionario dell’Osservatorio sulla legislazione si ricava che in Emilia-Romagna solo in sei casi l’esplicito rinvio statutario alla legge regionale richiede un nuovo e necessario intervento legislativo di attuazione che regoli per la prima volta la materia e non sia di mero adeguamento della normativa in essere (15); lo stesso accade nel Lazio (16), mentre il rinvio a leggi di attuazione successive sono sette in Calabria (17).

5.2.10. Norme transitorie e finali

Tutti i nuovi statuti entrati in vigore, tranne quello della Puglia, contengono varie e disparate norme transitorie e/o finali. Tra esse si rinvengono:
a) la clausola di salvezza degli organi regionali in carica alla data di entrata in vigore dello statuto, sino alla fine della legislatura (Emilia-Romagna, Marche, Piemonte e Umbria);
b) disposizioni che confermano in via transitoria norme previgenti, fino all’entrata in vigore delle leggi di adeguamento (Emilia-Romagna, Lazio, Piemonte, Toscana e Umbria) (18);
c) disposizioni che rinviano l’applicabilità delle norme del nuovo statuto, sospendendone l’efficacia, in genere, fino alla legislatura successiva a quella in corso alla data di entrata in vigore dello medesimo (Emilia-Romagna, Lazio, Toscana) (19);
d) la convalida dei regolamenti emanati dalla Giunta, nel periodo decorrente dall’entrata in vigore della l. cost. n. 1/1999 fino all’entrata in vigore del nuovo statuto, in difformità di quanto previsto dal precedente ordinamento statutario (Piemonte);
e) l’adeguamento preventivo all’eventuale modifica dell’art. 126.3 Cost. (Calabria). Si tratta in questo caso - vale la pena di notare - di una vera e propria norma transitoria eventuale, che prevede una disposizione statutaria successivamente derogabile in caso di revisione costituzionale (nel senso auspicato) (20);
f) la disciplina della pubblicazione dello statuto (Marche) (21);
g) le disposizioni concernenti l’entrata in vigore dello statuto regionale (Calabria, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Marche, Toscana) (22);
h) la previsione dell’abrogazione (Toscana) o della cessazione di efficacia del vecchio statuto approvato con legge dello Stato (Liguria), nonché l’abrogazione o cessazione di efficacia delle altre disposizioni incompatibili con il nuovo statuto regionale (Liguria).
i) la disciplina delle modificazioni statutarie con previsioni integrative della normativa costituzionale (Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Toscana) (23);
l) disposizioni che rinviano a leggi regionali attuative dell’art. 123 Cost. (24);
m) disposizioni che prevedono espressamente il necessario e successivo adeguamento alle nuove previsioni statutarie, fissando, in genere, un termine (25);
n) disposizioni che rinviano a norme regionali di attuazione statutaria, senza fissazione di un termine (26);
o) il richiamo dell’art. 116.3 Cost. che consente alla Regione di chiedere l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia (Calabria);
p) le disposizioni circa la corretta interpretazione dello statuto quanto ad uso del genere maschile (Toscana).

5.3. L’attuazione degli statuti regionali ordinari

Daremo qui conto dell’approvazione delle leggi elettorali regionali e dei regolamenti consiliari, in quanto strettamente connessi con quella degli statuti per l’attuazione della legge cost. n. 1 del 1999. Riferiremo inoltre dell’istituzione dei Consigli delle autonomie locali, in attuazione dell’art 123 della Costituzione, e delle altre leggi di diretta attuazione degli statuti.
Per quanto riguarda, in primo luogo, le modalità procedurali di questa attuazione, è da rilevare intanto che alcune delle Regioni il cui nuovo statuto è entrato in vigore hanno istituito una Commissione speciale con il compito di elaborare le leggi attuative dello statuto entro un tempo determinato (Toscana e Umbria) (27). In Toscana, sono espressamente individuate come finalità prioritarie l’elaborazione di una proposta di nuovo regolamento interno del Consiglio regionale e l’elaborazione di specifiche leggi di attuazione (28).. In Umbria è attribuito alla commissione anche il compito di proporre eventuali modifiche statutarie che si rendano necessarie.
In Emilia-Romagna è stata istituita, invece, una Commissione permanente con il compito di elaborazione e proposta del regolamento interno dell’assemblea, della legislazione elettorale regionale e delle leggi istitutive dei nuovi organismi previsti dallo statuto.
Nelle Marche il Consiglio regionale ha individuato tra le proprie priorità, nel programma di attività per l’anno 2006, l’approvazione della legge sul Consiglio delle autonomie locali, della legge sul Consiglio dell’economia del lavoro e del regolamento interno. Nella stessa Regione Marche e in Piemonte sono stati costituiti, inoltre, dei gruppi di lavoro aventi ad oggetto l’istituzione e la disciplina del Consiglio delle autonomie locali.

5.3.1. La revisione dei regolamenti consiliari

I Consigli regionali della Calabria e della Liguria sono i primi che hanno adottato un nuovo regolamento interno, approvati rispettivamente con la d.c.r. 27 maggio 2005, n. 5 e la d.c.r. 9 giugno 2006, n. 18. Nel periodo di riferimento per questo Rapporto sono inoltre intervenute le modifiche parziali, ai rispettivi regolamenti consiliari, delle Regioni Toscana (29), Lazio (30), Abruzzo (31), Campania (32) e Lombardia (33).
Tra le modifiche apportare spiccano per evidente novità rispetto alle norme previgenti:
 In Calabria: una nuova articolazione delle commissioni permanenti (che passano da quattro a sei), la creazione della Commissione contro il fenomeno della mafia in Calabria e della Commissione speciale di vigilanza sugli atti della programmazione economico-sociale, la disciplina del comitato per la qualità e la fattibilità delle leggi, la disciplina dei rapporti con il Consiglio delle autonomie locali, con la Consulta statutaria e con il Consiglio regionale dell’economia e del lavoro, nonché l’istituzione del Comitato regionale di controllo contabile;
 In Liguria: la disciplina del giuramento e della presentazione del programma di governo del Presidente della Giunta, la nuova articolazione delle Commissioni permanenti (che da quattro diventano otto), la disciplina dei progetti di legge di modificazione statutaria, le procedure di collegamento con l’UE, nonché la regolazione dei rapporti con il CAL, il CREL e la Consulta statutaria;
 In Toscana: l’istituzione del portavoce dell’opposizione e l’esame delle pronunce del Consiglio delle autonomie locali;
 Nel Lazio: l’istituzione delle commissioni permanenti per gli affari costituzionali e statutari e per gli affari comunitari e internazionali, nel Lazio;
 In Campania: l’istituzione del Rappresentante dell’opposizione;
 In Lombardia: la previsione del procedimento speciale di approvazione di testi unici.
Il regolamento era già stato parzialmente modificato o integrato, successivamente all’entrata in vigore della legge cost. n. 1 del 1999, in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Marche, Piemonte, Toscana e Veneto.
Al di là di questi casi sono invece ancora in vigore i regolamenti interni dei Consigli approvati prima delle ultime modifiche costituzionali. Non sono più applicabili tuttavia le norme direttamente incompatibili con le recenti revisioni costituzionali e dunque, in primo luogo, quelle concernenti i controlli sugli atti amministrativi e sulle leggi regionali nonché sul sistema di elezione dei componenti della Giunta regionale.
Alcuni dei nuovi statuti entrati in vigore prevedono, tra le norme transitorie e finali, un termine entro il quale il Consiglio regionale provvede a adeguare il proprio regolamento interno alle disposizioni statutarie (34). Il termine non è stato rispettato in alcuna Regione. Una proposta di regolamento è all’esame dei Consigli regionali di Emilia-Romagna ed Umbria.
E’ interessante segnalare, infine, che una previsione legislativa della Regione Calabria, intervenuta successivamente all’approvazione del nuovo regolamento consiliare per regolare il rapporto tra questo e le altre norme regionali, dispone che “in attesa della armonizzazione delle leggi regionali vigenti al nuovo Statuto, sono abrogate le norme comunque in contrasto con le disposizioni del nuovo Regolamento interno del Consiglio regionale” (35).

5.3.2. La legislazione elettorale regionale

Come già rilevato nel precedente Rapporto, soprattutto sul finire della precedente legislatura regionale - successivamente all’entrata in vigore della legge statale di principio (36) - alcune Regioni hanno adottato proprie norme legislative in materia di elezioni regionali (Abruzzo, Calabria, Lazio, Marche, Puglia e Toscana) (37).
Queste leggi elettorali regionali non apportano in genere, con la sola eccezione della Toscana che si è dotata di una legislazione organica, notevoli modifiche o integrazioni alla preesistente, uniforme e dettagliata, disciplina legislativa statale del sistema elettorale regionale (38). Tra queste rilevano in particolare:
 la generale introduzione di norme volte a promuovere la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive;
 l’eliminazione della lista regionale, il c.d. listino (Puglia, Toscana);
 l’abolizione del voto di preferenza (Toscana) (39);
 l’introduzione delle c.d. elezioni primarie per la selezione dei candidati all’elezione del Consiglio regionale e del Presidente della Giunta regionale (Toscana);
 la previsione di una c.d. clausola di sbarramento per l’accesso delle liste elettorali alla ripartizione dei seggi diversa rispetto a quella previgente (Calabria, Marche, Puglia e Toscana);
 l’adozione di una diversa formula elettorale di distribuzione dei seggi (Toscana) (40);
 la previsione di un premio di maggioranza soltanto eventuale (Toscana) (41).

Nel corso del primo anno della nuova legislatura (e del periodo corrispondente per la Regione Molise) è intervenuta in questa materia la sola legge della Regione Abruzzo, 28 novembre 2005, n. 35, di interpretazione autentica di una disposizione in materia di ineleggibilità (42), con particolare riferimento al computo del termine per la rimozione di una sua causa.
E’ da segnalare, inoltre, la sent. della Corte costituzionale 13 gennaio 2006, n. 3, con la quale è stata dichiarata la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale della previsione della legge elettorale della Regione Marche che attribuisce al Presidente della Giunta un seggio (aggiuntivo) in Consiglio regionale (43). La disposizione della legge elettorale (44) non è infatti incoerente con la norma statutaria che, legittimamente esercitando la propria competenza in ordine alla determinazione della forma di governo della Regione, ha chiaramente stabilito che “Il Presidente della Giunta regionale è eletto a suffragio universale e diretto in concomitanza con l’elezione nel Consiglio regionale e fa parte dell’organo consiliare” (St., art. 7. 1).

5.3.3. Il Consiglio delle autonomie locali (CAL)

Tutti i nuovi statuti entrati in vigore hanno disciplinato il Consiglio delle autonomie locali quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali in attuazione dell’art. 123.4 della Costituzione, prevedendone l’istituzione presso il Consiglio regionale.
In alcune Regioni è riconosciuto un effetto rafforzato al parere obbligatorio del CAL (in via generale o in casi determinati): qualora il Consiglio regionale deliberi in difformità al parere lo può fare, nei casi previsti, solo a maggioranza dei suoi componenti (Calabria, art. 48; Emilia-Romagna, art. 23 (45); Lazio, art. 67.4; Liguria, art. 67.2 (46); Marche, art. 38.2; Umbria, art. 29.2) (47). Inoltre, in alcuni statuti, è riconosciuto ai CAL il potere d’iniziativa legislativa (Calabria, art. 48.9; Lazio, artt. 37 e 67.1; Liguria, art. 66.1) e in un caso si prevede, anche, la discussione di questi progetti di legge entro un preciso termine dalla data della loro presentazione (Lazio).
Il nuovo organo è stato fin qui istituito solo in Liguria (l.r. 26 maggio 2006, n. 13) e Piemonte (l.r. 7 agosto 2006, n. 30) (48), tenendo a parte il caso della Regione Toscana che creò un organo similare già nel 1998 (49) e delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome che non sono qui considerate (50). Nell’arco di tempo coperto da questo Rapporto, in alcuni casi, tuttavia, sono stati assegnati al CAL, con legge, compiti specifici di designazione dei componenti di altri organi (51), di consultazione su determinati atti (52) o di comunicazione (53) anche in mancanza della sua effettiva istituzione (54).
Nei nuovi regolamenti consiliari delle Regioni Calabria e Liguria, in conformità della scelta operata dai rispettivi statuti, è ribadito che qualora il Consiglio regionale non si adegui all’eventuale parere espresso dal CAL debba deliberare a maggioranza assoluta dei componenti. Il nuovo regolamento interno del Consiglio regionale della Liguria dispone inoltre, però, che – nei casi in cui lo statuto prevede che sia necessaria un’approvazione consiliare a maggioranza assoluta per discostarsi dal parere del CAL – anche le Commissioni permanenti, che non intendono tener conto di detto parere, devono approvare il provvedimento con il voto favorevole di un numero di commissari in grado di esprimere la metà più uno dei consiglieri regionali. Nella Regione Calabria, diversamente, nel caso sussista il parere negativo del CAL e la Commissione decida di non tenerne conto, la relazione per l’Assemblea deve dar conto del parere del CAL e delle ragioni che l’hanno indotta a non adeguarsi (55).
In attuazione delle relative disposizioni statutarie, le modifiche apportate al regolamento consiliare della Toscana prevedono invece che la Commissione consiliare competente, qualora ritenga di non adeguarsi al parere del CAL contrario o condizionato all’accoglimento di modifiche, presenta al Consiglio regionale, unitamente alla relazione sulla proposta di legge o di regolamento, un ordine del giorno procedurale che esprime la motivazione di tale non accoglimento (56).
Il nuovo regolamento consiliare della Calabria, inoltre, - sempre in conformità della scelta operata dallo statuto - disciplina le funzioni consultive e la funzione di iniziativa legislativa del CAL (57). E’ anche prevista un’annuale riunione congiunta con il Consiglio regionale per l’esame dello stato delle autonomie nella Regione (58).

Riportiamo qui di seguito una Tabella di confronto sinottico dei principali contenuti normativi delle prime due leggi istitutive del CAL.


5.3.4. Il Consiglio regionale dell’economia e del lavoro (CREL)

Sei dei nove nuovi statuti fin qui entrati in vigore prevedono l’istituzione del Consiglio regionale dell’economia e del lavoro quale organo di consultazione della Regione in materia economica e sociale, rinviando alla legge per la sua disciplina (59). In Calabria, in Emilia-Romagna e nelle Marche è specificato che il CREL ha sede presso il Consiglio regionale (60). La Liguria e le Marche attribuiscono all’organo anche la potestà di iniziativa legislativa (61).
Lo statuto della Regione Puglia prevede invece l’istituzione, presso il Consiglio regionale, della Conferenza regionale permanente per la programmazione economica, territoriale e sociale(62).
Lo statuto della Regione Umbria, pur non prescrivendo l’istituzione del CREL o di un analogo organo, prevede tuttavia che, al fine di adottare linee di indirizzo per la concertazione, il presidente del Consiglio regionale convoca annualmente “i rappresentanti istituzionali, funzionali, economici e sociali della Regione” nella Conferenza regionale dell’economia e del lavoro (63).
Già prima di queste disposizioni statutarie il CREL o altro simile organo rappresentativo delle forze sociali è stato istituito o comunque previsto dalla ordinaria legislazione regionale in Piemonte, Puglia, Abruzzo, Basilicata, Emilia-Romagna, Lazio e Veneto (64). In risposta al questionario proposto dall’Osservatorio sulla legislazione, tuttavia, le sole Regioni Basilicata, Lazio e Marche hanno dichiarato di avere un organo rappresentativo delle forze sociali che può essere consultato nei procedimenti legislativi e amministrativi. La Regione Marche, in particolare, ritiene che questo ruolo sia stato effettivamente svolto dal Tavolo regionale della concertazione costituito all’inizio dell’VIII legislatura (giugno 2005), sebbene il Comitato economico sociale (istituito dall’art. 13 della l.r. 5 settembre 1992, n. 46, successivamente abrogata) non sia attualmente più operativo.
La Regione Liguria è la prima che ha istituito quest’organismo consultivo in attuazione del nuovo statuto (l.r. 16 giugno 2006, n. 16) (65).
Secondo la legge ligure, il CREL – che ha sede presso il Consiglio regionale e dura in carica per la durata della legislatura – è composto da trenta rappresentanti nominati dal Presidente del Consiglio regionale su designazione delle categorie produttive, delle organizzazioni sindacali, delle autonomie funzionali, del c.d. terzo settore, delle organizzazioni economiche no profit, delle associazioni dei consumatori e degli utenti, nonché da tre esperti in materia socio-economia, designati dallo stesso Consiglio regionale. Il funzionamento e l’organizzazione dell’attività in sessioni specializzate per materia è disciplinata dal regolamento interno.
Il CREL ligure, nelle materie di propria competenza, è dotato di iniziativa legislativa ed è tenuto ad esprimere parere, entro venti giorni dalla richiesta del Consiglio o della Giunta regionale, sui progetti di legge, sugli atti di programmazione o di pianificazione o su ogni altro atto o questione ad esso sottoposto. Decorso tale termine senza che il CREL si sia espresso, il parere si intende comunque acquisito.
Detto organismo, inoltre, può compiere indagini, studi e relazioni in materia economica e sociale, anche di propria iniziativa.

5.3.5. Gli organi di garanzia statutaria

In quasi tutti i nuovi statuti entrati in vigore è prevista l’istituzione di organi di garanzia statutaria (66). Tra i compiti ad essi assegnati spicca, in particolare, la valutazione circa la conformità allo statuto delle leggi (o dei progetti di legge) e, spesso, anche dei regolamenti regionali (o dei relativi progetti). Si tratta di un’eventuale fase - consultiva - del procedimento normativo che in genere è facoltativa (per richiesta di soggetti determinati) ma che può essere anche obbligatoria (per previsione normativa) (67) e che, secondo i casi, si inserisce o in una fase procedimentale - non sempre ben definita direttamente dalle previsioni statutarie - che si colloca tra l’iniziativa normativa e l’approvazione dell’atto (Calabria, art. 57; Liguria, art. 75.4; Piemonte, art. 92; Puglia, art. 47) o in quella - chiaramente determinata - che si situa tra l’approvazione della delibera normativa e la sua promulgazione o emanazione (Emilia-Romagna, art. 69; Lazio, art. 68; Toscana, art. 57; Umbria, art. 82). L’eventuale parere di non conformità può essere superato, salvo rare eccezioni (68), da una deliberazione (o da una nuova deliberazione) dell’organo regionale competente in via definitiva per l’atto normativo in questione (69); in alcune Regioni è però disposto che questa approvazione debba avvenire a maggioranza assoluta (Calabria e Lazio).
Le Regioni Liguria e Piemonte sono le prime che hanno approvato le leggi istitutive dell’organo di garanzia statutaria in attuazione delle previsioni dei rispettivi statuti (70).

Riportiamo qui di seguito una Tabella di confronto sinottico dei principali contenuti normativi delle rispettive leggi regionali.

5.3.6. Le altre leggi di attuazione statutaria

Nelle leggi regionali che danno espressa attuazione ai nuovi statuti si rinvengono inoltre:
- le disposizioni generali sull’autonomia del Consiglio regionale – Assemblea legislativa regionale della Liguria (71);
- la disciplina transitoria del gruppo misto (72), le modifiche alla disciplina sull’assegnazione ai gruppi consiliari dei mezzi necessari per le loro funzioni (73), nonché alcune modifiche alla legislazione regionale, in materia di organizzazione e personale, necessarie a garantire le funzioni del portavoce dell’opposizione (74) nella Regione Toscana;
- la disciplina transitoria del Collegio dei revisori dei conti della Regione Umbria, dettata al fine di assicurare la continuità della funzione di controllo sulla gestione finanziaria (75);
- la legge regionale di semplificazione e di disciplina dell’analisi di impatto della regolamentazione nella Regione Piemonte (76);
- le modifiche e le integrazioni apportate alla legge concernente il riordino delle funzioni amministrative regionali e locali in Calabria (77);
- le disposizioni per la prima attuazione delle norme statutarie in materia di nomine e designazioni di competenza degli organi della Regione e degli enti dipendenti nel Lazio (78);
- le previsioni concernenti gli incarichi dirigenziali delle strutture amministrative della Regione Calabria (79) e della Regione Lazio (80);
- alcune disposizioni in materia di organizzazione del Consiglio regionale delle Marche dettate al fine di provvedere alle esigenze di funzionamento dei nuovi organismi istituzionali, quali in particolare il CAL e il CREL (81);
- alcune leggi che richiamano, riconoscono e valorizzano principi e finalità fissati dai rispettivi statuti (82).

5.4. Lo stato del procedimento di approvazione delle leggi statutarie delle Regioni a statuto speciale e dei procedimenti di revisione dei rispettivi statuti di autonomia

Per quanto riguarda la revisione degli statuti speciali, rispetto al precedente Rapporto in cui si era già dato conto dei progetti di legge costituzionale di revisione degli statuti di autonomia delle Regioni Friuli Venezia Giulia e Sicilia, approvati dalle rispettive assemblee legislative il 10 febbraio e il 30 marzo del 2005 e successivamente presentati alle Camere (83), vi è da registrare – come fatto nuovo – l’istituzione in Sardegna della Consulta per il nuovo statuto di autonomia e sovranità del popolo sardo (84), con il compito di elaborare un progetto di base, proporlo alla consultazione della comunità regionale e poi definire e approvare un testo organico da trasmettere al Consiglio regionale entro otto mesi dall’insediamento della Consulta. Il progetto di statuto, così predisposto, è dunque assegnato alla commissione consiliare competente per materia che, sulla base del testo elaborato, presenta al Consiglio regionale una proposta di nuovo statuto da esaminarsi secondo il normale iter legislativo.
La Consulta è composta di 50 membri eletti dal Consiglio regionale, di cui 3/5 scelti in modo tale da assegnare a ciascuna coalizione di liste in seno al Consiglio un numero di seggi proporzionale ai voti ottenuti nelle ultime elezioni regionali e 2/5 scelti tra soggetti proposti, in un numero doppio rispetto ai membri da eleggere, dalle Università di Cagliari e Sassari, dal Consiglio regionale dell’economia e del lavoro, dal Consiglio delle autonomie locali e dalla Consulta per l’emigrazione.
Il Governo della Repubblica con delibera del Consiglio dei ministri del 28 luglio 2006 ha ritenuto di impugnare questa legge regionale innanzi alla Corte costituzionale per la parte in cui prevede che il progetto del nuovo statuto di autonomia individui gli elementi della “sovranità regionale”. I motivi dell’impugnativa sono da ricondurre al contrasto delle disposizioni individuate con i principi fondanti della nostra carta costituzionale che riconoscono la sovranità della Repubblica italiana, una e indivisibile, in capo al popolo, tenendola distinta dall’autonomia regionale (art. 1 e 5). A quest’ultima e non già alla sovranità si fa sempre riferimento, inoltre, nelle altre disposizioni costituzionali rilevanti (art. 114, Cost. e art. 1, 2 e 35 dello speciale statuto di autonomia della Regione Sardegna) (85).
E’ da registrare anche che il Consiglio regionale della Valle d’Aosta ha presentato il 9 agosto 2006 una proposta di legge costituzionale per la modifica dell’art. 50 del proprio statuto speciale di autonomia al fine di assicurare il pieno rispetto del principio pattizio nel procedimento di revisione statutaria (AC 1601). Secondo la Regione proponente, il rapporto pattizio tra Stato e Regione è alla base dell’ordinamento autonomo valdostano e implica la necessità dell’assenso del massimo organo rappresentativo della Regione rispetto ad ogni proposta di modificazione dello statuto speciale votata dal Parlamento nazionale; impedendo in tal modo alterazioni unilaterali dell’autonomia regionale. Si propone, di conseguenza, che i progetti di legge di modificazione dello statuto, approvati dalle due Camere in prima deliberazione, siano trasmessi al Consiglio della Valle per l’intesa e che l’assenso sia espresso, entro tre mesi dalla trasmissione del testo, con deliberazione approvata a maggioranza dei due terzi dei componenti il Consiglio. Il Parlamento non potrebbe adottare la legge costituzionale in mancanza di quest’ultima.
Per quanto riguarda il procedimento di approvazione delle leggi statutarie in attuazione della legge cost. n. 2 del 2001, del complesso iter di formazione della legge di modifica del sistema d’elezione del Presidente della Regione e dell’Assemblea regionale siciliana (l.r. Sicilia, 3 giugno 2005, n. 7) si è già riferito nel precedente Rapporto, cui si rinvia. Va qui dato conto, invece, del disegno di legge statutaria presentato in Consiglio dalla Giunta regionale della Sardegna il 30 novembre 2005. Con esso si intendono disciplinare, in un solo atto, i principi fondamentali per l’organizzazione ed il funzionamento dell’ordinamento regionale e locale, i rapporti fra la Regione e gli enti locali, la forma di governo regionale, l’esercizio del diritto di iniziativa legislativa popolare e il referendum regionale. Si individuano nell’oggetto del disegno le principali materie della legislazione cd. “statutaria”, per le quali l’art. 15 dello speciale statuto di autonomia, così come modificato dalla l. cost. n. 2 del 2001, richiede l’approvazione a maggioranza assoluta. Se da un lato, però, restano fuori soltanto la legislazione elettorale e la disciplina referendaria di dettaglio e l’iniziativa legislativa popolare (che potranno essere trattati separatamente), da un altro lato, invece, sono inclusi ambiti di disciplina normativa che rischiano di toccare la materia riservata allo statuto di speciale autonomia. Il sistema normativo proposto si presenta dunque organico e complesso ma chiaramente si colloca – per quanto espressamente dichiarato nella relazione al d.d.l. – all’interno di un più ampio disegno di riforma istituzionale che richiede anche una modifica coordinata dello statuto autonomo, da adottare con legge costituzionale della Repubblica. Più in dettaglio, il progetto è aperto da un preambolo che ne dichiara i valori e i principi ispiratori, seguono poi disposizioni, variamente articolate in partizioni interne, sulla partecipazione popolare, i referendum, gli organi di governo della Regione ed i loro rapporti, le cause di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche dei predetti organi, il consiglio delle autonomie locali, i comuni e le province, le fonti normative e gli organi di garanzia.
Nel corso dell’anno trascorso dalla chiusura del precedente Rapporto sono state approvate due leggi cd. “statutarie”. Entrambe riguardano l’iniziativa legislativa popolare e il referendum: la l.p. di Bolzano 18 ottobre 2005, n. 11, che ha disciplinato per la prima volta la materia in attuazione dell’art. 47.2 dello statuto speciale per il Trentino – Alto Adige, e la legge della Regione Valle d’Aosta, 14 marzo 2006, n. 5, che ha apportato modificazioni alla precedente l.r. 25 giugno 2003, n. 19, ai sensi dell’art. 15.2 dello statuto speciale (86).
Per quanto riguarda, inoltre, il procedimento di revisione del regolamento consiliare va segnalata la revisione organica del regolamento interno del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, approvata con deliberazione 6 ottobre 2005 ed entrata in vigore il 1° gennaio 2006, e le parziali modifiche approvate dalle rispettive assemblee legislative della Valle d’Aosta (d.c.r. 28 luglio 2005), della Sardegna (d.c.r. 22 settembre 2005) e della Sicilia (d.a.r.s. 20 luglio 2006) (87).
E’ da notare, infine, che nelle Regioni a statuto speciale e nelle Province autonome sono state adottate alcune leggi con cui si darebbe diretta applicazione alla clausola di maggior favore di cui all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. Ciò, in realtà, vale senz’altro nel solo caso dell’istituzione del Consiglio delle autonomie locali nella Provincia di Trento, in quanto qui la legge ha dichiarato espressamente l’intenzione di dare attuazione all’art. 123.4 Cost. in virtù della predetta clausola (88). Le Regioni Sardegna e Friuli Venezia Giulia – che hanno, pur esse, istituito il CAL (89) – hanno evitato, invece, qualunque richiamo delle predette disposizioni costituzionali (90), pur essendo evidente la comune fonte d’ispirazione di queste diverse norme sul piano politico-culturale.
La tesi del vincolo giuridico derivante dal combinato disposto dell’art. 123 Cost. e dell’art. 10 l. cost. n. 3/2001 è stata sostenuta però dal Governo nel ricorso nei confronti della citata legge della Regione Sardegna. Secondo gli argomenti dell’impugnativa statale, dato che la clausola di maggior favore potrebbe senz’altro essere riferita anche agli enti locali e dato che la disposizione costituzionale richiamata assegna allo statuto la disciplina del CAL, anche le Regioni speciali e le Province autonome sarebbero tenute ad istituire e disciplinare il CAL con fonte statutaria e non con fonte legislativa ordinaria (91). La Corte costituzionale con la sent. 20 aprile 2006, n. 175 ha, tuttavia, dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale, per l’assoluta genericità delle asserzioni contenute nel ricorso, e non l’ha affrontata nel merito. Per la Consulta, infatti, in mancanza di una necessaria valutazione comparativa tra i due sistemi (ordinario e speciale) di autonomia regionale, non può essere compiuto quel giudizio di preferenza tra norme costituzionali e norme statutarie che è richiesto dalla clausola di maggior favore. Non ci si può dunque limitare a richiamare l’art. 10 della legge cost. n. 3/2001, omettendo – come ha fatto lo Stato in questa circostanza – di svolgere le necessarie argomentazioni a sostegno della sua applicabilità al caso di specie, mediante la valutazione dei parametri costituzionali ricavabili dallo statuto speciale (il quale, tra l’altro, assegna alla Regione la materia dell’ordinamento degli enti locali).
Altre ipotesi in cui il legislatore regionale fa espresso riferimento alla volontà di dare applicazione alla clausola di maggior favore si rinvengono, infine, in alcune leggi della Regione Sardegna (l.r. 12 giugno 2006, n. 9, Conferimento di funzioni e compiti agli enti locali; l.r. 8 agosto 2006, n. 26, Norme in materia di programmazione, di bilancio e di contabilità, art. 30; l.r. 20 settembre 2006, n. 14, Norme in materia di beni culturali, istituti e luoghi della cultura, art. 4) e della Regione Val d’Aosta (l.r. 19 maggio 2005, n. 10, Disposizioni in materia di controllo sulla gestione finanziaria ed istituzione della relativa Autorità di vigilanza; l.r. 19 maggio 2005, n. 11, Nuova disciplina della polizia locale e disposizioni in materia di politiche di sicurezza; l.r. 16 marzo 2006, n. 8, Disposizioni in materia di attività e relazioni europee e internazionali).

NOTE

(1) L’intero capitolo è aggiornato alla stessa data.
(2) La l.r. Calabria, 20 aprile 2005, n. 11, integrazione della legge regionale 19 ottobre 2004, n. 25, recante: “Statuto della Regione Calabria”, ha inserito il comma 5-bis all’art. 59 dello statuto (norme transitorie e finali).
(3) Il nuovo testo approvato in prima lettura dal Consiglio regionale il 9 novembre 2004, a seguito dell’impugnazione governativa e in accoglimento dei rilievi ivi formulati, è successivamente decaduto per fine legislatura.
(4) La Regione Campania ha approvato una deliberazione statutaria in prima lettura il 18 settembre 2004, successivamente decaduta per fine legislatura.
(5) Le Regioni Basilicata e Veneto hanno approvato un testo in commissione, rispettivamente, il 22 dicembre 2003 e il 7 agosto 2004, successivamente decaduto per fine legislatura.
(6) La Giunta regionale della Lombardia, che è l’unica Regione che non ha approvato alcun testo né in questa né nella precedente legislatura, ha recentemente approvato (15 settembre 2006), invece, un documento di indirizzo che contiene una prima indicazione delle materie su cui la Regione intende ottenere una maggiore autonomia, secondo quanto previsto dall’art. 116.3 Cost. per le “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”. Sulla base di un più dettagliato progetto che verrà presentato dalla Giunta, il Consiglio regionale elaborerà un testo definitivo che costituirà la base di negoziazione con il Governo. In caso di intesa, le Camere dovranno votare la legge di approvazione a maggioranza assoluta dei loro componenti.
(7) In questa Regione - nella quale la VII legislatura non era ancora terminata - è stato comunque necessario ricostituire la Commissione speciale a carattere temporaneo in quanto la durata in carica della precedente si era esaurita.
(8) Abruzzo, d.c.r. 21 giugno 2005 n. 3/2; Campania, reg. r. 5 dicembre 2005, n. 4, Regolamento per il funzionamento della Commissione consiliare speciale per la revisione dello Statuto della Regione Campania e del regolamento interno del Consiglio regionale; Lombardia, d.c.r. 28 giugno 2005, n. VIII/6; Molise l.r. 8 febbraio 2006, n. 2; Veneto art. 15 ss. del reg. c.r., così come modificato dalla d.c.r. 31 gennaio 2003, n. 4.
(9) Nella prima colonna sono indicate le Regioni che hanno in vigore il nuovo statuto o hanno approvato un testo almeno in prima lettura nella legislatura in corso; nella seconda è indicata la data di approvazione della proposta in commissione; nella terza sono indicate le date dell’approvazione consiliare in prima (I) e seconda deliberazione (II) nonché delle eventuali successive approvazioni di nuovi testi difformi dai precedenti (A, B, etc.); nella quarta è indicata la data della pubblicazione notiziale sul Bollettino ufficiale della Regione della deliberazione consiliare approvata in doppia conforme lettura, secondo quanto previsto dall’art. 123 Cost.; nella quinta sono indicate le date del deposito in cancelleria della Corte costituzionale dell’eventuale ricorso governativo e dell’avviso del medesimo nel Bollettino ufficiale della Regione; nella sesta è indicato l’esito dell’eventuale decisione di accoglimento o rigetto, nonché il numero e l’anno della sentenza e la data di pubblicazione della stessa sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica o sul Bollettino ufficiale della Regione (a seconda di quanto disposto dalla legislazione regionale in ordine alla data da cui comincia nuovamente a decorrere il termine per la richiesta del referendum popolare); nella settima è indicato l’eventuale seguito alla decisione della Corte costituzionale; nell’ottava è segnalato l’eventuale referendum confermativo; nella nona la forma (legge regionale, legge statutaria, etc.) e la data della promulgazione del nuovo statuto; nella decima è riportata la data di pubblicazione dello statuto sul bollettino ufficiale della Regione; nell’undicesima, infine, la data di entrata in vigore dello statuto e la norma statutaria che la fissa.
(10) Le delibere governative di impugnazione sono, rispettivamente per Umbria ed Emilia-Romagna, del 13 e 20 maggio 2005 e i successivi ricorsi del 24 maggio e 1° giugno.
(11) L.r. Molise 24 ottobre 2005, n. 36, Disciplina del referendum previsto dall’articolo 123, terzo comma della Costituzione; l.r. Campania 9 novembre 2005, n. 19, Disciplina del referendum statutario, della pubblicazione e della promulgazione dello Statuto.
(12) L.r. Liguria 24 dicembre 2004, n. 31, Norme procedurali per lo svolgimento del referendum previsto dall’art. 123, comma 3, della Costituzione, art. 3, co. 3: “Nel caso in cui la Corte costituzionale respinga il ricorso, le operazioni referendarie eventualmente compiute prima della sospensione del termine conservano efficacia; al contrario tali operazioni perdono efficacia qualora venga pronunciata l’illegittimità totale della deliberazione statutaria [ovvero venga pronunciata l’illegittimità parziale della medesima e le parti dichiarate incostituzionali coincidano con l’oggetto della richiesta referendaria]”. (La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questa disposizione limitatamente alle parole riportate tra parentesi quadre e in corsivo).
(13) All’interno delle leggi regionali di disciplina del referendum confermativo previsto dall’art. 123 Cost.
(14) I due commi dell’art. 9 dello statuto umbro non appaiono numerati per un evidente errore.
(15) Si tratta specificamente: della legge che disciplina le modalità di attuazione dell’istruttoria pubblica (art. 17), della legge regionale che determina le modalità di informazione e di partecipazione dell’Assemblea legislativa alla formazione delle intese interregionali (art. 25), della legge che prevede le modalità con cui le Commissioni assembleari possono disporre ispezioni negli uffici della Regione senza che sia posto il segreto d’ufficio (art. 38), della legge che determina i presupposti in presenza dei quali la giunta può adottare in via d’urgenza atti amministrativi in materia di competenza dell’Assemblea, salvo ratifica da parte di questa (art. 49), delle leggi che prevedono procedure, modalità e strumenti per la valutazione preventiva della qualità e dell’impatto delle leggi (art. 53), della legge istitutiva della Consulta di garanzia statutaria (art. 69)
(16) Si tratta precisamente: della legge che disciplina il potere sostitutivo delle Regioni nei confronti degli enti locali (art. 49), della legge che detta le norme generali per l’istituzione di enti pubblici dipendenti dalla Regione (art. 55), la legge che definisce le norme generali cui la Regione deve attenersi per partecipare, promuovere e costituire società di capitali, associazioni, fondazioni e altri enti che operano nelle materie di competenza regionale (art. 56), della legge di disciplina del referendum propositivo e di quello consultivo (art. 62 e 64), della legge istitutiva Consiglio delle autonomie locali (artt. 66-67), della legge istitutiva del Comitato di garanzia statutaria (art. 68).
(17) Si tratta precisamente: della legge istitutiva della Consulta per l’ambiente (art. 7), della legge per l’esercizio dell’iniziativa legislativa dei consigli provinciali e comunali (art. 39), della legge sul concorso del Consiglio reg. alla formazione, attuazione ed esecuzione degli atti comunitari (art. 42), della legge istitutiva del Consiglio delle autonomie locali (art. 48), della legge per la predisposizione di strumenti e procedure idonee al controllo sulla legittimità, sull’efficienza e sull’efficacia dell’attività amministrativa della Regione (artt. 49-50), della legge istitutiva del Consiglio regionale dell’economia e del lavoro (art. 56) e della legge istitutiva della Consulta statutaria (art. 57).
(18) La conferma del sistema elettorale transitorio fino alla data di entrata in vigore della legge elettorale regionale (Lazio); la conferma del vigente regolamento interno del Consiglio fino all’entrata in vigore del nuovo (Emilia-Romagna, Piemonte); la conferma delle leggi regionali previgenti fino all’adeguamento della legislazione alle nuove previsioni statutarie (Umbria); le norme sul giudizio di regolarità e ammissibilità dei referendum fino alla costituzione del collegio di garanzia (Toscana); la conferma delle funzioni attribuite dalla legge regionale previgente all’organo consultivo in carica fino alla costituzione del nuovo Consiglio delle autonomie locali (Umbria).
(19) Sul numero dei consiglieri regionali (Toscana); sul numero degli assessori di giunta (Emilia-Romagna, Toscana); sulla sospensione di diritto dall’incarico di consigliere regionale e la sostituzione con un supplente in caso di nomina ad assessore (Toscana); sulle attribuzioni del Comitato di garanzia statutaria, del Comitato regionale di controllo contabile e del Consiglio delle autonomie locali (Lazio).
(20) St. Art. 59.5, “Nei casi e nei limiti della subentrante disposizione costituzionale, in deroga all’art. 33, il Consiglio regionale può eleggere un nuovo Presidente della Giunta nell’ambito della stessa maggioranza del presidente eletto a suffragio universale e diretto”
(21) L’art. 57 St. Marche – con disposizioni volte a fornire anche una copertura statutaria retroattiva alla legislazione regionale ordinaria che già disciplinava la fattispecie – prevede sia la pubblicazione notiziale dello statuto dopo la seconda deliberazione del Consiglio sia la pubblicazione legale del medesimo “a seguito della sua promulgazione”.
(22) Per quanto riguarda l’entrata in vigore, nulla dispone la costituzione né specificamente per gli statuti né, dopo la riforma del titolo V, per le leggi regionali in genere. Le rare disposizioni dei vecchi statuti (adottati con legge statale), che si riferiscono all’entrata in vigore delle loro modificazioni, sono inapplicabili per quelli nuovi (adottati con legge regionale). A disporre della propria entrata in vigore sono stati allora, in sette casi su nove, gli statuti nuovi: Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, e Toscana hanno previsto che essi entrano in vigore il giorno successivo alla data di pubblicazione; Calabria, Marche e Piemonte hanno invece applicato il termine ordinario per la vacatio legis degli stessi (che sono entrati in vigore il 15° giorno successivo alla data di pubblicazione). La Regione Piemonte ha dettato questa disposizione non tra le norme transitorie e finali ma nel titolo concernente la revisione statutaria.
(23) In Emilia-Romagna, Lazio e Toscana - come esempio di maggior rilievo - è espressamente esclusa l’abrogazione totale dello statuto senza sostituzione.
(24) Per la disciplina del referendum statutario (Calabria, Lazio e Marche); per le modalità della promulgazione e pubblicazione dello statuto regionale e delle leggi di modifica statutaria (Marche); per dettare norme in ordine all’attestazione dell’intervenuta approvazione della legge statutaria ai sensi dell’art. 123 Cost., alla pubblicazione della legge medesima a fini notiziali ed al suo tempestivo invio al Governo (Emilia-Romagna).
(25) L’adeguamento del regolamento interno del Consiglio (Calabria, Emilia-Romagna, Lazio, Toscana, Piemonte, Umbria); l’adeguamento della legislazione regionale (Marche, Umbria) o della normativa regionale (Lazio).
(26) La legge che stabilisce le modalità d’indirizzo delle funzioni delegate agli enti locali (Calabria); il regolamento consiliare che disciplina le procedure di consultazione del Consiglio delle autonomie locali e degli enti e delle organizzazioni rappresentative della società regionale sulle proposte di modifica dello statuto (Toscana).
(27) L.r. Umbria, 29 luglio 2005, n. 23, Istituzione di una commissione speciale per le riforme statutarie e regolamentari; d.c.r. Toscana, 11 ottobre 2005, n. 98, Istituzione Commissione speciale per gli adempimenti statutari e per il nuovo regolamento interno del Consiglio regionale.
(28) Le leggi sulle nomine, sul collegio di garanzia statutaria, sulla conferenza permanente delle autonomie sociali e sulla normazione. Su tutte le priorità indicate sono stati istituiti dei gruppi di lavoro con il compito di predisporre delle schede tematiche da sottoporre a discussione, successivamente, in altrettanti seminari di approfondimento.
(29) D.c.r. 17 febbraio 2005 in BUR 30 marzo 2005, n. 13.
(30) D.c.r. 9 giugno 2005, n. 1 e d.c.r. 22 giugno 2005, n. 3 e n. 4
(31) D.c.r. 21 giugno 2005, n. 3/5.
(32) D.c.r. 21 giugno 2005, n. 23/13.
(33) D.c.r. 28 febbraio 2006, n. VIII/133.
(34) Calabria, art. 59.3; Emilia-Romagna, art. 73.2; Piemonte, n.t.f. I.1; Toscana, art. 80.2; Umbria, art. 85.3.
(35) L.r. 3 giugno 2005, n. 12 , Norme in materia di nomine e di personale della Regione Calabria, art. 3
(36) Legge 2 luglio 2004, n. 165, disposizioni di attuazione dell’art. 122, primo comma, della Costituzione.
(37) L.r. Abruzzo, 19 marzo 2002, n. 1, disposizioni in materia di elezioni regionali (così come successivamente integrata dalla l.r. 13 dicembre 2004, n. 42 e modificata dalla l.r. 12 febbraio 2005, n. 9); l.r. Abruzzo, 30 dicembre 2004, n. 51, disposizioni in materia di ineleggibilità, incompatibilità e decadenza dalla carica di Consigliere regionale; l.r. Calabria, 1 febbraio 2005, n. 1, norme per l’elezione del Presidente della Giunta regionale e del Consiglio regionale; l.r. Lazio, 13 gennaio 2005, n. 2, disposizioni in materia di elezione del Presidente della Regione e del Consiglio regionale e in materia di ineleggibilità e incompatibilità dei componenti della Giunta e del Consiglio regionale; l.r. Lombardia, 6 marzo 2002, art. 1, co. 4, incompatibilità dei consiglieri regionali; l.r. Marche, 16 dicembre 2004, n. 27, norme per l’elezione del Consiglio e del Presidente della Giunta regionale (così come modificata dalla l.r. 1 febbraio 2005, n. 5, per differirne l’applicabilità nella nuova legislatura, attualmente in corso); l.r. Puglia, 28 gennaio 2005, n. 2, norme per l’elezione del Consiglio regionale e del Presidente della Giunta regionale; l.r. Toscana, 13 maggio 2004, n. 25, norme per l’elezione del Consiglio e del Presidente della Giunta; l.r. Toscana, 17 dicembre 2004, n. 70, norme per la selezione dei candidati e delle candidate alle elezioni per il Consiglio regionale e alla carica di Presidente della Giunta regionale (così come modificata dalla l.r. 27 gennaio 2005, n. 16); l.r. Toscana 23 dicembre 2004, n. 74, norme sul procedimento elettorale relativo alle elezioni per il Consiglio regionale e per l’elezione del Presidente della Giunta regionale.
(38) La scarsa organicità di questa legislazione regionale è manifestata anche dall’ampio ricorso alla “impropria tecnica legislativa” (così come definita dalla Corte costituzionale nella sent. 196/03) del “recepimento” e della parziale “sostituzione” delle disposizioni della legge statale. Tecnica attraverso la quale la legge regionale fa propria una disciplina materialmente identica a quella contenuta nella legge statale (“recepita”) e detta, allo stesso tempo, alcune modificazioni al testo materiale della legge statale (“sostituzioni”) che esplicano il loro effetto solo nell’ambito dell’ordinamento regionale.
(39) Il voto è espresso per liste bloccate.
(40) Il metodo proporzionale del divisore c.d. Adams a livello regionale. Si tratta di un metodo simile a quello in uso per il Senato (c.d. d’Hondt) ma più vantaggioso per i piccoli partiti. E’ attribuito un seggio ad ogni lista o gruppo di liste che abbiano superato la soglia di sbarramento, nonché al presidente eletto e al capo dell’opposizione. I seggi che restano da assegnare sono attribuiti dividendo il totale regionale dei voti validi di ciascun gruppo di liste successivamente per 1, 2, 3, etc. e vinti in virtù dei quozienti più alti così ottenuti.
(41) Qualora l’esito delle elezioni su base proporzionale non garantisca almeno il 55% dei seggi alla coalizione vincente.
(42) L’art. 4 bis della l.r. 30 dicembre 2004, n. 51, recante disposizioni in materia di ineleggibilità, incompatibilità e decadenza dalla carica di consigliere regionale.
(43) Il giudizio è stato promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, 15 febbraio 2005, n. 20 (previa delibera del Consiglio dei ministri del 28 gennaio 2006). Le altre questioni sollevate dal ricorso governativo sono state dichiarate inammissibili o perché concernenti norme non indicate come oggetto di impugnativa dalla delibera governativa di autorizzazione a ricorrere (art. 6.2, art. 7.2, art. 21, art. 25, commi 2 e 4, lett. a) o in quanto riferite a norme non più in vigore e che non risultano avere avuto alcuna applicazione, con conseguente difetto originario di interesse a ricorrere (art. 25.2). L’originario testo di quest’ultima norma è stato infatti modificato - a seguito della cit. del. del Consiglio dei ministri ma prima ancora della proposizione del ricorso alla Corte cost. - dalla l.r. 1 febbraio 2005, n. 5, che ha previsto, soddisfacendo le ragioni dell’impugnativa, che tutte le disposizioni della legge in questione si applicano solo a seguito dell’entrata in vigore del nuovo statuto regionale (condizione solo successivamente realizzatasi, il 30 marzo 2005).
(44) Art. 4, co. 1, della l.r. Marche n. 27 del 2004.
(45) Questo nei soli casi in cui si tratti di piani e programmi che coinvolgano l’attività degli enti locali e il conferimento di funzioni alle autonomia locali e la relativa disciplina (co. 5); in tutte le altre ipotesi si prevede che l’approvazione di progetti di legge in difformità del parere del CAL sia accompagnata dall’approvazione di un ordine del giorno da trasmettere al Consiglio stesso (co. 4).
(46) L’approvazione a maggioranza assoluta dei componenti non è richiesta per l’approvazione degli atti di programmazione generale e delle leggi di bilancio e degli atti ad esse collegate (art. 67.3).
(47) In Toscana si dispone, invece, che gli organi regionali, in caso di parere del CAL contrario o condizionato all’accoglimento di modifiche, lo possano disattendere solo con motivazione espressa (art. 66.4). Un ulteriore e diverso aggravio procedurale è previsto dallo Statuto della Regione Calabria qualora il CAL, ritenendo che una legge regionale leda la sfera delle competenze e prerogative degli enti locali, chieda al Consiglio regionale di pronunciarsi in merito ai rilievi formulati; in tal caso la nuova deliberazione consiliare deve essere assunta “previa acquisizione del parere della Consulta statutaria” (art. 45.2).
(48) Le Regioni Lazio e Marche hanno assegnato alla competente commissione consiliare una o più proposte di legge per la sua istituzione.
(49) L.r. 21 aprile 1998, n. 22, istituzione del Consiglio delle autonomie locali, successivamente abrogata e sostituita dalla l.r. 21 marzo 2000, nuova disciplina del Consiglio delle autonomie locali. Tutte le altre Regioni, ad eccezione della Campania che regola diversamente la concertazione con gli enti locali, hanno tuttavia degli altri organismi di consultazione con le autonomie locali che sono, più o meno frequentemente, coinvolti nei procedimenti di formazione delle leggi, dei regolamenti e di atti amministrativi generali.
(50) Per le quali v. infra par. 5.4.
(51) L.r. Toscana, 3 gennaio 2005, n. 1, norme per il governo del territorio, art. 24, istituzione della Conferenza paritetica istituzionale; l.r. Umbria, 17 febbraio 2005, n. 9, norme sulla cooperazione sociale, art. 8, Commissione regionale per la cooperazione sociale; l.r. Umbria, 22 febbraio 2005, n. 14, norme per l’esercizio e la valorizzazione della pesca professionale e dell’acquacoltura, art. 6, Commissione consultiva; l.r. Umbria, 22 dicembre 2005, n. 30, sistema integrato dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, art. 11, Conferenza regionale dei servizi per la prima infanzia.
(52) L.r. Umbria, 22 febbraio 2005, n. 11, norme in materia di governo del territorio: pianificazione urbanistica comunale, art. 62, norme regolamentari, art. 64, rapporto sulla pianificazione territoriale; l.r. Umbria, 24 febbraio 2006, n. 5, piano regolatore regionale degli acquedotti, art. 5, approvazione del PRRA.
(53) Lr. Umbria, 22 febbraio 2005, n. 11, norme in materia di governo del territorio: pianificazione urbanistica comunale, art. 65, poteri sostitutivi.
(54) Il fenomeno non è nuovo e dal 2002 si contano diversi casi di leggi regionali attributive di competenze al CAL prima ancora dell’approvazione degli statuti.
(55) Art. 78 reg.int.CR.
(56) Reg. cons., art. 46 quater (come modificato dalla d.c.r. del 17 febbraio 2005), in attuazione dell’art. 66.4 dello statuto.
(57) Art. 63.1 in attuazione dell’art. 48.9 dello statuto.
(58) Art. 128.
(59) St. Calabria, art. 56; St. Emilia-Romagna, art. 59; St. Lazio, art. 71; St. Liguria, art. 68; St. Marche, art. 40; St. Piemonte, art. 87.
(60) Si noti che il Lazio, che ha istituito il CREL nella scorsa legislatura, lo ha costituito invece presso la Presidenza della Giunta regionale.
(61) St. Liguria, art. 68.3, St. Marche, art. 30.1, lett. d).
(62) Art. 46.
(63) Art. 19.2.
(64) L.r. Piemonte 18 ottobre 1994, n. 43, norme in materia di programmazione degli investimenti, art. 20, organismi consultivi; l.r. Puglia 3 aprile 1995, n. 10, istituzione del CREL; l.r. Abruzzo 30 agosto 1996, n. 77, istituzione del CREL; l.r. Basilicata 24 giugno 1997, n. 30, nuova disciplina degli strumenti e delle procedure della programmazione regionale, art. 14, CREL (così come sostituito dalla l.r. 9 dicembre 1997, n. 51); l.r. Emilia-Romagna, 21 aprile 1999, n. 3, riforma del sistema regionale e locale, art. 34, Conferenza regionale per l’economia e il lavoro, l.r. Lazio 18 aprile 2003, n. 12, istituzione del CREL; l.r. Veneto, 12 agosto 2005, n. 11, Conferenza regionale sulle dinamiche economiche e del lavoro.
(65) In Calabria e Toscana sono in corso di esame le rispettive proposte di legge istitutiva.
(66) Manca la previsione dell’istituzione di un simile organo nello statuto della Regione Marche.
(67) Si veda quanto dispone l’art. 56, co. 3, dello statuto dell’Emilia-Romagna.
(68) Può sempre essere superato dal Consiglio regionale in caso di deliberazione di propria competenza.
(69) E’ richiesta, in più, una deliberazione assunta “con motivata decisione” in Calabria ed Emilia-Romagna.
(70) L.r. Liguria, 24 luglio 2006, n. 19, Istituzione della Consulta statutaria; l.r. Piemonte, 26 luglio 2006, n. 25, Costituzione e disciplina della Commissione di garanzia.
(71) L.r. 17 agosto 2006, n. 25.
(72) Toscana, l.r. 14 ottobre 2005, n. 58, l.r. 17 febbraio 2006, n. 5, l.r. 1 marzo 2006, n. 6.
(73) L.r. Toscana, 27 giugno 2005, n. 45.
(74) L.r. Toscana, 9 giugno 2005, n. 44.
(75) L.r. 8 luglio 2005, n. 22.
(76) L.r. 1 agosto 2005, n. 13.
(77) L.r. 11 gennaio 2006, n. 1, art. 11, recante modifiche alla l.r. 12 agosto 2002, n. 34.
(78)L.r. 17 febbraio 2005, n. 9, art. 71.
(79) La l..r. 3 giugno 2005, n. 12, art. 1.6, prevede la decadenza di diritto, alla data di proclamazione del Presidente della Giunta regionale, di tutti gli incarichi dirigenziali.
(80) L.r. 15 settembre 2005, n. 16, art. 37, Disposizioni transitorie in materia di incarichi dirigenziali.
(81) L.r. 10 febbraio 2006, n. 2, art. 20.1. In materia di organizzazione e personale della Regione Marche è da considerare anche la disposizione di cui alla l.r. 1 agosto 2005, n. 19, art. 32.5.
(82) L.r. Puglia, 22 febbraio 2005, n. 5, Riconoscimento della festa del Santo patrono quale manifestazione d’interesse regionale; l.r. Toscana, 24 febbraio 2005, n. 41, Sistema integrato di interventi e servizi per la tutela dei diritti di cittadinanza sociale, l.r. Toscana, 28 dicembre 2005, n. 73, Norme per la promozione e lo sviluppo del sistema cooperativo; l.r. Umbria, 22 dicembre 2005, n. 30, Sistema integrato dei servizi socio-educativi per la prima infanzia.
(83) Il disegno di legge costituzionale di revisione del proprio statuto di autonomia è stato nuovamente presentato dal Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia l’8 maggio 2006 all’inizio della XV legislatura (AC n. 519).
(84) L.r. 23 maggio 2006, n. 7.
(85) Ricorso del PCM 7 agosto 2006, n. 92 (in G.U., 1^ s.s., 20 settembre 2006, n. 38).
(86) In precedenza erano gia state approvate la l.r. FVG 5/2003 (iniziativa popolare e referendum), la l.r. FVG 21/2004 (ineleggibilità e incompatibilità), la l.p. BZ 4/2003 (legge elettorale transitoria), la l.p. TN 2/2003 (forma di governo), l.p. TN 3/2003 (referendum), l.r. VdA 21/2002 (modifica legge elettorale), la l.r. VdA 19/2003 (iniziativa popolare e referendum), la l.r. SIC 1/2004 (iniziativa legislativa e referendum).
(87) In precedenza erano già stati modificati i regolamenti consiliari dell’Assemblea regionale siciliana (2003), dei Consigli provinciali di Trento (2002) e Bolzano (2001 e 2003)
(88) L.p. Trento, 15 giugno 2005, n. 7, Istituzione e disciplina del Consiglio delle autonomie locali.
(89) L.r. Sardegna, 17 gennaio 2005, n. 1, Istituzione del Consiglio delle autonomie locali e della Conferenza permanente Regione-enti locali; l.r. Friuli Venezia Giulia, 9 gennaio 2006, n. 1, Principi e norme fondamentali del sistema Regione-autonomie locali, art. 31 ss., Consiglio delle autonomie locali.
(90) La Regione Sardegna anzi (nella sua difesa al ricorso statale di cui alla nota successiva) ha chiaramente negato che l’art. 123.4 Cost. possa trovare applicazione nelle Regioni a statuto speciale, in virtù della clausola di cui all’art. 10 della l.cost. n. 3/2001, ed anche che detta clausola possa riferirsi anche agli enti locali.
(91) Ricorso 24 marzo 2005, n. 39 (in G.U., 6 aprile 2005, n. 14).




6. TENDENZE NELLA SANITÀ REGIONALE (George France)

6.1 Introduzione

Come già evidenziato nel Rapporto sullo stato della legislazione 2004-2005, l’espansione nel tempo della responsabilità delle Regioni per l’assistenza sanitaria ha reso progressivamente più complesso il loro operato in questo settore. Usare termini quali “organizzare” e “amministrare” per descrivere le attività delle Regioni rischia di sminuire il reale contenuto delle loro competenze in campo sanitario, facendole apparire come meri compiti burocratico-esecutivi. Al contrario, il ruolo delle Regioni si estende ben oltre l’attuazione delle politiche sanitarie statali: spetta alle Regioni anche la fissazione degli obiettivi e delle priorità, l’elaborazione delle strategie, la formulazione delle politiche e il disegno degli strumenti per l’attuazione e il monitoraggio di queste politiche. Si tratta, cioè, di governare la sanità.
Un esame delle attività svolte dalle Regioni in materia di sanità nel 2005 sembra confermare questa graduale trasformazione del loro ruolo. Le attività di governo della sanità possono essere catalogate sotto due grandi voci: la tutela della salute e il contenimento e controllo della spesa. Questo capitolo presenta un esame sintetico, ma sistematico, delle iniziative regionali in questi due campi nell’anno in questione.
Il capitolo si conclude con un breve esame della problematica dell’eterogeneità geografica nella capacità di policymaking delle Regioni.

6.2 La tutela della salute

Per quanto concerne la tutela della salute, le Regioni sono tenute a rispettare i livelli essenziali dell’assistenza sanitaria (LEA), cioè le prestazioni sanitarie garantite a tutti i cittadini a prescindere dal luogo di residenza. Possono, tuttavia, rendere disponibili per i propri residenti dei servizi aggiuntivi, le cosiddette prestazioni “extra LEA”, alla sola condizione che le finanzino con entrate proprie e non con i trasferimenti provenienti dal Fondo sanitario nazionale. Almeno sei Regioni hanno indicato di aver optato nel 2005 per erogare prestazioni “extra LEA”, ad esempio: farmaci della classe C del Prontuario farmaceutico nazionale; certificazione di medicina sportiva per minori e disabili; farmaci antistaminici analgesici; farmaci per malati di Parkinson e Alzheimer; varie prestazioni riabilitative, sia di ricovero che di tipo ambulatoriale; prodotti dietetici “aproteici” a soggetti affetti da insufficienza renale cronica; alcune prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale (odontoiatria, densitometria ossea, chirurgia rifrattiva con laser ed eccimeri); varie prestazioni di assistenza residenziale socio-sanitaria a favore delle persone anziane non auto-sufficienti.
Le Regioni nel 2005 hanno continuato ad assegnare – almeno formalmente – un ruolo importante alla programmazione, quale strategia di base per la formulazione delle politiche sanitarie. In termini pratici, il carattere dell’attività programmatoria è stato molto diverso da Regione a Regione. Alcune si sono limitate alla preparazione di un piano sanitario triennale o all’aggiornamento di un piano già adottato precedentemente. Un piano triennale può tuttavia contribuire in modo piuttosto generico alla formulazione di politiche e di strumenti operativi. Altre Regioni hanno approvato programmi di settore dettagliati, riferendosi ad esempio: alla riabilitazione fisica; alla raccolta e distribuzione del sangue e del plasma; alla razionalizzazione della rete ospedaliera. Una attività collaterale alla programmazione settoriale è rappresentata dalla preparazione di linee guida o indirizzi guida, preparati dalle Regioni e riguardanti la gestione di specifiche aree assistenziali. Nel 2005, le singole Regioni hanno pubblicato linee guida per le seguenti aree: tutela della salute mentale; prestazioni socio-sanitarie; patologie neuro-degenerative; servizi domiciliari per i pazienti Alzheimer; malattie professionali; sorveglianza e prevenzione della meningite; attività vaccinali.
Le Regioni hanno dato notevole rilievo alla prevenzione, il che riflette probabilmente l’importanza attribuita a questa attività nell’Accordo Stato-Regioni del 23 marzo 2005. Varie Regioni hanno preparato nel 2005 piani e progetti specificatamente indirizzati alla prevenzione, quali: infortuni sul luogo di lavoro; incidenti domestici; incidenti stradali; obesità; cecità; cancro del seno; patologie cardiovascolari; vaccinazione infantili e di adulti; morte improvvisa del lattante.
A livello nazionale, si è enfatizzata negli ultimi anni la problematica dei tempi di attesa necessari per ottenere determinate prestazioni sanitarie e il Ministero della salute ha operato per coinvolgere le Regioni in una strategia migliorativa nazionale. Alcune Regioni hanno dichiarato di avere intrapreso delle azioni in proposito. Interessante a questo riguardo è stata la costituzione in una Regione di un centro per la sperimentazione della gestione delle liste di attesa.
Sperimentali sono state altre iniziative regionali, evidenziando la propensione, già notata nel precedente Rapporto, da parte di alcune delle Regioni ad attuare politiche innovative o adoperare strumenti nuovi in modo graduale, in base a valutazioni di validità, prima di procedere alla loro implementazione generalizzata. Esempi di questo pragmatismo sono: la costituzione in via sperimentale di unità territoriali di assistenza primaria e di assistenza domiciliare integrata; iniziative selettive per la promozione culturale dei minorati della vista; uno studio di fattibilità per la creazione di un centro sanitario per la donna; l’assistenza domiciliare per pazienti malati di Alzheimer.
Le Regioni continuano ad innovare. Esempi di ciò sono: la tutela delle persone negli istituti penitenziari, inclusi i tossicodipendenti; gli interventi a favore della popolazione extracomunitaria; un assegno per l’“ospedalizzazione a domicilio”; un programma per l’assistenza sanitaria a favore dei soggetti portatori di stomie e incontinenti gravi; la creazione di una unità di crisi regionale nel settore sanità; un programma di sostegno alla ricerca ed innovazione bio-tecnologica.

6.3 Il governo della spesa

Le attività delle Regioni nel 2005 riguardanti il controllo della spesa sono state fortemente condizionate, come durante la legislatura precedente, dai vincoli e dagli obblighi contenuti nell’Accordo Stato-Regioni dell’8 agosto 2001. Alcuni di questi vincoli ed obblighi sono stati reiterati e riformulati nell’Accordo Stato-Regioni del 23 marzo 2005. Questo secondo Accordo prevede delle azioni da parte delle singole Regioni per la loro partecipazione al Nuovo sistema informativo sanitario istituito presso il Ministero della salute. Ormai le Regioni si sono rassegnate a dover operare in un contesto caratterizzato da un forte ed ineludibile vincolo di bilancio (“hard budget constraint”) esterno. Addirittura, alcune di esse sembrano considerare tale vincolo quasi con favore, utilizzando le regole contenute nei due Accordi come infrastruttura per la formulazione ed implementazione del loro bilancio annuale. Due Regioni a statuto speciale, che sono autosufficienti finanziariamente senza alcun contributo dal Fondo sanitario nazionale (e, quindi, formalmente non soggette ai vincoli degli Accordi), si comportano essenzialmente come se i vincoli fossero invece loro applicabili. In effetti, nella realtà regionale l’hard budget constraint è diventato un fatto strutturale.
E’ interessante quindi che, pur perseguendo degli obiettivi economico-finanziari fissati in grande parte al centro, le Regioni si siano comportate in modo assai diverso fra loro riguardo alle strategie intraprese per il raggiungimento di questi obiettivi.
Alcune Regioni hanno introdotto innovazioni interessanti miranti a responsabilizzare i decisori locali. Questi ultimi – i direttori generali delle Aziende sanitarie ed i responsabili delle zone territoriali, dei distretti sanitari, dei presidi di alta specializzazione e di altre strutture erogatrici – sono tenuti ad operare in riferimento ad un proprio bilancio. La Regione comunica le direttive o disposizioni tecnico-contabili, spesso vincolanti, ai responsabili della unità operativa, esigendo in particolare il pareggio di bilancio e, più in generale, stabilendo come il bilancio decentrato deve essere impostato. In alcune Regioni, le direttive possono essere molto dettagliate. I responsabili delle unità operative possono avere l’obbligo di formulare delle proposte per contenere le spese e di specificare i risultati previsti e in quale arco di tempo. In altri casi, è la Regione stessa che stabilisce gli obiettivi, disegna le strategie e sceglie gli strumenti attuativi, imponendoli alle unità. L’approccio del bilancio decentrato è generalmente accompagnato da sistemi di monitoraggio per verificare l’andamento delle spese e i risultati effettivamente ottenuti. Il monitoraggio può essere decentrato o, più comunemente, impostato e gestito a livello regionale. Il sistema di bilancio decentrato attuato in alcune Regioni è piuttosto sofisticato. Una Regione, per esempio, esige che il bilancio preventivo contenga gli obiettivi strutturali. Tali obiettivi devono essere indicati in ordine di priorità, nonché espressi in termini quantitativi, in modo che sia possibile valutare ex post i risultati effettivamente raggiunti. Un’altra Regione esegue una forma di certificazione dei bilanci aziendali, misurando il grado di raggiungimento degli obiettivi precedentemente fissati per le Aziende sanitarie da parte della Regione. Riflettendo gli impegni presi con l’Accordo del 23 marzo del 2005, molte Regioni enfatizzano le azioni intraprese per potenziare il loro sistemi informativi.
A parte il decentramento del bilancio, alcune Regioni nel 2005 hanno introdotto nuove procedure per la fissazione delle priorità o hanno ulteriormente raffinato le procedure già adoperate. L’individuazione di un ordine di priorità delle attività è una conseguenza logica del vincolo di bilancio forte. Le risorse sono limitate, i bisogni sanitari praticamente infiniti e, quindi, occorre scegliere. In altre parole, devono essere stabilite le priorità. Spesso esse vengono fissate a livello regionale ed imposte obbligatoriamente alle unità operative, ma alcune Regioni lasciano questo compito alle singole unità.
La scarsità delle risorse esige che queste ultime vengano utilizzate appropriatamente, principio cui è attribuita grande importanza nel decreto legislativo 229 del 1999. Nel 2005, alcune Regioni hanno intrapreso iniziative miranti alla promozione dell’appropriatezza. Una Regione ha introdotto procedure per la verifica dell’appropriatezza con cui vengono erogate determinate prestazioni. Un’altra ha promosso l’appropriatezza delle prescrizioni, tramite il monitoraggio dei consumi. Un’altra ancora ha incentivato l’utilizzo delle strutture ambulatoriali (invece del ricorso alla degenza ospedaliera) per determinate prestazioni. Alcune Regioni hanno predisposto i piani per la razionalizzazione e riqualificazione dell’assistenza primaria, aspirando con tutta probabilità a ridurre i ricoveri ospedalieri inappropriati. Una Regione ha cercato di incentivare il trasferimento anticipato dei pazienti dalla degenza per acuti a strutture per la degenza post acuzie, con l’obiettivo dichiarato di ridurre le spese per il personale. Un’altra ha costituito un apposito centro per promuovere la collaborazione interaziendale nell’adozione di nuovi modelli di degenza.
E’ stato già segnalato l’interesse di molte Regioni riguardo alla prevenzione. Si può ipotizzare che tale interesse sia almeno in parte dovuto all’aspettativa di risparmi in termini di malattie (e quindi cure) evitate. Ma la prevenzione può invece contribuire ad aumentare le spese se, ad esempio, essa viene applicata a tappeto, piuttosto che con riferimento a determinati gruppi della popolazione a comprovato rischio.
Come è noto, il personale rappresenta di gran lunga la voce principale di spesa nel settore sanitario. Non dovrebbe sorprendere, quindi, se anche nel 2005 le Regioni sono state particolarmente attive in questo campo. Ciò ha spesso assunto la forma di direttive o disposizioni per regolamentare l’assunzione di personale a tempo determinato e indeterminato. Una Regione ha imposto un blocco “selettivo” delle assunzioni con monitoraggio e controlli del relativo fabbisogno. Alcune Regioni hanno emanato direttive riguardanti le modalità da seguire per il conferimento di incarichi di strutture nelle Aziende sanitarie e per l’assunzione del personale per posizioni apicali. Una Regione ha previsto dei contributi finanziari per la specializzazione del personale laureato non medico. Un’altra ha annunciato la sua aspirazione a creare una “cultura tecnico-economico sanitaria”, formando i dipendenti in modo tale da farli diventare “attori aziendali”.
Si è sottolineato nel Rapporto precedente che negli ultimi anni le Regioni hanno sottoposto il processo produttivo sanitario locale ad un crescente controllo centrale. Il 2005 ha visto un’ulteriore accentuazione di questo fenomeno. Per esempio, l’emanazione di direttive, da parte delle Regioni, ai responsabili delle unità operative, in particolare ai direttori generali delle Aziende sanitarie, sembra segnalare la volontà delle Regioni di rafforzare la linea verticale di comando, che va dal centro alla periferia, e di rendere ancora più esplicita la responsabilità diretta dei decisori locali riguardo ai risultati delle loro attività gestionali. Alcune Regioni hanno creato una correlazione netta fra il rispetto, o meno, delle direttive centrali da parte delle Aziende, e la modalità di valutazione dell’operato dei singoli direttori generali. Più di una Regione prevede sanzioni, in un caso il licenziamento automatico, per il mancato raggiungimento degli obiettivi finanziari, in particolare quello del pareggio del bilancio. Questo ricorso alla mano pesante riflette presumibilmente la determinazione delle Regioni di evitare le pesanti sanzioni relative al mancato rispetto degli obblighi contenuti negli Accordi Stato-Regioni.
Anche la ricerca delle economie di scala tramite la centralizzazione delle funzioni ha continuato nel 2005, ben esemplificata dalla creazione in una Regione di un’Azienda sanitaria unica regionale e, in altre due, dall’entrata in funzione di un centro ed una società per i servizi condivisi. Una Regione ha reso obbligatorio il consorzio fra le sue Aziende sanitarie per lo svolgimento in comune di attività di natura tecnico-amministrativa. L’utilizzo del concetto della “area vasta” per l’organizzazione e la gestione delle attività è stato ulteriormente esteso. E’ in corso in una Regione la ricerca delle “dimensioni ottimali” da applicare in un’eventuale ridefinizione delle Aziende sanitarie.
Infine, riguardo alla centralizzazione, in alcune Regioni nel 2005 è diventata più raffinata l’attività di accreditamento. Il processo di accreditamento è stato utilizzato per meglio programmare e controllare le attività delle strutture erogatrici pubbliche e di quelle private con un rapporto con il Servizio regionale. In almeno una Regione lo strumento dell’accreditamento è stato utilizzato per guidare gli investimenti nelle strutture ospedaliere ed ambulatoriali.
Un corollario del problema cronico di asimmetria fra le entrate e le uscite regionali è quello dell’insufficienza di liquidità di cassa. Per ridurre il rischio di disavanzo di bilancio, alcune Regioni nel 2005 hanno maggiorato l’aliquota dell’IRAP e/o l’aliquota dell’addizionale IRPEF e si è fatto nuovamente ricorso allo strumento della cartolarizzazione. Spesso, tuttavia, le Regioni si sono trovate senza un’adeguata liquidità di cassa, risultato, secondo loro, dell’incompleto versamento del trasferimento statale e del ritardo prolungato del trasferimento alle Regioni, da parte dello Stato, delle entrate dell’IRAP e dell’addizionale IRPEF. Alcune Regioni si sono rivolte ai mercati finanziari per ottenere dei fondi a breve termine, allo scopo di pareggiare il loro bilancio. A proposito del contenimento del disavanzo, non è chiaro quali siano le implicazioni per le spese e, quindi, per il pareggio di bilancio delle decisioni comunicate da alcune Regioni ed elencate sopra di garantire ai propri residenti l’erogazioni delle prestazioni “extra LEA”.

6.4 L’apprendimento regionale nel policymaking

Già nel precedente Rapporto si è osservato che la maggiore autonomia delle Regioni porterà nel tempo ad una sempre maggiore diversità organizzativa, derivante in misura non marginale da differenze interregionali nella capacità di “governare”. Ciò potrebbe contribuire a creare una crescente eterogeneità nel carattere dell’assistenza disponibile al cittadino, rischiando di indebolire i principi fondamentali sui cui si basa il Servizio sanitario nazionale. Perciò per gli utenti del Servizio potrebbe diventare importante il proprio luogo di residenza.
Idealmente, l’estensione delle competenze regionali nella sanità andrebbe accompagnata di pari passo da un potenziamento della capacità delle Regioni di “governare”, nel senso inteso nel presente capitolo. In tale circostanza, si verificherebbe un graduale processo di maturazione dell’ente Regione, tale da consentire una partecipazione a pieno titolo ad un equilibrato sistema di governo decentrato.
Perché ciò si realizzi, occorre che una Regione sia in grado di imparare dalle sue esperienze passate in veste di policymaker. Si tratta in quel caso di “apprendimento sociale” (social learning), definito come il tentativo consapevole di modificare o sostituire le politiche attuali alla luce dei loro risultati. In termini concreti, l’apprendimento sociale riguarda tre elementi: la definizione degli obiettivi; la scelta degli strumenti d’intervento; la “registrazione” degli strumenti. Esso può verificarsi quando: si interviene sulle modalità di applicazione di uno strumento d’intervento (cambiamento di primo ordine); si sostituisce uno strumento (cambiamento di secondo ordine); si ridefinisce un obiettivo (cambiamento di terzo ordine).
Il concetto dell’apprendimento sociale è utile come chiave di lettura delle attività regionali appena illustrate. Come prevedibile, il cambiamento di terzo ordine (il più significativo di tutte e tre) è il meno frequente: i grandi obiettivi, come quelli del Servizio sanitario nazionale, vengono stabiliti dalla collettività nazionale e codificati nella normativa costituzionale ed ordinaria. Tali obiettivi sono, comunque, troppo generici per essere utili nel policymaking regionale. Anche quelli elencati nel Piano sanitario nazionale e nei piani triennali regionali possono essere piuttosto generali. Alcune Regioni, invece, hanno utilizzato i piani e i programmi di settore per definire e ridefinire gli obiettivi operativi e in questo senso possono aver operato cambiamenti di terzo ordine. Lo stesso può dirsi per i vari tentativi di indicare un ordine di priorità per l’utilizzo di risorse scarse, che non sono altro che una chiarificazione degli obiettivi operativi. Tuttavia, la maggior parte delle azioni delle Regioni descritte in questo capitolo sembrano essere tentativi miranti ad ottenere cambiamenti di primo e secondo ordine.
Per quanto riguarda quelli di secondo ordine, ci sono stati nel 2005 numerosi casi di adozione di strumenti nuovi o modificati, ad esempio i bilanci decentrati, la centralizzazione di attività tecnico-amministrative, il blocco selettivo delle assunzioni, i nuovi servizi assistenziali ed i programmi di prevenzione.
Tuttavia è relativamente facile preannunciare l’avvio di nuovi programmi assistenziali o prevedere l’introduzione di nuovi strumenti gestionali. Ben più complesso è assicurare l’effettiva applicazione dei nuovi strumenti oppure migliorare l’efficacia di strumenti già in uso. Perciò è importante come gli strumenti vengono impostati. Interessanti, quindi, i frequenti casi di emanazione da parte delle Regioni di linee ed indirizzi guida riguardanti, ad esempio, l’erogazione dei servizi assistenziali o l’amministrazione dei programmi di prevenzione, nonché di pubblicazione di direttive e disposizioni attinenti all’esecuzione di nuovi strumenti gestionali - per esempio il bilancio decentrato - o di quelli esistenti, riguardanti, ad esempio, la gestione delle nomine ad incarichi apicali delle ASL. Senza voler sminuire l’importanza per la sanità dei cambiamenti di secondo o terzo ordine, è forse il verificarsi o meno di quelli di primo ordine che contraddistingue le singole Regioni rispetto alla loro capacità di governare il proprio servizio sanitario.
Alcune Regioni sembrano molto attive nel processo dell’apprendimento sociale, a giudicare dalla loro propensione a sostituire frequentemente gli strumenti e dalle loro iniziative per modificare aspetti dettagliati ed operativi di tali strumenti. Ci sono Regioni, invece, che sono tendenzialmente inerti e che prendono poche iniziative nuove, muovendosi soltanto in risposta a pressioni esogene.
Sulla base dei dati forniti dalle singole Regioni, non è purtroppo possibile essere più dettagliati al riguardo. Tuttavia, sono le Regioni stesse a riconoscere che un problema esiste. In un recente documento contenente i commenti delle Regioni sulla bozza del Piano sanitario nazionale 2006-2008, si osserva che esiste una difficoltà “legata alla diversità di stato dell’arte dell’evoluzione dei diversi servizi regionali: se infatti è condivisa da tutte la necessità di garantire livelli e qualità delle cure ai propri cittadini, evitando discriminazione nell’accesso, di fatto attualmente non tutte sono in grado di rispondere allo stesso modo al bisogno del proprio territorio” (1).
Il problema è inoltre riconosciuto esplicitamente dal centro. Ad esempio, in merito alla raccolta dei dati da parte delle Regioni, l’Agenzia per i servizi sanitari regionali ha osservato: “vi sono alcune Regioni che su questo punto hanno molto investito e lavorato, ma in altre Regioni stenta a maturare una vera “cultura” del dato, intesa come attenzione alla qualità oggettiva e significativa dei dati raccolti ed utilizzati” (2).
L’analisi appena illustrata suggerisce che uno dei modi più efficaci per migliorare la capacità di governo delle Regioni attualmente sofferenti a questo riguardo potrebbe essere di sviluppare programmi miranti ad arricchire la loro “cultura del dato”. Tali programmi potrebbero essere gestiti anche dalle Regioni più avanzate. L’obiettivo sarebbe quello di aumentare l’inclinazione e potenziare la capacità delle Regioni più deboli di valutare i risultati prodotti dai loro strumenti d’intervento come attualmente vengono applicati e, quindi, di poter introdurre modifiche dettagliate ed appropriate degli stessi strumenti. In sintesi, di effettuare meglio i cambiamenti di primo ordine degli strumenti di policy.

NOTE

(1) Piano sanitario nazionale 2006-2008 – Documento delle Regioni, approvato dalla Conferenza delle Regioni 24 novembre 2005, 26. (www. Regioni.it. – 30 novembre 2005).
(2) Agenzia per i servizi sanitari regionali, “Le differenze fra le Regioni hanno radici antiche”, Monitor, 5, maggio-giugno 2003, p. 33.




7. ALCUNI ASPETTI DELLA LEGISLAZIONE REGIONALE IN MATERIA DI FINANZA E CONTABILITÀ (Enrico Buglione)

7.1 Finalità e principali risultati dell’indagine

Delle quattro parti in cui si articola il capitolo, la prima è volta ad individuare le innovazioni introdotte dalle Regioni in materia di procedure relative alla formazione e approvazione delle leggi finanziarie. La seconda e la terza prendono in esame questi provvedimenti per analizzarne i tempi di approvazione, la struttura e alcuni dei contenuti. La quarta, che rappresenta una novità rispetto alle precedenti edizioni del Rapporto, cerca di fare il punto su un tema sicuramente attuale e di rilievo: l’esercizio, da parte delle Regioni e province ad autonomia differenziata, della possibilità, ad esse riconosciuta ormai da tempo dalle leggi finanziarie dello Stato, di modificare le regole del patto di stabilità interno (PSI) sia nei loro stessi confronti, sia nei confronti dei propri enti locali.
Per quanto riguarda le procedure, le innovazioni poste in essere da alcune Regioni indicano la volontà di valorizzare la legge finanziaria e di rendere più spedito, in Consiglio, l’esame del relativo disegno di legge presentato dalla Giunta, nonché degli altri documenti di programmazione.
Una conferma di quanto appena detto deriva dal manifestarsi di un accorciamento dei tempi di approvazione delle leggi finanziarie, cosa che ha consentito, in questo Rapporto, di ottenere un quadro completo di quelle relative al 2006 e, quindi, di concentrare l’attenzione su di esse. Rilevante, da questo punto di vista, è anche il percepibile snellimento della struttura di tali provvedimenti, come dimostra, ad esempio, il fatto che, rispetto alle finanziarie per il 2005, il numero complessivo dei commi di quelle per il 2006 risulta inferiore del 35%.
In merito ai contenuti delle finanziarie, avvalendosi anche delle informazioni fornite dalle Regioni attraverso il questionario, sono state considerate le norme attinenti ai temi seguenti: il risanamento del bilancio regionale, la finanza locale, la costituzione di nuovi enti o organismi, le politiche fiscali.
Il primo è ovviamente affrontato in tutte le finanziarie, con una varietà di strumenti e approcci dei quali, nel testo, si forniscono diversi esempi.
Il secondo – qui considerato limitatamente agli interventi di carattere generale volti a valorizzare l’autonomia degli enti locali e a promuoverne l’efficienza - si ritrova soprattutto, ma non solo, nelle finanziarie delle Regioni e province ad autonomia differenziata, in almeno una delle quali il sistema dei trasferimenti è stato ridisegnato, giocando in anticipo rispetto al legislatore statale, sul modello di quanto previsto nell’art. 119 della Costituzione.
Il terzo tema, la costituzione di nuovi enti o organismi, è presente in varie finanziarie per il 2006 e, soprattutto in alcune, le disposizioni in materia indicano una notevole fiducia in tale strategia, al fine di migliorare la capacità di intervento dell’amministrazione regionale.
Infine alle politiche fiscali – una materia, per così dire, tipica delle leggi finanziarie – è stato dedicato un apposito paragrafo, come nei precedenti rapporti. In esso sono state prese in esame non solo le disposizioni contenute nelle finanziarie per il 2006, ma in altri provvedimenti, segnalati dalle Regioni, emanati nel 2005. Dall’analisi emerge la disponibilità delle Regioni ad usare la leva fiscale per far fronte ad eventuali situazioni di eccesso di spese, sia in generale, che nel settore specifico dell’assistenza sanitaria. Si manifesta, inoltre, la volontà delle Regioni di intervenire sui tributi anche al fine di realizzare politiche di incentivazione a vantaggio di particolari soggetti (come i giovani imprenditori o le cooperative), nei confronti dei quali la riduzione del carico fiscale è considerata una forma di aiuto particolarmente efficace.
Risultati interessanti emergono, infine, dalle risposte delle Regioni e province ad autonomia differenziata in merito al PSI. Come si è accennato, si è cercato di verificare l’esistenza di interventi sia sul versante delle modifiche alle regole riguardanti le stesse Regioni e province ad autonomia differenziata (nel testo definita flessibilità regionale), sia su quello delle modifiche alle regole concernenti gli enti locali (flessibilità locale). Per quanto riguarda quest’ultima, va osservato che tra le proposte sul PSI avanzate dall’Alta Commissione di studio per la definizione dei meccanismi strutturali del federalismo fiscale (ACoFF) e dal suo Comitato tecnico scientifico, c’è anche quella di modificare, sia pure non nell’immediato e in primo luogo per le spese di investimento, gli attuali vincoli nazionali sugli enti locali in vincoli di area regionale, “rigidi” a questo livello, ma adattabili, all’interno di ogni area, alla situazione finanziaria dei singoli enti sulla base di appositi accordi tra questi ultimi e l’amministrazione regionale (1). Ciò potrebbe facilitare il rispetto delle regole del PSI da parte di comuni e province, senza nulla togliere alla sua efficacia che, anzi, potrebbe risultarne migliorata. L’esperienza delle Regioni e province ad autonomia differenziata in materia di flessibilità locale - che dell’ipotesi della Commissione rappresenta, per certi versi, una sperimentazione sul campo - è, dunque, indubbiamente significativa. In proposito dall’indagine risulta: che, in alcuni casi, nelle finanziarie per il 2006 sono state dettate norme generali volte a regolarne l’applicazione; che essa è stata effettivamente applicata, tra l’altro con il pieno accordo degli enti locali; che essa può assumere una portata notevole, consentendo aggiustamenti su alcuni degli aspetti più controversi dell’attuale disciplina nazionale del Patto come, ad esempio, quello dell’estensione dei vincoli alle spese di investimento.

7.2. Procedimento di formazione e contenuti delle leggi finanziarie regionali

Nel corso del 2005, in base alle risposte al questionario, risultano di particolare interesse le innovazioni introdotte in quattro Regioni.
Il primo caso è quello del Friuli Venezia Giulia, dove l’iter di approvazione dei “documenti contabili” della Regione (legge finanziaria e piano regionale di sviluppo) e dei “documenti collegati” (disegni di legge presentati dalla Giunta regionale contestualmente ai documenti contabili e collegati alla manovra di bilancio), costituisce uno dei tanti aspetti disciplinati dal Nuovo regolamento interno del Consiglio, approvato in data 6 ottobre 2005 “per adeguare la precedente normativa alle riforme costituzionali e statutarie approvate con le leggi costituzionali n. 2 e n. 3 del 2001, le quali hanno inciso profondamente sull'assetto istituzionale regionale e sulla forma di governo” (2). Le innovazioni introdotte sono volte soprattutto al “potenziamento degli strumenti di indirizzo, controllo e informazione in mano al Consiglio” migliorando sia la “qualità della legislazione”, sia “la funzionalità dell’Assemblea e l’efficienza dei processi decisionali” (3). Negli articoli da 118 a 123 - riguardanti appunto i documenti contabili e i documenti collegati - tali obiettivi emergono in modo evidente. In linea generale tali disposizioni mirano:
- a garantire tempi certi per l’inizio dell’esame dei documenti contabili (non oltre il primo dicembre) e per la conclusione dell’esame (entro trenta giorni dall’inizio dell’esame in I Commissione, integrata con i Presidenti delle altre Commissioni permanenti, tuttavia senza diritto di voto);
- ad evitare che, durante la sessione di bilancio, i lavori delle commissioni siano intralciati dall’esame dell’articolato di altri disegni di legge che comportino variazioni di entrata e di spesa (la discussioni di questi ultimi è, infatti, sospesa e, ovviamente, anche i relativi termini per la presentazione delle relazioni e per l’espressione di pareri) (4);
- ad evitare che la discussione nella I Commissione integrata incida negativamente sull’inizio dell’esame dei documenti contabili e di quelli collegati da parte dell’Assemblea generale (qualora la Commissione non concluda l’esame nei tempi previsti, la discussione in Assemblea si apre sul testo presentato dalla Giunta regionale) (art. 120, comma 4).
- a garantire al Consiglio il supporto tecnico degli uffici della Giunta per l’adeguamento degli stanziamenti del bilancio alle modifiche apportate dal Consiglio al disegno di legge finanziaria (art. 121, comma 2);
- a garantire tempi certi per l’esame dei documenti collegati da parte dell’Assemblea: “dopo l’approvazione dei documenti contabili, entro novanta giorni, decorrenti dalla data della loro illustrazione in Commissione; qualora il predetto termine sia scaduto senza che l’Assemblea abbia concluso l’esame, i documenti sono riassegnati alle Commissioni competenti per materia, per l’esame secondo le procedure ordinarie” (art. 121 comma 3);
- ad evitare che la discussione in Assemblea comporti stravolgimenti dei testi proposti dalla Giunta, vietando “la presentazione di emendamenti al disegno di legge finanziaria estranei all’oggetto proprio della medesima”, nonché di “emendamenti ai documenti collegati non aventi i requisiti di cui all’articolo 118, comma 2, lettera b)”.
Il secondo caso è quello della provincia autonoma di Trento. L’art. 35 della l.p. 29.12.2005 n. 20 interviene sulla disciplina della legge finanziaria modificando l’articolo 26 della l.p. 14.09.1979 n. 7 contente norme in materia di bilancio e di contabilità generale. In base all’art. 26, da un lato, la presentazione della finanziaria era facoltativa e, dall’altro, non si ponevano limiti ai suoi contenuti, affermandosi che, con essa, “possono operarsi modifiche e integrazioni a disposizioni legislative aventi riflessi sul bilancio”. Con l’art. 35 comma 1 della l.p. n. 20 del 2005, in primo luogo la presentazione della finanziaria, “contemporaneamente al disegno di legge di approvazione o di assestamento del bilancio”, diviene obbligatoria e, in secondo luogo, si entra nel merito specifico dei suoi contenuti precisando quelli necessari, quelli inammissibili e quelli ammissibili. Per i primi rileva il comma 2, in base al quale “La legge finanziaria provvede alla regolazione annuale delle grandezze finanziarie previste dalla legislazione vigente, per adeguarle agli obiettivi della manovra di finanza pubblica. È volta a realizzare effetti finanziari con decorrenza dal primo anno considerato nel bilancio pluriennale”. Per i secondi rileva il primo capoverso del comma 3: “La legge finanziaria non può contenere disposizioni di riforma organica di un settore”. Infine, per i contenuti ammissibili – specificati nella parte restante del comma 3 - la legge finanziaria “può contenere disposizioni di contenuto ordinamentale e organizzativo” negli “stretti limiti” di un elenco, riportato nello stesso comma, articolato in 12 voci. Tra le ipotesi previste, alcune fanno riferimento a materie tipiche delle finanziarie – come la rimodulazione delle autorizzazioni di spesa pluriennali, la modifica dei tributi, tasse, tariffe contributi e altre entrate della provincia, le disposizioni inerenti la finanza locale e gli enti collegati alla finanza provinciale, le disposizioni in materia di spesa per il personale della provincia e del personale insegnante della scuola, le disposizioni volte a consentire “il raggiungimento degli obiettivi previsti dal Patto di stabilità interno e dalla manovra di finanza pubblica dello Stato” (lettera f). Tra gli interventi legislativi ammessi rientrano, tuttavia, anche quelli volti a introdurre modifiche alla legislazione provinciale preesistente, per adeguarla a norme dello Stato o a norme comunitarie, nonché “modificazioni testuali delle norme in vigore che incidono su contributi, finanziamenti, trasferimenti ed entrate, comprese quelle che autorizzano la costituzione o la partecipazione della Provincia a società o ad altri soggetti” (lettera d). Per garantire il rispetto di quanto previsto dall’articolo 35, compito sicuramente non facile, la relazione tecnica di accompagnamento alla finanziaria dovrà evidenziare “la conformità delle sue disposizioni alla disciplina di questo articolo, con particolare riguardo alla loro strumentalità alla manovra di finanza pubblica o all’idoneità a realizzare effetti finanziari o di sostegno dell’economia” (comma 4).
Il terzo caso è quello della Sardegna che, in data 22 settembre 2005, ha apportato alcune modifiche al regolamento interno del Consiglio regionale. Tra di esse, assume un rilievo particolare per il tema in oggetto l’articolo 34 bis, aggiunto appunto in questa occasione. La nuova norma ha due finalità principali.
La prima è quella di evitare che la finanziaria venga usata dalla Giunta, come spesso verificatosi in passato, per introdurre modifiche sostanziali alla legislazione vigente senza un adeguato dibattito in Consiglio. A tale scopo, il comma 1 dell’articolo in esame prevede che il Presidente del Consiglio regionale accerti, prima dell’assegnazione del d.d.l. alla Commissione Finanze, “che il disegno di legge finanziaria non rechi disposizioni estranee al suo oggetto, così come definito dalla legislazione regionale in materia di bilancio e di contabilità della Regione”. Qualora l’accertamento dia esito positivo, “Il Presidente del Consiglio, sentito il parere della Commissione finanze, comunica all'Assemblea lo stralcio delle disposizioni estranee” (comma 1).
La seconda finalità, perseguita con il disposto dei commi dal 2 al 4, è, invece, quella di evitare che emendamenti presentati in Commissione finanze o in Aula comportino un peggioramento dei saldi di bilancio rispetto a quanto previsto nel d.d.l. della Giunta, o introducano nella finanziaria temi estranei “all’oggetto proprio” della legge. Interessanti, infine, sono anche le modifiche volte, da un lato, a ridurre i tempi per la discussione della finanziaria e del bilancio (commi 3 bis e 7 bis, aggiunti all’articolo 34) e, dall’altro, a stabilire la procedura per l’esame, da parte del Consiglio, del Documento di programmazione economica e finanziaria (di cui al nuovo articolo 33 bis). Dopo l’esame da parte della Commissione Finanze, da svolgere entro i termini previsti dal Presidente del Consiglio, l’Aula ha solo cinque giorni di tempo per esaminarlo a sua volta e per approvare una risoluzione, votando per prima quella accettata dalla Giunta.
L’ultimo caso è quello dell’Emilia Romagna la quale, nel questionario, segnala i principi generali su finanza, bilancio e demanio di cui agli articoli da 65 a 68 del nuovo Statuto della Regione (l.r. n.13 del 2005) (5).

7.3 Leggi finanziarie regionali per il 2006
 
7.3.1 Tempi di approvazione e struttura

I tempi di approvazione delle leggi finanziarie, come si vedrà subito dopo, sono divenuti abbastanza omogenei tra tutte le Regioni, in genere arrivando, al massimo, al mese di aprile dell’anno al quale la finanziaria stessa si riferisce. Estendendo di poco il periodo di riferimento normale del presente Rapporto (1.1.2005 - 31.12 2005) si può quindi ottenere un quadro completo delle finanziarie per il 2006 e concentrare l’analisi su provvedimenti omogenei per quanto riguarda l’esercizio di riferimento.
In particolare, le finanziarie per il 2006 sono state approvate (cfr. Tabella 1):
- in 10 casi entro dicembre 2005;
- in 9 casi entro febbraio 2006;
- in 3 casi (Molise, Piemonte e Lazio) entro aprile.

In merito alla struttura, conviene concentrarsi direttamente sul numero dei commi, come già fatto nelle precedenti edizioni del Rapporto. Le leggi finanziarie per il 2006, da questo punto di vista, possono essere divise in quattro gruppi:
a) molto snelle, con numero di commi inferiore a 20, che comprende 4 Regioni (Calabria, Trentino Alto Adige, Lombardia e Umbria);
b) mediamente complesse, con numero di commi tra 21 e 100, che comprende 9 Regioni (Abruzzo, Molise, Puglia, Emilia Romagna, Liguria, Sicilia, Sardegna, Marche e Toscana) e la provincia autonoma di Bolzano;
c) complesse, con numero di commi tra 101 e 250, che comprende 5 Regioni (Basilicata, Valle d’Aosta, Veneto, Campania, Piemonte);
d) molto complesse, con numero di commi superiore a 250, che comprende il Lazio (531 commi) e il Friuli Venezia Giulia (561 commi).
Rispetto al 2005 emerge una tendenza alla semplificazione dei provvedimenti in esame, diminuendo in modo consistente sia il numero complessivo dei commi che quello degli articoli: il primo passa da 3.698 a 2.743 e il secondo da 1.007 a 788. Questa tendenza, tuttavia, dipende soprattutto dai mutamenti di struttura delle leggi finanziarie di cinque Regioni (cfr. grafico 1): il Friuli Venezia Giulia (dove il numero di commi scende da 897 a 561), l’Abruzzo (da 830 a 21) (6), la Puglia (da 169 a 53), la Sicilia (da 417 a 75) e, infine, la Sardegna (da 238 a 93) che, come si è visto, nel 2005 ha introdotto alcune modifiche al regolamento interno del Consiglio, una delle quali volta proprio ad evitare il fenomeno della finanziaria omnibus. Al contrario di quanto appena visto, la struttura della finanziaria 2006 è sensibilmente più complessa di quella del precedente esercizio in Piemonte (dove il numero di commi sale da 9 a 184), nel Lazio (da 237 a 531), in Campania (da 57 a 165) e nella provincia autonoma di Trento (da 121 a 209) nella quale, per altro, proprio con la finanziaria per il 2006 sono state apportate modifiche alle norme di contabilità volte a limitare, evidentemente per il futuro, i cosiddetti contenuti ammissibili della legge (7).

(Grafico 1 - Numero dei commi delle leggi finanziarie regionali per il 2005 e 2006)

Bisogna infine sottolineare che, in alcune Regioni, le leggi finanziarie sono accompagnate o precedute da provvedimenti collegati. Per quelle del 2006, in base alle risposte al questionario ciò si verifica, ad esempio, in Lombardia, Umbria e Calabria – le finanziarie delle quali, come si è visto sono particolarmente snelle – nonché in Liguria. I provvedimenti in questione sono:
- per la Lombardia, la l.r. 20.12.2005 n. 19 (4 articoli e 19 commi). Come indicato dalla Regione, “le norme più significative riguardano le iniziative a favore di progetti e soggetti, dotati di spiccata rilevanza sociale, che richiedono e meritano un maggior sostegno finanziario regionale e quelle volte ad assicurare la realizzazione delle opere viabilistiche per l’accesso all’aeroporto intercontinentale Malpensa, oltre che a favorire piani di manutenzione della rete stradale regionale di concerto con la Provincia e i Comuni interessati;
- per la Liguria, la l.r. 24.01.2006 n. 1 (22 articoli e 62 commi), che contiene “misure di razionalizzazione degli oneri del personale e disposizioni in materia di acquisto di beni e servizi”;
- per l’Umbria, la l. r. 10 febbraio 2006, n. 4 (3 articoli e 9 commi) che dispone in materia di entrata e di spesa, modificando anche la l.r. n. 11 del 2005 “Norme in materia di governo del territorio: pianificazione urbanistica comunale”
- per la Calabria, la l.r. 11.01.2006 n. 1 (34 articoli e 94 commi) contenente disposizioni sia a carattere finanziario che normativo. Con l’art. 11, ad esempio, è stata modificata la l.r. 12.08.2002 n. 34 “Riordino delle funzioni amministrative regionali e locali”.

7.3.2 Una sintesi dei contenuti

Oltre alla ridefinizione delle autorizzazioni di spesa relativamente alla normativa in vigore – presente in tutte le leggi finanziarie, comprese quelle prima definite molto snelle – un contenuto diffuso e che rende la lettura di questi documenti di grande interesse è la previsione di nuove forme di intervento novellando la normativa in vigore con la stessa legge finanziaria e/o autorizzando la Giunta a provvedere successivamente in via amministrativa. Tra le modifiche alle norme in vigore rientra anche l’abrogazione esplicita di singoli articoli o di intere leggi, cosa che nelle finanziarie del Lazio, della Sicilia e della provincia autonoma di Trento, assume proporzioni di particolare consistenza.
Come si è appena detto, le innovazioni introdotte con le finanziarie sono numerose e, in quelle a struttura complessa (come, in particolare, in Friuli Venezia Giulia e nel Lazio), in pratica toccano tutte le materie di competenza regionale. In questa sede, un’analisi dettagliata dei contenuti delle finanziarie è, quindi, impossibile. Si è cercato, tuttavia, di richiamare l’attenzione su quelle leggi nelle quali sono trattati in modo specifico tre temi qui ritenuti di particolare interesse: interventi volti al risanamento del bilancio; disposizioni generali sulla finanza degli enti locali; istituzione di nuovi organismi, commissioni, società o enti strumentali. Alle modifiche della normativa in materia di entrate è poi dedicato, come nei precedenti annuari, un apposito paragrafo, nel quale si è tenuto conto, oltre che delle disposizioni contenute nelle finanziarie per il 2006, anche di quelle, emanate nel 2005 e segnalate dalle Regioni nel questionario, contenute in altre leggi.

Interventi volti al risanamento del bilancio.
In generale, tutte le leggi finanziarie si pongono l’obiettivo di favorire il risanamento del bilancio della Regione, in primo luogo rimodulando le autorizzazioni di spesa previste da norme vigenti, ma anche, in molti casi, intervenendo sulle entrate e/o introducendo disposizioni volte, ad esempio: a limitare il ricorso al mercato del credito, prevedendo, in proposito, un limite esplicito; a contenere, in linea con quanto previsto nella legge finanziaria dello Stato, la dinamica delle spese correnti (funzionamento, missioni, consulenze, compensi ai membri del Consiglio, ecc.) e, in particolare, quelle per il personale (8) a rafforzare i controlli sugli enti e organismi dipendenti dalla Regione; a disciplinare l’utilizzazione delle economie o il mantenimento dei residui; a favorire la dismissione di beni immobili. Norme di questo tipo, inoltre, spesso sono previste oltre che in generale, anche per il settore specifico della sanità (9).
Un esempio interessante degli interventi in materia si può ritrovare nella finanziaria della Regione Liguria che, come alcune altre Regioni, dei contenuti della legge ha fornito una sintesi nel questionario. In particolare essa dispone:
- il contenimento delle spesa annua per studi e incarichi di consulenza conferiti dalla Regione e dagli Enti appartenenti al settore regionale allargato a soggetti esterni all'Amministrazione, prevedendo che la stessa non possa superare, a decorrere dal 2006, il 50 per cento di quella sostenuta nel 2004;
- il contenimento delle spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza, nonché per la spesa relativa all'acquisto, alla manutenzione, al noleggio e all'esercizio di autovetture adibite al servizio degli Amministratori;
- la verifica della rispondenza della gestione degli Enti del settore regionale allargato agli obiettivi indicati e alle direttive impartite dalla Regione;
- il concorso degli enti operanti nel settore sanitario e dell'Agenzia regionale per la protezione dell'Ambiente Ligure (ARPAL) al raggiungimento degli obiettivi di contenimento della spesa regionale, contenendo le spese di personale e quelle per beni e servizi.
Altri esempi – per quanto riguarda sia le fattispecie di intervento che le Regioni - possono essere i seguenti:
- l’estensione delle regole del PSI agli enti e organismi dipendenti o controllati dalle Regione - nelle finanziarie di Abruzzo (art. 4), Basilicata (art. 10) e Molise (art. 4) - a carico dei quali risultano in genere anche rafforzati gli strumenti di controllo e di indirizzo da parte della Regione;
- il divieto di istituire nuovi organi e commissioni che comportino spese aggiuntive a carico della Regione, nella finanziaria della Basilicata (art. 9);
- l’istituzione, nel bilancio della Regione Lombardia, di un “un fondo per il rispetto degli obblighi di stabilità finanziaria” (10);
- la riduzione di un terzo del numero dei componenti degli uffici di diretta collaborazione del presidente della Regione e degli Assessori regionali, con riferimento anche ai soggetti esterni, “senza pregiudizio per le strutture in atto operative”, nella finanziaria della Sicilia (art. 11);

Norme in materia di finanza locale.
Ciò che qui interessa mettere in evidenza non sono le norme, presenti nella maggior parte delle leggi finanziarie, con le quali le Regioni assegnano risorse agli enti locali vincolate alla realizzazione di specifici programmi o interventi. Piuttosto si intende richiamare l’attenzione su quelle disposizioni con le quali le Regioni intervengono nella materia in oggetto per valorizzare l’autonomia finanziaria di comuni e province e/o per migliorarne l’efficienza e la capacità operativa.
Per quanto riguarda le Regioni e province ad autonomia differenziata - che, in questo campo hanno competenze più estese e sicuramente più incisive di quelle delle Regioni ordinarie – il dato più interessante è la presenza, nelle finanziarie per il 2006, di norme che, intervenendo sulla disciplina dei trasferimenti, mirano a rafforzare l’autonomia finanziaria degli enti locali, in linea con i principi contenuti nell’art. 119 della Costituzione. Un esempio da manuale, in questo senso, è l’art. 3 della legge del Friuli Venezia Giulia, del quale è opportuno riportare per intero il testo dei primi 2 commi:
1. La Regione Friuli Venezia Giulia adotta un sistema di trasferimenti a favore dei Comuni che favorisce l’autonomia finanziaria degli enti medesimi riconosciuta dall’articolo 119 della Costituzione e che tiene conto delle peculiarita’ locali in modo da assicurare una distribuzione equa, funzionale e coerente delle risorse regionali.
2. Per la finalita’ di cui al comma 1 la Regione finanzia in modo indistinto i bilanci delle amministrazioni comunali principalmente mediante trasferimenti ordinari, erogati senza vincolo di destinazione e senza obbligo di rendicontazione.

Sempre nella legge del Friuli viene poi definita, con il comma 3, la struttura dei trasferimenti ordinari ai comuni (per il 65% costituiti dalla “quota di fiscalità” e per il 35% dalla “quota di compensazione) e, con il comma 4, viene predisposta una rete di sicurezza volta ad assicurare ad ogni ente almeno il 95% dei trasferimenti ordinari ottenuti nel 2005. Infine, con il comma 5, in presenza di risorse disponibili, sono previsti contributi per incentivare “miglioramenti organizzativi e gestionali, con particolare riferimento all’esercizio coordinato di funzioni e gestione associata di servizi” .
Molto interessante è anche l’art. 4 in quanto, a prescindere da una serie di disposizioni relative ai trasferimenti per il 2006, permette di capire meglio la struttura del modello adottato dalla Regione. Essendo in questa sede impossibile entrare nei dettagli, ci si limiterà a metterne in evidenza alcune caratteristiche essenziali:
a) l’ammontare complessivo dei trasferimenti a tutti gli enti locali è determinato dal gettito di una quota delle compartecipazioni incassate dalla Regione (la quota di compartecipazione devoluta al finanziamento dei trasferimenti è diversa per ogni tributo regionale) (11);
b) il totale del gettito delle compartecipazioni attribuite al complesso degli enti locali viene diviso in tre fondi (uno per le province, uno per i comuni e uno per le comunità montane);
c) per tutti gli enti locali i trasferimenti sono costituiti da un fondo ordinario, integrato da alcune assegnazioni vincolate;
d) per le province e per le comunità montane il fondo ordinario è interamente distribuito in misura pari alle assegnazioni per il 2005;
e) per i comuni, più direttamente toccati dalla riforma in oggetto, il fondo ordinario è invece diviso in due parti: la quota di fiscalità, distribuita in modo direttamente proporzionale alla capacità fiscale di ogni ente; la quota compensativa, distribuita, invece, in modo da tenere conto del fabbisogno oggettivo di spesa, valutato in base a parametri specificati nella stessa legge (comma 6, lettera a, punti 1 e 2).
Interessanti sono pure le innovazioni previste nelle leggi finanziarie della Valle d’Aosta e della provincia autonoma di Trento.
La Valle d’Aosta con l’art. 17 apporta alcune modifiche alla l.r. n.48 del 1995 “Interventi regionali in materia di finanza locale”, in primo luogo per introdurre, tra le finalità della legge, quella di “favorire il coordinamento degli interventi pubblici di interesse locale” (sostituendo in questo modo la precedente dizione “affinare i poteri di indirizzo, di programmazione e di controllo della Regione”); in secondo luogo, per specificare che le risorse attribuite dalla Regione senza vincolo di destinazione, “sono destinate allo svolgimento delle funzioni che non siano riservate dalla legge alla Regione”; in terzo luogo per specificare che le priorità, alla realizzazione delle quali sono destinati i trasferimenti vincolati assegnati dalla Regione, sono definite da essa “di intesa con Consiglio permanente degli enti locali”, nonché per porre alcuni vincoli all’utilizzazione di tale forma di finanziamento, tra le quali il fatto che essi riguardino la generalità degli enti locali “con l’esclusione degli interventi destinati a singoli enti locali” (in questo modo adottando una linea apparentemente molto diversa da quella del comma 5 dell’articolo 119 della Costituzione).
La provincia autonoma di Trento, con l’art. 16 della finanziaria per il 2006 ha apportato alcune modifiche alla l.p. n. 36 del 1993 “Norme in materia di finanza locale”. Le novità più interessanti sono le seguenti:
a) l’affermazione del principio che “L’Autonomia finanziaria dei comuni è fondata su risorse proprie e su risorse trasferite dal bilancio della Provincia”;
b) la previsione di un incremento annuale dell’ammontare complessivo dei trasferimenti agli enti locali, come determinato per il 2005, in base al tasso di inflazione programmato;
c) l’individuazione delle cause che possono determinare una variazione dei trasferimenti, diversa da quella indicata al punto precedente;
d) l’ampliamento degli aspetti che devono formare oggetto di accordo tra la Regione e gli enti locali, ai sensi dell’art. 81 dello Statuto, dalla quantità delle risorse da trasferire agli enti locali alle “misure necessarie a garantire il coordinamento della finanza comunale e quella provinciale, con particolare riferimento alle misure previste dalla legge finanziaria per il perseguimento degli obiettivi della finanza provinciale correlati al patto di stabilità interno."
Infine, è interessante segnalare l’art. 3 della legge finanziaria della Sicilia, con il quale gli enti locali della Regione sono incentivati ad adottare “programmi operativi finalizzati alla ottimizzazione del servizio di riscossione e/o al recupero dei tributi di rispettiva competenza”. L’incentivo consiste nel fatto che la predisposizione del programma, entro il 31 dicembre di ogni anno, e la sua realizzazione, valutata attraverso la rilevazione degli incrementi conseguiti rispetto ai tributi riscossi nell’anno precedente, “costituisce indicatore premiale ai fini della ripartizione delle risorse ai sensi dell’articolo 76, comma 2, della legge regionale 26 marzo 2002, n. 2.”
Passando ora alle Regioni ordinarie, anche nelle loro finanziarie è possibile individuare innovazioni significative in materia di finanza locale. Un valido esempio è l’istituzione di un Fondo per la progettazione nelle Regioni Campania (art. 1 comma 16 della legge finanziaria) e Marche (art. 7). Si tratta infatti di uno strumento, già proficuamente sperimentato in altre Regioni, particolarmente utile per gli enti locali di piccola dimensione, che, in questo modo, possono più facilmente e più efficacemente sfruttare le risorse messe a disposizione dall’Unione Europea, dallo Stato e dalle stesse Regioni per la realizzazione di investimenti. Un altro esempio interessante è rappresentato dalle disposizioni contenute nelle finanziarie della Toscana (artt. 21 e 22) e del Veneto (art. 6), volte a riformare la disciplina in vigore per l’assegnazione di contributi agli enti locali per l’incentivazione dell’associazionismo tra comuni. In particolare, il Veneto definisce la tipologia dei contributi che possono essere assegnati, rinviando ad un successivo provvedimento della Giunta la definizione dei criteri e delle modalità di assegnazione. La Toscana invece, modifica direttamente la normativa vigente in modo da consentire alla Regione “di partecipare al riparto delle risorse finanziarie stanziate dallo Stato per il sostegno all’associazionismo comunale, secondo quanto previsto dall’intesa sancita dalla Conferenza unificata in data 28 luglio 2005, repertorio n. 873”.
Infine si possono citare due norme della finanziaria del Lazio, volte a consentire ai comuni di ottenere ulteriori entrate dal settore dell’edilizia pubblica. Con l’art. 73 viene modificata la l.r. n. 12 del 1999 aggiungendo, tra l’altro. l’art. 17 bis concernente i “criteri per la determinazione degli oneri accessori dovuti ai comuni e agli enti gestori degli alloggi di edilizia residenziale pubblica”. Con l’art. 83, invece, si autorizzano i comuni a stabilire le modalità di recupero in via transattiva degli oneri dovuti dagli assegnatari di alloggi di edilizia residenziale pubblica, in modo da facilitare il recupero di tali somme e concorrere al risanamento dei bilanci degli enti di gestione.

Nuovi organismi, commissioni, enti o aziende strumentali.
Tra le leggi finanziarie per il 2006, la più interessante sotto questo profilo sembra essere quella del Lazio. E’ prevista, infatti, l’istituzione di almeno nove nuovi organismi e commissioni, la disciplina per l’organizzazione e il funzionamento dei quali è, in genere, rimandata a successivi provvedimenti della Giunta. Per quanto riguarda le finalità, due hanno l’obiettivo di contribuire al contenimento delle spese, mentre gli altri sono destinati ad intervenire nei settori seguenti: sanità, lavoro, istruzione, ambiente, cultura, edilizia (12). Sempre per il Lazio si può anche segnalare l’intervento della Regione a favore della nascita di due poli integrati di alta formazione, uno nel campo della nautica (art. 171) e uno nel campo del turismo (art. 168).
L’istituzione di nuovi organismi e commissioni, per altro, si trova in varie leggi finanziarie. Ad esempio, in quelle di Basilicata (art. 21), Campania (art. 18), Friuli Venezia Giulia (art. 8), Bolzano (artt. 3 e 5), Trento (art. 25), Piemonte (artt. 22, 33, e 41), Puglia (art. 13) e Sicilia che, con l’art. 7, autorizza la Giunta ad istituire un apposito organismo in materia d fondi pensione integrativi.

7.4 Interventi sulle entrate
 
7.4.1 Disposizioni delle finanziarie per il 2006

Come nelle finanziarie regionali per gli anni precedenti, anche in quelle per il 2006 gli interventi in materia di entrate sono numerosi e presenti nella maggior parte delle leggi.
Per facilitare la trattazione, le disposizioni in oggetto sono state divise in tre gruppi: istituzione di nuovi tributi; modifica della normativa vigente relativamente ai tributi già in vigore; disposizioni diverse.

Istituzione di nuovi tributi.
In materia rilevano le leggi finanziarie della Liguria e della provincia autonoma di Trento. Per la Liguria, l’articolo 7 istituisce, con decorrenza 1 febbraio 2006, l’imposta regionale sulla benzina per autotrazione nella misura di 0,0258 euro per litro di benzina - cioè nella misura massima prevista dall’articolo 6, lettera c), della legge 14 giugno 1990 n. 158 – disciplinando poi, nei successivi articoli fino al 12 compreso, i soggetti dell’imposta, le modalità di riscossione e versamento, le sanzioni (scegliendo, tra il minimo del 50% e il massimo del 100% dell’imposta evasa consentito dalla normativa statale, la misura del 75%), le modalità per la riscossione coattiva e le norme per la prima applicazione del tributo (13). Per la provincia autonoma di Trento, invece, rilevano gli articoli da 32 a 34 compreso, con i quali viene istituito il nuovo “Tributo provinciale sul turismo”, dovuto sia dai soggetti che esercitano attività economiche che beneficiano degli effetti derivanti dal turismo, sia dai soggetti che concedono in locazione alloggi privati per uso turistico. Per le due categorie di soggetti passivi appena indicate, le modalità di applicazione del tributo sono diverse e, comunque, piuttosto complesse. Per i dettagli si preferisce quindi rimandare al testo della legge, tanto più che su molti aspetti si rinvia ad un apposito regolamento di esecuzione, approvato sentita la competente Commissione consiliare competente. Il tributo sarà dovuto a partire dall’anno successivo all’approvazione del regolamento di esecuzione.

Modifiche ai tributi vigenti.
Con le finanziarie per il 2006, molte Regioni hanno modificato la disciplina sia dei cosiddetti tributi minori, sia dei tributi più importanti in termini di gettito, come l’Irap, l’addizionale Irpef e le tasse automobilistiche. Per i tributi minori si possono citare, a titolo di esempio, da un lato gli interventi sulla Tassa per il diritto allo studio Universitario effettuati dalla Liguria (con l’art. 4) e dalle Marche (con l’art. 23); dall’altro, quelli sul Tributo speciale per il deposito in discarica di rifiuti solidi – spesso finalizzati al recepimento della normativa statale sulla classificazione dei rifiuti – effettuati dalla Basilicata (art. 2), dal Friuli Venezia Giulia (art. 9, comma 38), dal Piemonte (art. 5), dalla Puglia (art. 3) e dalla Toscana (artt. da 5 a 12) (14).
Per i tributi più importanti si possono citare, in primo luogo, le modifiche alle tasse automobilistiche adottate: in Campania (art. 23), per esentare i veicoli con livello di emissioni particolarmente basso; nella provincia autonoma di Bolzano (art. 11), anche in questo caso per introdurre agevolazioni volte a contrastare l’inquinamento atmosferico; in Liguria (art. 6) e in Piemonte (art. 3), per elevare gli importi del tributo e per disciplinare la tassazione dei veicoli storici; in Puglia (art. 21), per esentare dall’imposta i veicoli di soccorso (ambulanze, mezzi antincendio) e quelli di proprietà delle associazioni di volontariato per la protezione civile.
In secondo luogo, è interessante ricordare, sempre a titolo di esempio, almeno alcuni degli interventi sull’Irap. A prescindere dall’art. 1 della finanziaria del Piemonte che, come del resto verificatosi in precedenza in altre Regioni, eleva al 5,25% l’aliquota per le società di assicurazione, per le banche e altri enti e società finanziarie, gli altri casi su cui si intende richiamare l’attenzione consistono in riduzioni di aliquota o esenzioni. In particolare: l’art. 2 della l.f. del Friuli Venezia Giulia prevede aliquote ridotte per le nuove imprese artigiane e per i soggetti passivi che presentino un incremento della produzione netta o un incremento delle spese di personale (con esclusione, tuttavia, degli esercenti arti e professioni in forma individuale o associata), nonché l’esenzione totale per le aziende pubbliche di servizi alla persona succedute alle IPAB; l’art. 5 della l.f. della Liguria e l’art. 25 della l.f. Marche prevedono, il primo riduzioni di aliquota per le cooperative sociali e loro consorzi e, il secondo, per le attività di preparazione e concia del cuoio; l’art. 27 della l.f. della provincia autonoma di Trento estende l’applicazione delle agevolazioni di imposta previste da norme precedenti; l’art. 2 della l.f. del Piemonte e l’art. 1 della l.f. della Valle d’Aosta prevedono esenzioni il primo per le aziende della filiera avicola e, il secondo, per i centri polifunzionali di servizio (limitatamente al pagamento dell’imposta) (15). Infine gli artt. 1 e 2 della l.f. della Toscana subordinano le agevolazioni Irap previste da norme precedenti a favore delle aziende agricole e delle aziende certificate, alle condizioni e ai limiti “imposti dalla normativa comunitaria in materia di aiuti de minimis”.

Altre disposizioni in materia di entrate.
Al riguardo vanno in primo luogo segnalate – in quanto testimoniano un crescente interesse a valorizzare le possibilità di autofinanziamento mediante entrate extratributarie - le disposizioni in materia di concessioni regionali adottate dalle Regioni Basilicata (art. 34), Campania (art. 1 comma 8), Lazio (art. 20), Liguria (art. 3), Piemonte (art. 7) e Sicilia (art. 9). Significativi sono anche l’art. 1 comma 2 della l.f. della Campania e l’art. 29 della l.f. della Liguria – due Regioni con rilevanti problemi di deficit nel settore sanitario – con i quali tutto il maggior gettito derivante da eventuali aumenti dell’Irap e dell’addizionale regionale all’Irpef viene destinato al ripiano dei disavanzi di gestione o al mantenimento dell’equilibrio finanziario nella sanità. Infine è interessante segnalare l’art. 2 della l.f. della Sicilia con la quale viene disposto un accantonamento negativo di 500 milioni nel fondo globale di parte corrente del bilancio per il 2006, a fronte di nuove entrate di pari ammontare derivanti dall’attribuzione alla Regione del gettito delle imposte statali compartecipate, relative agli stabilimenti localizzati in Sicilia di imprese industriali e commerciali con sede centrale fuori del territorio della Regione, prevista dal d. lgs. n. 241 del 2005 in attuazione dell’art. 37 dello Statuto.

7.4.2 Disposizioni in altri provvedimenti adottati nel 2005

Nei questionari inviati dalle Regioni sono state segnalate una serie di disposizioni in materia tributaria adottate nel corso del 2005 con provvedimenti diversi dalle finanziarie per il 2006. Ad esse sembra opportuno fare riferimento, in modo da avere un quadro il più possibile completo delle innovazioni introdotte in questo importante settore. In sintesi, le informazioni fornite sono le seguenti (16).
Abruzzo. Con la l.r. 3.3.2005 n. 14 è stata modificata la base imponibile del Tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi, fermo rimanendo l’ammontare dell’aliquota, al fine di adeguare il tributo stesso alla normativa nazionale di cui al d. lgs. 13 gennaio 2003 n. 36.
Emilia Romagna. Con la l. r. 22.12 2005 n. 23 “Disposizioni in materia tributaria” sono state dettate disposizioni riguardanti: il contenzioso tributario (art. 1); le concessioni regionali (artt. 2 e 3); la tassa automobilistica (artt. 4 e 5); il Tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi (art. 7).
Lazio. Con l’art. 24 della l. r. 15.9.2005 n. 16 “Assestamento del Bilancio di previsione della Regione Lazio per l’anno finanziario 2005” è stata istituita la Tassa fitosanitaria, in attuazione della direttiva 2000/29/CE del Consiglio, dell’8 maggio 2000 e successive modifiche. La tassa, dovuta dall’importatore o dal suo agente doganale per l’esecuzione dei controlli documentali, è applicata in conformità alle indicazioni della stessa direttiva.
Liguria. Con la l. r. 28.11.2005 n. 17 “Disposizioni in materia tributaria” la Regione è intervenuta in materia di Irap (art. 1) portando al 5,25% l’aliquota dell’imposta dovuta da banche e assicurazioni e in materia di Addizionale regionale all’Ire (art. 2), prevedendo aliquote differenziate per scaglioni di reddito comprese tra lo 0,9 e l’1,4%.
Molise. Con la l.r. 7.2.2005 n. 5 “Legge finanziaria regionale 2005” da un lato (art. 14) è stata ridotta al 3,25% l’aliquota Irap per tutti i soggetti di imposta limitatamente al valore della produzione netta riferibile al territorio dei comuni della provincia di Campobasso maggiormente danneggiati dal sisma del 31 ottobre 2002, nonché per le nuove imprese e le Onlus, dall’altro (art. 15) è stata invece aumentata al 5,25% l’aliquota dell’imposta dovuta da banche e imprese appartenenti alla rete della grande distribuzione regionale. Inoltre, con la l.r. 10.10.2005 n. 34 sono state apportate modifiche alla disciplina del Tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi, intervenendo anche sulle aliquote.
Provincia autonoma di Bolzano. Con la l. p. 22.7.2005 n. 5 “Disposizioni in connessione con l’assestamento del bilancio di previsione della Provincia di Bolzano per l’anno finanziario 2005 e per il triennio 2005-2007” sono state dettate disposizioni in materia di Tassa per il diritto allo studio universitario e di tassa automobilistica .
Provincia autonoma di Trento. Con la l. p. 28.6.2005 n. 9 è stato affidato alla Giunta il compito di fissare le tipologie e gli importi dei tributi speciali catastali, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 280 (fino alla data di pubblicazione della delibera, continuano ad applicarsi gli importi in vigore). Inoltre con l’art. 27 della l. p. 10.2.2005 n. 1 (legge finanziaria per il 2005) la provincia è intervenuta in materia di Irap estendo una serie di agevolazioni già previste e prevedendo l’esenzione per le Onlus.
Toscana. Con la l. r. 3.1.2005 n. 4 è stata dettata la disciplina regionale della tassa regionale per il diritto allo studio universitario, precedentemente applicata in base alla normativa statale di cui all’articolo 3, comma 20, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 ed è stato fissato a 103 euro l’importo della tassa (statale) a carico di carico di coloro che conseguono l'abilitazione all'esercizio professionale essendo provvisti di titolo accademico in una Università avente sede in Toscana.
Veneto. Con la l. r. 25.2.2005 n. 9 (legge finanziaria per il 2005) è stata introdotta la tassa fitosanitaria (art. 7), sono state previsti ampliamenti delle esenzioni dai ticket sui farmaci (art. 19) e sono stati destinati alla copertura del disavanzo in sanità i maggiori gettiti derivanti dagli interventi sull’Irap e sull’Addizionale regionale all’Irpef adottati nel 2004. Inoltre con la l.r. 26.11.2005 n. 19 “Disposizioni in materia di tributi regionali” da un lato (art. 1) è stata determinata l’aliquota dell’addizionale Irpef per il 2006, prevedendo differenziazioni in base al reddito imponibile e aliquote ridotte a favore delle famiglie numerose, dei disabili e dei soggetti con disabili fiscalmente a carico; dall’altro (artt. 2 e 3) sono state previste aliquote Irap ridotte a favore delle nuove imprese giovanili, delle imprese femminili e delle cooperative sociali.

7.5 Il Patto di stabilità interno nelle Regioni speciali.

Le norme delle leggi finanziarie dello Stato, comprese quelle per il 2005 e il 2006, relativamente al Patto di stabilità interno prevedono due interessanti forme di flessibilità valide solo nei confronti delle Regioni e province ad autonomia differenziata (17).
La prima, che può essere definita flessibilità regionale, consiste nel fatto che le Regioni e province ad autonomia differenziata possono adottare regole specifiche per quanto riguarda gli obblighi a loro carico, qualora ciascuna di esse riesca a raggiungere, entro il 31 marzo di ogni anno, uno accordo in proposito con il Ministero dell’economia e delle finanze.
La seconda, che può essere definita flessibilità locale, consiste nel fatto che le Regioni e province ad autonomia differenziata possono adottare regole specifiche per quanto riguarda gli obblighi a carico degli enti locali compresi nel territorio di ciascuna, a patto che le disposizioni in materia vengano definite, anche in questo caso, entro il 31 marzo di ogni anno (18).
Dato l’oggettivo interesse dell’argomento, si è ritenuto opportuno inserire per la prima volta, nel questionario, una specifica domanda per le Regioni e province ad autonomia differenziata volta ad accertare se le facoltà a cui sopra si è fatto riferimento siano state esercitate e, in caso di risposta affermativa, le modalità con le quali si è provveduto.
Dalle risposte pervenute risulta che il Friuli Venezia Giulia, la Valle d’Aosta e le due province autonome di Trento e Bolzano sono intervenute su entrambi i versanti.
Per la “flessibilità regionale” di particolare interesse è la risposta fornita da Bolzano, in quanto essa mette in evidenza l’iter, i tempi e i contenuti fondamentali dell’intesa, raggiunta attraverso uno scambio di missive tra la Giunta e il Ministero (19). Anche negli altri casi gli accordi sono stati raggiunti attraverso scambi di lettere e ciò non sembra giovare alla trasparenza, tanto più che in un caso (quello di Trento) tali documenti vengono definiti, nelle risposte al questionario, “non pubblici” e, quindi, “non disponibili presso il Consiglio regionale” (20).
In merito alla cosiddetta “flessibilità locale”, è necessario in primo luogo richiamare le disposizioni a carattere generale contenute nella finanziaria 2005 del Friuli Venezia Giulia (art. 2, commi 58 e 59) e nelle finanziarie 2006 della Valle d’Aosta (art. 8), di Trento (art. 15) e di Bolzano (art. 8) (21). Con tali norme si definiscono, in tutti i casi, gli obiettivi generali degli accordi in materia tra amministrazione (regionale o provinciale) e enti locali e si individua l’organo rappresentativo di questi ultimi (22). Inoltre:
- nel caso di Bolzano si precisa il termine massimo entro il quale deve essere concluso l’accordo (il 28 febbraio di ogni anno);
- nel caso della Valle d’Aosta si assegna esplicitamente alla Giunta il potere di introdurre misure a carico degli enti inadempienti alle regole del Patto;
- nel caso di Trento, si richiamano alcune delle modalità di attuazione dell’obiettivo del contenimento della spesa, oggetto dell’accordo con gli enti locali (23);
- nel caso del Friuli si dettano regole per il monitoraggio del rispetto delle regole del Patto da parte degli enti locali della Regione. In particolare l’art. 2 comma 59 dispone: “L’Amministrazione regionale, per il tramite della Direzione centrale relazioni internazionali, comunitarie e autonomie locali, d’intesa con la Direzione centrale risorse economiche e finanziarie e con la Direzione centrale programmazione e controllo attiva il monitoraggio degli adempimenti relativi al patto di stabilità interno, attraverso delle rilevazioni, con modalità e termini fissati nel regolamento dei cui al comma 58”.
Passando all’effettivo esercizio della “flessibilità locale”, dalle risposte al questionario risulta che: Il Friuli Venezia Giulia, a seguito del confronto con l’Assemblea delle autonomie locali, ha adottato un regolamento (DPGR n. 77 del 22.03.2005); la Valle d’Aosta ha adottato una delibera di Giunta (n. 881 del 25.03.2005); la provincia autonoma di Bolzano ha concluso un patto di stabilità provinciale tra il Comitato per gli accordi finanziari dei comuni e il Presidente della provincia; la provincia autonoma di Trento, relativamente al 2005, ha emanato la delibera di Giunta n. 524 del 18.3.2005 e la circolare n. 6 del 7 aprile 2005 (24).
Un sia pur sintetico riferimento almeno ad alcuni dei documenti citati è utile per capire la portata che può assumere la cosiddetta “flessibilità locale”.
Nella circolare n. 6 di Trento viene innanzitutto sottolineata la non applicabilità agli enti locali della provincia delle regole del Patto previste ai commi da 21 a 35 dell’art. 1 della legge 311/2004 (finanziaria per il 2005) “avendo la stessa provveduto a definirne i contenuti con propria normativa entro i termini prefissati, ai sensi del comma 39”. Vengono poi indicate le modalità di applicazione del patto provinciale, richiamando anche alcune differenze rispetto al Patto interno nazionale. Con riferimento a queste ultime la circolare precisa, ad esempio:
- la conferma del monitoraggio solo del saldo finanziario - invece che dei limiti alla spesa, come previsto dalla normativa nazionale - in quanto “La determinazione e valutazione del livello di spesa in relazione al livello delle entrate costituisce … un incentivo al ricorso alla leva fiscale e tariffaria da parte delle Amministrazioni, consentendo eventuali incrementi di spesa in presenza di entrate proprie a relativa copertura;
- l’esclusione dal Patto delle spese di investimento – invece comprese nel computo a livello nazionale – risultando ciò opportuno alla luce delle peculiarità delle politiche provinciali in materia di finanziamenti all’attività d’investimento dei Comuni. Il monitoraggio del saldo complessivo, utile per garantire un maggior controllo sulla spesa d’investimento, cresciuta in modo rilevante negli ultimi anni, sarebbe ragionevole solo per gli Enti di dimensioni demografiche medio-grandi, risultando eccessivamente vincolante per i piccoli Comuni, per i quali vanno previsti strumenti alternativi;
- la non applicabilità dei vincoli alla spesa di cui all’art. 1 comma 33 della finanziaria 2005 nei confronti di singoli enti che non hanno rispettato gli obiettivi del Patto, qualora il comparto dei comuni trentini e loro unioni nel triennio 2003-2005 abbia complessivamente raggiunto l’obiettivo di contribuire al miglioramento del saldo finanziario, “come per altro avvenuto nel triennio 2000-2002”;
- la non applicabilità dei “criteri e limiti all’assunzione di personale nel triennio 2005-2007, previsti a livello nazionale dal comma 98 della Legge n. 311 nell’ottica di un contenimento della spesa corrente (…), alla luce della competenza legislativa in materia di spesa del personale attribuita a livello statutario alla Provincia autonoma di Trento”.
La delibera n. 881 della Valle d’Aosta indica come obiettivi del patto il “miglioramento del saldo finanziario” e la “riduzione del debito”. Per il primo “Il vincolo è costituito dall’obbligo di mantenere il saldo finanziario 2005 pari al 2003 con il solo incremento del tasso di inflazione, stimato per l’anno 2004 nella misura del 2,5% e per l’anno 2005 nella misura del 2%, pari al 4,55% composto per il biennio 2004-2005”. Ai fini del calcolo del saldo finanziario, anche in questo caso sono escluse (almeno inizialmente) le spese di investimento. In seguito ai risultati del monitoraggio sul rispetto del vincolo è inoltre previsto che la Giunta, previo parere del Consiglio Permanente degli enti locali possa “introdurre eventuali incentivi o disincentivi al fine di favorire il rispetto degli obiettivi del patto” (25) Per il secondo obiettivo la delibera mira ad ottenere “la riduzione o quanto meno il mantenimento del rapporto tra debito derivante dall’indebitamento e il valore aggiunto regionale da valutare nell’arco del quadriennio 2002/2005”. In questo caso, il raggiungimento dell’obiettivo “è soltanto raccomandato; non è prevista pertanto alcuna sanzione”.
Il regolamento del Friuli Venezia Giulia, infine, in linea con la normativa nazionale introduce vincoli alla dinamica delle spese e include nel computo quelle di investimento, ma prevede regole specifiche per le modalità di calcolo del rispetto del patto. In proposito l’art. 2 dispone che, “per l’anno 2005, il complesso delle spese correnti e in conto capitale, determinato con le modalità di cui all’articolo 3 non può essere superiore alla corrispondente spesa annua mediamente sostenuta nel triennio 2001- 2003, incrementata dell’11,5 per cento” (comma 1), e che “Per l’individuazione della spesa media del triennio si tiene conto della media degli impegni in conto competenza e della media dei pagamenti in conto competenza e in conto residui (art. 2 comma 2)”. A carico degli enti locali che non rispettino gli obiettivi sono previste specifiche penalizzazioni con effetti nell’anno 2006, in particolare per quanto riguarda le assunzioni di personale e il ricorso all’indebitamento per gli investimenti (art. 4).

NOTE

(1) ACoFF, Relazione sull’attività svolta dall’Alta commissione per la definizione dei meccanismi strutturali del federalismo fiscale, ACoFF, Ministero dell’economia e delle finanze, Roma, 2005 (mimeo)
(2) Citazione tratta dalla pagina di presentazione del Nuovo regolamento, presente el sito internet della Regione.
(3) Citazioni tratte dalla pagina di presentazione del Nuovo regolamento, presente nel sito internet della Regione.
(4) Il comma 2 dell’art. 118 prevede solo due eccezioni a questa regola:”a ) per i progetti di legge concernenti l’attuazione di programmi comunitari e in materia di calamità naturali di carattere di assoluta indifferibilità, secondo le determinazioni della Conferenza dei Presidenti dei gruppi consiliari; b) per i disegni di legge presentati dalla Giunta regionale contestualmente ai documenti contabili e collegati alla manovra di bilancio, di seguito denominati documenti collegati; tali documenti devono contenere esclusivamente norme funzionalmente collegate ai documenti contabili o norme temporalmente improcrastinabili e urgenti”.
(5) In particolare, per quanto riguarda la formazione delle leggi di bilancio, l’art. 68 sancisce che: il bilancio annuale di previsione e il bilancio pluriennale sono presentati dalla Giunta regionale all’Assemblea entro il 31 ottobre dell’anno precedente a quello cui il bilancio si riferisce; l’Assemblea approva annualmente il bilancio sulla base degli indirizzi contenuti negli atti e nei provvedimenti della programmazione regionale; l’Assemblea può introdurre emendamenti al bilancio nel rispetto degli equilibri economico-finanziari stabiliti dall’ordinamento contabile regionale.
(6) Nelle risposte al questionario, la Regione Abruzzo segnala che la finanziaria per il 2006, “discontandosi dalla prassi consolidata anche a livello di Parlamento Nazionale di proporre le cosiddette finanziarie omnibus, ha un contenuto opportunamente limitato a previsioni di carattere meramente tecnico finanziario. Infatti, la proposta normativa è finalizzata esclusivamente a dettare norme di carattere finanziario e gius-contabile incidenti sull’assetto economico finanziario della Regione Abruzzo per l’esercizio relativo al bilancio di previsione per l’anno 2006 e al bilancio pluriennale per gli anni 2006- 2008”.
(7) Come sottolineato dalla Provincia nel questionario, la maggiore complessità della finanziaria 2006, rispetto a quella dell’anno precedente, è da mettere in relazione ad un “disegno sulla concentrazione dei provvedimenti disomogenei e sulla loro formulazione in termini di modificazione di leggi in vigore (…). Rispetto a qualche anno fa, in sostanza, ci sono meno leggi strutturalmente disomogenee: non ci sono più le leggi collegate e, negli ultimi due anni, neppure le finanziarie relative all'assestamento di bilancio (…). Inoltre gli stessi interventi di manutenzione, in genere, sono quantitativamente e qualitativamente più ridotti: in passato alcuni articoli incidevano in maniera spesso estesa o profonda sulle leggi in vigore; cosa che non vale per le ultime leggi finanziarie. Questo deriva specialmente da una ritrovata produttività dell'Assemblea, legata a una certa stabilizzazione del quadro politico, al nuovo sistema elettorale e alla riforma del regolamento interno, che ha introdotto metodi di programmazione”.
(8) Ad esempio la finanziaria della Valle d’Aosta, come segnalato dalla Regione nella sintesi del provvedimento allegata al questionario, dispone limitazioni per la copertura dei posti vacanti sia per il personale regionale sia per il personale dell’Azienda U.S.L., a cui si aggiungono, per l’amministrazione regionale, la limitazione per la sostituzione delle assenze del personale e la riduzione della percentuale da destinare al tempo parziale nell’ambito della dotazione organica (artt. 6 e 7).
(9) Ad esempio la finanziaria del Lazio, come segnalato dalla Regione nella sintesi del provvedimento allegata al questionari, dispone misure per il risanamento del deficit delle aziende sanitarie (art. 129) e per la copertura del disavanzo del servizio sanitario regionale (art. 130); istituisce una cabina di regia preposta a monitorare i costi di produzione del sistema sanitario regionale (art. 131); modifica la normativa regionale relativa alla procedura di nomina degli organi di vertice delle aziende sanitarie, al fine di garantirne la conformità alle statuizioni di cui all’art. 55 dello Statuto (art. 133).
(10) Il fondo è istituito con il comma 4 dell’art. 1 della legge finanziaria. Al comma 5 si precisa che il fondo “è finalizzato al finanziamento delle leggi di spesa, escluse le spese di natura obbligatoria, le spese in annualità e a pagamento differito, il cui ammontare, sulla base della verifica costante in corso d’anno dell’andamento della spesa stessa, non compromette il mantenimento dei limiti posti dagli obiettivi di finanza pubblica di cui al comma 4”.
(11) Il totale dei trasferimenti agli enti locali risulta pari, in base al provvedimento in esame, a 395,6 milioni. Per dare un’idea della rilevanza di tale assegnazione si può osservare che essa rappresenta circa il 16% del totale delle entrate 2005 della Regione derivanti da compartecipazioni a tributi erariali, pari a circa 2,4 miliardi (cfr. ISSiRFA, Osservatorio finanziario regionale n. 28, Franco Angeli, Milano, 2006).
(12) Per il contenimento delle spese rilevano il Comitato tecnico per il monitoraggio degli enti pubblici dipendenti (art. 15) e la Cabina di regia per il monitoraggio del risanamento del deficit delle ASL (art. 131). Con riferimento agli altri settori, vengono invece istituiti: per la sanità, la Consulta regionale permanente per i consultori familiari (art. 127); per il lavoro, il Tavolo interassessorile per le emergenze occupazionali (art. 98) e l’Osservatorio regionale sulla sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro (art. 163); per l’istruzione, l’Osservatorio regionale sulla dispersione e l’abbandono scolastico (art. 167); per l’ambiente, l’Agenzia regionale per le energie intelligenti (art. 36); per la cultura, la Film Commission di Roma e del Lazio (art. 61); per l’edilizia, il Tavolo interistituzionale permanente per l’emergenza abitativa (art. 74).
(13) Allo stato attuale, le Regioni che hanno introdotto il tributo in esame sono, oltre alla Liguria, il Molise e la Campania.
(14) In materia rilevano anche l’art. 11 della l.f. del Molise e l’art. 45 della l.f. del Lazio concernenti, rispettivamente, l’addizionale regionale sul consumo di gas metano e l’imposta regionale sulle emissioni sonore di aeromobili civili.
(15) Come segnalato dalla Regione, anche l’Umbria, con l’art. 1 della l.r. n. 4 del 2006 (collegato alla finanziaria), è intervenuta in materia di Irap esentando le cooperative sociali, limitatamente alle attività istituzionali esercitate, dal pagamento dell’imposta (le minori entrate previste ammontano a circa 250 mila euro). Inoltre gli articoli della l.f. del Piemonte in materia di esenzione Irap per le aziende della filiera avicola (art. 2) e di tasse automobilistiche (art. 3), sono stati impugnati dal governo davanti alla Corte Costituzionale.
(16) Alcuni dei provvedimenti citati dalle Regioni sono stati già oggetto di analisi nel precedente rapporto. Per essi, si rinvia a tale pubblicazione.
(17) Per le leggi finanziarie del 2005 e del 2006, ci si riferisce, in particolare, alle disposizioni contenute, rispettivamente nell’art. 1 commi 38 e 39 e nell’art. 1 comma 148.
(18) La cosiddetta flessibilità locale è una forma di regionalizzazione delle regole del Patto nei confronti degli enti locali. Per un’analisi al riguardo si veda M. Barbero, “Un patto di stabilità interno su scala regionale? L’esperienza delle Regioni a statuto speciale (e delle Province Autonome)”, in Federalismi.it n. 12, 2004.
(19) Il testo della risposta è il seguente: “con lettera dell’assessore provinciale alle finanze e al bilancio dd. 23.3.2005 la Provincia autonoma ha formulato la proposta d’intesa; con lettera del Ministero dell’Economia e delle Finanze (Ispettorato generale per la Finanza delle pubbliche amministrazioni) del 4.4.2005 la proposta è stata accettata; infatti è stato dichiarato di condividere gli obiettivi proposti dalla Provincia in quanto in linea con il tetto di spesa stabilito nella legge finanziaria 2005, ai sensi dell’articolo 1, comma 38, della legge 30 dicembre 2004, n. 311. Gli obiettivi relativamente agli impegni e pagamenti (correnti e in conto capitale) rilevanti ai fini del patto di stabilità sono stati così riassunti: rispetto all’anno 2004 un incremento degli impegni e dei pagamenti rispettivamente del 7,04 per cento e del 8,77 per cento; rispetto all’anno 2003 un incremento degli impegni del 4,8 per cento e un incremento dei pagamenti del 0,74 per cento”.
(20) Il Friuli Venezia Giulia, tuttavia, cita in proposito una delibera della Giunta (n. 793 del 2005).
(21) Anche l’art. 1 comma 9 della finanziaria 2006 della Sardegna detta disposizioni sul patto di stabilità per gli enti locali, precisando le modalità di applicazione, nel territorio regionale, del comma 143 della finanziaria 2006 dello Stato, relativo alle spese di investimento.
(22) A titolo di esempio si riportano i commi 1 e 2 dell’art. 8 della l.f. 2006 della Valle d’Aosta:
1. Gli enti locali concorrono con la Regione e con lo Stato, nel rispetto del principio di leale collaborazione, ad assicurare il perseguimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica complessiva in relazione ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.
2. Per il perseguimento delle finalità di cui al comma 1, la Giunta regionale e il Consiglio permanente degli enti locali sottoscrivono, con le modalità dell’intesa di cui all’articolo 67 della legge regionale 7 dicembre 1998, n. 54 (Sistema delle autonomie in Valle d’Aosta), un accordo per il raggiungimento e il rispetto dei vincoli, degli obblighi e degli obiettivi previsti dal patto di stabilità per il riequilibrio della finanza pubblica.
(23) In particolare, all’art. 15 comma 2 si menzionano le seguenti: a) il divieto di assunzione di personale con contratti di lavoro a tempo indeterminato, per la copertura dei posti resi liberi a seguito di cessazione dal servizio per pensionamento; fermo restando l’obiettivo complessivo di contenimento delle spese, l’accordo previsto dall’articolo 81 dello Statuto speciale disciplina le modalità di attuazione del divieto di assunzione anche mediante misure compensative e tenendo conto delle specifiche situazioni organizzative che caratterizzano gli enti di minori dimensioni e delle politiche di settore attivate a livello provinciale; b) le misure per l’effettivo coordinamento della provvista di credito degli enti locali, assicurando il contenimento dei costi relativi dell’indebitamento; c) le misure volte al contenimento delle spese correnti diverse da quelle per il personale, con particolare riferimento all’acquisto di beni e di servizi e ai contratti d’opera intellettuale; d) le iniziative finalizzate alla valorizzazione del patrimonio degli enti locali.
(24) La circolare citata e altri documenti in materia sono reperibili, come segnalato dalla provincia, all’indirizzo internet http://www.autonomielocali.provincia.tn.it .
(25) In particolare la Giunta potrà operare, a partire dall’esercizio 2006, nei seguenti settori: 1) spese di personale; 2. spese relative alle consulenze e agli incarichi esterni; 3. spese derivanti dall’assunzione di mutui e prestiti, 4. interventi in materia di finanza locale.




8. FORMAZIONE E ATTUAZIONE DELLE POLITICHE DELL’UNIONE EUROPEA (Vincenzo Santantonio)

8.1 Premessa. Un nuovo quadro normativo

La VIII legislatura regionale prende avvio nel giugno 2005 all’interno di un quadro normativo nuovo che, dopo le più recenti riforme intervenute sul piano costituzionale, attraverso i conseguenti sviluppi giurisprudenziali e legislativi è andato assumendo contorni più ampi e definiti.
Questo percorso, come è noto, è segnato appunto, per un verso, da importanti tappe conseguite a livelli diversi da quello regionale. Si tratta soprattutto delle scelte operate da parte dello Stato centrale, talora, come nella “prima” riforma del Titolo V, parte II, della Costituzione, col pieno coinvolgimento e l’appoggio, “esterno” ma unanime e rilevante, delle Regioni. Quelle scelte relative alla forma di stato, anche se non sempre hanno poi potuto trovare linee di svolgimento coerenti nella legislazione e nell’azione di governo, mantengono però il proprio segno, che va nella direzione di un ampliamento e rafforzamento della rete delle autonomie regionali e locali, quantomeno in termini di ambiti materiali e, al loro interno, di competenze attribuite. Inoltre, si tratta dei contributi decisivi, certo ben diversi ma convergenti verso la stabilizzazione del nuovo modello di regionalismo, sia provenienti da parte della Corte costituzionale, che si è dedicata ad una indispensabile, vasta e capillare opera di chiarificazione e armonico innesto del nuovo tronco normativo sull’ordinamento preesistente, sia provenienti dalla consultazione referendaria ai sensi dell’art. 138 Cost., che non ha confermato la “riforma della riforma” elaborata e approvata nella scorsa XIV legislatura e, quindi, ha mantenuto in vigore il testo del Titolo V Cost. come novellato dalla “prima riforma” del 2001.
Per altro verso, il percorso di ridefinizione dello Stato regionale viene ad essere segnato anche da tappe affidate proprio al livello regionale. Si tratta, ad esempio, dell’esercizio della potestà statutaria e, insieme, di tutta l’attività, legislativa e non, spettante alle stesse Regioni ed altrettanto decisiva per sviluppare il modello attraverso l’apporto di contenuti specifici.
Rispetto a questo quadro generale, il tema particolare della formazione ed attuazione delle politiche europee da parte delle Regioni non fa eccezione. Si confermano perciò gli elementi di novità e l’orizzonte (almeno potenzialmente) più vasto che si apre all’iniziativa regionale.
Basti ricordare l’inserimento nel tessuto costituzionale del nuovo Titolo V, da parte della Legge cost. n. 3 del 2001, di alcuni elementi qualificanti: sia la potestà legislativa concorrente nella materia dei rapporti delle Regioni con l’Unione europea (art. 117, 3° comma), in un contesto in cui legge statale e legge regionale sono collocate su un piano di parità quanto al rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario (art. 117, 1° comma), sia poi la partecipazione delle Regioni alla formazione degli atti normativi comunitari, che opportunamente completa e coadiuva il loro pieno ruolo di attuazione ed esecuzione degli atti dell’Unione europea (art.117, 5° comma), dei quali esse sono largamente destinatarie a seguito dell’ampliamento delle materie di loro competenza, ormai anche primaria (art. 117, 4° comma).
Sul piano della legislazione ordinaria sono invece da richiamare i provvedimenti attraverso cui lo Stato ha inteso dare svolgimento al nuovo assetto così delineato: principalmente la legge n.131 del 2003, che, proprio a questo fine, reca una prima disciplina procedurale per la partecipazione regionale alla fase ascendente, dando seguito (parziale) al rinvio operato proprio dal 5° comma dell’art. 117, e la recentissima legge n. 11 del 2005, che (sostituendosi alla legge n. 86 del 1989, c.d. “La Pergola”, abrogata) raccoglie molto più ampiamente quel rinvio costituzionale regolando in modo specifico la partecipazione al processo normativo dell’Unione europea e le procedure di esecuzione degli obblighi comunitari.
Ora resta da vedere come le Regioni abbiano interpretato tale nuovo quadro e quanto abbiano avviato a realizzazione, tra vecchi e nuovi adempimenti, in questo primo scorcio di legislatura, rispetto ad alcuni punti rilevanti. Si tratta, in base alla documentazione resa disponibile, di analizzare in quale relazione si pongano (più o meno consequenziale, omogenea, innovativa) nei confronti dello schema predisposto dalle fonti statali, in modo da verificare, ove possibile, se e in che misura l’insieme delle normative, pur nella sua articolazione policentrica, riesca complessivamente a “fare sistema” e, così, ad assicurare all’azione, differenziata e unitaria, la necessaria efficacia.

8.2 Statuti ed Unione europea

La definizione dei tratti di questo nuovo quadro non proviene dunque tutta dall’alto. Se certo è decisiva l’apertura fatta dalla Carta fondamentale all’ingresso delle Regioni in spazi che a lungo erano stati riservati alla competenza dello Stato centrale, altrettanto essenziale è l’opera di completa attuazione che risulta spettante (non solo alla legge statale, ma anche) al legislatore regionale.
In primo luogo il legislatore statutario. A questo livello primario vanno infatti operate le scelte “basiche” che, tenendo conto delle specificità proprie di ciascun territorio, modellano le singole “forme di Regione” e “forme di governo” che valgono a caratterizzare, all’interno, ciascun sistema istituzionale regionale (1).
In particolare, appare chiara nei nuovi Statuti l’attenzione nei confronti della tematica europea. Ciò si traduce, pressoché in tutti i testi, dapprima in formulazioni collocate nella partizione iniziale dedicata ai princìpi fondamentali, le quali, pur nella varietà del tenore lessicale, affermano in via generale la proiezione della Regione nella dimensione europea, anche attraverso una generale “clausola europea”, e dichiarano di recepire princìpi e valori che sono patrimonio dell’identità comunitaria, favorendone il transito in ciascun ordinamento interno (2).
Non mancano norme che sottolineano la partecipazione della Regione, con propri rappresentanti, ad organismi dell’Unione europea (3), o aprono alla realizzazione di forme di collegamento con organi dell’Ue per un migliore esercizio delle proprie funzioni (4); o, ancora, favoriscono la partecipazione ad associazioni tra enti regionali (5) e il collegamento con altre Regioni europee (6); oppure richiamano la partecipazione a programmi e progetti promossi dall’Unione europea (7).
Esistono poi, e sono generalmente diffuse, norme più specifiche che confermano e valorizzano la previsione costituzionale, di cui all’art. 117, 5° comma, posta a garanzia di un ruolo regionale rilevante in ordine alla normativa comunitaria. Pertanto operano un richiamo più o meno esteso tanto al diritto di partecipare alle decisioni volte alla formazione della normativa comunitaria (8) quanto alla competenza a provvedere all’attuazione e all’esecuzione degli atti dell’Unione europea(9). Tra gli strumenti attuativi, una legge comunitaria regionale risulta espressamente prevista dagli Statuti di Lazio e Piemonte; ma riferimenti all’atto-legge sono presenti in Emilia-Romagna, sicuri e ampi, ed in Umbria, Marche e Calabria, mentre viene richiamato il ruolo del Consiglio in Liguria ed, ampiamente, in Toscana; non contengono invece indicazioni in merito gli Statuti della Puglia e dell’Abruzzo (10).
Al riguardo va osservato peraltro che le due fasi del processo comunitario, quella c.d. ascendente e quella c.d. discendente, negli Statuti sono bensì individuate in modo distinto, ma quasi mai trovano (soprattutto la prima) uno sviluppo adeguato. E’ vero, in proposito, che per lungo tempo la presenza regionale era stata prima negata e poi circoscritta alla sola fase attuativa, con l’esclusione quindi di ogni coinvolgimento nel momento della formazione della posizione nazionale in sede comunitaria. Ma, dopo la riforma costituzionale del 2001, l’evoluzione del dato normativo di fonte statale qui è stata abbastanza rapida, attraverso la legge n. 131 del 2003, art. 5, che ha previsto la partecipazione regionale, nell’ambito delle delegazioni del governo, alle attività del Consiglio, dei gruppi di lavoro e dei comitati, rinviando a sua volta (forse diversamente da quanto richiesto dall’art. 117, 5° co., Cost), per le puntuali modalità di composizione delle delegazioni, ad un Accordo generale di cooperazione da realizzarsi in sede di Conferenza Stato-Regioni (ora sancito, nella seduta del 16 marzo 2006, secondo il Dlgs n. 281 del 1997); e poi attraverso la legge n. 11 del 2005, che, per una più ordinata disciplina, scandisce le tappe delle due fasi, ascendente e discendente, facendone un proprio connotato strutturale, sul quale innestare i contenuti.
Dunque, se questo è il complesso normativo di riferimento (nella sua architettura essenziale, integrata, naturalmente, con varie altre disposizioni), le Regioni potrebbero creare forme e schemi organizzativi corrispondenti e funzionali rispetto ad esso, dare la necessaria evidenza alle due fasi e introdurre una disciplina più dettagliata. Tutto ciò a cominciare dagli Statuti, sede d’elezione per tracciare percorsi organizzativi, assegnare funzioni, coordinare centri decisionali, anche fissando aspetti essenziali e demandando poi chiaramente le ulteriori determinazioni ad altre fonti idonee. Invece non tutti i nove Statuti già in vigore hanno seguito questo impianto normativo (scontato lo scarto temporale rispetto alla fonte statale), né hanno introdotto procedure corrispondenti in base alle quali impostare il lavoro in materia, tra Consiglio e Giunta, e collegarlo a quello condotto parallelamente dallo Stato. Sono rari i casi di maggiore attenzione a questi profili. La fase ascendente è comunque quella più trascurata, presentando un sostegno normativo spesso carente.
Sono temi di primo piano, che si pongono con urgenza all’attenzione: integrazioni delle singole discipline nelle parti carenti sono certo possibili, sebbene con un diverso livello di garanzia, tramite altre fonti regionali come la legge di procedura o il regolamento interno del Consiglio, cui alcune Regioni hanno inteso fare rinvio, anche se non sempre esplicito.
E’ peraltro auspicabile che gli Statuti ancora in corso d’elaborazione (tra cui spiccano quelli di Campania, Lombardia, Veneto) tengano conto del quadro di riferimento che frattanto si va consolidando, oggi meno frammentario e disorganico, e provvedano ad attivare forme di più diretta sintonia con le procedure introdotte a livello nazionale, per un’azione efficace e un ruolo maggiormente incisivo.

8.3 Le leggi sulle procedure di partecipazione alla formazione del diritto comunitario

A valle degli Statuti, e anche indipendentemente da loro specifiche previsioni, in questa materia i Consigli regionali dispongono in primo luogo dello strumento legislativo.
Le Regioni in parte hanno mostrato di utilizzarlo, allo scopo di definire al proprio interno i criteri e le regole generali di procedura in ordine ai due aspetti distinti della formazione e dell’attuazione del diritto comunitario. Però questo non è certo un dato diffuso uniformemente e spesso è ancora evidente una limitata attenzione all’esigenza di provvedere.
Sul punto, alcune, come la Toscana, la Liguria, il Veneto, presentano una tradizione legislativa più che decennale (11), avviata con varia intensità negli spazi allora consentiti, ed i relativi testi, con le loro “vecchie” e marginali modificazioni, sono tuttora in vigore, anche se ormai chiaramente destinati ad una più profonda revisione. Altre, la maggioranza, mostrano di non aver legiferato sul duplice profilo di questa particolare procedura.
Oggi il percorso di attuazione della riforma costituzionale, che ha portato alla legge n. 11 del 2005, pone alle Regioni un nuovo parametro di riferimento. Devono infatti misurarsi con una disciplina che: si propone di regolare in modo organico il processo di formazione della posizione italiana nella fase di predisposizione degli atti comunitari (oltre alla fase “discendente”, di cui si dirà); muove da una nozione ampia di “processo”, che coinvolge Governo, Parlamento, Regioni, ma pure gli enti locali, le parti sociali e le categorie produttive; richiama i principi di sussidiarietà, proporzionalità, efficienza, trasparenza, partecipazione democratica. Le Regioni sono dunque inserite in un iter procedimentale che, come tutti i moduli di ispirazione federale (sebbene, qui, con un bilanciamento dei poteri in gioco non paragonabile), è articolato e complesso. E’ questo un “costo”, collegato certo con la nostra attuale forma di Stato, che però può rendersi sostenibile se il principio cooperativo produce risultati positivi; ciò che implica un qualche avvicinamento sinergico tra le “sotto-fasi” procedurali interne alla struttura di ciascun soggetto coinvolto, in vista di un obbiettivo comune.
Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia per prime hanno mostrato di predisporsi in questa direzione, approvando sollecitamente una apposita disciplina legislativa (che contestualmente si occupa anche della fase discendente) (12). Quanto alla tempestività, anzi, merita sottolineare che queste leggi si sono mosse quasi in contemporanea con la parallela elaborazione della legge statale n. 11, e forse tenendo conto degli orientamenti che anche lì già apparivano maturi, ma sono state completate e votate circa un anno prima. Segno che conferma un carattere anticipatore, di avanguardia e sperimentazione, non di rado presente nella legislazione regionale.
Sul piano sostanziale, entrambe le leggi individuano il centro propulsivo e di riferimento in ordine alla partecipazione regionale nella figura del Presidente della Giunta. Questi “assicura e promuove” il concorso della Regione alla formazione del diritto comunitario e prende parte alle delegazioni del Governo che agiscono in varie sedi. L’Emilia-Romagna tempera tale ruolo presidenziale ponendo un dovere di attenersi al quadro di indirizzi stabiliti dal Consiglio e di riferire delle iniziative e dei compiti svolti (secondo una linea già presente, e forse più netta, nella legge vigente in Toscana).
In tal modo si utilizza uno spazio che la legge n. 11 ha inteso aprire in tema di forma di governo regionale, laddove valorizza il ruolo del Consiglio inserendolo, al pari della Giunta ed in perfetto parallelo, attraverso il duplice sistema di conferenze (la Conferenza dei presidenti e la Conferenza dei presidenti dei Consigli), nel circuito di informazioni che collega biunivocamente Governo centrale e Regioni.
Oltre questa indicazione qualificante, volta a realizzare anche così i principi di trasparenza e di partecipazione democratica assunti come basilari (art. 1), il legislatore statale, tuttavia, non ha ritenuto di spingersi e, ad esempio, ha lasciato che i criteri per individuare i rappresentanti regionali da convocare ai tavoli di coordinamento nazionali siano stabiliti in sede di Conferenza dei presidenti delle Regioni (art. 5, 7° co.). Ma ci si potrebbe chiedere, con una piccola incursione ancora più in profondità, se non vi sia una differenza tra lo stabilire (in astratto) i “criteri” per individuare i rappresentanti ed il distinto momento della scelta (in concreto) delle persone; e se qui possa inserirsi il Consiglio, o una sua commissione; ad esempio per predisporre una “rosa”, visto che ora la Conferenza permanente (con l’Accordo del 16 marzo 2006) ha previsto che le Regioni individuino “un elenco di esperti” per le delegazioni a livello europeo ed effettuino le nomine; e, anche qui, resta da vedere chi, per ciascuna Regione, provvederà a individuare l’elenco ed a nominare; oppure, ancora, se le corsie parallele Giunta/Consiglio debbano davvero non avere punti di incrocio e scambio (in quanto non previsti dall’art. 5) o questi invece possano crearsi, all’interno di quegli ordinamenti ove persiste una tradizione di legame tra legislativo ed esecutivo, per evidenziare una posizione unitaria di tutta la Regione. Sono tutti punti specifici appena emersi, ancora in attesa di scelte regionali, cui dunque è prematuro dedicare un esame adesso, che però non trovano una risposta diretta nella legislazione qui richiamata, e sui quali può ancora dosarsi sottilmente il rapporto tra Giunta e Consiglio.
Ma resta comunque il dato principale, secondo cui la maggior parte di questa materia, soprattutto nella fase ascendente, vede un ampio spazio per l’azione della Giunta ed una larga preminenza, anche nei fatti, del Presidente. A seguito delle riforme costituzionali, è questo dei rapporti con l’Unione europea, insieme a quello delle attività di rilievo internazionale, uno dei settori ove le nuove prerogative presidenziali hanno forse avuto un’espansione qualitativamente maggiore. Ciò, probabilmente, anche a seguito di una corrispondente disciplina regionale, e di una sensibilità ed adeguatezza consiliare, da tempo deboli in molti casi. Talora attivismo e regole (statutarie, legislative, regolamentari) sembrano inversamente proporzionali.
Ora tutte le Regioni si trovano di fronte all’impegno di tener conto rapidamente del nuovo quadro normativo e solo poche appaiono pronte. La carenza, se non l’assenza, di presidi statutari adeguati e di un itinerario procedurale definito possono esserne un segno. Spetta dunque al legislatore regionale (statutario e “ordinario”) il compito di attivarsi, trovando soluzioni che contemperino e mettano a frutto l’essenziale componente di indirizzo, che fa capo al Presidente e alla Giunta, e le istanze di rappresentanza generale, di cui oggi è portatore solo il Consiglio.

8.4 Le leggi sulle procedure di attuazione del diritto comunitario

Un andamento pressoché analogo è riscontrabile nella legislazione regionale in tema di definizione delle procedure di attuazione del diritto comunitario.
Anche qui alcune Regioni mostrano di aver iniziato a dotarsi da tempo di strumenti normativi. Del resto la loro competenza ad attuare questa materia non è una novità. Possono essere ancora ricordate, pur nella loro diversa consistenza, talvolta particolarmente scarna, le leggi di Liguria e Toscana, del Veneto, nonché le previsioni più risalenti e meramente attributive di competenza attuativa introdotte per le Province di Trento e Bolzano; tutte richiamate nei dati forniti in risposta dalle Regioni ed indicate come ancora vigenti, anche qui naturalmente ove compatibili e applicabili e finché non sottoposte a revisione (avuto riguardo, cioè, sia del nuovo contesto costituzionale e legislativo statale, sia dell’eventuale diverso assetto interno introdotto dal nuovo Statuto) (13).
Ad esse si aggiungono le leggi di Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia, del 2004, già citate per la loro parte relativa alla fase ascendente (14). Non risultano, invece, normative regionali approvate nel corso dell’anno di riferimento 2005. Infatti, il disegno di legge approvato dalla Giunta nel novembre 2005 è stato approvato dal Consiglio nel marzo 2006 (15). Va infine segnalata, anche se successiva all’ambito di riferimento del presente rapporto, la recente legge della Regione Marche 2 ottobre 2006, n. 14, recante disposizioni sulla partecipazione della Regione Marche al processo normativo comunitario e sulle procedure relative all’attuazione delle politiche comunitarie.
La legge n. 6 del 2004 dell’Emilia-Romagna va considerata tenendo conto dello Statuto, probabilmente il più ampio sul punto, che indica la tipologia delle forme di attuazione ed esecuzione degli atti dell’Unione europea stabilendo che la Regione da un lato, in generale, provvede con legge, o con regolamenti di Giunta basati sulla legge, o, dove non si richieda una preventiva regolazione della materia, con atti dell’Assemblea o della Giunta, secondo le rispettive competenze e la disciplina statutaria per leggi e regolamenti; dall’altro, determina con legge il periodico recepimento degli atti normativi comunitari (16). E’ la legge n. 6 a contenere espressamente la scelta in favore dello strumento legge comunitaria, precisandone alcuni aspetti procedurali ed il contenuto (17).
La legge n. 10 del 2004 del Friuli Venezia Giulia prevede anch’essa la legge regionale comunitaria come lo strumento principale attorno al quale organizzare il processo di adeguamento all’ordinamento originato dalle istituzioni europee (18). Ma, insieme, non esclude la possibilità che la Giunta venga autorizzata a dare attuazione mediante regolamenti di esecuzione e attuazione, o anche regolamenti di delegificazione nelle materie non coperte da riserva assoluta di legge (previo parere vincolante della Commissione consiliare), o che deliberi d’iniziativa l’attuazione di norme tecniche in via amministrativa (19). In analoga direzione la legge dell’Emilia-Romagna, che sembra acconsentire più ampiamente a che la Giunta sia autorizzata ad attuare in via amministrativa (in relazione ad atti individuati e nel rispetto di criteri e princìpi direttivi) (20).
In questi casi il legislatore regionale ha preso atto che ormai la Regione è pienamente inserita all’interno dei flussi normativi sovranazionali di cui, a valle della fase ascendente, è diretta destinataria, stante la propria vasta competenza materiale. Quindi, cadute ormai molte delle preclusioni a livello centrale, è chiara e urgente l’esigenza di realizzare su basi nuove un efficace processo nazionale di costruzione e attuazione dell’ordinamento comunitario. Le Regioni sono chiamate a partecipare al complesso iter procedurale, molto cadenzato nei passaggi e nei tempi, creato dalla legge statale n. 11 del 2005 a seguito della riforma costituzionale, e perciò devono attrezzarsi al proprio interno: le Giunte, che anche in questa fase mostrano un ruolo centrale, ed i Consigli, per le funzioni più direttamente legislative e per lo specifico rapporto con l’esecutivo secondo le modalità proprie di ciascuna forma di governo.
Di qui l’importanza di alcuni profili, cui le leggi regionali prestano, o dovranno prestare, attenzione (con l’apporto dei regolamenti interni).
Tra essi, in primo luogo, le modalità di adeguamento all’ordinamento comunitario. Si è già accennato a questo e alla confermata tendenza, già avviata dal quadro normativo precedente, allo scivolamento verso il basso e alla diversificazione tipologica degli atti regionali di adeguamento. Può osservarsi, in generale, che una eccessiva varietà di forme può recare un effetto di “dispersione” e di incertezza sulla natura dell’atto, contrastante in definitiva con i princìpi di buona legislazione. Ciò naturalmente può non destare problemi in Regioni che hanno creato validi sistemi di monitoraggio e trasparenza dell’attività dell’esecutivo (come sembra in Emilia-Romagna), ma può comunque aver motivato la Toscana a chiudere il numero delle fonti normative in misura netta (solo Statuto, legge, regolamento, ex art. 39 Statuto). Inoltre, con riferimento alla dinamica interna propria della forma di governo, le leggi prevedono varie occasioni e modalità attraverso cui la Giunta riferisce al Consiglio sulla propria attività in materia comunitaria. Si tratta di meccanismi opportuni e potenzialmente di grande rilievo, purché realmente vitali e collegati con processi sostanziali di cui l’assemblea sia partecipe, altrimenti si riducono alle forme rituali della mera presa d’atto (come sembra potersi dedurre dalla deliberazione del Consiglio del Veneto n. 76 del 23 dicembre 2005), riconducibili ai noti, frequenti, difficili rapporti tra Giunta e Consiglio e tra maggioranza e opposizione.
Un secondo punto di attenzione riguarda la sintonia con le sequenze predisposte al centro in sede unitaria e guidate dal Governo. Ad esempio i doveri di informazione tempestiva tramite il sistema delle Conferenze; analogamente, le osservazioni indirizzate al Governo nelle tappe iniziali ed i pareri in quelle finali; la verifica dello stato di conformità degli ordinamenti interni rispetto agli atti comunitari; la preparazione degli elenchi degli atti normativi attuativi delle direttive; tutto ciò tempestivamente, per consentire al governo la predisposizione annuale del disegno di legge comunitaria e della relativa relazione, ricca di dati, da presentare al Parlamento.
E’ comprensibile che un iter così strutturato possa esercitare una forza attrattiva sulle Regioni che lo percorrono, portandole a programmarsi già in modo funzionale alla legge comunitaria e ad organizzarsi attorno ai suoi tempi ed alle sue procedure: consolidatisi settori, apparati, e i modi stessi di produrre atti o di trattare documentazione, da qui ad una legge regionale comunitaria il passo è breve, quasi l’evoluzione naturale dell’esperienza maturata.
Purché questo modulo stato-regionale funzioni pienamente: nella discussione che concludeva presso la Camera l’esame dell’ultimo disegno di legge comunitaria, poi approvato nel gennaio 2006, il relatore ha osservato che il testo non rispondeva del tutto a quanto previsto dalla legge n. 11 del 2005, poiché non recava alcuni dei contenuti ivi richiesti, quali l’indicazione dei princìpi fondamentali che le Regioni devono rispettare quando danno attuazione nelle materie di potestà concorrente, la delega al governo per introdurre nelle materie regionali le sanzioni penali per violazioni delle norme comunitarie recepite, le norme con cui esercitare il potere sostitutivo in materia comunitaria (21).
E purché siano evitati i noti i rischi mostrati dal “modello” della legge comunitaria, e confermati dal Ministro per le politiche comunitarie nella stessa seduta: un crescente e abnorme ampliamento delle dimensioni della legge, conseguente alla continua attività di contestazione di infrazioni da parte comunitaria che si somma all’emanazione di nuove direttive, accavallandosi e impedendo di mantenere il passo attraverso uno strumento annuale (22).
In ogni caso, va rilevata l’attuale sfasatura, dal momento che, da un lato, oggi poche Regioni appaiono tendenzialmente adeguate al modello, mentre, dall’altro, lo schema le coinvolge necessariamente tutte per il raggiungimento del quadro unitario.

8.5. Le leggi comunitarie regionali

Quando poi, sul piano dell’effettività, si passa a considerare le leggi regionali comunitarie concretamente approvate, si vede che nel corso dell’anno 2005 è dato riscontrarne solo una.
Difficile dire se questa assenza vada collegata alla circostanza che tutte le Regioni ordinarie hanno dovuto affrontare, a metà anno, il cambio di legislatura, con i connessi impegni che di consueto occupano i tempi politici tra la fine della vecchia e l’avvio della nuova. O se ciò dipenda anche dalla opzione – che del resto in alcuni casi trova conferma nella mancanza di adeguata normativa sulle procedure – di non avvalersi, almeno fintantoché è possibile, di questo strumento ritenuto più complesso; e di fare ricorso, invece, a forme ordinarie, più agili e meno programmate, quali provvedimenti singoli o grappoli di provvedimenti per settore (è infatti questa la via che sembra prescelta ancora dalla maggior parte delle Regioni).
Sta di fatto che l’unica legge approvata nel periodo considerato è di una Regione a statuto speciale, il Friuli Venezia Giulia (23). La Lr n. 11 del 2005 rappresenta la prima applicazione del modello introdotto dalla legge regionale sulle procedure, sopra citata, alle cui indicazioni si attiene.
Così è, ad esempio, per i dati formali di riconoscibilità (titolo ed indicazione “legge comunitaria”), il contenuto necessario, la clausola di autorizzazione alla Giunta per l’attuazione anche mediante regolamenti di delegificazione su oggetti definiti, la conseguente determinazione di princìpi e criteri, la clausola di trasmissione della legge e dei regolamenti al Dipartimento della Presidenza del Consiglio per assicurare quell’elemento di “circolarità” su cui intende basarsi il procedimento normativo comunitario.
D’altra parte va osservato che questa legge è stata occasione per apportare modifiche e integrazioni alla “legge madre”, contenute nel capo dedicato alle norme finali. Però, per la verità, (ad uno sguardo sensibile al rispetto dei criteri di buona legislazione) esse non paiono strumentali (è nota la problematica delle “norme sulla normazione” e del loro “valore” di fronte a norme pariordinate e successive), bensì presentano carattere generale e si mostrano orientate per il futuro ad alleggerire il corpo delle leggi comunitarie (consentendo che siano elencate in allegato, oltre alle direttive attuate in via regolamentare o amministrativa, anche le direttive delle quali si dispone l’attuazione per rinvio) (24) ed a perfezionare le modalità di tempestivo adeguamento (disciplinando il “seguito” dei casi in cui in sede amministrativa sia riconosciuto l’obbligo di disapplicare norme interne contrastanti con la normativa comunitaria) (25).

8.6. Conclusioni

Dunque, all’avvio della nuova legislatura, nel corso del 2005, l’assetto delle Regioni nel settore della formazione e dell’attuazione delle politiche europee risulta particolarmente diversificato. Ad alcune che da tempo ne tengono conto e si sono dotate di una propria disciplina circa la partecipazione ai processi normativi comunitari, se ne affiancano altre che mostrano di non aver dedicato forse altrettanta attenzione al versante comunitario. E ciò in una gamma abbastanza varia di sfumature, che insistono su piani diversi: ad esempio, quello dell’attività di governo, o della legislazione, o della forma di governo, oppure del settore materiale d’intervento, o, ancora, dell’organizzazione.
Contribuiscono al riguardo alcuni caratteri propri di questa “materia”, soprattutto se considerata più per il suo emergente profilo “processuale” che non per i suoi singoli oggetti sostanziali. Caratterizzante è, appunto, almeno rispetto al tradizionale patrimonio di attribuzioni regionali, la sua relativa novità, spesso tradottasi in una qual certa marginalità rispetto al cuore delle funzioni, per cui è più raro riscontrare, all’interno, attività ed apparati consolidati ed adeguati, come invece accade per i settori da sempre più centrali e corposi. Analogamente, presenta caratteri propri la novità data dall’articolato disegno procedimentale, che inserisce in una fitta rete di relazioni intergovernative “tutta” la Regione: non solo la Giunta, ma anche il Consiglio. Infine, va segnalata la peculiarità dovuta ad un effetto di convergenza e coesione interna che, con probabilità, potrà crearsi nel tempo ad opera della procedura stessa. Soprattutto nella fase ascendente, infatti, questa, a differenza di altre che coinvolgono Stato e Regione in una dimensione domestica, mostra connotati specifici: non è bilaterale, stante la presenza dell’interlocutore sovranazionale, ed ha l’obiettivo di pervenire ad una unitaria rappresentazione della posizione italiana. Pertanto, tali connotati potrebbero incidere sulla dinamica dei rapporti stato-regionali e, in prospettiva, modificarla.
Ora all’appuntamento con la messa in opera di questo nuovo quadro normativo, così organicamente attuato dalla legge n. 11 del 2005, le Regioni giungono attrezzate con un corredo normativo alquanto disomogeneo. E con apparati interni spesso deboli, soprattutto dal lato delle assemblee. Di fronte alla funzione trainante delle Giunte, i Consigli devono mettere a punto il proprio ruolo. Quindi, oltre al tema degli Statuti, si rivela delicato quello dei regolamenti interni, in modo da realizzare un bilanciamento, ragionevole e di alto profilo, tra esecutivo e legislativo, maggioranza e opposizione, tutela delle minoranze ed efficienza. Un terreno applicativo di queste tematiche può essere certo quello dei rapporti con l’Unione europea, che costituisce un punto centrale nell’agenda di questa legislatura regionale.

NOTE

(1) Le Regioni che sinora hanno approvato e promulgato i propri Statuti sono: Calabria, Lr 19 ottobre 2004, n. 25; Emilia-Romagna, Lr 31 marzo 2005, n. 13; Lazio, Lr statutaria 11 novembre 2004, n. 1; Liguria, Lr statutaria 3 maggio 2005, n. 1; Marche, Lr statutaria 8 marzo 2005, n. 1; Piemonte, Lr statutaria 4 marzo 2005, n. 1; Puglia, 12 maggio 2005, n. 7; Umbria, Lr 16 aprile 2005, n. 21; Toscana, Statuto 11 febbraio 2005.
(2) Si vedano gli Statuti delle Regioni Calabria (art. 1, 1° e 2° co.); Emilia-Romagna (artt. 1, 1° co., e 11); Lazio (artt. 1, 3, 6, 3° e 8° co., 11, 1°); Liguria (art. 4, 1° co.); Marche (artt. 1, 1° co., e 2, 1° co.); Puglia (art. 9, 1° co.); Piemonte (art. 1, 1° co.); Toscana (artt. 1 e 3, 1° co.); Umbria (art. 1, 4° co.).
(3) V. gli Statuti dell’Abruzzo (art. 4), del Lazio (art. 10, 3° co.) e del Piemonte (art 15, 4° co.).
(4) Cfr. gli Statuti di Calabria (art. 3, 3° co); Lazio (art. 10, 4° co.); Liguria (art. 4, 3° co.); Umbria (art. 25, 3° co.).
(5) V. ad es. lo Statuto del Lazio (art. 10, 3° co.).
(6) Ad es. gli Statuti di Emilia-Romagna (art. 11); Marche (art. 2, 1° co.); Puglia (art. 9, 1° co.).
(7) Cfr. ad es. gli Statuti di Emilia-Romagna (art. 12, 1° co., lett. c)) e Umbria (art. 25, 2° co.).
(8) Così gli Statuti delle Regioni Calabria (art. 3, 2° co.); Emilia-Romagna (art. 12, 1° co., lett. a)); Lazio (art. 10, 4° co.); Liguria (art. 4, 2° co.); Piemonte (art. 15, 1° co.); Puglia (art. 9, 2° co.); Toscana (art. 70, 1° co.); Umbria (art. 25, 1° co.).
(9) Cfr. gli Statuti delle Regioni Calabria (art.3, 2° co.); Emilia-Romagna (art. 12, 1° co., lett. b)); Lazio (art. 10, 4° co.); Liguria (art. 4, 2° co.); Marche (art. 21, 2° co., lett. a)); Piemonte (art. 15, 1° e 3° co); Toscana (art. 70, 1° co.); Umbria (art. 25, 2° co.).
(10) V. ancora gli Statuti di Lazio (art. 11, 2° co.) e Piemonte (art. 42); di Emilia-Romagna (art. 12, 1° co., lett. b)), Umbria (art. 25, 2° co.), Marche (art. 21, 2° co., lett. a)) e Calabria (art. 16, 2° co., lett. f)); di Liguria (art. 16, 3° co., lett. c)) e Toscana (art. 70); l’Abruzzo ha approvato definitivamente il proprio Statuto il 12 settembre 2006.
(11) Cfr. per la Toscana la Lr 16 maggio 1994, n. 37; per la Liguria la Lr 16 agosto 1995, n. 44; per il Veneto la Lr 6 settembre 1996, n. 30.
(12) Per l’Emilia-Romagna la Lr 24 marzo 2004, n. 6 (in particolare gli artt. 2 e 3, perché la materia comunitaria è trattata all’interno di un provvedimento legislativo più ampio, dal titolo “Riforma del sistema amministrativo regionale e locale. Unione europea e relazioni internazionali. Innovazione e semplificazione. Rapporti con l’Università”); per il Friuli Venezia Giulia la Lr 2 aprile 2004, n. 10, che espressamente reca “Disposizioni sulla partecipazione della Regione … ai processi normativi dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”.
(13) Si tratta delle citate leggi regionali 16 maggio 1994, n. 37, della Toscana; 16 agosto 1995, n. 44, della Liguria; 6 settembre 1996, n. 30, del Veneto. Per le Province autonome di Trento e Bolzano il riferimento è al Dpr 19 novembre 1987, n. 526, soprattutto artt. 6 e 7.
(14) Emilia-Romagna Lr 24 marzo 2004, n. 6, e Friuli Venezia Giulia Lr 2 aprile 2004, n. 10.
(15) Deliberazione della Giunta regionale n. 4024 del 26 novembre 2005; v. ora la Lr 16 marzo 2006, n. 8. La stessa Regione, con Deliberazione della Giunta n. 836 del 25 marzo 2005, ha definito nuove procedure per il coordinamento e il monitoraggio dei regimi regionali di aiuto alle imprese.
(16) Statuto dell’Emilia-Romagna, art. 12, lett. b) e d).
(17) Cfr. art. 3.
(18) Cfr. artt. 3 e 4.
(19) In particolare art. 4, 1° co., lett. c) e art. 5.
(20) In particolare art. 3, 2° co., lett. d).
(21) Si veda la seduta conclusiva dell’esame del Ddl comunitaria 2005 presso la Camera dei Deputati, AC 5767-B, 11 gennaio 2006.
(22) V. quanto rilevato, nel corso della medesima seduta, dal Ministro La Malfa. A stretto seguito, l’iter si è concluso con l’approvazione definitiva da parte del Senato nella seduta del 18 gennaio.
(23) Lr 6 maggio 2005, n. 11, “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi della Regione Friuli Venezia Giulia derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità Europee. Attuazione delle direttive 2001/42/CE, 2003/4/CE e 2003/78/CE. (Legge comunitaria 2004)”.
(24) Cfr. art. 18, modificativo dell’art. 4 della Lr 24 marzo 2004, n. 10.
(25) Cfr. art. 19, modificativo dell’art. 8 della Lr 24 marzo 2004, n. 10.

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