Il presente studio,  elaborato dall'Istituto, costituisce la parte II (Tendenze e problemi della legislazione regionale) del 'Rapporto 2007 sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea', realizzato su iniziativa e con il coordinamento dell'Osservatorio sulla legislazione della Camera dei Deputati ed in collaborazione con gli uffici legislativi delle Regioni e delle due Province autonome, .
 

INDICE

INTRODUZIONE (Antonio D'Atena)

1. La competenza legislativa regionale nel 2006 (Carlo Desideri)
 
2. I Regolamenti regionali nel 2006 (Aida Giulia Arabia)
 
 
3. Leggi “ben fatte” e “buone” politiche: esperienze regionali a confronto (Aida Giulia Arabia)
 
 
4. Procedimenti per l’approvazione e l’attuazione degli statuti regionali  (Antonio Ferrara)
 
5. Tendenze nella sanità regionale (George France)
 
6. Tendenze e orientamenti nella legislazione regionale in materia di politiche sociali (Giulia Napolitano)
 
 
7. Le leggi finanziarie regionali per il 2007 (Enrico Buglione)
 
 
8. Formazione e attuazione delle politiche dell’Unione europea (Vincenzo Santantonio)
Note al capitolo


 
INTRODUZIONE
 
A sei anni dalla riforma del titolo V Cost., le dinamiche che si sviluppano in ambito regionale evidenziano delle linee di tendenza piuttosto chiaramente riconoscibili.
La prima è la più scontata: al pluralismo istituzionale del quale le Regioni sono espressione corrisponde il progressivo differenziarsi dei rispettivi ordinamenti.
Il fenomeno si coglie anzitutto sul versante delle istituzioni; ed affonda le sue radici, oltre che negli statuti di cui dieci Regioni si sono dotate, nella normativa chiamata ad attuarli, nonché – può aggiungersi – nelle diverse velocità che ciascuna di esse è stata in grado d’imprimere ai processi di riassetto organizzativo innescati dalla riforma costituzionale e da quella statutaria.
Prescindendo in questa sede dall’esame delle varianti statutarie in ordine alla forma di governo in senso stretto (considerate nei rapporti precedenti), può rilevarsi che quanto appena detto trova conferma nell’assetto degli organi che potrebbero qualificarsi ”di rilievo costituzionale (o statutario)” contemplati dagli statuti: gli organi di garanzia statutaria, i Consigli regionali dell’Economia e del Lavoro (CREL) ed i Consigli delle autonomie locali (CAL). I quali compongono un quadro in cui l’asimmetria è la regola.
Iniziando dagli organi di garanzia statutaria, può rilevarsi che essi, pur previsti da un gran numero di statuti (esattamente da nove statuti su dieci), sono stati attuati in due sole Regioni (Liguria e Piemonte). Ed attuati – com’era da attendersi – con notevoli differenze relativamente a tutte le coordinate rilevanti: l’organizzazione, le funzioni, i procedimenti.
Non molto diverso è il discorso per i Consigli regionali dell’Economia e del Lavoro: anch’essi attuati da due sole Regioni (Liguria e Lazio), ma contemplati da un numero inferiore di statuti (sei su dieci). Anche in questo caso, infatti, le discipline statutarie ed attuative evidenziano forti diversità. Si pensi – ad esempio – all’iniziativa legislativa, attribuita al consesso dallo statuto ligure (che, per questa parte, ricalca il modello nazionale), ma non dallo statuto laziale. 
Un panorama non meno variegato si registra, infine, con riferimento ad organi – a differenza dei precedenti – “necessari”, come i Consigli delle autonomie locali, la cui introduzione è stata imposta dal legislatore costituzionale del 2001. Essi, mentre in alcune Regioni hanno anticipato l’approvazione della norma costituzionale che ne ha reso obbligatoria l’istituzione da parte degli statuti, in altre hanno visto la luce (normativamente parlando) solo grazie a questi ultimi. In tre sole Regioni, tuttavia, sono stati dotati delle norme attuative necessarie a farli decollare. Onde un quadro a forte asimmetria, nel quale convivono CAL vecchi, cui talora il legislatore regionale post-riforma ha attribuito competenze ulteriori rispetto a quelle originarie, e CAL nuovi, sottoposti, peraltro, a regole organizzative e procedurali notevolmente diversificate.
E si potrebbe continuare. È, infatti, sufficiente un’analisi anche sommaria della normativa istituzionale regionale, per rendersi conto della sussistenza di differenze anche profonde in molti altri campi. Valgano, per tutti, gli esempi offerti dalle legislazioni elettorali, dai regolamenti interni dei Consigli delle Regioni che li hanno adeguati alle riforme costituzionali e statutarie, dalle leggi che regolano il rapporto con gli enti locali.
Ma le sole diffenze non sono quelle che attengono agli assetti istituzionali (ed alle rispettive discipline giuridiche). Differenze non meno pronunciate si registrano, infatti, nel campo del diritto regionale “materiale”.
Ciò è dovuto alla circostanza che, in questi anni, coerentemente con il nuovo modello costituzionale, è cresciuto il ruolo legislativo delle Regioni. Con la conseguenza che il federalismo legislativo – l’unico elemento autenticamente “federale” presente nella riforma costituzionale del 2001 – si sta accreditando come uno dei tratti più caratteristici del sistema.
Questo non significa – si badi – un aumento del numero degli atti legislativi regionali; ché anzi, conformemente ad un trend ormai costante (ed in linea con le politiche di semplificazione e riordino da tempo perseguite dalle Regioni), la tendenza è esattamente di segno opposto.
Significa una cosa diversa: che ormai, in non poche materie, il centro di gravità della legislazione si sta spostando a livello substatale. I legislatori regionali, infatti, non intervengono soltanto negli ambiti di loro tradizionale appannaggio, ma anche in campi nuovi, mostrando – tra l’altro – di aver metabolizzato la portata della clausola residuale di cui al IV comma dell’art. 117 Cost. Il che – sia notato di passaggio – fa loro assumere una posizione sempre più centrale, in particolare nel macrosettore dei servizi alla persona e – sia pure in parte – in quelli dello sviluppo economico e del governo del territorio.
È proprio a questa circostanza che si deve la progressiva crescita del rilievo, che, nell’economia del diritto oggettivo nazionale, assumono le discipline regionalmente differenziate.
Gli esempi che potrebbero farsi al riguardo sono innumerevoli. Limitando l’attenzione ad alcuni di quelli considerati nei capitoli che seguono, possono ricordarsi: le soluzioni affermatesi nell’erogazione dei servizi sanitari (si pensi all’assistenza domiciliare), le diversificate iniziative in materia di prevenzione (come gli screenings per la diagnosi precoce di patologie diverse), gli eterogenei approcci mediante i quali le Regioni si confrontano con il tema del contenimento della spesa pubblica, la varietà degli interventi nel settore socio-assistenziale.
Detto questo, deve subito aggiungersi che l’assetto pluralistico su cui ci siamo appena intrattenuti e la conseguente differenziazione delle soluzioni normative ed organizzative adottate dalle Regioni non costituiscono la cifra esclusiva delle dinamiche in atto.
Non possono, infatti, trascurarsi altri tre elementi, i quali completano il quadro, in qualche modo, equilibrandolo.
Il primo è costituito dal coordinamento tra le assemblee legislative. Le quali si attrezzano per affrontare insieme le comuni sfide, cercando di aggiornare il proprio ruolo, per adeguarlo alla nuova forma regionale di governo. Si pensi – ad esempio – al progetto CAPIRe, nel cui ambito ha visto la luce, nel giugno di quest’anno, la Carta di Matera, rivolta a rafforzare, nei Consigli regionali, la capacità di valutare le politiche ed i loro risultati. Ad un’ispirazione corrispondente obbedisce, inoltre, il quasi contemporaneo protocollo d’intesa tra la Conferenza dei Presidenti dei Consigli e i due rami del Parlamento, rivolto a costituire un Comitato per il raccordo e lo scambio di esperienze fra le assemblee legislative sui temi istituzionali di comune interesse, sul ruolo degli organi rappresentativi nei processi decisionali, sullo sviluppo della collaborazione tra le rispettive amministrazioni di supporto, sui metodi della legislazione.
Il secondo elemento è rappresentato dai fenomeni mimetici di cui è intessuta l’evoluzione dell’esperienza regionale più recente. Ad essi si deve – ad esempio – l’importazione di modelli e best practices, per impulso delle Regioni che esercitano un ruolo trainante. Le quali contagiano, con il loro esempio, le altre
Manifestazioni significative del fenomeno possono cogliersi nel settore della sanità. Nel quale, pur nella persistenza di notevoli differenze, si registra un miglioramento complessivo della capacità di “governo” del servizio da parte delle Regioni, in virtù di processi in cui centrale è il momento del “social learning”.
Il terzo, ed ultimo, elemento è costituito dalla cooperazione. La quale – benché ignorata dal legislatore costituzionale del 2001 – si sta sempre più confermando come il fulcro dell’intero sistema dei rapporti tra i diversi livelli territoriali di governo.

Antonio D’Atena
 
 
 
1. LA COMPETENZA LEGISLATIVA REGIONALE NEL 2006 (Carlo Desideri)  (1)

1.1. Il numero e la dimensione delle leggi regionali
 
Le Regioni ordinarie e quelle a statuto speciale hanno emanato nell’anno 2006 complessivamente 632 leggi (2), 492 delle Regioni ordinarie (3).
Rispetto all’anno precedente – nel quale erano state prodotte 599 leggi, 441 delle Regioni ordinarie – può rilevarsi dunque un leggero aumento del numero delle leggi regionali.
Si era visto peraltro come nel 2005 – nel caso delle Regioni ordinarie – ad una abbondante produzione normativa nei tre mesi iniziali dell’anno di fine legislatura aveva fatto seguito, poi, una scarsa produzione nel periodo successivo alle elezioni per il rinnovo delle assemblee regionali, dovuta – si può ritenere – ai tempi politici e tecnici di avvio della nuova legislatura. Nel 2006 – con un incremento delle leggi prodotte dalla Regioni ordinarie (da 441 a 492), ora funzionanti a regime – si torna ad un dato complessivo di 632 leggi, praticamente quasi coincidente con quello del 2003, pari a 623 leggi.
Il confronto tra i dati relativi al numero degli articoli, dei commi e dei caratteri nell’anno 2005 con gli analoghi dati nell’anno 2006 (4) mostra tuttavia che, in termini di dimensioni complessive, la produzione legislativa delle Regioni non è aumentata, ma al contrario ha subito un decremento, sia pure leggero. Infatti, ai 7.809 articoli del 2005 corrispondono i 6.933 del 2006, ai 22.556 commi del 2005 i 21.391 del 2006, ai 8.441.751 caratteri del 2005 i 8.288.618 del 2006.
In realtà, si può ritenere che l’oscillazione verso l’alto del numero delle leggi regionali nel 2006 assuma un carattere relativo. Risulta così confermato, per ora, quanto già rilevato nel precedente Rapporto 2006 in ordine alla presenza di una tendenza ormai pluriennale al decremento delle leggi regionali, verso una dimensione quantitativa della produzione legislativa che comunque sembra stabilizzarsi negli ultimi anni.
In particolare, nel caso delle Regioni ordinarie, si può constatare che in ogni caso le leggi prodotte nel 2006, 492, sono un numero inferiore rispetto a quelle del 2004, 522: il che sembra ulteriormente ridimensionare la crescita di leggi del 2006 rispetto al 2005, mentre mette in luce soprattutto un fenomeno di caduta produttiva nel 2005 dovuto al cambio di legislatura.
Quanto ai fattori che, almeno finora, hanno portato al decremento della produzione legislativa regionale, si è già accennato nel precedente Rapporto alla maggiore attenzione delle Regioni – dopo le riforme del “federalismo amministrativo” e quelle costituzionali – per i processi di riordino e razionalizzazione della legislazione, ma anche al fatto – confermato nell’anno in esame, come si vedrà più avanti - che le Regioni mostrano di legiferare molto poco in alcune delle materie di nuova attribuzione.
Peraltro, sempre nel Rapporto 2006, si segnalava che, se da un lato è evidente la tendenza al riordino della normativa, che appunto sembra spiegare il decremento del numero delle leggi, dall’altro si registra anche il fenomeno del ricorso a leggi di dimensioni molto ampie, utilizzate come “contenitore” di interventi di vario tipo, ma di difficile lettura e comprensione.
Ciò detto in linea generale, appare doveroso sottolineare che i dati disponibili suggeriscono la presenza di processi diversi nelle varie Regioni, la cui valutazione non dovrebbe basarsi solo sul numero delle leggi prodotte, richiedendo invece anche la considerazione della loro dimensione e del loro contenuto. Senza entrare qui nel merito di tale valutazione, va avvertito che – come già segnalato nel Rapporto precedente – i dati sulla dimensione complessiva della produzione legislativa, molto diversi tra le Regioni, risultano variamente combinati con i dati sul numero delle leggi.
A parte il caso – potrebbe dirsi curioso – delle 18 leggi della Calabria che “pesano” in modo quasi eguale alle 18 dell’Umbria (205.796 caratteri per la Calabria e 204.070 per l’Umbria), le situazioni sono molto varie negli altri casi. Per fare qualche esempio – v. la tabella n. 1 - la Toscana è in testa a tutte le Regioni – ordinarie e speciali – per numero di leggi prodotte, 51, ma le sue leggi, con 324.269 caratteri, “pesano” molto meno delle 28 leggi del Lazio, che sviluppano 775.750 caratteri; molti di più anche dei 297.577 caratteri delle leggi del Veneto che, però, come il Lazio, ha prodotto 28 leggi. Il Friuli Venezia Giulia ha 29 leggi, molte meno delle 48 dell’Abruzzo, ma le sue leggi hanno complessivamente 2493609 caratteri contro i 511.374 dell’Abruzzo.

1.2. La tipologia delle leggi
 
L’analisi della tipologia delle leggi conferma i dati del Rapporto 2006 e quanto già registrato nei Rapporti relativi agli anni precedenti (5).
La tabella n. 6, relativa sia alle Regioni ordinarie che a quelle a statuto speciale, mostra una evidente prevalenza delle leggi “settoriali”, 195, seguite da 158 leggi di “manutenzione”, 114 leggi di bilancio, 47 leggi “provvedimento”, 37 leggi “istituzionali”, 15 “intersettoriali”, 1 di “abrogazione”. La produzione legislativa appare così distribuita fra i vari tipi di leggi in modo pressoché analogo a quanto avveniva nel 2005.
Tenendo conto che per leggi settoriali si intendono di massima quelle che disciplinano in maniera completa un settore di attività o comunque una sua parte rilevante, si può ritenere che anche nel 2006 continui ad avere un peso rilevante una produzione legislativa regionale che ha carattere di riordino e di disciplina nuova di materie, settori o subsettori rilevanti.
Il ridotto numero di leggi di tipo “intersettoriale” – 15 nel 2006, di poco cresciute rispetto alle 13 del 2005 - sembra invece confermare l’attenuarsi dell’interesse delle Regioni per questo tipo di strumento legislativo, al quale era stato fatto più ampiamente ricorso dopo le riforme del “federalismo amministrativo” e quella costituzionale del 2001 (6).
Quanto alle leggi di manutenzione, si era già osservato nel Rapporto 2006 che possono essere segno di scarsa capacità di riordino ed innovazione, ma anche di stabilità del quadro normativo, bisognoso casomai solo di fisiologici adeguamenti.
Confrontando i dati del 2006 con quelli del 2005, il rapporto tra leggi di settore e leggi di manutenzione – 195/158 nel 2006 e 206/131 nel 2005 (7) - non sembra comunque subire cambiamenti notevoli, anche se certamente appariva più vantaggioso per le leggi settoriali nel 2005. In compenso nel 2006 vi è stata una lieve flessione delle leggi provvedimento rispetto al 2005: da 53 a 47.

1.3. L'impegno legislativo delle Regioni nei diversi macrosettori e materie
 
L’analisi dei dati relativi alla distribuzione delle leggi regionali tra i macrosettori e le materie (v. tabella 7) evidenzia che, su 567 leggi, i gruppi più numerosi sono quelli delle 128 leggi del macrosettore “finanza regionale” e delle 127 leggi del macrosettore “servizi alla persona e alla comunità”, seguiti dai gruppi delle 107 leggi dello “sviluppo economico e attività produttive”, delle 94 leggi del “territorio, ambiente e infrastrutture” insieme alle 94 del macrosettore “ordinamento istituzionale” e, infine, delle 17 classificate “multisettore” (in genere leggi di semplificazione, di abrogazione, collegati alle finanziarie che riguardano tutti o più macrosettori).
Confrontando questi dati con quelli del 2005 (8), ciò che emerge immediatamente è – così come già notato per la tipologia delle leggi – il permanere di una distribuzione della produzione legislativa tra i vari macrosettori che appare, in sostanza, senza variazioni rilevanti; quasi sia qui operante una sorta di funzionamento fisiologico del sistema regionale nel suo complesso. In due casi, “ordinamento istituzionale” e “finanza regionale”, il numero di leggi prodotte nei due anni è esattamente lo stesso, 94 e 128; in altri due, “sviluppo economico e attività produttive” e “territorio ambiente e infrastrutture”, c’è un lieve aumento, che va da 102 a 107 leggi nel primo caso e da 88 a 94 leggi nel secondo. Diminuisce invece il gruppo delle leggi classificate “multisettore”, che passa da 30 leggi nel 2005 a 17 nel 2006. Si vede così che l’unico caso di aumento della produzione legislativa relativamente significativo che si è avuto dal 2005 al 2006 è quello del macrosettore “servizi alla persona e alla comunità”, che passa da 107 nel 2005 a 127 leggi nel 2006.
I dati per il 2006 confermano dunque quanto già emerso dal precedente Rapporto e da altre analisi sull’andamento delle leggi regionali (9). La Regione si configura fondamentalmente come un soggetto di rilievo nel campo dei servizi e - in parte, come si vedrà tra poco – nel campo dello sviluppo economico.
L’analisi dei dati con riferimento alle materie (v. sempre la tabella 7) consente di mettere in luce in maniera più puntuale alcuni profili significativi dell’attività legislativa regionale.
Per il macrosettore “ordinamento istituzionale” si può constatare che la legislazione si concentra essenzialmente nelle materie del “personale e amministrazione” con 27 leggi, degli “organi della Regione” con 26 e degli “enti locali, decentramento” con 24 leggi. Poche, 4, sono le leggi relative al “rapporti internazionali e con l’Unione Europea”.
Nel macrosettore dello “sviluppo economico e attività produttive” la maggior parte delle leggi regionali riguarda il campo che sinteticamente può definirsi dello sviluppo rurale: le materie della “agricoltura e foreste” e della “caccia, pesca e itticoltura” da sole totalizzano 46 leggi (senza contare le leggi sull’agriturismo e il turismo rurale, classificate nella materia “turismo”), a fronte di 1 legge per l’ “artigianato”, 4 per le “professioni”, 7 per l’ “industria”, 2 per il “sostegno all’innovazione per i settori produttivi”, 6 per la “ricerca, trasporto e produzione di energia”, 2 per le “miniere e risorse geotermiche”. Più numerose risultano, invece, le leggi per il “commercio, fiere e mercati”, 13, anche se inferiori alle 19 del 2005, e quelle nella materia del “turismo”, 16, cresciute rispetto alle 10 del 2005.
Nel macrosettore del “territorio, ambiente e infrastrutture” la maggior parte delle leggi si concentrano nella materia della “protezione della natura e dell’ambiente”, con un aumento relativamente significativo rispetto all’anno precedente: si passa infatti dalle 22 leggi del 2005 alle 37 del 2006, divenute stavolta più numerose delle 25 leggi del “territorio e urbanistica” (29 nel 2005).
Passando al macrosettore dei “servizi alla persona e alla comunità”, si può constatare che l’aumento rispetto al 2005 del numero delle leggi, da 107 a 127, è distribuito - a parte le 7 leggi classificate nella voce “altro” non prevista nel 2005 – tra le varie materie, cosicché non appaiono emergere tendenze diverse o particolari rispetto a quanto rilevato nel Rapporto 2006 sull’importanza – accanto alla materia consolidata della “tutela della salute”, che raccoglie 36 leggi - della materia dei “servizi sociali”, 25 leggi, e di quella dei “beni e attività culturali”, 24 leggi, entrambe in lieve crescita rispetto al 2005.
Infine, non mostra alcun mutamento significativo nella distribuzione delle leggi tra le materie il macrosettore “finanza regionale”.
Le valutazioni che possono trarsi dall’analisi appena svolta non sono dunque diverse da quella svolte nel Rapporto 2006 e in altre ricerche (10), alle quali non resta che rinviare per una considerazione più ampia.
In breve, le Regioni sono soggetti fondamentalmente impegnati in ordine alle condizioni di vita sociale delle comunità ed in ordine allo sviluppo economico, anche se nel caso di questo ultimo macrosettore – almeno per quanto risulta dalla legislazione - appare nettamente predominante il campo dello sviluppo rurale rispetto a quello dell’industria. Quanto al turismo, occorrerà attendere i prossimi anni per capire se l’aumento delle leggi in tale materia avvenuto nel 2006 stia ad indicare una ripresa di interesse da parte delle Regioni dopo le timidezze fin qui dimostrate.
In generale, come già osservato nel Rapporto precedente, si può ritenere che sullo sviluppo di certe competenze inferiore alle attese abbiano pesato anche incertezze ed insufficienze del quadro normativo nazionale, sia per il profilo delle forme di collaborazione tra Stato e Regioni che per il profilo dei confini tra le competenze reciproche. Anche se la Corte costituzionale, come è noto, è impegnata da alcuni anni in un’opera continua di messa a punto in merito alle materie, i dati sulla legislazione regionale sembrano segnalare il permanere di difficoltà, in particolare in alcuni campi di attività (v., più avanti, anche il paragrafo conclusivo).
I dati del 2006, infine, confermano ancora una volta l’impegno legislativo molto scarso delle Regioni in alcune materie come l’energia, la ricerca scientifica, le comunicazioni; fatto questo che sembra confermare – come già notato nel Rapporto 2006 - i dubbi in merito all’opportunità della loro attribuzione alla competenza regionale, almeno nei termini in cui ciò è stato fatto nella riforma del 2001. Va precisato a questo punto che le considerazioni appena accennate si basano sui dati rilevati attraverso il questionario e qui raccolti ed elaborati. Tali dati danno conto però solo dell’attività legislativa delle Regioni e non consentono di prendere in esame tutta quella parte dell’attività regionale che, si noti, può svilupparsi anche nelle materie nelle quali si registra una limitata produzione di leggi, a seguito di politiche la cui realizzazione richiede l’adozione di atti di tipo amministrativo. Ciò accade in genere quando le Regioni operano – appunto senza bisogno di ricorrere allo strumento della legge – all’interno di sistemi decisionali multilivello (che coinvolgono lo Stato e a volte anche l’Unione Europea) volti al perseguimento di obiettivi di sviluppo economico e/o anche alla realizzazione di infrastrutture, sulla base di procedure che spesso prevedono intese o accordi adottati in seno alla Conferenza Stato-Regioni.

1.4. La fonte della potestà legislativa: il fascino della residualità

Considerando la tabella n. 5 sulla fonte giuridica della potestà legislativa, che - per l’insieme delle Regioni, ordinarie e a statuto speciale i cui dati sono disponibili (11) – classifica le leggi prodotte nelle categorie della potestà “concorrente”, “residuale” e “mista”, si può constatare che la prima delle potestà appena citate risulta, con 243 leggi, quella più esercitata, con un distacco minimo però rispetto alla potestà “residuale” che raccoglie 237 leggi.
Va tenuto conto che questo rapporto appare destinato a mutare se alle 237 leggi di potestà “residuale” si aggiungono le 24 leggi segnalate da alcune Regioni speciali come leggi riconducibili alla potestà “statutaria primaria” o “esclusiva”, ma non conteggiate nella tabella.
Benché sia da registrare nel 2006 una crescita delle leggi di potestà concorrente rispetto al 2005 (da 201 a 243), si può constatare che i dati confermano una forte ed ormai consolidata presenza della legislazione residuale (12), il che sembra smentire la sottovalutazione che, anche in termini quantitativi, spesso viene fatta di tale tipo di potestà, se non i dubbi e le perplessità che da più parti sembrano ancora permanere su di essa.
Come già si ricordava nel Rapporto 2006 - che faceva anche riferimento a dati relativi alle sole Regioni ordinarie per gli anni 2001-2005, contenuti nel Terzo Rapporto Annuale sullo stato del regionalismo in Italia - va tenuto conto comunque che il rapporto tra la potestà “residuale” e quella “concorrente” varia in maniera significativa secondo i macrosettori considerati. Partendo qui dai dati contenuti nella tabella 7 e considerando il carattere concorrente o residuale delle materie inserite nei macrosettori, risulta confermata nell’anno 2006 la prevalenza della potestà “residuale” nel macrosettore dell’ “ordinamento istituzionale” (77 leggi su 94) e in quello dello “sviluppo economico e attività produttive” (92 leggi su 107), mentre il rapporto è ribaltato a favore della “concorrente” negli altri macrosettori (73 leggi di potestà “concorrente” su 94 per “territorio, ambiente e infrastrutture”; 91 su 127 per “servizi alla persona e alla comunità”).

1.5. Una valutazione conclusiva

Molte delle considerazioni e valutazioni fatte nel Rapporto 2006 possono essere, per ora, confermate.
In particolare, non ci sono segni di inversione della tendenza al decremento e, quindi, alla stabilizzazione del numero di leggi annualmente prodotte dalle Regioni. Anzi - anche se in certi casi sembra permanere il ricorso a testi legislativi “pesanti”, veri e propri “contenitori” di interventi di diversa natura e contenuto - va registrata rispetto al 2005 una riduzione delle dimensioni complessive della produzione legislativa regionale.
Non presentano oscillazioni significative, poi, la distribuzione delle leggi tra le varie tipologie normative (settoriali, di manutenzione, ecc.), così come quella tra i titoli competenziali (concorrente, residuale, mista) e quella tra i vari macrosettori e materie, quasi fosse ormai all’opera - in tutti e tre i casi - una sorta di principio regolatore del funzionamento fisiologico del sistema regionale. Si tratta di un fenomeno che potrebbe essere indice di un certo assestamento del modello regionale su determinate caratteristiche organizzative e funzionali.
Tra gli elementi rilevati che appaiono significativi vi è il fatto – segnalato dalla prevalenza delle leggi “settoriali” - che gran parte della legislazione regionale è di tipo nuovo e volta al riordino di settori o ambiti di attività: un elemento che può dunque essere interpretato come indice di vitalità dell’ente regionale in genere. Certamente, all’interno delle leggi classificate come “settoriali” vi sono leggi che disciplinano aspetti parziali delle materie, che tuttavia possono essere importanti; vi sono comunque anche numerose leggi che hanno ad oggetto – riordinandola o anche innovandone la disciplina – una intera materia o settore.
Riguardano, ad esempio, intere materie o quasi: la l. n. 39 dell’Abruzzo sui trasporti e la viabilità; le leggi n. 14 della Provincia di Bolzano e n. 4 del Piemonte sulla ricerca e l’innovazione; le leggi della Liguria n. 12 sul sistema integrato dei servizi sociosanitari e n. 33 che approva il testo unico in materia di cultura; le leggi n. 28 Liguria e n. 18 dell’Umbria sul turismo; le leggi della Lombardia n. 5 sui servizi alla persona e alla comunità e n. 22 sul mercato del lavoro; le leggi delle Marche n. 9 che approva il testo unico sul turismo e n. 4 sulla tutela del lavoro; le leggi della Toscana n. 1 sull’agricoltura e lo sviluppo rurale, n. 12 sulla polizia comunale e provinciale, n. 20 sulla tutela delle acque dall’inquinamento; la legge n. 5 della provincia di Trento su istruzione e formazione; le leggi della Valle d’Aosta n. 3 sulla promozione dell’uso razionale dell’energia, n. 27 sulla previdenza complementare, n. 26 sulle strade regionali; le leggi della Sardegna n. 3 sulla pesca, n. 5 sulle attività commerciali, n. 13 sulla riforma degli enti agricoli e riordino delle funzioni in agricoltura, n. 10 sul riordino del sistema sanitario, n. 14 sui beni culturali e luoghi di cultura, n. 18 sullo spettacolo, n. 19 sulle risorse idriche e i bacini idrografici; le leggi della Sicilia n. 12 in materia di territorio e n. 13 in materia di turismo.
Riguardano invece dei settori importanti all’interno di materie, ad esempio, le leggi che le Regioni hanno dedicato ai servizi di assistenza tecnica in agricoltura (13), ai distretti rurali e agroalimentari (14), alla raccolta dei funghi (15), alla qualità alimentare (16), alla disciplina dell’apprendistato (17), all’agriturismo e turismo rurale (18), a certe “professioni” nel campo del turismo (19), a forme particolari di turismo e agli itinerari culturali (20), al commercio equo e solidale (21), alla sicurezza (22), all’attuazione del protocollo di Kyoto (23), all’utilizzo delle biomasse (24), alla vigilanza ambientale volontaria (25), all’inquinamento acustico (26), all’utilizzo del demanio marittimo per attività turistiche e ricreative (27), ai porti (28), alle cave (29), alla gestione dei rifiuti e la tutela del suolo (30), all’edilizia residenziale pubblica (31), alle farmacie (32), al diritto allo studio (33), ad attività di spettacolo (34), al cinema (35), ai musei e alle biblioteche (36), ad alcune attività culturali di tipo tradizionale (37), a certe attività sportive (38), al servizio civile (39).
Non mancano, inoltre, nel 2006 alcune leggi – riconducibili sempre alla categoria delle leggi “settoriali” – che rivolgono la loro attenzione a problemi nuovi che emergono nelle comunità regionali e che le Regioni affrontano dettando interventi e discipline che in più casi appaiono difficilmente collocabili in specifiche materie, almeno come finora sono state tradizionalmente intese (40). Si tratta, come già notato nel Rapporto 2006, di un fenomeno di grande interesse che mette in luce un progressivo radicamento della Regione negli interessi e nelle esigenze delle comunità di riferimento al di là delle materie, sottolineando anche l’acquisizione di un profilo di ente generale da parte della Regione stessa.
Di un certo rilievo appaiono, poi, varie leggi dedicate alla disciplina del sistema istituzionale regionale con riguardo ad intere materie o comunque ad aspetti importanti dell’organizzazione e del funzionamento: il riordino legislativo (41), la programmazione anche finanziaria (42), lo sviluppo e il riordino del sistema degli enti locali (43) , il sistema degli enti subregionali (44), la costituzione della consulta statutaria (45), quella del Consiglio regionale dell’economia e lavoro (46), la partecipazione dei cittadini (47), le relazioni internazionali ed europee (48), l’“autoriforma” (49). La Regione Sardegna con legge n. 7 ha costituito la “Consulta per il nuovo statuto di autonomia e sovranità del popolo sardo” (50).
Non mancano poi leggi con le quali la Regione costituisce strutture specifiche di intervento società, fondazioni o decide di partecipare alle stesse (51).
Ferme restando, dunque, le conferme che - anche dalla rilevazione relativa all’anno 2006 - sembrano venire da parte delle Regioni di alcune tendenze da considerare positivamente – come quella al riordino della normativa e la tendenza ad un maggiore consolidamento delle Regioni come enti indipendenti e rispondenti alle esigenze delle rispettive comunità - va segnalata però anche la conferma di alcuni punti critici.
Il primo riguarda il fatto che restano molto deboli certi campi di competenza pure attribuiti alle Regioni dalle riforme amministrative e costituzionali, in particolare nel macrosettore dello sviluppo economico e in quello del territorio ambiente e infrastrutture. Andrebbe capito qui se si tratti di materie che pure è opportuno vengano sviluppate, almeno in parte, dalle Regioni, ma in ordine alle quali esistono condizionamenti specifici dovuti al mantenimento di poteri centrali e/o al mancato sviluppo di un adeguato sistema di collaborazione tra Stato e Regioni, senza il quale non è possibile realizzare interventi in modo vantaggioso per la comunità. Oppure se si sia in presenza di materie la cui attribuzione alle Regioni, almeno nei modi e termini in cui è avvenuta, non ha in realtà un fondamento sostanziale.
Il secondo punto critico riguarda, invece, i casi nei quali l’attività legislativa regionale si sta ampiamente sviluppando ma permangono non pochi problemi in ordine ai confini delle competenze, come segnala il contenzioso costituzionale tra Stato e Regioni, anche in tal caso in continuità con quanto era emerso relativamente all’anno 2005 ed era stato già segnalato nel Rapporto 2006. In particolare dalle segnalazioni contenute nelle risposte al questionario delle impugnazioni governative di norme di leggi regionali emerge l’esistenza di tensioni e problemi, tra l’altro, in ordine alle materie del territorio, ambiente e paesaggio ( v. il ricorso del governo contro le leggi n. 12 della Lombardia, le leggi n. 5 e n. 6 e n. 12 della Sicilia, n. 22 e 34 della Valle d’Aosta), dei beni culturali (v. il caso del ricorso contro la l. n. 18 Friuli Venezia Giulia che istituisce la Fondazione per la valorizzazione archeologica, monumentale e urbana di Aquileia), del turismo (v. i ricorsi contro le leggi n. 9 delle Marche e n. 13 della Sicilia), del sistema degli enti locali (v. il caso della l. n. 18 della Lombardia e della l.n1 del Friuli Venezia Giulia), delle competenze in ordine alle professioni (v. l’impugnativa delle l. n. 6 della Liguria, n. 32 del Piemonte e l. n. 19 del Veneto sulle discipline bionaturali), dei servizi sociali (v. il caso della l. n. 18 della Lombardia).
Si segnala, infine, il rischio di nuove tensioni ed incertezze anche in campi di ormai consolidata competenza regionale, prodotte in particolare dalla recente legge nazionale n. 96/2006 sull’agriturismo, impugnata stavolta da parte regionale (in particolare dalla Regione Toscana).
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NOTE
 
(1)        Le tabelle citate nel presente capitolo sono riportate nell’Appendice.
(2)        Il totale qui indicato è ottenuto aggiungendo al numero delle leggi indicato nelle risposte al questionario, 567 (v. tabella n. 1), le leggi di due Regioni – Campania e Puglia – che non hanno inviato risposte. In particolare la Campania ha emanato 25 leggi e la Puglia 40.
(3)        V. la tabella A nel Capitolo “I regolamenti regionali nel 2006”, in questo Volume.
(4)        Nel confronto non sono considerati i dati relativi alle Regioni Campania e Puglia, non pervenuti né nel 2005 né nel 2006.
(5)        Per una analisi e considerazione di sintesi a partire dall’anno 2002 v. il par. 1.2 del Capitolo 1 “La competenza legislativa regionale nel 2005: conferme e problemi” nello stesso Rapporto 2006.
(6)        Cfr. Rapporto 2006, p. 10.
(7)        Cfr. Rapporto 2006, tabella 5c, p. 164.
(8)        Cfr. Rapporto 2006, tabella 6, p. 165.
(9)        A.G. Arabia e C.Desideri, L’attività normativa nella settima legislatura regionale, in ISSiRFA-CNR, Terzo Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia, Giuffrè Editore, Milano, 2005, p. 479 e ss.
(10)      ISSiRFA-CNR, Regioni e attività produttive, Rapporto sulla legislazione e sulla spesa 1998-2004: un bilancio, Giuffrè Editore, Milano, 2006.
(11)      Per la fonte giuridica non sono disponibili – oltre ai dati delle Regioni Campania e Puglia – quelli della Basilicata e del Trentino-Alto Adige.
(12)      Tenendo conto delle 24 leggi di potestà “primaria statutaria” o “esclusiva” e considerando che mancano anche i dati della Basilicata (che nel 2005 aveva 30 leggi di potestà residuale su un totale di 33), si può supporre che il numero delle leggi di potestà residuale sia rimasto più o meno uguale negli anni 2005 e 2006.
(13)      L. n. 5 Friuli Venezia Giulia.
(14)      L. n. 1 Lazio.
(15)      L. n. 34 Abruzzo, L. n. 3 Sicilia;
(16)      L. n. 12 Molise che istituisce un osservatorio sulla qualità degli alimenti, l. n. 1 Valle d’Aosta sulla somministrazione di alimenti e bevande.
(17)      L. n. 2 Provincia di Bolzano; l. n. 28 Basilicata; l. n. 9 Lazio, l. n. 5 Provincia di Trento
(18)      L. n. 14 Lazio.
(19)      L. n. 23 Abruzzo sul “maestro di mountain bike e ciclismo fuoristrada”; l. n. 20 Sardegna sulle professioni turistiche di accompagnamento e dei servizi.
(20)      L. n. 19 Lazio sulla via Francigena e altri itinerari; l. n. 5 Piemonte sulla valorizzazione delle linee dismesse; l. n. 33 Piemonte sul turismo nelle aree protette e l. n. 34 Piemonte sul turismo religioso.
(21)      L. n. 7 Abruzzo.
(22)      L. n. 24 Veneto che istituisce la “scuola regionale veneta per la sicurezza e la polizia locale”.
(23)      L. n. 6 Veneto.
(24)      L. n. 7 Veneto.
(25)      L. n. 23 Molise che istituisce un apposito servizio.
(26)      L. n. 9 Valle d’Aosta.
(27)      L. n. 15 e n. 42 Abruzzo; l. n. 22 Friuli Venezia Giulia.
(28)      L. n. 13 Friuli Venezia Giulia.
(29)      L. n. 7 Provincia di Trento.
(30)      L. n. 4 Provincia di Bolzano.
(31)      L. n. 17 Molise, l. n. 12 Sardegna.
(32)      L. n. 23 Valle d’Aosta “nuova disciplina del servizio farmaceutico”.
(33)      L. n. 6 Umbria sullo studio universitario.
(34)      L. n. 34 Liguria sullo “spettacolo dal vivo”.
(35)      L. n. 12 Emilia-Romagna che disciplina la diffusione dell’esercizio cinematografico; l. n. 21 Friuli Venezia Giulia sulla valorizzazione del patrimonio e della cultura cinematografica e audiovisiva e sulla localizzazione delle sale; l. n. 10 Liguria per la diffusione dell’esercizio cinematografico, l’istituzione della Film Commission e della mediateca regionale; l. n. 15 Sardegna per lo sviluppo del cinema.
(36)      L. n. 10 e n. 25 Friuli Venezia Giulia rispettivamente sugli ecomusei e sulle biblioteche.
(37)      L. n. 15 Basilicata sulla “cultura musicale, bandistica e corale della Basilicata”.
(38)      L. n. 25 Lazio sulla diffusione del gioco delle bocce.
(39)      L. n. 11 Liguria; l. n. 2 Lombardia; l. n. 35 Toscana.
(40)      Si considerino, ad esempio, la l. n. 31 Abruzzo sui centri antiviolenza e case di accoglienza per le donne maltrattate e la l. n. 40 sempre dell’Abruzzo sul registro regionale dei donatori di midollo osseo; la l. n. 3 dell’Emilia-Romagna sugli emiliani-romagnoli nel mondo; la l. n. 16 Emilia-Romagna sul “turismo naturista”; la l. n. 26 Friuli Venezia Giulia sui cimiteri per animali di affezione; le leggi n. 6 e n. 11 del Friuli Venezia Giulia rispettivamente sulla promozione e tutela dei diritti di cittadinanza sociale e sul sostegno della famiglia e della genitoralità; la l. n. 6 Liguria e quella n. 32 del Piemonte e n. 19 del Veneto sulle discipline bionaturali; la l. n. 16 Lombardia sulla lotta al randagismo e la tutela degli animali di affezione; la l. n. 25 Lombardia sulla lotta alla povertà; le leggi n. 31 e 32 del Molise rispettivamente sui molisani nel mondo e sul tutore dei minori; l. n. 7 Piemonte sulle associazioni di promozione sociale; l. n. 55 Toscana per interventi a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata; l. n. 13 Umbria sul garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale; l. n. 25 Veneto che costituisce una commissione tecnica per lo studio dell’impatto territoriale e sociale dei flussi migratori; l. n. 34 Valle d’Aosta sulla valorizzazione della funzione sociale ed educativa attraverso attività di oratorio o similari.
(41)      L. n. 7 Lombardia sul “riordino e semplificazione della normativa regionale mediante testi unici”.
(42)      L. n. 16 Abruzzo “per il funzionamento delle strutture e per la razionalizzazione della finanza regionale al fine di concorrere agli obiettivi di finanza pubblica”; l. n. 34 Lombardia “norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità regionale”; l. n. 27 Toscana sulle procedure di programmazione e gli interventi finanziari nelle materie della cultura, del paesaggio e dello spettacolo; l. n. 11 Sardegna sulla programmazione e bilancio.
(43)      L. n. 32 Abruzzo; l. n. 1 e n. 24 Friuli Venezia Giulia che rispettivamente dettano principi e norme fondamentali del sistema delle autonomie e conferiscono funzioni; l. n. 13 Liguria sul Consiglio delle autonomie; l. n. 29 Lombardia che approva il testo unico sulle circoscrizioni comunali e provinciali; l. n. 8 Piemonte in materia di collaborazione e supporto all’attività degli enti locali e l. n. 30 Piemonte sul Consiglio delle autonomie; l. n. 3 della Provincia di Trento; l. n. 2 Valle d’Aosta, che modifica tra l’altro la legge n. 54/1998 sul sistema delle autonomie; l. n. 9 Sardegna sul conferimento di compiti al sistema degli enti locali
(44)      L. n. 11 Basilicata di riforma e riordino degli enti e organismi subregionali ; l. n. 20 Liguria sulla nuova disciplina della agenzia per l’ambiente e sulla riorganizzazione degli organismi di intervento in campo ambientale; l. n. 6 Sardegna sull’istituzione dell’agenzia per l’ambiente.
(45)      L. n. 19 Liguria.
(46)      L. n. 13 Lazio; l. n. 16 Liguria.
(47)      L. n. 16 Umbria “disciplina dei rapporti tra l’autonoma iniziativa dei cittadini e delle formazioni sociali e l’azione dei comuni, province, Regione, altri enti locali e autonomie funzionali in ordine allo svolgimento di attività di interesse generale secondo i principi di sussidiarietà e semplificazione”.
(48)      L. n. 6 Calabria “patto di amicizia tra la Calabria ed il West Virginia”; l. n. 9 Veneto sulla partecipazione della Regione alla Fondazione Italia-Cina; l. n. 8 Valle D’Aosta che disciplina in generale le relazioni europee e internazionali della Regione.
(49)      L. n. 2 Molise che ricostituisce la “Commissione per l’autoriforma”.
(50)      Impugnata dal governo davanti la Corte costituzionale.
(51)      L. 36 Abruzzo sulla partecipazione alla società Abruzzo Sviluppo; l. n. 13 Basilicata con la quale viene creata la Società energetica lucana; l. n. 18 Friuli Venezia Giulia sulla creazione della Fondazione per la valorizzazione archeologica, monumentale e urbana di Aquileia; l. n. 13 Piemonte sulla costituzione di una Società per l’internazionalizzazione del sistema Piemonte.


2. I regolamenti regionali nel 2006 (Aida Giulia Arabia)


2.1. Premessa

La vicenda dell’attribuzione del potere regolamentare è, ormai, definitivamente conclusa, almeno per dieci Regioni ordinarie. E con essa anche i timori della dottrina di un eccessivo incremento della fonte a danno degli equilibri istituzionali – soprattutto in caso di attribuzione “secca” del potere agli esecutivi - sono venuti meno. Nel 2006, infatti, così come già segnalato per il 2005, la produzione dei regolamenti non risulta essere molto significativa. Almeno per alcune Regioni ordinarie. E la situazione è quasi uniforme tanto nelle Regioni che hanno adottato il nuovo statuto, quanto nelle Regioni che operano in regime di quello originario.
Il quadro che emerge dalla prassi è riportato nella tabella 10a dell’Appendice e appare molto variegato. Per quanto riguarda le Regioni ordinarie, in alcune di esse (Calabria, Lazio, Toscana e Umbria) sono presenti solo regolamenti emanati dalla Giunta; in altre (Abruzzo, Lombardia, Marche, Molise e Veneto) sono presenti solo regolamenti emanati dall’assemblea legislativa; infine, in altre (Basilicata, Emilia-Romagna, Liguria e Piemonte) la funzione regolamentare è stata esercitata dai due organi. Per quanto riguarda, invece, le Regioni speciali e le province autonome, in conformità alle disposizioni statutarie, i regolamenti sono solo di Giunta, ad eccezione della Regione Valle d’Aosta dove la competenza regolamentare è esercitata dal Consiglio.
La presenza di regolamenti di Giunta si spiega – in conformità alle scelte operate in sede di elaborazione dei nuovi statuti - perché essi sono attuativi di disposizioni legislative regionali.
La presenza di regolamenti di Consiglio nelle Regioni ordinarie si spiega, invece, per due differenti ragioni. La prima riguarda le Regioni che non hanno emanato il nuovo statuto e che, quindi, esercitano la funzione regolamentare – assegnata al Consiglio - in base alle disposizioni delle carte statutarie originarie. Si tratta, in particolare, delle Regioni Lombardia, Molise e Veneto. La seconda riguarda le Regioni che, in virtù dei nuovi statuti, hanno mantenuto la potestà regolamentare in capo al Consiglio. Si tratta delle Regioni Abruzzo e Marche.
La presenza di regolamenti di Giunta e di Consiglio (Basilicata, Emilia-Romagna, Liguria e Piemonte) si spiega, infine, anche in questo caso per due differenti ragioni. Nella Regione Basilicata - come già messo in luce nel Rapporto dell’anno precedente - la “condivisione” del potere si giustifica con la presenza dell’art. 11 dello statuto del 1971 (ancora vigente) che, attribuendo al Consiglio, oltre alla funzione legislativa, anche la funzione di approvazione di piani e programmi, avrebbe implicitamente consentito, al di fuori quindi delle tipologie suindicate, l’emanazione – da parte della Giunta regionale - di “atti amministrativi” a contenuto generale attuativi-esecutivi di legislazione (1). Quanto, invece, alle altre tre Regioni (Emilia-Romagna, Liguria e Piemonte), i regolamenti di Consiglio sono quelli emanati in virtù di disposizioni statali e, in un certo senso, “assimilabili” a quelli rientranti nella competenza delegata ai sensi dell’art. 117, sesto comma, della Costituzione, per i quali le Regioni che hanno attribuito la competenza in via generale alla Giunta hanno, invece, conservato la competenza in capo ai consigli. Si tratta, in particolare, dei regolamenti attuativi di disposizioni del Codice in materia di protezione dei dati personali (2), della legge sulla procreazione medicalmente assistita (3) e del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (4), non “coperti” da legislazione regionale attuativa. Il medesimo regolamento sul trattamento dei dati sensibili e giudiziari da parte della Regione è stato, ad esempio, emanato dalla Giunta della Toscana a seguito dell’intermediazione della legge regionale n. 13/2006 e dalla Giunta della Regione Umbria a seguito dell’autorizzazione alla potestà regolamentare contenuta nella legge regionale n. 7/2006.
 
2.2.   Alcuni dati
 
Come si ricava dalla tabella 10a dell’Appendice, i regolamenti nel 2006 risultano essere 336: 91 emanati dalle Regioni ordinarie e 245 emanati dalle Regioni speciali e dalle province autonome. Poco si discostano da quelli emanati dalle Regioni nel 2005, quando su 334 atti emanati 84 erano attribuibili alle Regioni ordinarie e 250 alle Regioni speciali (5).
Se, con riferimento ad entrambe le annualità, si aggiungono i dati delle Regioni Campania e Puglia che non hanno risposto al questionario (v. tabelle A e A1), i regolamenti emanati dalle giunte e dai consigli delle Regioni nel loro insieme (ordinarie e speciali), nel 2006, risultano essere inferiori di una sola unità rispetto all’anno precedente: 363 (118 per le ordinarie e 245 per le speciali) contro 364 (114 per le ordinarie e 250 per le speciali).
Se però si sposta l’attenzione sul numero degli articoli e dei commi - v. tabella 10 dell’Appendice che non comprende, però le due Regioni richiamate - il decremento risulta maggiormente accentuato: 3016 articoli e 7871 commi nel 2006 contro i 3521 articoli e i 9357 commi nel 2005 (6).
Ritornando al 2006 ed escludendo i dati delle Regioni speciali, è possibile confrontare i dati dell’anno in esame anche con quelli degli anni 2001-2004 (7). All’incremento costante degli anni 2001-2002-2003 con rispettivamente 101, 107 e 152 regolamenti e al decremento del 2004 con 96 regolamenti corrispondeva – come si ricava dalla tabella A1 - il lieve incremento del 2005 con 114 regolamenti che lasciava ipotizzare una certa continuità nell’aumento - nel tempo - del ricorso alla fonte secondaria. Ampliamento che comunque risulta essere nel 2006 solo di quattro unità. Le Regioni ordinarie, infatti, hanno emanato – come già sottolineato - 118 regolamenti (v. tabella A), con alcune differenze sostanziali rispetto a quanto segnalato nel Rapporto dell’anno precedente.
Le esperienze maggiormente significative lì messe in luce sembrano in parte smentite. Rimane confermata la tendenza della Regione Puglia a ricorrere - in modo rilevante – sia pure con lievi flessioni – alla fonte secondaria (8). Ai 27 regolamenti del 2005 corrispondono, infatti, i 21 del 2006. Tale tendenza, tra l’altro, sembra confermata anche nell’anno in corso. A giugno 2007 la Regione ha emanato 16 regolamenti.
Sembra, invece, capovolgersi la tendenza registrata per la Regione Lazio, che passa da 19 (2005) a 6 regolamenti (2006). Tendenza sicuramente confermata anche per l’anno in corso. A giugno 2007, infatti, risultano adottati solo 5 regolamenti.
Le esperienze maggiormente significative del 2006 sembrano essere quelle delle Regioni Umbria e Piemonte. Entrambe le Regioni passano, infatti, dagli 8 regolamenti del 2005, rispettivamente ai 14 e ai 15 del 2006. Merita di essere rilevata la lieve diminuzione della produzione regolamentare della Regione Toscana che, a partire dal 2001, mostra di utilizzare la fonte regolamentare con incrementi costanti fino ad arrivare alle 18 unità del 2005. Nel 2006, la Regione emana, invece, 14 regolamenti. Decremento, comunque, forse non confermato nel 2007. A giugno dell’anno in corso, infatti, risultano emanati già 13 regolamenti.
Nelle altre Regioni ordinarie - se si esclude il caso della Regione Lombardia con 10 regolamenti contro gli 8 del 2005 - la produzione regolamentare si mantiene ancora bassa. Si passa, infatti, dai 6 regolamenti delle Regioni Campania, Lazio ed Emilia-Romagna, ai 5 della Regione Basilicata, ai 4 delle Regioni Calabria, Marche e Veneto, ai 3 delle Regioni Abruzzo, Liguria e Molise.
Infine, come si ricava sempre dalla tabella 10a dell’Appendice, rimane sostanzialmente confermato il ricorso massiccio alla fonte secondaria nella Regione speciale del Friuli Venezia Giulia e nelle due province autonome di Bolzano e Trento, con rispettivamente 119, 87 e 23 regolamenti emanati nel 2006. Ai 13 regolamenti del Trentino-Alto Adige corrisponde, poi, il dato poco significativo delle Regioni Valle d’Aosta (con 2 regolamenti) e Sicilia (con un regolamento). La mancanza del dato nella Regione Sardegna è dovuta, probabilmente, alla difficoltà di individuazione e quantificazione di quegli atti a contenuto generale con valore normativo esterno - regolamenti in senso sostanziale, piani, regolamenti assessorili - non disciplinati sotto il profilo procedurale e dei limiti, adottati da organi afferenti all’Esecutivo e spesso nemmeno pubblicati. Il fenomeno - già messo in luce dalla Regione negli anni passati (9) - è molto diffuso anche in altre Regioni e, come evidenziato nei Rapporti degli anni precedenti, potrebbe essere alla base della “contrazione” del ricorso alla fonte legislativa con gravi ripercussioni anche su garanzie istituzionali e su posizioni soggettive.
 
2.3.    Il “peso” dei regolamenti sul totale della produzione normativa
 
Il ricorso consistente alla fonte secondaria nelle Regioni speciali è inversamente proporzionale all’utilizzo della fonte legislativa. Nel 2006 – come già sottolineato - a fronte di 140 leggi risultano emanati 245 regolamenti. Dato quasi analogo a quello del 2005 con 154 leggi e 250 regolamenti. Una situazione opposta si trova, invece, nelle Regioni ordinarie che emanano, nel 2006, 492 leggi e 118 regolamenti, contro le 441 leggi e i 114 regolamenti del 2005.
Come risulta dalla tabella A e considerando le Regioni nel loro insieme, la percentuale dei regolamenti sul totale della produzione normativa (leggi e regolamenti) è pari al 36,5 %. E’ pari, invece, al 63,6 % nelle Regioni speciali e al 19,3 % nelle Regioni ordinarie. Dato quasi identico a quello del 2005 (v. tabella A1) dove la percentuale risultava pari al 38 %. Era pari, invece, al 61,9 % nelle Regioni speciali e al 20,5 % nelle Regioni ordinarie.
Considerando, però, l’ampiezza della produzione normativa - v. tabelle B, B1, C, C1 (che non comprendono le dimensioni degli atti normativi delle Regioni Campania e Puglia) - la percentuale va diminuendo. Per quanto riguarda la percentuale dei regolamenti sul totale della produzione normativa (calcolata in articoli), questa è pari, nelle Regioni speciali, al 48,6 %, mentre nelle Regioni ordinarie è del 15,4 %. Dato identico nel 2005 per le Regioni speciali (48,7%) e leggermente superiore (17,2 %) per le Regioni ordinarie. Per quanto riguarda, invece, il numero dei commi, la diminuzione risulta ancora più marcata. Nel 2006, la percentuale dei regolamenti sulla produzione normativa (calcolata in commi) diventa, infatti, pari al 38,2 % nelle Regioni speciali e al 16,7 % nelle Regioni ordinarie; nel 2005, era invece del 42,7 % per le speciali e del 17,3 % per le ordinarie.
Questo è dovuto al fatto che al di là del numero delle leggi - che in alcune Regioni speciali e province autonome risulta di molto inferiore rispetto al numero dei regolamenti - quello che conta realmente è poi l’ampiezza della produzione normativa (articoli e commi) che, nel 2006 e per alcune Regioni in particolare, mostra una tendenziale diminuzione a mano a mano che si sceglie una unità di misura più dettagliata. Ad esempio, nella Regione Friuli Venezia Giulia, dove le 29 leggi e i 119 regolamenti emanati nel 2006 portano la percentuale dei regolamenti sul totale della produzione normativa all’80,4 %, mentre i 582 articoli delle leggi e i 1263 articoli dei regolamenti la fanno scendere al 68,5% e i 2519 commi delle leggi e 2937 commi dei regolamenti la portano al 53,8 %. Anche nella provincia di Trento si registra lo stesso fenomeno. Si passa, infatti, dalla percentuale del 65,7 % a quella del 49,9 % fino ad arrivare al 40,8 % a seconda che la percentuale si calcoli sul totale degli atti emanati o sul totale degli articoli e dei commi (10).
Completamente diversa è la situazione che si ricava per le Regioni ordinarie dove anche in questo caso a seconda che si tratti di valori assoluti, di articoli o di commi, le differenze diventano comunque minori ma in modo meno accentuato rispetto alle Regioni speciali.
Considerando, ad esempio, il caso della Regione Umbria – caso maggiormente significativo del 2006 - la percentuale del 43,8 % dei regolamenti sul totale della produzione normativa (18 leggi e 14 regolamenti) tende a ridursi ma non in modo sostanziale. Diventa, infatti, pari al 37,1 % se calcolata sul totale degli articoli (248 articoli delle leggi e 146 articoli dei regolamenti) e pari al 35,8 % se calcolata sul totale dei commi (715 commi delle leggi e 398 commi dei regolamenti).
Nella Regione Lombardia, invece, la percentuale del 23,8% di regolamenti sul totale della produzione normativa sale al 35,7 % se calcolata sul numero degli articoli e aumenta ancora al 39,8 % se calcolata sul totale dei commi. E lo stesso avviene nella Regione Toscana dove passa dal 21,5 % in termini assoluti al 31,6 % in termini di articoli e al 38,4 % in termini di commi. Quindi è vero che, ad esempio, nella Regione Toscana, nel 2006, i regolamenti sono diminuiti rispetto all’anno precedente, ma la percentuale sull’intera produzione normativa è aumentata. Nel 2005, infatti, la percentuale dei regolamenti era pari al 24,7 %, al 19,7 % e al 18,7 % calcolata, rispettivamente, sul numero, sugli articoli e sui commi.
Considerando, invece, il caso maggiormente significativo del 2005 – quello della Regione Lazio - mentre il totale dei regolamenti sull’intera produzione normativa era pari al 50 %, diventava pari al 49,1 % se calcolato sugli articoli e saliva al 53,7 % se calcolato sui commi. Dato stravolto nel 2006, dove il peso delle leggi si fa nuovamente sentire. La percentuale dei regolamenti sul totale della produzione normativa passa, infatti, dal 17,6 %, al 9,7 % e finisce al 6,7 % se calcolata, rispettivamente, in base al numero, agli articoli e ai commi degli atti emanati.
 
2.4.   I regolamenti per macrosettori e per materie
 
I dati relativi alla classificazione dei regolamenti secondo i macrosettori e le materie mettono in luce (v. tabella 13 dell’Appendice) che, su 297 regolamenti classificati (dei 363 regolamenti emanati non sono classificati 6 regolamenti della Regione Campania, 21 regolamenti della Regione Puglia e 39 regolamenti di manutenzione della Regione Friuli Venezia Giulia), i gruppi più numerosi sono quelli dei 95 regolamenti aventi ad oggetto i “servizi alla persona e alla comunità”, seguiti dai 75 regolamenti del macrosettore inerente al “territorio, ambiente e infrastrutture”, dai 63 regolamenti riguardanti il macrosettore dello “sviluppo economico e le attività produttive”, dai 52 regolamenti del macrosettore ”ordinamento istituzionale” e dai 9 regolamenti relativi alla “finanza regionale”. Vi sono, poi, 3 regolamenti classificati come multisettoriali.
Confrontando questi dati con quelli del 2005, ciò che emerge è il permanere di una concentrazione della produzione regolamentare in modo più marcato nel macrosettore dei servizi alla persona (nel 2005 erano 101). Sostanzialmente confermata la presenza di regolamenti nel macrosettore del territorio che incrementa di una sola unità (nel 2005 erano 74), mentre sembra subire una battuta d’arresto la produzione regolamentare in materia di attività produttive (nel 2005 erano stati emanati 89 regolamenti). Un incremento più consistente si registra, invece, nel macrosettore dell’ordinamento istituzionale, con 10 regolamenti in più rispetto all’anno precedente (nel 2005 erano 42). Si nota, infine, sempre rispetto al 2005, un decremento di 4 unità nel macrosettore dedicato alla finanza regionale (nel 2005 erano 13) e di 11 regolamenti multisettoriali (nel 2005 erano 14).
I dati del 2006, come messo in luce anche nella parte dedicata alle leggi, confermano quanto già emerso nel Rapporto dell’anno precedente. La Regione si configura fondamentalmente come un soggetto di rilievo nel campo dei servizi e, in parte – ma questo vale come si vedrà di seguito, soprattutto per alcune materie - nel campo dello sviluppo economico. E’ degno di rilievo anche il costante impegno regionale nel campo del macrosettore dedicato all’ambiente.
Sotto il profilo delle materie (v. sempre tabella 13 dell’Appendice), con particolare riguardo al macrosettore “ordinamento istituzionale” la produzione regolamentare interessa soprattutto la materia “personale e amministrazione” con 39 regolamenti. La presenza di un dato così significativo si spiega col fatto che sono stati classificati nella voce indicata tutti i regolamenti di attuazione della legge sulla privacy (18 regolamenti) e col fatto, già messo in luce nel Rapporto dell’anno precedente, della presenza di un ampio processo di delegificazione di interi ambiti di normativa riguardante il personale, che ha contribuito alla riduzione del numero delle leggi e al costante aumento del numero dei regolamenti “sostitutivi” della precedente disciplina contenuta in norme primarie. Pochi regolamenti riguardano, poi, le materie “enti locali e decentramento” (6), “organi della Regione” (3) e “rapporti internazionali e con l’Unione europea” (1). Altri 3 regolamenti, inoltre, sono classificati nella voce “altro”, non prevista nella rilevazione dell’anno precedente.
Nel macrosettore dello sviluppo economico emerge, con evidenza, che la maggior parte dei regolamenti emanati dalle Regioni riguarda la materia dell’agricoltura e dello sviluppo rurale e della pesca, che insieme totalizzano 26 regolamenti, seguita dal commercio, fiere e mercati con 15 regolamenti e dal turismo con 7 regolamenti. Pochi regolamenti in materia di sostegno all’innovazione per i settori produttivi (5), 2 regolamenti in materia di artigianato e un regolamento, rispettivamente, per industria e casse di risparmio. Altri 5 regolamenti sono classificati nella voce “altro”.
Con attenzione, poi, al macrosettore del “territorio, ambiente e infrastrutture”, fanno la parte del leone il territorio e l’urbanistica con 18 regolamenti e la protezione della natura e dell’ambiente con 17 regolamenti. Altri 14 regolamenti riguardano le risorse idriche e la difesa del suolo, 9 i trasporti, 5 la protezione civile e 3 la viabilità. Infine, 3 regolamenti sono classificati nella voce “altro”.
Passando al macrosettore dei “servizi alla persona e alla comunità”, si nota la presenza di un numero considerevole di regolamenti nel campo dei servizi sociali (20 regolamenti), seguiti da quelli inerenti alla tutela della salute (14 regolamenti). Inoltre, 11 regolamenti sono ascrivibili, rispettivamente, alle materie istruzione scolastica, formazione professionale e beni e attività culturali; 8 alla materia lavoro; 3, rispettivamente, alle materie alimentazione e previdenza complementare e integrativa; 2, rispettivamente, alle materie ordinamento della comunicazione e sport; un solo regolamento riguarda lo spettacolo. Altri 9 regolamenti rientrano, infine, nella voce “altro”.
Se si confrontano i dati del 2006 con quelli del Rapporto dell’anno precedente, le tendenze qui evidenziate appaiono per alcune materie confermate, caso mai con lievi oscillazioni. Anche nel 2005, nel macrosettore dell’”ordinamento istituzionale” il numero più ampio di regolamenti interessava la materia relativa al personale e all’amministrazione con ben 40 regolamenti. Nel settore dello sviluppo economico, erano sempre i regolamenti riguardanti le materie dell’agricoltura e dello sviluppo rurale e della pesca con 40 regolamenti, seguite da quelle inerenti al commercio, fiere e mercati con 13 regolamenti e al turismo con 9 regolamenti, a fare la parte del leone. Nel macrosettore del “territorio, ambiente e infrastrutture”, erano sempre la protezione della natura e dell’ambiente con 22 regolamenti, seguita dalla materia territorio e urbanistica con 19 regolamenti, a registrare il dato più rilevante. Infine, anche nel settore dei “servizi alla persona e alla comunità” la presenza di un numero significativo di regolamenti si rinveniva nel campo dei servizi sociali (27 regolamenti), seguiti in pari numero da quelli classificati nelle materie dell’istruzione scolastica e del lavoro (18 regolamenti).
 
2.5.  Per concludere
 
All’analisi quantitativa sviluppata in precedenza segue, ora, una breve analisi delle tecniche formali e dei contenuti che caratterizzano gli atti regolamentari emanati nell’anno di riferimento.
Innanzitutto il dato quantitativo non deve essere letto in termini assoluti: concorrono, infatti, in modo rilevante all’incremento complessivo del dato il numero dei regolamenti emanato dalla Regione Friuli Venezia Giulia e dalle due province autonome di Bolzano e di Trento che, in base ai loro statuti speciali, hanno da sempre riservato agli esecutivi la competenza ad adottare regolamenti di esecuzione e di attuazione soprattutto di leggi regionali e provinciali.
In alcuni casi si tratta di regolamenti di manutenzione - vale a dire di regolamenti di modifica e/o di integrazione di precedenti atti - alcune volte emanati nel corso dell’anno (11) o in un arco di tempo relativamente recente (12). Nel 2006 i regolamenti di manutenzione sono pari al 28,9 % del totale: 22 % nelle Regioni ordinarie e 32,2 % nelle Regioni speciali (v. tabella D). Nel 2005 le percentuali erano sostanzialmente identiche. Al 26,9 % del totale corrispondeva il 23,7 % per le ordinarie e il 28,4 % per le speciali (v. tabella D1). Gli interventi di manutenzione sono maggiormente diffusi nelle Regioni che utilizzano la fonte secondaria in modo costante nel tempo. Nelle Regioni speciali e province autonome, infatti, anche le percentuali per singola Regione sono di circa un terzo sui nuovi regolamenti emanati, mentre nelle Regioni ordinarie il quadro è più variegato. Si passa, infatti, dal 75% di regolamenti di manutenzione della Regione Marche, al 60% della Regione Basilicata, al 50 % della Regione Lazio fino ad arrivare al 7,1 % della Regione Toscana.
Accanto a questi regolamenti, di dimensioni ridotte in termini di articoli e commi, non mancano però regolamenti attuativi di leggi di riordino settoriale - di materie o submaterie - che si caratterizzano per essere articolati in modo più ampio. In alcuni casi, tra l’altro, le leggi di riordino prevedono, per una serie di aspetti, numerosi rinvii ad attuazioni in sede regolamentare. Per citare solo qualche esempio, nel 2006, la Regione Toscana ha emanato 3 regolamenti attuativi di disposizioni della legge regionale per il governo del territorio (13), la Regione Friuli Venezia Giulia 2 regolamenti di attuazione di disposizioni della legge regionale di disciplina generale in materia di innovazione, ricerca scientifica e sviluppo tecnologico (14) e la Regione Piemonte ha adottato un regolamento di attuazione di una norma contenuta nella legge regionale di disciplina della diffusione dell’esercizio cinematografico (15).
Oltre che di leggi settoriali, i regolamenti sono spesso attuativi di disposizioni contenute nelle leggi finanziarie. Questo avviene soprattutto in quegli ordinamenti che utilizzano la finanziaria come legge contenitore, nel senso cioè di legge comprensiva di numerose disposizioni autonome (rispetto alla “missione” propria della legge) interessanti diversi settori di competenza regionale. Il caso più rilevante è rappresentato dalla Regione Friuli Venezia Giulia che continua ad emanare finanziarie ”pesanti” contenenti, tra l’altro, anche numerosi rinvii ad attuazione regolamentare di disposizioni legislative. Per restare solo nell’anno di riferimento, la Regione richiamata ha emanato ben 17 nuovi regolamenti in attuazione di disposizioni incluse nella legge finanziaria per il 2006 (l.r. n. 2), riguardanti varie materie di intervento regionale (16).
In alcuni casi si rinvengono regolamenti contenenti normativa tecnica. Rientrano in tale categoria il regolamento della Regione Lombardia n. 7/2006, recante norme tecniche per la costruzione delle strade e il regolamento della Regione Friuli Venezia Giulia n. 248/2006, recante la disciplina tecnica e le specifiche delle opere destinate ad ospitare le reti di banda larga.
Pochi regolamenti sono “vincolati” da fonti comunitarie, a conferma di quanto già messo in luce nelle rilevazioni dei Rapporti sulla legislazione degli anni precedenti (17). Per indicare solo qualche esempio, è tale il regolamento Toscana n. 40/2006 dettato in attuazione del regolamento CE n. 852/2004 sull’igiene dei prodotti alimentari e del regolamento CE n. 853/2004 che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale. Un po’ più numerosi sono i casi di attuazione di disposizioni statali, fenomeno molto diffuso fino alla riforma del Titolo V della Costituzione, soprattutto in alcune Regioni. Oltre ai 18 regolamenti (18) attuativi del Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lgs. n. 196/2003), per indicare solo qualche esempio, la Regione Calabria ha istituito, con regolamento n. 2/2006, la commissione regionale per l’emersione del lavoro non regolare, in attuazione dell’art. 74, comma 4, della legge n. 448/1998 e la Regione Umbria ha fissato, con regolamento n. 1/2006, le modalità di esercizio del controllo regionale sugli atti delle aziende sanitarie, in attuazione della legge n. 412/1991, del d.lgs. n. 402/1992 e del d.lgs. n. 270/1993.
Infine – quale elemento significativo del 2006 – occorre segnalare la presenza di un regolamento di semplificazione generale. La Regione Piemonte, infatti, interviene (con il regolamento n. 6) ad abrogare in modo espresso 67 regolamenti già implicitamente abrogati o, comunque, non più operanti o applicati, interessanti diverse materie di competenza regionale (19).
 
Tabelle:
 
 
 
NOTE
 
(1)        Per l’anno in esame rivestono tali caratteristiche le seguenti deliberazioni della Giunta regionale: d.g.r. n. 1334/2006, recante modifiche al regolamento dei corsi riconosciuti approvato con d.g.r. n. 2334/2004, ai sensi dell’art. 3 della l.r. n. 33/2003; d.g.r. n. 1984/2006, recante modifiche ed integrazioni alla d.g.r. n. 262872003, relativa alla disciplina della procedura di rilascio delle concessioni di derivazione e delle licenze di attingimento delle acque pubbliche della Regione Basilicata.
(2)        Si tratta, in particolare, dei regolamenti Emilia-Romagna nn. 2 e 3/2006, Liguria n. 1/2006, Piemonte n. 3/2006.
(3)        Si tratta del regolamento Liguria n. 2/2006.
(4)        Si tratta del regolamento Emilia-Romagna n. 5/2006.
(5)        Cfr. tabella 7 dell’Appendice 1, Rapporto 2006 sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea, Roma, 2007, p. 167.
(6)        La dimensione dei regolamenti emanati nel 2005 è riportata nella tabella 10 - che non comprende il dato delle Regioni Campania e Puglia - dell’Appendice 1 al Rapporto 2006 sulla legislazione, cit., p. 172.
(7)        V. Focus sulla produzione normativa nella VII legislatura regionale, in Rapporto sullo stato della legislazione 2004-2005 tra Stato, Regioni e Unione europea, Roma, 2005, in particolare tabella 4, p. 116 ss.
(8)        A partire dal 2001, infatti, si registrano incrementi quasi costanti: 11 regolamenti nel 2001, 10 nel 2002, 17 nel 2003 e 14 nel 2004. Il dato è riportato nella tabella 4 allegata al Focus sulla produzione normativa già citato.
(9)        V. Rapporto 2002 sullo stato della legislazione, Roma, 2003, p. 245.
(10)      Non mancano, però, alcune eccezioni. Nel 2006, nella Regione Trentino-Alto Adige non solo in termini assoluti ma anche rispetto all’ampiezza degli atti, la percentuale dei regolamenti sul totale della produzione normativa va sempre aumentando. È, infatti, pari al 76,5 % se calcolata sul numero di leggi e regolamenti e, rispettivamente, dell’87,2 % e del 91,6% se calcolata sul numero degli articoli e dei commi.
(11)      V., ad esempio, i regolamenti Piemonte nn. 7 e 13/2006, recanti modifiche al regolamento n. 1/2006 di disciplina delle acque meteoriche di dilavamento e delle acque di lavaggio di aree esterne; il regolamento Veneto n. 4/2006, di modifica al regolamento n. 1/2006, in materia di trattamento dei dati personali sensibili e giudiziari effettuato dal Consiglio regionale.
(12)      V., ad esempio, il regolamento Emilia-Romagna, di modifica al regolamento n. 4/2002, di disciplina della gestione faunistico-venatoria degli ungulati; il regolamento Lazio n. 3/2006, di modifica al regolamento n. 7/2005, emanato in attuazione della legge in materia di gestione delle risorse forestali l.r. n. 39/2002; il regolamento Lombardia n. 5/2006, di modifica al regolamento n. 1/2004, recante criteri generali per l’assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica; il regolamento Umbria n. 14/2006, di modifica al regolamento n. 4/2003, relativo alle modalità per l’acquisizione della qualifica di operatore socio-sanitario.
(13)      Si tratta dei regolamenti nn. 39, 48 e 51/2006 in attuazione della l.r. n. 1/2005.
(14)      Si tratta dei regolamenti nn. 366 e 376/2006 dettati in attuazione della l.r. n. 26/2005.
(15)      Si tratta del regolamento n. 4/2006 dettato in attuazione della l.r. n. 17/2005.
(16)      Più in particolare, si tratta di 4 regolamenti in materia di enti locali e decentramento (d.p.reg. n. 91/2006, d.p.reg. n. 92/2006, d.p.reg. n. 104/2006 e d.p.reg. n. 194/2006); di 2 regolamenti inerenti alla protezione della natura, tutela degli inquinamenti e gestione dei rifiuti (d.p.reg. n. 214/2006 e d.p.reg. n. 201/2006); di un regolamento, rispettivamente, nelle materie turismo (d.p.reg. n. 121/2006), casse di risparmio (d.p.reg.. n. 348/2006), territorio e urbanistica (d.p.reg. n. 202/2006), opere pubbliche (d.p.g.r. n. 248/2006), trasporti (d.p.reg. n. 245/2006), istruzione scolastica (d.p.reg. n. 228/2006), formazione professionale (d.p.reg. n. 235/2006), lavoro (d.p.reg.. n. 99/2006), beni culturali (d.p.reg. n. 250/2006), contabilità regionale (d.p.reg. n. 113/2006) e tributi regionali (d.p.reg. n. 372/2006).
(17)      V., in particolare, tabelle 4b nell’Appendice ai Rapporti sulla legislazione 2002 (p. 377) e 2003 (p. 434).
(18)      Cfr. d.p.g.r. Abruzzo n. 2/2006; d.c.r. Basilicata n. 168/2006; r.r. Emilia-Romagna n. 2 e n. 3/2006; r.r. Liguria n. 1/2006; r.r. Lombardia n. 8 e n. 9/2006; r.r. Marche n. 2/2006; r.r. Molise n. 4/2006; r.r. Piemonte n. 3/2006; d.p.g.r. Toscana n. 18/2006; d.p.p. Trento n. 26-79/Leg/2006; d.p.r. Trentino-Alto Adige n. 6/L/2006; r.r. Umbria n. 4/2006; r.r. Valle d’Aosta n. 1 e n. 2/2006; r.r. Veneto n. 1 e n. 2/2006.
(19)      Più in particolare i regolamenti abrogati riguardano: 7 l’agricoltura, 1 l’artigianato, 4 la caccia, 5 l’edilizia, 21 gli enti locali, 9 la formazione professionale, 1 la montagna, 4 l’organizzazione e il personale, 7 la sanità, 4 la tutela ambientale e l’energia, 1 l’urbanistica e 1 i tributi.



3. Leggi "ben fatte" e "buone" politiche: esperienze regionali
    a confronto (Aida Giulia Arabia)
 
3.1.  Considerazioni introduttive
 
I temi del riordino normativo, della qualità della legislazione e della valutazione delle politiche sono strettamente connessi. Anzi sono tre aspetti del medesimo obiettivo: rendere snella e utile l’attività legislativa.
L’attenzione crescente – da tempo anche a livello comunitario - alla valutazione degli effetti pregiudizievoli originati da una eccessiva produzione di norme spinge – ormai da molti anni – le Regioni (e lo Stato) a ridurre il volume delle regole per assicurare alla società civile condizioni ottimali di vivibilità. Ma le spinge, oltre che a “sfoltire” la massa normativa, anche ad una semplificazione di tipo preventivo, tanto nello spostare la disciplina di alcuni aspetti a fonti diverse dalla legge, quali ad esempio i regolamenti, quanto nell’operare una forte “delegificazione” a favore di atti della Giunta, del Consiglio o, genericamente, della Regione. Infine, le spinge anche ad una valutazione delle politiche intraprese, a volte con strumenti di valutazione preventiva che - se ben utilizzati – dovrebbero portare alla riduzione di leggi poco “fattibili”, a volte - e soprattutto nell’ultimo periodo - con strumenti di valutazione successiva all’emanazione degli atti. E questo per la crescente consapevolezza che il rafforzamento della funzione di controllo dei consigli rappresenta anche il modo migliore per avvicinare le istituzioni ai cittadini.
Il primo indice di qualità di un atto normativo è la buona redazione.
Il miglioramento del linguaggio normativo (1) – come già ricordato nei precedenti Rapporti - è assicurato dalle Regole di drafting contenute nel Manuale dell’OLI utilizzato - formalmente o in via di prassi - da quasi tutte le Regioni (2). Il testo del Manuale è attualmente in fase di revisione a seguito della costituzione, nel 2006, di un gruppo di lavoro interregionale, per impulso della Conferenza dei Presidenti dei Consigli regionali, d’intesa con l’Osservatorio legislativo interregionale. La revisione del testo mira allo sviluppo ulteriore di suggerimenti di tipo linguistico-comunicativo e alla condivisione delle modifiche da parte di tutte le Regioni e si basa su un processo che ha visto il coinvolgimento anche del Parlamento nazionale (3).
Ma fare buone leggi non vuol dire solo utilizzare un linguaggio semplice, chiaro e “accessibile”; fare buone leggi vuol dire anche applicare altre regole che rendano il testo normativo di facile comprensione.
Il riferimento va, ad esempio, alle leggi c.d. di manutenzione normativa che - anche se nell’accezione positiva rappresentano l’adeguamento alle trasformazioni e alle riforme – proprio per il loro frequente utilizzo, in tempi ravvicinati e spesso con interventi ripetuti sulla stessa legge, diventano, di fatto, un elemento di “inquinamento” della legge ma anche dell’intero complesso normativo (4).
Nel 2006, su 632 leggi emanate, 392 sono testi nuovi, 175 sono novelle e 65 sono stati redatti secondo tecnica mista (v. tabella A). Le leggi di manutenzione sul totale delle leggi emanate sono pari al 30,5% nelle Regioni ordinarie e al 17,9 % nelle Regioni speciali. Tra le prime è in testa la Regione Abruzzo con il 52,1% di leggi di manutenzione, ma anche il dato delle Regioni Marche, Toscana e Puglia non è trascurabile (rispettivamente, 40,9%, 35,3% e 35%). Tra le Regioni speciali è la provincia autonoma di Trento a registrare la percentuale di leggi di manutenzione più alta (41,7 %).
Situazione quasi simile nel 2005 quando su 595 leggi emanate, 377 erano testi nuovi, 169 erano leggi di manutenzione e 49 erano leggi di tecnica redazionale mista (v. tabella A1). La percentuale delle leggi di manutenzione sul totale delle leggi emanate era pari al 30,2 % nelle Regioni ordinarie e al 23,4 % nelle Regioni speciali. Tra le prime era in testa la Regione Basilicata con il 45,5 % di leggi di manutenzione, ma anche i dati delle Regioni Lazio (42,1 %), Marche (38,9%), Abruzzo (36,2 %), Liguria (35 %), Molise (34,6) e Toscana (34,5) erano significativi. Tra le Regioni speciali, invece, era la Regione Sardegna a registrare la percentuale di leggi di manutenzione più elevata (37,5 %).
Superare il fenomeno dell’eccessiva proliferazione di leggi di manutenzione dovrebbe essere un altro obiettivo per migliorare la qualità delle singole leggi ma anche dell’intero complesso normativo. Scegliendo, ad esempio, la strada della legge annuale di manutenzione generale o settoriale, forse il fenomeno potrebbe essere arginato, contribuendo anche ad alleggerire il peso di alcune leggi finanziarie, spesso contenenti numerosi interventi di modifica testuale di leggi. Ad esempio, la Regione Valle d’Aosta e la provincia di Bolzano, rispettivamente con l.r. n. 21/2006 e l.p. n. 11/2006, hanno operato, per il 2006, la manutenzione della legislazione in vari settori. Da ultimo anche la Regione Toscana, con la l.r. n. 40/2007 (legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2007) sembra “favorire” questa scelta. Accanto alle esperienze della legge generale di manutenzione, altre Regioni adottano, invece, leggi di manutenzione settoriale: ad esempio, il Veneto con i suoi collegati alle leggi finanziarie (5) e la Lombardia con le sue leggi di modifica (e/o integrazione) di leggi regionali in determinate materie (6).
 
3.2.  La semplificazione normativa e il riordino
 
Le Regioni - forse più dello Stato - sono da anni impegnate a realizzare obiettivi di semplificazione e di riordino normativo.
Anche nel 2006 si è manifestato l’impegno a combattere l’inflazione e la stratificazione delle leggi nel tempo, sia attraverso l’emanazione di vere e proprie leggi di semplificazione legislativa (e normativa), sia attraverso le leggi regionali di settore, i testi unici e le leggi finanziarie che includono con più frequenza abrogazioni esplicite (totali o parziali) di leggi e regolamenti in luogo di formule di abrogazione implicite – vaghe e generiche – che certamente non facilitano gli utenti (cittadini ed operatori) nell’individuazione della disciplina applicabile. L’uso di abrogazioni “innominate”, tanto diffuso in passato, permane ancora però in alcune leggi regionali.
Accanto alle leggi di abrogazione generale o settoriale di cui si è dato conto nei Rapporti degli anni precedenti ed ai quali si rinvia, merita di essere segnalato, per il 2006, il terzo provvedimento di semplificazione della Regione Liguria (l.r. n. 31/2006), che abroga 36 leggi e 23 regolamenti regionali – elencati in due distinti allegati - già implicitamente abrogati o, comunque, non più operanti o applicati.
Accanto alle leggi di semplificazione legislativa e/o normativa, una attenzione particolare è da riservare all’iniziativa della Regione Piemonte che emana un regolamento di semplificazione generale. La Regione, infatti, come già avvenuto, nel 2005, in sede di “disboscamento” legislativo, interviene (con il regolamento n. 6), in attuazione dell’art. 48 dello statuto, a razionalizzare l’ordinamento normativo regionale, abrogando in modo espresso 67 regolamenti già implicitamente abrogati o, comunque, non più operanti o applicati, interessanti diverse materie di competenza regionale.
Due Regioni intervengono a “ripulire” l’ordinamento attraverso lo strumento della legge finanziaria. Utilizzare la finanziaria per realizzare obiettivi diversi dalla manovra di bilancio – intervenendo, ad esempio, con ampie e, a volte, sostanziali modificazioni di leggi in vigore e inserendo in esse numerose disposizioni autonome di rilievo in diversi settori di competenza regionale – è, come più volte messo in luce nei vari anni, un fenomeno ancora molto diffuso in alcune Regioni. La Regione Lazio e la provincia autonoma di Trento, rispettivamente, con la legge finanziaria 2006 (l.r. n. 4/2006) e con la legge finanziaria 2007 (l.p. n. 11/2006), intervengono a “disboscare” l’ordinamento di 54 legge regionali, la prima, e di 28 leggi per intero, 39 leggi parzialmente e una legge regionale già recepita nell’ordinamento provinciale, la seconda.
La riduzione del volume della legislazione è accompagnata, in molte Regioni, anche dalla predisposizione e dall’elaborazione di una serie di provvedimenti organici che prevedono il riordino complessivo di interi settori o di importanti subsettori e campi di attività, la previsione, in alcuni casi, di ampie delegificazioni della materia/settore e l’abrogazione contestuale della normativa preesistente.
Nel 2006, ad esempio, su 632 leggi emanate sono state abrogate 449 leggi per intero (v. tabella B) e numerose disposizioni e di esse il numero maggiormente significativo si rinviene soprattutto nell’ambito delle leggi di riordino (e nei testi unici). Nella Regione Umbria, ad esempio, la l.r. n. 18/2006, di riordino in materia di turismo – previa clausola di abrogazione implicita di tutte le norme contrarie o incompatibili con la legge di riferimento - abroga espressamente 60 leggi (emanate dal 1972 al 1984) e 4 regolamenti regionali (emanati dal 1988 al 2003).
Naturalmente le abrogazioni sopraindicate non includono le abrogazioni differite a data certa o al verificarsi di un evento, che pure risultano, in alcune Regioni in particolare, molto numerose. Ad esempio, nella Regione Friuli Venezia Giulia sono previste ben 158 abrogazioni (95 a data certa e 63 condizionate). Inoltre, non sono trascurabili le indicazioni della Regione Liguria e della provincia di Trento che segnalano, rispettivamente, 21 e 12 abrogazioni “condizionate” all’emanazione di altri atti.
Anche se in alcune Regioni il ricorso alle leggi di riordino è ancora un intervento occasionale e non sistematico - nel 2006 così come nel 2005 - sono state emanate 50 leggi ascrivibili a tale tipologia, pari al 7,9 % del totale delle leggi emanate: il 18,9 % sul totale delle leggi emanate nelle Regioni speciali e il 4,9 % sul totale di quelle emanate nelle Regioni ordinarie (v. tabella C) (7). In alcune di esse (Sardegna, province di Bolzano e di Trento, Piemonte) sembra prevalere maggiormente l’impegno a disciplinare in modo completo e con unica legge una data materia. Più nel dettaglio, le leggi di riordino nella prima Regione richiamata rappresentano il 47,6 % delle leggi emanate; si attestano al 31,3 % nella provincia di Bolzano e al 25 % nella provincia di Trento; arrivano, infine, al 20 % nella Regione Piemonte.
Resta sempre poco significativo, così come già segnalato nel 2005, il ricorso ai testi unici. Nell’anno in esame ne sono stati approvati tre: la l.r. n. 33/2006 della Regione Liguria - testo unico in materia di cultura - che abroga 16 leggi regionali; la l.r. n. 9/2006 della Regione Marche - testo unico in materia di turismo - che abroga 27 leggi regionali per intero e numerose disposizioni di altre leggi regionali in materia; la l.r. n. 29/2006 della Regione Lombardia - testo unico delle leggi regionali in materia di circoscrizioni comunali e provinciali - che abroga 53 leggi regionali. Quest’ultimo testo unico è seguito alla legge n. 7 dello stesso anno con la quale la Regione Lombardia - colmando in tal modo il vuoto riempito da altre Regioni in sede di approvazione della nuova carta statutaria - al fine del riordino e della semplificazione della normativa regionale vigente, ha disciplinato le modalità e le procedure per la redazione e l’approvazione di testi unici, riguardanti materie o settori omogenei. Si tratta di testi meramente compilativi e ricognitivi della normativa esistente; non è contemplata, dunque, l’emanazione di testi unici a contenuto innovativo. Al testo unico richiamato è seguita, nel 2007, l’emanazione del testo unico in materia di turismo (l.r. n. 15) e di quello in materia di istituzione di parchi (l.r. n. 16). Attualmente è all’esame della commissione consiliare competente in materia di affari istituzionali un altro testo unico riguardante il terzo settore.
Infine, sempre con l’obiettivo dell’alleggerimento e della semplificazione del corpus normativo, continua ad essere presente nella legislazione regionale e, in modo più evidente nelle leggi di riordino settoriale, la tendenza a “delegificare” – a rinviare cioè a successivi atti non legislativi - già rinvenuta negli anni più recenti in modo marcato in alcuni ordinamenti regionali (8). Nelle leggi del 2006, gli atti non legislativi cui il legislatore rinvia maggiormente sono quelli della Giunta (9). Su 632 leggi emanate, 227, pari al 35,9 % del totale, prevedono l’adozione di atti dell’Esecutivo, mentre solo 70, pari all’11,1 % del totale, riguardano l’adozione di atti del Consiglio (10). Il numero totale di atti di Giunta da adottare è pari a 1046, mentre quelli del Consiglio ammontano a 114 (v. tabelle D ed E). Naturalmente anche in questo caso le differenze tra Regioni risultano sostanziali. Tra le Regioni ordinarie, ad esempio, Lazio e Liguria sono in testa con, rispettivamente, 154 e 116 atti di Giunta da adottare, ma anche il numero degli atti da emanare delle Regioni Piemonte, Abruzzo, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna non è trascurabile. Tra le Regioni speciali, invece, il dato più rilevante è quello delle Regioni Sardegna e Friuli Venezia Giulia con, rispettivamente, 192 e 106 atti da emanare. Quanto, infine, agli atti di Consiglio, poco significativi risultano i dati delle Regioni ordinarie, mentre, tra le speciali, è sempre la Regione Sardegna che registra un numero rilevante di atti da adottare (32).
 
3.3.  La valutazione della progettazione legislativa
 
La razionalizzazione normativa è, come sottolineato in precedenza, un obiettivo realizzato in molte Regioni e, sicuramente, da avviare in alcune di esse. Ma le semplificazioni da sole non bastano. L’abrogazione delle numerose leggi superate, la redazione di leggi di riordino e di testi unici in luogo della pluralità di leggine che proliferavano negli anni meno recenti, deve essere accompagnata dall’utilizzazione di altri strumenti diretti a “comprimere” il ricorso ad ulteriori atti di difficile applicazione.
Come già evidenziato nei Rapporti degli anni precedenti, durante la fase di progettazione legislativa non viene rivolta grande attenzione all’uso di strumenti di valutazione. Il problema delle ricadute applicative delle leggi - tanto caro agli studiosi già a partire dagli anni settanta – è stato in pratica poco affrontato e questo sicuramente per una serie di difficoltà oggettive. La prima è sicuramente lo scarso sviluppo di forme di collaborazione tra gli uffici del Consiglio e della Giunta. Se si escludono i casi delle Regioni Emilia-Romagna, Lombardia, Marche, Piemonte e Veneto - dove sono molto frequenti, a volte anche per intese e accordi formali, la costituzione di gruppi di lavoro tra funzionari dell’Esecutivo e del legislativo o, comunque, scambi di informazioni e di documentazione, soprattutto in vista della preparazione delle c.d. relazioni di “ritorno” – nelle altre Regioni il “dialogo” tra assemblea e Giunta è occasionale e spontaneo o addirittura assente. La seconda difficoltà riguarda l’inadeguatezza quantitativa e, a volte, qualitativa, del personale delle strutture amministrative preposte alla valutazione preventiva (e successiva) all’emanazione dell’atto legislativo (v. di seguito nelle conclusioni). La terza, infine, è legata alla non coincidenza dei tempi di elaborazione dell’analisi di fattibilità con i tempi della politica.
Solo in alcune Regioni - per quei progetti di legge che disegnano politiche complesse e che presuppongono azioni difficili da gestire perchè, ad esempio, prevedono il coinvolgimento di una pluralità di soggetti istituzionali – vengono elaborate schede preventive di fattibilità. Ma, come più volte sottolineato negli anni da alcune Regioni, le relazioni di fattibilità finora elaborate non hanno inciso molto sulla redazione delle norme e sul dibattito che precede la loro approvazione. Spesso, infatti, sono volutamente sintetiche, il che fa supporre che in realtà si intenda nascondere l’irragionevolezza o la mancanza di interesse dell’intervento. Al fine di valorizzare e rendere incisiva l’attività legislativa, le relazioni dovrebbero fornire, invece, dati concreti, verificabili, significativi e, dunque, utili al dibattito politico.
Un indice dell’insufficiente studio sull’applicabilità dei procedimenti normativi (prima della loro applicazione) potrebbe essere letto nella presenza di leggi (e spesso anche di regolamenti) modificati poco dopo la loro approvazione. Gli esempi sono numerosi. Per restare solo al 2006, sono state modificate nello stesso anno di promulgazione la legge della Regione Basilicata relativa al sostegno all’Università della Regione per la promozione di uno sviluppo regionale di qualità (11); le leggi della Regione Liguria sull’ordinamento degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico non trasformati in fondazione, sull’istituzione e disciplina del sistema regionale del servizio civile, sulla promozione del sistema integrato di servizi sociali e sociosanitari, sugli interventi in materia di diritto all’istruzione e alla formazione, nonché sull’istituzione del Consiglio regionale dell’economia e del lavoro (12); le leggi della Regione Toscana in materia di responsabilità sociale delle imprese e di tutela delle acque dall’inquinamento (13).
L’esigenza della verifica della fattibilità di un progetto di legge si è molto manifestata in sede di elaborazione dei nuovi statuti. In quelli delle Regioni Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Toscana e Umbria, ad esempio, si rinvengono disposizioni dedicate all’analisi preventiva dei progetti di legge ai fini della valutazione della congruità e degli effetti dell’intervento. In altre Regioni (ad esempio, Lombardia e Piemonte) l’analisi di impatto della regolamentazione trova, invece, disciplina in apposite leggi (14). Nel 2006, la Giunta della Regione Lombardia ha avviato una sperimentazione sull’AIR su due casi di studio (15).
E’ diffuso ma non generalizzato, invece, prevedere – a volte nelle schede per l’istruttoria legislativa di leggi di particolare rilevanza, a volte in via informale durante l’analisi tecnico-normativa espletata dagli uffici legislativi prima dell’assegnazione dei progetti di legge alla commissione consiliare competente - controlli sulla coerenza ai principi dell’ordinamento costituzionale e, in particolare, a quelli contenuti nel Titolo V della Costituzione (Abruzzo, Lombardia, Marche, Toscana, Veneto); controlli sulla coerenza normativa rispetto alla restante disciplina normativa regionale e rispetto alla legislazione nazionale di principio (Abruzzo, Lombardia, Marche, Toscana, provincia di Bolzano); controlli sulla coerenza finanziaria nel caso che il progetto di legge preveda oneri a carico del bilancio regionale (Abruzzo, Basilicata, Liguria, Marche, Molise, Toscana, Veneto, province di Bolzano e Trento, Sicilia). In Liguria quest’ultimo controllo avviene in sede di parere di compatibilità finanziaria della competente commissione. In Umbria il servizio legislazione cura, per ogni progetto di legge, la redazione di una check list istruttoria (strumento approvato già dal 2001) dalla quale emergono gli esiti dei controlli suindicati. I medesimi controlli sono effettuati sui disegni di iniziativa della Giunta e sui regolamenti dal Comitato legislativo, istituito nel 2001 presso l’Esecutivo, mediante parere preventivo obbligatorio, reso al fine di garantire la qualità dei testi, il rispetto della normativa comunitaria e statale applicabile, la coerenza con le disposizioni statutarie e l’armonia con le disposizioni statali e regionali relative alla semplificazione, all’economicità dei procedimenti e dell’azione amministrativa, al decentramento delle funzioni ed alla coerenza con le riforme istituzionali. In Emilia-Romagna, la proposta del nuovo regolamento interno (artt. 47 e 48 ) prevede per i progetti di legge, su richiesta del presidente, sentiti i vicepresidenti e i relatori, la scheda tecnico-normativa e la scheda tecnico-finanziaria per i progetti di legge che comportano conseguenze economiche. Inoltre, sempre nella Regione richiamata, l’art. 69 dello Statuto (analogamente a quanto disposto – in genere - negli altri statuti approvati a seguito della riforma del Titolo V) ha previsto il parere della Consulta di garanzia statutaria, circa la conformità delle leggi e dei regolamenti allo Statuto, nei casi e nei modi che saranno previsti dal regolamento.
 
3.4.  La valutazione delle politiche
 
Le assemblee legislative non devono solo produrre norme tecnicamente conformi alle regole di drafting ma - soprattutto dopo i nuovi assetti istituzionali generati dalla riforma del Titolo V della Costituzione – sono chiamate a responsabilità che vanno dalla valutazione degli effetti che esse producono sulla collettività al superamento degli ostacoli che esse incontrano nella fase dell’attuazione. Ed è soprattutto in quest’ultimo periodo che, accanto agli strumenti di valutazione ex ante, sembra affermarsi un tipo di valutazione successiva all’emanazione degli atti legislativi. In alcune Regioni, infatti, incominciano a consolidarsi meccanismi che favoriscono la valutazione degli effetti prodotti sui destinatari delle norme introdotte e si individuano strumenti, tempi e modalità di controllo dell’attività e della valutazione dell’efficacia di un intervento normativo. Un ruolo importante in tal senso ha giocato e continua a giocare il Progetto CAPIRe (Controllo delle assemblee sulle Politiche e gli Interventi regionali) promosso e direttamente finanziato, dal mese di marzo 2006, dalla Conferenza dei Presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle Province autonome. Al progetto - nato nel 2002 per iniziativa di 4 Regioni promotrici (Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Toscana) allo scopo di diffondere l’utilizzo di strumenti innovativi per il controllo sull’attuazione delle leggi e la valutazione dell’efficacia delle politiche in seno ai consigli regionali - aderiscono attualmente 16 assemblee legislative (16). Al fine tra l’altro di elaborare idee, strategie e nuovi strumenti per migliorare le capacità di controllo sull’attuazione delle leggi e di valutazione dell’efficacia delle politiche, nel mese di giugno 2007, si è tenuto a Matera il primo convegno nazionale del progetto CAPIRe. Durante i lavori è stata discussa e approvata la Carta di Matera (17): un documento di indirizzo contenente dieci obiettivi operativi (18) per un programma di lavoro comune delle assemblee legislative, volto a consolidare le attività di controllo e valutazione nelle diverse aree territoriali. Dieci punti che possono diventare strategici per ripensare al ruolo delle assemblee elettive e per migliorare gli strumenti attraverso i quali le amministrazioni regionali rendono conto ai cittadini dell’impiego delle risorse pubbliche e dei risultati raggiunti.
Le Regioni e alcune in modo costante, già da tempo, prevedono, soprattutto nelle leggi che attuano politiche complesse e articolate, “formule” per consentire il controllo e il monitoraggio degli effetti da esse prodotti. Si passa da relazioni che la Giunta deve presentare al Consiglio - contenenti informazioni sullo stato di attuazione degli interventi - all’istituzione di organismi variamente denominati (consulte, comitati, conferenze, osservatori) con finalità di monitoraggio e, spesso, anche di vigilanza sull’applicazione degli interventi. In molti casi, però, queste relazioni – vaghe e generiche – risultano poco utili all’instaurazione di un serio processo conoscitivo. Uno strumento nuovo e significativo potrebbe, invece, essere quello della clausola valutativa - specifico articolo di legge attraverso il quale si dà mandato informativo ai soggetti incaricati dell’attuazione della legge di raccogliere, elaborare e comunicare all’organo legislativo una serie di informazioni selezionate – da inserire solo nelle leggi di notevole rilevanza e, soprattutto, nei casi in cui il controllo dei legislatori risulti necessario come, ad esempio, nelle leggi che prevedono l’impegno di ingenti risorse finanziarie e il controllo sul loro utilizzo da parte dei soggetti attuatori.
Le prime clausole valutative si trovano già in alcune leggi regionali del 2001 e, da quella data in poi, sempre più consigli regionali inseriscono questo nuovo strumento nelle leggi emanate. Le informazioni raccolte (originate dalla clausola) dovrebbero servire a conoscere tempi e modalità di attuazione della legge, ad evidenziare eventuali difficoltà emerse nella fase di implementazione e a valutare le conseguenze che ne sono scaturite per i destinatari diretti e, più in generale, per l’intera collettività. Nel 2006, sono state inserite 21 clausole valutative in altrettante leggi regionali (di 7 Regioni) contro le 17 dell’anno precedente (v. tabella F).
Altre 14 leggi regionali, sempre dell’anno di riferimento, prevedono, poi, altre formule per consentire il controllo e il monitoraggio degli effetti prodotti da alcune leggi che attuano politiche complesse. In queste ultime leggi – per citare solo qualche esempio - si parla di relazioni periodiche che la Giunta deve presentare al Consiglio (es. l.r. Abruzzo n. 7/2006, l.r. Molise n. 20/2006 e l.r. Toscana n. 25/2006), di valutazione degli interventi (es. l.r. Friuli Venezia Giulia n. 11/2006), di monitoraggio e controllo (es. l.r. Liguria n. 11/2006 ), di monitoraggio e valutazione (es. l.r. Sardegna n. 9/2006). Inoltre, la Regione Lazio, nella legge finanziaria per il 2007 (l.r. n. 27/2006), nella norma dedicata all’approvazione di un codice etico per l’azione amministrativa regionale (art. 7), prevede - tra le modalità di monitoraggio e controllo che il Consiglio dovrà adottare rispetto alle attività finanziate con fondi pubblici regionali, statali e comunitari - l’inserimento di clausole valutative nei provvedimenti legislativi. Infine, da segnalare il caso della Regione Toscana che ha previsto un sistema di monitoraggio anche in 2 deliberazioni consiliari: la prima, di approvazione del programma degli investimenti sulla produzione di energia per le aree rurali (19), la seconda, di approvazione del programma forestale regionale (20).
A partire dal 2005, le strutture di alcune assemblee legislative (Ufficio “Analisi leggi e Politiche regionali” della Lombardia e Settore “Analisi della normazione” della Toscana) hanno avviato la pubblicazione periodica di “Note informative” sull’attuazione delle politiche regionali. Si tratta di documenti sintetici - elaborati a partire dalle informazioni contenute nelle relazioni predisposte dagli uffici della Giunta - che descrivono i risultati ottenuti e le criticità emerse nella fase di implementazione degli interventi regionali e, a volte, suggeriscono alcuni approfondimenti da sviluppare nelle relazioni periodiche di Giunta. In particolare, nel 2006 sono state elaborate 8 note informative, 4 dalla Regione Lombardia e 4 dalla Regione Toscana, relative all’attuazione di altrettante leggi regionali (21). Nel 2007, oltre alla Nota informativa di aggiornamento della Regione Lombardia sul processo di attuazione della l.r. n. 28/2004, si segnala anche la Nota informativa della Regione Friuli Venezia Giulia - elaborata dal “Servizio per l’assistenza giuridico-legislativa in materia di attività sociali e culturali” - relativa all’attuazione della legge sugli incentivi per lo sviluppo competitivo delle piccole e medie imprese (l.r. n. 4/2005) (22).
Il passo successivo all’elaborazione di documenti interessanti la valutazione degli effetti delle leggi dovrebbe essere l’apertura del dibattito politico per far sì che dal confronto e dalla discussione il legislatore possa rettificare errori e superare le difficoltà applicative emerse. Quello che per ora si registra è la presentazione e, in alcuni casi la discussione, dei documenti “per la valutazione” (relazioni, note informative, rapporti ex post) in seduta di commissione (esempio, Emilia-Romagna, Marche e Veneto). In alcuni casi il confronto con le strutture della Giunta avviene anche nell’ambito di seminari dedicati all’attuazione di determinate politiche regionali. Così, ad esempio, è avvenuto in Lombardia nel 2006, in occasione del seminario di approfondimento sulle politiche regionali per il coordinamento dei tempi delle città – promosso dalla commissione consiliare affari istituzionali - al quale hanno partecipato funzionari del Consiglio, funzionari dell’Esecutivo incaricati dell’attuazione della l.r. n. 28/2004 e amministratori dei comuni che hanno avviato i progetti per i piani territoriali degli orari. In Veneto, inoltre, anche l’Osservatorio sulla spesa regionale – istituito presso la commissione competente in materia di bilancio con il compito di monitorare e verificare gli effetti diretti e indiretti delle leggi di spesa – ha presentato i suoi lavori in commissione. Più in particolare l’attività dell’Osservatorio si è concentrata nella raccolta ed elaborazione di informazioni dirette a comprendere lo stato dell’attuazione delle norme, il ruolo e le reazioni dei diversi attori (istituzionali e non) coinvolti nell’implementazione della legge, i risultati raggiunti e gli effetti provocati sui soggetti destinatari delle diverse leggi di spesa.
 
3.5.  In conclusione

Le Regioni, anche se non in modo generalizzato, hanno investito e continuano ad investire molto sul tema della qualità della normazione. Qualità che parte, come già messo in luce nel Rapporto dell’anno precedente, dalla buona redazione di un testo normativo, passa per la semplificazione e il riordino, arriva alla valutazione e al controllo degli effetti prodotti dagli interventi normativi, toccando, quindi, in ultima analisi, il buon andamento del sistema politico.
Quanto al primo aspetto le Regioni, come sottolineato in premessa, non trascurano il “linguaggio” della normazione e subito dopo le modifiche del 2002, nell’anno in esame avviano una ulteriore revisione del Manuale regionale di drafting, allo scopo di sviluppare e precisare ulteriormente i suggerimenti di tipo linguistico-comunicativo con l’apporto di professionisti della materia.
Quanto al tema delle semplificazioni le Regioni, forse più dello Stato, continuano a manifestare grande impegno e interesse. La potatura dei rami secchi, negli ordinamenti regionali, è resa più semplice sicuramente dalla “scarsa” quantità della produzione normativa e dall’essere caratterizzata, soprattutto, fino agli anni novanta, da un carattere provvedimentale. Infine, la semplificazione a livello regionale non ha bisogno di periodicità. Infatti, per come è realizzata, tende ad avere effetti stabili nel tempo. Altra cosa è il processo di semplificazione della normativa statale che, proprio per essere molto stratificata, necessita di interventi di revisione costante e di verifiche periodiche dei risultati raggiunti. Nelle Regioni che hanno, ad esempio, operato una forte “pulitura” il numero delle leggi vigenti risulta molto contenuto. Ad esempio nella Regione Lombardia che, soprattutto negli ultimi anni è intervenuta con leggi di abrogazione generale, le leggi in vigore, a dicembre 2006, risultano 679 (1985 leggi emanate-1306 leggi abrogate), pari a circa il 34% del totale della produzione legislativa dal 1970 ad oggi. Il periodo più significativo è quello della VII legislatura con 624 leggi abrogate e 151 leggi approvate (23). Così come nella Regione Toscana, dove le leggi in vigore alla fine del 2006 risultano 548 (24). Sottraendo questo dato dalle 2694 leggi emanate (dal 1971 al 2006) risultano abrogate 2146 leggi e questo soprattutto ad opera dei tre provvedimenti di semplificazione normativa emanati nel 1999 (l.r. n. 12) , nel 2000 (l.r. n. 19) e nel 2002 (l.r. n. 11).
Quanto al tema della valutazione, le Regioni sembrano interessarsi molto alla sperimentazione di nuovi strumenti e di nuovi istituti. Di molte iniziative già in corso si è dato conto nel testo ma molte altre meriterebbero di essere avviate. Più in particolare, per giocare al meglio la partita della valutazione, le Regioni dovrebbero puntare su strutture e personale adeguato. Molti consigli regionali hanno, negli ultimi anni, rimodellato l’organizzazione interna costituendo strutture ad hoc perassistere i legislatori nella fase di verifica dell’attuazione delle leggi e nella promozione di studi sull’impatto delle politiche. Ma il problema non è solo istituire uffici per indirizzare al meglio la funzione di controllo. Il problema è dotare le strutture di personale e anche di mezzi adeguati alla missione per la quale sono state create. Spesso gli uffici, pur essendo il personale qualitativamente adeguato ai compiti da svolgere, risulta numericamente appena sufficiente. Quasi tutte le Regioni, infatti, lamentano la diminuzione del personale e la mancanza di nuove assegnazioni. Fenomeno che favorisce spesso l’incremento di consulenze e di assistenza tecnico-giuridica esterna. Ma lamentano anche la scarsità di figure professionali con competenze, ad esempio, economiche, statistiche, sociologiche e politologiche, disponendo delle quali si potrebbe, invece, realizzare un approccio multidisciplinare soprattutto nella fase di valutazione ex post.
Per cercare di risolvere e superare quest’ultimo problema, le Regioni impegnano annualmente una parte delle risorse nella formazione del personale. In molte di esse è proseguita, anche nel 2006 (in particolare nelle Regioni Lombardia e Friuli Venezia Giulia) così come nel 2007 (in particolare, nelle Regioni Marche, Piemonte, Sardegna e Veneto), un’intensa attività di formazione del personale soprattutto nell’ambito del progetto CAPIRe. Si è trattato, in particolare, di corsi introduttivi per funzionari (della durata di 2 o 3 giorni) che in seno all’assemblea legislativa svolgono o dovranno svolgere attività di assistenza all’esercizio della funzione di controllo e di valutazione delle politiche e di una serie di lezioni di approfondimento (della durata di mezza giornata) su alcuni argomenti specifici. In alcuni casi i corsi, oltre che ai funzionari del Consiglio coinvolti nel processo legislativo, vengono estesi anche ai funzionari di Giunta. E’ auspicabile che quest’ultima esperienza diventi una regola proprio per preparare la necessaria collaborazione che richiede l’attività di controllo e superare “vecchi” modelli legati all’istituto del sindacato ispettivo sull’operato della Giunta. In altri casi i corsi sono estesi anche ai consiglieri e ai presidenti di commissione. Infine, sempre nell’ambito del Progetto CAPIRe, è in programma un corso di alta formazione (della durata di 2 anni) interamente dedicato ai temi dell’analisi e della valutazione delle politiche pubbliche. L’esigenza nasce dalla necessità di ipotizzare l’inserimento di un’altra figura professionale: l’analista di politiche. Le specializzazioni dei funzionari e dei dirigenti delle assemblee legislative rientrano, infatti, quasi esclusivamente nella sfera giuridica che da sola non riesce più a coprire le nuove sfide connesse all’esercizio della “rinnovata” funzione di controllo.
La partita si gioca, dunque, sulla valutazione delle politiche, perchè se qualità è poter individuare facilmente la regola da applicare, questo è tanto più possibile quanto meno atti normativi regolino la medesima materia, ma anche e forse soprattutto, quanto migliori siano le regole poste e “fattibili” (e periodicamente valutabili) i risultati attesi.
In questa ottica, merita segnalare due ulteriori strumenti di indubbia rilevanza siglati in tempi recenti:
- l’accordo del 29 marzo 2007 tra Stato, Regioni ed Autonomie locali in sede di Conferenza unificata in materia di semplificazione e miglioramento della qualità della regolamentazione (25). Tale accordo, che dà attuazione al disposto dell’articolo 2 della legge 28 novembre 2005, n. 46, tratta i seguenti temi: la valutazione delle politiche legislative; la semplificazione e comunicazione legisalativa; la riduzione degli oneri amministrativi; il drafting normativo e la qualità della regolazione, la formazione del personale. Alcune di tali tematiche hanno costituito oggetto, negli ultimi anni, di un lavoro comune tra Giunte e Consigli e di particolari approfondimenti presso le Assemblee legislative regionali;
- il protocollo di intesa del 28 giugno 2007 fra il Senato della Repubblica, la Camera dei deputati e la Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome per l’istituzione di un comitato paritetico, chiamato a svolgere funzioni di consultazione e di approfondimento in merito ai rapporti tra i diversi livelli territoriali, al ruolo degli organi rappresentativi nei processi decisionali, all’organizzazione ed al funzionamento delle Assemblee, nonché con riguardo ai metodi della legislazione.
I presupposti dunque ci sono, la partita è difficile ma le Regioni hanno tutte le potenzialità per vincerla.
 
NOTE
 
(1)  Il problema della qualità redazionale si presenterà, a breve, anche per gli atti amministrativi data, soprattutto in alcune Regioni, la forte “delegificazione” che si sta operando. La Regione Emilia-Romagna, ad esempio, si è posta il problema nella proposta del nuovo regolamento interno - già licenziata dalla VI commissione ed in attesa di esame in aula - prevedendo nell’art. 94 alcune regole in materia di linguaggio degli atti amministrativi. La Regione Toscana, invece, applica le regole del Manuale in via informale e solo per quelle regole applicabili in via analogica anche agli atti amministrativi.
(2)    Non tutte le Regioni che hanno adottato il Manuale ne rispettano le regole con rigore. V., ad esempio, le segnalazioni della Regione Abruzzo evidenziate nella nota 13 del capitolo su “Le leggi finanziarie regionali per il 2007”, in questo volume.
(3)    Si segnala in proposito che il protocollo di intesa fra il Senato della Repubblica, la Camera dei deputati e la Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e Province autonome per l’istituzione di un Comitato paritetico, siglato il 28 giugno 2007, indica tra i compiti del Comitato stesso “lo sviluppo e il coordinamento delle tecniche di buona legislazione” e fa seguito all’impegno all’unificazione dei manuali di drafting in uso – rispettivamente – presso le istituzioni statali e regionali, già assunto dalle Assemblee legislative statali e regionali in occasione della riunione interistituzionale tenutasi l’8 novembre 2004.
(4)     A titolo di esempio, la l.r. Toscana n. 24/2006 di modifica della legge sul governo del territorio (l.r. n. 1/2005) è stata modificata, nello stesso anno, dalla l.r. n. 29.
(5)        Cfr. i tre collegati alla finanziaria 2006, rispettivamente, riordino e semplificazione normativa in materia di agricoltura, foreste, economia montana e caccia (l.r. n. 15/2006); sport, turismo, formazione e cultura (l.r. n. 16/2006); urbanistica, cartografia, pianificazione territoriale e paesaggistica, aree naturali protette, edilizia residenziale pubblica, viabilità, mobilità e trasporti a fune (l.r. n. 18/2006).
(6)        L.r. n. 3/2006, modifiche a leggi regionali in materia di agricoltura; l.r. n. 11/2006, modifiche e integrazioni alle leggi regionali in materia di commercio, fiere e mercati.
(7)        Per il 2005, cfr. tabella C1.
(8)        V., ad esempio, Regione Emilia–Romagna, Assemblea legislativa, Quinto Rapporto sulla legislazione, VIII legislatura, p. 102 ss.
(9)        Alcuni rinvii sono a regolamenti regionali, per altri si tratta di rinvii a delibere, direttive e atti con cui la Giunta definisce criteri e modalità per la concessione di contributi, sovvenzioni, ausili o per l’individuazione dei soggetti beneficiari.
(10)      Si tratta a volte di regolamenti, a volte di atti di approvazione di piani, indirizzi e programmi.
(11)      Si tratta della l.r. n. 12/2006 modificata dalla l.r. n. 31/2006.
(12)      Si tratta delle ll.rr. nn. 7, 11, 12, 15 e 16/2006 modificate dalla l.r. n. 26/2006.
(13)      Si tratta della l.r. n. 17/2006 modificata dalla l.r. n. 56/2006 e della l.r. n. 20/2006 modificata dalla l.r. n. 60/2006.
(14)      V. l.r. Lombardia n. 1/2005 (legge di semplificazione 2004) e l.r. Piemonte n. 13/2005 (legge regionale di semplificazione e disciplina dell’impatto della regolamentazione).
(15)      Rispettivamente, “tutela della proprietà intellettuale” e “sperimentazione di forme abitativo-residenziali per disabili”.
(16)      Oltre ai consigli delle 4 Regioni promotrici fanno parte del Progetto le assemblee della provincia autonoma di Trento e delle Regioni Abruzzo, Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Trentino-Alto Adige, Umbria e Veneto. L’Assemblea della Regione siciliana, pur non avendo aderito formalmente al Progetto, ha designato un funzionario a seguire i lavori del Comitato tecnico.
(17)      La Cartaè stata sottoscritta da 12 consigli regionali (Abruzzo, Basilicata; Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Puglia, Veneto e Trentino-Alto Adige). Altre 5 assemblee legislative hanno comunicato la volontà di sottoscrivere il documento (provincia autonoma di Trento, Toscana, Piemonte, Sardegna e Umbria).
(18)      I dieci impegni contenuti nella Carta sono: I) dare una risposta concreta all’esigenza di accountability democratica; II) generare conoscenza condivisa sul funzionamento e i risultati delle politiche adottate, perseguendo una logica non partisan;III) promuovere meccanismi legislativi e strumenti di lavoro che consentano di porre domande incisive sull’attuazione delle leggi e gli effetti delle politiche; IV) destinare tempo e risorse alle attività di controllo e valutazione; V) garantire l’esistenza e potenziare il ruolo di strutture tecniche altamente specializzate nel fornire assistenza al controllo e alla valutazione; VI) investire nella formazione di una nuova figura professionale che abbia competenze adeguate nell’analisi e nella valutazione delle politiche pubbliche; VII) gestire i processi informativi e mantenere alta l’attenzione sui loro esiti; VIII) migliorare la capacità di interlocuzione e di dialogo con l’Esecutivo; IX) divulgare gli esiti del controllo e della valutazione, sia all’interno che all’esterno dell’Assemblea; X) allargare i processi decisionali e creare occasioni di partecipazione.
(19)      Deliberazione Consiglio regionale n. 119/2006.
(20)      Deliberazione Consiglio regionale n. 125/2006.
(21)      Si tratta per la Lombardia delle note nn. 4, 5, 6 e 7, relative alle ll.rr. n. 28/2004 (coordinamento e amministrazione tempi delle città), n. 2/2003 (programmazione negoziata), n. 34/1996 (agevolazione credito imprese artigiane), n. 6/2003 (tutela dei consumatori); per la Toscana delle note nn. 4, 5, 6 e 7, relative la n. 4 e la n. 7 alla l.r. n. 30/2003 (disciplina attività agrituristiche), la n. 5 alla l.r. n. 49/2003 (tasse automobilistiche regionali) e la n. 6 alla l.r. n. 18/2002 (introduzione prodotti biologici nelle mense pubbliche).
(22)      Le Note si possono leggere in www.capire.org>attività>note informative.
(23)      Consiglio regionale della Lombardia, VIII legislatura, Rapporto 2006 sullo stato della legislazione e sul rendimento istituzionale del Consiglio regionale, gennaio-dicembre 2006, p. 58.
(24)      Regione Toscana, Consiglio regionale, Rapporto sulla legislazione (maggio 2005-dicembre 2006), p. 184.
(25)      in G.U. n. 86 del 13 aprile 2007.



4. PROCEDIMENTI PER L'APPROVAZIONE E L'ATTUAZIONE DEGLI STATUTI REGIONALI (Antonio Ferrara)

 
4.1. Lo stato di avanzamento per l'approvazione e l'attuazione degli statuti regionali

Alla data di aggiornamento di questo rapporto, sono dieci le Regioni che hanno adottato il nuovo statuto (Puglia, Calabria (1), Lazio, Toscana, Piemonte, Marche, Emilia-Romagna, Umbria, Liguria e Abruzzo). Le altre cinque Regioni - nella legislatura in corso - non hanno ancora approvato alcun testo né in Consiglio (2) né in Commissione (3).
La maggior parte delle Regioni in cui si è conclusa la precedente legislatura senza la definitiva approvazione consiliare delle rispettive deliberazioni legislative statutarie ha nuovamente istituito delle Commissioni speciali (Abruzzo, Campania, Lombardia e Molise (4)) od ordinarie (Veneto) con il compito specifico di elaborare il testo dello statuto regionale e spesso anche della legge elettorale regionale e/o del nuovo regolamento interno del Consiglio regionale (5).
Nella Tabella 1 sono schematicamente indicati i dati concernenti l’iter di formazione dei vari statuti.
 
4.2. I rapporti tra Giunta e Consiglio alla luce dei nuovi statuti

Tutti gli statuti fin qui entrati in vigore hanno adottato una forma di governo che ruota intorno all’elezione diretta del presidente della Giunta regionale e che, a seconda dei casi, si caratterizza per una tendenza più spiccatamente “neoparlamentare” o più “presidenziale” (6). La generale conferma del modello indicato dalla Costituzione come solamente preferenziale ha determinato, in ogni caso, un netto rafforzamento politico-istituzionale del ruolo del Presidente-Governatore. Occorre verificare, tuttavia, se la relativa maggiore autonomia consentita agli statuti per calibrare il contrappeso che di converso avrebbero dovuto esercitare i Consigli, per riequilibrare il sistema, abbia effettivamente costituito le condizioni per rafforzare le loro funzioni normative, da un lato, e quelle di indirizzo e controllo politico, dall’altro.
Utilizzando i dati forniti dalle Regioni, si possono ricavare quantomeno alcune impressioni.
Partiamo dagli indici relativi alla funzionalità. Nelle dieci Regioni che hanno approvato i nuovi statuti il numero complessivo dei consiglieri regionali è aumentato di 53 unità, portando la dimensione media delle rispettive assemblee legislative regionali da 47 a 52 membri (7). In altri termini, è come se oggi in Italia vi fosse un Consiglio regionale in più. Questo dato indica un sicuro aumento del “costo della politica” ma è di per sé neutro. La scelta compiuta potrebbe risultare compensata, infatti, dall’incremento del rendimento istituzionale dell’organo, inteso sia in termini di oggettiva “produttività” sia come percezione di efficacia delle politiche regionali da parte dell’opinione pubblica.
Un dato sicuramente negativo è, invece, l’ulteriore aumento della frammentazione dei consigli. Il numero complessivo dei gruppi costituiti, che nel 2005 (primo anno della legislatura) aveva visto una certa flessione (8), è ora tornato nuovamente a salire sia nei confronti del dato registrato alla fine della VII legislatura ( 4) sia nei confronti di quello di inizio legislatura ( 12), portando la media generale per il 2006 a circa 14. In decisa controtendenza si propone la Calabria che, in questa legislatura, ha dimezzato il numero dei gruppi consiliari (da 20 a 10), grazie al buon rendimento della clausola di sbarramento introdotta dalla propria legislazione elettorale. All’estremo opposto si colloca, invece, il Lazio dove si registra il più elevato indice di frammentazione (21 gruppi costituiti) e il maggior incremento rispetto alla legislatura precedente ( 8) (9).
E’ aumentato anche il numero complessivo delle commissioni consiliari. L’aumento di quelle permanenti ( 13) risulta quasi compensato dalla diminuzione delle commissioni speciali (-11). La media di commissioni per Consiglio, che nella VII legislatura era di 6 ordinarie e 3 speciali, è ora di 8 e 2. Molto al di sopra di questa media si colloca ancora il Lazio con 18 commissioni permanenti e 7 speciali (10).
Per quanto riguarda, invece, gli indici di attività del Consiglio, possiamo ricavare, in primo luogo, un indicatore di produttività generale: vale a dire il numero complessivo di tutti gli atti prodotti (leggi, regolamenti, atti amministrativi, pareri sugli atti di Giunta, atti di indirizzo e atti di controllo) (11). Successivamente, cercheremo di verificare, inoltre, se già è possibile percepire delle variazioni nel peso relativo delle corrispondenti attività. Una volta posta come ipotesi, infatti, che, a seguito dell’entrata in vigore dei nuovi statuti, si potrebbe assistere ad un rafforzamento delle attività di normazione, indirizzo e controllo dei Consigli - come contrappeso ad un contemporaneo potenziamento del potere esecutivo delle Giunte - occorre verificare la correttezza dell’assunto.
I dati relativi agli atti amministrativi ci consentono di tenere conto esclusivamente del 2006 e del 2005. Riteniamo preferibile, anziché porre a confronto i due anni, dividere questo periodo in modo da raffrontare l’ultima frazione della vecchia legislatura e il primo anno e mezzo di quella nuova. Per quanto l’esiguità del periodo preso in considerazione per la VII legislatura deve indurci ad una necessaria prudenza, si rileva, tuttavia, un forte incremento dell’attività amministrativa rispetto a quella normativa (legislativa e regolamentare). Se, infatti, sullo scorcio della precedente legislatura vi era, in media, una lieve prevalenza degli atti normativi sugli atti amministrativi, si nota, nella prima parte di quella in corso, un forte incremento dell’attività amministrativa dei consigli, che si spinge a superare il doppio di quella normativa: fatti 100 gli atti complessivi di normazione, i c.d. atti di alta amministrazione sono pari a 206. Questa tendenza sembra registrarsi, peraltro, in maniera del tutto indipendente dall’entrata in vigore dei nuovi statuti: basti considerare che il massimo incremento si verifica in Toscana e la maggior flessione in Molise (v. Tabella 4).
Nelle Regioni in cui si registra il maggiore incremento dell’attività di alta amministrazione, questo fenomeno si associa, in genere, ad una flessione più o meno netta della frequenza dei pareri sugli atti di Giunta non regolamentari, calcolata in rapporto agli altri atti consiliari di natura amministrativa. Dati che possono far pensare ad una vera e propria tendenza si registrano, tuttavia, solo in Calabria e Lombardia. Seguendo lo stesso criterio, nelle altre Regioni si registra, invece, un andamento di relativa crescita del coinvolgimento consultivo del Consiglio sugli atti di Giunta. In questo caso la tendenza più chiaramente definita si rileva nelle Marche e nel Veneto (v. Tabella 5).
Per quanto riguarda gli strumenti di indirizzo, nel corso del 2006 è notevolmente cresciuto il numero degli atti approvati, con un tasso di definizione rispetto a quelli presentati (53%) solo leggermente più basso rispetto al biennio 2003-2004 (12) (v. Tabella 6). Le Regioni che incrementano sia il numero di atti approvati sia il tasso di definizione sono Liguria, Piemonte, Toscana e Umbria. In Lombardia – dove pur si conta il più alto numero e anche il maggior incremento degli atti approvati – si verifica un notevole calo della percentuale di approvazione. All’opposto, in Calabria – sebbene con un numero di atti molto basso – si rileva un forte incremento del medesimo dato. Le altre Regioni vedono abbassarsi entrambi i parametri. Tra queste si segnalano, in particolare, l’Emilia-Romagna e il Veneto, che ottengono – rispettivamente – la maggior contrazione degli indicatori rispetto al biennio di riferimento e i numeri più bassi in termini assoluti.
Passando agli atti del sindacato ispettivo, in questo caso risultano in salita sia il numero degli atti che hanno ottenuto risposta da parte della Giunta ( 5%) sia la percentuale di definizione rispetto agli atti presentati ( 10%), che tocca il 65% (v. Tabella 7).
Le Regioni che vedono aumentare entrambi questi parametri sono sette (13). Di queste, la Toscana ottiene il maggior incremento degli atti definiti ( 53%), le Marche il più alto aumento della percentuale di risposta sugli atti presentati ( 41%) e il Veneto la più alta percentuale di risposta da parte della Giunta, calcolata in termini assoluti (92%). L’Emilia-Romagna ottiene invece il più alto numero di atti definiti nonostante che in questa Regione si registri la più forte contrazione rispetto al biennio di confronto. La Regione che ha i più bassi indici assoluti è il Molise (5 atti definiti, pari al 10% di quelli presentati), mentre in Basilicata si verifica la più forte riduzione del tasso di risposta (-15%).
Individuati e messi a confronto i dati relativi agli indici di funzionalità e di attività dei Consigli non si notano, dunque, tendenze chiare e univoche per le Regioni che all’inizio della nuova legislatura - e comunque alla data del 1° gennaio 2006 - avevano in vigore il nuovo Statuto (14). Questo fa pensare che – al di là della composizione dei Consigli (che solo i nuovi statuti potevano variare) – non siano le nuove carte statutarie ad incidere in maniera significativa sulle tendenze in atto (15).
Come abbiamo visto, si registra un aumento dell’attività amministrativa dei Consigli e anche della partecipazione consultiva agli atti di Giunta (dove il primo fenomeno è meno netto). Crescono, inoltre, gli atti di indirizzo e di controllo.
Non è facile leggere i dati che segnalano il significativo aumento dell’attività consiliare di c.d alta amministrazione. Questo andamento, tuttavia, va letto insieme al leggero calo del numero degli atti normativi dei Consigli, che scendono del 5% rispetto alla media del triennio 2002-2004 (16). Più o meno nello stesso periodo si verifica, inoltre, un forte calo delle leggi provvedimento, che da una media di 290 nel biennio 2002-2003 (non sono disponibili i dati del 2004) (17) scendono a solo 41 nel 2006 (18).
E’ lecito ipotizzare allora che almeno una parte dei 760 atti di natura amministrativa approvati dai Consigli nel 2006 (19) abbiano un contenuto sostanzialmente normativo o che provvedimenti, che in passato erano approvati dai Consigli in forma di legge (20), abbiano assunto adesso una più appropriata forma non-normativa e una più consona e conseguente denominazione. In mancanza di dati disaggregati, non è possibile percepire la consistenza dei due diversi fenomeni. Sappiamo, tuttavia, che solo in pochi casi marginali determinati provvedimenti generali possono essere considerati atti di delegificazione (in senso ampio). Sono solo 7, infatti, gli atti amministrativi che sono stati adottati sulla base di un rinvio operato dalla legge (21).
A voler trarre delle valutazioni d’insieme da questi dati, pare di poter dire, dunque, che la strategia dei Consigli regionali per salvaguardare un loro forte ruolo nei confronti della Giunta e del suo Presidente non sembra indirizzarsi verso la valorizzazione della propria funzione normativa o, quantomeno, della funzione normativa intesa in senso proprio (22). Il relativo rafforzamento delle attività di indirizzo politico e di controllo sull’azione di governo (in termini, anche in questo caso, freddamente numerici), deve scontare - d’altronde - l’inevitabile indebolimento che il meccanismo istituzionale del simul simul induce sui poteri dei Consigli, inserendosi in una dinamica di relazioni tra gli organi di governo della Regione che non consente più alle assemblee legislative di “fare e disfare” le Giunte più volte nel corso della medesima legislatura. La strategia messa in atto dai Consigli sembra mirare, allora, piuttosto al mantenimento – se non anche all’accrescimento – di un loro significativo spazio di compartecipazione all’attività amministrativa delle Regioni, mediante la diretta approvazione di un’ampia gamma di provvedimenti amministrativi, sia pure – nella maggior parte dei casi – a carattere generale (come ad es. atti di pianificazione e programmazione) e non puntuale (come ad es. nomine e designazioni).
 
4.3.  L'attuazione degli statuti regionali ordinari

Daremo qui conto dell’approvazione dei regolamenti consiliari, delle leggi istitutive dei Consigli delle autonomie locali, in attuazione dell’art. 123 della Costituzione, e delle altre leggi di diretta attuazione degli statuti (23).
Per quanto riguarda, in primo luogo, le modalità procedurali di quest’attuazione, è da rilevare che alcune delle Regioni il cui nuovo statuto è entrato in vigore hanno istituito una Commissione speciale con il compito di elaborare le leggi attuative dello statuto entro un tempo determinato (Toscana e Umbria) (24). In Toscana, sono espressamente individuate come finalità prioritarie l’elaborazione di una proposta di nuovo regolamento interno del Consiglio regionale e l’elaborazione di specifiche leggi di attuazione (25). In Umbria è attribuito alla commissione anche il compito di proporre eventuali modifiche statutarie che si rendano necessarie. In Emilia-Romagna è stata formata, invece, una Commissione permanente con lo specifico compito di elaborazione e proposta del regolamento interno dell’assemblea, della legislazione elettorale regionale e delle leggi istitutive dei nuovi organismi previsti dallo statuto.
 
4.3.1. La revisione dei regolamenti consiliari

I Consigli regionali della Calabria e della Liguria sono i primi che hanno adottato un nuovo regolamento interno, approvati rispettivamente con la d.c.r. 27 maggio 2005, n. 5 e la d.c.r. 9 giugno 2006, n. 18. Nell’anno di riferimento per questo Rapporto sono inoltre intervenute le modifiche parziali, ai rispettivi regolamenti consiliari, delle Regioni Campania (26), Lombardia (27) e Piemonte (28).
Tra le modifiche apportare spiccano per evidente novità rispetto alle norme previgenti:
in Campania: l’istituzione del Rappresentante dell’opposizione e la nuova articolazione delle Commissioni permanenti (che da sei diventano otto);
in Lombardia: la previsione del procedimento speciale di approvazione di testi unici;
in Piemonte: la parziale modificazione della disciplina dei gruppi consiliari.
Il regolamento era già stato parzialmente modificato o integrato, in seguito all’entrata in vigore della legge cost. n. 1 del 1999, in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Marche, Piemonte, Toscana e Veneto.
Al di là di questi casi sono invece ancora in vigore i regolamenti interni dei Consigli approvati prima delle ultime modifiche costituzionali. Non sono più applicabili tuttavia le norme direttamente incompatibili con le recenti revisioni costituzionali e dunque, in primo luogo, quelle concernenti i controlli sugli atti amministrativi e sulle leggi regionali nonché sul sistema di elezione dei componenti della Giunta regionale.
Alcuni dei nuovi statuti entrati in vigore prevedono, tra le norme transitorie e finali, un termine entro il quale il Consiglio regionale deve adeguare il proprio regolamento interno alle disposizioni statutarie (29). Il termine, ordinatorio, non è stato rispettato in alcuna Regione.
 
4.3.2. Il Consiglio delle autonomi locali (CAL)

Tutti i nuovi statuti entrati in vigore hanno disciplinato il Consiglio delle autonomie locali quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali in attuazione dell’articolo 123, comma 4, della Costituzione, prevedendone in genere l’istituzione presso il Consiglio regionale (30).
In alcune Regioni è riconosciuto un effetto rafforzato al parere obbligatorio del CAL (in via generale o in casi determinati): qualora il Consiglio regionale deliberi in difformità al parere lo può fare, nei casi previsti, solo a maggioranza dei suoi membri (Abruzzo (31), Calabria; Emilia-Romagna (32), Lazio, Liguria (33), Marche e Umbria (34)). In Toscana si dispone, invece, che gli organi regionali, in caso di parere del CAL contrario o condizionato all’accoglimento di modifiche, lo possano disattendere solo con motivazione espressa. Inoltre, in alcuni statuti, è riconosciuto ai CAL il potere d’iniziativa legislativa (Calabria, art. 48.9; Lazio, artt. 37 e 67.1; Liguria, art. 66.1) e in un caso si prevede, anche, la discussione di questi progetti di legge entro un preciso termine dalla data della loro presentazione (Lazio).
Un altro potere è previsto dalle Regioni Abruzzo (art. 71.5 St.) e Calabria (art. 45.2 St.). Nel caso in cui il CAL ritenga che una legge regionale (in Abruzzo anche un provvedimento) leda le competenze degli enti locali, può chiedere l’acquisizione del parere dell’organo di garanzia statutaria in merito ai rilievi formulati. Il Consiglio regionale può deliberare in senso contrario ai pareri di compatibilità statutaria a maggioranza assoluta (35).
Il nuovo organo - alla data di aggiornamento di questo capitolo - è stato istituito solo in Liguria (l.r. 26 maggio 2006, n. 13), Piemonte (l.r. 7 agosto 2006, n. 30) e Puglia (l.r. 26 ottobre 2006, n. 29), tenendo a parte il caso della Regione Toscana che ha creato un organo similare già nel 1998 (36) e delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome che non sono qui considerate (37). Nello stesso periodo,in diversi casi, tuttavia, sono stati assegnati al CAL, con legge, compiti specifici di designazione dei membri di altri organi, di consultazione su determinati atti o di comunicazione anche in mancanza della sua effettiva istituzione (38).
Nei nuovi regolamenti consiliari delle Regioni Calabria e Liguria, in conformità della scelta operata dai rispettivi statuti, è ribadito che qualora il Consiglio regionale non si adegui all’eventuale parere espresso dal CAL debba deliberare a maggioranza assoluta dei membri. Il nuovo regolamento interno del Consiglio regionale della Liguria dispone, inoltre, che – nei casi in cui lo statuto prevede che sia necessaria un’approvazione consiliare a maggioranza assoluta per discostarsi dal parere del CAL – anche le Commissioni permanenti, che non intendano tenere conto di detto parere, debbano approvare il provvedimento con il voto favorevole di un numero di commissari in grado di esprimere la metà più uno dei consiglieri regionali. Nella Regione Calabria, diversamente, è previsto che la Commissione, nel caso in cui decida di non tenere conto del parere negativo del CAL, deve indicarne le ragioni nella relazione per l’Assemblea (39).
In attuazione delle relative disposizioni statutarie, le modifiche apportate al regolamento consiliare della Toscana prevedono invece che la Commissione consiliare competente, qualora ritenga di non adeguarsi al parere del CAL contrario o condizionato all’accoglimento di modifiche, presenta al Consiglio regionale, unitamente alla relazione sulla proposta di legge o di regolamento, un ordine del giorno procedurale ove si esprime la motivazione di tale non accoglimento (40).
Il nuovo regolamento consiliare della Calabria, inoltre, - sempre in conformità della scelta operata dallo statuto - disciplina le funzioni consultive e la funzione di iniziativa legislativa del CAL (41). E’ anche prevista un’annuale riunione congiunta con il Consiglio regionale per l’esame dello stato delle autonomie nella Regione (42).
Riportiamo qui di seguito un prospetto di confronto sinottico dei principali contenuti normativi delle prime leggi istitutive del CAL.
 
 
Liguria
Piemonte
Puglia
Sede
Presso il Consi­glio regionale
Presso il Consi­glio regionale
Presso il Consiglio regionale
Membri di diritto
I Presidenti delle Province
I Presidenti delle Province
 
I Presidenti dei Consigli provin­ciali
 
 
I sindaci dei co­muni con popola­zione superiore a 15.000 abitanti
I sindaci dei co­muni capoluogo di provincia
 
I Presidenti dei Consigli comunali dei comuni con popolazione supe­riore a 15.000 abitanti
 
 
I presidenti regio­nali dell’ANCI, dell’UPI e dell’UNCEM
I presidenti regio­nali delle associa­zioni rappresenta­tive degli enti lo­cali
 
Membri elettivi
12 sindaci dei co­muni con popola­zione inferiore a 15.000 abitanti
13 rappresentanti di comuni con po­polazione supe­riore a 5.000 abi­tanti
Un rappresentante di ciascuna provin­cia e ciascun co­mune capoluogo eletto dai rispettivi consigli nel proprio seno
 
20 rappresentanti di comuni con po­polazione infe­riore a 5.000 abitanti
44 membri in rap­presentanza dei comuni non capo­luogo eletti tra i consiglieri comu­nali con liste con­trapposte su base provinciale
4 presidenti di co­munità montane
5 presidenti di co­munità montane
Un rappresentante delle comunità montane eletto dai rispettivi consigli riuniti in seduta congiunta
 
2 presidenti di co­munità collinare
 
Modalità d’elezione
Eletti dalle rispet­tive assemblee (dei sindaci e dei presidenti delle comunità mon­tane)
Eletti dai sindaci, dai consiglieri co­munali e provin­ciali e dai presi­denti delle comu­nità montane e collinari in un col­legio unico regio­nale sulla base di sezioni elettorali provinciali con si­stema proporzio­nale su liste uni­che regionali, una per ciascuna ca­tegoria
v. supra
Partecipazione senza diritto di voto
 
Il Presidente della Giunta regionale, il Presidente del Consiglio regio­nale, l’assessore regionale compe­tente in materia di enti l­cali, gli as­sessori compe­tenti nelle materie all’odg della se­duta e i presi­denti delle commissioni consiliari interes­sate.
Il Presidente della Giunta regionale, il Presidente del Consiglio regionale o loro delegati, nonché il Consi­gliere regionale che ha proposto l’atto da sottoporre al parere del CAL
 
5 rappresentanti designati dalle au­tonomie funzionali (Unioncamere e le quattro Università piemontesi)
 
Funzionamento
Le modalità di convocazione e di svolgimento delle sedute nonché le procedure interne di funzionamento e di organizza­zione dei lavori sono disciplinate da un regola­mento interno ap­provato a mag­gioranza assoluta dei componenti
Le modalità di convocazione e di svolgimento delle sedute, le condi­zioni per la validità delle deliberazioni, le procedure di fun­zionamento e di organizzazione dei lavori del CAL sono disciplinate con regolamento interno adottato a maggioranza dei suoi componenti
Le modalità di con­vocazione e di svolgimento delle sedute, le condi­zioni per la validità delle deliberazioni, le procedure di or­ganizzazione dei lavori del Consiglio sono disciplinate da un regolamento interno approvato a maggioranza dei suoi componenti
Durata in carica
Per l’intera legi­slatura
Per l’intera legi­slatura
Per l’intera legisla­tura
Funzioni:
iniziativa legisla­tiva
Iniziativa legisla­tiva nelle materie di competenza del sistema delle autonomie locali
 
 
Funzioni:
pareri obbligatori
Parere obbligato­rio sui progetti di modificazioni sta­tutarie, limitata­mente alle parti relative alle auto­nomie lo­cali
 
Parere obbligatorio sulle proposte di modifica dello Sta­tuto regionale ri­guardanti gli enti locali e territoriali
 
Parere obbligato­rio sui progetti di legge e sulle pro­poste di regola­mento relativi a materie che ri­guardano gli enti locali
Parere obbligatorio sui progetti di legge e sui rego­lamenti della Giunta regionale che riguardano le funzioni e le com­petenze degli enti locali, nonché il de­centramento di funzioni o attività amministrative regionali
Parere obbligato­rio sugli atti relativi al riparto delle funzioni tra la Regione e gli enti locali
Parere obbligato­rio sulle leggi di conferimento delle funzioni amministrative e sulla legislazione che disciplina l’esercizio delle funzioni attribuite agli enti locali
 
Parere obbligato­rio sui progetti di legge concernenti l’articolazione ter­ritoriale del si­stema delle auto­nomie locali e la determinazione delle loro compe­tenze
 
Parere obbligatorio sui progetti di legge che atten­gono all’istituzione di nuovi comuni, alla modificazione delle circoscrizioni ovvero alla loro denominazione
Parere obbligato­rio sui progetti di legge di bilancio, sugli atti ad esso collegati e sugli atti di program­mazione ge­nerale
Parere sulle proposte di bilan­cio e sugli atti di indirizzo e di pro­grammazione della Regione, se­condo le modalità previste dal rego­lamento del Consiglio regio­nale
Parere obbligatorio sulle leggi di bilan­cio e sugli atti di programmazione regionale
 
Esprime parere in merito all’esercizio dei poteri sostitutivi riguardanti Co­muni, Province o Città metropoli­tane
 
Altre attribuzioni
Esprime osserva­zioni su p.d.l. o di atti amministrativi reg. di interesse degli enti locali, su richiesta degli or­gani regionali
Esprime osserva­zioni sui p.d.l. de­positati in Consi­glio regionale, su richiesta della Giunta o del Con­siglio o di propria iniziativa
 
Propone al Presi­dente della Giunta il ricorso avverso atti dello Stato o di altre Regioni ritenuti lesivi dell’autonomia re­gionale e di enti locali
Propone al Presi­dente della Giunta reg. di promuovere la q.l.c. nei confronti delle leggi e degli atti vanti forza di legge dello Stato che ritiene inva­sive delle com­petenze degli enti locali
 
 
Può richiedere, a maggioranza as­soluta dei suoi membri, alla Commissione di garan­zia di pro­nunciarsi sulla conformità delle leggi regionali allo statuto
 
 
Designa un com­ponente ad inte­grazione della sezione regionale di controllo della Corte dei conti, secondo i principi stabiliti dalle leggi dello Stato
 
Termini dei pareri obbligatori
Entro 30 gg. dal ricevimento della comunicazione. Decorso tale ter­mine senza che il CAL si sia espresso, il parere si intende acquisito
Entro 30 gg., re­datto per iscritto. Decorso tale ter­mine, gli organi regionali possono comunque proce­dere.
Entro 15 gg. dalla data di trasmis­sione (eccezional­mente riducibile a 5 gg. o prorogabile a 30 gg.). Decorso inutilmente tale ter­mine, il parere si intende favorevol­mente espresso
Effetti dei pareri obbligatori
Nel caso in cui il parere sia nega­tivo o condizionato all’accoglimento di specifiche modifi­che, il Consiglio reg. può comun­que procedere all’approvazione dell’iniziativa a magg. assoluta; tale magg. non è richiesta per l’approv. degli atti di programma­zione gen. , delle leggi di bilancio e degli altri atti ad esse collegati.
Nel caso in cui il parere del CAL sia contrario o condizionato all’accoglimento di specifiche mo­difiche, può es­sere di­atteso dall’organo regio­nale compe­tente, con motivazione espressa.
 
Seduta congiunta
 
Il Consiglio reg. ed il CAL si riuni­scono annual­mente in seduta congiunta per una valutazione dello stato del sistema delle autonomie locali. La seduta può concludersi con l’approvazione di linee di indirizzo di politica gene­rale
Il Consiglio reg. ed il CAL si riuniscono in seduta con­giunta una volta l’anno prima dell’approvazione del bilancio per l’esame dello stato del sistema Re­gione-enti locali
Abrogazione o modificazione di leggi
Abrogazione della l.r. 29 aprile 1997, n. 16, Ist. della Conferenza per­manente Re­gione-autonomie locali
Modifiche alla l.r. 20 novembre 1998, n. 34, artt. 6-7, Ist. della Conferenza per­manente Re­gione-autonomie locali
Dalla data di inse­diamento del CAL è soppressa la Conferenza per­manente Regione-autonomie locali e sono abro­gati gli artt. 6, 7 e 8 della l.r. 30 novembre 2000, n. 22
Norme finanziarie
 
La spesa per il biennio 2007-2008 è di 120.000,00 euro annui
La spesa per l’esercizio finanzia­rio 2006 è di 50.000,00 euro
 

4.3.3. Il Consiglio regionale dell'economia e del lavoro (CREL)

Sei statuti, dei dieci nuovi fin qui adottati, prevedono l’istituzione di un organo di consultazione in materia economica e sociale denominato Consiglio regionale dell’economia e del lavoro, rinviando alla legge per la sua disciplina (43). In Calabria, in Emilia-Romagna e nelle Marche è specificato che il CREL ha sede presso il Consiglio regionale (44). La Liguria e le Marche attribuiscono all’organo anche la potestà d’iniziativa legislativa (45).
Secondo un diverso modello, gli statuti della Puglia e della Toscana prevedono, rispettivamente, una Conferenza regionale permanente per la programmazione economica, territoriale e sociale (46) e una Conferenza permanente delle autonomie sociali (47), poste entrambe presso il Consiglio regionale con analoghi compiti di consultazione ai fini della programmazione economica, territoriale e sociale. Lo statuto dell’Abruzzo istituisce, invece, la Conferenza regionale per la programmazione, con compiti di consultazione in materia di programmazione economica e finanziaria, presso la presidenza della Giunta (48).
Lo statuto della Regione Umbria, pur non prescrivendo l’istituzione del CREL o di un analogo organo, prevede tuttavia che, al fine di adottare linee d’indirizzo per la concertazione, il presidente del Consiglio regionale convoca annualmente “i rappresentanti istituzionali, funzionali, economici e sociali della Regione” nella Conferenza regionale dell’economia e del lavoro (49).
Già prima di queste disposizioni statutarie il CREL o altro simile organo rappresentativo delle forze sociali era stato istituito o comunque previsto dalla ordinaria legislazione regionale in Piemonte, Puglia, Abruzzo, Basilicata, Emilia-Romagna, Lazio e Veneto (50). Nella Regione Marche, invece, questo ruolo è stato effettivamente svolto dal Tavolo regionale della concertazione costituito all’inizio dell’VIII legislatura (giugno 2005) (51).
Le prime Regioni che hanno istituito quest’organismo consultivo, in attuazione del nuovo statuto, sono la Liguria (l.r. 16 giugno 2006, n. 16) e il Lazio (l.r. 23 ottobre 2006, n. 13).
Riportiamo qui di seguito un prospetto di confronto sinottico dei principali contenuti normativi di queste due leggi.
 
 
 
Liguria
Lazio
Sede
Presso il Consiglio regio­nale
Presso il Consiglio regio­nale
Composizione
 
 
 
- 30 rappresentanti nomi­nati dal PCR su designa­zione delle categorie pro­duttive, delle autonomie funzionali delle organizzazioni sindacali, del terzo settore, della cooperazione, delle organizzazioni economiche no profit, delle associazioni dei consumatori e degli utenti
 
- 3 esperti in materia socio-economia, designati dallo stesso Consiglio regionale
- il Presidente, nominato dal presidente della Regione
 
- 56 rappresentanti delle categorie produttive, delle organizzazioni sindacali, delle autonomie funzionali e del c.d. terzo settore
 
 
 
 
 
- 5 esperti nelle materie economico-giuridiche e sociali nonché nelle tematiche comunitarie, di cui 3 eletti dal Consiglio reg. con voto limitato e 2 designati dalla Giunta reg.
Nomina e durata
Con decreto del PdR per la durata del Consiglio regionale
Con decreto del PdR per la durata del Consiglio regionale
Incompatibilità
 
La carica di componente è incompatibile con quella di parlamentare nazionale ed europeo, consigliere e assessore regionale, presidente di provincia e assessore provinciale, sindaco e assessore di comuni >15.000 ab.
La carica è incompatibile, inoltre, con qualsiasi rap­porto di lavoro e di consulenza con la Regione e con enti da essa dipendenti o partecipati
Sostituzione
Qualora si renda necessario, il PdR procede alla nomina del nuovo componente sulla base della nuova designazione dei soggetti competenti
I componenti possono essere sostituiti in qualsiasi momento su richiesta dei soggetti che li hanno designati
Partecipazione senza diritto di voto
 
Il Presidente della Re­gione, l’assessore agli af­fari istituzionali, gli asses­sori, i presidenti e i vice-presidenti delle commis­sioni consiliari competenti in materia di programma­zione economico-sociale e territoriale e in materia di sviluppo sostenibile, i rappresentanti delle comunità comunali e provinciali interessate alle tematiche in discussione
Presidenza
Il CREL elegge il presi­dente e il vicepresidente nel proprio seno
Il presidente è nominato dal PdR. Il CREL elegge due vicepresidenti, di cui uno espressione della ca­tegoria dei lavoratori e uno di quella degli imprenditori
Funzionamento
Il CREL, a maggioranza dei componenti in carica, approva il regolamento interno che ne disciplina il funzionamento e l’organizzazione dell’attività in sessioni spe­cializzate per materia.
L’attività del CREL è disciplinata con apposito regolamento dei lavori adottato a maggioranza dei suoi componenti.
Funzioni:
iniziativa legislativa
Iniziativa legislativa in materia economica e so­ciale. Le deliberazioni concernenti la presentazione di proposte di legge sono approvate a maggioranza dei componenti in carica
 
Funzioni:
pareri obbligatori
 
- sugli atti di programma­zione economica e finan­ziaria regionale
- sugli atti di programma­zione economico-sociale e territoriale regionale
- sulle proposte di legge e regolamento e gli altri atti aventi ad oggetto interventi di rilevante interesse per la Regione
Funzioni:
pareri facoltativi
Nelle materie di propria competenza il CREL è te­nuto ad esprimere, su ri­chiesta del Consiglio o della Giunta della Regione, pareri su progetti di legge, atti di programmazione o di pianificazione, o su ogni altro atto o questione ad esso sottoposto
 
Altre attribuzioni
 
Il CREL, di propria inizia­tiva o su richiesta del Consiglio o della Giunta della Regione, può compiere indagini, studi e relazioni nelle materie di competenza
- formulazione di osservazioni e proposte, di propria iniziativa, in ordine agli atti di programmazione eco­nomica e finanziaria regionale
- elaborazione di studi, ri­cerche, indagini e rapporti di supporto all’amministrazione regio­nale nell’attività di pro­grammazione economico-sociale e territoriale, nonché nelle politiche del lavoro e dello sviluppo della Regione
- promovimento di sessioni di informazione e comunicazione sulle politiche dell’UE
- stipulazione di conven­zioni con università e centri di studio e di ricerca
- rapporto annuale sullo stato e le prospettive dell’economia, dello svi­luppo e del lavoro nella Regione
 
Struttura di supporto
L’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale indivi­dua all’interno dell’organizzazione consiliare una struttura di supporto posta alle dipendenze funzionali del CREL
Il CREL si avvale di una struttura amministrativa in posizione di dipendenza funzionale, operante in piena autonomia rispetto alle strutture organizzative del Consiglio regionale
Indennità, compensi e rimborsi
Ai componenti del CREL è corrisposta l’indennità di seduta prevista dalla tab. B della l.r. n. 25/96 e il rimborso delle spese di viaggio e soggiorno
- Ai componenti del CREL è corrisposto un gettone di presenza determinato con deliberazione dell’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale e il rimborso delle spese di viaggio
- Al presidente e ai vice­presidenti spetta inoltre una indennità pari al 60% e al 20% delle indennità di carica dei consiglieri regionali
Abrogazioni
 
l.r. n. 14/99, art. 22, rela­tivo al CREL e l.r. n. 12/03, istituzione del CREL
Norme finanziarie
Agli oneri derivanti dall’attuazione della legge si provvede con lo stanziamento dell’Unità Previsionale di Base “Spesa per l’assemblea legislativa regionale”
E’ istituito apposito capitolo di bilancio denominato “Spese per il funziona­ento del CREL”
 
 
4.3.4.  Gli organi di garanzia statutaria

In tutti i nuovi statuti – ad esclusione di quello delle Marche – è prevista l’istituzione di organi di garanzia statutaria (52). Tra i compiti ad essi assegnati spicca, in particolare, la valutazione circa la conformità allo statuto delle leggi (rectius: deliberazioni legislative) o dei progetti di legge e, spesso, anche dei regolamenti regionali (rectius: deliberazioni regolamentari) o dei relativi progetti (53). Si tratta di un’eventuale fase - consultiva - del procedimento normativo che in genere è facoltativa (per richiesta di soggetti determinati) ma che può essere anche obbligatoria (per previsione normativa) (54) e che, secondo i casi, si inserisce o in una fase procedimentale - non sempre ben definita direttamente dalle previsioni statutarie - che si colloca tra l’iniziativa normativa e l’approvazione dell’atto (Calabria, Liguria, Piemonte e Puglia) (55) o in quella – più chiaramente determinata – che si situa tra l’approvazione della deliberazione normativa e la sua promulgazione o emanazione (Abruzzo, Emilia-Romagna, Lazio, Toscana e Umbria) (56). L’eventuale parere di non conformità può essere superato, salvo rare eccezioni (57), da una deliberazione (o da una nuova deliberazione) dell’organo regionale competente in via definitiva per l’atto normativo in questione. In alcune Regioni è richiesta, in questo caso, una deliberazione assunta “con motivata decisione” (Calabria ed Emilia-Romagna) (58) e/o la necessità di un’approvazione a maggioranza assoluta (Abruzzo, Calabria e Lazio) (59).
Tra le altre funzioni assegnate a detti organi si rinvengono, inoltre, la risoluzione dei conflitti di attribuzione e di competenza (60), il giudizio di ammissibilità dei referendum e delle iniziative legislative popolari (61), nonché varie funzioni di consulenza tecnico-giuridica (62).
Le Regioni Liguria e Piemonte sono le prime che hanno approvato le leggi istitutive dell’organo di garanzia statutaria in attuazione delle previsioni dei rispettivi statuti (63).

Riportiamo qui di seguito un prospetto di confronto sinottico dei principali contenuti normativi delle rispettive leggi regionali.
 
 
 
Liguria
Piemonte
Denominazione e qualificazione dell’organo
Consulta statutaria, organo autonomo e indipendente di alta consulenza della Regione
Commissione di garanzia, organo consultivo indipendente ed imparziale
Sede
Presso il Consiglio regio­nale
 
Composizione dell’organo e requisiti soggettivi dei membri
5 esperti di riconosciuta competenza in materia di p.a.
7 membri:
- un magistrato a riposo delle giurisdizioni ordinaria, amministrativa e contabile;
- due professori universitari di ruolo in materie giuridiche;
- due avvocati con almeno 15 anni di esercizio;
- due ex consiglieri regio­nali
Preposizione alla carica
Eletti dal Consiglio reg. a magg. di 3/4 dei compo­nenti
Eletti dal Consiglio reg. a magg. di 2/3 dei compo­nenti sulla base di candi­dature presentate ai sensi della legge
Durata carica
6 anni
6 anni
Ineleggibilità e incompa­tibilità
Si applicano le norme in materia di eleggibilità e le cause di incompatibilità previste per i Consiglieri regionali
Incompatibilità con l’espletamento di qualun­que attività professionale, imprenditoriale, commer­ciale o di pubblica funzione che possa costituire conflitto di interessi con la Regione
Rieleggibilità
NO
NO
Prerogative
 
Libero accesso agli uffici e agli atti della Regione nello svolgimento dell’incarico
 
 
 
 
 
 
 
Funzioni facoltative dell’organo
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Parere a richiesta del PGR, del PCR o 1/5 dei Cons. reg. :
Parere a richiesta del PGR, del PCR, 1/3 dei Cons. reg. o del CAL nelle materie di sua competenza:
- Su la conformità allo statuto dei p.d.l. reg, e dei reg. reg. di competenza consiliare
- Sulla coerenza statutaria delle proposte e dei d.d.l., dei progetti di reg. del Cons. reg
- Su la ripartizione delle competenze tra gli organi regionali ai sensi dello statuto.
- Sulla coerenza statutaria dei progetti di reg. della Giunta reg.
 
- Sull’interpretazione dello statuto nei conflitti di attri­buzione tra gli organi della Regione
- Sull’interpretazione dello statuto nei conflitti di attri­buzione tra la Regione e gli enti locali
- Sul carattere invasivo e lesivo delle attribuzioni re­gionali da parte di leggi o atti aventi forza di legge dello Stato
Funzioni obbligatorie dell’organo
- Parere vincolante sull’ammissibilità delle iniziative popolari e delle richieste referendarie
- Espressione di giudizio sulla ricevibilità e sull’ammissibilità delle proposte di referendum
- Parere obbligatorio sulle questioni tecnico-giuridiche che concernono l’interpretazione e l’applicazione delle norme statutarie e delle leggi reg. in materia di istituti di partecipazione, nonché delle altre leggi naz. e reg. di cui si renda necessaria l’interpretazione o l’applicazione nel corso dei predetti procedimenti
Formazione del parere
A magg. dei componenti. Le astensioni equivalgono a voto negativo. In caso di parità prevale il voto del Presidente.
 
Dissenting opinion
In caso di dissenso espresso e argomentato di uno o più componenti, il parere deve essere motivato in relazione alle ragioni addotte dal dissenziente
 
Termine per il parere
20 gg. dal ricevimento della richiesta. Se il p. non è reso nel termine il Consiglio reg. procede all’esame dei provvedimenti indipen­dentemente dall’acquisizione dello stesso.
30 gg. dal ricevimento della richiesta, prorogabile di altri 30 gg. una sola volta. Decorsi i termini gli organi regionali possono comunque procedere.
Effetti del parere facolta­tivo
Gli organi regionali, entro i 30 gg. successivi alla comunicazione del parere, qualora non ritengano di accoglierlo, lo sottopongono alla valutazione del Cons. reg.
Gli organi regionali pos­sono deliberare in senso contrario ai pareri espressi con provvedimento motivato
Effetti del parere obbli­gatorio
Il parere negativo sull’ammissibilità delle iniziative popolari e delle richieste referendarie comporta la loro decadenza
 
Rinvio ad altre fonti
- Il reg. consiliare stabilisce le modalità dell’espressione dei pareri e le norme di coordinamento tra l’attività della Consulta e la programmazione dei lavori del Consiglio e delle commissioni
- La Consulta approva il reg. interno per disciplinare l’organizzazione dei propri lavori
L’Ufficio di presidenza del Consiglio reg. definisce le ulteriori modalità di funzionamento e organizzazione della Commissione
Compensi e rimborsi
Ai componenti è corrispo­sto un compenso di 250 euro a seduta, oltre al rimborso delle spese di viaggio e di soggiorno in base alle disposizioni vigenti per i dirigenti regionali
Ai componenti è corrisposto un gettone di presenza pari al doppio di quello percepito dai consiglieri reg. in carica ed un rimborso spese per ogni giornata di presenza ai lavori della Commissione
Abrogazioni e modifiche normative
 
Sono modificate e abrogate alcune disposizioni delle ll.rr. sull’iniziativa legislativa popolare e degli enti locali e sui referendum
Norme transitorie
 
La Commissione consultiva regionale per i procedimenti di cui al rigo precedente esercita le proprie funzioni sino all’insediamento della Commissione di garanzia
Norme finanziarie
 
Lo stanziamento per il biennio 2006-2007 è di 95.000,00 euro. Le spese di istituzione e funziona­mento sono stimate in 30.000,00 euro per l’esercizio 2006 e in 65.000,00 euro per l’anno finanziario 2007
 


4.3.5. Le altre leggi di attuazione statutaria

 
Nelle leggi regionali che danno espressa attuazione ai nuovi statuti (64) si rinvengono inoltre:

a) previsioni normative in materia di organizzazione del Consiglio regionale
- le disposizioni generali sull’autonomia del Consiglio regionale – Assemblea legislativa regionale della Liguria (65);
- la disciplina transitoria del gruppo misto (66), le modifiche alla disciplina sull’assegnazione ai gruppi consiliari dei mezzi necessari per le loro funzioni (67), nonché alcune modifiche alla legislazione regionale, in materia di organizzazione e personale, necessarie a garantire le funzioni del portavoce dell’opposizione (68);
- alcune disposizioni dettate al fine di provvedere alle esigenze di funzionamento dei nuovi organismi istituzionali, quali in particolare il CAL e il CREL (69);
- le norme concernenti il trattamento economico e previdenziale dei consiglieri regionali (70);
 
b) previsioni normative in materia di normazione
- la legge regionale di semplificazione e di disciplina dell’analisi di impatto della regolamentazione nella Regione Piemonte (71);
- alcune leggi che autorizzano la Giunta a disciplinare con regolamento determinate materie (72) o prevedono l’adozione di un regolamento di attuazione e integrazione (73);
 
c) previsioni normative in materia di amministrazione
- le modifiche e le integrazioni apportate alla legge concernente il riordino delle funzioni amministrative regionali e locali in Calabria (74);
- le modifiche alle norme in materia di organizzazione e di personale della Regione Marche (75);
- le disposizioni per la prima attuazione delle norme statutarie in materia di nomine e designazioni di competenza degli organi della Regione e degli enti dipendenti nel Lazio (76);
- le previsioni concernenti gli incarichi dirigenziali delle strutture amministrative della Regione Calabria (77) e della Regione Lazio (78);
- il rinvio ad un successivo piano di razionalizzazione delle partecipazioni e alla riforma complessiva degli enti strumentali e delle società partecipate della Regione Calabria (79);
- la promozione della costituzione o la partecipazione a società di capitali al fine della realizzazione di determinate infrastrutture sul territorio regionale (80);
- l’autorizzazione legislativa alla partecipazione ad associazioni o fondazioni per attività inerenti allo sviluppo economico o finalità socio-culturali (81);
- la disciplina transitoria del Collegio dei revisori dei conti della Regione Umbria, dettata al fine di assicurare la continuità della funzione di controllo sulla gestione finanziaria (82);
 
d) previsioni normative in materia di referendum popolare
- l’integrazione delle norme di attuazione dello Statuto della Regione Liguria concernenti il referendum consultivo obbligatorio sull’istituzione di nuovi comuni e sui mutamenti delle circoscrizioni e delle denominazioni comunali (83);
 
e) previsioni normative che richiamano, riconoscono e valorizzano principi e finalità fissati dai rispettivi statuti, concernenti:
- l’identità storico-culturale della comunità regionale (84)
- il principio di sussidiarietà orizzontale e la valorizzazione del ruolo delle autonomie funzionali (85);
- le politiche economiche e del lavoro (86);
- le politiche sociali (87).
 
4.4. Lo stato di avanzamento dei procedimenti di revisione degli statuti regionali
     di autonomia speciale


4.4.1. Gli aspetti procedimentali

Per quanto riguarda la revisione degli statuti speciali, è da registrare, in primo luogo, l’avvio di particolari procedimenti di definizione delle iniziative legislative per le modificazioni statutarie in tutte le Regioni differenziate ad eccezione del Trentino-Alto Adige. Già nei precedenti Rapporti si è riferito dei progetti di legge costituzionale concernenti i nuovi statuti di autonomia delle Regioni Friuli Venezia Giulia e Sicilia, approvati dalle rispettive assemblee legislative il 1 febbraio e il 30 marzo del 2005 e successivamente presentati alle Camere (88). E’ dunque qui da considerare, in particolare, l’istituzione della Consulta per il nuovo statuto di autonomia e sovranità del popolo sardo (89), e della Convenzione per l’autonomia e lo Statuto speciale della Regione autonoma Valle d’Aosta (90). Entrambi questi organi - secondo un modello simile a quello già adottato dal Friuli Venezia Giulia (91) - hanno il compito di elaborare un documento preliminare (progetto base), proporlo alla consultazione della comunità regionale (Forum) e poi definire e approvare un documento finale (progetto definitivo) da trasmettere al Consiglio regionale entro un tempo determinato (92). Il testo così formulato è poi sottoposto all’esame del Consiglio regionale secondo il normale iter legislativo (93). La Consulta sarda è formata di 50 membri eletti dal Consiglio regionale, di cui circa 3/5 scelti in modo tale da assegnare a ciascuna coalizione di liste in seno al Consiglio un numero di seggi proporzionale ai voti ottenuti nelle ultime elezioni regionali e 2/5 scelti tra soggetti proposti, in un numero doppio rispetto ai membri da eleggere, dalle Università di Cagliari e Sassari, dal Consiglio regionale dell’economia e del lavoro, dal Consiglio delle autonomie locali e dalla Consulta per l’emigrazione. La Convenzione valdostana, invece, è composta complessivamente di ventisei membri. Ventuno di questi sono individuati dalla legge istitutiva (94) tra soggetti che ricoprono determinate cariche politico-istituzionali e tra rappresentanti delle autonomie e di altre espressioni organizzate della società civile regionale (95); altri cinque componenti sono nominati dal Consiglio regionale tra “personalità di particolare prestigio e competenza”.
Il Governo della Repubblica, con delibera del Consiglio dei ministri del 28 luglio 2006, ha ritenuto di impugnare la legge sarda innanzi alla Corte costituzionale per la parte in cui prevede che il progetto del nuovo statuto di autonomia individui gli elementi della “sovranità regionale”. I motivi dell’impugnativa sono da ricondurre al contrasto delle disposizioni individuate con i principi fondanti della nostra carta costituzionale che riconoscono la sovranità della Repubblica italiana, una e indivisibile, in capo al popolo, tenendola distinta dall’autonomia regionale (art. 1 e 5). A quest’ultima e non già alla sovranità si fa sempre riferimento, inoltre, nelle altre disposizioni costituzionali rilevanti (art. 114, Cost. e art. 1, 2 e 35 dello speciale statuto d’autonomia della Regione Sardegna) (96).
Per quanto riguarda ancora il procedimento per la revisione degli statuti speciali, ma con riferimento alla sua fase successiva, in Parlamento, è da considerare, inoltre, che il Consiglio regionale della Valle d’Aosta ha presentato il 9 agosto 2006 una proposta di legge costituzionale per la modifica dell’art. 50 del proprio statuto di autonomia al fine di assicurare il pieno rispetto del principio pattizio nel procedimento di revisione statutaria (97). Secondo la Regione proponente, il rapporto pattizio tra Stato e Regione è alla base dell’ordinamento autonomo valdostano e implica la necessità dell’assenso del massimo organo rappresentativo della Regione rispetto ad ogni proposta di modificazione dello statuto speciale votata dal Parlamento nazionale; impedendo in tal modo alterazioni unilaterali dell’autonomia regionale. Si propone, di conseguenza, che i progetti di legge di modificazione dello statuto, approvati dalle due Camere in prima deliberazione, siano trasmessi al Consiglio della Valle per l’intesa e che l’assenso sia espresso, entro tre mesi dalla trasmissione del testo, con deliberazione approvata a maggioranza dei due terzi dei componenti il Consiglio. Il Parlamento non potrebbe adottare la legge costituzionale in mancanza di quest’ultima. Allo stesso modo va considerato, inoltre, l’art. 48 della proposta di legge costituzionale di revisione dello Statuto del Friuli Venezia Giulia. La Regione propone in questo caso, sempre in virtù del medesimo principio pattizio, che i progetti di modificazione dello statuto d’iniziativa governativa o parlamentare siano comunicati all’Assemblea legislativa regionale per il raggiungimento dell’intesa. Nel caso in cui questa non sia raggiunta ovvero le Camere decidano di discostarsi dal testo proposto dall’Assemblea legislativa regionale o dal testo su cui si era già raggiunta l’intesa, la legge costituzionale può essere adottata solo a maggioranza dei due terzi. In tal caso il referendum popolare regionale confermativo è obbligatorio e non facoltativo. Al di là delle procedure, le due diverse proposte regionali differiscono per il fatto che la soluzione valdostana si presterebbe ad essere applicata già in occasione della revisione totale dello statuto (avviata parallelamente e da presentarsi in seguito, in maniera distinta), mentre quella del Friuli Venezia Giulia si collocherebbe nel generale contesto della revisione totale, in atto, e si applicherebbe di conseguenza solo per le modificazioni successive. (98)
Sempre per quanto concerne la procedura per la modifica degli statuti delle Regioni ad autonomia speciale, sono da registrare, infine, anche alcune proposte di legge costituzionale d’iniziativa parlamentare. In cinque casi s’intenderebbe modificare le rispettive disposizioni di tutti gli statuti di autonomia (99) e in altri due solo quelle riguardanti la Regione Friuli Venezia Giulia (100) Tutte le proposte considerate – analogamente alle iniziative regionali – prevedono che le modifiche statutarie debbano essere adottate, con legge costituzionale (secondo quanto previsto dall’art. 116 Cost.), ma previa intesa con la Regione interessata (mentre ora è richiesto solo il previo parere del Consiglio regionale). (101) Si tratta, in queste ipotesi, della sostanziale riproposta di quanto già in precedenza previsto dall’art. 38 della legge costituzionale recante modifiche alla Parte II della Costituzione, approvata dal Parlamento nella precedente XIV legislatura (102) ma non confermata dal successivo referendum popolare del 25-26 giugno 2006. Si dispone dunque che qualora, entro tre mesi dalla trasmissione del testo, la Regione non neghi l’assenso a maggioranza dei due terzi, le Camere possono approvare la legge costituzionale di modifica statutaria (103) Dal punto di vista formale, tuttavia, la modifica del procedimento di revisione statutaria non s’inserisce più nella disposizione dell’art. 116 Cost., ma è posta direttamente nel testo degli statuti di autonomia particolare. Ne deriva una più intensa regionalizzazione delle norme che disciplinano questo procedimento (104) che non può che ribadire con ancor maggior nettezza – anche sul piano formale – la forte specializzazione normativa e la posizione non del tutto parificata delle leggi costituzionali di adozione degli statuti speciali rispetto alla Costituzione. E’ già chiaramente da escludere, infatti, che queste speciali fonti di valore costituzionale, con le quali si definiscono e si modificano le “forme e le condizioni particolari” dell’autonomia delle Regioni differenziate, possano derogare ad altre norme della Costituzione al di fuori di quelle del Titolo V della sua seconda Parte o comunque incidere su quei principi supremi che, come insegna la giurisprudenza costituzionale, “non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali” (105)

4.4.2. Gli aspetti sostanziali. L'iniziativa della Regione Friuli Venezia Giulia

Per quanto riguarda, invece, gli aspetti sostanziali della revisione statutaria, ci soffermeremo qui, in particolare, sul progetto di revisione dello Statuto della Regione Friuli Venezia Giulia, adesso all’esame della Camera in prima lettura. (106) L’impostazione sintetica di questo Rapporto non ci consente un approfondimento complessivo dei contenuti del testo della proposta presentata dal Consiglio di detta Regione. (107) Valuteremo qui, dunque, esclusivamente la questione cruciale del nuovo assetto delle competenze regionali, così come configurato dal richiamato disegno di legge costituzionale.
Il riparto delle competenze tra Stato e Friuli Venezia Giulia si articolerebbe in un sistema che individua quattro principali tipologie di potestà legislativa regionale e quattro diversi elenchi di materie. Secondo questa proposta avremmo pertanto:
- una legislazione regionale “esclusiva” - nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali - in un ambito materiale, in parte, espressamente elencato (art. 55.1) e, in parte, determinato in via residuale con riferimento ad ogni materia non espressamente riservata allo Stato da un secondo elenco, chiuso, di materie (art. 56.3); (108)
-   una legislazione “concorrente” nelle materie individuate da un terzo elenco di materie da esercitarsi nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale, oltre che degli stessi limiti generali indicati per la legislazione regionale esclusiva (art. 56.1);
- una legislazione di tipologia innominata ma istituzionalmente riconosciuta in alcune materie di competenza esclusiva dello Stato espressamente elencate (art. 56.2); (109)
- una legislazione “attuativa e integrativa” (ma di natura meramente delegata) che consente alla Regione di adeguare alle sue peculiari esigenze le disposizioni delle leggi di competenza esclusiva statale per le quali le leggi dello Stato attribuiscono ad essa questa facoltà (art. 57). (110)
Per quanto riguarda, poi, l’individuazione delle materie – che in base al riconfermato principio del parallelismo sono materie per le quali la Regione e le autonomie locali regionali hanno anche competenza amministrativa (111) – nell’elenco concernente la potestà legislativa esclusiva regionale s’individuano cinque diverse provenienze d’origine delle competenze ivi enumerate. Abbiamo, in primo luogo, il nucleo originario delle materie che sono già oggetto di legislazione primaria ai sensi dello statuto vigente (ordinamento degli enti locali, urbanistica, usi civici, impianto e tenuta dei libri fondiari, agricoltura, industria, commercio, fiere e mercati, artigianato, turismo, acque minerali e termali, foreste). Ad esse si aggiungono, inoltre, alcune materie residuali delle Regioni ordinarie ai sensi del nuovo articolo 117., comma 4, della Costituzione (formazione professionale, polizia amministrativa locale, assistenza e servizi sociali), alcune materie concorrenti ai sensi del nuovo articolo 117, comma 3, della Costituzione (tutela della salute, istruzione, governo del territorio, istituti di credito a carattere regionale), alcune materie ripartite ai sensi dell’art. 5 dello statuto ora vigente (toponomastica e cooperazione) e infine una serie di competenze nuove, parzialmente nuove, o d’incerta qualificazione o individuazione, tra cui si segnalano in particolare quelle che s’ispirano al progetto di riforma noto, nella scorsa legislatura, col nome di devolution (assistenza e organizzazione sanitaria, organizzazione scolastica, definizione dell’offerta formativa aggiuntiva d’interesse specifico della Regione).
Questa elencazione per quanto lunga, come abbiamo già visto, non è chiusa ma resa, da una parte, parzialmente estensibile per via delle materie residuali innominate (come in primo luogo l’amministrazione e il personale regionale, la caccia e la pesca, presenti tra le materie di competenza primaria nel vecchio statuto ed ora rese implicite) e, dall’altra, naturalmente compressa dall’effettiva estensione delle materie di competenza esclusiva dello Stato, nella loro interpretazione vivente. L’elenco di queste materie differisce da quello dell’articolo 117, comma 2, della Costituzione per la sola ragione che ne rimane eccettuata la competenza statale in materia di “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane” (lett. p), incompatibile col potere ordinamentale sugli enti locali spettante alla Regione in virtù del proprio statuto di autonomia. (112)
Passiamo adesso alle materie di legislazione concorrente. Facendo la comparazione tra l’attuale elenco concernente la potestà ripartita (art. 5 St.), quello recato dall’articolo 117, comma 3, della Costituzione e quello della proposta di modifica statutaria (art. 56), si ricava che quest’ultimo ricalca in buona misura l’enumerazione costituzionale – assorbendo completamente quella della disposizione statutaria (113) – discostandosene, oltre ai già rilevati casi di spostamento di alcune materie tra quelle di competenza esclusiva-residuale regionale, per aggiungere o esplicitare nuovi titoli di legittimazione per il legislatore regionale (tutela del paesaggio, promozione dell’occupazione, tutela dei consumatori) (114) o variarne la formulazione lessicale. In questa seconda ipotesi, i casi più significativi sono quelli che chiaramente intendono ridurre l’ambito della competenza concorrente a vantaggio di quella esclusiva-residuale della Regione. Le materie delle professioni e dei porti e aeroporti civili diventano, ad es., “ordinamento delle professioni” e “ordinamento dei porti e aeroporti”.
Per quanto riguarda la legislazione d’integrazione, buona parte delle materie del vecchio elenco statutario (art. 6) sono senz’altro assorbite nell’ambito delle nuove, più ampie, competenze individuate dal vigente testo dell’art. 117 della Costituzione (115) e attribuite, dal disegno di nuovo statuto, alla potestà legislativa concorrente. (116) Nuove competenze istituzionalizzate sono, invece, quelle che consentirebbero alla Regione d’intervenire in alcuni ambiti di potestà legislativa esclusiva statale per il perseguimento di determinate finalità. Rientrerebbero tra queste, le competenze finalizzate al miglioramento delle strutture e dei servizi giudiziari e penitenziari, nonché di quelli universitari e di ricerca avanzata (117), e anche quelle relative all’accoglienza e all’assistenza degli immigrati, all’insegnamento delle lingue regionali e minoritarie, agli interventi di protezione e valorizzazione ambientale, al miglioramento del livello di tutela e conservazione dei beni culturali e alla competitività economica con le aree confinanti. (118) La mancanza di particolari limitazioni per la legislazione statale, in detti casi, fa ritenere che questo tipo di legislazione regionale differisca da quella “attuativa e integrativa” – di cui all’art. 57 del progetto – per il solo fatto di essere finalisticamente orientata dallo statuto medesimo e da questo direttamente facoltizzata, pur trattandosi – in entrambi i casi – di legislazione integralmente condizionata dalla legislazione statale della materia. Conseguentemente, per le materie di competenza istituzionalizzata indicate direttamente dallo statuto, la Regione potrebbe incidere con interventi normativi praeter legem (ma non contra legem); per le competenze “attuativo-integrative”, invece, occorrerebbe sempre una previa autorizzazione legislativa statale che determini anche l’ampiezza dell’intervento del legislatore regionale.

4.4.3. Le leggi statutarie e le altre fonti di autorganizzazione delle Regioni a statuto speciale

Per quanto riguarda il procedimento di approvazione delle leggi statutarie – che, in attuazione della legge costituzionale n. 2 del 2001, consentono la completa regionalizzazione della disciplina della forma di governo, in precedenza regolata direttamente dagli statuti-leggi costituzionali della Repubblica – va segnalata, nel corso del 2006, la sola legge della Regione Valle d’Aosta, 14 marzo 2006, n. 5, che ha approvato modificazioni alla precedente l.r. 25 giugno 2003, n. 19, concernente l’iniziativa legislativa popolare e il referendum. (119)
Guardando alle fonti di autorganizzazione regionale, intese in senso più generale, occorre tenere in considerazione anche i regolamenti interni delle assemblee legislative – che sono funzionalmente connessi alla disciplina della forma di governo – e vanno dunque segnalate la revisione organica del regolamento del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia entrata in vigore il 1° gennaio 2006 (120) e la parziale modifica approvata dall’assemblea regionale siciliana (d.a.r.s. 20 luglio 2006). (121)
 
4.4.4. Le norme di attuazione degli statuti speciali
 
Nel corso del 2006 sono stati adottati undici decreti legislativi recanti norme di attuazione degli statuti speciali. Due di questi decreti riconoscono competenze legislative concorrenti in materia di prestazioni sanitarie e assistenziali e di previdenza complementare in attuazione dello statuto “e del combinato disposto dell’articolo 117 della Costituzione e dell’articolo 10 della legge costituzionale n. 3/2001”. (122) Altri due conferiscono nuove funzioni amministrative - in materia d’igiene e sanità (123), di grandi derivazioni a scopo idroelettrico (124) - al fine di assegnare alle autonomie speciali le competenze già attribuite alle Regioni ordinarie dal decreto leg. n. 112/98 e, a volte, di riconoscere - grazie ad un’applicazione in senso inverso del principio del parallelismo previsto dai rispettivi statuti - anche le corrispondenti competenze legislative. (125) Due decreti prevedono il trasferimento di beni demaniali e patrimoniali. (126) Gli ultimi cinque, infine, intervengono ad introdurre o a modificare e integrare precedenti norme di attuazione dello Statuto della Regione Trentino - Alto Adige concernenti la tutela delle minoranze linguistiche (127) o le specificità locali in materia di catasto (128) e istruzione. (129)
Nel corso del medesimo periodo sono state risolte dalla Corte costituzionale alcune questioni attinenti la violazione di dette norme. Si segnala di un certo rilievo, a questo riguardo, la sent. 10 febbraio 2006, n. 51, con la quale si precisa che “le norme di attuazione degli statuti speciali possiedono un sicuro ruolo interpretativo ed integrativo delle stesse espressioni statutarie che delimitano le sfere di competenza delle Regioni ad autonomia speciale”. Nel caso di specie, in particolare, è risultato erroneo il presupposto, dal quale muoveva il governo ricorrente, secondo il quale la Regione Sardegna sarebbe priva di potestà legislativa in tema di tutela paesaggistica. Tenuto conto, infatti, dell’esistenza di specifiche norme di attuazione e di una risalente legislazione regionale in questa materia, appare evidente, invece, che detta Regione dispone, nell’esercizio delle proprie competenze statutarie in tema di edilizia ed urbanistica, anche del potere di intervenire sui profili di tutela paesistico-ambientale.

 
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NOTE
 
(1)    La l.r. Calabria, 20 aprile 2005, n. 11, integrazione della legge regionale 19 ottobre 2004, n. 25, recante: “Statuto della Regione Calabria”, ha inserito il comma 5-bis all’art. 59 dello statuto (norme transitorie e finali).
(2)    La Regione Campania ha approvato una deliberazione statutaria in prima lettura il 18 settembre 2004, poi decaduta per fine legislatura.
(3)    Le Regioni Basilicata, Veneto e Molise hanno approvato dei testi in commissione, rispettivamente, il 22 dicembre 2003, il 7 agosto 2004 e il 28 settembre 2005, poi decaduti per fine legislatura.
(4)    In questa Regione è stato necessario ricostituire la Commissione speciale a carattere temporaneo prima del termine della VIII legislatura molisana, in quanto la durata in carica del precedente omologo organo si era esaurita.
(5)    Abruzzo, d.c.r. 21 giugno 2005 n. 3/2; Campania, reg. r. 5 dicembre 2005, n. 4, Regolamento per il funzionamento della Commissione consiliare speciale per la revisione dello Statuto della Regione Campania e del regolamento interno del Consiglio regionale; Lombardia, d.c.r. 5 dicembre 2006, n. VIII/266 (che ha revocato e sostituito la precedente d.c.r. 28 giugno 2005, n. VIII/7); Molise l.r. 8 febbraio 2006, n. 2; Veneto art. 15 ss. del reg. c.r., così come modificato dalla d.c.r. 31 gennaio 2003, n. 4.
(6)    V. in proposito Rapporto 2004-2005, parte II, cap. 2, Rapporti tra Giunta e Consiglio, p. 134 ss.
(7)    V. Tabella 2, c. C.
(8)    V. Rapporto 2006, parte II, appendice 1, Tav. IV, composizione del Consiglio.
(9)    V. Tabella 2, c. F. 
(10)    V. Tabella 2, c. H ed M.
(11)    V. la Tabella 3, da cui risulta che i consigli più “attivi”, nel corso del 2006, sono stati quelli dell’Emilia-Romagna e della Toscana, mentre quelli meno “produttivi”, di converso, sono stati quelli del Molise e della Calabria.
(12)    Abbiamo ritenuto di non considerare il 2005, diviso tra due legislature e dunque soggetto alla naturale flessione delle attività nel corso di un anno di rinnovazione dei Consigli.
(13)    Abruzzo, Liguria, Marche, Piemonte, Toscana, Umbria e Veneto.
(14)    Per la Puglia non sono disponibili i dati del questionario e lo Statuto dell’Abruzzo è entrato in vigore solo all’inizio del 2007.
(15)    Un approfondimento andrebbe fatto Regione per Regione, ma non è questa la sede per poterlo compiere.
(16)    Per un confronto di dati omogenei si è preferito tener conto degli anni centrali della precedente legislatura, escludendo gli anni interessati dall’avvicendarsi delle legislature (v. Rapporto 2004-2005, Focus sulla produzione normativa nella VII legislatura regionale, Tabelle 1 e 4)
(17)    I dati sono stati estrapolati dalla classificazione delle leggi secondo la tipologia della normazione nei Rapporti 2002 e 2003, Appendice, Tabella 2c. Per omogeneità con i dati disponibili per il 2006 non si è tenuto conto delle Regioni Campania e Puglia.
(18)    Il medesimo calo si registrò già nel 2005 quando le leggi provvedimento furono 43 (v. la classificazione delle leggi secondo la tipologia della normazione nel Rapporto 2006, Appendice 1, Tabella 5c).
(19)    V. Tabella 2.
(20)    Per una tipologia delle leggi provvedimento v. Rapporto 2000, parte II, cap. 5, Legislazione regionale di carattere provvedimentale, p. 101 ss..
(21)    V. supra, cap. 3, Tabella E.
(22)    Questo almeno ci suggeriscono i freddi dati numerici che, come abbiano visto, ci segnalano che l’unica funzione consiliare che non cresce, ma tende anzi a flettere, è quella normativa. Per una valutazione degli indici di qualità della funzione normativa per eccellenza: quella legislativa, v. supra, cap. 1, La competenza legislativa regionale nel 2006.
(23)    Per quanto riguarda la legislazione elettorale non si segnalano novità nel corso del 2006 e si rinvia al precedente Rapporto.
(24)    L.r. Umbria, 29 luglio 2005, n. 23, Istituzione di una commissione speciale per le riforme statutarie e regolamentari; d.c.r. Toscana, 11 ottobre 2005, n. 98, Istituzione Commissione speciale per gli adempimenti statutari e per il nuovo regolamento interno del Consiglio regionale.
(25)    Le leggi sulle nomine, sul collegio di garanzia statutaria, sulla conferenza permanente delle autonomie sociali e sulla normazione. Su tutte le priorità indicate sono stati istituiti dei gruppi di lavoro con il compito di predisporre delle "schede tematiche" da sottoporre a discussione, in seguito, in altrettanti seminari di approfondimento.
(26)    D.c.r. 13 novembre 2006 in BUR 27 novembre 2006, n. 53.
(27)    D.c.r. 28 febbraio 2006, n. VIII/133.
(28)    D.c.r. 22 dicembre 2006, n. 95 – 43604.
(29)    Calabria, art. 59.3; Emilia-Romagna, art. 73.2; Piemonte, n. t.f. I.1; Toscana, art. 80.2; Umbria, art. 85.3.
(30)    Abruzzo, art. 72; Calabria, art. 48; Emilia-Romagna, art. 23; Lazio, art. 66-67; Liguria, art. 65-67; Marche, art. 37-38; Piemonte, art. 88-89; Puglia, art. 45; Toscana, art. 66-67; Umbria, art. 28-29.
(31)    In materia di conferimento di funzioni amministrative e di riparto di competenze tra Regione ed enti locali (art. 72.3).
(32)    Questo nei soli casi in cui si tratti di piani e programmi che coinvolgano l’attività degli enti locali e il conferimento di funzioni alle autonomia locali e la relativa disciplina (art. 23.5); in tutte le altre ipotesi, si prevede che l’approvazione di progetti di legge, in difformità del parere del CAL, sia accompagnata dall’approvazione di un ordine del giorno da trasmettere al Consiglio stesso (art. 23.4).
(33)    Art. 67.2. L’approvazione a maggioranza assoluta dei membri non è richiesta per l’approvazione degli atti di programmazione generale e delle leggi di bilancio e degli atti ad esse collegate (art. 67.3).
(34)    la Giunta regionale, per gli atti di propria competenza è tenuta inoltre a motivare il rigetto del parere (art. 29.2).
(35)    St. Calabria, art. 57.7; St. Abruzzo, art. 80.2. Sulla collocazione endo-procedimentale del giudizio dell’organo di garanzia statutaria v. infra la nt. 70 e la nt. 74.
(36)    L.r. 21 aprile 1998, n. 22, istituzione del Consiglio delle autonomie locali, poi abrogata e sostituita dalla l.r. 21 marzo 2000, n. 36, nuova disciplina del Consiglio delle autonomie locali. Tutte le altre Regioni, ad eccezione della Campania, che regola diversamente la concertazione con gli enti locali, hanno tuttavia altri organismi di consultazione con le autonomie locali, a composizione mista, che sono, più o meno frequentemente, coinvolti nei procedimenti di formazione delle leggi, dei regolamenti e di atti amministrativi generali.
(37)    Per le quali v. infra cap. IV.
(38)    Il fenomeno non è nuovo e dal 2002 si contano diversi casi di leggi regionali attributive di competenze al CAL prima ancora dell’approvazione degli statuti.
(39)    Art. 78 reg. interno del Consiglio.
(40)    Reg. interno del Consiglio., art. 46 quater (come modificato dalla d.c.r. del 17 febbraio 2005), in attuazione dell’art. 66.4 dello statuto.
(41)    Art. 63.1, in attuazione dell’art. 48.9 dello statuto.
(42)    Art. 128.
(43)    St. Calabria, art. 56; St. Emilia-Romagna, art. 59; St. Lazio, art. 71; St. Liguria, art. 68; St. Marche, art. 40; St. Piemonte, art. 87.
(44)    Si noti che il Lazio, che ha istituito il CREL nella scorsa legislatura, lo ha costituito invece presso la Presidenza della Giunta regionale.
(45)    St. Liguria, art. 68.3, St. Marche, art. 30.1, lett. d).
(46)    Art. 46.
(47)    Art. 61.
(48)    Art. 73.
(49)    Art. 19.2.
(50)    l.r. Piemonte 18 ottobre 1994, n. 43, norme in materia di programmazione degli investimenti, art. 20, organismi consultivi; l.r. Puglia 3 aprile 1995, n. 10, istituzione del CREL; l.r. Abruzzo 30 agosto 1996, n. 77, istituzione del CREL; l.r. Basilicata 24 giugno 1997, n. 30, nuova disciplina degli strumenti e delle procedure della programmazione regionale, art. 14, CREL (così come sostituito dalla l.r. 9 dicembre 1997, n. 51); l.r. Emilia-Romagna, 21 aprile 1999, n. 3, riforma del sistema regionale e locale, art. 34, Conferenza regionale per l’economia e il lavoro, l.r. Lazio 18 aprile 2003, n. 12, istituzione del CREL; l.r. Veneto, 12 agosto 2005, n. 11, Conferenza regionale sulle dinamiche economiche e del lavoro.
(51)    Il Comitato economico e sociale istituito dall’art. 13 della l.r. 5 settembre 1992, n. 46, che in precedenza svolgeva questo medesimo compito consultivo, non è ora più operativo.
(52)    St. Abruzzo, art. 79-80; St. Calabria, art. 57 (v. anche il nuovo regolamento interno del Consiglio regionale, approvato con delib. 27 maggio 2005, art. 95-96 e art. 129-130); St. Emilia-Romagna, art. 69; St. Lazio, art. 68; St. Liguria, art. 74-75 (v. anche il nuovo regolamento interno del Consiglio regionale, approvato con delib. 9 giugno 2006, art. 136); St. Piemonte, art. 91-92; St. Puglia, art. 47ss.; St. Toscana, art. 57; St. Umbria, art. 81-82.
(53)    Calabria, Emilia-Romagna, Liguria (per i soli regolamenti di competenza del Consiglio), Piemonte, Toscana e Umbria.
(54)    V. St. Emilia-Romagna, art. 56, co. 3, secondo il quale “la legge può prevedere che l’adozione di un regolamento sia preceduta dal parere della Consulta di garanzia statutaria”.
(55)    L’art. 75.4 St. Regione Liguria prevede che “il parere sulla conformità statutaria dei progetti di legge e dei regolamenti regionali di competenza consiliare è espresso prima dell’esame di questi da parte dell’Assemblea”. L’art. 95 del nuovo reg. interno del Consiglio della Regione Calabria prevede, invece, che il parere della Consulta statutaria possa essere richiesto dopo la discussione e la votazione dei singoli articoli, prima della deliberazione finale sul progetto di legge.
(56)    Solo lo statuto della Regione Abruzzo individua come oggetto dei pareri di compatibilità statutaria, più correttamente, le “deliberazioni legislative”; in tutti gli altri casi in cui si fa riferimento alle leggi e ai regolamenti regionali, devono comunque intendersi le corrispondenti deliberazioni normative, prima della loro promulgazione o emanazione. L’uso della parola legge (o altra denominazione degli atti normativi) nel senso atecnico che  fa riferimento all’atto perfetto, ma non ancora entrato in vigore, si rinviene anche in Costituzione (v. ad es. art. 138, co. 2, e art. 123, co. 2 e 3)
(57)   Può sempre essere superato dal Consiglio regionale in caso di deliberazione di propria competenza.
(58)   La Corte cost. nella sent. n. 12 del 2006 (Presidente del Consiglio dei ministri vs. Regione Abruzzo) ha ritenuto che la previsione della deliberazione statutaria abruzzese (nella versione del 20 luglio-21 settembre 2004) che impone al Consiglio regionale un obbligo di motivazione, nel caso in cui intenda deliberare in senso contrario ai pareri dell’organo di garanzia statutaria, rientra nella disciplina del procedimento legislativo regionale – “ricompresa indubbiamente nei ‘principi fondamentali di organizzazione e funzionamento’ attribuiti dall’art. 123, primo comma, Cost. alla potestà statutaria delle Regioni” – e non limita in alcun modo l’esercizio della potestà legislativa del Consiglio medesimo. La disposizione in questione, inoltre, non viola nemmeno il principio dell’irrilevanza della motivazione degli atti legislativi, in quanto “la motivazione richiesta perché il Consiglio regionale possa deliberare in senso contrario ai pareri e alle valutazioni del Collegio di garanzia non inerisce agli atti legislativi, ma alla decisione di non tener conto del parere negativo, che costituisce atto consiliare distinto dalla deliberazione legislativa e non fa corpo con essa”.
(59)   Il fatto che la Corte cost., nella sua sent. n. 378 del 2004, abbia ritenuto infondati i rilievi governativi sulla legittimità dell’art. 82 dello Statuto della Regione Umbria, che attribuisce alla Commissione di garanzia statutaria il potere di esprimere pareri sulla conformità statutaria delle leggi e dei regolamenti regionali, con la motivazione che tali pareri “se negativi sul piano della conformità statutaria, determinano come conseguenza il solo obbligo di riesame, senza che siano previste maggioranze qualificate”, potrebbe far ritenere che le richiamate disposizioni siano da considerarsi di dubbia legittimità costituzionale.
(60)    Abruzzo, Calabria, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Piemonte e Toscana. Solo in Calabria e in Piemonte gli organi di garanzia esprimono pareri sull’interpretazione dello statuto nei conflitti di attribuzione tra la Regione e gli enti locali, oltre che tra gli organi della Regione. E’ da considerare però che in Abruzzo e in Calabria, a tutela delle autonomie locali, è previsto inoltre che il CAL possa richiedere l’acquisizione del parere dell’organo di garanzia statutaria per il controllo di compatibilità statutaria delle leggi (e in Abruzzo anche dei provvedimenti) riguardanti gli enti locali (St. Abruzzo, art. 71.5; St. Calabria, art. 45.2). Va chiarito che, sebbene a prima impressione possa sembrare che il ricorso al parere di compatibilità sia preventivo in Calabria e, pur con qualche dubbio, successivo in Abruzzo (in base al combinato disposto dell’art. 80.1, lett. c, e dell’art. 71.5) – cfr. P. Salvatelli, I nuovi statuti regionali e gli organi di garanzia statutaria, in Caretti (cur.), Osservatorio sulle fonti 2005, Torino 2006, 85 –, appaiono dirimenti, a favore della collocazione endo-procedimentale dell’espressione del giudizio consultivo in entrambi i casi, le previsioni dello statuto abruzzese secondo le quali, in tutti i casi previsti dallo statuto (art. 79.1, v. partic. lett. d), il Consiglio regionale può deliberare in senso contrario ai pareri del Collegio per le garanzie statutarie (art. 80.2).
(61)    Tutti gli statuti attribuiscono agli organi di garanzia il giudizio di ammissibilità dei referendum; solo le Regioni Abruzzo, Emilia-Romagna, Puglia e Liguria attribuiscono loro anche il giudizio di regolarità e/o ammissibilità delle iniziative legislative popolari.
(62)    Ad es. sui testi unici di riordino e coordinamento (Calabria), sulle proposte di regolamento regionale di delegificazione (Lazio) e sul carattere invasivo e lesivo delle attribuzioni regionali da parte di leggi ed atti aventi forza di legge dello Stato (Piemonte).
(63)    L.r. Liguria, 24 luglio 2006, n. 19, Istituzione della Consulta statutaria; l.r. Piemonte, 26 luglio 2006, n. 25, Costituzione e disciplina della Commissione di garanzia.
(64)    Si è tenuto esclusivo conto delle leggi o delle singole norme che si autoqualificano attuative dello statuto o cui questo rinvia specificamente.
(65)    L.r. 17 agosto 2006, n. 25.
(66)    Toscana, l.r. 14 ottobre 2005, n. 58, l.r. 17 febbraio 2006, n. 5, l.r. 1 marzo 2006, n. 6.
(67)    L.r. Toscana, 27 giugno 2005, n. 45; l.r. Marche, 9 giugno 2006, n. 6.
(68)    L.r. Toscana, 9 giugno 2005, n. 44.
(69)    L.r. Marche 10 febbraio 2006, n. 2, art. 20.1. V. anche l.r. 1 agosto 2005, n. 19, art. 32.5.
(70)    L.r. Puglia, 12 gennaio 2005, n. 1, disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2005 e del bilancio pluriennale 2005-2007, art. 70.
(71)    L.r. 1 agosto 2005, n. 13.
(72)    L.r. Umbria 2 maggio 2006, n. 7, trattamento dei dati sensibili e giudiziari.
(73)    L.r. Lazio 2 novembre 2006, n. 14, norme in materia di agriturismo e turismo rurale, art. 9.
(74)    L.r. 11 gennaio 2006, n. 1, art. 11, recante modifiche alla l.r. 12 agosto 2002, n. 34.
(75)    L.r. 1° agosto 2005, n. 19, modifiche alla l.r. 15 ottobre 2001, n. 20, in attuazione degli artt. 46 e 48 St.
(76)    L.r. 17 febbraio 2005, n. 9, art. 71.
(77)    La l..r. 3 giugno 2005, n. 12, art. 1.6, prevede la decadenza di diritto, alla data di proclamazione del Presidente della Giunta regionale, di tutti gli incarichi dirigenziali.
(78)    L.r. 15 settembre 2005, n. 16, art. 37, Disposizioni transitorie in materia di incarichi dirigenziali.
(79)    L.r. 21 agosto 2006, n. 7, art. 26, in attuazione delle disposizioni di cui all’art. 54.2 St. miranti alla razionalizzazione e/o alla progressiva dismissione delle partecipazioni in enti e società.
(80)    L.r. Emilia-Romagna 28 luglio 2006, n. 13, art. 29, autorizzazione alla partecipazione, ai sensi dell’art. 64 St., a tutte le società che gestiscono aeroporti commerciali localizzati nel territorio regionale al fine di sviluppare un sistema aeroportuale regionale; l.r Lazio 20 ottobre 2006, n. 11, promozione della costituzione, ai sensi dell’art. 56 St., di una società per azioni per la progettazione, esecuzione, manutenzione e gestione della rete autostradale e di infrastrutture di viabilità a pedaggio (modifiche alla l.r. 28 ottobre 2002, n. 37).
(81)    Emilia-Romagna, l.r. 27 luglio 2005, n. 14, legge finanziaria regionale, art. 2, adesione della Regione Emilia-Romagna alla “Fondazione Stava 1985 ONLUS”, e l.r. 29 settembre 2005, n. 18, partecipazione della Regione Emilia-Romagna alla costituzione dell’associazione collegio di Cina – centro per la cooperazione con la Cina sulla ricerca, formazione, cultura e sviluppo d’impresa.
(82)    L.r. 8 luglio 2005, n. 22.
(83)    L.r. Liguria 4 ottobre 2006, n. 27, integrazione dell’art. 42 della l.r. 28 novembre 1977, n. 44, sull’iniziativa e sui referendum popolari.
(84)    L.r. Puglia, 22 febbraio 2005, n. 5, riconoscimento della festa del Santo patrono quale manifestazione d’interesse regionale; l.r. Emilia-Romagna 24 aprile 2006, n. 3, interventi in favore degli emiliano-romagnoli nel mondo e funzionamento della consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo; l.r. Calabria 21 agosto 2006, n. 6, patto d’amicizia tra la Calabria e il West Virginia.
(85)    L.r. Umbria, 4 dicembre 2006, n 16, disciplina dei rapporti tra l’autonoma iniziativa dei cittadini e delle formazioni sociali e l’azione di comuni, province, Regione, altri enti locali e autonomie funzionali in ordine allo svolgimento di attività di interesse generale secondo i principi di sussidiarietà e semplificazione.
(86)    L.r. Umbria, 27 dicembre 2006, n. 18, legislazione turistica regionale; l.r. Emilia-Romagna, 1 agosto 2005, n. 17, norme per la promozione dell’occupazione, della qualità, sicurezza e regolarità del lavoro.
(87)    L.r. Toscana, 24 febbraio 2005, n. 41, sistema integrato di interventi e servizi per la tutela dei diritti di cittadinanza sociale; l.r. Umbria, 22 dicembre 2005, n. 30, sistema integrato dei servizi socio-educativi per la prima infanzia; l.r. Toscana, 28 dicembre 2005, n. 73, norme per la promozione e lo sviluppo del sistema cooperativo; l.r. Emilia-Romagna 6 giugno 2006, n. 6, norme per la promozione e lo sviluppo della cooperazione mutualistica in Emilia-Romagna; l.r. Liguria, 8 giugno 2006, n. 15, norme ed interventi in materia di diritto all’istruzione e alla formazione; l.r. Puglia 10 luglio 2006, n. 19, disciplina del sistema integrato dei servizi sociali per la dignità e il benessere delle donne e degli uomini in Puglia, artt. 30 e 34; l.r. Umbria 16 ottobre 2006, n. 12, contributo a favore dell’Accademia di belle arti “Pietro Vannucci” di Perugia; l.r. Liguria, 31 ottobre 2006, n. 33, testo unico in materia di cultura; l.r. Lazio 21 dicembre 2006, n. 25, disposizioni per favorire la diffusione del gioco delle bocce.
(88)    Per il Friuli Venezia Giulia v. AC/XIV/5617 e AS/XIV/3301 del 14 febbraio 2005 e per la Sicilia v. AS/XIV/3369 del 5 aprile 2005. Il disegno di legge costituzionale di revisione dello statuto di autonomia è stato nuovamente presentato dal Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia all’inizio della XV legislatura della Repubblica (AC/519 e AS/281 dell’8 e 9 maggio 2006). L’esame del provvedimento nella Commissione affari costituzionali della Camera è iniziato il 20 dicembre 2006, congiuntamente agli atti n. 519, n. 840 e n. 1816. Si può notare che il precedente 6 ottobre è stato siglato un protocollo d’intesa tra la Presidenza del Consiglio e la Regione in cui, tra l’altro, il Governo si è impegnato ad accelerare, per quanto nelle sue competenze, l’iter di approvazione del nuovo statuto regionale, seguendone il percorso procedurale d’intesa con il Consiglio regionale (art. 2).
(89)    L.r. 23 maggio 2006, n. 7.
(90)    L.r. 29 dicembre 2006, n. 35.
(91)    L.r. 2 aprile 2004, n. 12, Istituzione, attribuzioni e disciplina della Convenzione per la stesura del nuovo Statuto speciale di autonomia della Regione Friuli Venezia Giulia.
(92)    Otto mesi dall’insediamento dell’organo, in Sardegna, o dall’entrata in vigore della legge istitutiva, in Val d’Aosta
(93)    La sola legge valdostana prevede che la Convenzione svolga un’ulteriore fase di monitoraggio del seguito dato ai propri lavori, con particolare riferimento all’eventuale iter parlamentare.
(94)    Similmente a quanto previsto per la Convenzione friulana.
(95)    Il presidente del Consiglio regionale; il presidente della Regione; i capigruppo consiliari o i consiglieri regionali dagli stessi delegati; il presidente ed un rappresentante del Consiglio permanente degli enti locali; i parlamentari eletti in Valle d’Aosta; un rappresentante dell’Università della Valle d’Aosta; un rappresentante della Camera valdostana delle imprese e delle professioni, nominato dal Consiglio regionale su designazione del presidente della Camera medesima; due rappresentanti delle imprese; due rappresentanti delle organizzazioni sindacali dei lavoratori; un rappresentante degli organismi di parità della Regione; un rappresentante del terzo settore; un rappresentante della minoranza linguistica walser.
(96)    Ricorso del PCM 7 agosto 2006, n. 92 (in G.U., 1^ s.s., 20 settembre 2006, n. 38).
(97)    V. AC/1601 e AS/943, assegnati alle rispettive commissioni affari costituzionali il 19 e 28 settembre 2006.
(98)    Si è qui tenuto conto dei disegni di legge concernenti il procedimento di revisione degli statuti speciali presentati nella XV legislatura (in corso dal 28 aprile 2006), ma v. anche – nell’intero periodo di aggiornamento di questo capitolo – l’iniziativa dell’Assemblea legislativa siciliana (AS/XIV/3370 del 5 aprile 2005), recante modifiche all’art. 116 della Costituzione.
(99)    AC/230, Zeller; AC/980, Bressa; AC/1241, Boato; AC/1606, Biancofiore; AS/648, Peterlini.
(100)    AC/1672, Maran; AS/1062, Antonione.
(101)    La legge cost. n. 2 del 2001, estendendo e adattando alle altre Regioni speciali quanto già previsto in precedenza dal solo statuto sardo, ha previsto che i progetti di modificazione degli statuti d’iniziativa governativa o parlamentare siano comunicati dal governo della Repubblica all’organo legislativo regionale, che esprime il suo parere entro due mesi. In Trentino – Alto Adige il parere è espresso anche dai Consigli provinciali.
(102)    V. testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 269 del 18 novembre 2005.
(103)    Non si tiene qui conto degli aspetti peculiari che differenziano le singole iniziative parlamentari, cui necessariamente si rinvia. V. anche, per una disamina puntuale, il dossier di documentazione elaborato in materia dal servizio studi della Camera dei deputati (20 febbraio 2007).
(104)    Già i testi originali degli statuti di autonomia contenevano limitate e singolari deroghe regionali al procedimento di revisione statutaria rispetto a quello previsto, in genere, per le leggi costituzionali. La legge cost. n. 2 del 2001 ha poi introdotto più ampie disposizioni derogatorie del procedimento in questione all’interno degli statuti medesimi. Le modificazioni così apportate hanno previsto, in generale, l’esplicitazione dell’iniziativa anche consiliare per l’avvio del procedimento di revisione, il parere dell’assemblea legislativa regionale sui progetti di modificazione statutaria d’iniziativa statale e la sottrazione delle modificazioni approvate al referendum popolare nazionale previsto dall’art. 138 della Costituzione. Le altre disposizioni derogatorie, introdotte dalla stessa legge cost., costituiscono invece specifici adattamenti concernenti le singole Regioni.
(105)    V. Corte cost. 29 dicembre 1988, n. 1146, in un giudizio di legittimità costituzionale significativamente riguardante alcune disposizioni di uno statuto speciale.
(106)    Il mancato rinnovo, nella XV legislatura, del disegno di legge costituzionale recante modifiche allo Statuto della Regione Sicilia, già presentato dall’Assemblea regionale siciliana il 5 aprile 2005 (v. supra nt. 5), fa perdere, infatti, di attualità ed interesse nei confronti del progetto in questione.
(107)    Per una puntuale rilevazione dei contenuti del p.d.l. cost. rinviamo alla relazione introduttiva del medesimo (v. A.C. n. 519).
(108)    Si tratta del medesimo modello di legislazione regionale esclusiva, con elencazione aperta di materie e clausola di rinvio residuale, che si rinviene anche nel d.d.l. approvato dal Parlamento nella scorsa legislatura ma non confermato dal successivo referendum popolare (v. supra nt. 15).
(109)    Sembrano assimilabili a questa tipologia di legislazione anche gli “interventi integrativi” di cui all’art. 55.1, lett. l e lett. m, e i “provvedimenti legislativi” di cui all’art. 55.2.
(110)    In una collocazione tipologica che sembra collocarsi a metà tra la potestà legislativa integrativa (per materie individuate dallo statuto) e la potestà attuativa (per specifiche materie individuate dalle leggi statali), come da noi sostanzialmente definite, si pone la previsione secondo la quale i decreti legislativi di attuazione dello statuto possono attribuire alla potestà legislativa della Regione ulteriori funzioni tra quelle riservate allo Stato (art. 56.4).
(111)    Da esercitare nel rispetto dei principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione (art. 61).
(112)    V. l’art. 4, n. 1-bis, aggiunto dalla l. cost. 23 settembre 1993, n. 2, art. 5.1.
(113)    Per fare alcuni esempi, la materia dell’annona può ritenersi assorbita da quella dell’alimentazione e quella concernente le opere di prevenzione e soccorso per calamità naturali è da considerarsi superata, invece, dalla competenza in tema di protezione civile. Per un completo prospetto di comparazione tra le vecchie materie di competenza ripartita e la nuova ripartizione di competenze legislative si rinvia a G.M. Salerno, Gli statuti speciali nel sistema delle fonti, in A. Ferrara e G.M. Salerno (cur.), Le nuove specialità nella riforma dell’ordinamento regionale, Milano 2003, 50 ss.
(114)    La tutela del paesaggio è attualmente materia di integrazione e attuazione regionale (art. 6, n. 3, St.) e la promozione dell’occupazione è materia connessa con quella del lavoro nel medesimo elenco di competenze (art. 6, n. 2, St.).
(115)    La materia scuole materne, istruzione elementare, media, classica, scientifica, magistrale, tecnica e artistica è ora assorbita dalla comune competenza concorrente in tema di “istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche”. Lo stesso vale per le materie lavoro e previdenza e assistenza sociale che sono rispettivamente riconducibili alle comuni competenze concorrenti in materia di “tutela e sicurezza del lavoro” e “professioni”, da una parte, e “previdenza complementare ed integrativa”, dall’altra.
(116)    V. art. 56.1, lett. b, lett. c, lett. d, lett. n.
(117)    Si tratta, in questo caso, di competenze espressamente individuate nell’elenco delle materie di potestà legislativa esclusiva della Regione, ma che altrettanto espressamente limitano questa legislazione a “interventi integrativi” per le finalità indicate (art. 55.1, lett. l e lett. m). Assimilabile a questa ipotesi è probabilmente anche quella speciale previsione che autorizzerebbe – a determinate condizioni –, in materie non rientranti tra quelle di competenza regionale, provvedimenti (anche) legislativi necessari all’adattamento delle strutture, delle reti e dei servizi presenti sul territorio regionale alle esigenze dell’allargamento dell’Unione europea (art. 55.2).
(118)    Si tratta delle competenze legislative di tipologia innominata - individuate dall’art. 56.2 del cit. progetto di statuto - da esercitarsi nel rispetto dei limiti generali della legislazione regionale (art. 55.1), “fatte salve” le competenze esclusive dello Stato (art. 56.2).
(119)    In precedenza erano già state approvate la l.r. FVG 5/2003 (iniziativa popolare e referendum), la l.r. FVG 21/2004 (ineleggibilità e incompatibilità), la l.p. BZ 4/2003 (legge elettorale transitoria), la l.p. TN 2/2003 (forma di governo), l.p. TN 3/2003 (referendum), l.r. VdA 21/2002 (modifica legge elettorale), la l.r. VdA 19/2003 (iniziativa popolare e referendum), la l.r. SIC 1/2004 (iniziativa legislativa e referendum), la l.p. di Bolzano 18 ottobre 2005, n. 11 (iniziativa legislativa popolare e referendum).
(120)    Approvata con d.c.r. 6 ottobre 2005.
(121)    In precedenza, a seguito delle riforme del 2001, erano già state apportate alcune modifiche ai regolamenti consiliari delle Regioni Sicilia (2003), Valle d’Aosta (2005) e Sardegna (2005) e delle province autonome di Trento (2002) e Bolzano (2001 e 2003).
(122)    Val d’Aosta: D.lgs. 24 aprile 2006, n. 208, norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione autonoma Valle d’Aosta in materia di contributi per la copertura di oneri sanitari ed assistenziali (che contiene l’espresso riferimento alla clausola di maggior favore) e D.lgs. 24 aprile 2006, n. 197, norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Valle d’Aosta in materia di previdenza complementare.
(123)    Province autonome di Bolzano e Trento: D.lgs. 12 aprile 2006, n. 168, norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige, in materia di controlli igienico-sanitari sulle merci all’importazione ed assistenza sanitaria negli istituti penitenziari.
(124)    Province autonome di Bolzano e Trento: D.lgs. 7 novembre 2006, n. 289, norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige, recanti modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 26 marzo 1977, n. 235, in materia di concessioni di grandi derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico.
(125)    Per la disciplina delle grandi derivazioni di acque pubbliche a scopo idroelettrico con leggi delle due province autonome di Bolzano e Trento.
(126)    Sardegna e Province autonome di Trento e Bolzano: D.lgs. 18 settembre 2006, n. 267, norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Sardegna, recanti modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 19 maggio 1949, n. 250, in materia di demanio e patrimonio; D.lgs. 4 aprile 2006, n. 176, norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige, concernenti modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 381, in materia di trasferimento di beni del demanio stradale.
(127)    D.lgs. 4 aprile 2006, n. 178, norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige, concernenti modifiche al decreto legislativo 16 dicembre 1993, n. 592, in materia di tutela della popolazione di lingua ladina in provincia di Trento; D.lgs. 4 aprile 2006, n. 177, norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige, concernenti modifiche al decreto legislativo 16 dicembre 1993, n. 592, in materia di tutela della popolazione di lingua ladina in provincia di Bolzano.
(128)    D.lgs. 18 aprile 2006, n. 196, norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige, concernenti modifiche al decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 280, in materia di catasto terreni e catasto urbano.
(129)    D.lgs. 25 luglio 2006, n. 250, norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige in materia di accademia di belle arti, istituti superiori per le industrie artistiche, conservatori di musica e istituti musicali pareggiati in provincia di Trento; D.lgs. 25 luglio 2006, n. 245, norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige in materia di accademia di belle arti, istituti superiori per le industrie artistiche, conservatori di musica e istituti musicali pareggiati in provincia di Bolzano. Limitatamente a quanto riguarda il finanziamento e l’edilizia delle accademie e dei conservatori, è riconosciuta anche la competenza legislativa.

 
5. TENDENZE NELLA SANITA' REGIONALE
 
5.1.  Introduzione
 
Il ruolo delle Regioni nel policymaking nel settore sanitario è in costante evoluzione. Nelle edizioni precedenti di questo Rapporto si è osservato come molte Regioni sembrino in grado di attuare ed amministrare politiche innovative ed assai sofisticate tecnicamente, quali, ad esempio: strumenti per la fissazione delle priorità circa le prestazioni da offrire ai loro residenti; linee guida per prestazioni complesse riguardanti, tra l’altro, la salute mentale, le cure palliative e la medicina integrata; la promozione dell’efficacia ed appropriatezza clinica tramite la cosiddetta “programmazione negoziata” con le aziende sanitarie. Le Regioni dimostrano una sana cautela nelle loro scelte di politiche e strumenti gestionali nuovi e, prima di introdurre tali innovazioni in modo generalizzato, spesso le sperimentano in via limitata. Infine, alcune Regioni sembrano più aggressive e centralizzatrici nella gestione delle risorse, nonché capaci di affrontare la questione su molteplici versanti, come gli esempi cui poi si farà riferimento dimostrano ampiamente.
Sembra possibile sostenere, quindi, che nella maggior parte delle Regioni si è verificato un miglioramento della capacità di “governare” il servizio sanitario regionale. Tuttavia, appare altrettanto vero - in base alle informazioni fornite dalle Regioni stesse - che permangono notevoli differenze interregionali a questo riguardo. Ad un estremo dello spettro, alcune Regioni dimostrano di possedere una notevole volontà e capacità di intraprendere spontaneamente delle iniziative, anche altamente innovative. Tali Regioni vengono viste come Regioni “trainanti”, sovente usate come punto di riferimento da altre Regioni e, a volte, anche dagli organi programmatori centrali. All’altro estremo, si trovano Regioni che invece stentano ad adeguarsi perfino agli indirizzi di base stabiliti dallo Stato. Esiste, quindi, una notevole diversità interregionale riguardo alla volontà e/o capacità di stabilire obiettivi effettivamente operativi e di modificarli, di disegnare nuovi strumenti d’intervento o di sostituire strumenti esistenti con altri dimostratisi più efficaci e, infine, di aggiustare le modalità di applicazione degli strumenti d’intervento.
Nei precedenti Rapporti, si è ipotizzato che la maggiore autonomia delle Regioni, insieme con le differenze interregionali nella capacità di “governare”, rischi di portare nel tempo ad una sempre maggiore diversità organizzativa e ad una notevole eterogeneità nelle caratteristiche dell’assistenza resa disponibile al cittadino. Tuttavia, l’analisi delle informazioni fornite dalle Regioni per il Rapporto 2006 insieme ad una rilettura dei dati raccolti per il 2005 suggeriscono che, in controtendenza rispetto al passato, tale disomogeneità fra le singole Regioni potrebbe ridursi in modo non marginale. Sta emergendo, forse, una nuova forma di regionalismo, quello cooperativo, nel quale lo Stato e le Regioni sono più disponibili a collaborare nel disegnare le politiche sanitarie. Inoltre, sembra anche che il Governo centrale sia più incline a tentare di influenzare le Regioni nella scelta delle politiche.


5.2  Le fondamenta del regionalismo cooperativo

La base principale per la cooperazione intergovernativa nel settore sanitario è costituita da due Accordi stipulati fra lo Stato e le Regioni: quello dell’8 agosto del 2001 e, in particolare, quello del 23 marzo del 2005, previsto dalla legge finanziaria per il 2005 (legge 311/2004, art. 1, commi 173-176). Importante, inoltre, è l’Intesa fra Stato e Regioni sul Piano del contenimento delle liste di attesa per il triennio 2006-2008 del 28 marzo 2006. Il Patto per la salute, infine, è stato firmato dallo Stato e dalle Regioni il 29 settembre 2006 e, quindi, i suoi effetti non sono ancora rilevabili.
Il principio chiave sottostante agli accordi citati è quello della collaborazione fra Stato e Regioni nel contenimento della spesa sanitaria pubblica. Precedentemente, le direttrici della strategia per il controllo della spesa erano le seguenti: lo Stato stabiliva, in primo luogo, l’ammontare degli stanziamenti destinati alle Regioni; le Regioni erano formalmente obbligate a coprire gli eventuali disavanzi con risorse proprie e, allo scopo di permettere loro di onorare tale obbligo, lo Stato concedeva periodicamente alle Regioni ulteriori fonti proprie; infine, lo Stato elargiva alle Regioni finanziamenti “straordinari” per consentire loro di far fronte ai debiti pregressi. L’accordo del 2001 introduce importanti cambiamenti nella strategia per il controllo della spesa. Il patto tra lo Stato e le Regioni, infatti, stabilisce che gli eventuali finanziamenti straordinari per la copertura dei debiti pregressi saranno, comunque, inferiori alle effettive necessità e che, inoltre, potranno essere assegnati solo a condizione che le stesse Regioni individuino preventivamente, ed in modo dettagliato, i provvedimenti da intraprendere per coprire la parte dei debiti non coperti dal finanziamento statale e per evitare la ripetizione di disavanzi nel futuro. Con l’accordo del 2001 viene altresì definito l’impegno finanziario a carico dello Stato riguardo al Servizio sanitario nazionale, consistente nell’assicurare alle Regioni le risorse necessarie a far fronte all’obbligo costituzionale di garantire ai propri cittadini i Livelli essenziali di assistenza (LEA). Le Regioni, da parte loro, assumono invece l’impegno di finanziare con risorse proprie i servizi extra LEA forniti, nonché le spese da attribuire a diseconomie ed inefficienze. Le Regioni si impegnano, inoltre, ad adottare strumenti per una gestione corretta ed efficiente dei servizi, in particolare per quanto riguarda il personale.
L’accordo del 2001 è riuscito soltanto in parte a risolvere il problema dei disavanzi regionali e alcune Regioni sono state particolarmente inadempienti a questo riguardo. Anche per questo, nel 2005 è stato firmato un nuovo accordo nel quale le Regioni, in cambio di una ulteriore e più consistente assistenza finanziaria da parte dello Stato, hanno accettato di sottoporsi a condizioni molto più esigenti e vincolanti. Come con l’accordo del 2001, le Regioni devono preparare piani dettagliati per il risanamento del loro bilancio, ma per poter accedere ai finanziamenti aggiuntivi per ridurre il loro indebitamento, devono anche impegnarsi ad alimentare il Nuovo sistema informativo sanitario (NISS), istituito presso il Ministero della salute allo scopo di consentire la valutazione della qualità, efficienza ed appropriatezza delle misure intraprese da ogni Regione e il valido confronto di tali esiti con quelli ottenuti in altre Regioni. Al fine di consentire analisi comparative dei costi, dei rendimenti e dei risultati in ciascuna azienda (azienda unità sanitaria locale, azienda ospedaliera, ospedale universitario e istituto di ricovero e cura a carattere scientifico), le Regioni devono anche adottare la contabilità analitica per centri di costo e responsabilità. Inoltre, le Regioni devono accettare di razionalizzare la rete ospedaliera e ridurre lo stock di posti letto e, parallelamente, promuovere il passaggio dal ricovero ordinario al ricovero diurno e potenziare forme alternative al ricovero ospedaliero. Devono anche assicurare adeguati programmi di assistenza domiciliare integrata, di assistenza residenziale e semi-residenziale extraospedaliera. Sono obbligate ad elaborare piani regionali per la realizzazione degli interventi previsti dal Piano nazionale della prevenzione 2005-2007 e dal Piano nazionale per l’aggiornamento del personale per lo stesso triennio (allegati 2 e 3 all’Accordo).
Con l’accordo del 2005, le Regioni hanno assunto anche ulteriori impegni. In particolare esse devono:
-   promuovere lo sviluppo e l’attuazione di percorsi diagnostici e terapeutici, sia per il livello di cura ospedaliera che per quello territoriale, allo scopo di assicurare l’uso appropriato delle risorse sanitarie e garantire l’equilibrio della gestione;
-   adottare criteri e modalità per individuare le prestazioni che non soddisfano il principio di appropriatezza organizzativa e di economicità nell’utilizzo delle risorse;
-   attuare adeguate azioni per l’eliminazione o il significativo contenimento delle liste di attesa senza maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato, aderendo agli obbiettivi ed obblighi contenuti nell’intesa fra lo Stato e le Regioni del 28 marzo 2006 sul Piano di contenimento dei tempi di attesa per il triennio 2006-2008.
Infine, con l’Accordo del marzo del 2005 le Regioni si impegnano a sottoporsi alla verifica annuale delle azioni intraprese e della loro efficacia e, a tal fine, a trasmettere al centro, utilizzando apposite e dettagliate procedure condivise, informazioni sulle attività svolte e sui provvedimenti attuativi delle misure contenute nello stesso Accordo e nei vari piani nazionali. Il processo di verifica prevede un tavolo tecnico e uno politico, nonché stretti contatti fra i ministeri nazionali e le istituzioni regionali. I risultati della verifica condizionano l’accesso delle singole Regioni ai finanziamenti integrativi statali.
Nonostante la complessità degli adempimenti a carico delle Regioni contenuti nell’accordo del 2005, nel corso dello stesso anno le Regioni avevano già intrapreso alcune delle azioni previste, come messo in evidenza nella precedente edizione del Rapporto. Si tratta di misure per: responsabilizzare i decisori locali tramite l’adozione di nuovi processi e strumenti di bilancio; monitorare l’erogazione delle prestazioni e le rispettive spese; fissare le priorità; promuovere l’appropriatezza delle prestazioni; promuovere la prevenzione; governare l’assunzione e l’utilizzo del personale; contenere le liste di attesa. Tuttavia, come risulta dalle informazioni fornite dalle Regioni per il 2006, è a partire da questo anno che la nuova strategia sembra cominciare effettivamente a condizionare in modo significativo le politiche a livello regionale.


5.3. Governo della spesa

Secondo l’accordo del 2005 (ma già secondo l’art. 5 d) del dlgs 502/92 e successive modifiche e integrazioni), le Regioni devono adottare sistemi di contabilità analitica per le singole strutture. E’ questo un buon esempio di uno strumento che un numero consistente di Regioni – a partire dall’Emilia-Romagna, dalla fine degli anni ottanta - avevano già adottato autonomamente e che successivamente è stato riconosciuto necessario da parte del governo centrale, che ne ha ripetutamente prevista l’estensione all’intero universo delle Regioni. I Rapporti precedenti hanno elencato le numerose innovazioni in campo di contabilità e bilancio. Si è notata la riluttanza delle Regioni ad adottare tali tecniche in modo generalizzato prima di averle sottoposte alla sperimentazione, pratica del resto incoraggiata dallo Stato. Evidentemente, le autorità centrali sono convinte dell’utilità e fattibilità della contabilità analitica decentrata, tanto da volerne promuovere l’adozione in tutto il paese. Detto ciò, almeno a giudicare dalle informazioni fornite dalle Regioni, progressi significativi sono stati compiuti soprattutto in quelle dove si è trattato di ampliare e consolidare sistemi di contabilità analitica già in funzione, ponendo una maggiore enfasi sul carattere decentrato del bilancio. Per le altre, data la complessità del processo di elaborazione ed attuazione di sistemi contabili di questa natura, è plausibile che si sia ancora in una fase istruttoria. Anche queste Regioni, comunque, sono tenute a comunicare annualmente al governo centrale, nell’ambito delle verifiche degli adempimenti, i passi concreti compiuti.
Sempre secondo l’accordo del 2005, le Regioni devono comunicare preventivamente le misure da intraprendere per contenere la spesa nel caso si verificassero nuovi disavanzi. Nel 2006, numerose Regioni hanno comunicato alle aziende sanitarie delle descrizioni piuttosto dettagliate delle misure da implementare in caso di disavanzi, supportate spesso da direttive ed indirizzi vincolanti. Alcune Regioni, inoltre, hanno elaborato piani dettagliati di risanamento e di razionalizzazione.
L’attività regionale nel campo del governo della spesa sanitaria nel 2006 sembra essere stata dominata da azioni mirate direttamente a rispettare gli obblighi dell’accordo del 2005, ma anche ad attuare autonome iniziative in questo campo (1). Per fornire un’idea della tipologia di interventi posti in essere, si segnalano le seguenti:
-   interventi per il contenimento della spesa farmaceutica, compresi meccanismi per il monitoraggio dei comportamenti prescrittivi dei medici di base e medici presso strutture pubbliche e convenzionate. Procedure nuove sono state introdotte per la distribuzione dei farmaci specifici, compresi quelli per le malattie rare. Interessante, da questo punto di vista, è il caso della Liguria, che ha previsto il concorso delle farmacie al conseguimento degli obiettivi statali per il contenimento della spesa farmaceutica compensato dalla sospensione, nell’anno successivo, del pagamento della relativa tassa di concessione regionale (artt. 12 e 13 della legge finanziaria per il 2007);
-    interventi per il contenimento della spesa per il personale, con la previsione di limiti sull’assunzione a tempo indeterminato, blocco delle assunzioni, target annui per la riduzione della spesa per il personale. Di interesse è l’iniziativa della Sicilia di ridurre del 10% i compensi da corrispondere ai direttori generali delle aziende sanitarie locali e aziende ospedaliere e di congelarli per il prossimo triennio;
-    l’imposizione di budget o tetti di spesa sugli erogatori pubblici e privati e sulle aziende sanitarie;
-    la promozione di nuove procedure per assicurare la collaborazione fra le singole aziende sanitarie in materia di erogazione di specifici servizi. Interessante, al riguardo, è l’iniziativa della Basilicata, volta alla istituzione di comitati consultivi misti aziendali e di distretto, per il controllo di qualità dei servizi da parte degli utenti;
-    la fusione forzata delle aziende sanitarie, ad esempio in Calabria la riduzione delle ASL da 11 a 5, fino alla creazione, nella Provincia autonoma di Bolzano, di un’azienda sanitaria regionale unica (quest’ultima soluzione già adottata in anni precedenti da alcune altre Regioni);
-    la migliore utilizzazione del patrimonio delle aziende sanitarie, prevista da diverse Regioni, tra le quali l’Abruzzo e il Friuli Venezia Giulia. La prima ha previsto che, entro il 31 dicembre 2007, le ASL attivino le procedure di dismissione mediante alienazione del patrimonio immobiliare non impiegato per lo svolgimento di attività sanitaria. Oltre a disciplinare la procedura di dismissione, la Regione Abruzzo prevede che il mancato rispetto delle norme in questione costituisca elemento di giudizio negativo ai fini della valutazioni delle prestazioni dei direttori generali delle ASL. La Regione Friuli Venezia Giulia, invece, con la sua legge finanziaria per il 2007, ha previsto il trasferimento dei beni immobili degli enti del servizio sanitario regionale ad un apposito fondo immobiliare, le cui quote devono comunque rimanere di totale proprietà pubblica;
-    il rafforzamento della linea di comando che va dalle Regioni alla periferia. Al riguardo si registra l’emanazione di direttive da parte delle Regioni ai responsabili delle Unità operative, volte a rendere sempre più esplicita la responsabilità diretta dei decisori locali riguardo ai risultati delle loro attività gestionali. In molti casi sono state anche previste sanzioni, fino al licenziamento automatico, per il mancato raggiungimento degli obiettivi finanziari, in particolare quello del pareggio del bilancio;
-    la centralizzazione delle attività, tendenza già osservata nei Rapporti precedenti, allo scopo di massimizzare le economie di scala. In particolare, le Regioni hanno continuato il processo di accorpamento delle attività amministrative sovra-aziendali. Per esempio, la Regione Friuli Venezia Giulia ha creato i cosiddetti centri servizi condivisi (consorzi obbligatori fra le ASL e fra gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifici). Un’altra Regione, l’Umbria, ha istituito una società per la gestione integrata in materia sanitaria. Un’altra ancora, la Basilicata, ha preparato un piano per la creazione di una unione di acquisto delle aziende e per la sperimentazione della centralizzazione delle procedure di appalto di lavori e servizi delle ASL. Infine, la Toscana ha continuato ad estendere il campo di applicazione della strategia degli enti per i servizi tecnico-amministrativi di area vasta (ESTAV) per la gestione, fra l’altro, dei sistemi informatici, del patrimonio per le funzioni ottimizzabili in materia di manutenzione, appalti e alienazioni e delle procedure concorsuali per il reclutamento del personale.


5.4. Tutela della salute
L’accordo del 2005 vincola il contributo finanziario statale per il risanamento dei bilanci regionali alla preparazione, da parte delle Regioni, dei piani regionali per l’attuazione del Piano nazionale della prevenzione 2005-2007. Le attività delle Regioni nella prevenzione sono state già considerevoli nel 2005 e, a giudicare dalle informazioni fornite per il 2006, esse continuano ad investire molto in questo campo. Un’importanza particolare è stata data allo screening per la diagnosi precoce dei tumori al seno, all’utero e al colon retto. Priorità è stata data anche alla diagnosi e terapia dell’obesità e alla prevenzione delle sue complicanze, compreso il diabete. Alcune Regioni hanno attribuito importanza al problema dell’obesità infantile; sono state prese iniziative per la prevenzione, diagnosi e terapia dei disturbi del comportamento alimentare. Si sono avviati programmi per l’educazione alimentare nella scuola e per l’orientamento dei consumi. Un progetto più vasto, in Abruzzo, è stato quello per lo screening sulla popolazione scolare d’obbligo. Sono stati avviati alcuni progetti per lo screening di persone con una storia di patologie cerebro-cardiovascolari. Numerose Regioni hanno avviato programmi per la realizzazione e il miglioramento qualitativo dei servizi di vaccinazione. Molte hanno lanciato programmi per la sorveglianza e la prevenzione degli incidenti domestici, stradali e sul luogo di lavoro. Una Regione, il Piemonte, ha comunicato l’approvazione di un progetto per la sicurezza nei cantieri edili. Alcune tra le iniziative segnalate sembrano particolarmente innovative: un progetto sperimentale, in Abruzzo, per la prevenzione e cura della carie dentale nella popolazione degli immigrati residenti e dei cittadini residenti esenti dal ticket per le prestazioni sanitarie; un programma per la prevenzione della morte improvvisa del lattante (SIDS) in Lombardia; interventi per la prevenzione dei decessi da overdose, per esempio in Emilia-Romagna; interventi in materia di danni alla salute per eventuali ondate di calore nell’estate 2006 in Umbria; piani di preparazione e risposta per una pandemia influenzale, ad esempio nel Molise.
Le Regioni devono anche attuare il Piano nazionale per l’aggiornamento del personale sanitario per il triennio 2005-2007 e sembra che, rispetto agli anni passati, nel 2006 esse siano state più attive. Esempi di iniziative in materia sono: la formazione degli operatori socio-sanitari ed infermieri in varie Regioni; la formazione di personale presso le reti palliative, compresi gli operatori degli enti locali destinati a questa attività in Basilicata; la formazione e l’aggiornamento continuativo degli operatori dei Servizi sanitari regionali; l’aggiornamento obbligatorio per i medici specialistici pediatri; la formazione del personale addetto al trattamento domiciliare dell’emofilia in Emilia-Romagna. Alcune Regioni hanno organizzato corsi di formazione manageriale mentre una, l’Abruzzo, ha finanziato corsi in materia di sanità ed organizzazione e gestione sanitaria per direttori generali, direttori amministrativi e direttori sanitari.
L’accordo del 2005 prevede che le Regioni prendano delle iniziative per contenere le liste di attesa e il 28 marzo 2006 è stata sancita l’intesa tra Stato e Regioni sul Piano nazionale per il periodo 2006-2008. Secondo il Ministero della salute (2), la risposta delle Regioni è stata tempestiva - al marzo 2007 tutte avevano predisposto un piano regionale per il contenimento dei tempi di    attesa -, ma esiste una disomogeneità notevole circa le prestazioni oggetto di monitoraggio e i relativi tempi massimi. Anche le informazioni fornite dalle Regioni per il Rapporto non sono uniformi: risulta che la maggioranza delle Regioni abbia elaborato un piano entro la fine dell’anno 2006, sebbene alcune, in sostituzione del piano o a sua integrazione, hanno adottato delle linee guida o degli indirizzi per la gestione delle liste di attesa. Per quanto riguarda le azioni concrete volte a contenere le liste, alcune Regioni, ad esempio, hanno utilizzato le strutture private in modo selettivo, sia per ridurre la pressione sulle strutture pubbliche con liste di attesa particolarmente lunghe, sia per diminuire la mobilità interregionale passiva.
L’accordo del 2005 mette in rilievo la necessità di migliorare la gestione dei processi erogativi, non soltanto e neanche principalmente in termini di economia, efficienza e qualità, quanto soprattutto in termini di appropriatezza e grado di integrazione delle diverse attività assistenziali. Più specificatamente, le Regioni devono mirare a minimizzare il ricorso alla degenza ospedaliera ordinaria, sostituendola, dove appropriato, con l’assistenza in regime di ricovero diurno o presso strutture extraospedaliere o a domicilio. E le Regioni hanno segnalato le azioni intraprese nel 2006 per promuovere il passaggio dal ricovero ordinario a quello diurno, che hanno portato ad una riduzione graduale dei ricoveri ospedalieri e all’eliminazione di posti letto per ricoveri ordinari acuti, ovviamente a fronte di un incremento dell’assistenza domiciliare integrata e dei servizi di riabilitazione domiciliare. Strutture chirurgiche ospedaliere sono state convertite in servizi chirurgici ambulatoriali. Alcune Regioni hanno privilegiato finanziariamente l’assistenza domiciliare e residenziale extraospedaliera e la degenza post-acuzie. Una Regione, il Veneto, ha approvato un progetto per la creazione delle strutture residenziali extra-ospedaliere per pazienti terminali o in stato vegetativo permanente. Parecchie hanno promosso lo sviluppo delle attività territoriali, in particolare nell’area degli anziani, anche con riferimento alla copertura all’interno delle strutture residenziali. Inoltre, sono state incoraggiate le attività di integrazione socio-sanitaria nell’area della fragilità con uno stretto collegamento fra servizi sanitari e sociali. Connessi a tali iniziative sono stati gli sforzi compiuti da alcune Regioni per potenziare l’assistenza di base, ad esempio con la creazione di Nuclei per le cure primarie che permettono ai medici di famiglia di potenziare l’attività assistenziale. Si riscontrano, infine, numerosi esempi di nuovi programmi regionali di edilizia e di dotazione di attrezzature tecnologiche, oppure di aggiornamento dei programmi esistenti.
Come negli anni precedenti, le Regioni sono state molto attive nell’emanazione di linee guida, linee di indirizzo e direttive riguardanti i servizi e le strutture erogatrici. Ad esempio, sono state adottate linee guida e di indirizzo per: l’autorizzazione, il funzionamento e l’accreditamento di centri che erogano prestazioni di procreazione medicalmente assistita (Sardegna); l’erogazione di prestazioni di recupero e rieducazione funzionale presso le residenze sanitarie assistenziali (RSA) e centri diurni integrati (Provincia autonoma di Trento); l’accreditamento di centri di medicina sportiva (Lombardia); il monitoraggio dell’influenza aviaria (Liguria); la prevenzione del consumo e abuso di sostanze stupefacenti e psicotrope (Emilia-Romagna). La Regione Umbria ha emanato delle linee guida per la gestione operativa del sistema d’allerta per alimenti destinati al consumo umano. Sempre nel 2006, il Piemonte ha pubblicato le direttive che definiscono le procedure per l’autorizzazione di nuove centri di trapianti d’organo e tessuti e per il rinnovo di centri già esistenti.
Nel rispondere al questionario per l’anno 2006, le Regioni hanno messo in rilievo le difficoltà finanziarie incontrate durante l’esercizio, difficoltà che hanno ostacolato l’aumento delle prestazioni già esistenti e l’introduzione di servizi nuovi. Alcune, tuttavia, sono riuscite a espandere la disponibilità delle prestazioni in certi settori particolarmente carenti, ad esempio servizi a favore dei trapiantati d’organo e midollo osseo e dei donatori d’organo da viventi. Nel 2006, un certo numero di Regioni ha introdotto nuovi servizi o ha aumentato quelli esistenti nell’area dell’assistenza palliativa e, in un caso, la Basilicata, è stata prevista la creazione di una unità di terapia del dolore. E’ stata anche data importanza alla costruzione di reti regionali per le malattie rare e al consolidamento delle reti esistenti, per esempio costituendo una vasta area integrata tra la Regione Veneto e le Province autonome di Trento e Bolzano per curare tali patologie. Alcune Regioni hanno incluso il servizio dell’elisoccorso nell’ambito del servizio di urgenza e di emergenza.
Relativamente poche iniziative sono state invece segnalate riguardo alla introduzione di nuove prestazioni extra-LEA. Tra queste si può citare, ad esempio, quella della certificazione sportiva per i minori e disabili e quella della ridefinizione extra-LEA di alcune prestazioni nella branca specialistica della medicina fisica e riabilitativa. Alcune Regioni hanno destinato risorse aggiuntive alla cura dei non autosufficienti. Interessante è pure un’iniziativa per la promozione dell’iscrizione di immigrati stranieri al servizio sanitario regionale nella Provincia autonoma di Trento. Va anche ricordata l’introduzione in via sperimentale di alcuni nuovi servizi, come ad esempio: l’assistenza a soggetti affetti da Alzheimer; le prestazioni a favore di minori vittime di maltrattamento e per la cura delle loro famiglie; la cura e riabilitazione di bambini e ragazzi affetti da autismo. Una Regione, l’Umbria, ha avviato la sperimentazione di un assegno di cura e sostegno per interventi sanitari e socio-sanitari assistenziali per persone con gravi disabilità.
Alcune Regioni, tra cui ad esempio la Valle d’Aosta, il Friuli-Venezia-Giulia e la Lombardia, hanno approvato nel 2006 i propri Piani sanitari regionali triennali. Inoltre, sono stati pubblicati diversi Piani regionali riguardanti il sangue, la lavorazione di plasma e la produzione di emoderivati, nonché progetti per l’ottimizzazione dell’organizzazione del processo di donazione e prelievo d’organi e tessuti.
Infine, sembra stia diffondendosi un interesse per la promozione della ricerca medica e, più in generale, in materia di sanità pubblica. Una Regione, la Toscana, ha perfino costituito un’apposita fondazione a tale scopo. Un’altra, l’Abruzzo, è attiva nel promuovere la ricerca di laboratorio sulla manipolazione delle cellule staminali. La Provincia autonoma di Trento ha nominato un gruppo di lavoro per la promozione di ricerca sanitaria finalizzata. L’Emilia-Romagna si è fortemente impegnata per il sostegno alla ricerca e l’innovazione. Tali iniziative potrebbero riflettere la volontà di assumere un alto profilo nel loro ruolo di policymaker maturo ed autonomo. 


5.5. Un maggiore utilizzo del "potere della borsa"

 
La capacità del governo centrale di influenzare il comportamento delle Regioni nel campo sanitario, tramite la concessione di trasferimenti finanziari vincolati al rispetto di condizioni prespecificate, è stata tradizionalmente assai limitata. In primo luogo, la maggior parte dei fondi trasferiti alle Regioni in questo settore vanno a coprire delle spese che sono da considerare essenzialmente rigide nel breve o medio termine (ad esempio, spesa per il personale e beni e servizi). In secondo luogo, questi fondi vanno a finanziare i LEA, che lo Stato e le Regioni sono costituzionalmente obbligati a garantire. Infine, in Italia c’è stata una tendenza a definire l’autonomia regionale in termini di assenza di vincoli sulle decisioni di spesa (sempre a patto che siano assicurati i LEA). Tutto ciò ha significato che al Governo centrale sono mancati gli strumenti per influenzare in modo incisivo le politiche sanitarie regionali. L’Italia si differenzia, in questo senso, da altri paesi con sistemi di governo decentrati, quali ad esempio il Canada, l’Australia e gli Stati Uniti, nei quali il Governo federale ha sempre fatto ampio uso del “potere della borsa” per condizionare le politiche sanitarie dei governi sub-centrali.
Quanto illustrato in questo capitolo sembra suggerire che la situazione stia cambiando. Il Governo centrale non si limita a porre alle Regioni, come condizione per ricevere i fondi aggiuntivi, specifici comportamenti miranti al risanamento finanziario, ma chiede anche, come ulteriore condizione per accedere a questo finanziamento straordinario, che le Regioni attuino politiche e programmi (quali la prevenzione, la promozione dell’appropriatezza dell’assistenza, la formazione, la riduzione delle liste di attesa) che sembrano essere soltanto indirettamente connessi con il traguardo dell’eliminazione dei disavanzi. Non tutti i mali vengono per nuocere. Lo Stato evidentemente ha percepito le gravi difficoltà finanziarie delle Regioni come una finestra di opportunità da sfruttare per poter incidere maggiormente sul processo decisionale regionale in generale (3), e in particolare nelle Regioni che stipulano l’accordo contenente il Piano di rientro dai disavanzi.
 
5.6. Considerazioni finali
Sembra che sia in atto una trasformazione significativa del carattere dei rapporti fra lo Stato e le Regioni nel settore sanitario, specialmente evidente negli ultimi due anni. Si stanno ponendo, forse, le fondamenta di una nuova forma di regionalismo, quella del regionalismo cooperativo, basato su una stretta collaborazione fra Stato e Regioni nelle scelte di policies. Il Governo centrale pare intenzionato a persuadere le Regioni ad adottare degli strumenti contabili, gestionali e di monitoraggio e valutazione omogenei, nonchè a fissare obiettivi comuni, in particolare la promozione della prevenzione, dell’appropriatezza nelle scelte della forma di cura, dall’ospedalizzazione fino all’assistenza domiciliare, e del contenimento delle liste di attesa.
Un’importante novità è rappresentata dall’abbandono della distinzione rigida fra tutela della salute e governo della spesa. I programmi di prevenzione, ad esempio, sono ora ritenuti utili non soltanto per contribuire a migliorare lo stato della salute della popolazione, ma anche per governare la spesa. Inoltre, politiche come la promozione dell’appropriatezza sono orientate a produrre dei miglioramenti nella salute dei pazienti, e non solo a generare dei risparmi finanziari.
L’adozione di strumenti comuni, la fissazione di obiettivi comuni e l’introduzione di programmi comuni, da parte delle Regioni, vengono incentivate dal governo centrale tramite l’utilizzo energico del suo “potere della borsa”, cosa a sua volta resa possibile dalle difficoltà finanziaria in cui molte Regioni si trovano. Esse possono accedere ai finanziamenti statali, stanziati appositamente per aiutarle ad affrontare il loro indebitamento pregresso, soltanto a condizione che prendano determinate iniziative per evitare che tali disavanzi si ripetano e che adottino gli obiettivi, gli strumenti e i programmi previsti dal Governo centrale.
Va sottolineato che questo comportamento da parte delle autorità centrali non rappresenta, formalmente, un’ingerenza nell’autonomia regionale, dal momento che il nuovo regionalismo si basa su accordi e intese fra Stato e Regioni e che a queste ultime rimane una notevole discrezionalità per quanto riguarda il disegno dettagliato degli strumenti e dei programmi, nonché la loro attuazione. Sembrerebbe, piuttosto, che lo Stato stia tentando di riaffermare le sue prerogative di stabilire gli indirizzi principali delle politiche sanitarie.
E’ interessante riflettere sulle possibili conseguenze della nuova direzione che hanno preso i rapporti intergovernativi nel settore della sanità. Per esempio, ciò rallenterà la tendenza attuale verso la creazione di una rete di servizi sanitari regionali fortemente differenziati? L’enfasi sulla prevenzione, appropriatezza ed assistenza integrata produrrà gli effetti finanziari e sulla salute ipotizzati e in quale arco di tempo? Quali sono le implicazioni dell’arretratezza amministrativo-gestionale che ancora perdura in alcune Regioni sull’eventuale efficacia del regionalismo cooperativo?

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NOTE
 
(1)   Tra gli interventi posti in essere ai fini del rispetto degli obblighi derivanti dall’accordo con lo Stato, rientrano, ovviamente, quelli relativi all’aumento dell’Addizionale regionale all’Irpef e dell’Irap, presi dalle Regioni con elevati deficit sanitari. Tale argomento è tuttavia trattato nel capitolo del Rapporto dedicato alla legislazione regionale in materia di finanza e contabilità, al quale si rinvia.
(2)   Ministero della salute, Riepilogo Piano regionali liste d’attesa al 30 marzo 2007, Dipartimento della qualità, Direzione generale Programmazione sanitaria, dei livelli di assistenza e dei principi etici di sistema, Ufficio III, Roma, 2007.
(3)   Va tuttavia citata, a tale proposito, la recente sentenza della Corte costituzionale (n. 98, del 21/3/2007), che pur dichiarando non fondate le contestazioni di costituzionalità delle disposizioni di cui all’art. 1, commi da 279 a 281, della legge 266 del 2005 in relazione alle condizioni cui viene sottoposto il contributo al ripiano dei disavanzi, precisa che lo Stato “è pur sempre vincolato anche dal principio di leale cooperazione, che non consente ad esso di valersi delle norme impugnate quale meccanismo di indebita pressione sulle Regioni, per imporre loro unilateralmente specifiche condizioni di attuazione delle finalità determinate dalla legislazione”. (Corte dei Conti, Relazione sulla gestione finanziaria delle Regioni - Esercizi 2005 – 2006, p. 284, Roma, 2007).


6.  TENDENZE E ORIENTAMENTI NELLA LEGISLAZIONE REGIONALE IN MATERIA DI POLITICHE SOCIALI


 
6.1. Premessa metodologica 

Prima di entrare nell’analisi della produzione legislativa delle Regioni e province autonome, si è ritenuto utile svolgere alcune brevi considerazioni di carattere metodologico al fine di consentire una più corretta lettura dei dati raccolti.
Il complesso delle leggi emanate in ambito socio-assistenziale, dalle Regioni e dalle due province autonome non rappresenta la totalità della produzione legislativa del settore, in quanto, molte disposizioni che disciplinano la materia, sono contenute nelle leggi finanziarie o in disposizioni a contenuto misto o di carattere socio-sanitario, queste ultime non comprese in questa analisi. (1)
Le disposizioni regionali sono state analizzate, classificandole in base allo specifico settore disciplinato, cercando di evidenziare gli indirizzi e le scelte operate dai singoli legislatori regionali nel settore dei servizi sociali (tab. 2). Tuttavia, l’analisi presenta alcuni limiti oggettivi, di cui è necessario tenere conto nella lettura dei dati, quali: l’esiguità del numero complessivo dei provvedimenti legislativi emanati dalle Regioni nel settore dei servizi sociali; l’analisi limitata alla produzione legislativa di un solo anno; la disomogeneità dei provvedimenti dovuta alla diversità di importanza che rivestono all’interno dei sistemi sociali regionali. E’ evidente, infatti, la diversa valenza di provvedimenti come una legge quadro, che ridisegna l’intero sistema regionale dei servizi sociali, rispetto ad una legge di manutenzione del sistema stesso, come diverso sono il tempo e l’impegno richiesti agli organi legislativi regionali, che variano a seconda della corposità del testo e della sua importanza. Dovrà pertanto essere valutato diversamente l’impegno di alcune Regioni, come ad esempio la Liguria o il Friuli Venezia Giulia, che nel corso dell’anno hanno emanato le leggi di riordino dell’intero sistema dei servizi sociali o di Regioni che hanno emanato leggi relative all’organizzazione del servizio civile regionale, come ad esempio la Regione Toscana, da quello di Regioni che hanno assunto un maggior numero di provvedimenti ma meno rilevanti.
Nella lettura dei dati bisogna pertanto tenere conto delle limitazioni sopra descritte e non considerare lo strumento assunto come esaustivo per una interpretazione della polita sociale complessiva di una Regione, ma piuttosto come indicatore delle scelte che le Regioni hanno o vanno assumendo nel settore.


6.2. La produzione legislativa 

La produzione legislativa delle Regioni nel settore socio assistenziale è pari a 25 leggi (tab.1), (2) con una media di 1,3 leggi per Regione, dato che conferma l’andamento dell’anno precedente, durante il quale erano state approvate 22 leggi. (3) La maggiore produzione legislativa nel settore si registra nelle Regioni del nord, dove il numero medio di leggi è pari a 1,7, a fronte di circa 1 legge di media per Regione nel centro e 0,5 nel sud e nelle isole.
Sulla totalità delle leggi emanate dalle Regioni, la produzione legislativa nel settore socio-assistenziale rappresenta poco più del 4% (tab.1), ed è pari al 10% (tab.1) delle leggi emanate dalle Regioni e province autonome nell’ambito della competenza residuale, cui la materia è ascrivibile a seguito della riforma costituzionale del 2001.
Dalla lettura dei dati emerge che il maggior numero di provvedimenti, pari circa al 32% (tab.2), è relativo a provvedimenti istituzionali, organizzativi o di manutenzione, legati al funzionamento del sistema stesso. Tale tipo di provvedimenti si concentra, in particolare, nelle Regioni del nord e del centro.
In quest’ambito assume rilievo l’adozione, da parte di tre Regioni (Liguria, Friuli Venezia Giulia e Puglia) (4), della legge di riordino, in una situazione in cui ancora metà delle Regioni e province autonome non ha ancora provveduto (5). Numerose Regioni, pur avendo una normativa molto datata, non manifestano l’intenzione di impegnarsi nell’adozione di una legge di riordino, nonostante l’assunzione di questo tipo di provvedimento sia un intervento necessario e dovuto dopo la riforma costituzionale. Tuttavia si è potuto registrare un certo fermento intorno al problema, evidenziato dall’impegno segnalato da alcune Regioni: la Lombardia ha indicato tre disegni di legge per il riordino del sistema dei servizi socio-assistenziali; la provincia di Trento e le Regioni Abruzzo, Molise e Basilicata (6) hanno segnalato la presenza di disegni di legge di riordino del settore; la Regione Marche ha indicato la costituzione di un gruppo di lavoro per la redazione del testo di una nuova legge sulle politiche sociali.
Le due leggi di riordino del sistema regionale di assistenza sociale qui esaminate, adottate dalle Regioni che hanno risposto al questionario, presentano un impianto simile, che peraltro ricalca la legge nazionale n. 328/2000 (7): descrizione delle finalità; indicazioni di funzioni e compiti dei soggetti istituzionali che partecipano al sistema; definizione delle modalità di partecipazione del terzo settore, cui viene dato molto rilievo. Infine, ampio spazio, in entrambe le leggi, è lasciato alla descrizione dei criteri che dovranno presiedere alle politiche relative ai diversi settori dell’area socio-assistenziale (minori, famiglia, dipendenze, salute mentale, povertà ed esclusione sociale).
Le due leggi presentano alcune differenze per quel che concerne le modalità organizzative e programmatorie: la legge della Regione Friuli Venezia Giulia ricalca le disposizioni della legge n. 328/2000, per quanto riguarda l’associazione dei comuni con dimensione distrettuale e l’impiego del piano di zona come strumento programmatorio; la legge della Liguria, diversamente, prevede che la forma associata dei comuni possa non avere dimensione distrettuale, ma di ambito, e che in questa sede vengano gestite ed erogate le prestazioni di base, mentre le prestazioni complesse e quelle relative all’integrazione socio-sanitaria sono di competenza del distretto socio-sanitario.
Similitudini tra le due leggi si colgono nella previsione di organismi collegiali di supporto agli enti istituzionali, cui vengono attribuite funzioni simili, come ad esempio la Conferenza permanente per la programmazione socio-sanitaria in Liguria, la Commissione regionale per le politiche sociali in Friuli Venezia Giulia, gli osservatori regionali sulle politiche sociali, nonchè con riferimento al terzo settore, il Comitato per l’integrazione delle politiche per la cittadinanza sociale nella Regione Friuli Venezia Giulia e la Consulta regionale del terzo settore nella Regione Liguria.
In merito all’accreditamento dei servizi, la legge della Liguria, a differenza delle disposizioni della legge nazionale e della legge della Regione Friuli Venezia Giulia, non prevede gli ulteriori requisiti generalmente richiesti a tale scopo.
Appare interessante la disposizione della Regione Friuli Venezia Giulia relativa all’introduzione di un reddito minimo, di cui è prevista una sperimentazione quinquennale come strumento per combattere l’esclusione sociale; diversamente, nella Regione Liguria sono previsti contributi economici, compatibilmente con le risorse disponibili, per raggiungere la soglia del “reddito minimo”.
In merito alle disposizioni sul finanziamento, entrambe le Regioni prevedono un fondo per le politiche sociali, ma la Regione Friuli Venezia Giulia individua il fondo come la principale fonte di finanziamento, mentre la legge delle Regione Liguria imputa direttamente ai comuni il compito di finanziare i livelli essenziali di assistenza sociale previsti dalla legge nazionale e dalla legge regionale di riordino, con la collaborazione della Regione e la confluenza delle risorse nazionali. Inoltre, la legge della Regione Friuli Venezia Giulia tende a destinare risorse per specifiche finalità, per esempio prevedendo quote vincolate del fondo sociale regionale ed istituendo fondi speciali con varie finalità (destinate, ad esempio, al riequilibrio territoriale dei comuni, a finanziare progetti sperimentali e forme innovative di residenzialità).
Un’ultima notazione è relativa alla presenza, nelle legge del Friuli Venezia Giulia, di una clausola valutativa che prevede una relazione triennale, della Giunta al Consiglio sullo stato di attuazione della legge.
La seconda area verso la quale le Regioni e province autonome si sono indirizzate è quella relativa al “ terzo settore”, pari al 24% (tab.2) delle leggi del settore socio-assistenziale, con l’adozione di disposizioni in materia di associazionismo, cooperazione sociale e di regolamentazione del servizio civile. Tra i provvedimenti assunti, meritano di essere menzionate: le leggi di Friuli Venezia Giulia e Veneto (8) che regolamentano la cooperazione sociale, sostanzialmente in attuazione delle disposizioni nazionali (9); la legge del Piemonte che ha disciplinato la materia delle associazioni di promozione sociale (10); le leggi di Liguria, Lombardia e Toscana (11) che hanno disciplinato il servizio civile regionale.
Gli ultimi tre provvedimenti risultano non molto dissimili per partizione e contenuti, soprattutto nella particolare attenzione rivolta alla valorizzazione e al coinvolgimento del “terzo settore”. La legge della Regione Lombardia, tuttavia, si distingue dalle altre due per l’assenza di riferimenti alla disciplina del servizio civile nazionale, cui la legge della Toscana dedica un singolo articolo, e che la legge della Liguria disciplina congiuntamente al servizio regionale. Le finalità indicate non si discostano in modo significativo dalle disposizioni nazionali (12) (favorire politiche di integrazione, sostegno e collaborazione del terzo settore alle politiche sociali ed assistenziali delle Regioni, valorizzazione del patrimonio artistico e culturale, ecc.); tuttavia, la legge della Regione Toscana, nella elencazione delle finalità comuni alle altre Regioni, evidenzia una particolare sensibilità nel favorire le forme associative, le politiche di pari opportunità e le modalità pacifiche di convivenza attraverso il superamento di gravi forme di discriminazione “anche per orientamento sessuale”. Le tre normative prevedono tutte una programmazione pluriennale delle attività (triennale in Liguria e Lombardia e quinquennale in Toscana) e l’istituzione di un organismo di consultazione, diversamente denominato. Solo Lombardia e Toscana, infine, prevedono l’istituzione di un apposito fondo finalizzato al finanziamento del servizio civile regionale.
L’interesse dimostrato dalle Regioni, prevalentemente da quelle del nord, verso il “terzo settore“ evidenzia una volontà di coordinare e regolamentare le attività dei soggetti privati in un’area dove il contributo di tali soggetti è molto significativo, dal momento che le istituzioni regionali si stanno orientando sempre più verso sistemi organizzati su forme di sussidiarietà. Proprio in questa ottica, per esempio, la Regione Lombardia ha segnalato l’interesse a promuovere “attività di beneficenza degli enti no profit” ed una serie di attività di tipo sperimentale per il sostegno delle fasce di popolazione disagiate. La Regione ha, inoltre, segnalato l’avvio di un osservatorio regionale sull’esclusione sociale, che testimonia una particolare sensibilità degli amministratori su tale tematica.
L’altro settore che sembra attrarre l’interesse dei legislatori regionali è quello delle politiche per la famiglia, che copre circa il 20% (tab.2), delle disposizioni emanate nel corso dell’anno nel settore socio-assistenziale.
Negli altri settori i provvedimenti assunti dalle Regioni sembrano distribuirsi in modo abbastanza equilibrato: il 4% circa (tab.2), rispettivamente per le aree della disabilità, della povertà ed esclusione sociale e per l’immigrazione. Non vi sono provvedimenti di legge che disciplinino gli aspetti sociali legati alle dipendenze o alla salute mentale, che pure rappresentano settori importanti nell’ambito delle politiche socio-assistenziali.
Alcune Regioni hanno inserito nella legge finanziaria regionale (13) disposizioni in materia di politiche sociali. Si tratta, data la natura della legge, salvo alcune eccezioni (14), per lo più di norme relative al finanziamento e/o rifinanziamento di specifiche iniziative, nonché a contributi e/o agevolazioni destinati a singole istituzioni e/o soggetti appartenenti a categorie di soggetti svantaggiati. Infine, molte norme sono di manutenzione del sistema regionale di assistenza sociale.
La produzione legislativa del 2006 evidenzia un certa tendenza alla stabilizzazione in quelle Regioni che hanno un avanzato sistema di welfare socio-assistenziale e che, pertanto, non necessitano di particolari o significativi interventi normativi, come Toscana o Emilia-Romagna. Altre Regioni hanno provveduto a colmare alcune lacune normative come, ad esempio, la Lombardia e la Liguria, con l’approvazione di leggi come quella sul servizio civile, e, in alcuni casi, emanando anche il regolamento di attuazione. In altri casi sono state approvate disposizioni di legge particolarmente importanti, quali leggi quadro che riordinano il sistema dei servizi e degli interventi socio-assistenziali, come in Friuli Venezia Giulia e in Liguria. Altre Regioni, pur avendo un quadro normativo non adeguato, continuano invece a muoversi con interventi settoriali, e non con una legge di riordino dell’intero settore. 

6.3. La  produzione di regolamenti e di atti amministrativi 

Assai limitato risulta il ricorso alla fonte regolamentare nel settore socio-assistenziale. Il numero complessivo è di 20 regolamenti (tab. 3), che rappresentano il 6% del totale dei regolamenti emanati dalle Regioni e province autonome, con meno di 1 regolamento di media per Regione, prevalentemente concentrati nel nord, considerando che da sole la Regione Friuli Venezia Giulia e la provincia autonoma di Bolzano hanno emanato ognuna 4 regolamenti.
Il maggior numero di regolamenti adottati (6) è relativo all’area della famiglia e materno-infantile (tab.6).
Le Regioni dimostrano di ricorrere alla fonte regolamentare solo quando si tratta di dare esecuzione a proprie leggi (15). Diversamente, la materia delle politiche sociali risulta gestita dalle Regioni tramite atti amministrativi, per lo più adottati dalle Giunte, che si dimostrano il vero organo regionale di governo del settore. Tali atti rappresentano in assoluto il numero maggiore di provvedimenti che le Regioni hanno emanato nella materia, per un totale di 232 (tab. 5). Va tuttavia rilevato che il dato relativo agli atti amministrativi non presenta carattere di esaustività, in quanto alle Regioni è stato richiesto di segnalare solo gli atti più rilevanti, assunti nel settore delle politiche socio assistenziali (16). Pertanto nella lettura dei dati è necessario tenere conto di questo elemento, e non considerare l’eventuale maggior numero di atti adottati, come unico indicatore dell’attenzione delle Regioni nei riguardi del settore.
Gli atti amministrativi risultano per lo più concentrati nel sud e nelle isole, con una media di atti per Regione pari a 14, a fronte dei 9 del nord e dei 4 del centro (17).
Gran parte dei provvedimenti, relativi a tutte la materie, è costituita da atti che disciplinano criteri e modalità per accedere a finanziamenti. Un’altra parte significativa è costituita da atti relativi all’organizzazione del sistema, come linee guida o di indirizzo relative ai diversi settori. Ad esempio, nella Regione Liguria, sono stati adottati linee ed indirizzi in materia di dipendenze; in Friuli Venezia Giulia, linee strategiche regionali in materia di tutela della salute degli anziani; linee guida per la riorganizzazione delle aree territoriali, come ad esempio nelle Marche e in Abruzzo, per la formazione del personale nella provincia autonoma di Trento.
La maggior parte degli atti emanati concerne la gestione e l’organizzazione del sistema ed è pari a quasi il 19% del totale (tab.5); se sommati agli atti relativi ad aspetti finanziari, 14% sul totale, superano abbondantemente il 30% della produzione complessiva. Pertanto, anche l’attività amministrativa, parallelamente a quella legislativa, appare prevalentemente concentrata sull’adozione di atti legati al funzionamento del sistema.
Analizzando i settori specifici, quelli oggetto di maggiore attenzione risultano essere le politiche familiari e il settore materno-infantile, che costituiscono circa il 16% della totalità degli atti emanati. In particolare, la provincia autonoma di Trento ha emanato diversi provvedimenti in attuazione di un articolato piano per la famiglia (approvato dalla Giunta nel mese di marzo 2006). Si tratta di un complesso di provvedimenti trasversali, che coinvolgono diversi assessorati e sono finalizzati a sostenere i nuclei familiari, con tariffe agevolate per i principali servizi erogati o favorendo tempi di vita e di lavoro. Ha inoltre costituito ed implementato il marchio “Family in Trentino“ per evidenziare le iniziative intraprese nel territorio provinciale.
I provvedimenti relativi ad inabilità o invalidità rappresentano quasi l’11% e quelli relativi ad anziani o soggetti non autosufficienti quasi il 10% - per lo più assunti in Veneto (tab.5) - e ciò denota un particolare impegno della Regione in quest’area, anche in coerenza con le pregresse scelte di politica sociale (18). I provvedimenti relativi ad associazioni, volontariato e settore delle cooperative costituiscono circa il 7% del totale.
Tra tutti gli atti segnalati dalle Regioni e province autonome, quelli forse di maggiore rilievo, sul piano politico ed organizzativo sono la delibera consiliare della Regione Abruzzo (19), relativa all’approvazione del Piano sociale regionale, e la delibera consiliare della Regione Lombardia (20) relativa al piano socio-sanitario. I due atti rappresentano i più importanti strumenti di programmazione pluriennale delle politiche socio-assistenziali (21), ma, pur avendo la stessa finalità e valenza sul piano politico ed istituzionale, risultano radicalmente diversi, sia a livello di contenuti, sia a livello di tecnica redazionale. Il piano della Regione Lombardia è finalizzato ad una programmazione sia sociale sia sanitaria, forse con una prevalenza della disciplina del settore sanitario, pur innestata su una complessiva analisi del contesto sociale e socio-assistenziale. La programmazione sociale appare comunque quasi un completamento o un’integrazione di quella sanitaria. Tale indirizzo del piano traspare anche dalla posizione riconosciuta alla ASL, “che dovrà assumere sempre più un ruolo di coordinamento del sistema dei servizi della programmazione”, indipendentemente dal fatto che si tratti di servizi sanitari o sociali, e che il piano delinei una suddivisione di compiti e ruoli tra i soggetti istituzionali (comuni, ASL, province e Regione) che concorrono alla realizzazione delle politiche sociali. Significativa appare la propensione della Regione a valorizzare e coinvolgere in modo crescente il terzo settore nelle politiche sociali, poiché traspare una politica finalizzata al reperimento di risorse umane ed economiche, tanto da indicare, tra gli obiettivi prioritari della Regione nel sociale, l’approvazione della legge “sulle organizzazioni non profit e l’impresa sociale”. In questo istituto la Regione sostanzialmente identifica la modalità organizzativa del terzo settore (22) e lo individua come strumento rivoluzionario (23) in grado di “coniugare l’attività economica con la finalità sociale, dedicandosi senza scopo di lucro alla produzione di beni e servizi”.
Il piano sociale della Regione Abruzzo è stato invece preceduto da un atto preparatorio (24) che ne definisce le linee guida ed è interamente rivolto a disciplinare la materia sociale. Il piano appare il vero strumento di programmazione della politica sociale regionale e si pone in continuità con i due precedenti piani, di cui rappresenta una evoluzione verso un sistema di “welfare di comunità”. Il piano sociale abruzzese definisce gli obiettivi e le strategie della politica sociale, i criteri per l’organizzazione del sistema dei servizi; fornisce indicazioni sul processo di attuazione degli standard di erogazione dei livelli essenziali di assistenza sociale; prevede un’area nuova, rispetto ai precedenti piani, relativa all’inclusione ed alla tutela sociale. Appare, nel complesso, un piano molto articolato, che evidenzia una particolare sensibilità da parte del legislatore regionale verso il settore sociale, sostenuta dall’impegno assunto di aumentare le somme del fondo sociale regionale da destinare all’attuazione del piano.


6.4. I progetti sperimentali
 
In considerazione del settore oggetto di indagine, ove spesso vengono avviate sperimentazioni, promosse anche a livello nazionale, come ad esempio quella del reddito minimo di inserimento, si è ritenuto di un certo interesse verificare l’eventuale presenza di progetti avviati dalle Regioni singolarmente o in collaborazione con altre Regioni o con partner stranieri. Dai dati raccolti emerge che in totale 10 (tab.6), tra Regioni e province autonome, hanno indicato l’avvio di progetti sperimentali e solo 3 (25) in collaborazione con altre Regioni o partner stranieri. Tale evenienza denota una scarsa propensione a ricercare sinergie con altri soggetti, poiché ogni Regione preferisce investire, anche a livello sperimentale, risorse e capacità progettuali al proprio interno. Il numero complessivo dei progetti indicato è di 43 (tab.6); tuttavia, nella lettura di questo dato bisogna tenere conto che la Regione Abruzzo da sola ha segnalato 18 progetti, dando forse una interpretazione estensiva alla informativa richiesta. Dopo l’Abruzzo, le altre Regioni che hanno segnalato il maggior numero di progetti sperimentali sono il Piemonte (5), la Sardegna (5) e la Valle D’Aosta (6).
I settori nei quali l’impegno delle Regioni è stato maggiore sono quello della povertà ed inclusione sociale (19%) e delle politiche per la famiglia (16%). E’ da considerare a parte il dato relativo agli aspetti istituzionali ed organizzativi, in quanto 12 progetti, sui 14 relativi all’intero settore, sono concentrati nella sola Regione Abruzzo e sono per lo più riferibili all’attuazione del piano sociale: includono interventi volti a migliorare la funzionalità del sistema dei servizi sociali, come ad esempio l’informatizzazione del modello per il rapporto valutativo dei piani di zona, oppure volti a realizzare forme di sperimentazione di servizi, come il pronto intervento sociale ed il segretariato sociale.
Nell’ambito del settore povertà ed inclusione sociale, Piemonte e Lombardia hanno segnalato dei progetti sperimentali che prevedono un forte coinvolgimento del terzo settore. In particolare, la Regione Lombardia ha indicato un progetto destinato a fronteggiare l’emergenza di degrado sociale nelle aree periferiche di Milano attraverso il coinvolgimento e “messa in rete” di soggetti già operanti nell’area; la Regione Abruzzo ha segnalato un progetto, nell’ambito del programma di azione comunitario in collaborazione con partner stranieri, con la Regione Valle D’Aosta e con soggetti del terzo settore.
Sui cinque progetti relativi al settore anziani, appare di interesse quello della Regione Lombardia relativo alla figura del “custode sociosanitario”, figura destinata a supportare gli anziani nella vita quotidiana. Il progetto è interessante non solo sotto l’aspetto contenutistico, ma per “l’integrazione interistituzionale” che genera, coinvolgendo soggetti pubblici a privati (26).


6.5. Conclusioni
 
Da una lettura complessiva della produzione normativa regionale nel settore dell’assistenza sociale, relativa all’anno 2006, emerge come il numero di leggi e regolamenti sostanzialmente si equivalga, 25 leggi e 20 regolamenti (tab.7). I regolamenti risultano in numero inferiore in parte perché si tratta quasi esclusivamente di atti esecutivi di disposizioni di legge, in parte perché alcune leggi non prevedono atti successivi di esecuzione, in parte perché questi non sono stati ancora adottati. La produzione di atti amministrativi rappresenta la parte più cospicua sul complesso dei provvedimenti adottati, pari quasi all’ 84% (tab.7), a fronte di un esiguo 16 % di leggi e regolamenti. La materia delle politiche sociali risulta pertanto essere prevalentemente “gestita” tramite atti amministrativi, anche di un certo rilievo, come i piani sociali.
Analizzando le materie, si evidenzia come l’attenzione dei legislatori regionali si sia prevalentemente concentrata verso una implementazione dei sistemi stessi. I dati mettono in luce (tab.8), come la maggior parte della produzione normativa, pari a circa il 34% (27), riguardi sostanzialmente atti relativi agli aspetti organizzativo-gestionali. Anche dall’esame della singola tipologia di atti, emerge come tale area occupi il 40% (28) della produzione legislativa, il 25% (29) della produzione regolamentare, il 34% (30) della produzione amministrativa. Si riscontra, pertanto, una riduzione del valore solo nella produzione regolamentare che, come si è visto, è costituita totalmente da atti esecutivi di leggi.
Analizzando i dati delle singole Regioni, si evidenzia come i valori più alti si riscontrino in quelle dove non è stata raggiunta la stabilità del quadro normativo relativo ai servizi sociali, o dove i sistemi sono stati da poco riordinati e necessitano di interventi di aggiustamento e completamento. Lo stesso avviene in quelle Regioni in cui l’organizzazione si basa su disposizioni molto datate, che finiscono per generare una produzione normativa di manutenzione e aggiornamento alle nuove esigenze e necessità. Questa lettura spiega per esempio una produzione normativa molto bassa nel settore, da parte di alcune Regioni, come la Toscana o l’Emilia-Romagna (tab. 8), che pure per tradizione hanno un avanzato sistema di servizi sociali e che comunque, come nel caso dell’Emilia-Romagna, dimostrano un vivo interesse nel settore, evidenziato anche dall’impegno nel recuperare fondi per finanziare le politiche sociali, in particolare nei settori della famiglia e minori, degli immigrati e della lotta all’esclusione sociale, a fronte di un ridimensionamento delle quota nazionale riservata alla Regione.
In altre Regioni, in mancanza di una legge quadro, è emersa chiaramente la necessità di riformare ex novo la legislazione regionale di settore, attraverso l’adozione di una legge organica, avvenuta nel corso dell’anno. In questi casi è presumibile che, nei prossimi anni, la produzione normativa risulterà più abbondante, in quanto il sistema necessiterà di provvedimenti di attuazione e di eventuali aggiustamenti.
Alcune Regioni, nel corso del 2006, hanno invece cercato di portare a completamento il quadro normativo regionale sull’assistenza, attraverso l’adozione di leggi che, per esempio, regolano il servizio civile, come in Lombardia, che espressamente dichiara questa intenzione nel piano sociale, o in Toscana. Vi è, infine, un gruppo di Regioni che dimostra uno scarso interesse nel settore, nonostante la perdurante assenza di una legge regionale di riordino, e non manifesta l’intenzione di darsi una regolamentazione organica della materia preferendo assumere, nel migliore dei casi, numerose disposizioni specifiche, tra loro non sempre organicamente collegate.
La mancanza di una legge quadro regionale può rischiare di ingenerare alcuni aspetti di criticità, quali la dubbia vigenza di disposizioni antecedenti la normativa nazionale (l. n. 328/2000) ed in eventuale contrasto con questa. Tali disposizioni dovrebbero considerarsi prive di valore e, in mancanza di una legge regionale di riordino, dovrebbero ritenersi applicabili le disposizioni statali all’interno della Regione. Un altro aspetto di criticità è rappresentato dall’eventuale emanazione, da parte della Regione, di disposizioni regolamentari non allineate con le disposizioni nazionali, sempre in assenza di una legge regionale di riferimento. Infatti, mancando una legislazione regionale che sostituisca le disposizioni nazionali, continuano ad avere valore le disposizioni nazionali a fronte delle quali la Regione non può emanare atti regolamentari o amministrativi di contenuto difforme.
Il settore specifico dove le Regioni hanno investito maggiormente è quello relativo alle politiche per la famiglia e per i minori, che copre circa il 17% della produzione normativa complessiva, ad esempio, in Umbria o nella provincia autonoma di Trento, che da tempo ha avviato un articolato piano per la famiglia che comprende un insieme diversificato di iniziative.
Piuttosto nutriti e rilevanti sono i provvedimenti che coprono l’area del terzo settore, pari al 9,4% del totale (tab. 8), verso il quale le Regioni dimostrano un interesse sempre maggiore, individuandolo come forza crescente nella politica di welfare con cui confrontarsi, nonchè importante fonte di sostegno finanziario, come bacino di risorse umane qualificate e come strumento di contatto diretto con il territorio.
Infine, molto sentita appare la problematica legata alle cosiddette “fasce deboli”, che si esprime attraverso il complesso dei provvedimenti riferibili ad anziani e soggetti non autosufficienti, disabili e invalidi, che arriva al 18% (tab. 8) della produzione complessiva. In questa area sono presenti interessanti iniziative di tipo sperimentale, come ad esempio il “custode sociosanitario”, promosso dalla Regione Lombardia, o di ampia politica di settore, come nella Regione Veneto, che già dal 2000 ha avviato un modello di assistenza alle persone in condizioni di non autosufficienza che sta implementando in questi anni.


Tabelle:

1 - Leggi nel settore socio-assistenziale 2006

2 - Leggi di settore: classificazione per materia 2006

3 - Regolamenti nel settore socio-assistenziale 2006

4 - Regolamenti: classificazione per materia 2006

5 - Atti amministrativi: classificazione per materia 2006

6 - Progetti sperimentali: classificazione per materia 2006

7 - Produzione normativa nel settore socio-assistenziale 2006

8 - Produzione normativa: classificazione per materia 2006
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NOTE
 
(1)        Per esempio, la Regione Valle D’Aosta ha emanato la l. r n. 13/2006, relativa al Piano per la salute ed il benessere sociale, classificata tra le leggi di tipo sanitario.
(2)        Le Regioni e province autonome che hanno risposto al questionario sono 20, mancano i dati relativi alle Regioni Campania e Puglia.
(3)        V. Rapporto 2006 sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea, tab. 6, pag.165. (con esclusione delle Regioni Campania e Puglia, che non avevano risposto al questionario),
(4)        L.r. Friuli Venezia Giulia n. 6/2006, Sistema integrato di interventi e servizi per la promozione e la tutela dei diritti di cittadinanza sociale; l.r. Liguria n. 12/2006, Promozione del sistema integrato di servizi sociali e socio-sanitari. La Puglia non ha risposto al questionario; tuttavia, per completezza, si segnala che nel corso del 2006 ha emanato la legge quadro sui servizi sociali n. 19/2006, Disciplina del sistema integrato dei servizi sociali per la dignità e il benessere delle donne e degli uomini in Puglia.
(5)        Sono sei le Regioni che dal 2001 al 2006 hanno emanato una legge quadro: Calabria, Emilia-Romagna, Piemonte, Puglia, Sardegna e Toscana.
(6)        Il progetto di legge della Basilicata è stato definitivamente approvato ed è seguita la emanazione della legge nel 2007, l. n. 4/2007, Rete regionale integrata dei servizi di cittadinanza sociale.
(7)        L. n. 328/2000, Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.
(8)        L.r. Friuli Venezia Giulia n. 20/2006 , Norme in materia di cooperazione sociale, l.r.Veneto n. 23/2006, Norme per la promozione e lo sviluppo della cooperazione sociale.
(9)        L. n. 381/1991, Disciplina delle cooperative sociali.
(10)      L.r. Piemonte n. 7/2006 , Disciplina delle associazioni di promozione sociale.
(11)      L.r. Liguria n. 11/2006, Istituzione e disciplina del sistema del servizio civile, l.r. Lombardia n. 2/2006, Servizio civile in Lombardia, l.r. Toscana n. 35/2006, Istituzione del servizio civile regionale.
(12)      L. n. 64/2001, Istituzione del servizio civile nazionale.
(13)      Le Regioni che hanno segnalato disposizioni in materia di politiche sociali nella legge finanziaria o di bilancio sono Piemonte, Veneto, Lazio, Abruzzo.
(14)      Si citano, a titolo di esempio, la costituzione di una Consulta regionale permanente dei consultori familiari nel Lazio, e l’istituzione di nuovi fondi, come quello per il servizio civile in Veneto e il fondo per le vittime della pedofilia in Piemonte.
(15)      Solo nel caso della Regione Sicilia il DPR del 2.1.2006, Piano triennale della Regione siciliana a favore delle persona con disabilità è stato assunto in esecuzione del DPR n. 243/2002, Linee guida per l’attuazione del piano socio-sanitario della Regione siciliana.
(16)      Alcune Regioni non hanno segnalato alcun atto; tuttavia ciò non esclude che tali Regioni siano comunque intervenute nel settore con atti amministrativi.
(17)      Il dato tuttavia va letto tenendo conto che la sola Regione Abruzzo ha indicato più di 60 provvedimenti.
(18)      La Regione Veneto ha segnalato la precedente adozione di un modello di assistenza alle persone in condizione di non autosufficienza e non assistibili a domicilio (deliberazione n. 751 del 10 marzo 2000), programmando l’assistenza residenziale territoriale a carattere intensivo ed estensivo; coerentemente a questo modello, ha istituito “l’impegnativa di residenzialità” che costituisce un titolo rilasciato al cittadino per l’accesso alle prestazioni rese nei servizi residenziali e semiresidenziali.
(19)      DCR Abruzzo n. 57/1/2006, Terzo Piano sociale regionale 2007-2009.
(20)      DCR Lombardia n. VIII/257/2006, Piano socio-sanitario 2007-2009.
(21)      La l.r. Lombardia n. 5/2006, Disposizioni in materia di servizi alla persona e alla comunità, ha modificato la l.r. n. 31/1997, prevedendo la possibilità di aggiornare annualmente il Piano socio-sanitario regionale nei tempi previsti per l’approvazione del DPEFR.
(22)      “Nelle organizzazioni del Terzo settore e di conseguenza nell’impresa sociale la missione viene perseguita mediante la produzione di beni e l’erogazione di servizi a forte impatto relazionale che li contraddistingue da altre imprese che pure riguardano la pubblica utilità”. DCR Lombardia n. VIII/257/2006, Piano socio-sanitario 2007-2009.
(23)      “L’impresa sociale rappresenta una vera e propria rivoluzione nell’ordinamento nazionale e regionale……..”, DCR Lombardia n. VIII/257/2006, Piano socio-sanitario 2007-2009.
(24)      DGR Abruzzo n. 977 del 28 agosto 2007, Linee generali del terzo piano sociale regionale”.
(25)      Le Regioni che hanno indicato progetti sperimentali avviati con altri soggetti sono Abruzzo, Molise ed Umbria.
(26)      Il progetto coinvolge il Ministero della salute, la Regione Lombardia, il comune di Milano ASL di Milano, la Aler, la Fondazione Don Gnocchi.
(27)      V. tab.8, il dato è dato dalla somma dei provvedimenti relativi agli aspetti istituzionali organizzativi (20,6%) e quelli finanziari (13%).
(28)      V. tab.2, il dato è dato dalla somma delle leggi relative agli aspetti istituzionali organizzativi (20%) e quelli finanziari (8%).
(29)      V. tab.4, il dato è dato dalla somma dei regolamenti relativi agli aspetti istituzionali organizzativi (20%) e quelli finanziari (5%).
(30)      V. tab.5, il dato è dato dalla somma degli atti amministrativi relativi agli aspetti istituzionali organizzativi (19,4%) e quelli finanziari (14,2%).


7. LE LEGGI FINANZIARIE REGIONALI PER IL 2007
 
7.1. Introduzione
 
Governo e Parlamento sembrano concretamente orientati ad introdurre importanti innovazioni al processo di bilancio, che, in particolare nel corso degli ultimi anni, ha manifestato crescenti e gravi disfunzioni, soprattutto per quanto riguarda la legge finanziaria e i relativi provvedimenti collegati, cioè il passaggio attualmente più complesso e problematico di tutto il processo.
Le ragioni che contribuiscono a determinare tale stato di criticità sono esaminate in dettaglio nella Nota di sintesi al presente Rapporto. Tra di esse viene richiamata quella della mancata definizione di leggi organiche volte a dare un assetto stabile e duraturo al sistema di finanziamento degli enti territoriali e al coordinamento della finanza pubblica, cosa che costringe a dedicare una parte consistente della legge finanziaria a norme volte a disciplinare annualmente questi aspetti. Qualora tali leggi fossero approvate, resterebbero da definire, annualmente, gli aggiustamenti necessari a garantire un’evoluzione della finanza pubblica coerente con gli obiettivi fissati dal contesto comunitario. Secondo la Nota di sintesi, questi adeguamenti potrebbero costituire oggetto di una apposita legge, da emanare prima della finanziaria. Tra l’altro, ciò creerebbe le condizioni necessarie affinché anche le leggi finanziare regionali possano essere approvate in tempo utile, cioè prima dell’esercizio al quale si riferiscono, ampliando così le potenzialità di questo strumento che rappresenta, pure per le Regioni, un passaggio fondamentale del loro processo di bilancio e, proprio per questo, poste al centro della presente analisi.
Il paragrafo che segue è dedicato alle innovazioni introdotte dalle Regioni circa la disciplina della legge finanziaria. Tutti gli altri sono invece dedicati alle finanziarie regionali per il 2007 (e ai relativi “collegati”, ove presenti), anche se approvate in corso di esercizio (1). In primo luogo vengono considerati: i tempi di approvazione, il grado di complessità delle singole leggi valutato in base al numero di commi, nonché il livello di leggibilità. Successivamente si approfondiscono i contenuti, ovviamente selezionandone alcuni, essendo le finanziarie regionali, come quelle dello Stato, per la maggior parte provvedimenti complessi e plurisettoriali. Già nella fase di definizione del questionario inviato alle Regioni, per questa edizione del rapporto si è deciso di puntare su tre temi che rientrano nei contenuti tipici delle leggi finanziarie, compresa quella dello Stato, e che, attualmente, sono senza dubbio al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica (2). Il primo è il contenimento delle spese, esaminato – escludendo gli interventi relativi alla sanità, considerati nel capitolo dedicato a questo settore – con riferimento: al rispetto delle regole del patto di stabilità interno; alla riduzione delle spese in specifici ambiti (organi istituzionali, enti e società strumentali, collaborazioni esterne, personale, acquisto di beni e servizi); e al monitoraggio della finanza pubblica (inteso anche come valutazione della funzionalità della gestione), adempimento essenziale per comprendere l’efficacia dei provvedimenti adottati e per migliorare le politiche intraprese. Oggetto di specifico approfondimento sono, poi, le politiche fiscali delle Regioni e gli interventi di queste ultime in materia di finanza locale, un tema ora di particolare attualità in quanto il disegno di legge “Delega al Governo in materia di federalismo fiscale”, presentato alla Camera dei deputati il 29 settembre 2007 (A. C. 3100), prevede un ampliamento dei poteri delle Regioni ordinarie su tale versante. L’ultimo paragrafo è dedicato ad una sintesi dei risultati.
 
7.2. Innovazioni nella disciplina delle leggi finanziarie
 
In base alle risposte al questionario fornite dalle Regioni risultano di particolare interesse la l.r. 2 agosto 2006, n. 11, della Sardegna “Norme in materia di programmazione, di bilancio e di contabilità …” e la l.r. 28 aprile 2006 n. 4 del Lazio “Legge finanziaria 2006”.
Per la Sardegna, l’art. 1 della l.r. 11 del 2006 include la legge finanziaria tra gli strumenti fondamentali della gestione finanziaria della Regione, insieme al Programma regionale di sviluppo (PRS), al Documento annuale di programmazione economica e finanziaria (DAPEF), al bilancio annuale di previsione redatto in termini di competenza (e non più anche di cassa, come in precedenza), al bilancio pluriennale di previsione e alle leggi collegate alla manovra economico-finanziaria. Bisogna tuttavia ricordare che la legge finanziaria regionale – insieme ai bilanci annuali e pluriennali e al rendiconto - era già prevista nella normativa della Sardegna fin dal 1983 (3) e che il programma di sviluppo, il documento di programmazione e le leggi collegate erano già state introdotte nel 1998 (4). L’art. 4 interviene sui contenuti della legge finanziaria, modificando la disciplina previgente sia per abrogare il corposo elenco di contenuti che, in base all’art. 7 della l.r. 9 giugno 1999, n. 23, non potevano essere oggetto di questo provvedimento, sia per precisarne le finalità. Oltre a quelle tipiche (limite di indebitamento, istituzione di nuovi tributi e modifiche alla disciplina di quelli vigenti, rifinanziamento dei provvedimenti di legge vigenti e dei vari fondi globali del bilancio), la norma richiamata attribuisce alla finanziaria i seguenti compiti: determinare l’importo complessivo massimo destinato al rinnovo del contratto del personale della Regione e degli enti pubblici strumentali (lettera i) ); fissare le autorizzazioni di spesa per nuovi interventi che non richiedano una disciplina organica della materia e sotto il vincolo di coerenza con gli strumenti di programmazione regionale (lettera l) ); introdurre adeguamenti funzionali di disposizioni normative vigenti finalizzati ad interventi di contenimento e di razionalizzazione della spesa (lettera m) ). L’art. 5 interviene sulle leggi collegate (come si è detto già previste da precedenti provvedimenti), autorizzando la Giunta a presentare al Consiglio “disegni di legge funzionali al perseguimento degli obiettivi previsti dal PRS e dal DAPEF”. L’art. 11, infine, interviene sulla predisposizione e presentazione del DAPEF, della legge finanziaria, del bilancio annuale e pluriennale e delle leggi collegate, affidando all’assessore al bilancio e alla programmazione il compito di presentare una proposta alla Giunta entro il 30 settembre (come già stabilito dalla precedente normativa) (5).
Per quanto riguarda il Lazio, l’art. 44 della l.r. n. 4 del 2006, modifica e integra alcune disposizioni della l.r. 20 novembre 2001, n. 25, “Norme in materia di programmazione, bilancio e contabilità della Regione”. Sempre avendo a riferimento le innovazioni concernenti la legge finanziaria, rilevano soprattutto due aspetti: la partecipazione alla formazione dei documenti di programmazione economico-finanziaria della Regione; i tempi e il procedimento per la loro approvazione.
Circa la partecipazione, la Regione si impegna a promuoverla “quale strumento idoneo ad assicurare un elevato coinvolgimento … nella formazione delle decisioni in materia di programmazione economica e di bilancio”. Vengono precisati, con criteri molto ampi, i soggetti che possono essere coinvolti (6) e si dà mandato alla Giunta di disciplinare in via sperimentale il processo partecipativo con apposito regolamento, peraltro già adottato (7). Tale regolamento, tra l’altro, istituisce il “Tavolo interistituzionale per la partecipazione in materia di programmazione economico-finanziaria e di bilancio” (la composizione e le modalità operative del medesimo sono tuttavia rimandate a successiva deliberazione della Giunta), prevede le fasi principali del processo (informazione e comunicazione, consultazione, monitoraggio e valutazione) e dispone l’istituzione di una apposita sezione all’interno del sito internet della Regione, attraverso la quale i soggetti aventi diritto potranno esprimere le loro valutazioni (8).
Sui tempi del percorso di bilancio, sempre in base all’art. 44 della l.r. n. 4 del 2006 del Lazio, essi risultano così determinati: entro il mese di luglio, predisposizione, da parte del Presidente della Regione, di un documento contenente i criteri per la formulazione del bilancio al quale sono allegati i prospetti per la raccolta delle proposte di spesa degli assessorati, “nonché le proposte di disposizioni normative da inserire nella legge finanziaria regionale e nelle leggi regionali collegate”; entro il 15 settembre, definizione, da parte degli assessorati e della Presidenza, delle proposte di spesa corredate da note illustrative anche per quanto riguarda i criteri adottati per la formulazione delle previsioni (note illustrative introdotte per la prima volta proprio con l’art. 44 della legge in esame); entro il 30 settembre, adozione da parte della Giunta delle proposte di legge concernenti il bilancio e la legge finanziaria; dalla seconda settimana di novembre, discussione in Consiglio regionale delle proposte di legge su bilancio e finanziaria e loro approvazione entro il 31 dicembre; dopo l’approvazione del bilancio e della finanziaria, approvazione delle proposte di legge collegate alla finanziaria, comunque da presentare entro il 15 novembre, “al fine di tenere conto degli eventuali effetti finanziari nella manovra di bilancio”.
Come si specifica al comma 2 sempre dell’art. 44 della l.r. n. 4 del 2006 del Lazio, le modifiche sopra sinteticamente illustrate devono essere applicate con riferimento al percorso di bilancio per il 2007 e, in effetti, sia la legge finanziaria che il bilancio di previsione relativi a questo esercizio sono stati approvati entro il mese di dicembre dell’esercizio precedente, contrariamente agli stessi documenti per il 2006, approvati nel mese di aprile dello stesso anno.
Oltre agli interventi sulla disciplina delle leggi finanziarie sopra riportati, le Regioni hanno anche segnalato alcune disposizioni di legge volte soprattutto ad integrare, su aspetti specifici, i contenuti di questi provvedimenti. Ci si limita a richiamare due esempi.
La Provincia autonoma di Trento, con l’articolo 85 della l.p. 7 agosto 2006, n. 5, “Sistema educativo di istruzione e formazione del Trentino”, ha previsto che la legge finanziaria stabilisca: la dotazione complessiva dei dirigenti, dei docenti e del personale amministrativo, tecnico, ausiliario e assistente educatore delle istituzioni scolastiche e formative provinciali assunto con contratto a tempo indeterminato; la spesa massima per il personale delle istituzioni scolastiche e formative provinciali, ivi compreso quello assunto a tempo determinato.
La Regione Sicilia, invece, ha previsto che, in un apposito titolo, la legge finanziaria indichi “le misure di sostegno allo sviluppo economico a valere sulle risorse provenienti da aumenti di entrate e riduzioni di spese, nonché le disposizioni sugli indirizzi programmatici per lo sviluppo dell’economia regionale i cui programmi attuativi risultano cofinanziati con le risorse aggiuntive nazionali di cui all’articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e con le risorse comunitarie" (art. 58 della finanziaria 2007).
Infine, l’Abruzzo segnala un positivo effetto legato alla entrata in vigore del nuovo Statuto della Regione. In particolare non dovrebbe più verificarsi, come avviene attualmente, la contestuale presentazione al Consiglio del DPEFR, della legge finanziaria e del bilancio. Lo statuto prevede infatti che il primo documento sia presentato entro il 30 giugno e approvato entro il 30 settembre. Per la legge finanziaria e per il bilancio, invece, le relative delibere devono essere adottate dalla Giunta entro il 31 ottobre e la loro approvazione da parte del Consiglio deve avvenire entro il 31 dicembre. Se questi tempi saranno rispettati, in Abruzzo l’esame dei documenti di programmazione da parte del Consiglio sarà quindi articolato in due separate sessioni – con probabili vantaggi per quanto riguarda le possibilità di approfondimento dei contenuti – come avviene in Lombardia. In questa Regione, una prima sessione è dedicata al DPEFR, al rendiconto e all’assestamento del bilancio relativo all’esercizio in corso; la seconda, alla legge finanziaria, al provvedimento collegato e al bilancio di previsione (9).
 
7.3. Tempi di approvazione, struttura e leggibilità delle leggi finanziarie 2007
 
Fino a quando, per lo Stato, il percorso di bilancio continuerà a concludersi l’ultimo giorno utile del mese di dicembre con l’approvazione della legge finanziaria e del bilancio di previsione e fino a quando sarà la legge finanziaria a indicare le regole annuali sul finanziamento di Regioni e enti locali, per questi enti ci sarà sempre un valido alibi per approvare i propri strumenti di programmazione ad esercizio iniziato, invece che, come sarebbe logico attendersi, prima dell’inizio di quello nel quale essi devono produrre i propri effetti. Anzi, come segnalato da alcune Regioni nella nota aggiuntiva al questionario, in tale situazione gli enti che definiscono i propri strumenti di programmazione prima dell’inizio dell’esercizio si trovano ad essere penalizzati, dovendo modificare di nuovo la propria politica di bilancio, in corso di esercizio, al fine di dare attuazione alle prescrizioni contenute nella legge finanziaria dello Stato, nonché per iscrivere in bilancio le ulteriori entrate connesse alla sua attuazione (10). Anche per il 2007, la legge finanziaria dello Stato è stata approvata alla fine del mese di dicembre del 2006 e, cosa certamente non di secondaria importanza, con un indubbio scadimento in termini di leggibilità e trasparenza, componendosi di un solo articolo, come quella per il 2006, ma di ben 1.364 commi contro i 612 della finanziaria dell’anno precedente.
Non deve quindi sorprendere che le leggi finanziarie regionali per il 2007 siano state approvate, per la maggior parte, nel corso dello stesso 2007. In particolare, in base alle date, tali leggi si distribuiscono nel modo seguente (cfr. tab. 1): nove entro dicembre 2006; sei entro febbraio 2007 (11); quattro entro aprile 2006 (Umbria, Liguria, Puglia e Piemonte); tre nel mese di maggio (Molise, Calabria e Sardegna).
L’approvazione di un cospicuo numero di leggi finanziarie nel corso dell’anno al quale esse si riferiscono è un fenomeno ricorrente. Per quelle relative al 2007 si manifesta, tuttavia, un preoccupante allungamento dei tempi. Rispetto alle finanziarie 2006, infatti, non solo la quota di leggi approvate entro dicembre scende dal 45% al 41% ma diminuisce anche in modo vistoso la quota approvata entro febbraio (dal 41% al 27%) e tornano a manifestarsi – come per le finanziarie 2005 - casi di leggi approvate dopo il primo trimestre dell’anno di riferimento (cfr. grafico 1).
Un certo peggioramento si manifesta anche per la struttura delle leggi finanziarie, valutata in base al numero dei commi. Per l’insieme delle finanziarie 2007, essi sono 3.267, un numero inferiore al quello rilevato per le finanziarie 2005 (3.698), ma superiore del 20% a quello delle finanziarie 2006 (2.743).
Il grafico 2 riporta le singole Regioni e province autonome ordinate in base al numero dei commi delle rispettive finanziarie per 2007. Ciò permette di cogliere immediatamente la grande eterogeneità tra questi provvedimenti, passandosi dagli appena 5 commi della finanziaria della Calabria, ai 759 commi di quella del Friuli Venezia Giulia. Nel grafico è anche riportato il numero dei commi delle finanziarie 2005 e 2006. E’ così possibile – al fine di avere un quadro dell’evoluzione della struttura delle finanziarie - dividere le Regioni in due grandi gruppi: da un lato, quelle in cui le leggi finanziarie hanno un numero di commi tendenzialmente stabile – in particolare tra le finanziarie del 2006 e del 2007 – e, dall’altro, quello in cui tali provvedimenti, nel tempo, hanno assunto dimensioni molto diverse.
Al primo gruppo, comprendente 7 casi, appartengono in primo luogo la Calabria, la Lombardia e il Trentino-Alto Adige – che, tra l’altro, sono costantemente le Regioni con le finanziarie più snelle (numero di commi inferiore a 20) – nonché, in ordine crescente per numero di commi della finanziaria 2007, le Regioni Umbria (24), Emilia-Romagna (62), Valle d’Aosta (123) e Piemonte (180), Regione, quest’ultima, dove le finanziarie 2006 e 2007 sono, comunque, molto più complesse di quella del 2005 che aveva solo 9 commi.
Nell’ambito del secondo gruppo, è utile fare un’ulteriore distinzione: da un lato le Regioni in cui la finanziaria 2007 è più agile di quella del 2006 e, dall’altro, quelle in cui si è verificato il fenomeno inverso. Una semplificazione, sempre in termini di commi, si manifesta solo nella provincia autonoma di Bolzano (da 56 a 24 commi) e nelle Regioni Liguria (da 70 a 58), Toscana (da 94 a 73), Marche e, soprattutto, Lazio (da 531 a 258 commi).
Decisamente più diffuso, invece, è il fenomeno inverso, comprendendo i seguenti 10 casi: Molise (da 23 a 38 commi), Abruzzo (da 21 a 81), Puglia (da 53 a 89), Basilicata (da 126 a 163), Veneto (da 147 a 185), Sicilia (da 75 a 198), Campania (da 165 a 207), Trento (da 209 a 296), Sardegna (da 93 a 337) e Friuli Venezia Giulia (da 561 a 769). Quest’ultima, inoltre, per tutte e tre le finanziarie considerate, mantiene stabilmente il primato della legge più complessa, rispetto a tutte le altre Regioni e province autonome.
Il numero dei commi è certamente un fattore importante per valutare la leggibilità delle leggi finanziarie. A prescindere dalla formulazione del testo – che può risultare poco chiara, ad esempio, per la presenza di numerosi rinvii ad altre leggi effettuati senza indicarne il titolo e/o il contenuto – va tuttavia osservato che una finanziaria con un numero elevato di commi può ugualmente risultare leggibile, anche da parte dei non addetti ai lavori, qualora: la rubrica di ogni articolo sia effettivamente rappresentativa del contenuto dei relativi commi; contenga un indice; sia suddivisa in Titoli ed eventualmente in Capi.
Il primo elemento è, forse, il più importante. Infatti, se il titolo degli articoli è presente ed è significativo del loro contenuto – cosa che può verificarsi solo se ciascun articolo riguarda un tema specifico - il lettore può comunque individuare abbastanza facilmente, all’interno di una legge plurisettoriale come in genere è la finanziaria, gli argomenti di suo interesse.
Analizzando le finanziarie regionali per il 2007 in base alla presenza delle caratteristiche appena richiamate, emerge un quadro sicuramente positivo (cfr. grafico 3). In definitiva, solo in due casi non si rinviene alcuna delle condizioni a favore della leggibilità e, nell’ambito di questi, in uno - quello del Molise - si tratta comunque di una finanziaria con un numero di commi contenuto (nel grafico il numero dei commi di ogni legge finanziaria è riportato a fianco della sigla della Regione o provincia autonoma) (12). Del resto, se gli stessi criteri venissero applicati alle finanziarie dello Stato, quelle per gli esercizi dal 2005 al 2007 – composte da un unico articolo con un numero molto ampio (e finora crescente nel tempo) di commi – si collocherebbero anch’esse (e a pieno titolo) nella parte destra del grafico. Risulta, quindi, che, almeno per ora, la maggior parte delle Regioni non ha seguito l’esempio dello Stato, continuando a redigere leggi finanziarie, spesso complesse, ma in genere fornite delle condizioni minime volte a favorirne la leggibilità (13).
Sempre per quanto riguarda la struttura delle leggi finanziarie, va ricordato che, anche nel 2007, in alcune Regioni esse sono accompagnate o precedute da provvedimenti collegati. In base alle risposte al questionario, ciò risulta per la Lombardia e l’Umbria, dove il collegato segue la finanziaria, nonché per la Liguria e la Calabria dove, al contrario, esso la precede.
I provvedimenti in questione sono:
- per la Lombardia, la l.r. 27 dicembre 2006, n. 30 (9 articoli e 35 commi) e la l.r. 27 febbraio 2007, n. 5 (15 articoli e 46 commi). La prima contiene disposizioni in materia di attività produttive e di spese di gestione dei fondi regionali, infrastrutture, recupero delle somme anticipate per la tenuta dei libri genealogici, funzioni amministrative di competenza comunale in materia di bonifica e di siti contaminati e prevede, altresì, la soppressione dell’Azienda regionale per i porti di Cremona e di Mantova e la riorganizzazione delle relative funzioni. La seconda è essenzialmente volta ad apportare modifiche alla normativa vigente in un ampio numero di settori (ad esempio attività produttive, tutela del territorio e dell’ambiente, servizi pubblici locali, mercato del lavoro);
- per l’Umbria, la l.r. 29 marzo 2007, n. 8 (10 articoli e 28 commi). Oltre ad alcune modifiche alla normativa vigente, il provvedimento contiene norme per la razionalizzazione della spesa pubblica.
- per la Liguria, la l.r. 3 aprile 2007, n. 14 (33 articoli e 67 commi). Oltre a modifiche alla normativa vigente (ad esempio, per quanto riguarda il Consiglio delle autonomie locali), il provvedimento prevede norme sul personale nonché per la razionalizzazione delle spesa pubblica;
- per la Calabria, la l.r. 11 maggio 2007, n. 9 (37 articoli e 222 commi). La legge contiene modifiche alla normativa vigente, norme sul personale, interventi in materia sanitaria e di politica fiscale e disposizioni per la razionalizzazione della spesa pubblica.
Trattandosi di provvedimenti complessi e a carattere plurisettoriale, può essere opportuno valutare la presenza delle condizioni minime di leggibilità a cui si è fatto prima riferimento. In generale, si può dire che l’intestazione degli articoli è presente in tutte le leggi e che essa è rappresentativa del contenuto dei relativi commi. Inoltre, i collegati della Liguria e della Calabria sono suddivisi in Titoli (14).
 
7.4. Contenuti delle leggi finanziari 2007: temi presi in esame
 
Si è già sottolineato che le Regioni (come del resto lo Stato), spesso utilizzano le leggi finanziarie (e in alcuni casi i collegati) per introdurre, con un unico provvedimento, modifiche alla legislazione vigente in molteplici settori di intervento, ampliando così notevolmente il contenuto per così dire “tipico” delle leggi in questione (rifinanziamento dei fondi globali, rimodulazione degli stanziamenti di spesa previsti dalla legislazione vigente, adeguamento delle entrate e delle spese per il rispetto delle regole del patto di stabilità, provvedimenti per la finanza locale, almeno per le Regioni a statuto speciale) (15).
La presenza, nelle leggi finanziarie regionali, di disposizioni diverse da quelle tipiche (ad esempio, norme a carattere ordinamentale, organizzatorio o microsettoriali), pur potendo influire negativamente sul ruolo delle assemblee legislative nella definizione delle politiche di intervento della Regione e pur potendo risultare contraria alle disposizioni sul contenuto ammissibile delle leggi finanziarie adottate da alcune Regioni, consente però di affrontare con rapidità problemi emergenti e sui quali si concentra pure l’intervento dello Stato (16).
La questione della stabilizzazione dei lavoratori precari e della garanzia di un reddito ai dipendenti del settore privato che perdano il posto di lavoro può essere un buon esempio al riguardo. Con riferimento alle finanziarie per il 2007 (o ai collegati), misure per la riduzione del precariato nel settore pubblico si trovano in almeno otto Regioni (17). E in almeno tre si riscontrano anche interventi volti a permettere di affrontare meglio la perdita del posto di lavoro, attraverso anticipazioni o integrazioni del trattamento CIG (Cassa Integrazione Guadagni) (18).
Tornando ai contenuti tipici delle leggi finanziarie, verrà svolto nei paragrafi che seguono un approfondimento su alcuni ritenuti di particolare interesse, sia perché al centro anche delle finanziarie dello Stato, sia perché, su di essi, un intervento deciso della pubblica amministrazione – e, quindi, anche delle Regioni – appare comunque necessario e urgente. Ci si riferisce, in particolare, al contenimento della spesa pubblica, alle manovre sul versante tributario e alla disciplina dei rapporti finanziari tra Regioni e enti locali, quest’ultimo uno dei punti più discussi del già citato disegno di legge sul federalismo fiscale.
 
7.5. Contenimento della spesa pubblica
7.5.1. Ambito dell'indagine
 
Il tema della non ottimale gestione delle risorse da parte delle pubbliche amministrazioni è, oggettivamente, al centro del dibattito. I media dedicano molta attenzione a questa problematica con indagini, anche comparate, sull’eccessivo costo, in Italia, degli apparati amministrativi e politici a livello centrale e negli enti territoriali. Inoltre, numerosi provvedimenti normativi sono stati adottati al fine di ridurre il peso della pubblica amministrazione sull’economia, ma anche per ottenere ulteriori risorse da destinare a rilancio dello sviluppo e ad interventi di carattere sociale politicamente sensibili (come la riduzione del precariato o il rafforzamento degli ammortizzatori sociali), senza dover inasprire il prelievo fiscale a carico dei cittadini e delle imprese.
Dei provvedimenti volti al contenimento della spesa pubblica sono certamente più noti quelli adottati dal governo centrale, sia perché i loro effetti ricadono sulla collettività nazionale, sia per il maggior risalto ad essi dato dagli organi di informazione nazionali. In materia, tuttavia, intervengono anche gli enti territoriali e, del resto, se così non fosse, non potrebbero essere ottenuti risultati apprezzabili per il paese, vista la quota della spesa pubblica da essi attualmente gestita (circa il 50% del totale). Tali interventi, in parte sono “dovuti”, essendo adottati per attuare disposizioni vincolanti emanate dal governo in virtù del potere di coordinamento della finanza pubblica ad esso attribuito dalla Costituzione e i limiti all’esercizio del quale sono, ormai, precisati da diverse sentenze della Corte Costituzionale. In parte, tuttavia, sono interventi “spontanei” delle singole amministrazioni, motivati dalla situazione dei rispettivi bilanci ma anche dalla sensibilità politica di ciascuna nei confronti di questi temi.
Per conoscere meglio le iniziative delle Regioni volte a migliorare l’economicità e l’efficienza della gestione delle risorse, ad esse è stata dedicata una apposita sezione del questionario utilizzato per la redazione del presente Rapporto. In tale sezione, dalle Regioni sono state segnalate disposizioni soprattutto delle leggi finanziarie 2007 – o, dove esistono, dei relativi collegati – ma anche disposizioni contenute in provvedimenti diversi, adottati sia per dare attuazione alla legge finanziaria dello Stato (nei casi, come si è visto abbastanza numerosi, in cui la finanziaria delle Regioni venga approvata prima di quella dello Stato), sia per attuare norme dello Stato contenute in provvedimenti diversi dalla finanziaria, come, da ultimo, il d.l. 4 luglio 2006, n. 223 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006) contenente, tra l’altro, misure per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica sia per l’amministrazione centrale che per gli enti territoriali.
Per facilitare la lettura, il tema del contenimento della spesa pubblica, di per sé molto vasto, è stato qui articolato in base alle principali direttrici di intervento dello Stato:
- il rispetto delle regole del patto di stabilità, previste nelle leggi finanziarie dello Stato e, in particolare, in quella per il 2007;
- la riduzione delle spese in specifici ambiti (organi istituzionali, personale, enti strumentali, incarichi esterni, acquisto di beni e servizi):
- il miglioramento del monitoraggio dei conti pubblici e, più in generale, della gestione delle risorse, essenziale in sé stesso, nonché per valutare gli effetti dell’attuazione degli interventi sopra menzionati.
Come è noto, nell’ambito del contenimento della spesa pubblica, la sanità, dove il problema è particolarmente rilevante, è un settore a sé stante oggetto di specifiche disposizioni, cosa che vale per la normativa statale e per quella regionale. Gli interventi delle Regioni in questo campo, tuttavia, sono esaminati in un altro capitolo del Rapporto, dedicato, più in generale, alle politiche sanitarie di questo livello di governo.
 
7.5.2. Disposizioni per il rispetto del patto di stabilità interno
 
Le norme sul patto di stabilità interno a carico delle Regioni, contenute nella finanziaria dello Stato per il 2007 – escludendo, come si è detto, quelle relative al settore sanitario – sono, in definitiva, piuttosto semplici. In sintesi esse prevedono:
per le Regioni ordinarie, un limite alla dinamica delle spese complessive (di competenza e di cassa) al netto di quelle relative al settore sanitario e per la concessione di crediti, nonché delle spese sostenute a fronte delle risorse statali assegnate quale cofinanziamento degli oneri per il rinnovo del secondo biennio economico del contratto collettivo relativo al settore del trasporto pubblico locale.
per le Regioni speciali e le province autonome, la possibilità di concludere accordi con il Governo entro il 31 luglio 2007, anche con riferimento alle regole per gli enti locali compresi nel loro territorio (qualora l’accordo non venga concluso si applicano le regole generali);
per tutte, la conferma della possibilità di estendere le regole del patto nei confronti dei loro enti e organismi strumentali, nonché degli enti a ordinamento regionale o provinciale;
per tutte, il rafforzamento del sistema di monitoraggio del rispetto delle regole e le relative sanzioni;
per tutte, l’avvio di una sperimentazione di regole basate esclusivamente sul rispetto dei saldi di bilancio.
Le norme concernenti il limite alla dinamica delle spese e il monitoraggio del patto devono comunque essere osservate dalle Regioni. In proposito, ci si limita quindi a indicare, a titolo di esempio, alcune Regioni che, nelle finanziarie 2007, ad esse hanno fatto esplicito riferimento: Basilicata (art. 7), Calabria (art. 15 del collegato), Lazio (art. 4) e Molise (art. 1). Anche la finanziaria del Friuli Venezia Giulia prevede l’introduzione di limiti di spesa, ma per la loro definizione si rinvia ad un successivo provvedimento che, comunque, dovrà escludere alcune particolari categorie di spese indicate nella stessa finanziaria (art. 8, commi 43 e 44).
Gli accordi sulle regole del patto nelle Regioni e province ad autonomia differenziata e l’estensione del patto agli enti regionali, sono, invece, adempimenti facoltativi e, quindi, di particolare interesse ai fini del presente capitolo.
In base alle risposte fornite al questionario, entro i termini previsti dalla finanziaria dello Stato gli accordi sulle regole del patto (anche per quanto riguarda gli enti locali) risultano essere stati conclusi dal Friuli Venezia Giulia (che, tuttavia, fa riferimento a quelli relativi al 2006), da Bolzano e da Trento (19).
Nelle leggi finanziarie delle Regioni speciali, inoltre, si trovano spesso norme che disciplinano il patto di stabilità nei confronti degli enti locali (20). In quelle per il 2007, ciò si verifica, ad esempio, nelle leggi
del Friuli Venezia Giulia (art. 3, commi 48-56), della Sardegna (art. 12, commi 11-12) e della provincia di Trento (art. 19).
Per quanto riguarda l’estensione delle regole del patto di stabilità agli enti o organismi strumentali, già nel precedente Rapporto si era fatto riferimento alle finanziarie 2006 di alcune Regioni contenenti disposizioni in materia (21). Per quelle del 2007, possono essere, invece, citati i casi seguenti: Abruzzo (art. 1, c, 11), Basilicata (art.8), Friuli Venezia Giulia (art. 8, commi 47-49), Liguria (art.9, limitatamente alle spese di personale), Marche (art. 14), Molise (art. 1, c.19), Sicilia (art. 7) e Veneto (art. 49). In generale, viene specificato il livello minimo di riduzione delle spese 2007 nella stessa misura di quella prevista dallo Stato nei confronti delle Regioni (cioè - 1,8% di quella per il 2005), salvo che in Friuli e nelle Marche che rinviano a successivi provvedimenti, e in Sicilia dove è prevista una riduzione particolarmente elevata ( – 10%, sempre sulle spese rilevate per il 2005) specificando altresì che i risparmi verranno acquisiti al bilancio regionale per contribuire al suo risanamento. Quasi sempre, inoltre, sono previsti controlli per il rispetto delle regole, nonché sanzioni specifiche. Ad esempio, la Sicilia prevede il taglio dei trasferimenti regionali “in una percentuale pari al rapporto tra l’eccedenza di spesa e la spesa complessiva” (art. 7, c. 7).
 
7.5.3. Riduzione delle spese in specifici ambiti
 
Per la riduzione delle spese e, più in generale, dei cosiddetti costi della politica, sono intervenute tutte le Regioni. Proprio per questo, si è preferito richiamare nel testo alcune tipologie di intervento, rinviando ad una apposita nota alla fine del paragrafo l’indicazione dei riferimenti normativi dai quali esse sono state tratte. Le fonti riportate in calce si riferiscono a disposizioni contenute in leggi – in primo luogo le leggi finanziarie 2007, ma anche quelle per il 2006, nonché leggi ad hoc per il contenimento delle spese – e ad altre eventuali disposizioni assunte con atti di natura non legislativa: atti amministrativi o delibere dell’Ufficio di presidenza. Il quadro ricognitorio, in ogni caso, non ha carattere di esaustività poiché molti provvedimenti sono in itinere ed altri allo studio. A questo proposito si segnala che la stessa Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative, nel mese di luglio 2007, ha reso pubblico on line un lavoro di ricognizione comparato in merito alla funzionalità delle Assemblee legislative regionali e al trattamento economico dei Consiglieri regionali. Si sottolinea, altresì, che è possibile riscontrare puntualmente i suddetti dati consultando i siti Internet delle singole Assemblee legislative.
Data l’ampiezza della materia, nell’esporre la tipologia degli interventi adottati dalle Regioni ci si concentrerà soprattutto su alcuni temi (22): spese di Giunta e Consiglio; costi degli enti e società strumentali; spese per incarichi di collaborazione a soggetti esterni all’amministrazione; spese di personale; spese per acquisto di beni e servizi.
Su questi aspetti le modalità di intervento delle Regioni possono essere sinteticamente rappresentate come segue.
 
Per il contenimento delle spese di Giunta e Consiglio:
razionalizzazione degli organismi al fine di ottenere una riduzione dei costi, anche attraverso la riduzione del numero delle commissioni consiliari;
inefficacia dell’incremento delle indennità mensili spettanti ai Consiglieri e ai componenti della Giunta regionale;
riduzione delle spese di rappresentanza comunque denominate, in alcuni casi estendendo tale provvedimento anche agli enti pubblici sotto il controllo della Regione;
riduzione dell’indennità di carica e di funzione ai consiglieri regionali e ai componenti della Giunta non consiglieri;
riduzione degli assegni vitalizi e assegni di reversibilità degli ex consiglieri regionali e aventi causa;
incremento della quota mensile di versamento a carico del consigliere a titolo di pagamento dell’assegno vitalizio;
abolizione dell’indennità di missione per i consiglieri regionali e soppressione delle agevolazioni di viaggio;
divieto di rimborso ai componenti di Giunta, Consiglio e organi degli enti regionali delle spese per missioni all’estero;
nel caso delle Regioni a statuto speciale, interventi in materia di indennità degli amministratori degli enti locali.
 
Per il contenimento dei costi degli enti e società strumentali:
interventi per razionalizzare la gestione degli enti strumentali, delle aziende e agenzie regionali, dei consorzi, di tutti gli altri enti dipendenti o controllati dalla Regione e delle società a partecipazione regionale, con l'obiettivo di migliorare l'efficacia e l'efficienza dell'azione amministrativa, di elevare la qualità dei servizi, di ridurre i complessivi costi di gestione dei predetti enti, con particolare riguardo alle spese per missioni, incarichi, automezzi;
divieto di istituzione di nuovi organismi (comitati, commissioni, consulte, consigli, gruppi di lavoro);
contenimento delle spese di funzionamento dei comitati, degli osservatori regionali e degli altri organismi consultivi;
diminuzione del numero dei componenti dei consigli di amministrazione degli enti pubblici economici;
riduzione dell’indennità dei componenti dei consigli di amministrazione degli enti pubblici economici e non, nonché delle indennità e/o emolumenti spettanti ai Presidenti, ai componenti dei consigli di amministrazione e agli amministratori delegati delle società della Regione o a cui la stessa partecipa direttamente o indirettamente;
riduzione del numero degli organismi, in alcuni casi prevedendone la trasformazione in agenzie regionali;
dismissione delle partecipazioni della Regione in società che non siano state istituite con legge regionale ovvero destinatarie di fondi speciali istituiti con legge regionale;
interventi in materia di gettoni di presenza per i partecipanti alle riunioni di commissioni, consigli e comitati della provincia, in alcuni casi escludendoli per il personale degli stessi organismi;
valutazione dell’utile di esercizio conseguito dagli enti dipendenti ai fini della quantificazione del trasferimento regionale per spese di funzionamento relativo all’esercizio in cui l’utile è accertato;
ricognizione degli organi esistenti nell’ambito della Regione e degli organismi dipendenti ai fini della valutazione del perdurare della loro utilità e di assumere le iniziative volte alla riduzione del loro numero e alla revisione dei compensi attribuiti;
estensione agli enti, agenzie e aziende speciali, istituiti con legge regionale, delle disposizioni di cui agli articoli 22 e 26 del decreto legge n. 223/2006, concernenti la riduzione delle spese di funzionamento e il rispetto dei limiti di spesa annuale, fatto salvo il conseguimento degli obiettivi istituzionali fissati per lo stesso anno;
obbligo, per gli organismi regionali, di avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura regionale per la difesa di atti o attività connessi ad atti di indirizzo e di programmazione regionale;
introduzione di limiti alle quote che la Regione può possedere nelle società partecipate dalla Regione.
 
Per la riduzione delle spese per collaborazioni, incarichi e consulenze:
istituzione di autorità regionali per la valutazione delle attività di consulenza;
divieto di affidare incarichi, diretti o in convenzione, di studio e ricerca e riduzione degli stanziamenti per la copertura dell’indennità di risultato dei dirigenti regionali;
previsione, in conformità alle norme dello Stato, di limiti all’incremento della spesa annua (non più del 50 per cento di quella sostenuta nell’anno 2004) per studi ed incarichi di consulenza conferiti a soggetti esterni all’amministrazione pubblica da parte della Regione e degli enti appartenenti al settore regionale allargato, per le spese di rappresentanza e per pubbliche relazioni degli enti regionali e per la manutenzione, il noleggio e l’esercizio di autovetture adibite al servizio degli amministratori della Regione.
 
Per quanto riguarda il contenimento delle spese di personale:
utilizzo, per il reclutamento del personale della Regione e degli enti dipendenti, delle graduatorie dei concorsi pubblici già espletati;
blocco delle assunzioni e diminuzione della dotazione organica, nelle Regioni speciali e nelle province autonome anche per quanto riguarda gli enti locali;
introduzione di limiti finanziari alla contrattazione collettiva e modifiche alla disciplina dei trattamenti accessori;
introduzione di limiti alla spesa annua relativa alla formazione del personale;
introduzione di limiti alla copertura dei posti della dotazione organica vacanti;
riduzione delle indennità del personale degli uffici regionali presso l’Unione europea.
 
Per il contenimento delle spese di acquisto di beni e servizi, infine, sono di particolare interesse gli interventi delle Regioni volti, sul modello di quanto già fatto dallo Stato, ad ottenere tale risultato promuovendo la razionalizzazione e la centralizzazione degli acquisti delle pubbliche amministrazioni. La possibilità di azioni in questo campo, del resto, è esplicitamente prevista nella legge finanziaria 2007 dello Stato ai commi 455-458, tra l’altro auspicando la cooperazione interregionale e affidando alla Conferenza Stato-Regioni il monitoraggio dei risultati raggiunti.
Come previsto per uno di quelli avviati nel 2007, tali progetti hanno lo scopo di: contenere la spesa anche mediante la definizione di strategie comuni di acquisto, l’aggregazione e la standardizzazione della domanda, la rilevazione dei fabbisogni e lo sviluppo della concorrenza; contenere la spesa, semplificare e accelerare il processo di acquisto delle amministrazioni e degli enti beneficiari con l’utilizzo dei centri di acquisto. A questi ultimi, in alcuni casi, è anche affidato il compito di erogare e gestire direttamente i servizi informatici degli enti appartenenti al settore regionale allargato in una logica di razionalizzazione e di condivisione delle tecnologie tra enti finalizzata al contenimento della spesa pubblica.
Infine, per affinità di scopo, può essere citata l’istituzione di una Stazione unica appaltante, destinata a rendere più uniforme, trasparente e conveniente la gestione degli appalti di opere, lavori pubblici e forniture di beni e servizi della Regione, delle Aziende sanitarie e ospedaliere, delle Aziende regionali e degli Enti strumentali e ausiliari della Regione. (23)
 
7.5.4. Iniziative per migliorare il monitoraggio della finanzia pubblica
 
Sono stati fin qui richiamati una serie di esempi relativi a provvedimenti di contenimento delle spese adottati dalle Regioni, in parte per rispondere a sollecitazioni provenienti dallo Stato e, in parte, su autonoma iniziativa delle stesse amministrazioni. Resta tuttavia poco chiaro quale è il risparmio atteso da questi provvedimenti e, soprattutto, quale sarà il risparmio effettivamente ottenuto. Per quanto riguarda gli effetti attesi, appare significativa l’iniziativa della Regione Sicilia di allegare alla legge finanziaria per il 2007 – e, si spera, anche alle successive – un “prospetto” degli effetti della manovra in essa prevista, nel quale, per ciascuna misura, è indicata la variazione di entrata e/o di spesa che dovrebbe comportare, nonché l’effetto finale sugli equilibri di bilancio (24).
Per la verifica dei risultati effettivi è invece essenziale l’esistenza di un efficace e capillare sistema di monitoraggio degli andamenti della finanza pubblica e, più in generale, di verifica della gestione delle risorse. Lo Stato ha già preso diverse e valide iniziative in questo campo, tra le quali vanno almeno menzionate:
il Sistema Informativo sulle Operazioni degli Enti Pubblici (SIOPE), ormai uscito dalla fase sperimentale, capace di fornire indicazioni in tempo reale sulle singole operazioni di entrata e di spesa di tutti gli enti pubblici e nell’ambito del quale questi ultimi sono, allo stesso tempo, fornitori dei dati ma anche fruitori dei risultati acquisiti dal sistema (25);
il Sistema nazionale di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria (SIVeAS), ancora in fase di avvio, ma per il quale la finanziaria 2007 ha incrementato le risorse ad esso precedentemente destinate (c. 798) e, sempre in questo ambito, il Nuovo sistema informativo sanitario (NISS), istituito presso il Ministero della salute.
Anche le Regioni, tuttavia, sembrano seriamente intenzionate a portare avanti proprie iniziative in materia e, dalle finanziarie per il 2007 (o dai relativi collegati), possono essere tratti alcuni esempi:
la Basilicata ha istituito il Comitato tecnico di verifica finanziaria, presso la Direzione generale della Presidenza della Giunta, rinviando, tuttavia, ad un successivo provvedimento la definizione dei sui compiti (art. 49) (26);
la Calabria ha previsto una ricognizione capillare dei beni immobili e mobili della Regione e la costruzione di appositi inventari per le varie tipologie di beni (art. 12 del collegato);
La Campania ha istituito un apposito settore per il controllo e la vigilanza sulle partecipazioni regionali, definendone altresì i compiti (art. 2). Ha, inoltre, previsto un monitoraggio dei programmi e delle iniziative in materia di edilizia residenziale pubblica, finalizzato anche a liberare risorse già destinate a progetti che risultino non avviati o cantierabili (art. 41);
il Lazio si è impegnato nella costruzione di un sistema di indicatori per la misurazione dell’efficacia e dell’efficienza delle prestazioni sanitarie rese dal sistema degli erogatori dei servizi accreditati, da utilizzare per la verifica della qualità e idoneità del servizio (art. 20). La Regione dovrà inoltre realizzare il sistema informativo necessario alla gestione del “sistema di verifica e controllo dei pagamenti del servizio sanitario regionale” le cui informazioni, fatta salva la tutela della riservatezza, sono messe a disposizione della cabina di regia istituita con la finanziaria del 2006 (art. 13);
la Lombardia ha istituito e disciplinato in dettaglio il Nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici, affidando ad esso “tutte le funzioni di supporto nelle fasi di programmazione, valutazione, attuazione e verifica di piani, programmi e politiche di intervento promossi e attuati dalla Regione” (art. 1 del collegato). Con la legge finanziaria la Regione ha inoltre previsto un potenziamento del personale per i controlli sull’utilizzazione dei fondi comunitari (art. 10) (27);
il Molise ha previsto che i direttori generali attivino un adeguato ed efficiente sistema di monitoraggio e verifica della gestione del bilancio e che i risultati delle loro iniziative in questo campo siano oggetto di valutazione ai fini dell’attribuzione dell’indennità di risultato (art. 1, c.17);
Trento ha dato mandato alla Giunta provinciale di effettuare una verifica straordinaria dei piani pluriennali di settore che prevedono la programmazione di interventi agevolati, anche al fine di liberare risorse destinate ad interventi che risultino non realizzabili (art. 30);
la Valle d’Aosta ha dato incarico al Comitato finanza e contabilità degli enti locali, d’intesa con il Consiglio permanente degli enti locali, di monitorare gli effetti dell’applicazione delle norme regionali in materia di entrate proprie da parte dei comuni, anche ai fini di “una uniforme informazione” (art. 7).
 
7.6. La politica fiscale
7.6.1. Interventi previsti nelle leggi finanziarie 2007
 
La politica fiscale è, naturalmente, uno dei temi centrali delle leggi finanziarie dello Stato, anche se, nel tempo, cambiano gli obiettivi previsti. Nella passata legislatura l’accento era stato posto sul raggiungimento di una sia pur modesta riduzione della pressione tributaria, ritenendosi che ciò potesse contribuire a sostenere lo sviluppo economico del paese e, indirettamente, a ridurre il fenomeno dell’evasione rendendo meno “penoso” il pagamento delle imposte. Con la finanziaria 2007, si è invece puntato su un incremento del gettito sia affrontando il problema dell’evasione e dell’elusione fiscale, sia innalzando il livello del prelievo, in particolare sulle persone fisiche e sui redditi medio alti (28).
Per quanto riguarda le Regioni, anche in conseguenza della non riproposizione delle restrizioni all’aumento delle aliquote dei tributi regionali fino ai livelli massimi consentiti dalla legislazione vigente – restrizioni invece previste nelle precedenti finanziarie dello Stato - le disposizioni in materia di politica fiscale nelle finanziarie 2007 sono numerose e presenti nella maggior parte delle leggi (14, alle quali bisogna aggiungere il collegato della Calabria che, pure, contiene disposizioni in materia) (29).
Gli interventi riguardano l’Irap e l’addizionale Irpef – rispetto alle quali l’aumento delle aliquote da parte delle Regioni con pesanti deficit sanitari è da considerare, in base alle leggi finanziarie dello Stato, un adempimento necessario (30) - ma anche i tributi minori, l’istituzione di nuovi tributi, gli aspetti gestionali delle imposte e, infine, le tariffe per servizi erogati dalle Regioni o da enti da esse dipendenti. Nel commento che segue ci si concentrerà, tuttavia, solo su alcuni degli aspetti indicati.
Per l’Irap è di particolare interesse l’art. 4 della legge finanziaria della Sardegna che, nei commi 1 - 12 disciplina – ai sensi del d.lgs 446 del 1997 e “nel rispetto dei principi generali in materia di imposte sui redditi” (c. 1) – le competenze regionali sul tributo, tra l’altro affidandone la gestione (accertamento, liquidazione, riscossione e contenzioso) all’Agenzia regionale delle entrate (ARASE) che, a sua volta, può avvalersi dell’Agenzia delle entrate dello Stato, previa stipula di apposita convenzione (31).
Per l’Irpef, rilevano in particolare gli interventi della Calabria e della Liguria. La prima (con l’art. 25 del collegato) ha incrementato l’addizionale Irpef fino all’1,4 % (cioè al massimo consentito), differenziando gli aumenti per fasce di reddito imponibile e mantenendo l’aliquota minima (0,9%) per i redditi più bassi (fino a 15.000 euro). La seconda, che già applicava l’addizionale con aliquote differenziate per fasce di reddito, con l’art. 4 della legge finanziaria ha modificato il metodo di calcolo dell’onere di imposta per eliminare le anomalie dell'imposizione sui "redditi di confine" nei diversi scaglioni, attraverso l'applicazione di un coefficiente che porta in diminuzione l'imposta da versare.
Va, infine, segnalato che alcune Regioni hanno vincolato il maggior gettito derivante dalla manovra dei tributi al risanamento finanziario del settore sanitario. Ad esempio ciò si verifica nelle finanziarie 2007 di Liguria (art. 2), Piemonte (art. 19), Sicilia (artt. 25 e 26) e Lazio (art. 8). Quest’ultima, con la disposizione citata, si è anche impegnata a mantenere le aliquote delle due imposte al livello massimo consentito fino al 2009 (facendo salvi, per l’Irap, i regimi speciali e le esenzioni di cui alla legislazione vigente), prevedendone la riduzione a partire dal 2010 rispetto ai livelli massimi stabiliti per il 2007.
Per i nuovi tributi, la Regione Marche ha definito le modalità applicative dell’imposta regionale sugli aeromobili (art. 12), la Sicilia ha introdotto una tassa di concessione regionale per l’attivazione di stabilimenti per la produzione di alimenti di origine animale (art. 5) e la Sardegna (art. 5, commi 1-24) ha introdotto e disciplinato l’imposta regionale di soggiorno. Inoltre la provincia autonoma di Trento e la Regione Sardegna hanno apportato ampie modifiche alla disciplina di alcuni tributi, di recente da esse stesse istituiti nel proprio territorio: la provincia di Trento, con l’art. 23, è intervenuta sul tributo provinciale sul turismo a suo tempo introdotto con la legge finanziaria 2006; la Sardegna è invece intervenuta sull’imposta sulle plusvalenze delle seconde case (art. 3, c. 1), sull’imposta sull’uso turistico delle seconde case (art. 3, c. 2) e sull’imposta sullo scalo turistico di aeromobili e unità da diporto (art. 3, c. 3), tutte introdotte per la prima volta con la l.r. n. 4 del 2006 (32).
Per quanto riguarda la gestione dei tributi regionali, è di particolare interesse l’art. 3, c. 4 della legge finanziaria della Sardegna con il quale è stata modificata la disciplina della già menzionata ARASE, istituita sempre con la l.r. n. 4 del 2006, tra l’altro ampliandone – al fine di combattere l’evasione - i poteri in materia di accertamento e liquidazione delle imposte e per l’acquisizione di informazioni utili allo scopo (ad esempio a carico dei comuni è previsto l’obbligo di comunicazione delle variazioni di proprietà ai fini Ici e Tarsu). L’ARASE viene, inoltre, autorizzata ad istituire l’Anagrafe tributaria regionale, compente a raccogliere i dati necessari alla gestione non solo dei tributi della Regione, ma anche di quelli degli enti locali della Sardegna (art. 4, commi 13-20).
Sempre in materia di lotta all’evasione, possono essere segnalati: l’art. 25 della legge finanziaria della Toscana, con il quale una quota delle entrate provenienti dal recupero dell’evasione sulle tasse automobilistiche è destinata al potenziamento (anche tecnologico) della struttura regionale competente in materia; e l’art. 15 della finanziaria del Veneto, che sancisce l’applicabilità ai tributi regionali delle norme di cui all’art. 17 del d. lgs. 18 febbraio 1997, n. 472, in materia di sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie.
Infine, come risulta dalla tab. 2, almeno undici Regioni con le finanziarie 2007 (o con il collegato) sono intervenute in materia di tributi propri minori, tariffe e canoni, in genere per modificare la normativa vigente ma in alcuni casi anche per ampliare le fonti di entrata, come si è verificato, ad esempio, in Sicilia, dove sono stati introdotti nuovi diritti a carico dei privati per le attività svolte a loro favore dal Dipartimento regionale di urbanistica.
 
7.6.2. Interventi previsti in altri provvedimenti
 
Oltre che con le leggi finanziarie per il 2007, nel corso del 2006 le Regioni sono intervenute in materia tributaria anche con altri provvedimenti. In base alle segnalazioni pervenute, rilevano le seguenti.
Abruzzo – Con la l. r. n. 17 del 2006, “Disciplina del tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi”, è stata riscritta la disciplina dell’imposta e sono state abrogate 4 previgenti leggi regionali in materia. Con la l. r. n. 44 del 2006 “Determinazione delle aliquote IRAP e addizionale regionale Irpef e misure per il risanamento del sistema sanitario regionale” la Regione ha rideterminato, a decorrere dall’anno di imposta 2007, le aliquote dell’Irap nella misura del 5,25% e l’aliquota dell’addizionale Irpef all’1,4% al fine di poter accedere al Fondo transitorio per le Regioni con elevato disavanzo sanitario, previsto dal patto nazionale per la salute del settembre 2006 (Fondo successivamente formalizzato al comma 796 dell’art. 1 della finanziaria 2007 dello Stato).
Emilia-Romagna – Con la l.r. n. 19 del 2006 “Disposizioni in materia tributaria”, la Regione è intervenuta in materia di: aliquote dell’Irap (art. 1) e dell’addizionale Irpef (art.2); di estinzione del contenzioso (art. 3); di disciplina del tributo speciale per il conferimento dei rifiuti solidi in discarica, abrogando il comma 1 bis dell’art. 7 bis della l.r. n. 21 del 1996 (art. 4).
Friuli Venezia Giulia – Con la l.r. n. 12 del 2006 “Assestamento del bilancio 2006”, la Regione è intervenuta in materia di aliquote del tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi (art. 4, c. 15).
Lazio – Con la l.r. n. 22 del 2006 “Disposizioni urgenti in materia di Imposta regionale sulle attività produttive”, le aliquote dell’Irap sono state maggiorate di un punto (portando così quella ordinaria al 5,25%), al fine di poter accedere al Fondo transitorio per le Regioni con elevato disavanzo sanitario (33).
Marche Con lal.r. n. 20 del 2006 “Disposizioni in materia di tributi regionali”, la Regione è intervenuta in materia di: decorrenza della riduzione dell’aliquota Irap (art. 1); aliquote dell’addizionale sul consumo di gas metano (art. 2); importo della tassa per il diritto allo studio universitario.
Molise – Con l’art. 4 della l.r. n. 42 del 2006, “Misure di contenimento della spesa pubblica regionale ed interventi in materia di tributi regionali” dal 1° gennaio 2007, al fine di poter accedere al Fondo transitorio per le Regioni con elevato disavanzo sanitario, è stato disposto: l’aumento ai livelli massimi consentiti dell’aliquota dell’addizionale Irpef (1,4%) e dell’Irap (5,25%); l’aumento al massimo consentito dell’imposta regionale sulle benzine (2,58 centesimi); l’aumento dell’addizionale sul consumo di gas metano a 3,1 centesimi per le utenze civili e a 0,6 centesimi per le utenze industriali.
Toscana - Con la l.r. n. 52 del 2006 (artt. 1-2) è stato determinato l’importo della tassa automobilistica regionale a decorrere dal 1 gennaio 2007.
Umbria - Con la l.r. n. 4 del 2006 “Modificazioni ed integrazioni di leggi regionali – n. 33 del 9.8.1995, n. 13 del 27.4.2001, n. 11 del 22.2.2005 – in materia di entrata e di spesa”, è stato previsto che, con decorrenza dal 1° gennaio 2006, le cooperative sociali di cui alla l. 381/1991, limitatamente alle attività istituzionali esercitate, sono esentate dal pagamento dell'IRAP fermo restando, comunque, l'obbligo della presentazione della dichiarazione dei redditi, anche ai fini della determinazione dell'imponibile IRAP, alla competente Agenzia delle entrate (art. 1, c. 1, sostitutivo del comma 2 dell'articolo 3 della L.R. 13/2001).
Valle d’Aosta – Con la l.r. n. 15 del 2006 “Assestamento del bilancio di previsione per l’anno finanziario 2006, modificazioni a disposizioni legislative, variazione al bilancio di previsione per l’anno finanziario 2006” l’esenzione dall’Irap prevista per le Onlus è stata estesa alle Aziende pubbliche di servizi alla persona (ASP), succedute alle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, fermo restando l’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi, anche ai fini della determinazione dell’imponibile IRAP (art. 4, c.1).
Veneto - Con la l.r. n. 27 del 2006 “Disposizioni in materia di tributi regionali”, la Regione è intervenuta sulle modalità di applicazione, per il 2007, di varie imposte. In primo luogo, viene rideterminata, per l’addizionale Irpef, la soglia di reddito imponibile per la quale trova applicazione l’aliquota base dello 0,9 per cento, in considerazione delle modifiche apportate in sede nazionale alla struttura dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) (art. 1). In secondo luogo, vengono modificate le aliquote dell’addizionale regionale sul consumo di gas metano (art. 2). In terzo luogo, la legge interviene in materia di Irap, per concedere agevolazioni alle nuove imprese giovanili e femminili e per le cooperative sociali (artt.3, 4 e 5), nonché alle aziende pubbliche di servizi alla persona succedute alle IPAB (art. 6). Sempre per L’irap, sono poi previste ulteriori agevolazioni (abbattimento dell’aliquota al 3,75%) per le imprese “virtuose” (in base a criteri definiti nella stessa legge), qualora nel corso dell’anno 2007 il gettito dell’imposta regionale sulle attività produttive si riveli superiore a quello indicato nel bilancio di previsione, se l’amministrazione centrale non disponga legislativamente in modo diverso (art. 8) (34). Infine, la legge interviene anche per la semplificazione gestionale in materia tributaria (art. 7).
 
7.7. La finanza locale nelle leggi finanziarie per il 2007
 
Come nei precedenti Rapporti, al centro di questo paragrafo non sono le norme, presenti nella maggior parte delle leggi finanziarie, con le quali le Regioni assegnano risorse agli enti locali vincolate alla realizzazione di specifici programmi o interventi. Piuttosto si intende richiamare l’attenzione sulle disposizioni a carattere generale con le quali le Regioni intervengono nella materia in oggetto, ad esempio per valorizzare l’autonomia finanziaria di comuni e province, per promuoverne l’efficienza e la capacità operativa o per migliorare la trasparenza dei flussi finanziari.
Per quanto riguarda le Regioni a statuto speciale sembrano di particolare interesse alcune disposizioni delle leggi finanziarie del Friuli Venezia Giulia, della Sardegna, della Sicilia e della provincia autonoma di Trento.
Il Friuli Venezia Giulia dedica alla finanza locale l’intero art. 3 della finanziaria 2007, composto di 88 commi. Tra i vari aspetti trattati si segnalano, innanzi tutto, le disposizioni in materia di finanziamenti ordinari agli enti locali e, in particolare, a favore dei comuni. La finanziaria per il 2006 aveva già provveduto a riformare il sistema dei trasferimenti ordinari per adeguarlo alle indicazioni dell’art. 119 Cost. (35), dividendoli in due quote da attribuire, la prima, in proporzione diretta alla capacità fiscale dei singoli enti e, la seconda, con criteri perequativi, definiti con regolamento della Giunta adottato a giugno 2006. Per il 2007, in base all’art. 3, c. 6 della legge finanziaria, i finanziamenti ordinari ai comuni ammontano a 319 milioni dei quali il 65% per la prima quota e il 35% per la seconda. Ad essi si aggiungono altri 4,9 milioni da assegnare in base ad ulteriori specifici criteri in parte definiti nella stessa legge finanziaria (oneri di personale proveniente dall’Ente ferrovie dello Stato, oneri Iva su servizi non commerciali affidati all’esterno e per i quali è previsto un corrispettivo da parte dell’utenza, intensità dei flussi turistici) e in parte da definire con ulteriore provvedimento, soprattutto per agevolare gli enti di minori dimensioni demografiche.
Tra le altre disposizioni dell’art. 3 della finanziaria 2007 del Friuli Venezia Giulia, si ritiene inoltre opportuno citare quelle relative:
- ad interventi volti a migliorare l’efficienza nell’erogazione dei servizi attraverso la realizzazione di economie di scala. Nello specifico, sono previsti incentivi: a favore dei comuni capofila di associazioni (commi 21-23), a favore delle fusioni (commi 39-42) e a favore delle associazioni (commi 43-47) (36);
- alle regole del patto di stabilità per il periodo 2007-2009 (commi 48-56). E’ prevista l’adozione di un apposito regolamento da adottare “previo parere” del Consiglio delle autonomie locali, con il quale dovranno anche essere ridefinite le modalità per il monitoraggio del rispetto del patto. Vengono, inoltre, emanate disposizioni in materia di assunzioni di personale, incentivi a favore degli enti con avanzi di amministrazione, nonché l’esclusione per un triennio dalle regole del patto per i comuni risultanti da fusioni (37).
Novità interessanti in materia di finanza locale sono contenute anche nella finanziaria 2007 della Sardegna nella quale l’intero Capo III è dedicato al “Sistema delle autonomie locali” (artt. 10-13). Qui ci si concentrerà, tuttavia, solo su alcune disposizioni contenute nell’art.10 e nell’art. 12, in quanto particolarmente indicative della volontà della Regione di modernizzare il sistema di finanziamento degli enti locali, nonché di rafforzare la collaborazione in materia finanziaria tra questi ultimi e la Regione.
Per la riforma del sistema di finanziamento degli enti locali, in base al comma 1, dell’art. 10:
alcuni stanziamenti previsti da leggi settoriali vengono fatti confluire in un unico fondo libero da vincoli di destinazione, da assegnare per il 91% a favore dei comuni e per il 9% a favore delle province;
per il riparto tra i singoli enti si dà mandato alla Giunta di definire i criteri “sulla base di una quota pari al 40% in parti uguali e al 60% su base demografica”;
si prevede che, a partire dal 2008 e fino alla riforma dei rapporti finanziari tra Regione e enti locali, il fondo sia incrementato annualmente “in misura percentuale identica a quella di variazione delle entrate tributarie ordinarie a destinazione non vincolata della Regione”.
In base al comma 5, sempre dell’art. 10, inoltre:
la Regione si impegna a predisporre un disegno di legge organico di riforma dell’ordinamento delle autonomie locali, “contenente altresì la riforma del vigente regime dei rapporti finanziari fra Regione, province e comuni attraverso l’attribuzione di una quota della compartecipazione regionale ai tributi erariali in sostituzione dei trasferimenti finanziari al sistema delle autonomie locali, ad eccezione di quelli finalizzati alla perequazione ed ai programmi regionali di sviluppo economico e sociale”;
dovrà essere istituita dalla Giunta una apposita commissione di studio per la predisposizione (entro sei mesi dall’entrata in vigore della finanziaria) dei testi legislativi attinenti alla riforma dell’ordinamento delle autonomie e, quindi, anche del sistema di finanziamento.
Per la collaborazione tra Regione e enti locali rileva invece l’art. 12 che prevede, tra l’altro:
lo stanziamento di 5 milioni per l’attivazione di un programma per l’informatizzazione, aggiornamento e verifica dei catasti, da realizzare in tutto il territorio regionale con contributi ai comuni (comma 8);
l’istituzione, nel sito internet della Regione, di una apposita sezione dedicata ai bandi degli enti locali, al fine di garantire la trasparenza dell’azione amministrativa e l’economicità della gestione dei fondi regionali (comma 9).
Per la Sicilia, il comma 2 dell’art. 29 della finanziaria 2007 prevede l’istituzione di un apposito tavolo di concertazione per dare attuazione al comma 193 della legge finanziaria dello Stato per il 2007 che attribuisce alle Regioni speciali e alle province autonome la definizione delle modalità applicative della compartecipazione comunale all’Irpef di cui ai commi 189 - 192 della stessa legge. Tale tavolo di concertazione sarà composto “dalla Segreteria generale della Regione, dal Dipartimento regionale della famiglia, delle politiche sociali e delle autonomie locali, dal Dipartimento delle finanze e credito, dalla Ragioneria generale della Regione e dall’ANCI Sicilia”. Come si precisa nel comma 1 dello stesso art. 29, fino alla definizione di tali modalità applicative i trasferimenti agli enti locali per l’esercizio delle funzioni amministrative conferite, continuano ad essere disciplinati dalle norme in vigore, salva la destinazione a spese di investimento di almeno il 7% delle assegnazioni (quota da incrementare annualmente almeno dello 0,5%) prevista a carico dei comuni con popolazione superiore ai 5.000 abitanti, esclusi quelli delle isole minori.
Per la provincia autonoma di Trento la legge finanziaria 2007 prevede la costituzione della Cassa del Trentino, per favorire l’accesso ai mutui da parte degli enti locali e di altri soggetti, al fine di contenere la spesa per interessi (art. 13), nonché limitazioni alla spesa degli enti locali al fine di favorire il rispetto del patto di stabilità interno (artt. 19 e 20).
Anche le leggi finanziarie delle Regioni a statuto ordinario, in alcuni casi, hanno introdotto innovazioni interessanti in materia di finanza degli enti locali. Ad esempio, si possono citare quelle delle Regioni Calabria, Campania e Lazio.
La Calabria, con l’art. 26 del collegato alla finanziaria 2007, è intervenuta in materia di finanziamenti regionali alle province, da un lato per dare certezza a queste ultime sui tempi per l’effettivo trasferimento delle somme dovute (all’inizio di ogni trimestre, in ragione di 3/12 di ciascuno stanziamento, comma 1), ma anche migliorare le informazioni a disposizioni della Regione sull’uso di questi finanziamenti. Infatti è previsto:
l’obbligo, a carico delle province, di presentare trimestralmente alla Regione sia un monitoraggio “fisico e finanziario” delle somme ottenute, sia il rendiconto delle somme utilizzate, entrambi redatti secondo le indicazioni delle competenti strutture regionali (c. 2);
la sospensione delle erogazioni successive a quelle del primo trimestre, in caso di mancato invio del rendiconto e del monitoraggio o di mancata risposta ai solleciti inoltrati dalla struttura regionale di riferimento (c. 3).
La Campania, con l’art. 23, ha introdotto, a carico dei propri comuni e province, l’obbligo di certificazione dei debiti assunti al 31 dicembre 2005 nei confronti della Regione e ciò al fine di “ottimizzare i processi di stabilizzazione della finanza regionale” (comma 1). La certificazione dovrà essere presentata entro il 90° giorno dal momento in cui la Regione avrà predisposto il relativo modulo (cosa prevista entro 60 giorni dall’entrata in vigore della finanziaria) e su di esse saranno possibili verifiche da parte delle strutture della Regione. Non sono tuttavia indicate sanzioni a carico degli enti inadempienti.
Il Lazio, infine, con l’art. 61 ha ampliato i poteri dei comuni in materia di incremento dei costi di urbanizzazione a suo tempo fissati dalla Regione. In particolare, modificando l’art. 20 comma 1 della l.r. n. 37 del 1977, i comuni con popolazione superiore ai 5.000 abitanti potranno deliberare non solo l’aumento dei costi, fino ad un massimo del 20%, previsto dalla l.r. n. 37, ma anche un ulteriore aumento, sempre entro un massimo del 20%, “in relazione all’incidenza degli oneri concernenti le infrastrutture per la mobilità e la sosta”, in questo modo facilitando l’autofinanziamento degli interventi in questo campo.
 
7.8. Una sintesi dei risultati
 
Come si è sottolineato nell’introduzione, la legge finanziaria rappresenta uno dei momenti maggiormente critici del processo di bilancio dello Stato. La costruzione e la definitiva approvazione della legge sta divenendo, infatti, particolarmente complessa, soprattutto a causa dei suoi contenuti, sempre più ampi e diversificati e, in definitiva, sempre più estranei all’obiettivo ad essa attribuito dalla legislazione vigente. Da questa situazione deriva, tra l’altro, un allungamento dei tempi di approvazione del provvedimento – con effetti negativi per gli enti, comprese le Regioni, che per le proprie scelte di bilancio dipendono dalla finanziaria dello Stato – e un forte scadimento della sua leggibilità, dato l’affermarsi della prassi di porre la fiducia su un testo costituito da un unico articolo con un numero sempre crescente di commi.
Ovviamente, anche le finanziare delle Regioni presentano elementi di criticità ed essi riguardano, come per lo Stato, soprattutto l’aspetto dei contenuti e quello dei tempi per la definitiva approvazione della legge.
Sui contenuti, nelle precedenti edizioni del Rapporto sono state segnalate ogni anno disposizioni normative adottate dalle Regioni per renderli complessivamente più coerenti con le finalità precipue assegnate alla legge finanziaria dalle rispettive leggi di contabilità. Il 2006, sotto tale profilo, non fa eccezione, ma in questo esercizio risulta affrontato almeno un aspetto ulteriore, quello della partecipazione popolare alla formazione degli strumenti del processo di bilancio e, quindi, presumibilmente, anche della legge finanziaria. Dalle risposte al questionario, una sperimentazione su questo versante risulta avviata dalla Regione Lazio, che, tra l’altro, ha anche promosso un progetto per la partecipazione alla formazione dei bilanci degli enti locali.
Per quanto riguarda i tempi di approvazione, anche qui ogni anno – compreso il 2006 - si sono segnalati interventi normativi delle Regioni volti a rendere certi i tempi di discussione della legge finanziaria in seno al Consiglio. Resta il fatto, tuttavia, che la ricerca svolta sulle finanziarie per il 2007 da un lato mette in evidenza, rispetto all’anno precedente, una tendenza all’aumento del numero di quelle approvate ad esercizio ormai ampiamente avviato e, dall’altro, che tale fenomeno sembra soprattutto da attribuire ai tempi per l’elaborazione del disegno di legge da parte della Giunta, più che ai tempi per l’approvazione in Consiglio. Per questo aspetto, l’approvazione della finanziaria dello Stato a fine dicembre costituisce indubbiamente un valido alibi per le Regioni. Per rimuoverlo, una strada percorribile è quella di anticipare a settembre, in una apposita legge, i contenuti dell’attuale finanziaria relativi alla regolazione della finanza regionale e locale, come indicato nella Nota di sintesi al presente Rapporto. Del resto, disposizioni in questo senso sono contenute nel Capo primo del già citato disegno di legge delega in materia di federalismo fiscale.
Nonostante i problemi appena accennati, va comunque sottolineato che le finanziarie delle Regioni, pur essendo in molti casi provvedimenti complessi e plurisettoriali, presentano, in generale, un livello accettabile di leggibilità. Quasi tutte, infatti, hanno una titolazione dei singoli articoli rappresentativa del contenuto e molte di esse sono corredate di indice e di una articolazione in Titoli e/o Capi. Inoltre solo due Regioni, e solo per il 2007, hanno finora approvato leggi finanziarie mono-articolo, sul modello di quanto ha rappresentato quasi una prassi (deprecabile) a livello statale negli ultimi anni.
Passando ai contenuti delle leggi finanziarie, come si è detto nell’introduzione è stato necessario effettuare una scelta su quali esaminare. Tra i temi considerati – avendo a riferimento le norme delle finanziarie 2007 ma anche altri provvedimenti adottati dalle Regioni nel 2006 e da esse segnalati - il primo è quello del contenimento della spesa pubblica, con specifico riguardo al rispetto delle regole del patto di stabilità interno, alla riduzione delle spese in specifici ambiti (organi istituzionali, enti e società strumentali, collaborazioni esterne, personale, acquisto di beni e servizi) e al monitoraggio della finanza pubblica. In materia, le tipologie di intervento riportate nel testo indicano non solo la disponibilità delle Regioni ad intervenire per porre in essere adempimenti imposti da norme statali, ma anche per assumere iniziative autonome o, comunque, previste solo come facoltative. Dagli esempi, emerge anche, come è naturale, una certa diversità di approccio per la soluzione di problemi analoghi. Ad esempio, per la riduzione delle spese di consulenza, se la maggior parte delle Regioni ha previsto limiti alla dinamica delle spese, inm un caso è stato disposto il divieto di affidare nuovi incarichi e in un altro caso ha costituito un apposito organismo (per il quale, tuttavia, andrebbe fatta un’analisi costi-benefici) incaricato di valutare l’utilità delle collaborazioni e, eventualmente, di proporre alla Giunta l’eliminazione di quelle ritenute non valide.
La politica fiscale - il secondo dei temi preso in esame – è pure di grande interesse. Le disposizioni in materia sono numerose e riguardano sia l’addizionale Irpef e Irap sia i tributi minori, nonché la gestione dei tributi e la lotta all’evasione. A prescindere dagli aumenti dei tributi principali disposti dalle Regioni con pesanti deficit sanitari, possono qui essere richiamati, da un lato, la concessione da parte del Veneto di agevolazioni sull’Irap alle imprese considerate dalla Regione “virtuose” – un modo innovativo, già sperimentato dal Friuli Venezia Giulia, di utilizzazione del tributo per “guidare” lo sviluppo economico - e, dall’altro, gli interventi attuati dalle Regioni e province ad autonomia differenziata. Con riferimento a questi ultimi si registra: l’istituzione di nuovi tributi in Sicilia e in Sardegna, la disciplina dei poteri regionali in materia di Irap in Sardegna, la modifica di tributi istituiti nel 2006 da Trento e, di nuovo, dalla Sardegna, in quest’ultimo caso anche per ovviare al ricorso presentato dal Governo alla Corte Costituzionale sulle norme vigenti prima delle modifiche ora apportate.
Per la finanza locale, infine, appare confermata la tendenza delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome, già messa in evidenza nel precedente rapporto, a usare dei loro poteri in materia per orientare il sistema di finanziamento degli enti locali in modo conforme alle indicazioni contenute nell’art. 119 della Costituzione. Sotto questo profilo rilevano soprattutto alcune disposizioni della finanziaria 2007 della Sardegna. In primo luogo, esse prevedono l’impegno della Regione a predisporre un disegno di legge organico di riforma dell’ordinamento delle autonomie locali, “contenente altresì la riforma del vigente regime dei rapporti finanziari fra Regione, province e comuni attraverso l’attribuzione di una quota della compartecipazione regionale ai tributi erariali in sostituzione dei trasferimenti finanziari al sistema delle autonomie locali, ad eccezione di quelli finalizzati alla perequazione ed ai programmi regionali di sviluppo economico e sociale”. In secondo luogo, nell’immediato, tali norme dispongono la confluenza in un unico fondo a destinazione libera di una serie di trasferimenti prima assegnati dalla Regione per specifiche finalità.
Interessante, da questo punto di vista, è anche l’atteggiamento collaborativo adottato nei confronti degli enti locali in materia di finanza. Ad esempio per quanto riguarda la definizione delle regole del patto di stabilità interno (in Friuli e nelle province autonome di Trento e Bolzano), per la definizione delle modalità applicative dell’addizionale Irpef (in Sicilia) o per una migliore gestione del catasto (in Sardegna).
Nel capo II del disegno di legge delega in materia di federalismo fiscale, attualmente alll’esame della Camera, è previsto, a fronte di adeguate garanzie, un decentramento di poteri alle Regioni ordinarie in materia di finanza locale, in particolare per quanto riguarda i trasferimenti ai comuni di ridotte dimensioni demografiche. Su queste disposizioni - tra le più innovative, insieme a quelle del Capo I sul coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario - è stata manifestata una forte resistenza da parte degli enti locali. Tale atteggiamento, tuttavia, non sembrerebbe trovare elementi di giustificazione, almeno in base a quanto sta avvenendo là dove le competenze sul finanziamento ordinario degli enti locali sono state già decentrate.
 
 
Tabelle:
 
 
 
 
Grafici:
 
 
 
 
 
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 NOTE
 
(1)        Per le leggi finanziarie, dato l’obiettivo di considerare tutte quelle relative al 2007, si è dovuto fare un’eccezione rispetto agli altri capitoli del Rapporto nei quali il periodo di riferimento è circoscritto al 2006. Si segnala, inoltre, che, per la prima volta, è stato chiesto alle Regioni di predisporre una nota aggiuntiva al questionario relativa allo svolgimento del processo di bilancio e agli effetti della manovra finanziaria dello Stato sulle loro politiche di bilancio. La nota aggiuntiva è stata elaborata da undici Regioni e province autonome e alle risposte ottenute, nel testo che segue, si fanno numerosi riferimenti.
(2)        Come già detto, gli esempi normativi citati nel testo sono tratti da norme delle finanziarie per il 2007 (o dei relativi collegati). Vi sono, tuttavia, anche riferimenti a provvedimenti diversi e ciò in quanto alcune Regioni – in particolare in materia di contenimento della spesa pubblica e di politica fiscale – hanno scelto di intervenire con apposite leggi.
(3)        Cfr. art. 1 della l.r. 5 maggio 1983, n. 11.
(4)        Cfr. art. 5 della l.r. 15 aprile 1998, n. 11.
(5)        Come messo in evidenza nel precedente Rapporto, nel 2005 la Regione aveva modificato il regolamento del Consiglio, anche al fine di accelerare i tempi di discussione della finanziaria ed evitare che tale provvedimento assumesse i contenuti di provvedimento omnibus (Cfr. Camera dei Deputati, Rapporto 2006 sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione Europea, Roma, 2006, pp.101-102).
(6)        Sono coinvolti nel processo di partecipazione tutti i soggetti, singoli o associati, interessati alle politiche economiche della Regione, purché residenti, domiciliati o operanti, per motivi di lavoro o studio, con continuità sul territorio regionale o, relativamente agli enti e alle realtà imprenditoriali ed associative comunque costituite, aventi sede legale o operativa nel Lazio” (l.r. n. 4 del 2006, art. 44, c.2).
(7)        Trattasi del regolamento n. 4 del 28 giugno 2006, in BUR n. 18 del 30 giugno 2006. Tra i documenti da sottoporre al processo partecipativo, l’art. 44 della l.r. n. 4 del 2006 e il regolamento di attuazione menzionano esplicitamente la proposta di DPEFR e quella relativa al bilancio annuale di previsione, ma non il disegno di legge finanziaria. Quest’ultimo, comunque, potrebbe rientrarvi in quanto alla partecipazione potranno essere ammessi “gli ulteriori strumenti finanziari indicati dalla Giunta regionale”.
(8)        In base all’art. 7 del regolamento, i commenti espressi attraverso appositi moduli dovrebbero confluire nel “Documento della partecipazione”, predisposto dall’Assessorato competente, illustrato alla Giunta e trasmesso alla Commissione consiliare competente e/o al Consiglio regionale a seconda del contenuto degli atti sottoposti al processo di partecipazione. Questi ultimi, infine, possono essere modificati dalla Giunta al fine di tenere conto delle osservazioni e proposte contenute nel documento. Nel sito della Regione risulta, inoltre, attiva la pagina dedicata a promuovere la partecipazione alla formazione dei bilanci dei comuni, progetto, quest’ultimo, sostenuto anche dalla Unione europea.
(9)        Nella nota aggiuntiva al questionario è stato posto alle Regioni uno specifico quesito su tempi e modalità della discussione in Consiglio dei documenti di programmazione. Tra le Regioni che hanno risposto, la Lombardia è l’unica a ad aver scelto la soluzione delle due sessioni. I tempi per l’approvazione della legge finanziaria e degli altri strumenti sono, comunque, abbastanza contenuti. Dai dati forniti, risulta che, in generale, essa avviene entro un mese dalla presentazione delle relative proposte da parte della Giunta, salvo che in Abruzzo (circa due mesi) e in Piemonte (quattro mesi). In quest’ultima Regione, inoltre, è dal 1998 che non si riesce ad approvare il bilancio e la finanziaria entro i termini previsti dalla legge di contabilità, rendendosi così necessario il ricorso all’esercizio provvisorio.
(10)      L’Emilia-Romagna, nella nota aggiuntiva al questionario, segnala 55 variazioni al bilancio di previsione 2007 - approvato nel dicembre 2006 - per assegnazioni dallo Stato a scopi specifici, con un incremento di circa 610 milioni rispetto alle previsioni iniziali. La Toscana, invece, prevede di dover incrementare le previsioni di gettito da entrate tributarie in conseguenza degli interventi sulle imposte erariali previsti nella finanziaria dello Stato. Sotto questo profilo è interessante anche quanto segnalato dal Molise, sempre nella nota aggiuntiva: le entrate e le spese condizionate dalle decisioni assunte dallo Stato con la manovra per il 2007, anche per quanto riguarda la sanità, sarebbero pari al 58% di quelle previste nel bilancio della Regione per lo stesso esercizio.
(11)      Tra queste rientra la l.r. 8 febbraio 2007 n. 2 della Sicilia, il testo della quale risulta tuttavia incompleto avendo il Governo presentato impugnativa costituzionale nei confronti degli articoli 22, 28 e 47.
(12)      Tra le finanziarie con una titolazione significativa degli articoli è stata inserita anche quella del Friuli Venezia Giulia. In questo caso, tuttavia, la presenza di tale caratteristica è per lo meno discutibile. Il numero medio di commi per articolo – escludendo l’ultimo relativo alla “formula finale” – è, infatti, molto elevato (84,3) e la titolazione degli articoli dà conto solo in termini molto generali del loro effettivo contenuto. Ad esempio, l’articolo 8, nei suoi 160 commi, prevede interventi di varia natura in un ventaglio molto ampio di settori (formazione, università, agricoltura, fonti alternative di energia, artigianato, industria, turismo, ecc.). La sua rubrica, “Sviluppo economico”, fornisce, quindi, un aiuto alla lettura decisamente scarso.
(13)      Il modello di finanziaria mono-articolo, adottato dallo Stato negli ultimi anni, finora è stato seguito solo da due Regioni, l’Abruzzo e il Molise, proprio in occasione della finanziaria per il 2007. Nelle risposte al questionario, la Regione Abruzzo osserva che la tecnica redazionale utilizzata per la finanziaria 2007 non rispetta in modo rigoroso le regole del Manuale legislativo approvato dal Consiglio con delibera del 29 giugno 2004. In particolare, l’unico articolo da cui è composta la finanziaria 2007 non sembra rispettare le prescrizioni di cui al par. 43, punti 2 e 3, secondo i quali, rispettivamente, “l’articolo deve essere breve” e occorre “evitare di inserire in uno stesso articolo disposizioni che non siano in rapporto diretto tra loro”. Al contrario, l’art.1 risulta composto da ben 81 commi che non hanno contenuto omogeneo tra loro e ciò concreta altresì un’elusione della regola del manuale che impone l’obbligo di rubricare sempre gli articoli dei disegni di legge finanziaria e collegati alla manovra finanziaria (cfr. il punto 7, par. 43 del Manuale). Tutto ciò rende oscura la lettura del testo e arduo il reperimento degli interventi oggetto della finanziaria, anche perché spesso disposizioni modificative di una medesima legge sono collocati in ordine sparso nel corpo del testo normativo. Sempre la Regione Abruzzo mette inoltre in evidenza che la finanziaria 2007 non contiene esclusivamente norme tese a realizzare effetti finanziari, al contrario di quanto disposto dall’art. 8, commi 2 e 3 della l.r. 3 del 2002. In particolare, in base ad una accurata analisi svolta dalla Regione, risulta che degli 81 commi della finanziaria, “ben 30, pur avendo riflessi sul bilancio corrente, contengono disposizioni non prevedibili nella legge finanziaria”.
(14)      Tale articolazione perde, tuttavia, parte della sua utilità quando nel Titolo “disposizioni varie o diverse”, presente nei collegati di Calabria e Liguria, confluiscono svariati articoli, o addirittura la maggior parte, concernenti aspetti tra loro molto diversi.
(15)      Data l’importanza strategica delle leggi finanziarie e l’ampiezza dei settori sui quali le disposizioni in esse contenute intervengono, nel questionario è stato chiesto alle Regioni di sintetizzare i contenuti più rilevanti di quelle per il 2007. Questa opportunità è stata tuttavia sfruttata solo da alcune. Di seguito si riportano le risposte ottenute.
Emilia-Romagna: autorizzazioni finanziarie per 19,6 milioni di euro per l’innovazione e lo sviluppo del piano telematico regionale (art. 1); interventi integrativi regionali pari a 150 milioni di euro, per il mantenimento dell’equilibrio economico-finanziario del Servizio sanitario regionale(art. 23); intervento normativo per l’ampliamento finanziario pubblico delle prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria per 50 milioni di euro (art. 25).
Lazio: previsione di misure per la copertura del disavanzo sanitario; interventi straordinari previsti dalla Regione di contenimento della spesa; modifiche alla legge regionale 20.11.2001, n. 25 in materia di programmazione, bilancio e contabilità della Regione; misure a sostegno del terzo settore e dei giovani; previsione della costituzione del bilancio di genere e del bilancio sociale; disposizioni in materia di edilizia residenziale pubblica; introduzione di nuovi criteri per l’accesso delle imprese ai finanziamenti e disposizioni in materia di responsabilità sociale delle imprese; istituzione di due fondi rotativi rispettivamente per le piccole e medie imprese e per lo sviluppo delle attività produttive.
Liguria: misure di contenimento della spesa di personale e per beni e servizi della Regione (artt. 7 e 8); misure di contenimento della spesa di personale e di funzionamento degli enti del settore regionale allargato (artt. 9 e 10); misure di contenimento della spesa farmaceutica e concorso delle farmacie al conseguimento degli obiettivi statali per il contenimento della spesa farmaceutica, compensato dalla sospensione, nell’anno successivo, del pagamento della relativa tassa di concessione regionale (artt. 12 e 13).
Lombardia: al di là dei contenuti obbligatori, con la l.r. 31/2006 si è autorizzata la Giunta ad acquisire collaborazioni per garantire il tempestivo svolgimento dei controlli previsti dal Regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio, relativamente alle operazioni da realizzarsi con il cofinanziamento dei fondi strutturali dell’Unione europea nel periodo 2007/2013 ed inoltre si è previsto un credito d’imposta sull’IRAP a favore di fondazioni, enti ecclesiastici e aziende di servizi alla persona.
Molise: adeguamento dell’attività della Giunta regionale in materia di rideterminazione del livello di impegni e pagamenti autorizzabili nel 2007 ai principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica stabiliti dai commi 655-672 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007); obbligo per l’Azienda sanitaria regionale di portare al 31 dicembre 2007 il tasso medio di ospedalizzazione regionale al 230 per mille.
Piemonte: finanziamenti alle Asl per compensare la penalizzazione dei costi derivante dalla mancata applicazione dello sconto del 5% sui prezzi di acquisto dei farmaci (art. 22); istituzione del Fondo regionale per il potenziamento della rete di servizi all’infanzia (art. 25); disposizioni sul personale dell’Istituto di ricerche economiche e sociali (art. 33); interventi per la stabilizzazione del personale precario, compreso quello delle Asl (art. 36).
Provincia autonoma di Trento: costituzione di Cassa del Trentino s.p.a. (art. 13); misure in materia di incentivi alle imprese (artt. 35 – 37); disciplina dell'attività di acconciatore (art. 46); misure in materia di tutela dell'ambiente dagli inquinamenti (art. 49);
Toscana: variazione dell’aliquota Irap (art. 5).
Umbria: determinazione del livello massimo del ricorso al mercato finanziario; quantificazione degli importi dei fondi speciali; quantificazione dell’importo da destinare al cofinanziamento dei programmi comunitari; determinazione della quota di finanziamento annuale di leggi regionali permanenti di spesa; rimodulazione finanziaria degli stanziamenti recati da leggi pluriennali di spesa; cofinanziamento regionale del Piano di Sviluppo Rurale 2007-2013; invarianza dei tributi e delle imposte regionali anche per l’anno 2007, in coerenza con quanto indicato nel Documento Annuale di Programmazione.
 Valle d’Aosta: finanza locale; finanziamento Sanità e Assistenza sociale; finanziamento programmi europei e politica del lavoro; contenimento della spesa.
 Veneto: accelerazione procedure comunitarie (artt. 4 e 46); ricapitalizzazione società regionali coinvolgendo per la valutazione dei piani industriali la commissione consiliare competente (art. 5); maggiore regolamentazione dell’utilizzo delle acque minerali e termali attraverso l’incremento del diritto proporzionale (art. 6); attuazione dei commi 857 ed 858 dell’art.1 della finanziaria statale 296/2006 relativi ad interventi a favore degli investimenti produttivi e della ricerca fortemente sostenuti proprio dalla Regione, nella fase di predisposizione della medesima legge statale (art. 7); sospensione sino a euro 16,53 del pagamento del contributo a favore dei consorzi di bonifica, nelle more della nuova legge regionale, assumendo l’onere in capo alla Regione (art. 10); semplificazione di procedure (art. 15); interventi e strumenti per affrontare il tema della mobilità stradale (artt. 40, 41 e 21).
(16)      E’ interessante riportare, in sintesi, quanto affermato nel questionario dalla provincia autonoma di Trento. Si sarebbe optato per una finanziaria “omnibus” - e, quindi, composta quasi interamente da modificazioni testuali di altre leggi, non sempre con palesi ripercussioni sulle spese o sulle entrate – essendosi ritenuto che una sola legge all’anno istituzionalmente disomogenea, “fosse preferibile a più leggi disomogenee, con contenuto parzialmente sovrapponibile e magari con più disposizioni autonome. Questo anche per economia procedurale (meno sessioni dedicate, più tempo per esaminare provvedimenti con oggetto definito)”. Un orientamento opposto appare seguito, invece, dalla confinante Provincia autonoma di Bolzano dove “il legislatore ha severamente osservato il principio generale di stretta attinenza degli interventi normativi necessari ai fini della manovra di bilancio”.
(17)      Abruzzo (l.f., art.1, c.75), Calabria (l.c., artt. 20 e 21), Liguria (l.c., artt. 4 e 5), Piemonte (l.f., art. 36), Puglia (l.f., art. 30), Sardegna (l.f., art. 36, commi 1 e 2), Sicilia (l.f., art. art. 42) e Veneto (l.f., art. 32).
(18)      Si tratta delle finanziarie delle Regioni Abruzzo (l.f., art. 1, c. 42), Molise (l.f., art. 1, c. 36) e Valle d’osta (l.f., art. 28).
(19)      La Provincia autonoma di Trento indica i siti nei quali possono essere trovati i documenti relativi a tali accordi (www.delibere.provincia.tn. it e www.autonomielocali.provincia.tn. it). La Sardegna segnala invece che le norme della finanziaria dello Stato sono state oggetto di confronto preliminare con le associazioni degli enti locali e di parere del Consiglio delle autonomie.
(20)      Anche se non strettamente connessa al tema in oggetto, va segnalata la risposta della Regione Piemonte, la quale, per favorire il rispetto del patto di stabilità da parte degli enti locali, nel 2006 si è accollata 70 milioni per spese attinenti ad attività formative sperimentali e alla formazione professionale sostenute dalla province di Alessandria, Biella, Cuneo, Novara e Torino.
(21)      Cfr. Camera dei Deputati, Rapporto 2006…, op. cit. pp. 111-113.
(22)      In merito, peraltro, provvedimenti di razionalizzazione erano stati richiesti a tutte le pubbliche amministrazioni dalla legge n. 248 del 2006 già citata.
(23)      I riferimenti normativi utilizzati per la tipologia di interventi riportata nel testo sono quelli di seguito indicati.
 Abruzzo: l.r. n. 44 del 2006, art. 1; legge finanziaria 2007 art. 1, c. 9; l.r. n. 8 del 2007. Basilicata: l.r. n. 1 del 2006 (legge finanziaria 2006); determinazione dirigenziale del Consiglio Regionale del 13 febbraio 2006, n. 37. Calabria: l.r. n. 9 del 2007 (collegato alla finanziaria 2007) artt. 2 e 10. Campania: legge finanziaria 2007, artt. 29, 37, 40, 43. Friuli Venezia Giulia:legge finanziaria 2007 art. 8. Lazio: legge finanziaria 2007, artt. 25, 32, 33. Liguria: l.r. n. 2 del 2006, art. 14; l.r. n. 14 del 2007 (collegato alla finanziaria 2007) artt. 7-10. Lombardia: l.r. n. 14 del 2006; l.r. n. 30 del 2006.
Molise: l.r. n. 8 del 2006. Piemonte: l.r. n. 9 del 2006 (legge finanziaria 2006), art. 1; circolare della Presidenza della Giunta regionale prot. 9859/5/PRE del 3 settembre 2007; disegno di legge regionale n. 456, presentato il 21 giugno 2007. Provincia autonoma di Bolzano: l.r. n. 13 del 2005 (legge finanziaria 2006), artt. 7 e 9. Provincia autonoma di Trento: legge finanziaria 2007, artt. 3, 4, 6. Sardegna: l.r. n. 4 del 2006, art. 20; legge finanziaria 2007, artt. 8 e 9; deliberazione del Collegio dei questori del 20 settembre 2006; deliberazione dell’ufficio di Presidenza del 31 luglio 2007, n. 131, art. 1. Sicilia: legge finanziaria 2007, artt. 8, 9, 10, 16, 17, 18, 19, 34. Toscana: l.r. n. 3 del 2006, artt. 1 e 2; legge finanziaria 2007, art. 3. Umbria: l.r. n. 17 del 2006, artt. 2-4. Valle d’Aosta: legge finanziaria 2007, artt. 1, 3. Veneto: legge finanziaria 2007, art. 35 e 60; l.r. n. 19 del 2007, artt. 13 e 14.
(24)      Tra gli allegati alla finanziaria 2007 della Sicilia è di particolare interesse anche quello relativo alla determinazione dei contributi per gli anni 2007-2009 previsti dalla legislazione vigente a favore di ciascuno degli enti e associazioni che beneficiano di finanziamenti della Regione.
(25)      L’Abruzzo, con il comma 12 dell’art. 1 della finanziaria 2007, ha apportato alcune modifiche alla propria legge di contabilità proprio per consentire una più efficace utilizzazione del sistema SIOPE da parte della Regione.
(26)      Come segnalato dalla Regione nel questionario, la finanziaria 2006 della Basilicata aveva inoltre previsto: un sistema di monitoraggio e verifica da parte dei Dirigenti generali volto al contenimento degli impegni e dei pagamenti autorizzati entro i limiti degli stanziamenti di competenza e di cassa delle singole UPB dello stato di previsione delle uscite; il monitoraggio del rispetto del patto di stabilità infraregionale da parte degli enti strumentali ed altri enti controllati dalla Regione.
(27)      In materia di nucleo di valutazione degli investimenti è intervenuta anche la Sicilia prevedendo la nomina di una commissione per la scelta dei componenti del nucleo (art. 37 della finanziaria 2007).
(28)      Gli interventi in materia fiscale previsti nella finanziaria dello Stato hanno spesso effetti, come è noto, sulle entrate tributarie delle Regioni. Ad esempio, la manovra decisa con la finanziaria 2007, produrrà: da un lato, un incremento del gettito dell’addizionale regionale all’Irpef - per l’ampliamento della base imponibile dovuto al ripristino delle detrazioni d’imposta per carichi familiari IRPEF, in luogo delle attuali deduzioni - e un incremento del gettito del bollo auto; dall’altro, una significativa diminuzione del gettito Irap per le agevolazioni volte alla riduzione del cosiddetto cuneo fiscale (ad esempio per il Veneto, come precisato dalla Regione nella nota aggiuntiva al questionario, dovrebbe trattarsi di 438 milioni per il 2007 e di 658 milioni a regime). Variazioni di gettito sono anche previste per le compartecipazione ai tributi erariali. Per le Regioni ordinarie ciò è da mettere in relazione all’attribuzione, per gli anni 2007-2009, di una compartecipazione all’accisa sul gasolio. Per le Regioni e province ad autonomia differenziata, dove le compartecipazioni riguardano tutti i principali tributi dello Stato, il gettito potrebbe cambiare anche per effetto della lotta all’evasione e all’elusione fiscale. Trento e Bolzano, nella nota aggiuntiva al questionario, avanzano delle stime sulla variazione delle proprie entrate tributarie connesse alla manovra 2007 decisa dallo Stato. Per la prima, si verificherebbe un incremento di gettito, dal 2007, dell’ordine di 75 milioni di euro. Per la seconda, invece, le entrate tributarie beneficerebbero di un incremento pari all’1,5%.
(29)      In relazione all’eliminazione delle restrizioni all’autonomia tributaria, la Regione Emilia-Romagna, nella nota aggiuntiva al questionario, sottolinea di aver adottato un apposita legge (la n. 19 del 2006, i contenuti della quale sono richiamati più avanti) dalla quale è atteso un maggior gettito di circa 240 milioni.
(30)      Le Regioni in questione sono Abruzzo, Campania, Lazio, Liguria, Molise e Sicilia. Di queste, Abruzzo, Lazio, Molise e Campania hanno aumentato le aliquote dell’addizionale Irpef e dell’Irap con provvedimenti considerati nel presente Rapporto (in quanto adottati nel 2006 o contenuti nelle finanziarie per il 2007). La Liguria aveva elevato l’addizionale Irpef con l’art. 2 della l.r. n. 17 del 2005 (considerata nel precedente Rapporto). La Sicilia ha invece provveduto con la l.r. 2 maggio 2007, n. 12.
(31)      Sull’Irap, sempre con finanziarie 2007, sono intervenute anche altre Regioni. Riduzioni dell’aliquota per particolari categorie di contribuenti sono state disposte da: Friuli Venezia Giulia (art. 2, c. 1-6), Liguria (art. 5) e Piemonte (artt. 3 e 5). Variazioni delle aliquote del tributo (non solo in diminuzione) sono state introdotte dalla provincia autonoma di Trento (art. 22) e dalla Toscana (art. 5) la quale, per facilitare i contribuenti, in un apposito allegato alle finanziaria ha pubblicato le aliquote vigenti. Inoltre, la Lombardia, con l’art. 1 della finanziaria ha disciplinato il credito di imposta per le aziende pubbliche che erogano servizi alla persona (c. 2) e ha dettato disposizioni per l’applicazione delle agevolazioni fiscali sul tributo (commi 3 e 4). Infine, la provincia autonoma di Bolzano segnala che la riduzione dell’addizionale IRAP di uno o mezzo punto percentuale (il raggio d’intervento regionale ammesso dalla disciplina nazionale) - pur essendo stata discussa in varie occasioni, nelle Commissioni legislative e in Assemblea, e pur essendo stati presentati una serie di atti di indirizzo sul tema – è stata rinviata all’assestamento del bilancio.
(32)      Per la Sardegna, tali interventi sono destinati non solo ad apportare miglioramenti alla disciplina precedente (ad esempio è stato cambiato il metodo di calcolo dell’imposta sullo scalo turistico di aeromobili e imbarcazioni da diporto) ma anche al tentativo di ovviare ai rilievi contenuti nel ricorso, ancora pendente, presentato dal Governo alla Corte Costituzionale nei confronti di tutte e tre le imposte. Come sottolinea la Regione nelle risposte al questionario, tale ricorso è innanzitutto basato sul fatto che i nuovi tributi, non potendo essere considerati “sul turismo”, esorbitano dalle previsioni di cui all’art. 8, lettera i) dello Statuto. Altri rilievi formulati dal Governo riguardano: il contrasto con l’articolo 119 Cost. che non consentirebbe l’esercizio del nuovo regime costituzionale di imposizione regionale e locale in difetto di una fondamentale legislazione di coordinamento dettata dal Parlamento; la violazione, in assenza di espressa autorizzazione legislativa statale, del divieto di doppia imposizione su beni già tassati dallo Stato, di cui all’articolo 53 Cost.; la violazione del principio di eguaglianza di cui all’articolo 3 Cost. e del divieto di discriminazioni basate sulla nazionalità di cui all’art. 12 del Trattato CE.
(33)      L’aumento all’1,4% dell’addizionale Irpef, anch’esso necessario per l’accesso al fondo integrativo, era già entrato in vigore automaticamente per l’esercizio 2006, in base al disposto dell’art. 1 comma 174 della finanziaria dello Stato per il 2005 ed è stato confermato per il 2007 con delibera della Giunta regionale del 27/10/2006 (pubblicata sulla G.U. della Repubblica n. 265 del 14 novembre 2006).
(34)      Anche il Friuli Venezia Giulia, con l’art. 2 della finanziaria 2006, aveva previsto agevolazioni Irap per le imprese virtuose (cfr. Rapporto 2006 sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione Europea, Roma, 2006, pp. 120). Rispetto alla normativa del Veneto sono tuttavia diversi sia la misura dell’agevolazione (un punto percentuale contro mezzo punto), sia i criteri per individuare le imprese virtuose: il Friuli fa riferimento all’incremento della produzione netta e all’aumento dei costi del personale; il Veneto, alla quota del fatturato investito in ricerca e innovazione, all’implementazione di sistemi di gestione ambientale, all’assunzione a tempo indeterminato di giovani laureati o diplomati, all’assunzione di lavoratori anziani fuoriusciti dai processi produttivi per chiusura o razionalizzazione dell’azienda in cui lavoravano. Infine, è diverso il grado di certezza di concessione delle agevolazioni. Solo nel Veneto, infatti, essa è subordinata all’accertamento di un gettito Irap superiore alle previsioni iniziali.
(35)      Cfr. Camera dei Deputati, Rapporto 2006 sulla legislazione, op. cit., pp.113-115.
(36)      Finanziamenti delle Regioni, anche a statuto ordinario, a favore dell’associazionismo locale sono frequenti. In materia, nella nota aggiuntiva al questionario, il Veneto sottolinea di aver intrapreso azioni a vasto raggio che comporteranno uno sforzo operativo anche alla luce del trasferimento alla Regione delle risorse statali a ciò destinate, disciplinate dal D.M. n. 318/2000. La Regione prevede inoltre un progetto di revisione dell'attuale normativa regionale in materia, compatibile con il quadro giuridico esistente, per renderla più aderente agli obiettivi perseguiti e alla realtà del fenomeno associativo intercomunale nel Veneto, anche al fine di porre le fondamenta giuridiche di un possibile "riordino territoriale" sollecitato dall'attuale normativa.
(37)      Norme sul patto di stabilità per gli enti locali si trovano, ad esempio, anche nelle finanziarie della provincia autonoma di Trento (art. 19) e delle Regioni Sardegna (art. 12 commi 11-12) e Valle d’Aosta (art. 3).



8. FORMAZIONE E ATTUAZIONE DELLE POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA (*)

8.1. Premessa

La riforma del Titolo V della Costituzione, introdotta dalla legge cost. n. 3 del 2001, dispone (al nuovo art. 117, 5° co.) che le Regioni e le Province autonome, nelle materie di loro “competenza”, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari. Dunque, nella fase c.d. ascendente si apre un nuovo spazio operativo per le Regioni, dalle prospettive inedite.
Peraltro, l’attuazione di questo nuovo precetto - che crea funzioni abbastanza diverse da quelle di esecuzione, più consuete, e incide su ambiti di competenza tradizionalmente riservati allo Stato e preclusi alle Regioni – risulta ancora controversa e complessa.
Per quanto è collegato all’attuazione da parte del legislatore statale, su vari punti sensibili si è avuto contrasto tra Stato e Regioni: si pensi alla questione della composizione delle delegazioni, ove la partecipazione regionale rischia di risultare compressa; oppure la tensione raggiuntasi intorno alla creazione del Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei, temuto antagonista potenziale della Conferenza Stato-Regioni; o, ancora, alla fitta procedura che avvicina, quasi “cooperativamente” Governo e Regioni nella fase ascendente, caratterizzata da un costante flusso di documentazione informativa, dura da trattare ma essenziale per la decisione.
Allo stesso tempo, però, anche la parte di attuazione che invece compete alle Regioni sembra incontrare vari punti di attrito, forse per la difficoltà di misurarsi con un settore nuovo, o di organizzare le strutture necessarie, o di sintonizzarsi su passaggi procedurali stringenti, oppure, più semplicemente, perché altre materie ed altre tematiche sono sovrastanti. Molte Regioni, dunque, rispetto a questo quadro normativo che sta risultando difficile da gestire, paiono muoversi con incertezza.
 
8.2. Regioni e processo normativo dell'Unione euroepa: la partecipazione diretta

Il legislatore ordinario statale, cui l’art. 117, 5° co., Cost. riserva la determinazione delle norme di procedura da rispettare al riguardo, ha provveduto con la legge n. 131 del 2003 (1), individuando per la partecipazione regionale due diversi gradi di intensità: la presenza nelle delegazioni del Governo e la possibilità che capo delegazione sia anche un Presidente di Giunta. E questo è un primo punto su cui si sono avuti motivi di attrito tra Stato e Regioni.
Infatti l’art. 5 della legge, espressamente dedicato all’attuazione della previsione costituzionale, in primo luogo dispone che le Regioni, nelle materie di loro “competenzalegislativa”, concorrono direttamente alla formazione degli atti comunitari partecipando, nell’ambito delle delegazioni del Governo, alle attività del Consiglio dell’Unione europea e dei gruppi di lavoro e comitati del Consiglio e della Commissione, secondo modalità da concordare in sede di Conferenza Stato-Regioni. In secondo luogo dispone che, nelle materie di competenza legislativa residuale delle Regioni, il capo delegazione può essere anche un Presidente di Giunta regionale o di provincia autonoma ed è designato dal Governo sulla base di criteri e procedure determinati con un accordo generale di cooperazione in sede di Conferenza Stato-Regioni. Dunque, corrispondentemente, anche due diversi tipi di decisione. In realtà se ne è avuto uno solo, l’Accordo generale di cooperazione del 16 marzo 2006, che però, in modo forse improprio, regola ampiamente le modalità di partecipazione di grado meno intenso (la presenza regionale nelle delegazioni), cui la legge assegnava caratteri formali meno impegnativi, e invece sfuma proprio sul punto su cui era chiamato a intervenire (la configurazione di un capo delegazione di provenienza regionale): infatti il ruolo di capo delegazione resta confermato al rappresentante del Governo, salva diversa determinazione assunta, su istanza delle Regioni, mediante apposita intesa con il Governo (di nuovo in sede di Conferenza permanente), per il raggiungimento della quale peraltro non vengono precisati i criteri-guida (richiesti dall’art. 5 della legge n. 131 del 2003).
Il tema è stato molto dibattuto, anche con riferimento a questo punto, in sede di Conferenza, a partire dal 2004, attraverso varie sedute infruttuose e rinvii, con un lungo silenzio nel 2005, sino alla conclusione dell’accordo nel 2006. E per la parte controversa da completare, oggetto di rinvio ad una futura intesa, la questione resta aperta.
Del resto non è questo l’unico profilo di non corrispondenza rispetto alle attese: esso si inscrive in un processo attuativo contrassegnato, a ben vedere, anche da altri passaggi che, lungi dal massimizzarle, ridimensionano o disattendono le premesse normative sovraordinate.
Cosi, la partecipazione diretta delle Regioni è garantita dal legislatore costituzionale nelle materie di loro “competenza”; poi , dalla legge ordinaria, viene riferita alla “competenza legislativa” e subordinata, quanto alle modalità, a decisioni concordate in sede di Conferenza; poi ancora resta inoperante per circa due anni finché non è raggiunto l’accordo; questo, a sua volta, è incompleto e andrà integrato con successiva intesa. Sia tutto ciò ascrivibile o non ad un intento di salvaguardare la funzione statale di rappresentanza unitaria (che la legge pone come principio), ciò che appare è che, almeno in questo caso, nell’effettivo sviluppo della catena normativa originata dalla previsione costituzionale, parte del disegno iniziale sembra perdersi, in quanto ad ogni passaggio, dalla norma di principio alla decisione puntuale (attraverso un décalage di fonti, dalla più rigida a quella a bassa formalizzazione), si realizza uno slittamento progressivo verso una compressione degli spazi operativi regionali. E ciò pare ascrivibile soprattutto alla condotta dello Stato.
Ma, al di là di queste vicende, resta fermo il principio innovativo, che in ogni caso prefigura possibilità ulteriori e di alto profilo per l’autonomia regionale.
Percorso che, però, stenta a trovare concreto avvio, quantomeno sul versante del coinvolgimento delle assemblee rappresentative. Almeno stando a quanto segnalato dai Consigli regionali, nel corso dell’anno 2006 non risultano casi di partecipazione diretta di Regioni in delegazioni del Governo, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 131 del 2003, in occasione dei quali il Consiglio abbia formulato indirizzi al Presidente. Il dato, negativo, appare comune a tutte le Regioni.
Gli unici due eventi, che qui possono essere richiamati, sono stati definiti dal Governo come partecipazioni “su base occasionale”, oppure “di rodaggio”, e quindi forse anche per questo indipendenti da atti di indirizzo regionali, sia specifici, sia adottati in via generale..
Si tratta della presenza di rappresentanti regionali al Consiglio Salute del 2 giugno 2006 e della partecipazione della Presidente della Regione Piemonte, assieme al Vice Ministro allo sviluppo economico, al Consiglio informale dei Ministri UE per la politica regionale tenutosi a Bruxelles il 21 novembre 2006, tappa del processo di definizione del quadro strategico nazionale per la politica regionale di sviluppo relativo alle risorse della politica di coesione per il periodo 2007-2013. Sono esempi significativi in quanto rappresentano comunque i primi passi regionali su una via che dovrebbe considerarsi ormai aperta.
Al di là di questi casi, dunque, le Regioni non paiono aver preso parte a delegazioni, né i Consigli aver trovato modo di inserirsi esprimendo un voto al riguardo. Ad esempio, l’Umbria deve risalire indietro negli anni per rinvenire un ordine del giorno consiliare (deliberazione n. 266 del 2002) mirante ad attivare tutte le iniziative possibili per attuare le intese tra Presidente della Giunta e Presidenza del Consiglio anche in relazione al processo di formazione, e attuazione, delle politiche comunitarie.
Questo dato fattuale complessivo può del resto trovare corrispondenza formale in tutti i casi in cui l’eventuale legislazione regionale rilevante in tema di partecipazione alla elaborazione delle normative comunitarie non mostra specifica attenzione alle forme di partecipazione diretta ed alle problematiche connesse (al di là delle disposizioni poste in via generale).
In proposito, ad esempio, è auspicabile una maggiore iniziativa regionale nel provvedere alla individuazione di propri rappresentanti ed esperti. Infatti l’Accordo generale di cooperazione del 16 marzo 2006 rimette alle Regioni da un lato, per la partecipazione al Consiglio dell’Unione europea, la comunicazione della lista dei rappresentanti alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al Ministero degli esteri, e dall’altro, per la partecipazione ai gruppi di lavoro e ai comitati, la redazione di un elenco di esperti da acquisire semestralmente in sede di Conferenza permanente. L’attuazione concreta di questa parte dell’accordo sembra dipendere, perciò, da tali designazioni regionali: senza di esse – osserva da parte sua il Governo – non vi è modo di integrare la composizione delle delegazioni.
Non solo allo Stato, dunque, ma pure alle Regioni, e anche in merito a questi vari aspetti specifici, spetta il compito di contribuire, attraverso il proprio ordinamento interno, alla realizzazione delle condizioni (non solo politiche) per un’effettiva partecipazione diretta.


8.3. La partecipazione indiretta alla formazione del diritto comunitario
 
Oltre che in forma diretta, attraverso propri rappresentanti all’interno delle delegazioni del Governo, le Regioni hanno la possibilità di partecipare anche indirettamente al processo di formazione della posizione italiana nella fase di predisposizione degli atti comunitari e dell’Unione europea. Questo secondo percorso – che completa, sul versante interno nazionale, l’attuazione del nuovo art. 117, 5° co., Cost. per quanto riguarda la fase ascendente – è delineato dalla legge n. 11 del 2005 (2).
Come è noto, in questo caso il legislatore ha assunto il compito di risistemare la materia precisando, in un quadro unitario e organico ed in modo dettagliato, le varie forme di concorso di Stato e Regioni (con elementi di simmetria tra Governo e Parlamento e tra Giunta e Consiglio) nonché di enti locali, parti sociali e categorie produttive. Il ruolo dei soggetti coinvolti si articola in una fitta rete di attività, incardinate in due filoni procedurali distinti, finalizzati l’uno alla creazione e l’altro all’attuazione del diritto comunitario. I princìpi di riferimento, espressamente richiamati, sono quelli di sussidiarietà, proporzionalità, efficienza, trasparenza e partecipazione democratica.
In particolare, la Presidenza del Consiglio dei ministri (o il Ministro per le politiche europee), cui permane un ruolo guida nelle relazioni comunitarie, dialoga stabilmente sia con le Giunte, sia con i Consigli, in modo da assicurare la più ampia partecipazione delle Regioni alle decisioni relative alla formazione di atti normativi comunitari, sin dalle prime fasi progettuali (trasmissione di tutti gli atti, informazione qualificata e tempestiva, ricevimento delle osservazioni regionali) e poi nelle successive vicende connesse alla elaborazione dei testi (secondo quanto disciplinato dettagliatamente, nei suoi 12 commi, dall’art. 5 della legge n. 11).
Il percorso parallelo così disegnato per gli esecutivi e per le assemblee trova conferma nella attivazione di entrambi i circuiti di autocoordinamento tra gli organi di vertice regionali (la Conferenza delle Regioni (3) e la Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle province autonome), a ciascuno dei quali, secondo i rispettivi canali di rappresentanza, la legge assegna la funzione di tramite necessario nel dialogo tra Regioni e Governo e, con essa, assicura un importante riconoscimento sul piano istituzionale.

8.3.1. Le leggi regionali di procedura per la partecipazione
 
A seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, le Regioni sono dunque entrate a pieno titolo in un circuito decisionale di alto livello, ove possono ulteriormente dispiegare il proprio ruolo politico-istituzionale. La novità è data anche dalla valorizzazione, operata dalla legge statale n. 11, dei Consigli, che ora hanno una chiara presenza nel procedimento su un duplice versante: da un lato nei rapporti con il Governo, dall’altro in quelli con la propria Giunta. Nei confronti dell’Esecutivo regionale, anzi, la legge sembra voler promuovere un recupero a favore dell’assemblea, la quale altrimenti, in assenza di specifici presidi normativi, risulta emarginata dalle scelte: quasi un modello riequilibrato di forma di governo regionale, almeno nella materia comunitaria ed europea, che (se ben sperimentato) non esclude una certa qualche capacità di suggestione anche verso altri settori.
Al riguardo, spetta in primo luogo alle assemblee provvedere all’attuazione di questo nuovo quadro, approntando ogni necessario adeguamento per porre in sintonia ciascun ordinamento interno con le procedure decisionali nazionali e consentire la piena partecipazione della comunità regionale. Ed, al tempo stesso, per cogliere correttamente lo spunto offerto dal legislatore statale, in modo da rendere effettivo e, all’occorrenza, più paritario il confronto con l’Esecutivo: ad esempio, dotando gli apparati consiliari sia di immediati ed autonomi strumenti di conoscenza in ordine alla documentazione comunitaria rilevante, sia di congrui meccanismi procedurali, al fine di poter esercitare efficacemente le funzioni di indirizzo e di controllo.
Una legge di procedura è parsa giustamente la via maestra per definire tali aspetti. Alcune Regioni, infatti, hanno provveduto in questa forma. Così, ai rari interventi degli anni ’90 (4), adottati in un contesto limitativo ed ormai superato, hanno fatto seguito le prime leggi della seconda generazione. In particolare, nel 2004, quelle dell’Emilia-Romagna e del Friuli Venezia Giulia.
Quest’ultima (5) richiama i princìpi costituzionali e dispone (all’art. 2) che la Regione concorre direttamente, nelle materie di propria competenza, alla formazione degli atti comunitari (secondo quanto indicato dalla legge n. 131 del 2003). Tale scarna disciplina non interviene su molti aspetti cruciali e qualificanti, ad esempio i rispettivi ruoli del Consiglio, della Giunta e del Presidente, ma è stata integrata dal regolamento interno del Consiglio, deliberato l’anno successivo (sul quale si tornerà).
L’Emilia-Romagna (6), invece, al riguardo specifica che da un lato il Consiglio stabilisce il “quadro degli indirizzi”, dall’altro il Presidente “assicura e promuove (…) la più ampia partecipazione (…) alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi e di indirizzo comunitari” e “riferisce” al Consiglio (art. 2), secondo le finalità ed il riparto di competenze fissato dallo Statuto (soprattutto agli artt. 12, 28, 46 e 49), che forse è tra i più esaurienti in merito.
Nel corso dell’anno 2006 sono poi intervenute le leggi di altre due Regioni. La Valle d’Aosta, con la legge 16 marzo 2006, n. 8 (7), ha introdotto una disciplina ampia. Sul piano generale, ad inizio legislatura la Giunta propone un documento pluriennale di indirizzo sulle attività di rilievo internazionale ed europeo della Regione, il Consiglio lo approva, la Giunta in base ad esso specifica attività, strutture, tempi, il Presidente presenta una relazione al Consiglio nell’ambito di un’apposita sessione europea (art. 4). La Giunta cura le relazioni europee in vari settori enumerati (art. 5) e soprattutto si vede affidato il delicato e rilevante compito di disciplinare “con propria deliberazione” le modalità di partecipazione, sia diretta che indiretta, della Regione alla formazione degli atti comunitari (art. 8), in ordine alle quali il legislatore peraltro non fornisce indicazioni specifiche.
La legge 2 ottobre 2006, n. 14, delle Marche (8) per un verso conferma lo schema prevalente quanto alla competenza consiliare ad approvare gli atti di indirizzo e gli atti definitivi a conclusione delle procedure di negoziato, con lo Stato e con la Commissione europea, condotte dalla Giunta, che riferisce periodicamente (art. 6). Per l’altro, se ne discosta nel prevedere specificamente, per la definizione delle osservazioni della Regione sui progetti e sugli atti comunitari (di cui all’art. 3 della legge n. 11 del 2005), una intesa tra Giunta e Consiglio (art. 2), ciò che però sembra impedire una scelta univoca in ordine alle modalità di trasmissione della posizione così assunta dalla Regione (9).
Per altro verso possiamo osservare che, se la legge appare la sede naturale per regolare questa materia, non è da escludersi la scelta, diversa, di ricorrere ad un altro tipo di atto (di rango e provenienza differenti). Ad esempio va qui richiamato il caso della Provincia autonoma di Trento, ove la Giunta, con delibera n. 1290 del 24 giugno 2005, ha ritenuto di approntare alcune prime risposte organizzative.
Similmente la Regione Veneto, ove è stato il Consiglio a provvedere con una propria delibera, la n. 50 del 2005, all’istituzione della Commissione speciale per i rapporti comunitari, insediata il 24 gennaio 2006, alla quale, in merito ai progetti e agli atti dell’Unione europea, è affidata la formulazione delle richieste “osservazioni”, in seduta congiunta con la Commissione competente per materia (secondo il Regolamento interno, art. 20).
Come si vede, il panorama offerto dall’attuazione regionale del principio costituzionale che dispone la partecipazione delle Regioni alla formazione degli atti normativi comunitari (oltre che alla loro attuazione), nel rispetto delle norme di procedura stabilite dalla legge dello Stato, è ancora alquanto carente. Quantomeno sul piano, ora considerato, dell’attuazione legislativa, in particolare attraverso una legge di natura procedimentale che individui, organizzi, distribuisca funzioni e attività, le Regioni che non hanno mostrato una precisa sensibilità al tema paiono ancora la larga maggioranza. Anche perché ciò che l’ordinamento richiede è una regolazione di sistema (per quanto limitata a questo settore) che evidentemente si rivela complessa.
Tuttavia la situazione è, almeno in parte, in movimento: è importante tener conto che alcuni progetti di legge sono in corso di elaborazione, ad esempio in Abruzzo, Calabria, Piemonte, Umbria, Veneto (10), e che sono stati previsti appositi gruppi di lavoro, anche misti, da parte di Consigli e Giunte.
Del resto, il predisporre gli strumenti di attuazione idonei ad inserire la Regione, in modo ordinato ed efficace, nel circuito decisionale europeo è un obiettivo sul quale Giunta e Consiglio ben possono convergere, e perciò formalizzare le regole necessarie, comprese quelle di maggiore respiro.

8.3.2. I regolamenti interni dei Consigli
 
Per consentire alla Regione di dare una pronta risposta ai nuovi compiti acquisiti e dotare le assemblee di adeguate e puntuali soluzioni sul piano organizzativo, è disponibile anche lo strumento del regolamento interno del Consiglio, che per alcuni suoi caratteri potrebbe risultare adatto e, in determinate circostanze, preferibile. Qui nella pratica, tuttavia, questa strada sembra percorsa scarsamente e, semmai, nella massima parte dei casi, non oltre il raggiungimento di soluzioni parziali, a conferma del debole interesse regionale, riscontrabile anche sul piano più generale, verso questo tipo di fonte e le sue potenzialità.
Tra i pochi esempi recenti da segnalare, quello della Provincia di Trento, ove dal gennaio del 2005 sono in vigore modifiche al regolamento interno, che riguardano in particolare (art. 147 bis) l’informazione in materia comunitaria trasmessa dal Presidente della Provincia al Consiglio. Tra i due organi di vertice è prevista un’intesa per stabilire contenuti, modalità e periodicità delle informazioni.
Il Friuli Venezia Giulia, ha mostrato una chiara preferenza per questa fonte particolare, cui ha affidato tutta la disciplina dedicata agli aspetti procedurali e ai profili concernenti la forma di governo (dato che lo Statuto (11) non contiene alcun riferimento alla tematica europea e, come si è visto, l’apposita legge regionale è molto succinta sul punto). Il regolamento interno, adottato con delibera di Consiglio 6 ottobre 2005, assegna un ruolo-guida al Presidente della Regione, il quale poi informa il Consiglio delle iniziative assunte. Tra Presidente della Regione e Presidente del Consiglio è prevista un’intesa per stabilire contenuti, modalità e periodicità delle informazioni, non diversamente da quanto avviene nella Provincia di Trento; in base ad esse, la Commissione competente può adottare risoluzioni per definire indirizzi relativi alla posizione regionale nel processo di formazione degli atti normativi comunitari. La medesima Commissione riceve ed esamina i progetti di atti comunitari e dell’Unione europea e può proporre al Consiglio di deliberare la trasmissione di osservazioni al Governo, sempre per il tramite della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome (cfr. art. 170).
In Liguria, secondo la delibera C.R. 9 giugno 2006 n. 18, il regolamento interno disciplina il trattamento consiliare della documentazione comunitaria nella fase ascendente (art. 131, 4° co.): i progetti e gli atti comunitari, trasmessi al Consiglio dalla Conferenza, sono esaminati dalla Commissione per gli affari europei, cui spetta formulare le osservazioni; queste sono approvate dal Consiglio con apposita risoluzione, che viene ritrasmessa al Governo sempre per il tramite della Conferenza.
Nel Lazio una funzione di impulso alla eventuale presentazione di osservazioni da parte del Consiglio spetta alla Commissione permanente per gli affari comunitari e internazionali, in base al Regolamento interno (art. 14-ter) così integrato ad opera della deliberazione consiliare n. 1 del 9 giugno 2005.
Anche qui è opportuno ricordare quanto è attualmente in corso di elaborazione da parte regionale. Ad esempio, con riferimento all’anno 2006, l’Umbria ha in esame un nuovo Regolamento interno, contenente anche norme che interessano rilevanti funzioni concernenti la fase “ascendente”. Con analoghe finalità, l’Emilia-Romagna ha approvato in Commissione una bozza di emendamento puntuale al Regolamento interno, in attuazione dello Statuto (12).

8.3.3. I Consigli ed i casi di effettiva partecipazione
 
A valle di quanto previsto formalmente dalla trama normativa regionale, che nelle sue molteplici sfaccettature appare complessa, è opportuno rilevare la concreta consistenza della partecipazione regionale indiretta (così come si è visto per quella diretta).
Una delle modalità ordinarie previste dalla legge n. 11 del 2005 per svolgere tale partecipazione consiste, come è noto, nella possibilità (per la Giunta e per il Consiglio) di formulare “osservazioni” sui progetti di atti comunitari e dell’Unione europea (e sugli atti preordinati alla loro preparazione) e nel trasmetterle al Governo (Presidente del Consiglio o Ministro per le politiche europee, tramite il doppio canale delle Conferenze dei Presidenti) (art. 5, 3° co.).
I Consigli tuttavia non segnalano, per l’anno 2006, casi di effettiva formulazione e trasmissione di proprie osservazioni al Governo (le quali sarebbero destinate a convergere per poi contribuire a formare la posizione italiana).
Altra possibilità è che i Consigli, a seguito dell’esame dei progetti comunitari, votino atti di indirizzo alla Giunta, per guidarla nelle successive fasi procedurali di confronto e trattativa nelle sedi nazionali (quali le Conferenze) ed europee.
Anche a questo riguardo i Consigli non segnalano casi. Tranne l’Emilia-Romagna, con la risoluzione n. 953 del 7 febbraio 2006 sulla proposta di direttiva del Parlamento e del Consiglio Europeo relativa ai servizi nel mercato interno (direttiva Bolkestein).
Entrambe le ipotesi possono dipendere, almeno in parte, da una carente fase di predisposizione normativa a monte, per cui l’assenza di una adeguata intelaiatura formale contribuisce a condizionare e disattivare l’esercizio di funzioni, facendo loro mancare premesse essenziali.
Deve peraltro osservarsi che la procedura introdotta dalla legge n.11 risulta particolarmente complessa ed onerosa per quasi tutte le Regioni, almeno per quanto riguarda la fase ascendente, anche nei suoi aspetti pratici. Non sussistono solo evidenti questioni di sistema, quali la rappresentanza, i rapporti tra Consiglio e Giunta, la capacità decisionale tra efficienza e tutela delle minoranze. Qui i problemi sembrano legati anche a vari aspetti pratici: la fitta rete di adempimenti, le strette sequenze temporali assegnate, il copioso flusso di documentazione difficile da dominare per decidere se proporre osservazioni, e così via. Si tratta di problemi ancora largamente irrisolti, nonostante in varie Regioni vi siano cantieri aperti al riguardo. I quali paiono mirare, in definitiva, da un lato a dipanare l’iter procedurale, in modo da metterlo in chiaro e poterlo meglio disciplinare, eventualmente anche in forma semplificata; dall’altro, e in stretta connessione con adempimenti e tempi, a introdurre criteri selettivi e modalità meno gravose per trattare il flusso di progetti e atti di provenienza comunitaria. Vari gruppi di lavoro, dunque, sono stati creati, talora per iniziative di autocoordinamento interregionale, anche con il sostegno della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, al fine di studiare analiticamente il tema e proporre soluzioni, ed i risultati non dovrebbero tardare.
Infine un’ipotesi particolare di partecipazione, diversa da quelle “ordinarie” qui esaminate. Tra le forme di partecipazione effettiva possono qui essere annoverate, infatti, anche talune “sperimentazioni” condotte da Regioni nella fase ascendente su impulso di organi comunitari e ad essi destinate, in base ad una normativa di provenienza non nazionale, ma comunitaria. E’ il caso, ad esempio, dei “Test Sussidiarietà”: nell’ambito della CALRE, alcuni legislativi ed esecutivi regionali europei partecipano a progetti pilota del Comitato delle Regioni, per l’esecuzione del Test in riferimento ad una proposta legislativa e ad un atto di programmazione politica della Commissione europea. Nella fase ascendente, il corretto esercizio dell’iniziativa da parte della Commissione viene misurato attraverso la verifica, presso le Regioni, del rispetto dei princìpi di sussidiarietà e proporzionalità (così come sanciti dall’art 5 del Trattato CE e dal Protocollo sulla sussidiarietà allegato al Trattato). La sperimentazione si inserisce nell’ambito di un disegno di rafforzamento dell’esercizio della funzione consultiva del Comitato delle Regioni.
Emilia-Romagna e Marche, attraverso i rispettivi Consigli, nel 2006 partecipano al secondo Test, su una proposta in materia di apprendimento permanente, istruzione, formazione (13). Nel 2005 l’Emilia-Romagna aveva preso parte anche al primo Test, su una proposta in materia di qualità dell’aria (14).

8.4.  Regioni e attuazione delle politiche comunitaria
8.4.1.  Le leggi regionali sulle procedure per l'attuazione del diritto comunitario

A differenza di quanto può dirsi con riferimento alla fase ascendente, la previsione di una competenza regionale in ordine “all’attuazione e all’esecuzione (…) degli atti dell’Unione europea”, ad opera del nuovo art. 117 Cost., non rappresenta una novità e conferma una attribuzione già da tempo consolidata. Elementi di novità, invece, sono presenti nella normativa d’attuazione che il legislatore statale era tenuto a introdurre. La legge in questione, la n. 11 del 2005, è la stessa che reca la disciplina della fase ascendente, di cui si è detto, e dunque qui può farsi rinvio a quanto richiamato circa i suoi caratteri, la struttura, la scansione dei passaggi procedurali, il modello di relazioni tra Governo e Regioni, o tra Giunta e Consiglio.
Analogo rinvio può farsi ad alcuni tratti della normativa che, a sua volta, ciascuna Regione è chiamata ad adottare per munirsi di tutti gli strumenti necessari per un suo pieno inserimento nel processo nazionale di adeguamento all’ordinamento comunitario e di attuazione delle politiche europee.
A tale scopo, un numero crescente di Regioni prevede l’utilizzo dell’atto legislativo. Le stesse leggi regionali che disciplinano la partecipazione alla formazione del diritto comunitario contengono la definizione delle forme e procedure di attuazione.
Se si escludono le leggi della prima generazione (15), vengono in evidenza le nuove leggi che tengono conto del mutato quadro ordinamentale: Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia nel 2004 (16), seguite ora da altre due Regioni.
La legge n. 8 del 2006 della Valle d’Aosta (17) e la legge n. 14 del 2006 delle Marche (18), quanto a struttura e contenuti, sono abbastanza simili e, a loro volta, non si discostano da quelle immediatamente precedenti.
Entrambe indicano la legge comunitaria regionale quale strumento per il periodico adeguamento dell’ordinamento regionale agli obblighi comunitari, derivanti dall’emanazione di atti normativi o da sentenze, e disciplinano il suo procedimento di formazione ed i suoi contenuti. La proposta è presentata dalla Giunta annualmente ed entro una data fissa, reca nel titolo il numero identificativo delle direttive attuate e l’indicazione “legge comunitaria regionale” seguita dall’anno di riferimento, è accompagnata da una relazione che dà conto anche dello stato di conformità dell’ordinamento regionale al diritto comunitario e delle eventuali procedure di infrazione (a carico dello Stato per inadempimenti regionali), tratta una tipologia di contenuti predeterminata (19).
Con riferimento al 2006, oltre alle Regioni ove le leggi sulle procedure per l’attuazione sono già in vigore, è rilevante ricordare anche le altre ove leggi simili sono in fase di elaborazione o addirittura prossime all’approvazione, come l’Abruzzo, la Calabria, il Piemonte, l’Umbria, il Veneto (20), a conferma di un impegno regionale diffuso.
Inoltre va osservato che le normative regionali sulle procedure, a cominciare dalle leggi ora citate, non prevedono le leggi comunitarie come il veicolo esclusivo per dare attuazione al diritto comunitario. Infatti le Regioni possono disporre anche di altri strumenti per questa medesima finalità.
Innanzitutto una legge regionale non specializzata (come invece è quella comunitaria): la soluzione interessa Regioni a statuto speciale come la Sardegna (in base alla lr n. 20 del 1998, artt. 9, 10, 11), ma anche buona parte delle Regioni ordinarie, nonché la Provincia autonoma di Bolzano (vedi ad esempio la lp n. 4 del 2006). La Provincia autonoma di Trento esclude espressamente il ricorso alla legge comunitaria, che appare sproporzionata rispetto ai limitati adempimenti provinciali.
Poi, fonti secondarie. Talora è la stessa legge sulle procedure a prevederlo, quando inserisce tra i contenuti della legge comunitaria anche l’individuazione delle direttive attuabili in via regolamentare, distinguendole da quelle attuabili in via amministrativa, autorizzando a tal fine la Giunta (e fissando anche norme generali da rispettare), oppure l’individuazione degli atti comunitari che la Giunta è autorizzata ad attuare o applicare in via amministrativa (nel rispetto di criteri direttivi volta per volta dettati) come in Emilia-Romagna, Valle d’Aosta e Marche (21). Un rinvio a regolamenti viene fatto anche dalla Provincia di Trento (ad opera della lp n. 11 del 2006, art. 55) e a regolamenti di esecuzione dalla Provincia di Bolzano (dalla lp n. 4 del 2006, art. 30) e dalla Regione Liguria (Regolamento interno del Consiglio, Delibera C.R. n. 18 del 2006, art. 107).
Non è raro, in via generale, il ricorso a delibere di Giunta (come, ad esempio, avviene in Umbria, o a Bolzano); delibere del Consiglio si hanno in Toscana. E l’ulteriore attuazione è affidata ad atti amministrativi, sino al provvedimento dell’assessore o dell’ufficio competenti per materia (come, ad esempio, segnala Bolzano).

8.4.2. Le leggi regionali comunitarie e le altre normative attuative
 
La Regione Friuli Venezia Giulia ha svolto un ruolo pionieristico, approvando sinora due leggi comunitarie, predisposte secondo il modello introdotto con la propria legge di procedure ed ormai collaudato. La legge regionale n.9 del 2006 (legge comunitaria 2005) ha provveduto all’attuazione di varie direttive in materia di prevenzione e alimentazione umana e di lavori pubblici. Contiene, tra gli allegati, l’elenco delle direttive per le quali dispone l’attuazione per rinvio in quanto presentano contenuto incondizionato e sufficientemente specifico.
D’altro canto, la gran parte delle Regioni adegua il proprio ordinamento utilizzando lo strumento legislativo tradizionale. Così, ad esempio, l’Abruzzo, l’Emilia-Romagna, la Liguria, il Veneto, la Provincia di Bolzano.
Come si è ricordato, le Regioni hanno attivato vari gruppi di lavoro al proprio interno, al fine di favorire la progettazione legislativa su vari piani, naturalmente anche con riferimento al ricorso alla legge comunitaria, laddove spesso si tratta di contemperare le istanze di ordine e chiarezza normative con le esigenze di duttilità.

8.5. Profili organizzativi interni
 
Un segno di specifica sensibilità regionale nei confronti del rilievo crescente della tematica europea emerge da alcuni profili organizzativi interni particolarmente indicativi.
Pressoché tutte le Regioni hanno previsto organi consiliari competenti per i profili comunitari.
Alcune hanno optato per la creazione di apposite Commissioni permanenti. Così, ad esempio, in Abruzzo la VI Commissione (22), che ha all’esame un progetto di legge sulle procedure regionali in materia comunitaria, assegnatole il 19 ottobre 2006, ed ha espresso parere sulla delibera di Giunta del 29 novembre “Approvazione del Programma relativo alle attività di relazione con i paesi del mediterraneo”. Oppure in Calabria la VI Commissione (23), che in particolare ha esaminato lo stato di attuazione dei programmi di spesa dei fondi strutturali 2000-2006, gli accordi di programma quadro, la programmazione dei fondi strutturali 2007-2013 ed ha effettuato verifiche di conformità dei programmi regionali rispetto alle norme comunitarie. O in Friuli Venezia Giulia, ove si è svolto l’esame della legge comunitaria regionale. E ancora nel Lazio, nelle Marche, in Sardegna e in Sicilia.
Altre hanno esteso alla materia comunitaria le competenze delle Commissioni bilancio e affari istituzionali, come in Emilia-Romagna, Liguria, Piemonte, Valle d’Aosta, Provincia di Bolzano. In altre ancora prevalgono le normali Commissioni competenti per materia, come in Molise, o, tendenzialmente, nella Provincia di Bolzano.
Altre poi hanno preferito il modello della Commissione speciale, come la Toscana, il Veneto, la Provincia di Trento.
Normalmente viene osservato come il sistematico invio degli atti di programmazione e dei provvedimenti di attuazione delle politiche comunitarie da parte della Giunta sia la condizione che consente alla Commissione di svolgere una verifica di conformità dei progetti di atti normativi alla normativa e alla giurisprudenza comunitaria.
Per quanto riguarda infine l’attività consiliare dedicata espressamente alla materia comunitaria, quasi tutte le Regioni risultano aver tenuto sedute specifiche nel corso dell'anno, in alcuni casi particolarmente frequenti, come in Emilia-Romagna e Toscana, o nella Provincia di Trento. Mentre l’ordinamento di alcune Regioni esclude che Consiglio e Commissioni abbiano Sessioni comunitarie, come l’Emilia Romagna e l’Umbria, altre le hanno previste, anche negli Statuti.
 
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NOTE 
(*)        Il presente capitolo, curato da Vincenzo Santantonio, non è stato trasmesso in tempo utile per una valutazione collettiva di tutti i soggetti che partecipano all’elaborazione del Rapporto.
(1)        Recante “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3”.
(2)        “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”, in sostituzione della legge n. 86 del 1989 proposta dal ministro La Pergola, contestualmente abrogata.
(3)        Questa la nuova denominazione assunta dal giugno 2005 dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni.
(4)        Ad esempio, le leggi regionali Toscana 16 maggio 1994, n. 37; Liguria 16 agosto 1995, n. 44; Veneto 6 settembre 1996, n. 30.
(5)        L.r. 2 aprile 2004, n. 10, “Disposizioni sulla partecipazione della Regione Friuli Venezia Giulia ai processi normativi dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”. La legge regola anche la fase c. d. discendente.
(6)        L.r. 24 marzo 2004, n. 6, dall’oggetto più ampio, concernente “Riforma del sistema amministrativo regionale e locale. Unione europea e relazioni internazionali. Innovazione e semplificazione. Rapporti con l’Università”. La legge regola anche la fase c. d. discendente.
(7)        L.r. 16 marzo 2006, n. 8, recante “Disposizioni in materia di attività e relazioni europee e internazionali della Regione autonoma Valle d’Aosta”. La legge disciplina anche la fase c. d. discendente.
(8)        L.r. 2 ottobre 2006, n. 14, “Disposizioni sulla partecipazione della Regione Marche al processo normativo comunitario e sulle procedure relative all’attuazione delle politiche comunitarie”.
(9)        Se cioè la trasmissione delle osservazioni, cui fa riferimento l’art.5, 3° co., della legge n. 11 del 2005, debba avvenire per il tramite della Conferenza delle Regioni oppure della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome.
(10)      Cfr., nel corso del 2006: il Pdl n. 222 della Regione Abruzzo, il Pdl n. 125/8 della Regione Calabria, il Ddl n.294 della Regione Piemonte; il Ddl n. 663 della Regione Umbria; il Pdl n. 243 della Regione Veneto.
(11)      Legge cost. 31 gennaio 1963, n. 1.
(12)      La bozza, approvata in Commissione in prima lettura il 28 febbraio 2006, attende ancora l’esame in Aula.
(13)      Per l’Emilia-Romagna v. Delibera UP n. 209/2006 avente ad oggetto la “Partecipazione dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna al Progetto pilota del Comitato delle Regioni concernente il Test Sussidiarietà sulla ‘Proposta di Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla costituzione del quadro europeo delle qualifiche e dei titoli per l’apprendimento permanente (COM (2006) 479 def.)’ e sulla ‘Comunicazione della Commissione europea al Consiglio e al Parlamento Europeo: Efficienza e equità nei sistemi europei di istruzione e formazione (COM (2006) 481 def)’ ”. Delibera adottata visti i pareri favorevoli della I Commissione (competente per la materia di diritto comunitario) e della II Commissione (competente per la materia istruzione e formazione professionale.
(14)      Delibera UP n. 152/2005.
(15)      Ad esempio, ancora, la Liguria, la Toscana, il Veneto.
(16)      Emilia-Romagna lr 24 marzo 2004, n. 6, e Friuli Venezia Giulia lr 2 aprile 2004, n. 10.
(17)      Lr 16 marzo 2006, n. 8, “Disposizioni in materia di attività e relazioni europee e internazionali della Regione autonoma Valle d’Aosta”.
(18)      Lr 2 ottobre 2006, n. 14, “Disposizioni sulla partecipazione della Regione Marche al processo normativo comunitario e sulle procedure relative all’attuazione delle politiche comunitarie”.
(19)      Cfr. soprattutto gli artt. 9 e 10 della legge regionale della Valle d’Aosta, cit., e gli artt. 3 e 4 della legge regionale delle Marche, cit..
(20)      I progetti di legge contengono anche la disciplina della fase ascendente, cfr. la precedente nota 10.
(21)      Si vedano le leggi regionali già citate.
(22)      Istituita dall’art. 26 del Regolamento interno, così modificato con delibera del Consiglio n. 104/4 del 22 luglio 2003.
(23)      In base agli artt. 28 dello Statuto e 28 del Regolamento Interno.
 
 
 
 

 

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