Lo studio, intitolato 'Tendenze e problemi della legislazione regionale', è stato elaborato dall'Istituto. Esso costituisce la parte II  del 'Rapporto 2008 sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea', realizzato su iniziativa e con il coordinamento dell'Osservatorio sulla legislazione della Camera dei Deputati ed in collaborazione con gli uffici legislativi delle Regioni e delle due Province autonome.


INDICE

INTRODUZIONE (Antonio D’Atena)

1. La competenza legislativa regionale nel 2007 (Carlo Desideri)
1.1. Il numero e la dimensione delle leggi regionali
1.2. La tipologia delle leggi
1.3. L’impegno legislativo delle Regioni nei diversi macrosettori e materie
1.4. La fonte della potestà legislativa: la crescita della residualità
1.5. Una valutazione conclusiva
Note

 
2. I regolamenti regionali nel 2007 (Aida Giulia Arabia)
 
3. La qualità della legislazione: dal linguaggio degli atti normativi alla valutazione delle politiche (Aida Giulia Arabia)
 
4. Consigli, Giunte e funzione normativa (Laura Ronchetti)
 

5. Procedimenti per l’approvazione e l’attuazione degli Statuti Regionali e per il riconoscimento di ulteriori forme e condizioni di autonomia (ex art. 116.3 Cost.) (Antonio Ferrara)
 
6. Tendenze nella sanità regionale (George France)
 
7. Tendenze e politiche socio-assistenziali delle Regioni nel 2007 (Giulia Maria Napolitano)
 
8. Le leggi finanziarie regionali per il 2008 (Enrico Buglione)
 
9. Formazione e attuazione delle politiche dell’Unione Europea (Vincenzo Santantonio)
Note
 

Introduzione
 
Come risulta dai capitoli in cui si articola questa parte del Rapporto, nei sette anni trascorsi dalla riforma del titolo V, i tratti fondamentali del nuovo regionalismo italiano si sono sempre più precisati.
Con questo non voglio dire che oggi disponiamo di un quadro dai contorni assolutamente netti. Il nuovo assetto, infatti, presenta caratteri di notevole complessità. In esso, inoltre, non mancano elementi in reciproca tensione.
Intendo dire una cosa diversa: che, in relazione ad alcuni aspetti centrali, le linee evolutive che si sono venute consolidando in questi anni lasciano intravedere delle entità dotate di una fisionomia istituzionale meno indeterminata di quella che emergeva all’indomani della riforma.
Il fenomeno si coglie sia sul versante delle funzioni, sia su quello dell’organizzazione.
Con riferimento alle funzioni, il tratto che emerge con maggiore evidenza è rappresentato dal ruolo legislativo delle Regioni. Un ruolo centrale, che consente con sicurezza di escludere che, nel nostro sistema, si stia affermando un assetto simile al Vollzugsföderalismus (al federalismo d’esecuzione), che, al di là di differenze non marginali, connota ed accomuna le esperienze federali mitteleuropee.
Le nostre Regioni, infatti, non solo sono lungi dal detenere – a differenza dei Länder tedeschi e dei Cantoni svizzeri – il monopolio dell’amministrazione, ma stanno notevolmente ampliando la loro presenza normativa nell’ordinamento.
Il rilievo vale, anzitutto, per la normativa istituzionale, o, in altri termini, per la normativa che regola il modo d’essere degli enti-Regione.
In proposito vanno in primo luogo richiamati gli statuti, di cui ormai undici Regioni ordinarie si sono dotate. Essi, essendo stati adottati nell’esercizio di una competenza notevolmente più ampia di quella riconosciuta dal vecchio articolo 123 della Costituzione e non avendo dovuto – a differenza dei precedenti – essere concordati con lo Stato, evidenziano una disponibilità della propria organizzazione interna, da parte delle Regioni, assolutamente priva di precedenti nella nostra tradizione. Analoghe considerazioni possono valere per la disciplina elettorale, che la legge costituzionale n. 1/1999, salvo che per i principi fondamentali, ha sottratto al legislatore centrale, per trasferirla ai legislatori regionali. Sette tra essi, infatti, hanno adottato 14 leggi in materia, che si differenziano le une dalle altre per aspetti non secondari, aggiungendo, alle differenze dovute alle distinte discipline statutarie, differenze relative alle tecniche di preposizione alla carica dei titolari degli organi appartenenti al circuito della rappresentanza politica. Al medesimo filone, infine, possono ricondursi le 16 leggi “statutarie” adottate dalle Regioni speciali e dalle Province autonome, nell’esercizio della nuova competenza loro riconosciuta dalla legge costituzionale che, nel 2001, le ha assoggettate ad una disciplina analoga a quella dettata, per le Regioni ordinarie, dalla legge costituzionale n. 1/1999.
Ma la crescente presenza della legislazione regionale nell’ordinamento si percepisce anche sul versante del diritto materiale.
Al riguardo, la prima constatazione da fare attiene allo spostamento, in importanti settori, dell’asse della normazione dallo Stato alle Regioni, per effetto del rovesciamento dell’enumerazione decretato dall’articolo 117, quarto comma, della Costituzione. L’occupazione, da parte dei legislatori regionali, dei nuovi spazi loro attribuiti ed il crescente esercizio della competenza residuale fanno sì che oggi, in non pochi ambiti, la legislazione non sia anche regionale, ma solo regionale. Ciò vale – ad esempio – per buona parte della legislazione sui servizi sociali e per quella sullo sviluppo rurale.
La seconda constatazione attiene alla qualità di tale normativa.
Non ci si riferisce soltanto alla qualità “tecnica”, alla cui elevazione, peraltro, concorrono le politiche di semplificazione, riordino e “disboscamento” normativo che vedono impegnate le Regioni da almeno un decennio; ed alla quale – può aggiungersi – non di rado contribuisce un drafting accurato (onde – ad esempio – leggi finanziarie immuni dalle patologie più macroscopiche che affliggono gli omologhi atti dello Stato).
Ci si riferisce anche alla portata regolativa. La legislazione regionale, infatti, non è più solo legislazione di minuto dettaglio, condannata ad inserirsi negli interstizi lasciati vuoti dalla disciplina nazionale. È, sempre più spesso, disciplina organica, anche intersettoriale, non di rado dotata di una carica fortemente innovativa.
Del resto, l’accresciuto rilievo regolativo della legislazione delle Regioni è confermato – come si sottolinea nel Rapporto – dall’aumento dei giudizi costituzionali incidentali ad essa relativi. Da tale circostanza si inferisce con quanta frequenza la regola da applicare nei rapporti che s’intrecciano nella vita di relazione sia oggi una regola di estrazione regionale.
Passando al campo dell’organizzazione, il tema centrale è costituito dalla forma di governo. È, infatti, largamente noto che l’assetto – pur derogabile – delineato dalla legge costituzionale n. 1/1999 è stato fondamentalmente confermato dagli statuti sinora adottati. Il che – al di là delle apparenze – ha decretato la fine del rapporto fiduciario. È, infatti, vero che la Costituzione novellata non collega all’elezione diretta del Presidente della Giunta la scomparsa della sfiducia. La quale può essere votata anche in questo caso. Si tratta, però, di una sfiducia distruttiva, che – per effetto del principio del simul-simul – travolge, oltre alla Giunta che la subisce, il Consiglio che la approva. Una sfiducia la quale, per assumere una consistenza non meramente virtuale, richiederebbe, nel Consiglio, un’improbabile propensione al suicidio istituzionale.
Ebbene, quello che va segnalato è che la conseguente perdita di centralità di tale organo ha trovato, nella disciplina statutaria e nella prassi, delle compensazioni di estremo interesse. Ci si riferisce – ad esempio – al larghissimo ricorso ad atti di indirizzo e controllo sull’esecutivo (con punte estremamente significative in alcune realtà). Ci si riferisce, inoltre, agli strumenti di valutazione delle politiche, il cui campionario si arricchisce di sempre nuove figure, grazie anche al coordinamento dei Consigli nel quadro del progetto CAPIRe. Ci si riferisce, infine, alle percentuali relative al tasso di successo delle iniziative legislative, ripartite per proponenti. Nelle Regioni, infatti, la percentuale di successo delle iniziative dell’Esecutivo è largamente inferiore a quella che si registra nello Stato, mentre di gran lunga superiore è quella delle iniziative consiliari (anche dell’opposizione). Il che – può notarsi di passaggio – sta a dimostrare che sul peso politico-istituzionale delle Assemblee rappresentative, l’incidenza della variabile costituita dalla forma di governo non sia esclusiva, ad essa affiancandosi quella di altre variabili, come la legislazione elettorale, la natura delle coalizioni, i caratteri delle leadership.
Prima di chiudere questi pochi cenni introduttivi – e rinviando per gli approfondimenti e gli sviluppi alle pagine che seguono – è il caso di notare che il consolidamento del nuovo regionalismo italiano introduce, nella nostra esperienza, una dimensione sperimentale che ad essa era precedentemente estranea. Come nei sistemi federali, infatti, anche in Italia, gli ordinamenti regionali iniziano ad assumere i caratteri di altrettanti laboratori, nei quali si sperimentano soluzioni e formule esportabili altrove. Il fenomeno, ad esempio, si manifesta con assoluta evidenza nel campo della sanità, in cui da anni – come il rapporto evidenzia – sono all’opera processi di social learning, che accrescono, nella platea delle Regioni, le capacità di governo di un sistema tanto complesso.
Ma il valore della sperimentazione a livello regionale – ed anche a questo riguardo le esperienze federali insegnano – non si esaurisce nei rapporti tra le Regioni stesse. Tale sperimentazione, infatti, costituisce una risorsa anche per lo Stato. Che, proprio da quanto si sviluppa nei laboratori regionali, può trarre ispirazione, nel momento in cui mette allo studio interventi di riforma.
 
Antonio D’Atena


 
1. La competenza legislativa regionale nel 2007 (Carlo Desideri) (1)
 
1.1. Il numero e la dimensione delle leggi regionali
Le Regioni ordinarie e quelle a statuto speciale hanno emanato nell’anno 2007 - v. la tabella n. 1 dell’Appendice - complessivamente 656 leggi, 506 delle Regioni ordinarie.
Vi è, dunque, un incremento rispetto alle 632 leggi del 2006 e alle 595 del 2005. L’incremento, peraltro, è determinato sia dalle regioni ordinarie, che nel 2006 avevano prodotto 492 leggi e, nel 2005, 441, sia dalle regioni speciali, che nel 2007 hanno prodotto 150 leggi a fronte delle 140 del 2006, mentre 154 erano state le leggi prodotte nel 2005.
La crescita della produzione legislativa delle Regioni in termini di dimensioni complessive è evidenziata anche dal confronto tra i dati relativi al numero degli articoli, dei commi e dei caratteri. Infatti il numero degli articoli – considerando l’insieme delle regioni ordinarie e speciali – passa dai 6.933 del 2006 ai 9.493 (2) del 2007. Il numero dei commi, dai 21.391 del 2006 passa ai 25.597 (3) del 2007. Quanto ai caratteri, anche in tal caso si registra un aumento: da 8.288.618 del 2006 si passa infatti a 8.635.152 (4) del 2007.
Nel precedente Rapporto si era segnalato – per le regioni ordinarie - che l’incremento avvenuto nel 2006 rispetto al 2005 era probabilmente dovuto al funzionamento a regime delle regioni nel 2006 dopo il rallentamento di attività a seguito delle elezioni per il rinnovo delle Assemblee regionali, avvenute nella primavera del 2005.
I dati rilevati per il 2007 segnalano, però, come si è visto, il permanere di un incremento - sia pure abbastanza contenuto - del numero delle leggi e delle loro dimensioni, anche se per ora è presto per dire se si sia in presenza di un vero e proprio mutamento rispetto alla tendenza ormai pluriennale al decremento e, quindi, ad una certa stabilizzazione del numero delle leggi regionali prodotte annualmente (5).
Come già detto nei precedenti Rapporti, si può ritenere che tra i fattori che – almeno a partire dalla metà degli anni novanta dello scorso secolo - hanno portato al costante decremento della produzione legislativa regionale vi sia stata, da un lato, la maggiore attenzione delle Regioni – in particolare dopo le riforme del “federalismo amministrativo” e quelle costituzionali – per i processi di riordino e razionalizzazione della legislazione, dall’altro il fatto che le Regioni mostrano di legiferare molto poco in alcune delle materie di nuova attribuzione.
Anche per il 2007, come già si sottolineava nel precedente Rapporto, va segnalato però che i dati disponibili – in particolare quelli sulle dimensioni delle leggi messi a confronto con quelli sul numero delle leggi - suggeriscono situazioni e stili legislativi molto diversi nelle varie Regioni. Ad esempio – v. la tabella n. 1 dell’Appendice - la Toscana è in testa a tutte le Regioni – ordinarie e speciali – per numero di leggi prodotte, 51, ma le sue leggi, con 614.738 caratteri, “pesano” molto meno delle 14 leggi della Campania che sviluppano 947.251 caratteri, i quali sono molti di più anche dei 347.368 caratteri delle leggi della Calabria, che però ha prodotto – rispetto alla Campania – 30 leggi, più del doppio. Il Friuli Venezia Giulia ha 32 leggi, molte meno delle leggi di altre regioni, ma con i suoi 1.517.314 caratteri è in testa a tutte le Regioni per dimensioni della produzione legislativa.

1.2. La tipologia delle leggi
La tabella n. 6 dell’Appendice, relativa sia alle Regioni ordinarie che a quelle a statuto speciale, mostra una netta prevalenza delle leggi “settoriali”, 243, seguite da 157 leggi di “manutenzione”, 130 leggi di bilancio, 48 leggi “istituzionali”, 48 leggi “provvedimento”, 26 “intersettoriali”, 4 di “abrogazione”.
Assumendo, come già fatto nei precedenti Rapporti, che attraverso le leggi settoriali le regioni in genere disciplinano in maniera completa un settore di attività o comunque una sua parte rilevante, si deve constatare che anche nel 2007 ha un peso significativo la legislazione regionale mirata al riordino o alla disciplina nuova di materie, settori o subsettori rilevanti. Di un certo rilievo è anche il numero delle leggi di tipo “intersettoriale”, che anzi aumentano di numero rispetto al 2006, passando da 15 a 25 nel 2007 (6), confermando il permanere di un interesse delle Regioni per questo tipo di strumento legislativo già ampiamente utilizzato dopo le riforme del federalismo amministrativo e del titolo V della Costituzione.
Confrontando i dati del 2007 con quelli del 2006 (escludendo quindi nel conteggio del 2007 le regioni Campania e Puglia che non avevano inviato i dati nel 2006), il rapporto tra leggi di settore e leggi di manutenzione nei due anni – rispettivamente 218/144 e 195/158 – non subisce cambiamenti notevoli, anche se ora il vantaggio del primo tipo di leggi rispetto al secondo appare più ampio.
Anche il dato degli altri tipi di leggi non presenta variazioni significative. In particolare il numero delle leggi provvedimento quasi non cambia, essendo 48 nel 2007 (7) e 47 nel 2006.
Nel complesso i dati sulla tipologia delle leggi sembrano dunque confermare – pur con alcune oscillazioni – una distribuzione delle leggi tra i vari tipi sostanzialmente analoga a quella degli anni precedenti (8), fatto questo che sembra indicare il consolidarsi di una sorta di funzionamento fisiologico del sistema regionale.
 
 
1.3. L'impegno legislativo delle Regioni nelle nei diversi macrosettori e materie
L’analisi dei dati relativi alla distribuzione delle leggi regionali tra i macrosettori (v. tabella 7 dell’Appendice) evidenzia che, su 656 leggi, i gruppi preponderanti sono quello del macrosettore “finanza regionale”, con 144 leggi, e quello del macrosettore “servizi alla persona e alla comunità”, con 141 leggi, seguiti dal macrosettore dello “sviluppo economico e attività produttive”, con 119 leggi, dal macrosettore “territorio, ambiente e infrastrutture”, con 118 leggi, dal macrosettore “ordinamento istituzionale”, con 107 leggi, e, infine, dalle 27 leggi classificate “multisettore” (in genere leggi di semplificazione, di abrogazione, collegati alle finanziarie che riguardano tutti o più macrosettori).
Confrontando questi dati con quelli del 2006 (9), si può constatare che la distribuzione delle leggi tra i vari macrosettori non ha subito sostanziali variazioni. Escludendo – al fine del confronto - dal totale del 2007 i dati delle regioni Campania e Puglia in quanto non pervenuti nel 2006, emerge che il numero di leggi prodotte in alcuni macrosettori nei due anni è praticamente lo stesso: rispettivamente 106 nel 2007 e 107 nel 2006 per lo “sviluppo economico e attività produttive”, 129 nel 2007 e 128 nel 2006 per la “finanza regionale”. In altri macrosettori – di nuovo senza contare nel 2007 le due regioni sopracitate - c’è invece un aumento, ma molto contenuto: si passa da 94 leggi a 102 leggi per il macrosettore dell’“ordinamento istituzionale”; da 94 a 103 per il “territorio ambiente e infrastrutture”, da 127 a 134 per il macrosettore “servizi alla persona e alla comunità”. L’unico aumento che appare relativamente significativo riguarda il numero delle leggi classificate come “multisettore”, che passa da 17 nel 2006 a 27 nel 2007, riavvicinandosi dunque al dato di 30 leggi registrato nell’anno 2005.
Si può ripetere, perciò, quanto si è già detto per la tipologia delle leggi: sembra operante - anche per la distribuzione della produzione legislativa tra i vari macrosettori - una sorta di funzionamento fisiologico del sistema regionale nel suo complesso.
Inoltre, come era già emerso nei precedenti Rapporti e da altre analisi sull’andamento delle leggi regionali (10), la Regione si configura fondamentalmente come un soggetto istituzionale con un ruolo significativo nel campo dei servizi e (solo parzialmente, però, come si vedrà tra poco) nel campo dello sviluppo economico, mentre va segnalato un pur lieve incremento – come nell’anno 2006 - del macrosettore del “territorio, ambiente e infrastrutture”.
Anche l’analisi dei dati con riferimento alle materie all’interno dei diversi macrosettori (v. sempre la tabella 7 dell’Appendice) evidenzia che non vi sono novità significative rispetto agli anni precedenti nello svolgimento dell’attività legislativa regionale.
Nel caso del macrosettore “ordinamento istituzionale”, la legislazione si concentra essenzialmente nelle materie degli “organi della Regione”, con 37 leggi, del “personale e amministrazione”, con 22 leggi, e degli “enti locali, decentramento”, con 18 leggi. Sempre poco numerose – 7 (erano 4 nel 2006) - restano le leggi relative alla materia “rapporti internazionali e con l’Unione Europea”.
Per il macrosettore “sviluppo economico e attività produttive” viene confermato quanto già emerso nei Rapporti precedenti in ordine alla netta prevalenza del numero di leggi regionali nel campo che sinteticamente può definirsi dello sviluppo rurale: le materie della “agricoltura e foreste” e della “caccia, pesca e itticoltura”, infatti, totalizzano da sole 47 leggi (senza contare peraltro le leggi sull’agriturismo e il turismo rurale, classificate nella materia “turismo”). Seguono poi – anche in tal caso con una distribuzione tra le materie praticamente simile a quella evidenziata nel precedente Rapporto 2007 - le materie del “commercio, fiere e mercati” con 19 leggi e del turismo con 16 leggi. Sempre molto ridotto appare, invece, il numero di leggi negli altri campi: 2 leggi per l’“artigianato”, 5 per le “professioni”, 5 per l’“industria”, 7 per il “sostegno all’innovazione per i settori produttivi”, 5 per la “ricerca, trasporto e produzione di energia”, 3 per le “miniere e risorse geotermiche”.
Nel macrosettore “territorio, ambiente e infrastrutture”, come già accadeva nel 2006, il maggior numero di leggi prodotte – 41 – riguarda la materia della “protezione della natura e dell’ambiente”, seguita – con 36 leggi – dalla materia del “territorio e urbanistica” e - con 13 leggi - dai “trasporti”.
Passando al macrosettore “servizi alla persona e alla comunità”, si può constatare che prevale la materia “tutela della salute”, che raccoglie 41 leggi, seguita dalla materia “servizi sociali”, con 30 leggi, e da “beni e attività culturali”, con 18. Non muta la distribuzione tra le materie, dunque, rispetto a quanto rilevato nel Rapporto 2007. Da segnalare, però, il raddoppio delle leggi classificate nella voce “altro”, che passa da 7 a 15 leggi.
Infine, non appaiono mutamenti significativi nella distribuzione delle leggi tra le materie del macrosettore “finanza regionale”.

1.4. La fonte della potestà legislativa: la crescita della residualità
Considerando la tabella n. 5 sulla fonte giuridica della potestà legislativa, che - per l’insieme delle Regioni, ordinarie e a statuto speciale – classifica le leggi prodotte secondo il tipo di potestà: “concorrente”, “residuale” e “mista”, si può constatare che la potestà “residuale” risulta, con 322 leggi, quella più esercitata nel 2007, con un distacco peraltro rilevante rispetto a quella “concorrente”, che raccoglie 259 leggi.
Questo dato costituisce una conferma significativa della tendenza che si era già andata delineando negli anni precedenti e rappresenta una novità rispetto a quanto rilevato nel Rapporto 2007, nel quale si era segnalato che il totale delle leggi ricadenti nella potestà residuale era praticamente equivalente a quello delle leggi di potestà concorrente (11).
Il rapporto tra le due potestà, nettamente più favorevole per quella di tipo residuale, risulta ancora più evidente facendo riferimento alle sole regioni ordinarie: la potestà “residuale” raccoglie infatti ben 270 leggi contro le 139 della “concorrente”.
Inoltre, sempre con riferimento alle regioni ordinarie, la crescita della potestà “residuale” rispetto al 2006 risulta confermata anche escludendo dal conteggio del 2007 i dati delle regioni Basilicata, Campania e Puglia non disponibili nel 2006: le leggi di potestà residuale passano, infatti, da 183 nel 2006 a 223 nel 2007, mentre le leggi di potestà concorrente diminuiscono notevolmente da 195 nel 2006 a 101 nel 2007.
Si potrebbe supporre che sulla rilevazione dei dati possano aver pesato fattori di tipo soggettivo - una maggiore consapevolezza rispetto al passato della importanza della potestà residuale e dunque un certo favore nei suoi confronti - che si sono riflessi nella classificazione delle leggi.
Pur essendo dunque opportuna una certa cautela, che rinvia alla necessità di ulteriori eventuali conferme nei prossimi anni, va preso atto comunque che il mutamento di peso tra le due categorie di leggi è talmente rilevante ed evidente che difficilmente si potrà negare che la crescita della potestà residuale rappresenti un fenomeno reale ed importante.
Il progressivo consolidamento della potestà residuale appare un risultato significativo delle riforme costituzionali ed al suo ulteriore sviluppo può aver contribuito la progressiva ed attenta messa a punto dei contenuti delle materie da parte della Corte costituzionale.
Quanto appena visto per il 2007 conferma, dunque, ampiamente quanto era stato già rilevato nei precedenti Rapporti in ordine alla presenza di una forte ed ormai consolidata presenza della legislazione residuale. Da un lato appaiono, perciò, ulteriormente smentite la sottovalutazione e i dubbi che da più parti sembrano ancora permanere su di essa, dall’altro andrà sempre più considerato il rilievo e le conseguenze del fenomeno sotto vari profili, in ordine alla natura stessa dell’ente regione ed ai suoi rapporti con lo Stato.
Come già si ricordava nel Rapporto 2007 - che faceva anche riferimento a dati relativi alle sole Regioni ordinarie per gli anni 2001-2005, contenuti nel già citato Terzo Rapporto Annuale sullo stato del regionalismo in Italia - va tenuto conto comunque che il rapporto tra la potestà “residuale” e quella “concorrente” varia in maniera significativa secondo i macrosettori considerati.
Partendo dai dati contenuti nella tabella 7 e considerando il carattere concorrente o residuale delle materie inserite nei macrosettori, risulta confermata nell’anno 2007 la prevalenza della potestà “residuale” nel macrosettore “ordinamento istituzionale” (77 leggi su 107) e in quello “sviluppo economico e attività produttive” (99 leggi su 119), mentre il rapporto è ribaltato a favore della “concorrente” negli altri macrosettori (90 leggi di potestà “concorrente” su 118 per “territorio, ambiente e infrastrutture”; 95 su 141 per i “servizi alla persona e alla comunità”).

1.5. Una valutazione conclusiva
Rispetto alle considerazioni e valutazioni svolte nei Rapporti 2006 e 2007, i dati del presente Rapporto consentono di confermare alcune tendenze, ma presentano alcune novità il cui rilievo sostanziale andrà comunque verificato nei prossimi anni.
In particolare, vi sono segnali pur deboli – in termini di leggi prodotte e, stavolta, anche in termini di dimensioni complessive della produzione legislativa regionale – di una possibile inversione di tendenza rispetto al decremento e, quindi, alla stabilizzazione del numero di leggi annualmente prodotte dalle Regioni.
Più evidente e significativa – pur con le cautele accennate - appare invece la novità in ordine al “sorpasso” del numero di leggi di potestà residuale rispetto a quello delle leggi di potestà concorrente, dovuto alla crescita del primo tipo di leggi ma anche alla forte diminuzione delle seconde.
Per altri aspetti non emergono novità. In particolare, non presentano oscillazioni significative la distribuzione delle leggi tra le varie tipologie normative (settoriali, di manutenzione, ecc.), né quella tra i vari macrosettori e tra le materie al loro interno, quasi fosse ormai all’opera in tutti e tre i casi – come già detto nel Rapporto 2007 – una sorta di principio regolatore del funzionamento fisiologico del sistema regionale: un fenomeno che sembra segnalare un certo assestamento del modello regionale su determinate caratteristiche organizzative e funzionali.
Anche per il 2007 va, inoltre, rilevata l’evidente prevalenza delle leggi “settoriali”, vale a dire di un tipo di leggi che di massima disciplinano, in maniera nuova o attraverso un riordino normativo, materie o subsettori o ambiti o aspetti anche parziali ma significativi di attività. Un fatto questo che può, dunque, essere interpretato come indice di vitalità dell’ente regionale in generale.
Varie leggi del 2007 innovano o riordinano la disciplina di una intera materia o settore.
Nel macrosettore “sviluppo economico e attività produttive”, riguardano, ad esempio, intere materie o quasi: la legge n. 9 del Friuli Venezia Giulia sulle risorse forestali; la legge n. 11 della Provincia di Trento sul governo del territorio montano e forestale; la legge n. 10 del Lazio sull’artigianato; le leggi n. 13 del Lazio e n. 15 della Lombardia sull’organizzazione del turismo; la legge n. 22 della Liguria sull’energia; la legge n. 1 della Liguria sul commercio.
Nel macrosettore “territorio, ambiente e infrastrutture”: la legge n. 3 della Campania sui lavori pubblici; la legge n. 5 del Friuli Venezia Giulia sull’urbanistica e il paesaggio; la legge n. 28 della Valle d’Aosta sull’edilizia residenziale pubblica; la legge n. 16 della Lombardia sui parchi; le leggi n. 25 della Liguria e n. 23 del Friuli Venezia Giulia sul trasporto locale.
Nel macrosettore “servizi alla persona e alla comunità”: le leggi n. 4 della Basilicata e n. 13 della Provincia di Trento rispettivamente sui servizi sociali e sulle politiche sociali; le leggi n. 16 del Lazio e n. 30 della Liguria sulla tutela del lavoro; le leggi n. 19 della Lombardia e n. 15 dell’Emilia-Romagna sull’istruzione e formazione; la legge n. 18 del Piemonte sul sistema sanitario; le leggi n. 2 della Liguria, n. 9 del Veneto e n. 7 della Sardegna sulla ricerca; la legge n. 6 della Campania sullo spettacolo; la legge n. 15 della Provincia di Trento sulle attività culturali.
La maggior parte delle leggi classificate come settoriali riguardano, invece, dei subsettori o aspetti significativi all’interno delle materie.
Partendo anche in questo caso dal macrosettore sviluppo economico e attività produttive, si tratta, ad esempio, delle leggi che le Regioni hanno dedicato: al programma regionale di sviluppo (12), all’impresa agricola (13), agli organismi geneticamente modificati (OGM) (14), alla promozione della competitività (15), all’ordinamento delle attività economiche di servizio ed all’ordinamento delle attività ed imprese industriali (16), ai distretti produttivi (17), all’agriturismo e turismo rurale (18), al commercio equo e solidale (19), alla grande distribuzione commerciale (20), alle aree e ai consorzi industriali (21), alla raccolta dei funghi e dei tartufi (22), agli allevamenti (23), ad alcuni tipi di professioni nel campo del turismo, dell’artigianato e dei servizi (24), a forme particolari di turismo e agli itinerari culturali (25), alla disciplina dell’apprendistato (26), alla comunicazione (27).
Nel macrosettore del territorio le leggi settoriali riguardano aspetti specifici, spesso importanti; a titolo esemplificativo si indicano le leggi relative : al settore abitativo (28), ai trasporti (29), all’utilizzo del demanio (30), alla difesa del suolo e ai piani di bacino (31), alle risorse idriche (32), alla tutela della costa (33), alla vigilanza ambientale (34), all’inquinamento, atmosferico, acustico, luminoso (35), alla VIA (36), al risparmio energetico (37), all’istituzione di parchi naturali (38), alla tutela di patrimoni e paesaggi particolari (39), alla gestione dei rifiuti (40), agli usi civici (41).
Infine, nel macrosettore dei servizi alla persone e alla comunità vanno considerate ad esempio le leggi relative: a cure particolari (42), ai donatori di cellule staminali (43), a soggetti che hanno ricevuto trapianti di organi (44), alla cremazione e ai cimiteri (45), all’assistenza familiare (46), all’assistenza alle persone non autosufficienti (47), alla sicurezza sul lavoro (48), alla previdenza complementare (49), al diritto allo studio (50), a categorie dello spettacolo (51), a certe attività sportive (52), al volontariato e al servizio civile (53), al soccorso alpino (54), ai beni e alle attività culturale e a particolari aspetti dell’identità culturale (55).
Anche nel 2007 sono presenti alcune leggi – riconducibili alla categoria delle leggi “settoriali” – che rivolgono la loro attenzione a problemi nuovi delle comunità regionali, che le Regioni affrontano creando interventi e prevedendo misure che appaiono difficilmente collocabili in specifiche materie, almeno come finora intese (56). Anche se non si tratta di un numero di leggi molto ampio, si è qui in presenza, come già notato nei precedenti Rapporti, di un fenomeno importante che segnala un progressivo configurarsi della Regione come ente a fini generali, che si fa carico di interessi ed esigenze delle comunità di riferimento.
Di un certo rilievo appaiono, poi, alcune leggi dedicate alla disciplina del sistema istituzionale e organizzativo regionale con riguardo ad intere materie o comunque ad aspetti importanti: la disciplina dei referendum (57), la partecipazione (58), il riassetto e riordino delle competenze regionali e degli enti locali (59), i servizi pubblici locali “di rilevanza economica” (60), l’istituzione dei Consigli delle autonomie locali (61), la consulta di garanzia statutaria (62), il Consiglio regionale dell’economia e lavoro (63), la Commissione autoriforma (64), i procedimenti e i contratti (65), la costituzione di strutture, società, fondazioni o la partecipazione alle stesse (66). Di un certo rilievo appaiono anche alcune leggi in materia di relazioni internazionali (67).
A parte la novità, già segnalata, relativa alla crescita del numero di leggi di potestà residuale, quanto emerge dall’analisi svolta sembra confermare le valutazioni fatte nei Rapporti precedenti e in altre ricerche (68), alle quali non resta che rinviare per una considerazione più ampia.
Le Regioni appaiono soggetti fondamentalmente impegnati sul fronte delle condizioni di vita civile e sociale delle comunità e dello sviluppo economico, anche se l’impegno legislativo in questo ultimo macrosettore è fortemente squilibrato a favore del campo dello sviluppo rurale rispetto a quello nel campo dell’industria e degli altri settori. Quanto al turismo, la produzione di 16 leggi nel 2007, come già nel 2006, sembra comunque segnalare il permanere di una certa ripresa di interesse per tale settore di attività da parte delle Regioni, dopo le timidezze dimostrate in precedenza.
E’ probabile, come già osservato nei Rapporti precedenti, che sullo sviluppo limitato di certe competenze pesino incertezze ed insufficienze del quadro normativo nazionale, sia per il profilo delle forme di collaborazione tra Stato e Regioni che per il profilo dei confini tra le competenze reciproche.
Anche i dati del 2007, inoltre, confermano che molto scarse sono le leggi delle Regioni in alcune materie come l’energia, la ricerca scientifica, le comunicazioni, in ordine alle quali sembrano perciò confermati – come già detto nel Rapporto 2007 - i dubbi in merito all’opportunità della loro attribuzione alla competenza regionale, almeno nei termini in cui ciò è stato fatto nella riforma costituzionale del 2001.
Va precisato, comunque, che le considerazioni qui svolte sono basate sui dati rilevati attraverso il questionario, che danno conto solo dell’attività legislativa delle Regioni e non consentono di prendere in esame quella parte dell’attività regionale che - anche nelle materie nelle quali si registra una limitata produzione di leggi – eventualmente si svolge a livello amministrativo.
In particolare, va ricordato che le Regioni operano – appunto senza bisogno di ricorrere allo strumento della legge, ma in genere attraverso deliberazioni di giunta – anche all’interno di sistemi decisionali multilivello (che fanno capo allo Stato e all’Unione Europea) volti al perseguimento di obiettivi di sviluppo economico e/o anche alla realizzazione di infrastrutture, sulla base di procedure che spesso prevedono intese o accordi adottati in seno alla Conferenza Stato-Regioni. Ancora, va ricordato che una ampia parte dell’attività legislativa regionale – come ampiamente documentato nel cap. 8 di questo Rapporto – viene svolta attraverso le leggi finanziarie, con disposizioni relative a tutti i macrosettori e materie qui considerati, attraverso le quali vengono modificate leggi e/o disposti nuove discipline, con la previsione di interventi che vanno poi precisati e realizzati attraverso deliberazioni di giunta.
Infine, va segnalato che anche in campi di competenza regionale più consolidati, in alcuni dei quali peraltro l’attività legislativa regionale si sta ulteriormente sviluppando, permangono non pochi problemi in ordine ai confini delle competenze. Fatto questo che emerge dal contenzioso costituzionale tra Stato e Regioni, in continuità con quanto avvenuto negli anni precedenti. L’insieme delle segnalazioni, contenute nelle risposte al questionario e relative alle impugnazioni governative di norme di leggi regionali, mette in evidenza l’esistenza di tensioni e problemi, in particolare: in ordine alle materie regionali nel macrosettore dello sviluppo economico (in genere in rapporto alla tutela della concorrenza, di competenza statale: v. i ricorsi del Governo contro le leggi n. 16, n. 34 e n. 35 dell’Abruzzo, n. 12 della Campania, n. 38 della Toscana, n. 32 del Veneto), in ordine alle materie del territorio, dell’ambiente e del paesaggio (v. i ricorsi del governo contro le leggi n. 45 dell’Abruzzo, n. 17 della Basilicata, n. 34 della Liguria, n. 2 e 20 della Lombardia, n. 3 del Piemonte, n. 10 della Provincia di Bolzano), a quelle dei beni culturali (v. i casi dei ricorsi contro le leggi n. 19 dell’Emilia-Romagna, n. 34 della Liguria, n. 3 del Piemonte), della disciplina delle professioni (v. le impugnative delle leggi n. 9 della Toscana, n. 29 della Valle d’Aosta, n. 19 della Lombardia relativa al sistema educativo ed impugnata anche per contrasto con la competenza statale in materia di istruzione), delle relazioni internazionali (v. il ricorso contro la legge n. 6 della Valle d’Aosta).
 
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NOTE

(1) Le tabelle citate nel presente capitolo sono riportate nell’Appendice.
(2) Al fine di un confronto con il 2006, per il quale non sono pervenuti i dati delle regioni Campania e Puglia, è stato necessario sottrarre al dato complessivo del 2007, di 10.243 articoli, i 750 articoli delle leggi della Campania e della Puglia.
(3) Anche in tal caso, per i motivi spiegati alla nota precedente, al totale dei commi del 2007, 28.139, è stato necessario sottrarre i 2.542 commi delle leggi delle regioni Campania e Puglia.
(4) Al fine di rendere comparabili i dati, al totale del 2007 di 10.068.996 caratteri è stato necessario sottrarre 1.433.844 caratteri delle leggi delle regioni Campania e Puglia che non avevano inviato i dati negli anni precedenti.
(5) V., oltre ai precedenti Rapporti, A.G.Arabia e C.Desideri, L’attività normativa nella settima legislatura regionale, in ISSiRFA-CNR, Terzo rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia, Milano, Giuffrè editore, 2005, p.479 e ss. Va tenuto conto che il numero di 506 leggi delle regioni ordinarie nel 2007, superiore al numero di leggi prodotte nel 2005 e nel 2006, è comunque inferiore al numero di leggi prodotte nell’anno 2004 e nei precedenti.
(6) Al fine di rendere comparabili i dati, al dato complessivo di 26 leggi intersettoriali del 2007 è stato necessario sottrarre le leggi delle regioni Campania e Puglia (in realtà 1 legge della Puglia, non avendo la Campania prodotto nel 2007 tale tipo di leggi).
(7) Non ci sono leggi provvedimento della Campania e della Puglia nel 2007.
(8) Per una analisi e considerazione di sintesi, a partire dall’anno 2002, resta dunque ancora attuale quanto già detto nel par. 1.2 del Capitolo 1 “La competenza legislativa regionale nel 2005: conferme e problemi” nel Rapporto 2006.
(9) Cfr. Rapporto 2007, tabella 7, p. 277.
(10) A.G. Arabia e C.Desideri, L’attività normativa nella settima legislatura regionale, in ISSiRFA-CNR, Terzo Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia, cit., p. 479 e ss.
(11) V. il Rapporto 2007, p. 52 e la tab. 5: le leggi di potestà residuale nel 2006 erano 237 contro 243 leggi di potestà concorrente (nelle 237 leggi non erano incluse però 24 leggi segnalate dalle regioni speciali come leggi di potestà esclusiva o primaria). Secondo il Rapporto 2006, p.161, tab. 4c, le leggi di potestà residuale erano 291 e superavano già ampiamente le 201 di potestà concorrente.
(12) L. n. 5 del Veneto. La legge approva il testo del programma allegato.
(13) L. n. 45 della Toscana. La legge definisce l’imprenditore o imprenditrice agricolo professionale. Contiene disposizioni sulla competitività aziendale e semplifica la normativa.
(14) L. n. 18 della Provincia di Trento.
(15) L. n. 1 della Lombardia.
(16) Rispettivamente le leggi n.11 e n.8 della Provincia di Bolzano.
(17) L. n. 23 della Puglia.
(18) L. n. 37 della Liguria, n.10 della Lombardia.
(19) L. n. 32 della Liguria, n.3 dell’Umbria.
(20) L. n. 6 dell’Emilia Romagna.
(21) L. n. 10 della Campania sulle aree, n.2 della Puglia sui consorzi di sviluppo industriali.
(22) L. n. 18 della Liguria sulla raccolta dei tartufi.
(23) L. n. 7 della Campania.
(24) L. n. 3 del Lazio sulla professione di accompagnatore di media montagna, l. n. 17 delle Marche sulla professione di acconciatore ed estetista, l. n. 14 del Veneto sull’accademia internazionale dei professionisti della salute, l. n. 10 del Friuli Venezia Giulia sulla valorizzazione delle professioni sanitarie, l. n. 22 della Provincia di Trento sull’assistenza odontoiatrica, l. n. 4 della Provincia di Trento sulle professioni intellettuali.
(25) L. n. 13 della Liguria sugli itinerari del gusto e dei profumi.
(26) L. n. 18 dell’Umbria.
(27) L. n. 32 del Veneto sulla disciplina dei phone center.
(28) L. n. 38 della Liguria, l. n. 14 della Lombardia sulla innovazione nella edilizia residenziale pubblica, l. n.13 del Piemonte sul rendimento energetico nell’edilizia.
(29) L. n. 29 della Lombardia sul trasporto aereo.
(30) L. n. 21 della Liguria , l.n.10 della Sicilia sui beni demaniali marittimi.
(31) L. n. 11 del Molise, l.n.12 della Sardegna sugli sbarramenti e i bacini.
(32) L. n. 37 dell’Abruzzo.
(33) L. n. 15 del Veneto.
(34) L. n. 19 della Calabria.
(35) L. n. 15 e l. n. 16 del Friuli Venezia Giulia rispettivamente sull’inquinamento luminoso e su quello atmosferico e acustico, l. n. 2 della Valle d’Aosta sull’inquinamento atmosferico.
(36) L. n. 2 della Provincia di Bolzano.
(37) L.n.16 della Provincia di Trento.
(38) L. n. 34 della Liguria.
(39) L. n. 14 della Puglia sulla tutela del paesaggio degli ulivi monumentali, l. n. 4 della Sardegna sulla tutela del patrimonio speleologico.
(40) L. n. 45 dell’Abruzzo, l. n. 27 della Calabria, l. n. 4 della Campania, l. n. 29 della Puglia sui rifiuti tossici, l. n. 30 della Valle d’Aosta.
(41) L. n. 18 della Calabria.
(42) L. n. 17 Emilia-Romagna sulla cura del tabagismo, l. n. 21 del Piemonte sulle sostanze psicotrope ai bambini, l. n. 25 del Veneto sul parto indolore.
(43) L. n. 23 della Basilicata.
(44) L. n. 17 del Molise.
(45) L. n.2 4 della Liguria, l. n. 20 del Piemonte sulle cremazioni.
(46) L. n. 28 dell’Umbria.
(47) L. n. 9 della provincia di Bolzano.
(48) L. n. 27 della Basilicata, l. n. 25 del Piemonte sulle vittime del lavoro, l. n. 30 della Toscana sulla sicurezza dei lavoratori agricoli, l. n. 3 della Provincia di Trento sulla sicurezza del lavoro.
(49) L. n. 10 del Veneto.
(50) L. n. 4 del Lazio sulla disciplina delle università popolari, l. n. 28 del Piemonte sul diritto allo studio, l. n.1 8 della Puglia sull’istruzione universitaria, l. n. 8 del Friuli Venezia Giulia sul diritto allo studio.
(51) L. n. 16 e l. n. 25 della Sicilia rispettivamente sul cinema e sul teatro.
(52) L. n. 31 dell’Abruzzo sul gioco del golf.
(53) L. n. 10 del Molise sulla promozione del volontariato, l. n. 10 della Sardegna sul servizio civile, l. n. 30 della Valle d’Aosta sul servizio civile.
(54) L. n. 13 della Provincia di Bolzano, l. n. 5 della Valle d’Aosta.
(55) L. n. 13 della Lombardia, l. n. 26 del Piemonte sulle minoranze linguistiche, l. n. 34 dell’Umbria sugli ecomusei, l. n. 8 del Veneto sulla tutela del patrimonio linguistico e culturale, l. n. 19 del Veneto sui musei di storia della medicina, l. n. 26 e l. n. 29 del Friuli Venezia Giulia rispettivamente sulla tutela della minoranza slovena e sulla lingua friulana, l. n. 12 della Valle d’Aosta sulle celebrazioni per S. Anselmo.
(56) Si considerino, ad esempio, la l. n. 40 Abruzzo sul personale della Regione in emergenze umanitarie e quella n. 26 sull’Osservatorio sulla violenza di genere e sui minori; la legge della Calabria n. 5 sul sistema integrato di sicurezza e la n. 20 sui centri antiviolenza e case di accoglienza per le donne maltrattate; la legge n. 11 della Campania sulla dignità e la cittadinanza sociale; la legge n. 12 della Emilia e Romagna per il recupero di prodotti alimentari a fini di solidarietà sociale e la legge n. 19 sulle rievocazioni storiche; la legge n. 7 del Lazio per gli interventi rivolti ai detenuti e la legge n. 20 sulla partecipazione dei giovani; le leggi della Liguria n. 7 sull’integrazione sociale degli immigrati, n. 8 sul parlamento degli studenti, n. 9 sul garante dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, n. 12 sulla violenza; le leggi n. 14 del Piemonte sulle vittime della mafia e n. 23 sulla sicurezza integrata; le leggi della Puglia n. 7 sulle politiche di genere e 21 sulla sicurezza; la legge n. 35 della Toscana sulla violenza di genere; la legge n. 35 dell’Umbria che istituisce la giornata contro il terrorismo e a memoria delle vittime; la legge n. 12 del Friuli Venezia Giulia sulla rappresentanza giovanile; le leggi della Sardegna n. 8 sui centri antiviolenza, n. 9 sulla sicurezza, n. 26 sulle famiglie delle vittime del mare; le leggi della Provincia di Trento n. 5 sulle politiche giovanili e n. 10 sul garante dell’infanzia.
(57) L. n. 44 Abruzzo, l. n. 31 della Lombardia, l. n. 62 della Toscana, l. n. 18 del Friuli Venezia Giulia.
(58) L. n. 69 della Toscana.
(59) L. n. 23 dell’Umbria.
(60) L. n. 12 della Provincia di Bolzano.
(61) L. n.41 dell’Abruzzo, l. n. 1 del Lazio, l. n. 4 delle Marche, l. n. 20 della Toscana.
(62) L. n. 42 dell’Abruzzo, l. n. 23 dell’Emilia Romagna, l. n. 24 del Lazio, l. n. 27 della Toscana.
(63) L. n. 17 della Calabria.
(64) L. n. 2 del Molise.
(65) L. n. 26 della Calabria sulla stazione unica appaltante, l. n. 28 dell’Emilia-Romagna sull’acquisizione di beni e servizi, l. n. 38 della Toscana sui contratti pubblici.
(66) V., in particolare, la l. n. 22 del Lazio con la quale viene creata una società a partecipazione regionale per le infrastrutture strategiche del sistema viario; le leggi n. 28 e n. 32 della Lombardia, con le quali sono create rispettivamente l’agenzia lombarda per l’edilizia residenziale e l’agenzia regionale per le emergenze; la l. n. 17 del Piemonte relativa alla Finpiemonte spa.
(67) L. n. 3 e l. n. 4 della Calabria rispettivamente sulla partecipazione della regione al processo normativo comunitario e sulle relazioni internazionali, l. n. 7 dell’Emilia Romagna sull’Euroregione Adriatica, l. n. 3 del Molise sulla Commissione per la cooperazione interregionale nell’area Adriatica, l. n. 6 della Valle d’Aosta sulla solidarietà internazionale.
(68) V., oltre il lavoro già citato alle note 5 e 10, anche ISSiRFA-CNR, Regioni e attività produttive, Rapporto sulla legislazione e sulla spesa 1998-2004: un bilancio, Giuffrè Editore, Milano, 2006.


2. I regolamenti regionali nel 2007

2.1. Introduzione
 
Le norme che disciplinano il potere regolamentare sono contenute - per dieci regioni ordinarie - nelle nuove carte statutarie, mentre per le restanti cinque – così come per le regioni speciali - negli statuti originari. In particolare, per quanto riguarda il Friuli Venezia Giulia, le disposizioni sulle attribuzioni della giunta, in ordine alla potestà di deliberare regolamenti, sono confermate anche dalla legge statutaria n. 17/2007 sulla forma di governo regionale (articolo 16, comma 1, lettera a).
Nel 2007, la produzione dei regolamenti risulta essere maggiore rispetto a quanto segnalato nel Rapporto precedente. Come sempre, la regione Friuli Venezia Giulia e le due province autonome di Bolzano e di Trento contribuiscono notevolmente ad incrementare il dato complessivo, ma anche alcune tra le regioni ordinarie utilizzano la fonte secondaria in maniera significativa.
Il quadro che emerge dalla prassi è riportato nella tabella 10a dell’Appendice e appare molto variegato. Dei 406 regolamenti indicati, 374 – pari al 92,1 % del totale - risultano emanati dalle giunte e solo 32 – pari al 7,9 % del totale - dai consigli. Naturalmente il dato cambia se scorporato. Nelle regioni ordinarie, su 131 regolamenti emanati, 102 sono degli esecutivi e 29 delle assemblee legislative, mentre nelle regioni speciali su 275 regolamenti emanati, 272 sono delle giunte e solo 3 dei consigli (1).
In conformità alle scelte operate in sede di elaborazione dei nuovi statuti, in alcune regioni ordinarie (Calabria, Lazio, Liguria, Piemonte, Puglia, Toscana e Umbria) sono presenti solo regolamenti emanati dalla giunta.
Nelle regioni Abruzzo, Campania, Lombardia, Molise e Veneto si ritrovano solo regolamenti emanati dall’assemblea legislativa. Nella prima perché in sede di elaborazione del nuovo statuto si è optato per il mantenimento in capo al consiglio della potestà regolamentare, nelle altre perché si opera ancora in regime degli statuti del 1971.
Infine, nelle regioni Basilicata, Emilia-Romagna e Marche la funzione regolamentare è stata esercitata dai due organi. Come già messo in luce negli anni precedenti, la presenza di regolamenti di giunta e di consiglio è, nella regione Basilicata, “consentita” dall’art. 11 dello statuto originario che, attribuendo al consiglio, oltre alla funzione legislativa, anche la funzione di approvazione di piani e programmi, avrebbe implicitamente “favorito” l’emanazione - da parte dell’esecutivo regionale e al di fuori delle tipologie suindicate - di “atti amministrativi” (a contenuto generale) attuativi-esecutivi di legislazione (2). Quanto, invece, alle altre due regioni (Emilia-Romagna e Marche), la “condivisione” dell’esercizio del potere si spiega: nella prima regione in quanto il regolamento di consiglio indicato in tabella rientra in quelli emanati in virtù di disposizioni statali e, in un certo senso, “assimilabili” a quelli rientranti nella competenza delegata ai sensi dell’art. 117, sesto comma, della Costituzione, per i quali le regioni (compresa l’Emilia-Romagna) che hanno attribuito la competenza in via generale alla giunta hanno, invece, conservato la competenza in capo ai consigli. Si tratta, in particolare, di un regolamento attuativo di disposizioni del Codice in materia di protezione dei dati personali (3). Nella regione Marche la “condivisione” è prevista dall’art. 35, comma 2, dello Statuto che ha attribuito in via generale la competenza al consiglio regionale “salvo i casi in cui le leggi regionali ne demandino l’approvazione alla giunta”. Rientra in quest’ultima ipotesi il regolamento di giunta n. 2/2007 che ha dettato criteri ambientali per le strutture ricettive alberghiere e all’aria aperta, in attuazione di una norma del testo unico in materia di turismo (l.r. n. 9/2006) che delegava l’emanazione di norme attuative all’esecutivo.
Infine, sempre in conformità alle disposizioni statutarie, in Friuli Venezia Giulia, nelle province autonome di Bolzano e Trento e in Sicilia, i regolamenti sono solo di giunta; nelle regioni Sardegna e Valle d’Aosta sono solo di consiglio.

2.2. Alcuni dati
Come si ricava sempre dalla tabella 10a dell’Appendice, nel 2007 sono stati emanati 406 regolamenti: 131 dalle regioni ordinarie e 275 dalle regioni speciali.
Se si confrontano i dati con quelli del 2006 (4), i regolamenti emanati dalle giunte e dai consigli risultano aver subito un incremento di 43 unità: 13 in più nelle regioni ordinarie e 30 in più nelle regioni speciali.
Anche se si considerano le dimensioni degli atti in articoli - v. tabella B - sono sempre le regioni speciali (anche se in tabella non sono indicate le dimensioni di 44 regolamenti di manutenzione della regione Friuli Venezia Giulia), per 57 unità, a superare le regioni ordinarie: 1.871 articoli di regolamento contro 1.824. Un dato decisamente inferiore si registrava nel 2006 (5), quando gli articoli dei regolamenti risultavano 841 nelle regioni ordinarie (sia pure in assenza del dato delle regioni Campania e Puglia) e 2.175 nelle regioni speciali, pari cioè a 1.334 unità in più.
Per poter confrontare questo dato con quello del 2006, occorre sottrarre dal 2007 il dato delle dimensioni degli atti delle regioni Campania e Puglia (477 articoli), non disponibile nella rilevazione dell’anno precedente. Il totale degli articoli nelle regioni ordinarie risulterebbe, così, di 1.347 unità (1.824-477), superiore rispetto al 2006 di 506 unità (1.347-841), ma inferiore rispetto al dato delle regioni speciali del 2007 di 524 unità (1.871-1.347).
E alle medesime conclusioni si arriva passando all’analisi dei commi (v. tabella C). Anche in questo caso sono sempre le regioni speciali a registrare una dimensione maggiore: 5.031 contro 4.995, pari a 36 unità in più. Si tratta di un dato che nel 2006 (6) risultava quasi il doppio di quello delle regioni ordinarie: 5.305 contro 2.566 (anche se nella rilevazione 2006 mancavano il numero e le dimensioni dei regolamenti di Campania e Puglia).
Anche non considerando per il 2007 i dati di Campania e Puglia (1.440 commi), il totale dei commi nelle regioni ordinarie risulterebbe di 3.555 unità (4.995-1.440), superiore rispetto al 2006 di 989 unità (3.555-2.566), ma inferiore rispetto al dato delle regioni speciali del 2007 di 1.476 unità (5.031-3.555).
Infine, rispetto alla rilevazione, sia pure non completa, dei caratteri (v. tabella D), sono invece le regioni ordinarie a registrare una dimensione maggiore: 2.156.296 contro 1.560.413 caratteri. Occorre tener conto, però, che qui non sono conteggiati i caratteri dei numerosi regolamenti della provincia di Bolzano, che sicuramente avrebbero contribuito ad incrementare notevolmente il dato delle regioni speciali.
Ritornando al 2007 e considerando solo i dati delle regioni ordinarie, è possibile confrontare i dati dell’anno in esame anche con quelli a partire dal 2001. Dopo l’incremento costante degli anni 2001-2002-2003 con rispettivamente 101, 107 e 152 regolamenti e il decremento del 2004 con 96 regolamenti (7) si inizia nuovamente ad assistere – nel 2005 e nel 2006 (8) ad una lieve ripresa dell’utilizzo della fonte secondaria con, rispettivamente, 114 e 118 regolamenti, per arrivare ai 131 regolamenti del 2007.
Le esperienze maggiormente significative, in parte già messe in luce nei Rapporti degli anni precedenti, risultano essere quelle della regione Puglia che ricorre - a partire dal 2001 - in modo sempre più significativo alla fonte secondaria per arrivare - nel periodo di riferimento - a ben 28 regolamenti emanati, nonché della regione Toscana con 18 regolamenti, del Lazio con 16 e dell’Umbria e del Piemonte con, rispettivamente 13 e 12 regolamenti, con una leggera flessione rispetto al 2006, quando i regolamenti erano, rispettivamente 14 e 15.
Nelle altre regioni ordinarie - se si esclude il caso della regione Campania con 8 regolamenti - la produzione regolamentare si mantiene ancora bassa. Si passa, infatti, dai 6 regolamenti delle regioni Calabria e Liguria, ai 5 delle regioni Basilicata e Lombardia, ai 4 delle regioni Marche e Molise, ai 3 dell’ Abruzzo e all’unico regolamento del Veneto.
Infine, come si ricava sempre dalla tabella A, rimane sostanzialmente confermato il ricorso massiccio alla fonte secondaria nella regione Friuli Venezia Giulia e nelle due province autonome di Bolzano e Trento, con rispettivamente 125, 111 (9) e 21 regolamenti emanati nel 2007. Ai 13 regolamenti del Trentino-Alto Adige corrisponde, poi, il dato poco significativo delle regioni Valle d’Aosta e Sicilia (2 regolamenti) e Sardegna (un regolamento).

2.3. Il "peso" dei regolamenti sul totale della produzione normativa
Come già messo in luce nella rilevazione dell’anno precedente, il “peso” dei regolamenti deve essere letto in rapporto all’intera produzione normativa (leggi e regolamenti): rapporto che - solo se calcolato nelle dimensioni complessive (articoli, commi e caratteri) - permette di valutare il reale incremento della fonte secondaria.
Come avviene, ad esempio, in alcune regioni speciali e province autonome, il ricorso consistente alla fonte secondaria è inversamente proporzionale all’utilizzo della fonte legislativa. Ed è esattamente vero il contrario nelle regioni ordinarie, sia pure con qualche eccezione, dove la produzione regolamentare risulta di molto inferiore a quella delle leggi. Nel 2007, come già sottolineato, nelle regioni speciali, a fronte di 150 leggi, risultano emanati 275 regolamenti. Dato quasi analogo a quello dell’anno precedente, quando, a fronte di 140 leggi, risultavano emanati 245 regolamenti. Una situazione opposta si trova, invece, nelle regioni ordinarie che emanano, nel 2007, 506 leggi e 131 regolamenti, contro le 492 leggi e i 118 regolamenti del 2006.
Come risulta dalla tabella A e considerando le regioni nel loro insieme, la percentuale dei regolamenti sul totale della produzione normativa (leggi e regolamenti) è pari al 38,2 % (era del 36,5 % nel 2006). E’ pari, invece, al 64,7% nelle regioni speciali (era del 63,6% nel 2006) e al 20,6% nelle regioni ordinarie (era pari al 19,3 % nel 2006).
Considerando, però, l’ampiezza della produzione normativa - v. tabelle B, C e D - la percentuale va diminuendo.
Per quanto riguarda la percentuale dei regolamenti sul totale della produzione normativa (calcolata in articoli), questa è pari al 26,5 %. E’ pari, nelle regioni speciali, al 35,1% (48,6 % nel 2006), mentre nelle regioni ordinarie è del 21,2% (15,4% nel 2006, dato che non comprendeva le dimensioni degli atti di Campania e Puglia).
Per quanto riguarda, invece, il numero dei commi, la diminuzione risulta ancora più marcata. Nel 2007 la percentuale dei regolamenti sulla produzione normativa (calcolata in commi) è pari al 26,3 %: al 33,6 % nelle regioni speciali (nel 2006 era del 38,2%)e al 21,5 % nelle regioni ordinarie (nel 2006 era del 16,7%, dato che non comprendeva le dimensioni degli atti di Campania e Puglia).
Infine, per quanto riguarda la produzione normativa calcolata in caratteri - dato, comunque, non disponibile per tutte le regioni – il “peso” dei regolamenti è pari al 27,0 %: al 27,8 % nelle regioni speciali e al 26,4 % nelle regioni ordinarie.
Questo è dovuto al fatto che al di là del numero delle leggi - che in alcune regioni speciali e province autonome risulta di molto inferiore rispetto al numero dei regolamenti - quello che conta realmente è poi l’ampiezza della produzione normativa (articoli, commi e caratteri) che, nel 2007 e per alcune regioni in particolare, mostra una tendenziale diminuzione a mano a mano che si sceglie una unità di misura più dettagliata. Ad esempio, nella provincia autonoma di Bolzano, le 15 leggi e i 111 regolamenti emanati nel 2007 portano la percentuale dei regolamenti sul totale della produzione normativa all’88,1%, i 261 articoli di legge e i 244 articoli di regolamento la fanno scendere al 48,3 %, mentre i 614 commi di legge e i 780 commi di regolamento la fanno risalire al 56 %. Anche nella provincia di Trento si registra lo stesso fenomeno. Si passa, infatti, dalla percentuale del 46,7 % a quella del 35,4 %, del 34,3 % per arrivare al 27,9 %, a seconda che la percentuale si calcoli sul totale degli atti emanati o sul totale degli articoli, dei commi e dei caratteri. Non mancano, però, alcune eccezioni. Nel 2007, nella regione Trentino-Alto Adige, non solo in termini assoluti ma anche rispetto all’ampiezza degli atti, la percentuale dei regolamenti sul totale della produzione normativa va sempre aumentando. È, infatti, pari al 68,4 % se calcolata sul numero di leggi e regolamenti e, rispettivamente, del 75 % e dell’86,2 % se calcolata sul numero degli articoli e dei commi. E’ addirittura del 96,7 % se calcolata sui caratteri. Ma questo caso risente della particolarità di una regione in cui le funzioni legislative sono prevalentemente esercitate dalle due province autonome.
Anche nella maggior parte dei casi concernenti le regioni ordinarie - come messo in luce per le regioni speciali – la percentuale va diminuendo, ma non mancano casi in cui invece si registra un aumento. Diminuisce, ad esempio, nella regione Lazio, dove la percentuale del 37,2 % calcolata su 27 leggi e 16 regolamenti, diventa pari al 27,4 % se calcolata su 479 articoli di legge e 181 articoli di regolamento; è pari al 23,9 % se calcolata su 1.383 commi di legge e 434 commi di regolamento. Si mantiene sempre al 23,9 % se calcolata su 544.344 caratteri di legge e 170.682 caratteri di regolamento. Aumenta, invece, nel caso della regione Puglia dove passa dal 40,6 %, al 43,6 %, al 45,5 % e addirittura al 57,5 %, a seconda che la percentuale si calcoli sul totale degli atti emanati o sulle dimensioni (articoli, commi e caratteri). Ma anche il caso della Toscana è significativo. Si passa, infatti, dal 26,1 %, al 36,2 % e al 38,7 % a seconda che si tratti di valori assoluti, di articoli o di commi. Per tornare a diminuire se calcolata sui caratteri (36,7 %).

2.4. I regolamenti per macrosettori e per materie
I dati relativi alla classificazione dei regolamenti secondo i macrosettori e il profilo delle materie (v. tabella 13 dell’Appendice) mettono in luce che, su 362 regolamenti classificati (dei 406 regolamenti emanati non sono classificati 44 regolamenti di manutenzione della regione Friuli Venezia Giulia), i gruppi più numerosi sono quelli dei 117 regolamenti aventi ad oggetto i “servizi alla persona e alla comunità”, seguiti dai 115 regolamenti riguardanti il macrosettore dello “sviluppo economico e attività produttive”, dai 72 regolamenti del macrosettore inerente al “territorio, ambiente e infrastrutture”, dai 51 regolamenti del macrosettore “ordinamento istituzionale” e dai 4 regolamenti relativi alla “finanza regionale”. Vi sono, poi, 3 regolamenti classificati come multisettoriali.
Escludendo – al fine del confronto – dal totale del 2007 i dati delle regioni Campania (8 regolamenti) e Puglia (21 regolamenti) non pervenuti nella rilevazione per il 2006, risulterebbe il settore dello sviluppo economico quello con un numero maggiore di regolamenti (105), seguito dai settori relativi ai servizi (101), al territorio (64) e all’ordinamento istituzionale (49).
Confrontando questi ultimi dati con quelli del 2006 (10) ciò che emerge è il notevole incremento della produzione regolamentare nel macrosettore dello sviluppo economico che quasi raddoppia (nel 2006 erano, infatti, 63 regolamenti) e la – sempre significativa - concentrazione di regolamenti nel macrosettore dei servizi alla persona (nel 2006 erano 95). Diminuiscono – anche se di poche unità – i regolamenti afferenti al macrosettore del territorio (nel 2006 erano 75), così come quelli del macrosettore dell’ordinamento istituzionale (nel 2006 erano 52) e quelli relativi alla finanza regionale (nel 2006 erano 9). Resta, invece, invariato il numero dei regolamenti classificati come multisettoriali (3 regolamenti).
Al di là del dato numerico (con o senza i dati di alcune regioni), conta qui sottolineare alcune conferme rispetto a quanto già indicato nei precedenti Rapporti. Anche dai dati del 2007 - come messo in luce nella parte dedicata alle leggi - la regione si configura fondamentalmente come un soggetto di rilievo nei campi dello sviluppo economico e dei servizi e, all’interno dei macrosettori indicati, privilegia in modo più rilevante determinate materie. Si tratta di materie da sempre oggetto di disciplina degli enti territoriali: è come se questi ultimi si sentissero più forti nelle materie che storicamente sono state oggetto di loro competenze e meno sicuri nelle materie “nuove”, in quelle, cioè, ad esse attribuite con le ultime riforme costituzionali.
Sotto quest’ultimo profilo (v. sempre tabella 13 dell’Appendice), infatti, nel macrosettore “ordinamento istituzionale”, la produzione regolamentare interessa soprattutto la materia “personale e amministrazione” con 37 regolamenti. Un dato così significativo conferma ancora una volta quanto già evidenziato nei Rapporti sulla legislazione degli scorsi anni. La presenza di un ampio numero di regolamenti - circa il doppio rispetto al numero delle leggi (22) nella medesima materia (v. tabella 7 dell’Appendice) – si spiega con l’ampio processo di delegificazione di interi ambiti di normativa riguardante il personale che ha determinato l’abbandono della fonte primaria a favore di quella regolamentare (11). Pochi atti riguardano, poi, le materie “enti locali e decentramento” (4) e “organi della regione” (3). Infine, altri 7 regolamenti sono classificati nella voce “altro” nella quale sono inseriti i regolamenti relativi alle persone giuridiche private, al sistema statistico regionale e al difensore civico.
Nel macrosettore “sviluppo economico e attività produttive” emerge, con evidenza, il fenomeno già rilevato a proposito delle leggi: la maggior parte degli atti emanati dalle regioni riguarda la materia che sinteticamente può definirsi dello sviluppo rurale. Le materie “agricoltura e foreste” e “caccia, pesca e itticoltura” totalizzano, infatti, 41 regolamenti. Seguono, poi, il “turismo” con 19 regolamenti e il “commercio, fiere e mercati” con 16 regolamenti. Pochi sono i regolamenti in materia di “sostegno all’innovazione per i settori produttivi” (9), di “professioni” (4), di “ricerca, trasporto e produzione di energia” (3). Inoltre, si registra un solo regolamento, rispettivamente, in materia di “artigianato”, “industria” e “miniere e risorse geotermiche”. Infine, ben 20 regolamenti sono classificati nella voce “altro” che raggruppa la programmazione negoziata, la programmazione economica e il supporto e l’assistenza allo sviluppo locale.
Con attenzione al macrosettore del territorio, ambiente e infrastrutture, fanno la parte del leone le materie territorio e urbanistica con 20 regolamenti e la protezione della natura e dell’ambiente con 19 regolamenti. Altri 14 regolamenti riguardano, poi, le risorse idriche e la difesa del suolo, 13 le opere pubbliche, 5 i trasporti. Infine, solo un regolamento è classificato nella voce “altro” che qui è relativa agli usi civici.
Con particolare riguardo al macrosettore “servizi alla persona e alla comunità”, la produzione regolamentare interessa soprattutto le materie dei “servizi sociali” (29 regolamenti) e della “tutela della salute” (26 regolamenti), seguite dalla materia “istruzione scolastica” con 12 regolamenti. Pochi atti riguardano, poi, le materie “lavoro” (8), “formazione professionale” e “spettacolo” (entrambe 7), “sport” (6), “beni culturali” (5), “ricerca scientifica e tecnologica” (3), “alimentazione” (2) e “previdenza complementare e integrativa” (1). Altri 11 regolamenti sono classificati nella voce “altro” che comprende la sicurezza personale, la polizia locale, la tutela degli utenti e dei consumatori e il contrasto all’usura.
Infine, non appare significativa la distribuzione dei regolamenti tra le materie del macrosettore “finanza regionale”.
Se si confrontano i dati del 2007 con quelli del Rapporto dell’anno precedente, le tendenze qui evidenziate risultano confermate o con lievi oscillazioni per alcune materie.
Anche nel 2006 nel macrosettore ”ordinamento istituzionale” il numero più ampio di regolamenti – 39 – interessava la materia relativa al personale e all’amministrazione. Nel macrosettore “sviluppo economico e attività produttive” erano sempre i regolamenti inerenti alle materie dell’agricoltura e della caccia e pesca a totalizzare 26 regolamenti, seguite dal commercio con 15 regolamenti. Nel macrosettore “territorio, ambiente e infrastrutture” erano sempre il territorio e l’urbanistica con, rispettivamente, 18 e 17 regolamenti a fare la parte del leone. Infine, anche nel macrosettore “servizi alla persona e alla comunità” la presenza di un numero significativo di regolamenti – 20 – si rinveniva nel campo dei servizi sociali, seguiti da quelli classificati nella materia della tutela della salute (14 regolamenti).

2.5. Conclusione
All’analisi quantitativa sviluppata in precedenza segue, ora, una breve analisi delle tecniche formali e dei contenuti che caratterizzano gli atti regolamentari emanati nell’anno di riferimento.
Innanzitutto il dato quantitativo non deve essere letto in termini assoluti: concorrono, infatti, in modo rilevante all’incremento complessivo del dato il numero dei regolamenti emanati dalla regione Friuli Venezia Giulia e dalle due province autonome di Bolzano e di Trento che, in base ai loro statuti speciali, hanno da sempre riservato agli esecutivi la competenza ad adottare regolamenti di esecuzione e di attuazione soprattutto di leggi regionali e provinciali.
In alcuni casi si tratta di regolamenti di manutenzione - vale a dire di regolamenti di modifica e/o di integrazione di precedenti atti - alcune volte emanati nel corso dello stesso anno (12) o in un arco di tempo relativamente recente (13). La manutenzione degli atti normativi (leggi e regolamenti) non è di per sé un elemento negativo: è chiaro però che quando è ravvicinata nel tempo lascia pensare che forse non è stata prestata la dovuta attenzione all’analisi di “fattibilità” dell’atto in sede di predisposizione.
Vi sono, poi, una serie di regolamenti che possono, invece, essere considerati di “giusto” adeguamento alle trasformazioni ed alle riforme perchè intervengono a modificare atti emanati già da alcuni anni (14).
Nel 2007 i regolamenti di manutenzione sono 111 su 406, pari cioè al 27,3 % del totale: 22,1 % nelle regioni ordinarie (29 su 131) e 29,8 % nelle regioni speciali (82 su 275) (v. tabella E). Nel 2006, su 363 regolamenti, 105 erano di manutenzione e le percentuali quasi identiche – o con lievi oscillazioni – rispetto all’anno in esame. Al 28,9 % del totale corrispondeva il 22 % per le ordinarie e il 32,2 % per le speciali (15).
Gli interventi di manutenzione sono maggiormente diffusi nelle regioni che utilizzano la fonte secondaria in modo rilevante e costante nel tempo. Ad esempio, nella regione Friuli Venezia Giulia su 125 regolamenti emanati ben 44, pari al 35,2 % del totale, sono di manutenzione. Analogamente, nella provincia di Trento, su 21 regolamenti emanati 8, pari al 38,1 % del totale, sono di modifica di precedenti atti. Le medesime conclusioni valgono per alcune regioni ordinarie. Il Piemonte, ad esempio, su 12 regolamenti ne emana 4 di manutenzione, pari al 33,3 % del totale, mentre il Lazio su 16 regolamenti ne emana 5 di mera modifica, pari al 31,3 % del totale e così la Toscana che su 18 regolamenti, ne conta 5 di manutenzione, pari al 27,8 % del totale.
Accanto a questi regolamenti, di dimensioni ridotte in termini di articoli, di commi e di caratteri, non mancano però regolamenti attuativi di testi unici e di leggi di riordino settoriale - di materie o submaterie – che si caratterizzano per essere articolati in modo più ampio. In alcuni casi, tra l’altro, le leggi di riordino prevedono, per una serie di aspetti, numerosi rinvii ad attuazioni in sede regolamentare. Per citare solo qualche esempio, nel 2007, la regione Toscana ha emanato 6 regolamenti attuativi di disposizioni della legge regionale per il governo del territorio (16), la regione Umbria 2 regolamenti, rispettivamente, di attuazione della legge regionale di riordino della legislazione turistica (17) e della legge di riordino in materia di edilizia residenziale pubblica (18), la regione Marche un regolamento di attuazione del testo unico in materia di turismo (19) e la regione Friuli Venezia Giulia un regolamento di attuazione di disposizioni della legge regionale di disciplina dell’attività edilizia (20). Inoltre, in molti casi, i regolamenti sono attuativi di disposizioni di leggi settoriali che - pur non qualificandosi come vere e proprie leggi di riordino – rivestono, comunque, notevole rilevanza. Rientra, ad esempio, in quest’ultimo caso, il regolamento n. 2/2007 della regione Lombardia, emanato in attuazione della legge di disciplina del servizio civile (l.r. n. 2/2006).
Oltre che di leggi settoriali, i regolamenti sono spesso attuativi di disposizioni contenute nelle leggi finanziarie. Questo avviene soprattutto in quegli ordinamenti che adottano finanziarie “pesanti” con le quali si interviene su diversi settori di competenza regionale. Il caso più rilevante è rappresentato dalla regione Friuli Venezia Giulia che - almeno fino alla legge finanziaria per il 2007 - ha operato numerosi rinvii ad attuazione regolamentare di disposizioni legislative nell’ambito della manovra di bilancio. Per restare solo nell’anno di riferimento, la regione richiamata ha emanato ben 12 nuovi regolamenti in attuazione di disposizioni incluse nella l.r. n. 1/2007, riguardanti varie materie di intervento regionale (21).
In sporadici casi si ritrovano regolamenti contenenti normativa tecnica. Rientra in tale categoria il regolamento della regione Abruzzo n. 2/2007 che individua un primo elenco degli impianti di depurazione di acque reflue urbane destinate al riutilizzo.
A conferma di quanto già messo in luce nelle rilevazioni a partire dal Rapporto sulla legislazione per il 2002 (22) sempre poco significativo è il dato dei regolamenti attuativi di fonti comunitarie. Per citare solo qualche esempio, sono “vincolati” da norme comunitarie il decreto del presidente della provincia di Bolzano n. 41/2007, dettato in attuazione della direttiva CE n. 36/2005 relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali e il regolamento Puglia n. 22/2007, recante misure di conservazione e gestione delle zone di protezione speciale che formano la rete natura 2000 della regione, emanato in attuazione delle direttive CEE n. 409/1979 e n. 43/1992.
E’ sicuramente più significativo – anche se non più rilevante come in passato - il caso di attuazione di fonti, primarie e secondarie, statali. Oltre ai 5 regolamenti – nuovi e di manutenzione - attuativi del decreto legislativo n. 196/2003 (codice in materia di protezione dei dati personali) (23), per indicare solo qualche esempio, la regione Abruzzo ha approvato il già richiamato regolamento n. 2 in attuazione del decreto ministeriale (Ministero dell’ambiente) n. 185/2003, recante norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue; la regione Calabria ha definito, con regolamento n. 5/2007, le procedure per il rilascio, il rinnovo ed il riesame dell’autorizzazione integrata ambientale disciplinata dal decreto legislativo n. 59/2005, nonché ha dato applicazione, con regolamento n. 6/2007, a due disposizioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro del 1999 e del 2000 in ordine ai compensi del personale dirigenziale e non dirigenziale; la regione Campania ha disciplinato, con regolamento n. 1/2007, requisiti e procedure per l’accreditamento istituzionale dei soggetti pubblici e privati che erogano attività di assistenza specialistica in regime ambulatoriale, in regime di ricovero ed in regime residenziale, in attuazione del decreto legislativo n. 502/1992 e successive modificazioni; la regione Piemonte ha dettato, con regolamento n. 3/2007, ulteriori disposizioni in materia di procedimenti di concessione delle agevolazioni alle imprese per interventi di rilocalizzazione di attività produttive, ai sensi della legge n. 228/1997 e, infine, la regione Puglia, con tre regolamenti (n. 1, 2 e 3/2007), ha provveduto all’adeguamento di disposizioni della legge Bersani (n. 248/2006) in materia di insediamento delle strutture di vendita, effettuazione delle vendite straordinarie e modalità di organizzazione dei corsi professionali.
 
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NOTE
 
(1) I regolamenti delle giunte sono tutti emanati in base a competenza propria. Inoltre, 90 regolamenti sono stati emanati sentito il parere della commissione consiliare di settore (v. in Appendice, tabella 11). Dei 32 regolamenti del consiglio, 27 sono adottati in base a competenza propria, 5 in base a competenza delegata (v. in appendice, tabella 12). Più nel dettaglio, sulla produzione regolamentare dei consigli regionali, v. il par. 4.5 del capitolo su Consigli, giunte e funzione normativa, in questo Volume.
(2) Per l’anno in esame riveste tale caratteristica la deliberazione della giunta regionale n. 95/2007, recante adeguamento del regolamento di cui al comma 4 dell’art. 25 della l.r. n. 2/1995 (norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), modificata dalla l.r. n.1/2007 (disposizioni per la previsione del bilancio).
(3) Si tratta, in particolare, del regolamento n. 2/2007 concernente le operazioni di comunicazione e diffusione dei dati personali diversi da quelli sensibili e giudiziari di titolarità della giunta regionale e dell’AGREA, dell’Agenzia regionale di protezione civile, dell’Agenzia INTERCENT-ER e dell’IBACN.
(4) Cfr. I regolamenti regionali nel 2006, in Rapporto 2007 sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea, Roma, 2007, tabella A, p. 74.
(5) Cfr. I regolamenti regionali nel 2006, in Rapporto 2007, cit., tabella B, p. 76.
(6)Cfr. I regolamenti regionali nel 2006, in Rapporto 2007, cit., tabella C, p. 76.
(7) V. Focus sulla produzione normativa nella VII legislatura regionale, in Rapporto sullo stato della legislazione 2004-2005 tra Stato, Regioni e Unione europea, Roma, 2005, in particolare tabella 4, p. 116 ss.
(8) Cfr. I regolamenti regionali nel 2006, in Rapporto 2007, cit., tabelle A e A1, pp. 74-75.
(9) Dei 111 regolamenti emanati: 39 sono regolamenti formali (approvati con decreto del presidente della provincia) e 72 sono regolamenti sostanziali (approvati con deliberazione della giunta provinciale) recanti “criteri e direttive” per l’applicazione di leggi provinciali.
(10) Rapporto 2007, cit., in particolare tabella 13 dell’Appendice, p. 286 ss.
(11) Anche nel 2006 i regolamenti erano 39 e le leggi 27. In quella rilevazione, però, erano classificati nella voce “personale e amministrazione” 18 regolamenti attuativi del Codice sulla privacy.
(12) V., ad esempio, il regolamento Lazio n.11/2007, recante modifiche al regolamento n. 2/2007, contenente disposizioni relative alla verifica di compatibilità e al rilascio dell’autorizzazione all’esercizio di attività sanitaria e socio-sanitaria; il regolamento Piemonte n. 11/2007, recante modifiche al regolamento n. 3/2007, contenente disposizioni in materia di procedimento di concessione delle agevolazioni alle imprese per interventi di rilocalizzazione; i regolamenti Puglia n. 16/2007, di modifica al regolamento n. 11/2007, relativo alle attività in materia di spettacolo e n. 26/2007, contenente modifiche al regolamento n. 17/2007, relativo alle attività di divulgazione scientifica sul farmaco.
(13) V., ad esempio, il regolamento Abruzzo n. 1/2007, recante modifica al regolamento n. 3/2006, dettato in attuazione della l.r. n. 25/2001 concernente contributi per l’acquisto, recupero e costruzione della prima casa; il regolamento Puglia n. 21/2007, di modifica e integrazione al regolamento n. 20/2006, recante norme per la formazione, aggiornamento ed utilizzazione dell’Albo dei componenti il collegio tecnico designandi dell’autorità espropriante; il regolamento Umbria n. 6/2007, recante modifiche e integrazioni al regolamento n. 4/2006, relativo al trattamento dei dati personali, sensibili e giudiziari di componenti della giunta regionale, delle aziende sanitarie, degli enti ed agenzie regionali e degli enti vigilati dalla regione; il regolamento Veneto n. 1/2007, di modifica del regolamento n. 2/2006, relativo al trattamento di dati sensibili e giudiziari in attuazione del d.lgs. n. 196/2003 e il d.p.p. Trento n. 11-91/2007, di modifica al d.p.p. n. 18-71/2006, regolamento di esecuzione della l.p. n. 15/2005, recante disposizioni in materia di politica provinciale della casa.
(14) V., ad esempio, il regolamento Liguria n. 1/2007, di modifica del regolamento n. 4/2003, concernente i requisiti tecnici, igienico sanitari e di sicurezza degli impianti e delle attrezzature per l’esercizio di attività ginniche; il regolamento Piemonte n. 1/2007, recante modifiche al regolamento n. 11/2001, di disciplina dell’uso plurimo delle acque irrigue e di bonifica; il d.p.g.r. Toscana n. 46/2007, di modifica al regolamento emanato con d.p.g.r. n. 18/2001, in attuazione del Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo (l.r. n. 42/2000); il regolamento Umbria n. 3/2007, di integrazione al regolamento n. 39/1999, dettato in attuazione della l.r. n. 24/1999, recante disposizioni in materia di commercio.
(15) Cfr. I regolamenti regionali nel 2006, in Rapporto 2007, cit., tabella D, p. 80.
(16) Si tratta dei regolamenti nn. 2, 3, 4, 5, 6, 26/2007 emanati in attuazione della l.r. n. 1/2005.
(17) Si tratta del regolamento n.12/2007 emanato in attuazione della l.r. n. 18/2006.
18) Si tratta del regolamento n. 13/2007 emanato in attuazione della l.r. n. 23/2003.
(19) Si tratta del regolamento n. 2/2007 dettato in attuazione della l.r. n.9/2006.
(20) Si tratta del regolamento n. 296/2007 emanato in attuazione della l.r. n.5/2006.
(21) Più in particolare, si tratta di 2 regolamenti, rispettivamente, nelle materie relative alle casse di risparmio (d.p.reg. n. 88/2007 e d.p.reg. 97/2007), al turismo (d.p.reg. n. 139/2007e d.p.reg. n.169/2007), alle opere pubbliche (d.p.reg. n. 79/2007 e d.p.reg. n. 206/2007) e ai servizi sociali (d.p.reg. n. 326/2007 e d.p.reg. n. 352/2007); un regolamento, rispettivamente, nelle materie relative al personale e all’amministrazione (d.p.reg. n. 305/2007), agli enti locali e al decentramento (d.p.reg. n. 64/2007), ai consorzi di garanzia fidi (d.p.reg. n. 226/2007) e al territorio e all’urbanistica (d.p.reg. n. 160/2007).
(22) V., in particolare, tabelle 4b nell’Appendice ai Rapporti sulla legislazione 2002 (p. 377) e 2003 (p. 434).
(23) Si tratta dei regolamenti delle regioni: Emilia-Romagna n. 2/2007; Marche n. 1/2007; Umbria n. 6/2007; Veneto n. 1/2007; Sardegna n. 1/2007.
 



3. La qualità della legislazione: dal linguaggio degli atti normativi alla valutazione delle politiche (Aida Giulia Arabia)

3.1. Considerazioni introduttive
Il linguaggio della legge è afflitto da una grave malattia che, a sua volta, trae origine dall’effetto combinato di due fattori: inflazionelegislativa (troppe leggi) e inquinamentolegislativo (leggi scritte male). Questi assunti - entrambi validi per lo Stato - sono solo in parte veri per le regioni. Come messo in luce nei Rapporti sulla legislazione degli ultimi anni, infatti, si registra, da un lato e, in alcune regioni in modo più accentuato, una tendenziale diminuzione del numero delle nuove leggi emanate e, dall’altro, un impegno costante nel processo di semplificazione normativa che ha favorito, in alcune regioni in modo massiccio, la drastica riduzione delle leggi (e, in alcuni casi dei regolamenti) vigenti. Quanto invece alla buona redazione dei testi normativi, molto è stato fatto ma tanto ancora resta da fare. E’ prova di questo continuo bisogno di migliorare il linguaggio degli atti normativi l’ultima revisione delle Regole di drafting già utilizzate - formalmente o in via di prassi - da quasi tutte le regioni nella seconda versione del 2002. Come si legge nel Preambolo alla nuova versione del Manuale (dicembre 2007) - promossa dalla Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle regioni e delle province autonome con il supporto scientifico dell’Osservatorio legislativo interregionale e approvata dall’Assemblea plenaria della Conferenza il 18 febbraio 2008 (1) - la redazione dei testi normativi deve rispondere “a criteri di chiarezza, precisione, uniformità, semplicità, economia”. “Un testo normativo deve essere linguisticamente accessibile al cittadino”, evitando “formulazioni inutilmente complesse”. Massima attenzione deve essere data alla strutturazione generale, alla costruzione delle frasi, alla scelta delle parole: non per ideali estetici ma per assicurare “la qualità della legislazione e con essa il fondamentale principio della certezza del diritto”.
Come più volte evidenziato nei precedenti Rapporti, fare buone leggi non vuol dire solo utilizzare un linguaggio semplice, chiaro e “accessibile”; fare buone leggi vuol dire anche applicare altre regole che rendano il testo normativo di facile comprensione. Ad esempio, evitare di scrivere leggi dal titolo muto che pure si ritrovano in numero cospicuo negli ordinamenti regionali. Per restare solo ad alcuni casi del 2007 appartengono a tale categoria le leggi regionali nn. 8, 16, 21, 22 e 25 della regione Basilicata, ma anche le leggi regionali nn. 14, 16 e 30 della regione Calabria, le leggi regionali nn. 19 e 31 della regione Molise e la legge regionale n. 30 della regione Puglia. Interventi di modifica di leggi o di proroga di termini senza descrizione del contenuto della legge obbligano gli interessati (cittadini ed operatori) a fare una ricerca ulteriore per individuare la materia trattata (oggetto della modifica).
In un certo senso anche le leggi finanziarie “contenitore” sono leggi per definizione “mute”: come potrebbe, d’altra parte un titolo rappresentare tutti i contenuti di tale categoria di leggi? Naturalmente a questo si può ovviare con altri strumenti, quali ad esempio, l’articolazione in titoli e in capi e la presenza di un indice e di una rubrica per ogni articolo che sia effettivamente rappresentativa del contenuto dei relativi commi. Ma anche in quest’ultimo caso come potrebbe un titolo di un articolo di 100 e più commi essere rappresentativo di tutte le materie trattate?
Come si ricava, infatti, dal capitolo sulle leggi finanziarie per il 2007 (2), al di là del numero degli articoli, spesso contenuto (e rubricato), è il numero dei commi che in alcuni casi, in modo particolare, risulta decisamente sproporzionato. Mantiene il primato della legge più complessa la regione Friuli Venezia Giulia (con 10 articoli e 759 commi) ma anche i dati della regione Sardegna (con 37 articoli e 337 commi), della provincia autonoma di Trento (con 80 articoli e 296 commi) e della regione Lazio (con 74 articoli e 258 commi) non sono trascurabili.Nelle finanziarie così strutturate – che possono, tra l’altro, risultare contrarie al contenuto ammissibile delle finanziarie adottate, in particolare, da alcune regioni - si registra un ampliamento del contenuto “tipico” delle leggi in esame, disponendo esse anche su profili ordinamentali, organizzatori o microsettoriali. Un criterio per ridurre le finanziarie potrebbe essere la previsione di collegati che - come ormai da anni si verifica in alcune regioni - contribuiscono, da un lato, a snellire la legge finanziaria ma, a volte, anche ad appesantire l’ordinamento complessivo. Così sta avvenendo, ad esempio, nella regione Friuli Venezia Giulia dove, a seguito della prima applicazione della legge in materia di programmazione finanziaria e di contabilità regionale (l.r. n. 21/2007), la manovra di bilancio viene realizzata, per la prima volta, con 5 articoli e 20 commi (l.r. n. 31/2007 finanziaria per il 2008) e viene completata con una legge “strumentale” (l.r. n. 30/2007) di 8 articoli e ben 493 commi. Ma queste 8 disposizioni, anche se rubricate, come fanno a racchiudere il contenuto dei numerosi commi in cui si articolano? Quanto, poi, alle altre leggi finanziarie per il 2008 (3), il primato della legge più corposa passa dal Friuli Venezia Giulia alla provincia autonoma di Trento con 78 articoli e 315 commi ma anche altri dati non sono trascurabili. Ad esempio, altre due leggi finanziarie (Campania e Veneto) superano i 300 commi, tre superano i 200 (Sardegna, Lazio e Valle d’Aosta), due i 100 (Basilicata e Marche).

3.2. La manutenzione normativa
Un altro indice per misurare la “buona” qualità delle leggi è valutare il ricorso alla tecnica delle novelle.
Infatti, le cosiddette leggi di manutenzione normativa se, da un lato, rispondono all’esigenza di coordinare le vecchie regole, che continuano a far parte dell’ordinamento giuridico, con le nuove, che costantemente vengono in esso introdotte, dall’altro, proprio per il loro frequente utilizzo - in tempi ravvicinati e spesso con interventi ripetuti sulla stessa legge - diventano, di fatto, un elemento di “inquinamento” della legge ma anche dell’intero complesso normativo.
Spesso, poi, la manutenzione riguarda leggi emanate nel corso dell’anno o in tempi relativamente recenti – fenomeno comune tanto alle regioni ordinarie quanto alle regioni speciali - il che porta a riflettere sull’insufficiente attenzione prestata alla fattibilità di una legge in fase di predisposizione del testo (4).
E non solo. La manutenzione degli atti normativi avviene, spesso, anche in sede di legge finanziaria o di leggi di settore generando, sempre di più, grandi difficoltà nell’individuare la legge nel testo effettivamente vigente.
Nel 2007, su 656 leggi emanate, 396 sono testi nuovi, 157 sono novelle e 94 sono leggi redatte secondo tecnica mista (v. tabella A). Le leggi di manutenzione sul totale delle leggi emanate sono pari al 24%: al 25,9% nelle regioni ordinarie e al 17,4% nelle regioni speciali. Si registra, quindi, una diminuzione delle novelle rispetto al 2006 (5), quando su 632 leggi emanate, 392 erano testi nuovi, 175 erano novelle e 65 erano testi redatti secondo tecnica mista. Le leggi di manutenzione sul totale delle leggi emanate erano, allora, pari al 27,7%: al 30,5% nelle regioni ordinarie e al 17,9% nelle regioni speciali. Nel 2007, tra le regioni ordinarie è in testa la regione Toscana con il 41,2 %, ma anche il dato delle regioni Abruzzo, Umbria, Marche e Basilicata non è trascurabile (rispettivamente, 35,4 %, 31,6 % e 30% per le ultime due regioni). Tra le regioni speciali è la provincia autonoma di Trento a registrare la percentuale più alta (29,2%), seguita dalla provincia di Bolzano con il 26,7% e dalla Valle d’Aosta con il 26,5% (6).
Superare il fenomeno dell’eccessiva proliferazione di leggi di manutenzione dovrebbe essere un altro obiettivo per migliorare la qualità delle singole leggi ma anche dell’intero complesso normativo. Come già messo in luce nel Rapporto dell’anno precedente, una strada da percorrere per arginare il fenomeno – che contribuirebbe, tra l’altro, anche ad alleggerire il peso di alcune leggi finanziarie, spesso contenenti numerosi interventi di modifica testuale di leggi – potrebbe essere quella della legge annuale di manutenzione generale o settoriale. Hanno optato per la prima soluzione la regione Valle d’Aosta (leggi regionali nn. 3 e 34) e la provincia di Bolzano (l.p. n. 6) che anche per il 2007 sono intervenute a modificare con unica legge numerose leggi in vari settori. Inoltre, la legge n. 3/2007 della Valle d’Aosta è molto interessante perché, oltre alla manutenzione della normativa (capo I), è dedicata all’adeguamento della normativa regionale alla disciplina statale in materia di liberalizzazioni (capo II). Infine, anche la regione Toscana con la l.r. n. 40/2007 ha operato una forte manutenzione dell’ordinamento modificando una serie di leggi e di altre disposizioni relative a materie di intervento regionale, anche se nello stesso anno ha emanato altre 20 leggi di manutenzione di altrettante leggi regionali in vari settori. La mancata riduzione del numero delle leggi “manutentive” – come si legge nel Rapporto sulla legislazione 2007 della regione richiamata – potrebbe essere dovuta al fatto “che la legge è stata approvata nella seconda metà dell’anno (luglio 2007)” e non sia, dunque, riuscita “ad intercettare quelle leggi di modifica predisposte precedentemente”; oppure potrebbe ipotizzarsi “che la nuova tipologia” (legge annuale di manutenzione) “ha fatto emergere modifiche di piccola entità che, non riuscendo a trovare dignità di legge, erano state sempre rinviate” (7).
Accanto alle esperienze della legge generale di manutenzione, altre regioni, oltre ad utilizzare singole leggi per modificare la normativa vigente in una data materia, operano la manutenzione del sistema con le leggi finanziarie, con quelle di assestamento del bilancio o con le cosiddette leggi collegate alla manovra di bilancio. Le leggi finanziarie per il 2007 e per il 2008 - per alcune regioni in modo massiccio - contengono tutte modificazioni testuali di altre leggi. Per alcune di esse, poi, è il caso della provincia di Trento, la scelta di una legge disomogenea all’anno (quale appunto la finanziaria) è addirittura da “preferire” a più leggi disomogenee, magari dal contenuto parzialmente sovrapponibile e con più disposizioni autonome. Questo anche per economia procedurale (meno sessioni dedicate, più tempo per esaminare provvedimenti con oggetto definito) (8).
Per quanto riguarda i provvedimenti collegati, la regione Veneto, ad esempio, ne ha emanati 4 (leggi regionali nn. 20, 21, 22 e 23/2007), dettando disposizioni di riordino e semplificazione normativa – sia con norme nuove sia con numerose novelle – rispettivamente in materia di difesa del suolo, lavori pubblici e ambiente; imprenditoria, flussi migratori, attività estrattive, acque minerali e termali, commercio, artigianato e industria; personale, affari istituzionali e rapporti con gli enti locali; sociale, sanità e prevenzione. E così ha fatto la regione Lombardia che, con 3 leggi collegate, ha emanato disposizioni per l’attuazione della programmazione regionale, nonché modifica e integrazione di disposizioni legislative (l.r. n. 5); disposizioni in materia di opere pubbliche e di edilizia residenziale pubblica (l.r. n. 6) e disposizioni in materia di attività sanitaria e socio-sanitarie (l.r. n. 8). Quest’ultima legge opera una forte semplificazione amministrativa (abolendo una serie di certificazioni, di autorizzazioni ed adempimenti superati dalla normativa comunitaria), nonché una cospicua manutenzione dell’ordinamento in materia. Inoltre, anche nel primo provvedimento di variazione del bilancio (l.r. n. 18), sono presenti numerose modifiche di leggi regionali. Infine, anche nel collegato ordinamentale alla manovra finanziaria per il 2007 (l.r. n. 9/2007) della regione Calabria si rinvengono, per diverse materie, numerose modificazioni di leggi e di singole norme (nonché numerose abrogazioni).
La manutenzione non passa, dunque, solo attraverso le leggi di mera modifica ma, spesso, è molto significativa in altri provvedimenti. Come si legge, ad esempio, nel Rapporto sulla legislazione 2007 della regione Marche, nell’anno in esame su 20 leggi regionali emanate 12 hanno modificato ben 91 leggi, di cui 20 con la l.r. n. 4 di disciplina del Consiglio delle Autonomie locali. Con due leggi finanziarie (leggi regionali nn. 2 e 19/2007), poi, sono state modificate 37 leggi; con la legge di assestamento del bilancio (l.r. n. 14/2007) altre 19. Infine, altre 8 leggi (9), di cui 6 classificabili di manutenzione normativa, hanno apportato modifiche o integrazioni ad altre 15 leggi (10). La medesima analisi è presente anche nel Rapporto sulla legislazione 2007 della regione Lombardia. Come si evince dalla tabella I.23 – lì riportata – con riferimento alle sole leggi del 2007, 4 di esse (leggi regionali nn. 5, 15, 19 e 33) - di cui solo due classificabili di manutenzione normativa (leggi regionali nn. 5 e 33) - hanno modificato ben 70 leggi regionali (11). Questo conferma che il dato delle leggi di manutenzione è puramente indicativo di un fenomeno che, per essere studiato nella sua complessità, necessità di essere integrato con l’analisi di tutte le leggi “modificatrici” e del numero delle leggi modificate.

3.3. La semplificazione normativa e il riordino
Prosegue negli ordinamenti regionali – forse in modo più significativo che nell’ordinamento statale – l’impegno a realizzare obiettivi di semplificazione e di riordino normativo.
Anche nel 2007 si è manifestato l’impegno a combattere l’inflazione e la stratificazione delle leggi nel tempo, soprattutto attraverso le leggi regionali di settore, i testi unici, le leggi finanziarie e i collegati che includono con più frequenza abrogazioni esplicite (totali o parziali) di leggi e regolamenti in luogo di formule “generiche” di abrogazione che rendono difficile a cittadini ed operatori l’individuazione della regola da applicare. L’uso di abrogazioni “innominate” - tanto diffuso in passato - è però ancora presente in alcuni ordinamenti regionali. Ad esempio, la l.r. n. 3 della regione Campania (art. 87, co. 3), di disciplina dei lavori pubblici, dei servizi e delle forniture, contiene - dopo l’abrogazione testuale di una legge e le modifiche di altre disposizioni - una clausola di abrogazione implicita; parimenti, la l.r. n. 6 della regione Puglia (art. 12, co. 3), recante norme sull’autonomia organizzativa, funzionale e contabile del consiglio regionale, abroga “le disposizioni recate da leggi e regolamenti incompatibili” con la nuova disciplina.
Per il 2007 merita segnalare l’assenza di leggi di semplificazione legislativa e/o normativa (plurisettoriale o settoriale); questo è anche un po’ fisiologico, dato il notevole intervento nell’opera di “disboscamento” – almeno in alcune regioni – monitorato nei Rapporti degli anni precedenti ed evidente dai dati riportati nella tabella B1. Dove il totale delle leggi abrogate risulta essere molto alto sono evidenti ponderosi interventi abrogativi: ad esempio, in Lombardia su 2.021 leggi emanate sono state formalmente abrogate 1.378 leggi; in Piemonte su 1.884 ne sono state abrogate 1.037; in Toscana su 2.747 1.816; in Veneto su 1.922 1.155; in Valle d’Aosta su 2.642 1.726. Un po’ meno significativi – se si escludono i casi di Piemonte, Toscana, provincia autonoma di Trento (12) e Valle d’Aosta – sono gli interventi abrogativi sui regolamenti.
Nell’anno in esame si registra la presenza di alcune leggi classificate di abrogazione generale, non perché intervengono in modo massiccio a “ripulire” l’ordinamento di norme “desuete”, ma perchè si limitano esclusivamente alla “cancellazione” di alcune di esse. Sono così classificate: la l.r. n. 6 della regione Calabria che abroga 3 leggi (la l.r. n. 3/1978 istitutiva dei Dipartimenti e della Commissione per il Piano di sviluppo regionale, nonchè le successive leggi di modifica) e la l.r. n. 13 della regione Umbria che abroga 4 leggi (la l.r. n. 14/1998 di approvazione del regolamento interno del consiglio regionale, nonché le successive modifiche e integrazioni).
Nel 2007, su 656 leggi approvate sono state abrogate 313 leggi per intero (v. tabella B), alcune partizioni (interi capi) e numerose disposizioni e di esse il numero maggiormente significativo si rinviene soprattutto nell’ambito delle leggi di riordino e/o in leggi settoriali di notevole rilevanza e nei testi unici. Tale fenomeno conferma quanto già messo in luce nel Rapporto relativo al 2006, quando su 632 leggi emanate erano state abrogate, sempre con prevalenza nell’ambito delle tipologie delle leggi suindicate, 449 leggi per intero (13). Nella regione Friuli Venezia Giulia, ad esempio, la l.r. n. 9/2007, di riordino in materia di risorse forestali, abroga espressamente 10 leggi e numerose singole disposizioni di leggi regionali attinenti alla materia richiamata. Ma anche la l.r. n. 19/2007 della regione Lombardia, legge settoriale di notevole rilevanza in materia di istruzione e formazione, contiene cospicue abrogazioni di leggi (8), di regolamenti (4) e di disposizioni interessanti le materie in esame.
Naturalmente le abrogazioni sopraindicate non includono le abrogazioni “condizionate”, che pure risultano, in alcune regioni in particolare, molto numerose. Ad esempio, nella provincia autonoma di Trento, la l.p. n. 11/2007 - di riordino del governo del territorio forestale e montano, dei corsi d’acqua e delle aree protette - ha previsto la cessazione degli effetti di 4 leggi (2 statali e 2 regionali recepite nell’ordinamento), nonché l’abrogazione di 14 leggi provinciali e numerose intere parti e disposizioni di altre leggi, con effetto dalle date indicate dai regolamenti previsti dalla legge medesima. E così fa la l.p. n. 15/2007 – di riordino della disciplina delle attività culturali – che abroga una legge con effetto dall’entrata in vigore della legge medesima nonché 7 leggi e numerose altre disposizioni con effetti dalla data stabilita dai regolamenti. Inoltre, non sono trascurabili le indicazioni delle regioni Lazio, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Sardegna e Piemonte che segnalano, rispettivamente, 18, 10, 9, 8 e 5 abrogazioni differite di leggi (e anche di articoli) a data certa o condizionate al verificarsi di un evento.
Anche se in alcune regioni il ricorso alle leggi di riordino è ancora un intervento occasionale e non sistematico: nel 2007 (v. tabella C) su 656 leggi emanate 33 leggi (pari al 5 % del totale) sono da ricondurre a tale tipologia: il 14,7% sul totale di quelle emanate nelle regioni speciali (150 leggi e 22 di riordino) e il 2,2 % sul totale di quelle emanate nelle regioni ordinarie (506 leggi e 11 di riordino). Si registra, dunque, rispetto al 2006 una flessione del dato quando, su 632 leggi emanate, 50 – pari al 7,9 % del totale - erano leggi di riordino: il 18,9% sul totale delle leggi emanate nelle regioni speciali e il 4,9% sul totale di quelle emanate nelle regioni ordinarie (14). Il dato maggiormente significativo del 2007 risulta essere quello delle due province autonome, dove sembra prevalere maggiormente l’impegno a disciplinare o a ridisciplinare in modo completo e con unica legge una data materia. Più nel dettaglio, le leggi di riordino nella provincia di Bolzano sono il 33,3% del totale delle leggi emanate (5 su 15), nella provincia di Trento il 25% (6 su 24).
Resta sempre poco significativo, così come già segnalato nei Rapporti degli anni precedenti, il ricorso ai testi unici. Nell’anno in esame ne sono stati approvati quattro: 2 dalla regione Liguria e 2 dalla regione Lombardia. Per la prima regione richiamata si tratta della l.r. n. 1/2007, testo unico in materia di commercio, e della l.r. n. 25/2007, testo unico in materia di trasporto di persone mediante servizi pubblici non di linea. Per la seconda regione si tratta della l.r. n. 15/2007, testo unico in materia di turismo, che abroga 7 leggi regionali per intero e numerose disposizioni di altre leggi regionali in materia, e della l.r. n. 16/2007, testo unico delle leggi regionali in materia di parchi, che abroga 53 leggi regionali e numerose altre disposizioni. Al testo unico richiamato è seguita, nel 2008, l’emanazione del testo unico in materia di volontariato, cooperazione sociale, associazionismo e società di mutuo soccorso (l.r. n. 1), che ha riorganizzato le norme che si trovavano sparse in cinque leggi regionali, accorpandole e, quindi, abrogandole insieme ad altre disposizioni sparse in varie leggi che disciplinavano le materie indicate. La legge costituisce il quarto testo unico (ai due richiamati del 2007 è da aggiungere la l.r. n. 29/2006, testo unico in materia di circoscrizioni comunali), l’ultimo ad essere predisposto dopo l’entrata in vigore della l.r. n.7/2006 che, al fine del riordino e della semplificazione della normativa regionale vigente, ha disciplinato le modalità e le procedure per la redazione e l’approvazione di testi unici (che devono essere compilativi e ricognitivi della normativa esistente e non possono avere contenuti innovativi).
Infine, sempre con l’obiettivo dell’alleggerimento e della semplificazione del corpus normativo, continua ad essere presente nella legislazione regionale e, in modo più marcato, nelle leggi di riordino settoriale, la tendenza a rinviare a successivi atti non legislativi di giunta e di consiglio. Tale tendenza era già stata rinvenuta in modo significativo – negli anni più recenti – in alcuni ordinamenti regionali e già evidenziata nel Rapporto dell’anno precedente (15). Oltre alla regione Emilia-Romagna, che riferisce la presenza – anche se in calo nella legislatura attuale rispetto alla precedente – di numerosi rinvii ad atti della giunta, dell’assemblea, o più genericamente della regione nelle leggi di riordino (16), il fenomeno richiamato è messo in luce anche dalla regione Marche nel Rapporto sulla legislazione 2007, dove si legge che “la riduzione dell’attività legislativa va, anche, riconnessa al sempre più frequente rinvio da parte del legislatore regionale ad atti di giunta per la disciplina di indirizzi, procedure, criteri, che in precedenza venivano, invece, stabiliti con legge” (17). Infine, la regione Abruzzo, proprio in vista della consistente mole di atti attuativi di giunta da adottare – solo 15 leggi del 2007 ne prevedono 75 – sottolinea l’urgenza dell’applicazione dell’art. 25, co. 1, dello Statuto, che attribuisce alla Commissione consiliare di Vigilanza “la valutazione sull’attuazione degli atti normativi” soprattutto al fine di rendere concreto l’esercizio “della funzione di controllo di cui il consiglio è titolare in una forma di governo presidenziale” (18).
Nelle leggi regionali del 2007 - così come sottolineato per il 2006 (19) - gli atti non legislativi cui il legislatore rinvia maggiormente sono quelli di giunta (20): su 656 leggi emanate, 290, pari al 44,2% del totale, prevedono l’adozione di atti dell’esecutivo, mentre solo 65, pari al 9,9% del totale, riguardano l’adozione di atti del consiglio (21). Il numero totale degli atti di giunta da emanare è pari a 1.189 (22) mentre quelli di consiglio ammontano a 101 (v. tabelle D ed E).
Naturalmente anche in questo caso le differenze tra regioni risultano sostanziali. Tra le regioni ordinarie, ad esempio, Lombardia e Lazio sono in testa con, rispettivamente, 105 e 92 atti di giunta da adottare, ma anche il numero degli atti da emanare delle regioni Abruzzo, Emilia-Romagna, Liguria, Piemonte, Puglia e Veneto non è trascurabile. Tra le regioni speciali, invece, il dato più rilevante è quello delle regioni Sardegna, Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta con, rispettivamente, 208, 122, e 119 atti di giunta da emanare. Quanto, infine, agli atti di consiglio, il dato più significativo è quello della regione Lombardia con 22 atti da adottare, seguito dal Piemonte con 17 atti, dall’Umbria con 14 e dalla Liguria con 10.

3.4. La valutazione delle leggi e delle politiche
 
La buona redazione, la semplificazione e la razionalizzazione della normativa sono, come messo in luce in precedenza, obiettivi in parte realizzati, in parte da perseguire e, comunque, inseriti nella agenda politica di quasi tutte le regioni. Gli strumenti sopra ricordati da soli non bastano: a supporto della funzione legislativa e della funzione di indirizzo e controllo andrebbero adottati in modo più generalizzato altri e nuovi strumenti diretti, da un lato, a “comprimere” il ricorso ad ulteriori atti di difficile applicazione e, dall’altro, a valutare gli effetti delle politiche promosse con gli interventi legislativi.
Il problema delle ricadute applicative delle leggi è, ad esempio, ancora poco affrontato (23) e questo sicuramente per una serie di difficoltà oggettive: la quasi generale assenza di “dialogo” tra giunta e consiglio, ad eccezione di alcune realtà regionali (24) dove, invece, la collaborazione è molto proficua e si manifesta, a volte, con intese, accordi formali e costituzione di gruppi di lavoro tra funzionari dell’esecutivo e del legislativo, a volte, con scambi di informazioni e di documentazione; l’inadeguatezza soprattutto quantitativa del personale delle strutture amministrative preposte alla valutazione preventiva (e successiva); la scarsità di risorse economiche necessarie a fornire i supporti strutturali e sostanziali necessari allo svolgimento dell’attività; la mancata coincidenza dei tempi di elaborazione dell’analisi preventiva di fattibilità con i tempi della politica.
La verifica della fattibilità di un progetto di legge è stata oggetto di studio di molte Commissioni incaricate dell’elaborazione delle nuove Carte statutarie. Come messo in luce nel Rapporto precedente, negli statuti di alcune regioni (ad esempio, Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Toscana e Umbria) numerose disposizioni riguardano l’analisi preventiva dei progetti di legge ai fini della valutazione della congruità e degli effetti dell’intervento. Da ultimo, anche nel testo della deliberazione legislativa statutaria della Lombardia – approvata in seconda lettura dal consiglio regionale nella seduta del 14 maggio 2008 – all’art. 44, co. 2, si legge che “la legge regionale stabilisce i casi nei quali i testi normativi sono accompagnati da una relazione sull’analisi tecnico-normativa del testo e sull’impatto della regolazione proposta” da trasmettere al Comitato paritetico di controllo e valutazione disciplinato all’art. 45 della deliberazione statutaria richiamata.
Sono, invece, ampiamente diffusi – a volte nelle schede per l’istruttoria legislativa di leggi di particolare rilevanza, a volte in via informale durante l’analisi tecnico-normativa curata dagli uffici legislativi prima dell’assegnazione dei progetti di legge alla commissione consiliare competente – controlli sulla coerenza ai principi dell’ordinamento costituzionale e, in particolare, a quelli contenuti nel Titolo V della Costituzione (25); controlli sulla coerenza normativa rispetto alla restante disciplina normativa regionale e rispetto alla legislazione nazionale di principio (26); controlli sulla coerenza economico-finanziaria nel caso che il progetto di legge preveda oneri a carico del bilancio regionale (27). Da ultimo, in Emilia-Romagna, il nuovo regolamento interno (28) ha previsto per i progetti di legge, su richiesta del presidente, sentiti i vicepresidenti e i relatori, la scheda tecnico-normativa (art. 47) e per i progetti di legge che comportano conseguenze economiche la scheda tecnico-finanziaria (art. 48). Inoltre, l’art. 49 ha stabilito, per i disegni di legge che ridisegnano politiche complesse, la realizzazione, su richiesta dei presidenti delle commissioni competenti, di studi di fattibilità volti ad accertare i seguenti profili: “definizione degli obiettivi dell’intervento e valutazione della congruità dei mezzi per conseguirli; destinatari degli interventi anche con riferimento all’impatto di genere; analisi delle conseguenze economiche derivanti dalle misure proposte; verifica della copertura amministrativa e della congruità dei tempi previsti per l’attuazione delle norme e dei termini da esse stabiliti; relazione e possibili effetti sulle competenze e sull’operatività delle province e dei comuni”. Infine, l’art. 50 è dedicato al controllo sull’attuazione delle leggi e, in particolare, all’istituto della clausola valutativa. Istituto al quale la regione richiamata ricorre – v. di seguito nel testo – già dal 2001. Infine, anche la legge statutaria regionale n. 17/2007 della regione Friuli Venezia Giulia ha previsto (artt. 7 e 8, co. 1, lett. k) ) che il consiglio eserciti il controllo sull’attuazione delle leggi e promuova la valutazione degli effetti delle politiche regionali. A tal fine, è disciplinato anche il ricorso alle clausole di valutazione da inserire nei progetti di legge.
E’, dunque, alla valutazione delle leggi (e delle politiche) che, nel periodo più recente, viene riservata una attenzione particolare. Nell’ultimo periodo, infatti, in alcune regioni in modo più significativo, incominciano a consolidarsi meccanismi che favoriscono la valutazione degli effetti prodotti sui destinatari delle norme introdotte e si individuano strumenti, tempi e modalità di controllo dell’attività e della valutazione dell’efficacia di un intervento normativo.
Un valido strumento è, come da anni si sottolinea, quello della clausola valutativa: specifico articolo di legge attraverso il quale si dà mandato informativo ai soggetti incaricati dell’attuazione della legge di produrre, elaborare e comunicare all’organo legislativo una serie di informazioni selezionate per conoscere tempi e modalità di attuazione e per valutare le conseguenze che sono scaturite per i destinatari diretti dell’intervento e per l’intera collettività regionale. Le clausole, pertanto, sono inserite solo nelle leggi che attuano politiche complesse e, soprattutto, nei casi in cui il controllo dei legislatori risulti necessario (ad esempio, nelle leggi che assegnano ingenti risorse finanziarie).
Apre la strada all’istituto della clausola valutativa la regione Emilia-Romagna (2001), immediatamente seguita dalla Toscana (2002), dal Piemonte e dall’Abruzzo (2003), dal Friuli Venezia Giulia, dall’Umbria e dalla Basilicata (2005), dalla Campania e dalla Lombardia (2006), per arrivare, nel 2007, anche alla Puglia. A partire dalle date indicate, nelle leggi più rilevanti di quasi tutti gli anni, i consigli delle regioni richiamate inseriscono questo nuovo strumento di controllo.
Nel 2007, 20 leggi regionali (di 8 regioni) contengono clausole valutative (v. tabella F), contro le 21 del 2006 (29).
Inoltre, le regioni - alcune delle quali in modo costante - prevedono già da tempo e, anche in questo caso nelle leggi di notevole rilevanza, altre “formule” per consentire il controllo e il monitoraggio degli effetti da esse prodotti. Si passa da relazioni che la giunta deve presentare al consiglio - contenenti informazioni sullo stato di attuazione degli interventi - all’istituzione di organismi variamente denominati (consulte, comitati, conferenze, osservatori) con finalità di monitoraggio e, spesso, anche di vigilanza sull’applicazione degli interventi. In molti casi, però, queste relazioni – vaghe e generiche – sono risultate di scarsa utilità all’instaurazione di un serio processo conoscitivo.
Nel 2007, dato peraltro simile a quello del 2006, altre 14 leggi regionali prevedono, poi, altre formule di valutazione. In queste ultime – per citare solo qualche esempio - si parla di relazioni periodiche che la giunta deve presentare al consiglio (es. l.r. Calabria n. 20/2007; leggi regionali della Liguria nn. 7, 21 e 30/2007; leggi provinciali di Trento nn. 17 e 22/2007; leggi regionali della Sardegna nn. 7, 8 e 12); di relazione illustrativa che il Presidente della regione presenta all’Assemblea (es. l.r. Molise n. 20/2007); di rapporti di monitoraggio e/o di valutazione (es. l.r. Emilia-Romagna n. 17/2007, l.r. Liguria n. 22/2007, l.r. Toscana n. 30/2007).
Infine, sono da segnalare i casi delle regioni Abruzzo, Marche e Toscana, che hanno incluso formule di valutazione (monitoraggio e relazione annuale) in deliberazioni di giunta e di consiglio regionale. In particolare, si tratta per l’Abruzzo della deliberazione di giunta di approvazione del Piano sanitario 2008-2010 (30); per le Marche della deliberazione del consiglio di approvazione del Piano sanitario regionale 2007-2009 (31); per la Toscana di due deliberazioni del consiglio, relative all’approvazione del Piano regionale delle attività estrattive (32) e del Piano regionale di azione ambientale 2007-2010 (33).
A partire dal 2005, le strutture di alcune assemblee legislative (Ufficio “Analisi leggi e Politiche regionali” della Lombardia, Settore “Analisi della normazione” della Toscana e, da ultimo, Ufficio “Analisi delle leggi e valutazione delle politiche regionali” del Friuli Venezia Giulia) hanno avviato la pubblicazione periodica di “Note informative” sull’attuazione delle politiche regionali. Si tratta di documenti sintetici - elaborati a partire dalle informazioni contenute nelle relazioni predisposte dagli uffici della giunta - che descrivono i risultati ottenuti e le difficoltà emerse nella fase di implementazione degli interventi regionali e, in alcuni casi, ipotizzano anche approfondimenti da sviluppare nelle relazioni periodiche di giunta. Più nel dettaglio, sono state emanate 6 Note informative nel 2005 (3 Lombardia e 3 Toscana), 8 note informative nel 2006 (4 Lombardia e 4 Toscana), 5 note informative nel 2007 (2 Lombardia, 2 Friuli Venezia Giulia e 1 Toscana), relative all’attuazione di altrettante leggi regionali (34).
Inoltre, alcuni consigli regionali hanno introdotto - già da alcuni anni – un nuovo strumento diretto al controllo sull’attuazione delle leggi e la valutazione degli effetti delle politiche. Si tratta della missione (ricerca) valutativa - richiesta da una singola commissione o da un numero minimo di consiglieri che diventano, così, essi stessi, al di fuori del processo legislativo, promotori e committenti di un’attività di controllo e valutazione - che può precedere l’attività informativa, di solito a lungo termine, generata dalle clausole – perché magari fatti nuovi o inaspettati fanno sorgere la necessità di approfondire aspetti che la legge non aveva previsto - o essere richiesta per quelle leggi che non contengono alcuna formula di valutazione. Per citare solo qualche esempio, la regione Toscana ha presentato, a fine 2007 e nel corso di un seminario pubblico, i risultati della ricerca valutativa (affidata all’IRPET) sulla l.r. n. 39/2004, che detta interventi a favore dei comuni disagiati e montani. Il seminario – che ha visto la partecipazione di amministratori, consiglieri regionali e rappresentanti degli enti locali – è stato soprattutto l’occasione per avviare la discussione con i soggetti coinvolti nell’attuazione della legge, al fine della valutazione delle politiche presso il consiglio regionale.
Infatti, dall’elaborazione dei documenti riguardanti la valutazione degli effetti delle leggi dovrebbe scaturire proprio l’apertura del dibattito politico. E’ solo dal confronto e dalla discussione che si potrà avere un legislatore “migliore” e in grado di rettificare errori e superare le difficoltà applicative emerse. Inizia timidamente a manifestarsi la presentazione - e, a volte, la discussione - dei documenti “per la valutazione” alle commissioni competenti in materia. In alcuni casi – ad esempio, Emilia-Romagna e Piemonte (35) - questi documenti sono accompagnati da report, schede di lettura e approfondimenti inerenti le clausole valutative e, in particolare, le ragioni che hanno portato alla formulazione dei quesiti valutativi. Sempre per restare all’anno di riferimento, la regione Toscana ha presentato alle commissioni due Note informative sull’attuazione delle politiche regionali (36). In Veneto, l’Osservatorio sulla spesa regionale – istituito presso la commissione competente in materia di bilancio con il compito di monitorare e verificare gli effetti diretti e indiretti delle leggi di spesa – ha presentato i suoi lavori in commissione e, come ormai avviene dal 2001, l’attività della struttura si è concentrata nella raccolta ed elaborazione di informazioni dirette a comprendere lo stato dell’attuazione delle norme, il ruolo e le reazioni degli attori (istituzionali e non) coinvolti nell’implementazione della legge, i risultati raggiunti e gli effetti provocati sui soggetti destinatari delle diverse leggi di spesa (37). Nella scorsa legislatura, tra l’altro, è stata anche avviata una apposita procedura - che si chiude, in genere, con una presa d’atto - per le rendicontazioni previste da leggi regionali. Inoltre, nella regione Friuli Venezia Giulia, il regolamento consiliare prevede che il Comitato per la legislazione, il controllo e la valutazione eserciti il controllo sull’attuazione delle leggi e la valutazione degli effetti delle politiche regionali, mediante esame delle relazioni informative presentate al consiglio e esprima il parere alle commissioni di merito che riferiscono all’Aula sull’esito dell’esame. Infine, in Lombardia, su iniziativa del presidente della IV Commissione consiliare, la Nota informativa n. 9 sull’attuazione della l.r. n. 1/2007 (strumenti di competitività per le imprese e per il territorio della Lombardia) è stata presentata in un seminario (13 dicembre 2007) rivolto ai consiglieri ed ai soggetti “portatori di interesse” (tra gli altri, Unioncamere Lombardia, Confindustria Lombardia, Assolombarda, Cestec, API Milano, Confesercenti).
Si deve, comunque, notare come – nonostante le numerose iniziative segnalate ed i progressi fatti in materia di valutazione – in nessuna regione si è arrivati, né in commissione né in consiglio, ad atti formali di valutazione politica delle leggi e delle politiche pubbliche, e nemmeno ad atti di indirizzo o a mozioni per suggerire eventuali modifiche delle leggi sottoposte a controllo.

3.5. Conclusione
Come da anni messo in risalto nei Rapporti sulla legislazione, le regioni - anche se non in modo diffuso come sarebbe auspicabile - hanno investito e continuano ad investire molto sul tema della qualità della normazione. Di molte iniziative e dei vari strumenti intrapresi si è dato conto nelle pagine che precedono, evidenziando che molti di essi riguardano proprio la valutazione delle politiche. La qualità della legislazione, infatti, non riguarda più solo le regole di buona redazione e la riduzione degli atti che regolano una medesima materia, ma, ora più che in passato, investe la fattibilità e la valutazione dei risultati attesi.
Quanto alla buona redazione, allo scopo di sviluppare e precisare ulteriormente i suggerimenti di tipo linguistico-comunicativo, come messo in luce nell’introduzione, è avvenuta la revisione del Manuale regionale di drafting. Al tema delle tecniche legislative, molte regioni dedicano da anni numerose iniziative di formazione/informazione. Per sottolineare solo qualche esempio, la provincia autonoma di Bolzano, oltre al convegno sulla chiarezza e comprensibilità dei testi legislativi - organizzato dalla terza Commissione del consiglio nel mese di maggio 2007 - ha gettato le basi per un uso uniforme del linguaggio giuridico, economico, amministrativo e tecnico specialistico da parte dei tre gruppi linguistici presenti in Alto Adige ed ha messo in rete una serie di suggerimenti per la formulazione di testi (38).
Quanto ai temi della semplificazione e del riordino, le regioni, forse più dello Stato, continuano a manifestare grande impegno e interesse. Dopo le corpose abrogazioni – segnalate nei vari anni – della normativa considerata “desueta”, nel 2007 si registra un arresto nell’emanazione di leggi generali di abrogazione e questo – come già messo in luce nel Rapporto dell’anno precedente – è dovuto sicuramente al fatto che la semplificazione a livello regionale non ha bisogno di periodicità ma, per come è realizzata, tende a produrre effetti stabili nel tempo. Inoltre, come evidenziato nel testo, l’attenzione sembra incentrarsi sulla predisposizione di leggi di riordino o di leggi di settore di notevole rilevanza e - anche se ancora in modo timido - sulla redazione di testi unici. In particolare, alle scelte evidenziate della Liguria e della Lombardia, si affianca il programma di innovazione e semplificazione della regione Umbria che, con la l.r. n. 23/2007 (art. 36), ha approvato, tra l’altro, la redazione, ai sensi dell’art. 40 dello Statuto, di testi unici di riordino delle disposizioni riguardanti uno o più settori omogenei.
Quanto al tema della valutazione (preventiva della progettazione legislativa e successiva delle leggi), alcune regioni sembrano prestare molta attenzione alla sperimentazione di nuovi strumenti e di nuovi istituti. Molte iniziative sono state avviate e di esse si è dato conto nel testo; alcune di esse si sono “trasformate”. Il riferimento va, ad esempio, ai Report della collana IDEE (Informazioni e Dati per l’Esame Ex ante) della regione Lombardia, attivati, nel 2007, in sostituzione e come evoluzione dei Dossier ex ante. Si tratta di strumenti comunicativi che presentano analisi sintetiche e mettono in luce “il problema a cui il nuovo intervento legislativo intende rispondere; le soluzioni offerte dalla policy delineate nel progetto di legge; le strategie, gli strumenti e le risorse messi in campo; i confronti con le soluzioni adottate in altri contesti per lo stesso problema”(39).
Inoltre – come in varie occasioni messo in luce – il mutato assetto di competenze tra legislativi ed esecutivi, originato dalle riforme costituzionali degli ultimi anni, ha favorito l’apertura del dibattito circa il nuovo ruolo del consiglio e la riflessione su una nuova definizione delle funzioni di controllo delle assemblee legislative. In questo contesto è nato e continua a diffondersi il progetto CAPIRe (40) e, per restare solo ad alcune iniziative del 2007, viene approvata la Carta di Matera (41), concludono i lavori le Commissioni di studio interregionali istituite in vista delle riforme dei regolamenti interni delle Assemblee e della connessa legislazione - una delle quali si è occupata proprio dello sviluppo e dell’integrazione delle funzioni legislative, di indirizzo e di controllo nell’ambito delle politiche regionali complesse - e, sulla base dei lavori di queste ultime, vengono redatte 12 Proposte per la riforma delle assemblee regionali (42). Infine, sempre con l’obiettivo di potenziare strumenti di supporto alle nuove funzioni delle assemblee legislative, viene elaborato il Rapporto sulla comunicazione dei consigli regionali e delle province autonome. I consigli, infatti, proprio perché incominciano “ad aprire nuovi spazi di confronto con i cittadini, le imprese, le associazioni per favorire la partecipazione nelle definizioni delle politiche pubbliche”, iniziano ad assegnare un ruolo rilevante alla comunicazione che assumerà sempre più “valore come strumento di governo, di supporto alla funzione legislativa e di controllo” (43).
Per concludere, rimane sempre aperta l’esigenza di strutture e di personale adeguato alle nuove missioni del consiglio regionale. Per assistere al meglio il legislatore – tanto nella fase di progettazione che nella fase di valutazione degli interventi normativi – occorre investire sul potenziamento degli uffici – sia con nuove assegnazioni di personale, sia con mezzi congrui alle missioni per i quali sono stati istituiti. Come già messo in evidenza nel Rapporto precedente, le regioni continuano a dedicare grande attenzione alla permanente attività formativa del personale. In particolare, nel corso del 2007, su iniziativa del consiglio regionale dell’Umbria, si è tenuto un corso di formazione per dirigenti e funzionari delle assemblee legislative - della durata di due giorni - di introduzione all’analisi di attuazione delle leggi e alla valutazione degli effetti delle politiche. Il corso, concepito per stimolare l’interazione tra partecipanti e docenti, ha avuto un forte taglio operativo. Tra i temi trattati, tra gli altri, il significato della funzione di controllo da parte dell’assemblea regionale, le clausole valutative, l’individuazione di una politica pubblica nei testi legislativi, l’analisi dell’attuazione di una legge, l’analisi degli effetti di una politica. Infine, nell’ambito delle attività del progetto CAPIRe, è in programma, per l’autunno, un corso di alta formazione, interamente dedicato ai temi dell’analisi e della valutazione delle politiche pubbliche. L’esigenza di un corso/master (della durata di 2 anni) nasce dal bisogno di formare l’analista di politiche, non ancora presente in nessuna realtà regionale. L’inserimento di questa nuova figura professionale è necessaria ad integrare le competenze dei funzionari e dei dirigenti delle assemblee legislative - quasi esclusivamente di formazione giuridica ed economica - e a realizzare al meglio le sfide aperte dalle “rinnovate” funzioni legislative e di controllo.
Infine, si segnala il corso di perfezionamento e specializzazione in qualità della normazione, istituito dall’università di Firenze - facoltà di giurisprudenza, nell’anno accademico 2007-2008. Alla prima edizione hanno partecipato numerosi dirigenti e funzionari dei Consigli regionali della Toscana e del Veneto. Il decreto rettorale del 31 luglio 2008, n. 794 ha confermato il corso anche per l’anno accademico 2008-2009, con il titolo “La buona qualità della normazione”.
 
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NOTE
 
(1) La terza edizione delle Regole e suggerimenti per la redazione dei testi normativi è pubblicata in ww.consiglio.regione.toscana>osservatorio interregionale, dove si può leggere anche il testo a fronte dei Manuali (nelle versioni del 2002 e del 2007).
(2) Le leggi finanziarie regionali per il 2007, in Rapporto 2007 sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea, Roma, 2007, in particolare tabella 1, p.211.
(3) Per l’analisi dettagliata, cfr. il capitolo su Le finanziarie regionali per il 2008, in questo Volume.
(4) Per citare solo qualche esempio di leggi emanate e modificate nel corso dello stesso anno 2007, v. l.r. Abruzzo n. 38/2007 che abroga due articoli della l.r. n. 36/2007, a sua volta di modifica di un’altra legge del 2006 (l.r. n. 25) in materia di orari di apertura e chiusura degli esercizi commerciali; l.r. Basilicata n. 14/2007, di modifica ed integrazione della l.r. n. 4/2007, di disciplina della Rete regionale integrata dei servizi di cittadinanza sociale; l.r. Marche n. 33/2007, di modifica della n. 27/2007, recante norme per la raccolta dei funghi epigei spontanei; l.r. Molise n. 31/2007 di modifica di una norma della l.r. n. 24/2007, primo intervento per l’attuazione del programma di razionalizzazione della spesa pubblica previsto sempre da una legge del 2007 (l.r. n. 8); l.r. Toscana n. 31/2007 che interviene a modificare la n. 9/2007, recante modalità di esercizio delle medicine complementari da parte dei medici e odontoiatri, dei medici veterinari e dei farmacisti, nonché la l.r. n. 44/2007, di modifica della l.r n. 20/2007, di disciplina della Conferenza permanente delle autonomie locali; l.r. Friuli Venezia Giulia n. 19/2007 di modifica della l.r. n. 6/2007, recante norme per l’apertura a investitori privati del capitale sociale di Insiel S.p.A.; l.r. Sardegna n. 11/2007 di modifica di una norma della legge finanziaria per il 2007 (l.r. n.2) sull’anticipazione del pagamento dei premi previsti dal Piano di sviluppo rurale per gli anni 2000/2006; l.r. Sicilia n. 13/2007 che detta una serie di norme riguardanti diverse materie e interviene anche a modificare la l.r. n. 10/2007 in materia di esercizio di attività nei beni demaniali marittimi.
(5) Cfr. Leggi “ben fatte” e buone politiche: esperienze regionali a confronto, in Rapporto 2007, cit., in particolare tabella A, p. 98.
(6) Nelle tabelle sulla tipologia normativa (tabelle 6 e 6a dell’Appendice) i dati sulla manutenzione differiscono da quelli della tabella A, qui considerata, perché nelle prime, alla voce manutenzione, vengono classificate – in base ad un criterio di prevalenza – tutti gli interventi di modifica (anche quelli inseriti in leggi che contengono “nuove” norme). Nella tabella A, invece, sono considerate esclusivamente le leggi di mera modifica, finendo le altre nella voce “tecnica mista”. Nonostante nel complesso il peso percentuale delle leggi di manutenzione rimanga invariato (23,9 % sia nella tabella 6a che nella tabella A), le differenze si manifestano nel confronto dei dati percentuali delle singole regioni nelle due tabelle sopra indicate.
(7) Consiglio regionale della Toscana, Rapporto sulla legislazione (gennaio-dicembre 2007), maggio 2008, p. 160.
(8) Le valutazioni della provincia sono richiamate nel capitolo su Le leggi finanziarie regionali per il 2007, in Rapporto 2007, cit., p. 217, nota 277.
(9) Si tratta delle ll.rr. nn. 1, 5, 6, 7, 8, 9, 11 e 16/2007.
(10) Consiglio regionale delle Marche, Rapporto sulla legislazione della regione Marche-Anno 2007, febbraio 2008, p. 72 ss.
(11) Consiglio regionale della Lombardia, Rapporto 2007 sullo stato della legislazione e sul rendimento istituzionale del Consiglio regionale, VIII legislatura, gennaio-dicembre 2007, 2008, p. 48.
(12) Oltre a quelli esplicitamente abrogati che figurano nella tabella B1 (199), la giunta provinciale sta provvedendo all’abrogazione di altri 400 regolamenti desueti.
(13) Leggi “ben fatte” e buone politiche: esperienze regionali a confronto, in Rapporto 2007, cit., in particolare tabella B, p. 100.
(14) Leggi “ben fatte” e buone politiche: esperienze regionali a confronto, in Rapporto 2007, cit., in particolare tabella C, p. 101.
(15) Leggi “ben fatte” e buone politiche: esperienze regionali a confronto, in Rapporto 2007, cit., p. 82.
(16) Regione Emilia–Romagna, Assemblea legislativa, Sesto Rapporto sulla legislazione, VIII legislatura, anno 2007, maggio 2008, p. 116 ss.
(17) Consiglio regionale delle Marche, Rapporto sulla legislazione, cit., p. 23.
(18) Consiglio regionale dell’Abruzzo-Direzione Affari della presidenza e Legislativi-Servizio Legislativo, VIII legislatura, Rapporto sullo stato della legislazione, Anno 2007, giugno 2008, p.45.
(19) Leggi “ben fatte” e buone politiche: esperienze regionali a confronto, in Rapporto 2007, cit., in particolare tabelle D ed E, pp. 105-106.
(20) Alcuni rinvii sono a regolamenti regionali, per altri si tratta di rinvii a delibere, direttive e atti con cui la Giunta definisce criteri e modalità per la concessione di contributi, sovvenzioni, ausili o per l’individuazione dei soggetti beneficiari.
(21) Si tratta a volte di regolamenti, a volte di atti di approvazione di piani, indirizzi e programmi.
(22) Il dato potrebbe non coincidere sempre con gli atti che, poi, effettivamente si adottano e questo perché in molti casi, come sottolinea la regione Liguria, le leggi prevedono l’adozione di più atti di giunta per diverse tipologie di intervento, ma la giunta potrebbe adottarli formalmente con un unico atto “cumulativo”.
(23) Anche laddove vengono elaborate schede preventive di fattibilità, queste sono articolate in modo generico e sintetico da risultare poco utili al dibattito che precede l’approvazione del progetto di legge.
(24) Ad esempio, Emilia-Romagna, Lombardia, Marche, Piemonte e Veneto.
(25) Abruzzo, Lombardia, Marche, Toscana, Veneto.
(26) Abruzzo, Lombardia, Marche, Toscana, provincia di Bolzano.
(27) Abruzzo, Basilicata, Liguria, Marche, Molise, Toscana, Veneto, province di Bolzano e di Trento, Sicilia.
(28) Deliberazione dell’Assemblea legislativa 28 novembre 2007, n. 143 e Decreto del presidente dell’Assemblea legislativa 4 dicembre 2007, n. 1.
(29) Leggi “ben fatte” e buone politiche: esperienze regionali a confronto, in Rapporto 2007, cit., in particolare tabelle F, p. 105.
(30) Deliberazione giunta regionale del 27 agosto 2007, n. 869, punto 5.2.6.1.4.
(31) Deliberazione consiglio regionale n. 62/2007.
(32) Deliberazione Consiglio regionale del 27 febbraio 2007, n. 27, punto 5.
(33) Deliberazione Consiglio regionale del 14 marzo 2007, n. 32, punto 5.
(34) Le Note si possono leggere in www.capire.org>attività>note informative.
(35) Nel 2007 sono state presentate le relazioni relative alle ll.rr. nn. 3/ 2004 e 8/2006.
(36) Si tratta in particolare della nota sulla l.r. n. 78/2004 in materia di autorizzazioni all’esercizio cinematografico e di quella relativa alla l.r. n. 95/1996 che disciplina gli interventi per lo sviluppo della montagna.
(37) I lavori dell’Osservatorio hanno riguardato la l.r. n. 9/2002 sulla promozione della sicurezza e della legalità, la l.r. n. 57/1999 sulla imprenditoria giovanile e la l.r. n. 1/2000 sull’imprenditoria femminile.
(38) Si possono leggere sul sito www.provincia.bz>avvocatura della provincia.
(39) Consiglio regionale della Lombardia, Rapporto 2007, cit., p. 77.
(40) CAPIRe è un progetto promosso dalla Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative delle regioni e delle province autonome. Nasce nel 2002 con la missione di promuovere la cultura e l’uso della valutazione delle politiche in seno ai legislativi. Fanno parte del Progetto, oltre ai consigli delle 4 Regioni promotrici (Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Toscana) le assemblee della provincia autonoma di Trento e delle Regioni Abruzzo, Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Trentino-Alto Adige, Umbria e Veneto. L’Assemblea della Regione siciliana, pur non avendo aderito formalmente al Progetto, ha designato un funzionario a seguire i lavori del Comitato tecnico. Alle attività di CAPIRe, spesso, partecipano politici e tecnici designati anche dai consigli che non hanno formalmente aderito al Progetto.
(41) E’ un documento di indirizzo, articolato in dieci obiettivi, per consolidare, tra le attività svolte dagli organi legislativi, il controllo dell’attuazione delle leggi e la valutazione degli effetti delle politiche. La Carta è pubblicata in: www.parlamentiregionali.it>documenti e ricerche>iniziative.
(42) Le linee guida finali dei lavori delle Commissioni e le 12 Proposte sono pubblicate in www.parlamentiregionali.it>documenti e ricerche>iniziative.
(43) Conferenza dei presidenti delle assemblee legislative delle regioni e delle province autonome e Consiglio della provincia autonoma di Trento, Il consiglio e i cittadini. Rapporto sulla comunicazione dei consigli e delle province autonome, 2007, p. 44, in www.parlamentiregionali.it>documenti e ricerche>iniziative.



4. Consigli, Giunte e funzione normativa (Laura Ronchetti)
 
4.1. Introduzione
Le presenti riflessioni muovono dal presupposto che, nell’ambito delle forme di governo che si sono affermate a livello regionale, il rapporto concretamente esistente tra le Giunte e i Consigli sia essenziale ai fini di una produzione normativa di qualità, sotto il profilo sia del funzionamento degli enti territoriali sia della capacità di rispondere alle esigenze delle popolazioni locali.
L’analisi dei rapporti tra le Giunte e i Consigli nel 2007, per la prima volta, ha potuto beneficiare della completezza dei dati forniti dalle Regioni, ivi comprese la Campania e la Puglia. La rilevazione quantitativa non ha più, quindi, valenza meramente orientativa, tendenziale, ma ha acquistato la capacità di fornire indici sia di funzionalità delle istituzioni regionali sia di produttività dei Consigli, offrendo importanti strumenti di lettura delle attività cui si dedicano le assemblee.
Come si argomenterà in queste pagine, se gli indici di funzionalità dei Consigli confermano la loro forte frammentazione interna (1), i rapporti tra le Giunte e i Consigli sembrerebbero maggiormente improntati al confronto e alla collaborazione (2).
La propensione delle assemblee regionali, riscontrata in questi anni, a esercitare con costanza la loro funzione di indirizzo e controllo sulle Giunte deve aver prodotto alcuni effetti salutari sulla considerazione in cui le Giunte tengono i Consigli. Gli atti riconducibili a tale funzione, infatti, rappresentano anche quest’anno la voce di gran lunga principale della attività generale dei Consigli, sebbene il dato del 2007, al netto dei dati non disponibili precedentemente, risulti inferiore a quello del 2006, soprattutto per quanto riguarda gli atti di indirizzo. Tale flessione potrebbe spiegarsi, tuttavia, con l’aumento cospicuo dell’attività consultiva che i Consigli sono chiamati a svolgere sulla attività delle Giunte, sovente in base alla stessa legislazione che rinvia ad atti di Giunta.
Altro indice significativo dell’andamento dei rapporti interistituzionali a livello regionale è, contro ogni ipotesi scolastica di progressiva netta differenziazione delle funzioni svolte dai due enti, il decisivo aumento dell’attività di alta amministrazione svolta dai Consigli, ma essenzialmente solo da quelli delle Regioni ordinarie.
L’attività minoritaria svolta dai Consigli è, quindi, proprio quella di produzione normativa in genere, sebbene nel 2007 si sia registrato un aumento dell’esercizio della funzione, sia legislativa che regolamentare (3).
La produzione legislativa dei Consigli, tuttavia, è espressione anche di un autonomo indirizzo politico perseguito dalle assemblee regionali, visto che non solo i Consigli approvano le iniziative delle Giunte con una percentuale decisamente più bassa di quella riscontrata a livello nazionale, sia in Italia che in Europa, ma è in aumento costante il numero di leggi di iniziativa consiliare promulgate.
Il progressivo incremento delle questioni di legittimità della legge regionale e provinciale sollevate in via incidentale suggerisce, inoltre, una trasformazione della legge regionale da mera norma di dettaglio, solo formalmente equiparata alla legge nazionale, a fonte normativa sempre più materialmente pariordinata alla legge dello Stato.
A ben guardare l’insieme dei dati quantitativi a disposizione, quindi, i Consigli regionali stanno tentando di valorizzare il loro ruolo nel perseguimento dell'indirizzo politico regionale, nonostante la posizione dominante della Giunta.

4.2. Composizione dei Consigli
Nel 2007 la dimensione media delle assemblee legislative regionali si è attestata, in attesa della revisione degli ultimi statuti regionali, intorno ai 53 membri, per un numero complessivo di 1119 consiglieri a fronte dei 945 parlamentari italiani (4). Questo dato numerico, sebbene rilevante anche in termini assoluti, deve intrecciarsi con un’analisi del funzionamento dei Consigli come sede di snodo dei molteplici interessi regionali.

4.2.1. Gruppi consiliari
Ogni Consiglio regionale o provinciale si suddivide in media in 13 gruppi (5). Sotto questo profilo, deve notarsi una netta differenziazione tra autonomie ordinarie e speciali, laddove i Consigli delle prime non scendono mai al di sotto dei 10 gruppi, mentre le assemblee delle autonomie speciali si attestano, tranne quella della provincia autonoma di Trento, al di sotto di tale soglia. Soprattutto, mentre le autonomie speciali hanno in genere mantenuto o ridotto il numero dei gruppi (tranne la provincia autonoma di Bolzano, che ne ha aggiunto 1), le Regioni ordinarie hanno costituito altri 15 gruppi. Per il 2007, in particolare, il Piemonte conta ben 7 gruppi in più del 2006 mentre la Puglia ha strappato il primato dei 21 gruppi al Lazio, unica Regione ordinaria ad aver ridotto, anche se solo di un’unità, il loro numero.
Un significativo calo del numero di gruppi, d’altra parte, si era registrato, nel 2006 (6), solo in Calabria, dove nel 2007 si sono formati altri 2 gruppi per un totale di 12.
Questi numeri sono resi possibili dai regolamenti interni approvati dai singoli Consigli, che consentono, spesso sotto forma di deroga, la costituzione di gruppi monoconsiliari.
Solo poche Regioni hanno messo a punto strumenti per tentare di contenere questo fenomeno, in considerazione dei riflessi negativi in termini di costi e di rallentamento dei lavori consiliari: in alcune Regioni non è possibile costituire un gruppo con meno di 3 consiglieri (Campania, Sardegna, Umbria, Veneto, in Lombardia almeno non durante la legislatura), ovvero con meno di 2 (Friuli Venezia Giulia, Toscana e Valle D’Aosta). In alcuni casi si è intervenuto direttamente sugli statuti (Toscana, art. 2; Umbria, art. 52), limitando in tema la discrezionalità dei regolamenti. Anche in queste Regioni, tuttavia, non si è registrata alcuna flessione del numero dei gruppi, ma anzi un loro aumento rispetto alla legislatura precedente.
Nonostante le differenze regionali, infatti, il numero dei gruppi in cui si riuniscono i consiglieri, nell’insieme delle Regioni, tende a restare piuttosto invariato nelle varie legislature. In base ai valori medi calcolati sugli ultimi anni, tuttavia, dal 2005 in poi è come se per ogni Regione ci fosse un gruppo consiliare in più, facendo della frammentazione interna alle assemblee regionali e provinciali una costante.

4.2.2. Commissioni consiliari
L'articolazione dei Consigli in commissioni ha conosciuto per la prima volta una flessione, seppur di minime proporzioni, di 2 commissioni grazie al decremento registratosi in Umbria (-1) e nel Lazio (-2) a fronte della nuova commissione istituita in Basilicata (7). Il Lazio, tuttavia, detiene ancora il primato delle commissioni permanenti (16), con uno stacco minimo rispetto alle altre Regioni di 7 commissioni (le 9 del Piemonte), così come l’Umbria continua a vantarne il minor numero (3).
Nel complesso delle Regioni comunque la media di commissioni permanenti resta ferma ai dati del 2006, confermando l’aumento di quasi una commissione in più in media per Regione registrato con il passaggio di legislatura.
Continua a diminuire, invece, il numero delle commissioni speciali, con una progressiva flessione inaugurata con la nuova legislatura regionale, con un saldo nel 2007 di ben 10 in meno (8): accanto alla soppressione di una commissione in Sardegna, il Lazio e il Veneto hanno eliminato ciascuno 5 commissioni speciali, mentre la Toscana, in controtendenza, è l’unica ad averne istituito una nuova. In tal modo il Lazio ha perso il primato del 2006 di 7 commissioni, lasciando al vertice della classifica le 5 commissioni speciali presenti in Abruzzo.

4.3. Giunta in Consiglio
La capacità degli enti autonomi territoriali di esercitare nel miglior modo possibile le competenze normative di cui sono titolari è fortemente accresciuta da rapporti virtuosi tra Giunta e Consiglio.
Sotto questo profilo il 2007 offre il segnale confortante della presenza costante, non solo dell’assessore competente, ma addirittura del Presidente della Giunta in almeno tre Regioni (Basilicata, Campania e Toscana) (9). Nel 2006 questo avvenne solo in Basilicata e in Sardegna: se la prima è l’unica Regione che conferma una partecipazione assidua del Presidente ai lavori del Consiglio, la Sardegna, invece, segna nel 2007 una netta inversione di tendenza che ha visto il Presidente sardo partecipare in percentuale decisamente più bassa rispetto ad una media nazionale del 62% delle sedute.
Proprio in queste due Regioni, inoltre, il Presidente della Giunta ha preso la parola tutte le volte che si è presentato in Consiglio (10). In media, invece, i Presidenti sono intervenuti solo nella metà delle sedute cui hanno partecipato.
Di norma, infatti, sono gli assessori ad esprimere la posizione della Giunta sui singoli provvedimenti all’attenzione del Consiglio: in base ai dati a disposizione, tuttavia, gli assessori hanno preso la parola in meno della metà delle sedute consiliari cui hanno partecipato (11). La Regione dove gli assessori sono intervenuti di meno è l’Abruzzo con il 55% delle sedute, soglia battuta solo nel 2006 dall’Umbria, dove la Giunta aveva preso la parola il 47% delle sedute cui aveva partecipato. In media, infatti, la partecipazione attiva ai lavori consiliari da parte degli assessori è addirittura aumentata, sebbene il numero degli assessori esterni sia cresciuto di 11 unità (12).
A parte che nelle Province autonome, solo in Puglia la Giunta ha pronunciato un intervento su tutte le leggi regionali (41) mentre in altre Regioni ciò è avvenuto solo per gli atti normativi più significativi (Basilicata, Friuli Venezia Giulia, in 9 casi in Calabria, Umbria, Valle d’Aosta). Se nella maggior parte dei casi la Giunta è intervenuta nel corso della approvazione delle leggi (28 proposte di legge in Sicilia, 24 in Piemonte, 21 in Liguria e in Lombardia, 20 in Molise, 14 in Sardegna, 12 in Abruzzo e in Emilia-Romagna, 1 in Toscana), non sempre gli interventi degli assessori hanno avuto ad oggetto l’attività legislativa, quanto piuttosto atti di programmazione finanziaria e di bilancio (12 in Sicilia), testi unici (1 in Liguria), proposte di deliberazione e provvedimenti amministrativi (10 e 3 in Liguria), proposte di regolamento (2 in Lombardia, 1 in Sardegna), mozioni (2 in Sardegna), provvedimenti di attuazione dello Statuto (1 in Sardegna).

4.4. Attività dei Consigli: molto controllo, poche norme
L’analisi dell’attività generale dei Consigli (13) conferma la notevole importanza assunta dalla funzione di controllo e di indirizzo sulle Giunte: per controbilanciare il rafforzamento degli esecutivi regionali i Consigli hanno speso gran parte delle loro energie, da un lato, a interrogare le Giunte per acquisire informazioni, dall’altro, ad approvare atti di indirizzo del loro operato non solo su orientamenti politici ma anche sull’attività normativa.
La funzione di controllo ha sempre assunto dimensioni significative soprattutto nelle autonomie speciali, con riferimento specifico alla Provincia di Bolzano, che da sola ha realizzato la metà degli atti di sindacato ispettivo delle specialità; nelle 15 Regioni ordinarie, invece, l’ammontare degli atti di indirizzo e controllo è inferiore al numero registrato tra le 7 specialità.
Decisamente più netta è la differenziazione che deve segnalarsi tra specialità e autonomie ordinarie in merito all’attività amministrativa: le prime hanno adottato solo 63 atti amministrativi a fronte della notevole cifra di 983 delle seconde, numero inferiore solo agli atti di indirizzo e di controllo.
Altra funzione consiliare importante è quella consultiva che, sul totale delle Regioni, conta i medesimi dati quantitativi dell’attività normativa: 688 sono gli atti normativi dei Consigli e 687 quelli consultivi. Deve però segnalarsi anche in questo caso una differenziazione tra specialità e Regioni ordinarie: nelle prime è prevalente l’attività normativa dei Consigli (153 a 120), nelle seconde quella consultiva (567 a 535).
La produzione normativa in altri termini non è, almeno dal punto di vista quantitativo, l’attività principale svolta dai Consigli.

4.5. Funzione legislativa
Con il 2007 si conferma la tendenza all’incremento della produzione legislativa, con un aumento non solo del numero delle leggi promulgate nell’anno (656 su 22 autonomie nel 2007, 567 su 20 nel 2006) ma anche della loro portata in termini di commi (28.139 nel 2007, 21.391 nel 2006) (14). Questo aumento potrebbe essere considerato un sintomo di un assestamento sia dei rapporti intersoggettivi tra Stato e Regioni sia dei rapporti interistituzionali tra Giunte e Consigli.
Nonostante la “nuova” fase statutaria non sia ancora completata e parte della revisione costituzionale del 2001 debba ancora essere attuata, la riforma nel suo complesso sembrerebbe essere stata in parte metabolizzata, consentendo anche alle Giunte e ai Consigli di collaborare.

4.5.1. Iniziativa legislativa
L’iniziativa legislativa è esercitata nel complesso prevalentemente dai consiglieri, che hanno presentato, sia nel solo 2007 che dall’inizio della VIII legislatura, più del doppio dei disegni di legge depositati dalle Giunte (15). Sono però le Giunte a vantare una percentuale di successo delle loro iniziative, calcolato in base al rapporto percentuale tra ddl presentati e ddl approvati, pari al 72% (16), mentre il tasso di approvazione delle proposte consiliari si è attestato intorno al 16%.
Deve sottolinearsi infine che il tasso di successo delle iniziative consiliari coinvolge anche le opposizioni: ad esempio il Consiglio veneto ha approvato il 23% delle proposte di legge presentate dalla sola opposizione e il 34% delle iniziative miste (maggioranza/opposizione).

4.5.2. Leggi promulgate 
Guardando, invece, al numero delle leggi promulgate per evidenziare quante siano d'iniziativa di Giunta e quante di Consiglio, emerge che le prime rappresentano il 65% delle leggi promulgate nell’anno: in termini assoluti, a fronte di 193 leggi d'iniziativa consiliare sono stati approvati 427 disegni di legge di Giunta (17).
La valutazione di questo dato deve tener conto, da un lato, che a livello statale l’incidenza dell’iniziativa legislativa del Governo supera l’88% delle leggi approvate, dall’altro, che la stessa percentuale regionale è inferiore agli altri anni a disposizione: i Consigli hanno negli ultimi anni visto aumentare la percentuale di approvazione delle iniziative sia consiliari, pari a quasi al 30%, sia miste Giunta/Consiglio, pari a quasi il 5% (18).
I Consigli, quindi, non si limitano a condividere l’indirizzo politico perseguito dalla Giunta, ma conservano tuttora una loro autonomia nella determinazione delle politiche regionali, valorizzando anche la dialettica maggioranza/opposizione.
In base ai (parziali) dati a disposizione, può rilevarsi che nel 2007, se in Molise tutte le iniziative legislative il cui iter si è felicemente concluso sono state presentate dalla maggioranza, invece in Toscana sono state approvate anche 3 proposte di minoranza (20%); in Abruzzo 2 (9%); in Emilia Romagna 1 (12%).
Altrettanto significativa è l’approvazione di iniziative miste maggioranza/opposizione, che in Piemonte e in Liguria risulta essere la norma con percentuali dell’83% e 82% delle leggi approvate, si attesta al 53% in Toscana, al 38% in Emilia Romagna, al 30% nelle Marche. In Friuli Venezia Giulia sono state approvate sia 2 proposte trasversali, sottoscritte da consiglieri di maggioranza e di opposizione, sia 4 proposte comuni, risultanti dall’abbinamento di proposte sia di maggioranza che di opposizione.

4.5.3. Durata dell'iter di approvazione delle leggi
Se si guarda alla durata dell’iter di approvazione delle leggi (19), può notarsi che dei 5 Consigli regionali più celeri, quelli cioè che hanno approvato oltre la metà delle proprie leggi entro 30 giorni (Calabria, Molise, Sicilia, Toscana, Umbria), soltanto quello della Toscana ha approvato disegni di legge di Giunta con una percentuale di poco più alta della media (70% contro il 65% di media). Solo in Umbria e in Calabria, d’altra parte, si sono registrate proposte miste Giunta/Consiglio (8 e 7%). In tutti i Consigli in questione, invece, la percentuale di proposte di legge consiliari approvate ha superato, anche di molto, il valore medio regionale.
Se si guarda agli indici di funzionamento dei Consigli, le assemblee più celeri si caratterizzano per vantare ognuna, tranne il caso del Molise, un numero di gruppi consiliari inferiore ai valori medi. Soprattutto nessuna supera i valori medi di presenza di commissioni permanenti. Deve dirsi, tuttavia, che il Lazio e la Puglia, che sono le Regioni con più gruppi consiliari e commissioni permanenti, mantengono tempi di approvazione delle leggi piuttosto veloci.
Il Veneto, comunque, che ha approvato oltre i 360 giorni (20) il maggior numero di leggi (13) - sia rispetto alle altre autonomie che nell’ambito delle proprie leggi -, conta 14 gruppi, 7 commissioni permanenti, da metà 2007 nessuna commissione speciale, ma soprattutto un tasso di approvazione dell’iniziativa legislativa consiliare più alta della media.

4.5.4. Rinvii di leggi ad atti di Giunta 
In media è aumentato anche il numero di rinvii che le leggi fanno ad atti della Giunta, sia di carattere regolamentare che di altra natura: nel complesso potrebbe sostenersi che quasi una legge su due contiene un rinvio a successivo atto della Giunta (21).
Diventa quindi necessario capire nella sostanza il peso di questi rinvii, in base all'oggetto e alla forma dell'atto cui si rinvia. E' altresì opportuno valutare quanto della funzione consultiva svolta dai Consigli miri a (e consenta di) recuperare la quota di potere decisionale rimesso alle Giunte attraverso tali rinvii.

4.6. Produzione regolamentare dei Consigli regionali
L’attività regolamentare dei Consigli nel 2007 sembrerebbe, ragionando in termini di commi, aver doppiato il dato del 2006 (1616 su 858), anche se il numero dei regolamenti consiliari segna una flessione rispetto al 2006 (22).
Tenendo presente che in 7 Regioni la potestà regolamentare spetta unicamente al Consiglio, le restanti assemblee hanno comunque partecipato alla loro produzione rendendo ben 103 pareri sui 374 regolamenti adottati dalle Giunte (23): scorporando dal totale il dato peculiare della provincia autonoma di Bolzano, che ha prodotto 111 provvedimenti sostanzialmente regolamentari di Giunta non prevedendo alcuna forma di coinvolgimento del Consiglio, si potrebbe sostenere che le assemblee - tramite la attività consultiva - hanno partecipato alla formazione dei regolamenti di Giunta quasi una volta su due. Questo, però, è un dato che non tiene conto delle forti differenze che si riscontrano tra le autonomie.
Provando, quindi, a evidenziare le differenze, si segnala che nelle tre Regioni in cui la competenza regolamentare è condivisa tra Consiglio e Giunta, non solo i regolamenti regionali sono stati pochi, ma su tre regolamenti approvati dalla Giunta (Basilicata, Emilia-Romagna e Marche) in un caso si è reso un parere consiliare (Emilia-Romagna).
Nelle Regioni con la previsione statutaria di parere consiliare obbligatorio sui regolamenti, tale obbligo è stato assolto in pieno in Umbria e in Puglia, in Toscana invece il Consiglio è debitore di un parere. Il Consiglio del Piemonte ha reso solo 1 parere su 12 regolamenti, presumibilmente nella competenza di attuazione di obblighi internazionali e comunitari per cui lo Statuto lo prevede come obbligatorio (24).
Anche nelle Regioni dove il parere non è previsto obbligatoriamente, le Giunte hanno richiesto un parere ai Consigli, 25 volte in Friuli Venezia Giulia, 8 nella provincia autonoma di Trento, 6 in Liguria e 4 nel Lazio.
Rinviando supra al capitolo sui regolamenti regionali del 2007 per l’analisi delle materie in cui sono adottati, si vuole dar conto, in ordine di importanza, dei macrosettori in cui sono intervenuti i regolamenti di Giunta per i quali sia stato reso comunque un parere dei Consigli: sviluppo economico e attività produttive (8 in Toscana, 2 in Liguria, 1 nella provincia autonoma di Trento e nel Lazio); territorio, ambiente e infrastrutture (6 in Toscana, 2 in Liguria e nella provincia autonoma di Trento); servizi alla persona e alla comunità (3 nel Lazio e in Toscana, 2 in Liguria e nella provincia autonoma di Trento); ordinamento istituzionale (2 nella provincia autonoma di Trento e 1 in Emilia Romagna); finanza regionale (1 nella provincia autonoma di Trento) e 1 multisettore in Toscana. Il parere obbligatorio che la competente commissione consiliare toscana non ha adottato nell’iter di formazione del regolamento verteva (deve dedursi dai dati a disposizione) in materia di alimentazione per l’introduzione delle mense biologiche.
Si deve segnalare infine che, sebbene non reso, la Giunta siciliana aveva richiesto un parere alla commissione Affari istituzionali su alcuni decreti assessorili riguardanti la ripartizione del Fondo delle autonomie in favore dei comuni.

4.7. Funzione consultiva dei Consigli regionali
Come già rilevato, l’insieme dell’attività consultiva svolta dai Consigli equivale in termini quantitativi a quella normativa.
Indice rilevante delle forme che sta assumendo la collaborazione interistituzionale è, quindi, anche l’accresciuto numero di pareri su atti non regolamentari della Giunta, tanto più elevato se si tiene presente che il dato di 426 atti del 2006 era comprensivo anche dei pareri resi sui regolamenti di Giunta, mentre per il 2007 il dato disaggregato è di 584. Il Consiglio che contribuisce notevolmente a tenere alto il numero dei pareri è quello del Veneto, che supera addirittura il record del 2006, passando da 154 a 195 pareri.

4.8. Attività amministrativa dei Consigli regionali
Nel 2007 è decisamente incrementata anche l’attività amministrativa esercitata dai Consigli, con un totale di 983 atti approvati a fronte dei 760 (senza i dati della Calabria e della Puglia) del 2006. A questo dato relativo alle Regioni a statuto ordinario, tra cui spicca l’attività intensa svolta dai Consigli di Molise e di Toscana, devono aggiungersi i 63 atti imputabili alle specialità, per un totale di 1046 atti amministrativi a fronte dei 688 atti normativi adottati nel 2007 (25).
La maggior parte degli atti amministrativi sono stati adottati nell’ambito dell’autonomia contabile e organizzativa-istituzionale dei Consigli (319 atti) grazie, tuttavia, a un esorbitante 202 annoverato dal Molise.
La tipologia di atti amministrativi più sostanziosa nella generalità delle Regioni è quella dei “piani, programmi e progetti” (220), voce assente solo in tre specialità (provincia autonoma di Bolzano, Friuli Venezia Giulia e Sicilia). Anche la classica voce “nomine” riveste molta importanza nelle Regioni ordinarie, in particolar modo nelle Marche dove è l’attività amministrativa principale del Consiglio (51) ma è presente, tra le specialità, solo in Friuli Venezia Giulia e in Sardegna, per un totale complessivo di 180 atti. Non poco rilevante è pure la ”approvazione di atti di enti dipendenti”, pari a 114 atti, assente in tutte le specialità e in alcune Regioni ordinarie, rivestendo invece la voce più importante dell’attività amministrativa della Toscana (48).
A questi devono poi aggiungersi i criteri ed indirizzi, i piani di riparto, i pareri a ministeri o altri organi statali, nonché atti amministrativi di diversa natura.

4.9. Attività di indiritto e controllo dei Consigli regionali
L’attività di indirizzo e controllo delle Giunte assorbe gran parte delle energie dei Consigli. Nel complesso delle Regioni ha contato ben 8.552 atti, anche se nella maggior parte dei casi si è trattato di atti di controllo (6.741 a 1.811). Si deve comunque tenere presente che in 12 Regioni e nella provincia autonoma di Bolzano tali atti non hanno mai avuto ad oggetto l’attività normativa regionale.
In alcune Regioni, invece, si sono utilizzati gli atti indirizzo e controllo anche in riferimento all’attività normativa, in particolare modo in Piemonte (55 casi) e in Sicilia (45). Talora si è trattato di interventi nell’iter di formazione delle leggi (1 caso in Abruzzo e nella provincia autonoma di Trento, 6 in Umbria, 15 in Lombardia, 17 casi in Emilia-Romagna), talvolta in merito all’attuazione delle leggi (3 casi in Abruzzo, 4 in Sardegna), talaltra ancora nella predisposizione di un progetto di legge statale (1 in Lombardia), se non nella modifica del regolamento consiliare (1 nella provincia autonoma di Trento).
Quando si è intervenuto su una proposta di legge si sono approvati ordini del giorno (1 in Abruzzo e nella provincia autonoma di Trento, 6 in Umbria, 17 in Emilia-Romagna); quando si è intervenuto sulla loro attuazione si è fatto ricorso sia ad atti di indirizzo, come le risoluzioni (1 in Abruzzo) e le mozioni (4 in Sardegna), che ad atti di sindacato ispettivo, come le interpellanze (2 in Abruzzo). Si dà notizia, infine, che con mozione il Consiglio della provincia autonoma di Trento ha impegnato l’Ufficio di Presidenza ad elaborare una modifica del regolamento interno.

4.9.1. Atti di indirizzo
Non potendo confrontare il dato complessivo degli atti di indirizzo presentati nel 2007 (3.370) con il dato incompleto del 2006, è opportuno ragionare intorno ai valori medi degli atti presentati negli anni per prendere atto della flessione di 10 unità per ente autonomo (26). Se ne potrebbe evincere un leggero rallentamento della funzione di indirizzo da parte dei Consigli, impressione che troverebbe riscontro anche nei valori medi relativi al numero degli atti definiti, che dai 93 del 2006 sono diventati 86 nel 2007. Attività, quella di indirizzo, che potrebbe aver trovato sbocco nell’attività consultiva.
Sotto questo profilo il dato più interessante è quello della Lombardia, che è passata dai 770 atti presentati nel 2006 ai 431 del 2007, mantenendo comunque il primato con uno stacco di circa 100 unità dal Piemonte, che ne vanta 340, in leggero aumento rispetto al 2006. Ma è in Friuli Venezia Giulia che si è registrato l’aumento più cospicuo, da 36 a 138 atti di indirizzo presentati.
Resta, invece, piuttosto costante nel tempo la percentuale di atti definiti su quelli presentati, quota che nel complesso delle Regioni si è aggirata sempre tra il 50 e il 60%, attestandosi per il 2007 al 54% (27). Le percentuali più alte e più basse si sono registrate in particolare in Friuli Venezia Giulia con il 97% e in Lombardia con circa il 20%. Si deve tenere presente, tuttavia, che gli atti definiti contengono non solo gli atti approvati, ma anche quelli respinti e ritirati: si tratta quindi ancora di un indice di efficienza più che di un chiaro indicatore della capacità di contribuire alla determinazione dell’indirizzo politico regionale. 

4.9.2. Atti di sindacato ispettivo
I valori medi degli atti di sindacato ispettivo presentati dai Consigli indicano un aumento di circa 50 unità tra il 2004 e il 2006 e, invece, una decisa stabilità tra il 2006 e il 2007 con 502 e 503 atti presentati per Regione (28). A ben vedere gli aumenti registrati nelle singole Regioni (Abruzzo, Basilicata, Lazio, Liguria, Lombardia per limitarsi ai più sostanziosi) sono nel complesso compensati dalla forte diminuzione verificatasi nella provincia autonoma di Bolzano e in Sicilia (29).
Con il 2007 si è innalzato di 50 unità anche il valore medio degli atti ispettivi definiti, passato da 271 a 321 per Regione (30). Cifra che deve la sua consistenza in particolare alla provincia autonoma di Bolzano, all’Abruzzo e alla Campania, che vantano una percentuale di atti definiti rispettivamente pari al 122% (con la conclusione evidentemente di atti di controllo presentati negli anni precedenti), 112% e 100%. Tali percentuali sono in ogni caso indicative di un rapporto Giunta-Consiglio leale e collaborativo. Altrettanto non può dirsi per il 9% registratosi in Calabria, con il minor numero di atti definiti, peraltro sul minor numero di atti presentati.
Negli anni la percentuale degli atti di sindacato ispettivo definiti rispetto agli atti presentati ha conosciuto variazioni con una media nel periodo 2003-2007 del 58%, in cui il 2007 ha registrato il 63%, ponendosi al di sopra della media della serie storica considerata.

4.10. Conclusioni
Rispetto alle forme di governo che si sono inverate nelle Regioni, i Consigli regionali hanno sviluppato negli anni alcune forme di contrappeso al rafforzamento del Presidente e della Giunta regionale.
Particolarmente evidente è il frequente ricorso agli strumenti di controllo e di indirizzo della Giunta, che però solo parzialmente hanno ad oggetto l'attività normativa regionale.
Rispetto a quest'ultima, i consiglieri coltivano soprattutto la fase dell'iniziativa e in genere approvano più celermente le proposte che i disegni di legge. Soprattutto i ddl di Giunta sono approvati con una percentuale, per quanto alta, ben più bassa del tasso di approvazione dei ddl governativi da parte del Parlamento nazionale.
Eppure le leggi regionali sempre più spesso contengono rinvii a successivi atti di Giunta, la cui natura andrebbe indagata, per capire quanta parte della funzione legislativa viene rimessa sostanzialmente agli esecutivi regionali. E' pure vero, tuttavia, che sovente le leggi obbligano le Giunte a chiedere il parere consiliare sugli atti di Giunta. Bisognerà quindi capire se è in atto un trasferimento dell'esercizio della funzione legislativa dai Consigli alle Giunte secondo un percorso per certi versi assimilabile al fenomeno della delega legislativa a livello nazionale.
 
______________________
NOTE
 
(1) V. in questo Capitolo Tabella 1 – Composizione dei Consigli 2006-2007.
(2) V. in questo Capitolo Tabella 2 – Indice numerico dell’attività generale dei Consigli 2007.
(3) Sul rapporto a livello regionale tra la produzione legislativa e quella regolamentare nel suo complesso cfr. in questo volumeil par. 2.3. nel Capitolo I regolamenti regionali nel 2007.
(4) V. citata Tabella 1 – Composizione dei Consigli 2006-2007.
(5) V. in questo Capitolo Tabella 3 – Numero di gruppi consiliari.
(6)V. in proposito Rapporto 2007, parte II, cap. 4, par 4.2., p. 103.
(7) V. Tabella 4 – Numero di commissioni permanenti.
(8) V. in questo Capitolo Tabella 5 – Numero di commissioni speciali.
(9) V. in questo Capitolo Tabella 6 – Presenza Giunta in Consiglio.
(10) V. in questo Capitolo Tabella 7 - Partecipazione del Presidente della Giunta alle sedute consiliari.
(11) V. in questo Capitolo Tabella 8 - Partecipazione degli assessori alle sedute consiliari.
(12) V. in questo Capitolo Tabella 9 – Numero di assessori esterni.
(13) V. la già citata Tabella 2 – Indice numerico dell’attività generale dei Consigli 2007.
(14) V. in Appendice, Tabella 1 – Numero e dimensione delle leggi 2007 e v. analoga Tabella nel Rapporto 2007.
(15) V. in Appendice, Tabella 4 – Dati quantitativi sull’iniziativa legislativa – Regioni ordinarie (dall’inizio dell’VIII legislatura al 31 dicembre 2007) e Tabella 4a – Dati quantitativi sull’iniziativa legislativa 2007.
(16) V. in questo Capitolo Tabella 10 - Tasso di approvazione della iniziativa legislativa della Giunta e del Consiglio 2007.
(17) V. in Appendice, Tabella 2 – Iniziativa legislativa delle leggi promulgate 2007.
(18) V. in questo Capitolo Tabella 11 – Iniziativa delle leggi promulgate 2005-2007.
(19) V. in Appendice, Tabella 3a - Durata dell’iter di approvazione delle leggi % 2007.
(20) V. in Appendice, Tabella 3 – Durata dell’iter di approvazione delle leggi 2007.
(21) V. in questo Capitolo Tabella 12 – Rinvii di leggi ad atti di Giunta 2006-2007.
(22) V. in Appendice, Tabella 9 – Numero e dimensione dei regolamenti di Consiglio 2007.
(23) V. in questo Capitolo la già citata Tabella 2 – Indice numerico dell’attività generale dei Consigli 2007 e la corrispondente Tabella pubblicata nel Rapporto 2007, p.160.
(24) V. in questo Capitolo Tabella 13 – Attività regolamentare del Consiglio 2007.
(25) V. in questo Capitolo Tabella 14 – Atti amministrativi approvati dal Consiglio regionale 2007.
(26) V. in questo Capitolo Tabella 15 – Atti di indirizzo 2004-2007.
(27) V. in questo Capitolo Tabella 17 – Atti di indirizzo definiti rispetto agli atti presentati 2004-2007.
(28) V. in questo Capitolo Tabella 16 – Atti di sindacato ispettivo 2004-2007.
(29) Questi passano rispettivamente da 1.684 e 1.035 atti nel 2006 a 1.511 e 765 nel 2007.
(30) V. in questo Capitolo Tabella 18 – Atti di sindacato ispettivo definiti rispetto agli atti presentati.
 
 
Tabelle:
 


 
5. Procedimenti per l'approvazione e l'attuazione degli Statuti Regionali e per il riconoscimento di ulteriori forme e condizioni di autonomia (ex art. 116.3 Cost.) (Antonio Ferrara)
 
5.1. Lo stato di avanzamento dei procedimenti di formazione dei nuovi statuti ordinari
Alla fine del 2007, a otto anni dalla legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, che ha ampliato l’autonomia statutaria regionale e completamente ridisegnato il procedimento di formazione degli statuti, dando avvio a una necessaria fase di adeguamento, sono ancora soltanto dieci le regioni che hanno adottato la loro legge fondamentale (Puglia, Calabria, Lazio, Toscana, Piemonte, Marche, Emilia-Romagna, Umbria, Liguria e Abruzzo). Le altre cinque regioni, a seguito del rinnovo dei rispettivi Consigli tra 2005 e 2006 (1), hanno nuovamente istituito delle Commissioni temporanee (2) o permanenti (3) con il compito specifico di elaborare il testo dello statuto regionale (4), seguendo la prassi generalmente utilizzata per la prima approvazione di queste nuove fonti regionali. In Campania questo speciale organo consiliare ha approvato un testo per l’iter in Assemblea (5). In Lombardia, al termine di una prima fase istruttoria, alla fine dell’anno di riferimento del presente Rapporto, è stato formalmente presentato il progetto dello Statuto d’autonomia da parte del Presidente della Commissione speciale (p.d.l. n. 292 del 27 dicembre 2007)(6). Le regioni Veneto e Molise hanno, invece, quantomeno avviato la fase istruttoria, mentre in Basilicata non si è registrato nessun avanzamento del procedimento legislativo (7).
Prima di passare alla sommaria ricognizione dei progetti di legge statutaria della Lombardia (definitivamente approvato nel maggio 2008) e della Campania, vanno rilevate alcune modifiche ai rispettivi statuti di Liguria (8) e Marche (9), il cui contenuto principale è volto all’integrazione della denominazione costituzionale del Consiglio regionale (art. 121.1) con quella di Assemblea legislativa. Un’altra novità, meno appariscente ma di maggior sostanza, sta nella scelta operata dall’assemblea legislativa della Liguria di sottrarre, esplicitamente e per intero, lo status dei consiglieri regionali all’iniziativa popolare e al referendum, abrogativo e consultivo, integrando in tal senso la disposizione statutaria che individua i limiti oggettivi di questi istituti di democrazia diretta.
Per una schematica indicazione dei dati relativi all’iter di formazione dei vari statuti e alla loro successiva manutenzione si rinvia alla Tabella 1.
 
5.1.1. Il progetto di legge statutaria della Regione Lombardia
La Commissione speciale Statuto, istituita dal Consiglio regionale con deliberazione del 5 dicembre 2006, si è insediata formalmente il 26 febbraio 2007 e ha iniziato i suoi lavori il 5 marzo 2007. Terminata la prima fase istruttoria ed entrata in vigore la legge di disciplina del referendum statutario confermativo (10) (che regola una fase eventuale ma necessaria dello speciale procedimento legislativo), il 27 dicembre 2007 è formalmente presentato il progetto di legge recante lo Statuto di autonomia della Lombardia, d’iniziativa del consigliere Adamoli, Presidente della Commissione statuto. Il testo è successivamente licenziato da questo speciale organo consiliare il 5 marzo 2008 ed emendato e approvato dal Consiglio regionale, in prima lettura, il 13 marzo 2008 e, in seconda deliberazione conforme, il 14 maggio 2008. E’ dunque della versione uscita dall’Assemblea legislativa che terremo qui conto. La legge statutaria conferma “la forma di governo imperniata sull’elezione diretta del Presidente della Regione e il rafforzamento robusto delle funzioni, delle prerogative e del ruolo del Consiglio regionale” (11). Non solo, si badi bene, delle funzioni legislative, di indirizzo e di controllo di quest’ultimo, ma anche dei suoi compiti di compartecipazione all’attività amministrativa. Tra gli elementi qualificativi della “carta fondamentale” lombarda spicca, inoltre, la particolare rilevanza riconosciuta al principio di sussidiarietà, inteso sia in senso verticale (a garanzia delle autonomie territoriali) sia in senso orizzontale (a garanzia delle autonomie funzionali e sociali). Va infine segnalata – per la sua originalità e il particolare rilievo, anche simbolico, che ricopre nel rapporto governanti-governati – la previsione in base alla quale per la validità del referendum abrogativo regionale è sufficiente che abbiano partecipato al voto i due quinti del corpo elettorale (art. 51.6). Si tratta della sola previsione statutaria che – insieme a quella, sia pur diversa, già introdotta dallo Statuto toscano (art. 75.4) – ha abbassato il quorum di partecipazione al di sotto della maggioranza degli aventi diritto al voto (12). Va anche rilevato, tuttavia, che – per contro – è stato fortemente alzato il numero di firme necessario per la richiesta della consultazione popolare, che è stato portato da 90.000 a ben 300.000: circa il 4% di tutti gli elettori lombardi (art. 51.1) (13).
 
5.1.2. Il progetto di legge statutaria della Regione Campania
La Commissione speciale statuto ha licenziato il progetto di nuovo Statuto il 13 luglio 2007. Il testo approvato ripropone, con pochi aggiustamenti, quello già favorevolmente votato in prima deliberazione consiliare nella precedente legislatura regionale (14). Il successivo 26 luglio ha avuto inizio l’esame in Assemblea che - alla data di chiusura di questo Rapporto - non si è ancora concluso.
Per quanto riguarda l’impostazione generale del testo e il contesto culturale di cui è espressione sul piano politico-istituzionale, si può rilevare, intanto, che anche in questo caso è pienamente confermata la forma di governo ad elezione diretta del Presidente della Giunta regionale, con il contestuale potenziamento dei poteri di indirizzo, controllo e alta amministrazione dell’Assemblea legislativa e la previsione di uno “statuto dell’opposizione”. Oltre al Consiglio delle autonomie locali, istituito ai sensi di quanto previsto dall’art. 123, comma 4, della Costituzione, verrebbero introdotti, inoltre, il Consiglio regionale dell’economia e del lavoro, il Consiglio regionale dell’istruzione e della formazione, la Consulta degli immigrati, il Difensore civico e la Consulta di garanzia statutaria. Per il resto, rispetto allo Statuto del 1971, fanno la comparsa nuove parole, cariche di valori identitari o indicative di nuovi concetti giuridici e nuovi ambiti di interesse per la Regione. Parole quali unità nazionale, sussidiarietà e coesione economica-sociale; differenza di genere e pari opportunità; chiarezza dei testi normativi, separazione tra politica e amministrazione e diritto di accesso agli atti; Unione europea e rapporti internazionali.
 
5.2. L’attuazione degli statuti regionali ordinari
Diamo qui conto della normativa di attuazione degli statuti. Ci soffermeremo in particolare sui nuovi regolamenti interni dei Consigli, sull’istituzione dei Consigli delle autonomie locali, in attuazione dell’articolo 123, comma 4, della Costituzione, e sulle altre leggi di diretta attuazione degli statuti. Nel corso dell’anno di riferimento non sono da segnalare novità, invece, in materia di legislazione elettorale regionale (15).
Per quanto riguarda, in primo luogo, le modalità procedurali di quest’attuazione, è da rilevare che alcune delle regioni il cui nuovo statuto è entrato in vigore hanno affidato ad una Commissione speciale il compito di elaborare le leggi attuative dello statuto (Abruzzo, Toscana e Umbria) (16). In Emilia-Romagna è stata creata, invece, una Commissione permanente con lo specifico compito di elaborazione e proposta del regolamento interno dell’assemblea, della legislazione elettorale regionale e delle leggi istitutive dei nuovi organismi previsti dallo statuto. Nelle rimanenti regioni si segue il procedimento ordinario nella commissione permanente di volta in volta competente per la materia (in genere quella per gli affari istituzionali o simile). E’ da segnalare, tuttavia, che nella Regione Marche, per quanto attiene al procedimento di formazione del nuovo regolamento interno, è stata istituita una Commissione straordinaria con il compito di esprimere il parere sulla proposta di modifica predisposta dall’Ufficio di Presidenza (17) e, per quanto attiene al procedimento di formazione della legge di disciplina del Consiglio delle autonomie locali (CAL), è stato costituito un gruppo di lavoro misto, formato da funzionari della Giunta e del Consiglio e da rappresentanti degli enti locali, quale supporto tecnico alla Commissione consiliare competente.
 
5.2.1. La revisione dei regolamenti interni dei Consigli
Dopo i Consigli regionali della Calabria e della Liguria, che sono stati i primi a provvedervi (18), nel periodo di riferimento del presente Rapporto sono stati approvati i regolamenti consiliari delle Regioni Emilia-Romagna e Umbria (19) e sono state apportate modifiche parziali a quelli delle assemblee legislative della Calabria (20), del Lazio(21), della Liguria (22), del Piemonte (23), della Puglia (24) e della Toscana (25). Solo in quest’ultimo caso le modifiche apportate sono di notevole ampiezza. Segnaleremo dunque, qui di seguito, le più evidenti e rilevanti novità che si riscontrano, rispetto alle norme precedentemente vigenti in Emilia-Romagna, Umbria e Toscana.
In Emilia-Romagna: la previsione sulla presentazione del programma di legislatura e della Giunta regionale in adeguamento alla forma di governo ad elezione diretta del Presidente della Giunta regionale (art. 5) e quella, connessa, relativa alla verifica e valutazione dell’attuazione del programma di governo (art. 19); la disciplina delle procedure, modalità e strumenti per la qualità della normazione e il controllo sull’attuazione delle leggi (Titolo VI); la regolazione dei rapporti con la Consulta di garanzia statutaria (art. 55), con il Consiglio delle autonomie locali e il Consiglio regionale dell’economia e del lavoro (Titolo VIII); la norma d’attuazione statutaria ampliativa del periodo di prorogatio dell’Assemblea, a partire dalla pubblicazione del decreto di indizione dei comizi elettorali fino all’insediamento del nuovo Consiglio (26), limitatamente agli adempimenti urgenti e improrogabili (art. 123).
In Umbria: la creazione della Conferenza dei Presidenti dei Gruppi consiliari (art. 12), del Comitato per la legislazione (art. 39) e del Comitato per il monitoraggio e la vigilanza sull’amministrazione regionale (art. 40); l’introduzione dello Statuto delle opposizioni (art. 13); la disciplina della legge comunitaria regionale (art. 19) e della partecipazione alla formazione degli atti normativi comunitari (art. 32); la regolamentazione dei pareri del Consiglio delle autonomie locali e del loro seguito (art. 20); la creazione delle Commissioni in sede redigente (artt. 28-29); il potenziamento dell’attività di controllo sullo stato di attuazione delle leggi e delle deliberazioni consiliari e dell’attività di valutazione delle politiche pubbliche (artt. 33, 34, 40 e 42); la previsione degli strumenti necessari ad assicurare la qualità, il riordino e la semplificazione normativa (artt. 39 e 43); l’adeguamento alle norme statutarie in materia di mozione di sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta regionale (art. 101) e nei confronti di un singolo Assessore (art. 102).
In Toscana: la nuova disciplina delle funzioni del Presidente del Consiglio regionale (art. 7), dell’Ufficio di presidenza (art. 10) e del Portavoce dell’opposizione (art. 14 bis); varie modifiche alla composizione, la durata e le attività delle commissioni permanenti e speciali (capo VI); l’istituzione della Commissione per le pari opportunità (capo VI ter); la nuova organizzazione dei lavori del Consiglio regionale (artt. 49-54).
Nelle altre regioni sono invece ancora in vigore i regolamenti interni dei Consigli approvati prima delle ultime modifiche costituzionali, sia pure spesso con alcune parziali modifiche o integrazioni successive all’entrata in vigore della legge costituzionale n. 1 del 1999 (Abruzzo, Basilicata, Campania, Lombardia, Marche e Veneto). Non sono in alcun caso applicabili, tuttavia, le norme direttamente incompatibili con il nuovo Titolo V della Costituzione e dunque, in primo luogo, quelle concernenti i controlli sugli atti amministrativi e sulle leggi regionali nonché sul sistema di elezione dei componenti della Giunta regionale.
 
5.2.2. Il Consiglio delle autonomie locali (CAL)
Tutti i nuovi statuti entrati in vigore hanno disciplinato il Consiglio delle autonomie locali (CAL) quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali in attuazione dell’articolo 123, comma 4, della Costituzione, prevedendone in genere l’istituzione presso il Consiglio regionale (27).
In alcune regioni è riconosciuto un effetto rafforzato al parere obbligatorio del CAL (in via generale o in casi determinati): qualora il Consiglio regionale deliberi in difformità al parere lo può fare, nei casi previsti, solo a maggioranza dei suoi membri (Abruzzo (28), Calabria, Emilia-Romagna (29), Lazio, Liguria (30), Marche e Umbria (31)). In Toscana si dispone, invece, che gli organi regionali, in caso di parere del CAL contrario o condizionato all’accoglimento di modifiche, lo possano disattendere solo con motivazione espressa. Inoltre, in alcuni statuti, è riconosciuto ai CAL il potere d’iniziativa legislativa (Calabria, art. 48.9; Lazio, artt. 37 e 67.1; Liguria, art. 66.1) e in un caso si prevede, anche, la discussione di questi progetti di legge entro un preciso termine dalla data della loro presentazione (Lazio).
Un altro potere è previsto dalle regioni Abruzzo (art. 71.5 St.) e Calabria (art. 45.2 St.). Nel caso in cui il CAL ritenga che una legge regionale (in Abruzzo anche un provvedimento) leda le competenze degli enti locali, può chiedere l’acquisizione del parere dell’organo di garanzia statutaria in merito ai rilievi formulati. Il Consiglio regionale può deliberare in senso contrario ai pareri di compatibilità statutaria a maggioranza assoluta (32).
Nei nuovi regolamenti consiliari delle regioni Calabria, Liguria e Umbria, in conformità della scelta operata dai rispettivi statuti, è ribadito che, qualora il Consiglio regionale non si adegui all’eventuale parere espresso dal CAL, debba deliberare a maggioranza assoluta dei membri. Il nuovo regolamento interno del Consiglio regionale della Liguria dispone, inoltre, che – nei casi in cui lo statuto prevede che sia necessaria un’approvazione consiliare a maggioranza assoluta per discostarsi dal parere del CAL – anche le Commissioni permanenti, che non intendano tener conto di detto parere, debbano approvare il provvedimento con il voto favorevole di un numero di commissari in grado di esprimere la metà più uno dei consiglieri regionali. Nella Regione Calabria, diversamente, è previsto che la Commissione, nel caso in cui decida di non tenere conto del parere negativo del CAL, debba indicarne le ragioni nella relazione per l’Assemblea (33). Le modifiche apportate al regolamento consiliare della Toscana prevedono, invece, che la Commissione consiliare competente, qualora ritenga di non adeguarsi al parere del CAL contrario o condizionato all’accoglimento di modifiche, presenti al Consiglio regionale, unitamente alla relazione sulla proposta di legge o di regolamento, un ordine del giorno procedurale che esprime la motivazione di tale non accoglimento. (34)
Nel periodo di riferimento di questo Rapporto questo nuovo organo è stato istituito in Abruzzo (l.r. 11 dicembre 2007, n. 41) Calabria (l.r. 5 gennaio 2007, n. 1), Lazio (l.r. 26 febbraio 2007, n. 1) e Marche (l.r. 10 aprile 2007, n. 4). In precedenza vi avevano già provveduto Liguria, Piemonte e Puglia (35), tenendo a parte il caso delle regioni Toscana e Umbria che hanno creato un organo similare già nel 1998 (36) e delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, che non sono qui considerate. Delle regioni che hanno approvato il nuovo statuto manca all’appello dunque la sola Regione Emilia-Romagna (37). Riportiamo nella Tabella 2 il confronto sinottico dei principali contenuti normativi delle leggi istitutive del CAL nelle regioni Abruzzo, Calabria, Lazio e Marche (38).
 
5.2.3 .Il Consiglio regionale dell’economia e del lavoro (CREL)
Sei statuti, dei dieci nuovi fin qui adottati, prevedono l’istituzione di un organo di consultazione in materia economica e sociale denominato Consiglio regionale dell’economia e del lavoro, rinviando alla legge per la sua disciplina (39). In Calabria, in Emilia-Romagna e nelle Marche è specificato che il CREL ha sede presso il Consiglio regionale (40). La Liguria e le Marche attribuiscono all’organo anche la potestà d’iniziativa legislativa (41).
Secondo un diverso modello, gli statuti della Puglia e della Toscana prevedono, rispettivamente, una Conferenza regionale permanente per la programmazione economica, territoriale e sociale (42) e una Conferenza permanente delle autonomie sociali (43), poste entrambe presso il Consiglio regionale con analoghi compiti di consultazione ai fini della programmazione economica, territoriale e sociale. Lo statuto dell’Abruzzo istituisce, invece, la Conferenza regionale per la programmazione, con compiti di consultazione in materia di programmazione economica e finanziaria, presso la presidenza della Giunta (44).
Lo statuto della Regione Umbria, pur non prescrivendo l’istituzione del CREL o di un analogo organo, prevede tuttavia che, al fine di adottare linee d’indirizzo per la concertazione, il presidente del Consiglio regionale convochi annualmente “i rappresentanti istituzionali, funzionali, economici e sociali della regione” nella Conferenza regionale dell’economia e del lavoro (45).
Già prima di queste disposizioni statutarie il CREL o altro simile organo rappresentativo delle forze sociali era stato istituito o comunque previsto dalla ordinaria legislazione regionale in Piemonte, Puglia, Abruzzo, Basilicata, Emilia-Romagna, Lazio e Veneto (46). Nella Regione Marche, invece, questo ruolo è stato effettivamente svolto dal Tavolo regionale della concertazione, costituito all’inizio dell’VIII legislatura (giugno 2005) (47).
Nel periodo di riferimento di questo Rapporto l’organismo consultivo in materia economico-sociale, così come previsto dai rispettivi statuti, è stato istituito in Calabria (l.r. 21 agosto 2007, n. 17) e Toscana (l.r. 4 aprile 2007, n. 20) (48). In precedenza vi avevano già provveduto Lazio e Liguria (49). Riportiamo nell’allegata Tabella 3 il confronto sinottico dei principali contenuti normativi di queste due ultime leggi (50).
 
5.2.4. Gli organi di garanzia statutaria
In tutti i nuovi statuti – ad esclusione di quello delle Marche – è prevista l’istituzione di organi di garanzia statutaria (51). Tra i compiti ad essi assegnati spicca, in particolare, la valutazione circa la conformità allo statuto delle leggi (rectius: deliberazioni legislative) o dei progetti di legge e, spesso, anche dei regolamenti regionali (rectius: deliberazioni regolamentari) o dei relativi progetti (52). Si tratta di un’eventuale fase - consultiva - del procedimento normativo che in genere è facoltativa (per richiesta di soggetti determinati) ma che può essere anche obbligatoria (per previsione normativa) (53) e che, secondo i casi, si inserisce o in una fase procedimentale - non sempre ben definita direttamente dalle previsioni statutarie - che si colloca tra l’iniziativa normativa e l’approvazione dell’atto (Calabria, Liguria, Piemonte e Puglia) (54) o in quella – più chiaramente determinata – che si situa tra l’approvazione della deliberazione normativa e la sua promulgazione o emanazione (Abruzzo, Emilia-Romagna, Lazio, Toscana e Umbria) (55). L’eventuale parere di non conformità può essere superato, salvo rare eccezioni (56), da una deliberazione dell’organo regionale competente in via definitiva per l’atto normativo in questione. In alcune regioni è richiesta, in questo caso, una deliberazione assunta “con motivata decisione” (Calabria ed Emilia-Romagna) (57) e/o la necessità di un’approvazione a maggioranza assoluta (Abruzzo, Calabria e Lazio) (58).
Tra le altre funzioni assegnate a detti organi si rinvengono, inoltre, la risoluzione dei conflitti di attribuzione e di competenza (59), il giudizio di ammissibilità dei referendum e delle iniziative legislative popolari (60), il giudizio sulla legittimità del regolamento interno del Consiglio regionale (61), i compiti amministrativi inerenti lo svolgimento delle elezioni (62), nonché varie funzioni di consulenza tecnico-giuridica (63).
Le Regioni Liguria e Piemonte sono le prime che hanno approvato le leggi istitutive dell’organo di garanzia statutaria nel corso del 2006 (64). Nel periodo di riferimento di questo Rapporto un simile organismo è stato istituito anche in Abruzzo (l.r. 11 dicembre 2007, n. 42), Calabria (l.r. 5 gennaio 2007, n. 2), Emilia-Romagna (l.r. 4 dicembre 2007, n. 23), Lazio (l.r. 21 dicembre 2007, n. 24) e Umbria (l.r.31 luglio 2007, n. 27). Riportiamo nella Tabella 4 il confronto sinottico dei principali contenuti normativi delle rispettive leggi regionali (65).
 
5.2.5. Le altre leggi di attuazione statutaria
Nel corso del periodo di riferimento di questo Rapporto si rinvengono inoltre una serie di altre leggi che danno attuazione ai nuovi statuti o, comunque, che così si autoqualificano. Dato tuttavia che non è affatto pacifico che cosa si debba intendere per legge di attuazione statutaria, è bene precisare che nel caso dell’autoqualificazione legislativa si è tenuto conto del mero elemento lessicale mentre negli altri casi si sono censite le leggi destinate a rendere operanti previsioni statutarie non direttamente applicabili (ad es. una legge che istituisce e/o disciplina un nuovo organo o un nuovo istituto previsto dallo statuto) o che comunque intervengono a modificare, anche parzialmente o transitoriamente, la disciplina di oggetti normativi per la cui specificazione gli statuti rinviano ad una legge (ad es. la legge che stabilisce lo stemma e il gonfalone regionale).
In applicazione di questi criteri si individuano, in particolare:
a. disposizioni in materia di organizzazione del Consiglio regionale
- norme sull’autonomia organizzativa, funzionale e contabile del Consiglio regionale (66);
- norme generali sull’organizzazione della struttura organizzativa del Consiglio regionale (67);
- disposizioni in ordine alle indennità dei consiglieri regionali (68);
b. norme di disciplina di altri organi regionali previsti dagli statuti
- la nuova disciplina del difensore civico regionale (69);
- il differimento della durata del mandato del difensore civico regionale in prima attuazione dello Statuto (70);
- le modifiche alla legge istitutiva del Comitato regionale per le comunicazioni (Co.Re.Com.) (71);
c. previsioni normative in materia di normazione
- nuovo ordinamento del BUR e norme per la pubblicazione degli atti (72);
d. nuove previsioni in materia di referendum popolare
- disciplina del referendum abrogativo, consultivo e dell’iniziativa legislativa (73);
- disciplina dei referendum regionali previsti dalla Costituzione e dallo Statuto (74);
e. previsioni normative in materia di amministrazione
- riforma del sistema amministrativo regionale e locale (75);
- controllo sugli enti dipendenti e strumentali della Regione (76);
- conferimento di funzioni e compiti amministrativi (77);
f. previsioni normative che richiamano, riconoscono e valorizzano principi e finalità, fissati dai rispettivi statuti, concernenti:
- l’identità storico-culturale della comunità regionale (78);
- le politiche di genere (79);
- la partecipazione popolare (80);
- il volontariato (81);
- le politiche economiche e del lavoro (82);
- le politiche sociali (83).
 
5.3. Procedimenti per il riconoscimento di ulteriori forme e condizioni di autonomia regionale (ax art. 116.3 Cost.).
Le Regioni Lombardia e Veneto hanno dato avvio al percorso per il riconoscimento di ulteriori forme e condizioni di autonomia, secondo quanto previsto dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione (84). I rispettivi Consigli, seguendo un procedimento simile (85), hanno deliberato il testo della proposta di intesa con il Governo (86) sulla base di uno schema predisposto dalla Giunta regionale (87) e sottoposto al parere degli enti locali (88). L’eventuale intesa intergovernativa dovrà essere sottoposta alla successiva legge di approvazione a maggioranza assoluta dei membri delle due Camere.
Le deliberazioni individuano i settori materiali per i quali le due regioni chiedono una maggiore autonomia a soddisfazione delle istanze espresse dalle rispettive popolazioni. Comune è l’interesse manifestato ad assumere nuovi compiti e funzioni nel campo dell’organizzazione della giustizia di pace e della tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali (che sono materie di competenza esclusiva dello Stato), cui si aggiunge un’ampia selezione di materie di competenza ripartita:
- ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi;
- ordinamento della comunicazione;
- previdenza complementare e integrativa;
- protezione civile;
- infrastrutture (89);
- banche a carattere regionale (90).
Differiscono parzialmente le voci della piattaforma rivendicativa, invece, nella materia dei rapporti internazionali (il potere estero della Regione, per il Veneto, e la cooperazione transfrontaliera per la Lombardia), in quella della tutela della salute (limitata, per la Lombardia, alla sola organizzazione sanitaria) e in quella dell’istruzione (limitata, per la Lombardia, alla sola istruzione universitaria, con specifico riferimento alla programmazione dell’offerta formativa e delle sedi). La sola Regione Veneto, infine, rivendica più ampi poteri nella materia del governo del territorio, comprensiva di una più certa e ampia definizione dei lavori pubblici di interesse regionale (91).
Il 13 aprile 2007 il Presidente della Giunta regionale lombarda, a seguito dell’approvazione della risoluzione del Consiglio regionale concernente l’iniziativa per l’attribuzione alla Regione Lombardia di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione (d.c.r. 3 aprile 2007, n. 367), ha chiesto al Governo nazionale di dare inizio alla fase negoziale. Il 30 ottobre 2007 è effettivamente partito il confronto intergovernativo.
 
5.4. Lo stato di avanzamento dei procedimenti di revisione degli statuti regionali di autonomia speciale
 
5.4.1. Gli aspetti procedimentali. L’iniziativa della Regione Valle d’Aosta e le iniziative parlamentari collegate
Per quanto riguarda il procedimento per la revisione degli statuti speciali va ricordato, intanto, che il Consiglio regionale della Valle d’Aosta ha presentato una proposta di legge costituzionale per la modifica dell’art. 50 del proprio statuto di autonomia al fine di assicurare il pieno rispetto del principio pattizio nel procedimento di revisione statutaria (92). Secondo la Regione proponente, il rapporto pattizio tra Stato e Regione è alla base dell’ordinamento autonomo valdostano e implica la necessità dell’assenso del massimo organo rappresentativo della Regione rispetto ad ogni proposta di modificazione dello statuto speciale votata dal Parlamento nazionale, impedendo in tal modo alterazioni unilaterali dell’autonomia regionale. Si propone, di conseguenza, che i progetti di legge di modificazione dello statuto, approvati dalle due Camere in prima deliberazione, siano trasmessi al Consiglio della Valle per l’intesa e che l’assenso sia espresso, entro tre mesi dalla trasmissione del testo, con deliberazione approvata a maggioranza dei due terzi dei componenti il Consiglio. Il Parlamento non potrebbe adottare la legge costituzionale in mancanza di quest’ultima. Allo stesso modo va considerato, inoltre, l’art. 48 della proposta di legge costituzionale di revisione dello Statuto del Friuli Venezia Giulia (93). La Regione propone in questo caso, sempre in virtù del medesimo principio pattizio, che i progetti di modificazione dello statuto d’iniziativa governativa o parlamentare siano comunicati all’Assemblea legislativa regionale per il raggiungimento dell’intesa. Nel caso in cui questa non sia raggiunta ovvero le Camere decidano di discostarsi dal testo proposto dall’Assemblea legislativa regionale o dal testo su cui si era già raggiunta l’intesa, la legge costituzionale può essere adottata solo a maggioranza dei due terzi. In tal caso il referendum popolare regionale confermativo è obbligatorio e non facoltativo (94).
Sempre per quanto concerne la procedura per la modifica degli statuti delle regioni ad autonomia speciale, sono da registrare, infine, alcune proposte di legge costituzionale d’iniziativa parlamentare. In cinque casi s’intenderebbe modificare le rispettive disposizioni di tutti gli statuti di autonomia (95) e in altri due solo quelle riguardanti la Regione Friuli Venezia Giulia (96). Tutte le proposte considerate – analogamente alle iniziative regionali – prevedono che le modifiche statutarie debbano essere adottate, con legge costituzionale (secondo quanto previsto dall’articolo 116 della Costituzione), ma previa intesa con la regione interessata (mentre ora è richiesto solo il previo parere del Consiglio regionale) (97). Si tratta, in queste ipotesi, della sostanziale riproposta di quanto già in precedenza previsto dall’art. 38 della legge costituzionale recante modifiche alla Parte II della Costituzione, approvata dal Parlamento nella XIV legislatura (98) ma non confermata dal successivo referendum popolare del 25-26 giugno 2006. Si dispone dunque che qualora, entro tre mesi dalla trasmissione del testo, la Regione non rifiuti l’assenso con voto a maggioranza dei due terzi, le Camere possano approvare la legge costituzionale di modifica statutaria (99). Dal punto di vista formale, tuttavia, la modifica del procedimento di revisione statutaria non s’inserisce più nella disposizione dell’articolo 116 della Costituzione, ma è posta direttamente nel testo degli statuti di autonomia particolare. Ne deriva una più intensa regionalizzazione delle norme che disciplinano questo procedimento (100) che non può che ribadire con ancor maggior nettezza – anche sul piano formale – la forte specializzazione normativa e la posizione non del tutto parificata delle leggi costituzionali di adozione degli statuti speciali rispetto alla Costituzione. E’ già chiaramente da escludere, infatti, che queste speciali fonti di valore costituzionale, con le quali si definiscono e si modificano le “forme e le condizioni particolari” dell’autonomia delle regioni differenziate, possano derogare ad altre norme della Costituzione al di fuori di quelle del Titolo V della sua seconda Parte o comunque incidere su quei principi supremi che, come insegna la giurisprudenza costituzionale, “non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali” (101).
Nel corso dell’anno di riferimento di questo Rapporto la Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati ha concluso l’esame dei testi abbinati concernenti la procedura per la modifica degli statuti delle regioni a statuto speciale (AC/XV/203 e abb.), adottando un testo unificato come testo base (9 maggio 2007) e deliberando di conferire al relatore il mandato a riferire all’Assemblea in senso favorevole al provvedimento (5 luglio 2007) (102). Sul provvedimento in oggetto si è favorevolmente espressa anche la Commissione parlamentare per le questioni regionali (20 giugno 2007) (103). Successivamente, tuttavia, non si sono verificati ulteriori avanzamenti dell’iter legislativo.
 
5.4.2. Gli aspetti sostanziali. L’iniziativa della Regione Friuli Venezia Giulia
Per quanto riguarda, invece, gli aspetti sostanziali della revisione statutaria, considereremo qui, in particolare, il progetto di revisione dello Statuto della Regione Friuli Venezia Giulia (104), che è stato all’esame della I Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati in una serie di undici sedute svoltesi tra il 20 dicembre 2006 e il 15 novembre 2007. Nel precedente Rapporto abbiamo prestato attenzione alla questione cruciale dell’assetto delle competenze configurato dal disegno di legge, nel testo presentato dalla Regione proponente. Ci soffermiamo adesso, invece, sul testo unificato adottato dalla Commissione come testo base, individuando in particolare le principali modifiche che si è ritenuto di poter direttamente apportare alla proposta d’iniziativa regionale, in sede d’adozione del nuovo Statuto speciale, e le motivazioni che si ricavano dai resoconti parlamentari.
Sono stati espunti dal testo, innanzitutto, il preambolo, in quanto privo di autonomo contenuto normativo, e le disposizioni ripetitive, in tutto o in parte, di principi fondamentali della Costituzione, cui anche gli statuti speciali devono il pieno e assoluto rispetto (105). Alla necessità di conformarsi esattamente all’articolo 116 della Costituzione è da attribuire, inoltre, il ripristino della denominazione della Regione “Friuli Venezia Giulia” nella sola lingua italiana, in luogo di quella plurilingue (italiano, friulano, sloveno e tedesco) (106). La richiamata disposizione costituzionale - che è quella su cui si fonda la speciale autonomia delle regioni ivi nominativamente individuate - adotta infatti, nel suo testo attuale, la denominazione plurilingue solo per le Regioni Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta.
A ulteriore frustrazione della volontà della Regione di marcare più fortemente la propria identità, è eliminata dal testo unificato anche la previsione circa la possibilità di rappresentarsi simbolicamente attraverso l’uso di una propria bandiera, oltre che del gonfalone e dello stemma (107). La sottesa evidente preoccupazione della Commissione circa l’emersione di una piccola patria regionale che rappresenti sé stessa in forme antitetiche alla sovranità dello Stato determina, tuttavia, una condizione particolare d’autonomia senz’altro ingiustificatamente discriminatoria rispetto a quanto parallelamente concesso alle regioni ordinarie: la maggioranza dei nuovi statuti fin qui definitivamente approvati dai Consigli delle regioni di diritto comune ha infatti pacificamente previsto la bandiera regionale (108).
Passando dalle rappresentazioni simboliche agli aspetti di sostanza, si rileva primariamente un ridimensionamento e una normalizzazione del potere estero della Regione – rispetto alla richiesta di un potenziamento tanto forte da correre il rischio di svolgersi in parallelo o in conflitto con quello dello Stato (109) – ed anche delle prerogative rivendicate in materia di autonomia finanziaria, in assenza di una cornice generale di attuazione del federalismo fiscale che ne assicuri l’armonia con l’articolo 119 della Costituzione (110).
Il testo unificato della Commissione interviene, inoltre, sull’elencazione delle competenze legislative. E’ eliminata, in primo luogo, l’elencazione tassativa delle competenze esclusive statali e operato un rinvio, esterno allo Statuto, alle materie espressamente riservate allo Stato dalla Costituzione. E’ qui da rilevare, tuttavia, che, se il sistema a quattro elenchi di competenza (111) proposto dalla Regione è certamente barocco, la soluzione prospettata dal testo unificato adottato della Commissione non semplifica e non chiarisce il quadro delle competenze. In particolare, non si comprende se questa diversa formulazione dispositiva (112) abbia inteso sottrarre – in tutto o in parte – l’ordinamento degli enti locali alla competenza speciale (113) già attualmente riconosciuta alla Regione (114).
Sempre per quanto riguarda le competenze, in secondo luogo, è sottratta la materia della tutela della salute dall’elenco delle materie di potestà legislativa esclusiva della Regione – riportata, in parallelo con le regioni ordinarie, nell’elenco delle materie concorrenti (115) – ed eliminata la previsione in base alla quale i decreti legislativi di attuazione dello Statuto potrebbero attribuire alla potestà legislativa della Regione ulteriori funzioni tra quelle riservate in via esclusiva allo Stato (116).
Per quanto riguarda gli strumenti di raccordo Stato-Regione, infine, è soppressa la disposizione del disegno di legge d’iniziativa regionale in base alla quale la Commissione paritetica per il coordinamento tra Stato e Regione svolge funzioni di conciliazione in caso di controversie (117). La ragione che sta alla base di questa modifica è quella, dichiarata nel dibattito, secondo la quale “non può immaginarsi di attribuire a commissioni paritetiche un ruolo che può spettare unicamente alla Corte costituzionale” (118); ma appare evidente la preoccupazione, dietro la volontà di escludere un simile strumento conciliativo, che l’affermarsi del principio pattizio rivendicato dalla Regione possa mettere in dubbio la prevalenza dello Stato sovrano in caso di disaccordo.
 
5.4.3. Le leggi statutarie delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Bolzano e Trento
Per quanto riguarda le cosiddette leggi statutarie – quelle speciali leggi che, in attuazione della legge costituzionale n. 2 del 2001, consentono la completa regionalizzazione della disciplina della forma di governo, in precedenza regolata direttamente dagli statuti-leggi costituzionali della Repubblica – nel corso del 2007 ne sono state approvate sei (contando anche la deliberazione legislativa approvata il 7 marzo 2007 dal Consiglio regionale della Sardegna). Di queste vanno segnalate, in particolare, la legge sulla forma di governo e il sistema elettorale della Regione Friuli Venezia Giulia (l.r. 18 giugno 2007, n. 17) (119) e la citata deliberazione legislativa sarda (120). Si tratta, infatti, delle prime due leggi statutarie che non disciplinano alcuni singoli oggetti riservati a questa fonte sui generis, ma che intervengono per determinare nell’ambito di un solo provvedimento unitario la forma di governo regionale (121), con la sola eccezione della legge elettorale regionale, per la Sardegna, e dell’iniziativa popolare delle leggi e dei referendum (122) e – parzialmente – delle cause di ineleggibilità e incompatibilità con le cariche di governo regionale (123), per il Friuli Venezia Giulia.
Il sistema normativo si presenta dunque, in entrambi i casi, organico e complesso, restando fuori soltanto parti limitate della materia riservata - per le quali in Sardegna si rinvia espressamente ad una successiva legge statutaria (124) - e la normativa di attuazione per cui si rinvia a ordinarie leggi regionali (125) o al regolamento interno del Consiglio (126). Più in dettaglio, dette leggi fanno propria l’elezione diretta del Presidente della Regione (127), cui spetta nominare e revocare gli assessori (128), ma cercano di rafforzare, allo stesso tempo, i poteri e gli strumenti di controllo del Consiglio regionale (129) e le garanzie delle opposizioni (130). Nella dinamica istituzionale dei rapporti tra gli organi di governo della Regione, in Sardegna, è previsto lo scioglimento del Consiglio regionale per il caso dell’approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del Presidente, delle dimissioni volontarie dello stesso ovvero per le dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti dell’assemblea legislativa. Non viene dunque riproposta, in questo caso, la causa di scioglimento prevista dall’articolo 126, terzo comma, della Costituzione per il caso della rimozione, dell’impedimento permanente o della morte del Presidente (131). In Friuli Venezia Giulia, invece, è stato integralmente recepito il meccanismo istituzionale del simul stabunt simul cadent esattamente negli stessi termini già previsti per le Regioni ordinarie (132).
La sola deliberazione legislativa statutaria della Regione Sardegna - sulla base di un’interpretazione ampia della competenza normativa esercitabile da questo genere di fonte in materia di forma di governo (non limitata, dunque, ai soli oggetti specificamente individuati dallo Statuto speciale) (133) - prevede, inoltre, la costituzione del Consiglio delle autonomie locali, quale organo di rappresentanza istituzionale degli enti locali con funzioni consultive e di proposta (134), e disciplina nelle sue linee essenziali un organo con funzioni consultive nell’ambito del procedimento di formazione delle leggi e dei regolamenti regionali e altre funzioni di garanzia della legalità statutaria (135).
Come abbiamo accennato, la legge statutaria del Friuli Venezia Giulia disciplina nelle sue linee essenziali anche il sistema elettorale per l’elezione del Consiglio regionale. In questa Regione è prevista l’elezione diretta e contestuale del Presidente della Regione e del Consiglio regionale e un premio di maggioranza che garantisce alla coalizione collegata al candidato eletto Presidente della Regione almeno il 55% dei seggi del Consiglio e alle opposizioni almeno il 40% (dunque con eventuale premio di minoranza). L’espressione del voto per l’elezione degli organi del governo regionale si esercita su un’unica scheda ed è consentito il voto disgiunto e la possibilità di esprimere una preferenza nel voto di lista a livello circoscrizionale. Per l’ammissione delle liste alla ripartizione dei seggi si applica una clausola di sbarramento al livello regionale (che è del 4% per le liste che non fanno parte di alcuna coalizione o che fanno parte di coalizioni che hanno avuto meno del 15% dei voti) (136). Successivamente, per l’attribuzione dei seggi alle liste ammesse, a livello regionale, e la ripartizione degli stessi tra le rispettive liste circoscrizionali, si adotta un metodo proporzionale.
Come si vede, dunque, risultano sostanzialmente confermati i tratti essenziali del sistema elettorale transitorio introdotto dalla legge costituzionale n. 2 del 2001. La più marcata differenza che vale la pena qui di notare riguarda l’abolizione del cosiddetto listino regionale bloccato al quale attingere per l’attribuzione dei seggi dell’eventuale quota maggioritaria.
Tra le altre leggi statutarie approvate nel corso del 2007 spicca, inoltre, il pacchetto di tre provvedimenti approvato dalla Regione Valle d’Aosta, recanti le disposizioni in materia di modalità di elezione del Presidente della Regione e degli assessori, nonché in materia di presentazione e di approvazione della mozione di sfiducia e di scioglimento del Consiglio regionale (l.r. 7 agosto 2007, n. 21), alcune modifiche alle norme per l’elezione del Consiglio regionale e per il funzionamento dei gruppi consiliari (l.r. 7 agosto 2007, n. 22) (137) e la disciplina delle cause di ineleggibilità e incompatibilità con la carica di consigliere regionale (l.r. 7 agosto 2007, n. 20) (138). Su quest’ultimo oggetto specifico è intervenuta anche la Regione Sicilia (l.r. 5 dicembre 2007, n. 22, norme in materia di ineleggibilità e incompatibilità dei deputati regionali) (139) (140).
Le leggi valdostane hanno recato alcune modifiche alle norme per l’elezione del Consiglio regionale e del Presidente della Regione e degli assessori, ma hanno confermato la forma di governo parlamentare e il sistema elettorale proporzionale, pur introducendo dei correttivi in grado di rafforzare il ruolo dell’esecutivo e la cosiddetta governabilità. Le principali novità consistono nella previsione dell’istituto della sfiducia costruttiva dell’esecutivo, nel rafforzamento degli strumenti necessari a promuovere l’equilibrio della rappresentanza tra i generi nel Consiglio regionale (con una quota minima del 20%) (141), nella necessaria presentazione di un programma elettorale di lista o di coalizione, nell’innalzamento della soglia di accesso alla ripartizione proporzionale dei seggi (occorre aver ottenuto almeno 2 quozienti interi su 35, con un effetto tacito di sbarramento stimabile al 5,7%) e nell’introduzione di un premio di maggioranza eventuale per la lista o la coalizione che ha superato al primo turno il 50% dei voti validi (con l’attribuzione di 21 seggi su 35) o per la lista o la coalizione che ottiene al secondo turno di ballottaggio chiuso (142) il maggior numero di voti validi (con l’attribuzione di 18 seggi, pari alla maggioranza assoluta dei membri del Consiglio).
In materia di forma di governo ben più spinte erano le proposte di legge d’iniziativa popolare a potenzialità rafforzata dal nuovo istituto regionale del referendum propositivo (143). Le quattro iniziative depositate dai comitati promotori, infatti, miravano a limitare ad uno solo il voto di preferenza (anziché tre) (144), a introdurre la dichiarazione preventiva delle alleanze politiche e la possibilità del voto di coalizione (anziché la mera possibilità di presentare un programma elettorale comune a più liste) (145), a prevedere l’elezione diretta dell’intera Giunta regionale (anziché l’elezione consiliare del Presidente della Regione e degli altri membri dell’esecutivo) (146) e a stabilire che nelle liste dei candidati non possono essere presenti più di 2/3 di candidati dello stesso genere (anziché non più di 4/5) (147). Le leggi statutarie approvate dal Consiglio regionale (148) non hanno recepito nessuno di questi contenuti essenziali (149) e, di conseguenza, i referendum propositivi – pur in presenza di dubbi e incertezze sull’applicabilità di questo istituto per la deliberazione di leggi regionali cosiddette statutarie (150) – sono stati indetti per il 18 novembre 2007 (151). Alla consultazione ha partecipato il 27% degli elettori (152) ma, non essendo stato raggiunto il prescritto quorum di partecipazione (45%), i quattro referendum in questione sono stati dichiarati non validi.
Per un quadro sintetico d’insieme delle leggi statutarie sin qui approvate dalle Regioni a statuto speciale e dalle Province autonome di Trento e Bolzano si rinvia alla Tabella 5.
 
5.4.4. I regolamenti interni delle Assemblee legislative nelle Regioni a statuto speciale
Guardando alle fonti di autorganizzazione regionale, intese in senso più generale, occorre tenere in considerazione anche i regolamenti interni delle assemblee legislative – che sono funzionalmente connessi alla disciplina della forma di governo – e vanno dunque segnalate le modifiche e le integrazioni al regolamento interno del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia (d.c.r. 25 ottobre 2007, n. 292) (153) e la parziale modifica approvata dal Consiglio della Valle d’Aosta (d.c.r. 24 gennaio 2007, n. 2443) (154).
Il primo intervento di modifica è molto ampio ed è conseguente alla già segnalata legge sulla forma di governo regionale, del precedente mese di giugno. Si segnala, in particolare: la sostituzione dell’intero capo sugli strumenti di programmazione controllo economico-finanziario; l’introduzione di un nuovo capo relativo alla richiesta di referendum costituzionale e al parere sulle variazioni territoriali; l’inserimento di un capo concernente la partecipazione del CAL a procedimenti di competenza del Consiglio regionale; la sostituzione della disposizione sulla mozione di sfiducia e l’inserimento di due nuovi articoli per regolare la questione di governo e la censura a un singolo assessore; la previsione di un rapporto annuale sullo stato della regione e sull’attuazione del programma di governo e la disciplina dei collegati strumenti di indirizzo, controllo, valutazione e acquisizione di informazioni da parte del Consiglio.
In Valle d’Aosta, invece, la modifica del regolamento interno del Consiglio è puntuale e circoscritta alla creazione di un’apposita sessione europea e internazionale nel corso della quale il Consiglio è convocato per la presentazione della relazione del Presidente della Regione sulle attività svolte dalla regione a livello europeo e internazionale e per la discussione della legge comunitaria regionale.
 
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NOTE
 
(1) Le elezioni regionali del Molise si sono svolte nel novembre del 2006.
(2) Campania, d.p.c.r. 15 luglio 2005, n. 37 (v. inoltre r. 5 dicembre 2005, n. 4, Regolamento per il funzionamento della Commissione consiliare speciale per la revisione dello Statuto della Regione Campania e del regolamento interno del Consiglio regionale); Lombardia, d.c.r 5 dicembre 2006, n. VIII/266 (che ha revocato e sostituito la precedente d.c.r. 28 giugno 2005, n. VIII/7); Molise l.r. 26 gennaio 2007, n. 2.
(3) Veneto art. 15 ss. del reg. c.r., così come modificato dalla d.c.r. 31 gennaio 2003, n. 4.
(4) A queste commissioni, nella maggior parte dei casi, è anche assegnato il compito di esame della legge elettorale regionale e/o del nuovo regolamento interno del Consiglio regionale. Sul progressivo avanzamento dei procedimenti di formazione degli statuti nel corso della precedente legislatura regionale si rinvia ai precedenti Rapporti.
(5) Testo del 13 luglio 2007.
(6) Il p.d.l. è stato successivamente approvato in Commissione (5 marzo 2008) e in Assemblea (13 marzo e 14 maggio 2008) e pubblicato in via notiziale sul BUR n. 21, s.s., del 24 maggio 2008.
(7) Nella precedente legislatura le regioni Basilicata, Veneto e Molise approvarono dei testi in Commissione (rispettivamente, il 22 dicembre 2003, il 7 agosto 2004 e il 28 settembre 2005).
(8) L. statutaria promulgata il 5 ottobre 2007, n. 1 (previa deliberazione consiliare definitiva del 27 giugno 2007).
(9) L. statutaria promulgata il 22 gennaio 2008, n. 2 (previa deliberazione consiliare definitiva del 2 ottobre 2007).
(10) L.r. 28 novembre 2007, n. 31, Disposizioni in materia di referendum ai sensi dell’articolo 123, terzo comma, della Costituzione. Sulle leggi regionali di disciplina del referendum statutario v. il Rapporto, 2004-2005, p. 164 ss.
(11) Dalla premessa al p.d.l. n. 292, VIII leg., presentato il 27 dicembre 2007.
(12) Immutato è naturalmente rimasto il quorum di approvazione, pari alla maggioranza dei voti validamente espressi. 
(13) Previsioni di ben maggior favore per il principale istituto della democrazia diretta erano contenute nel progetto di legge presentato il 27 dicembre 2007 dal Presidente della Commissione Statuto. Era qui previsto, infatti, che per la richiesta del referendum occorressero le firme di almeno 1/50 degli elettori regionali (circa 150.000) e che, per la validità della consultazione, avesse partecipato al voto almeno un terzo del corpo elettorale.
(14)D.c.r. del 18 settembre 2004.
(15) Per la quale rinviamo al Rapporto 2006, II, p. 66 ss.
(16) D.c.r. Abruzzo, 21 giugno 2005, Istituzione di una Commissione speciale per lo statuto, il regolamento e la legge elettorale; l.r. Umbria, 29 luglio 2005, n. 23, Istituzione di una commissione speciale per le riforme statutarie e regolamentari; d.c.r. Toscana, 11 ottobre 2005, n. 98, Istituzione Commissione speciale per gli adempimenti statutari e per il nuovo regolamento interno del Consiglio regionale. 
(17) Delib. Uff. di Pres. n. 713/2007.
(18) Rispettivamente con la d.c.r. 27 maggio 2005, n. 5 e la d.c.r. 9 giugno 2006, n. 18.
(19) Rispettivamente con d.c.r. 28 novembre 2007, n. 143 (in B.U.R. 5 dicembre 2007) e con d.c.r. 8 maggio 2007, n. 141 (in B.U.R. 23 maggio 2007). E’ da ricordare che l’Umbria è stata l’unica regione (oltre alla Val d’Aosta), fino all’acquisto di efficacia di quest’ultima deliberazione, ad aver adottato il regolamento interno del Consiglio e le sue successive modifiche con legge; il vecchio regolamento è stato dunque abrogato dalla l.r. 14 maggio 2007, n. 13, art. 1, in B.U.R. 23 maggio 2007.
(20) D.c.r. 5 aprile 2007, n. 126, in B.U.R. 2 maggio 2007, integrazione al reg. interno del Consiglio regionale (art. 25 bis, revoca di nomine ed incarichi).
(21) D.c.r. 12 dicembre 2007, n. 43, in B.U.R. 21 gennaio 2008, modifiche all’art. 14 del regolamento dei lavori del Consiglio (commissioni consiliari permanenti).
(22) D.c.r. 1 febbraio 2007, n. 4, in B.U.R. 28 febbraio 2007, modifiche al reg. interno (artt. 30.3, 31.2 e 118.3).
(23) D.c.r. 22 dicembre 2006, n. 95, in B.U.R. 11 gennaio 2007, modifica all’art. 13 del regolamento interno (gruppi consiliari).
(24) D.c.r. 17 luglio 2007, n. 114, in B.U.R. 9 agosto 2007, modifica all’art. 6 del reg. interno (adesione ai gruppi).
(25) D.c.r. 12 dicembre 2006, in B.U.R. 17 gennaio 2007.
(25) L’art. 3.2 della l. 17 febbraio 1968, n. 108, disponeva in passato l’attenuazione dei poteri del Consiglio nei 45 giorni antecedenti quello delle elezioni e la successiva totale cessazione delle sue funzioni. Sulla prorogatio dei Consigli regionali, dopo la revisione del Titolo V, v. Corte cost., sent. 5 giugno 2003, n. 196.
(27) Abruzzo, art. 72; Calabria, art. 48; Emilia-Romagna, art. 23; Lazio, art. 66-67; Liguria, art. 65-67; Marche, art. 37-38; Piemonte, art. 88-89; Puglia, art. 45; Toscana, art. 66-67; Umbria, art. 28-29.
(28) In materia di conferimento di funzioni amministrative e di riparto di competenze tra regione ed enti locali (art. 72.3).
(29) Questo nei soli casi in cui si tratti di piani e programmi che coinvolgano l’attività degli enti locali e il conferimento di funzioni alle autonomia locali e la relativa disciplina (art. 23.5); in tutte le altre ipotesi, si prevede che l’approvazione di progetti di legge, in difformità del parere del CAL, sia accompagnata dall’approvazione di un ordine del giorno da trasmettere al Consiglio stesso (art. 23.4).
(30) Art. 67.2. L’approvazione a maggioranza assoluta dei membri non è richiesta per l’approvazione degli atti di programmazione generale e delle leggi di bilancio e degli atti ad esse collegate (art. 67.3). 
(31) La Giunta regionale, per gli atti di propria competenza è tenuta inoltre a motivare il rigetto del parere (art. 29.2).
(32) St. Calabria, art. 57.7; St. Abruzzo, art. 80.2. Sulla collocazione endo-procedimentale del giudizio dell’organo di garanzia statutaria v. infra la nt. 55 e la nt. 59.
(33) Art. 78 reg. interno del Consiglio.
(34) Reg. interno del Consiglio., art. 46 quater (come modificato dalla d.c.r. del 17 febbraio 2005), in attuazione dell’art. 66.4 dello statuto.
(35) Rispettivamente: l.r. 26 maggio 2006, n. 13; l.r. 7 agosto 2006, n. 30; l.r. 26 ottobre 2006, n. 29
(36) L.r. Toscana 21 aprile 1998, n. 22, istituzione del Consiglio delle autonomie locali, poi abrogata e sostituita dalla l.r. 21 marzo 2000, n. 36, nuova disciplina del Consiglio delle autonomie locali; l.r. Umbria, 14 ottobre 1998, n. 34, art. 15. Tutte le altre regioni, ad eccezione della Campania che regola diversamente la concertazione con gli enti locali, hanno tuttavia degli altri organismi di consultazione con le autonomie locali, a composizione mista, che sono, più o meno frequentemente, coinvolti nei procedimenti di formazione delle leggi, dei regolamenti e di atti amministrativi generali.
(37) Si vedano però gli artt. 56-58 del nuovo reg. int. del C. reg. sui rapporti dell’Assemblea leg. con il CAL.
(38) Per la rilevazione dei contenuti delle leggi istitutive dei CAL in Liguria, Piemonte e Puglia si rinvia invece al precedente Rapporto.
(39) St. Calabria, art. 56; St. Emilia-Romagna, art. 59; St. Lazio, art. 71; St. Liguria, art. 68; St. Marche, art. 40; St. Piemonte, art. 87.
(40) Si noti che il Lazio, che ha istituito il CREL nella scorsa legislatura, lo ha costituito invece presso la Presidenza della Giunta regionale.
(41) St. Liguria, art. 68.3, St. Marche, art. 30.1, lett. d).
(42) Art. 46.
(43) Art. 61.
(44) Art. 73.
(45) Art. 19.2.
(46) L.r. Piemonte 18 ottobre 1994, n. 43, norme in materia di programmazione degli investimenti, art. 20, organismi consultivi; l.r. Puglia 3 aprile 1995, n. 10, istituzione del CREL; l.r. Abruzzo 30 agosto 1996, n. 77, istituzione del CREL; l.r. Basilicata 24 giugno 1997, n. 30, nuova disciplina degli strumenti e delle procedure della programmazione regionale, art. 14, CREL (così come sostituito dalla l.r. 9 dicembre 1997, n. 51); l.r. Emilia-Romagna, 21 aprile 1999, n. 3, riforma del sistema regionale e locale, art. 34, Conferenza regionale per l’economia e il lavoro, l.r. Lazio 18 aprile 2003, n. 12, istituzione del CREL; l.r. Veneto, 12 agosto 2005, n. 11, Conferenza regionale sulle dinamiche economiche e del lavoro. 
(47) Il Comitato economico e sociale istituito dall’art. 13 della l.r. 5 settembre 1992, n. 46, che in precedenza svolgeva questo medesimo compito consultivo, non è ora più operativo.
(48) Successivamente modificata dalla l.r. 27 luglio 2007, n. 44.
(49) V., rispettivamente, l.r. 23 ottobre 2006, n. 13, e l.r. 16 giugno 2006, n. 16. Il CREL del Lazio è stato costituito con decreto del Presidente della Regione 10 marzo 2008.
(50) Per la rilevazione dei contenuti delle leggi istitutive dei corrispondenti organi di Lazio e Liguria si rinvia invece al precedente Rapporto.
(51) St. Abruzzo, art. 79-80; St. Calabria, art. 57 (v. anche r. int. C. reg., approvato con delib. 27 maggio 2005, art. 95-96 e art. 129-130); St. Emilia-Romagna, art. 69 (v. anche r. int. C. reg. del 4 dicembre 2007, art. 55); St. Lazio, art. 68; St. Liguria, art. 74-75 (v. anche r. int. C. reg., approvato con delib. 9 giugno 2006, art. 136); St. Piemonte, art. 91-92; St. Puglia, art. 47ss.; St. Toscana, art. 57; St. Umbria, art. 81-82.
(52) Calabria, Emilia-Romagna, Liguria (per i soli regolamenti di competenza del Consiglio), Piemonte, Toscana e Umbria.
(53) V. St. Emilia-Romagna, art. 56, co. 3, secondo il quale “la legge può prevedere che l’adozione di un regolamento sia preceduta dal parere della Consulta di garanzia statutaria”.
(54) L’art. 75.4 St. Regione Liguria prevede che “il parere sulla conformità statutaria dei progetti di legge e dei regolamenti regionali di competenza consiliare è espresso prima dell’esame di questi da parte dell’Assemblea”. L’art. 95 del nuovo reg. interno del Consiglio della Regione Calabria prevede, invece, che il parere della Consulta statutaria possa essere richiesto dopo la discussione e la votazione dei singoli articoli, prima della deliberazione finale sul progetto di legge.
(55) Solo lo statuto della Regione Abruzzo individua come oggetto dei pareri di compatibilità statutaria, più correttamente, le “deliberazioni legislative”; in tutti gli altri casi in cui si fa riferimento alle leggi e ai regolamenti regionali, devono comunque intendersi le corrispondenti deliberazioni normative, prima della loro promulgazione o emanazione. L’uso della parola legge (o altra denominazione degli atti normativi) nel senso atecnico che fa riferimento all’atto approvato, ma non ancora entrato in vigore, si rinviene anche in Costituzione (v. ad es. art. 138, co. 2, e art. 123, co. 2 e 3)
(56) Può sempre essere superato dal Consiglio regionale in caso di deliberazione di propria competenza.
(57) La Corte cost. nella sent. n. 12 del 2006 (Presidente del Consiglio dei ministri vs. Regione Abruzzo) ha ritenuto che la previsione della deliberazione statutaria abruzzese (nella versione del 20 luglio-21 settembre 2004) che impone al Consiglio regionale un obbligo di motivazione, nel caso in cui intenda deliberare in senso contrario ai pareri dell’organo di garanzia statutaria, rientra nella disciplina del procedimento legislativo regionale – “ricompresa indubbiamente nei ‘principi fondamentali di organizzazione e funzionamento’ attribuiti dall’art. 123, primo comma, Cost. alla potestà statutaria delle Regioni” – e non limita in alcun modo l’esercizio della potestà legislativa del Consiglio medesimo. La disposizione in questione, inoltre, non viola nemmeno il principio dell’irrilevanza della motivazione degli atti legislativi, in quanto “la motivazione richiesta perché il Consiglio regionale possa deliberare in senso contrario ai pareri e alle valutazioni del Collegio di garanzia non inerisce agli atti legislativi, ma alla decisione di non tener conto del parere negativo, che costituisce atto consiliare distinto dalla deliberazione legislativa e non fa corpo con essa”.
(58) Il fatto che la Corte cost., nella sua sent. n. 378 del 2004, abbia ritenuto infondati i rilievi governativi sulla legittimità dell’art. 82 dello Statuto della Regione Umbria, che attribuisce alla Commissione di garanzia statutaria il potere di esprimere pareri sulla conformità statutaria delle leggi e dei regolamenti regionali, con la motivazione che tali pareri “se negativi sul piano della conformità statutaria, determinano come conseguenza il solo obbligo di riesame, senza che siano previste maggioranze qualificate”, potrebbe far ritenere che le richiamate disposizioni siano da considerarsi di dubbia legittimità costituzionale.
(59) Abruzzo, Calabria, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Piemonte e Toscana. Solo in Calabria e in Piemonte gli organi di garanzia esprimono pareri sull’interpretazione dello statuto nei conflitti di attribuzione tra la regione e gli enti locali, oltre che tra gli organi della regione. E’ da considerare però che in Abruzzo e in Calabria, a tutela delle autonomie locali, è previsto inoltre che il CAL possa richiedere l’acquisizione del parere dell’organo di garanzia statutaria per il controllo di compatibilità statutaria delle leggi (e in Abruzzo anche dei provvedimenti) riguardanti gli enti locali (St. Abruzzo, art. 71.5; St. Calabria, art. 45.2).
(60) Tutti gli statuti attribuiscono agli organi di garanzia il giudizio di ammissibilità dei referendum; solo le regioni Abruzzo, Emilia-Romagna, Puglia e Liguria attribuiscono loro anche il giudizio di regolarità e/o ammissibilità delle iniziative legislative popolari.
(61) Abruzzo, l.r. 11 dicembre 2007, n. 42, art. 3.2.
(62) Abruzzo, l.r. 11 dicembre 2007, n. 42, art.6
(63) Ad es. sull’individuazione degli atti di ordinaria amministrazione che possono essere compiuti dal Consiglio e dalla Giunta reg. in regime di prorogatio (Emilia-Romagna), sui testi unici di riordino e coordinamento (Calabria), sulle proposte di regolamento regionale di delegificazione (Lazio), sul carattere invasivo e lesivo delle attribuzioni regionali da parte di leggi ed atti aventi forza di legge dello Stato (Piemonte).
(64) L.r. Liguria, 24 luglio 2006, n. 19, Istituzione della Consulta statutaria; l.r. Piemonte, 26 luglio 2006, n. 25, Costituzione e disciplina della Commissione di garanzia.
(65) Per la rilevazione sinottica dei contenuti delle corrispondenti leggi di Liguria e Piemonte v. il precedente Rapporto.
(66) L.r. Puglia, 21 marzo 2007, n. 6.
(67) L.r. Umbria, 12 giugno 2007, n. 21, in attuazione dell’art. 31 St.
(68) L.r. Umbria, 16 maggio 2007, n. 17, in attuazione dell’art. 58.4 St.
(69) L.r. Umbria, 27 novembre 2007, n. 30, in attuazione dell’art. 83 St.
(70) L.r. Toscana, 2 febbraio 2007, n. 1, in prima attuazione dell’art. 56 St.
(71) L.r. Liguria, 13 agosto 2007, n. 26 e 12 novembre 2007, n. 35, in attuazione dell’art. 73 St.
(72) L.r. Toscana, 23 aprile 2007, n. 23, in attuazione dell’art. 43 St.
(73) L.r. Abruzzo, 19 dicembre 2007, n. 44.
(74) L.r. Toscana, 23 novembre 2007, n. 62, in attuazione dell’art. 77 St.
(75) L.r. Umbria, 9 luglio 2007, n. 23.
(76) L.r. Abruzzo, 31 dicembre 2007, n. 47, legge finanziaria regionale 2008, art. 1, co. 43-50 (in attuazione dell’art. 26 St.).
(77) L.r. Calabria, 21 agosto 2007, n. 18, norme in materia di usi civici, in attuazione degli artt. 2 e 46 St.
(78) L.r. Piemonte, 21 dicembre 2007, n. 26, norme per l’esposizione delle bandiere delle minoranze linguistiche-storiche presenti sul territorio della Regione, in attuazione dell’art. 7.4 St.
(79) L.r. Puglia, 21 marzo 2007, n. 7, norme per le politiche di genere e i servizi di conciliazione vita-lavoro.
(80) L.r. Toscana, 27 dicembre 2007, n. 69, norme sulla promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali (in attuazione dell’art. 72 St.); l.r. Lazio 7 dicembre 2007, n. 20, promozione degli strumenti di partecipazione istituzionale delle giovani generazioni alla vita politica e amministrativa locale; l.r. Liguria 6 marzo 2007, n. 8, istituzione del Parlamento regionale degli studenti (in attuazione dell’art. 6 St.). 
(81) L.r. Calabria, 21 agosto 2007, n. 19, servizio volontario di vigilanza ecologica, in attuazione dell’art.2.2, lett. l), St.
(82) L.r. Lazio, 18 settembre 2007, n. 16, disposizioni dirette alla tutela del lavoro, in attuazione dell’art. 6.5 St.;
(83) L.r. Emilia-Romagna, 27 luglio 2007, n. 15, sistema regionale integrato di interventi e servizi per il diritto allo studio universitario e l’alta formazione, in attuazione dell’art. 1.1 St.; l.r. Puglia, 27 giugno 2007, n. 18, norme in materia di diritto agli studi dell’istruzione universitaria e dell’alta formazione.
(84) Anche il Consiglio della Regione Piemonte ha approvato un o.d.g. (31 ottobre 2006 n. 480) con il quale ha dato mandato alla Commissione consiliare Affari istituzionali di definire le linee di una possibile proposta a riguardo, ma non sono da segnalare significative fasi di avanzamento entro al fine del 2007 al di là della presentazione di tre proposte di deliberazione di iniziativa consiliare (p.d.c.r. n. 208, n. 273 e n. 287) non esaminate nel merito.
(85) V. il documento d’indirizzo approvato dalla Giunta reg. Lombardia il 15 settembre 2006 (d.g.r. 3159/2006), facendo seguito all’o.d.g. approvato dal Consiglio regionale il 27 luglio 2006, e la d.g.r. Veneto 24 ottobre 2006, n. 3255 (in BUR n. 101 del 21 novembre 2006), a seguito della risoluzione n. 18 del Consiglio regionale (approvata con d.c.r. 1 marzo 2006, n. 15).
(86) Per la Regione Lombardia v. la risoluzione approvata con d.c.r. 3 aprile 2007, n. 367; per la Regione Veneto v. la d.c.r. 18 dicembre 2007, n. 98.
(87) La Giunta regionale lombarda ha approvato il Documento di ricognizione dei possibili ambiti di attuazione dell’articolo 116, comma terzo, della Costituzione con delibera del 7 novembre 2006, n. 3478. La Giunta regionale veneta ha presentato al Consiglio reg. la proposta di deliberazione amministrativa n. 90 con iniziativa n. 88/CR del 17 luglio 2007.
(88) La Conferenza delle autonomie locali della Regione Lombardia si è espressa sulla d.c.r. n. 367/2007 con il parere del 13 dicembre 2007.
(89) Più precisamente: porti e aeroporti civili e grandi reti di trasporto e navigazione.
(90) Più precisamente: casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale ed enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.
(91) Come chiarito dalla Corte costituzionale (sent. n. 303/2003) i lavori pubblici non sono, infatti, una vera e propria materia ma “si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potestà legislative esclusive dello Stato, ovvero, a potestà legislative concorrenti”. La Regione Veneto intende rivendicare spazi di maggiore autonomia legislativa e amministrativa con riferimento alle opere pubbliche che siano sotto la soglia di rilevanza per l’applicazione delle direttive comunitarie in materia di appalti.
(92) V. AC/XV/1601 e AS/XV/943, presentati il 9 agosto 2006 e assegnati alle rispettive commissioni affari costituzionali il 19 e 28 settembre 2006.
(93) V. AC/XV/519 e AS/XV/281 dell’8 e 9 maggio 2006 (ma v. già AC/XIV/5617 e AS/XIV/3301 del 14 febbraio 2005).
(94) Al di là delle procedure, le due diverse proposte regionali differiscono per il fatto che la soluzione valdostana si presterebbe ad essere applicata già in occasione della revisione totale dello statuto (avviata parallelamente e da presentarsi in seguito, in maniera distinta), mentre quella del Friuli Venezia Giulia si collocherebbe nel generale contesto della revisione totale, in atto, e si applicherebbe di conseguenza solo per le modificazioni successive.
(95) AC/XV/203, Zeller; AC/ XV/980, Bressa; AC/ XV/1241, Boato; AC/ XV/1606, Biancofiore; AS/ XV/648, Peterlini. 
(96) AC/ XV/1672, Maran; AS/ XV/1062, Antonione.
(97) La legge cost. n. 2 del 2001, estendendo e adattando alle altre regioni speciali quanto già previsto in precedenza dal solo statuto sardo, ha previsto che i progetti di modificazione degli statuti d’iniziativa governativa o parlamentare siano comunicati dal Governo della Repubblica all’organo legislativo regionale, che esprime il suo parere entro due mesi. In Trentino – Alto Adige il parere è espresso anche dai Consigli provinciali.
(98) V. testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 269 del 18 novembre 2005.
(99) Non si tiene qui conto degli aspetti peculiari che differenziano le singole iniziative parlamentari, cui necessariamente si rinvia. V. anche, per una disamina puntuale, il dossier di documentazione elaborato in materia dal servizio studi della Camera dei deputati (n. 30 del 22 febbraio 2007).
(100) Già i testi originali degli statuti di autonomia contenevano limitate e singolari deroghe regionali al procedimento di revisione statutaria rispetto a quello previsto, in genere, per le leggi costituzionali. La legge cost. n. 2 del 2001 ha poi introdotto più ampie disposizioni derogatorie del procedimento in questione all’interno degli statuti medesimi. Le modificazioni così apportate hanno previsto, in generale, l’esplicitazione dell’iniziativa anche consiliare per l’avvio del procedimento di revisione, il parere dell’assemblea legislativa regionale sui progetti di modificazione statutaria d’iniziativa statale e la sottrazione delle modificazioni approvate al referendum popolare nazionale previsto dall’art. 138 della Costituzione. Le altre disposizioni derogatorie, introdotte dalla stessa legge cost., costituiscono invece specifici adattamenti concernenti le singole regioni.
(101) V. Corte cost. 29 dicembre 1988, n. 1146, in un giudizio di legittimità costituzionale significativamente riguardante alcune disposizioni di uno statuto speciale.
(102) Nella dichiarazione di voto contrario del gruppo di FI, invece, si invita la maggioranza ad accantonare il provvedimento in esame. Si esprime il timore, infatti, che, per quanto riguarda in particolare l’Alto Adige, l’avere escluso la possibilità della votazione separata per gruppi linguistici (secondo quanto previsto dall’art. 56 St. speciale) possa determinare un affievolimento dei diritti delle minoranze etnico-linguistiche italiana e ladina dell’Alto Adige.
(103) Si riporta il testo: “La Commissione parlamentare per le questioni regionali, esaminato il testo unificato delle proposte di legge costituzionale C. 203 ed abb., in corso di esame presso la I Commissione Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni della Camera, recante «Disposizioni concernenti la procedura per la modifica degli statuti delle Regioni a statuto speciale»; rilevato che il provvedimento si compone di cinque articoli che introducono previsioni di analogo tenore al testo degli statuti delle regioni ad autonomia speciale, stabilendo che le modifiche agli statuti medesimi debbano essere adottate, con legge costituzionale, previa intesa con la regione o con la provincia autonoma interessata; considerato che la predetta intesa andrebbe raggiunta sul testo approvato dalle due Camere in prima deliberazione, che verrebbe a tal fine trasmesso al consiglio regionale, nonché anche ai consigli delle province autonome per le proposte di modifica che riguardano lo statuto del Trentino-Alto Adige; e che la previsione dell'intesa recepisce le istanze manifestate da rappresentanti delle regioni a statuto speciale in occasione del dibattito svoltosi sulla legge costituzionale di riforma della Parte II della Costituzione nella XIV legislatura; esprime parere favorevole”.
(104) AC/XV/519, nuovo statuto speciale della regione Friuli Venezia Giulia, e abbinati (nn. 840, 1166 e 1816).
(105) “E’ compito della Regione, delle Province e dei Comuni rimuovere ogni ostacolo di ordine economico e sociale che impedisca il pieno sviluppo della persona e l’eguaglianza nel godimento dei diritti” (art. 4.1); “Il Friuli Venezia Giulia persegue una politica di pace e di dialogo con tutti i popoli; promuove la cooperazione internazionale; ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; sostiene i processi di moratoria delle armi di distruzione di massa” (art. 4.4). 
(106) AC/XV/519, art. 1.1.
(107) AC/XV/519, art. 3.1.
(108) Lazio, art. 1.1; Liguria, art. 1.5; Lombardia, art. 1.4; Piemonte, art. 1.4; Puglia, art. 7.3; Umbria, art. 3.3.
(109) AC/XV/519, art.18.3, ma v. anche art. 15, co. 2 e 3, e art. 5.4.
(110) AC/XV/519, art.70, e art. 68 del TU 15 novembre 2007.
(111) Materie esclusive dello Stato, materie esclusive della Regione, materie concorrenti e materie per le quali alla Regione spetta una competenza integrativa statutariamente riconosciuta (AC/XV/519, art. 56.2).
(112) Nello specifico v. l’art. 53.1.
(113) Si tratta questa, infatti, di una materia espressamente riservata alla competenza esclusiva della Regione dalla disposizione rinviante (art. art. 53.1, lett. g, TU 15 novembre 2007) e, allo stesso tempo, alla competenza esclusiva dello Stato dalla disposizione rinviata (art. 117.2, lett. p, Cost.).
(114) St. art. 4, n. 1-bis (così come modificato dalla l. cost. 23 settembre 1993, n. 2, art. 5.1).
(115) AC/XV/519, art. 55.1, lett. a); art. 53.1, lett. a) e 54.1, lett. s), del TU 15 novembre 2007. 
(116) AC/XV/519, art. 56.4.
(117) AC/XV/519, art. 76.5, lett. d).
(118) AC/XV, Commissione affari costituzionali, 14 novembre 2007, pom., on. Bressa.
(119) Il Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia ha approvato la disciplina del procedimento per l’elezione del Presidente della Regione e del Consiglio regionale con la successiva l.r. 18 dicembre 2007, n. 28 (così come previsto dall’art. 37 della legge regionale statutaria, per quanto non previsto direttamente da essa)  
(120) Il referendum popolare confermativo della legge statutaria, su richiesta di un quinto dei componenti del Consiglio regionale (v. art. 15.4 St.), si è svolto il 21 ottobre 2007. Ha votato il 16% degli elettori, i NO all’approvazione della legge sono stati il 68% e i SI solo il 32%. La Corte d’appello di Cagliari, nel corso del procedimento di verifica dei risultati, ha sollevato – con ordinanza del 30 ottobre 2007 – la questione di legittimità costituzionale dell’art. 15 della l.r. Sardegna 28 ottobre 2002, n. 21 (disciplina del referendum sulle leggi statutarie), nella parte in cui assegna alla Corte d’appello il compito di procedere all’accertamento e alla conseguente proclamazione del risultato e nella parte in cui introdurrebbe un quorum strutturale (la partecipazione di almeno un terzo degli elettori) non previsto dallo Statuto speciale per il referendum sulle leggi statutarie. Il promovimento del giudizio della Corte costituzionale ha sospeso il procedimento di verifica dei risultati referendari. La Consulta, con la recente sentenza del 20 maggio 2008, n. 164, ha dichiarato inammissibili le questioni sollevate per difetto di legittimazione dell’autorità rimettente in sede di accertamento e controllo dei risultati della consultazione popolare e, in tal modo, ha posto le condizioni affinché il procedimento di formazione della legge riprenda il suo corso. Di quest’ulteriore fase si darà conto nel prossimo Rapporto.
(121) Specificamente: le modalità di elezione del Consiglio regionale, del Presidente della Regione e degli assessori, i rapporti fra gli organi della Regione, la presentazione e l’approvazione della mozione motivata di sfiducia nei confronti del Presidente della Regione e degli assessori, i casi di ineleggibilità e incompatibilità con le predette cariche, nonché l’esercizio del diritto d’iniziativa legislativa popolare delle leggi regionali e la disciplina del referendum regionale abrogativo, propositivo e consultivo.
(122) Materia già precedentemente disciplinata con l.r. Friuli Venezia Giulia, 7 marzo 2003, n. 5. Nella medesima materia v. anche già la l.p. Bolzano 18 ottobre 2005, n. 11, la l.r. Sicilia 10 febbraio 2004, n. 1, la l.r. Valle d’Aosta 25 giugno 2003, n. 19 (succ. mod. dalla l.r. 14 marzo 2006, n. 5) e la l.p. Trento 5 marzo 2003, n. 3.
(123) L’intervenuta legge sulla forma di governo regionale ha infatti solo parzialmente modificato la precedente legislazione statutaria regionale specificamente indirizzata alla disciplina della materia (l.r. 29 luglio 2004, n. 21).
(124) V. art. 10.1 della legge statutaria approvata dal Consiglio regionale della Sardegna: “Il Consiglio regionale è composto da ottanta consiglieri eletti a suffragio universale e diretto. Il Presidente della Regione ne fa parte. Con legge regionale approvata ai sensi dell’articolo 15, comma secondo, dello Statuto speciale è stabilito il sistema elettorale sulla base dei principi di rappresentatività e stabilità” (corsivo nostro).
(125) Leggi di attuazione cui, in Sardegna, si rinvia per la disciplina del procedimento e delle modalità di attuazione dei referendum (art. 7), per stabilire le indennità e il trattamento economico da corrispondere al Presidente e agli assessori (art. 19.4), per la disciplina dei poteri e della composizione del CAL (art. 30.3), per la costituzione e il funzionamento della Consulta di garanzia (art. 34.5). In Friuli Venezia Giulia si rinvia, invece, alla legge ordinaria la disciplina del procedimento elettorale, per quanto non direttamente previsto dalla legge statutaria (art. 37). Nella stessa regione, successive leggi di attuazione sono anche previste per specificare le modalità e gli effetti dei pareri del Consiglio regionale sulle nomine di competenza del Governo regionale (art. 8.1, lett. e), per la disciplina dell’indennità dei consiglieri (art. 9.7), per la disciplina delle modalità di accertamento delle cause di cessazione del Presidente diverse dalla sfiducia, dalle dimissioni e dalla rimozione (art. 13.5), per stabilire il numero minimo e massimo degli assessori regionali (art. 15.1) e per promuovere pari opportunità di accesso alla carica di consigliere regionale a favore del genere sottorappresentato (art. 32).
(126) Per il Friuli Venezia Giulia v. in generale l’art. 5.4; Per la Sardegna v. invece in particolare l’art. 16.
(127) Ponendo però, in entrambi i casi, un divieto di immediata rieleggibilità alla fine del secondo mandato (FVG art. 20.3; SAR art. 8.3).
(128) La cui carica, in Sardegna, è incompatibile con quella di consigliere regionale.
(129) Si vedano ad es. le norme sulle nomine (FVG, art. 8.1, lett e-f; SAR, art. 12), sul controllo dell’attuazione delle leggi e sulla valutazione degli effetti delle politiche regionali (FVG, artt. 7 e 8.1, lett. k; SAR, art. 13), sugli strumenti d’informazione e d’inchiesta (FVG, art. 11; SAR artt. 14-15).
(130) FVG, art. 12; SAR, art. 16.
(131) SAR, art. 22.
(132) FVG, art. 13.
(133) L’art. 1 della delibera legislativa sarda espressamente individua nel proprio oggetto quei “principi di organizzazione e funzionamento” che sono propri della nuova competenza statutaria delle regioni ordinarie (v. art. 123 Cost.), ma che non costituiscono espresso ambito di competenza delle leggi statutarie della Regione (v. art. 15.2 St. Sardegna). Una siffatta lettura ampia della competenza normativa della legislazione regionale statutaria consente senz’altro di occuparsi già in questa sede dell’organizzazione amministrativa regionale e non solo degli organi regionali di governo e delle loro relazioni istituzionali (la forma di governo in senso stretto).
(134) Nella deliberazione legislativa del 11 marzo 2002 (non confermata dal referendum popolare del successivo 29 settembre) anche il Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia aveva previsto l’istituzione di un’Assemblea delle autonomie locali (art. 12). In seguito, tuttavia, l’organo di consultazione e raccordo tra la Regione e gli enti locali (il CAL) è stato istituito direttamente dall’ordinaria l.r. 9 gennaio 2006, n. 1, con la quale la Regione ha definito i principi e le norme fondamentali del sistema Regione - autonomie locali in Friuli Venezia Giulia, e una simile previsione non è stata più riproposta nella legge statutaria promulgata il 18 giugno 2007. Sulla validità di questa scelta v. peraltro la sent. della Corte cost., 14 novembre 2006, n. 370, la quale – con riferimento al caso analogo dell’ordinaria legge n. 7/2005 della Provincia autonoma di Trento – ha chiaramente escluso una riserva di statuto a riguardo. Si tenga anche conto, inoltre, che - oltre al Friuli Venezia Giulia e alla Provincia autonoma di Trento - hanno istituito e disciplinato il CAL con legge ordinaria anche le Regioni Sardegna e Valle d’Aosta e la Provincia autonoma di Bolzano (v. rispettivamente, l.r. 1/2005, l.r. 54/1998 e l.p. 10/2003). Ovviamente la mancanza di una riserva di statuto speciale non esclude necessariamente che la legge regionale c.d. statutaria abbia facoltà di occuparsi di detto organo per garantirgli maggiore stabilità e maggiori poteri. Per ammettere questa possibilità, tuttavia, occorre accettare la validità di almeno due delle seguenti condizioni: (1) ritenere che l’istituzione e la regolazione delle funzioni del CAL incida effettivamente sulla forma di governo della Regione (intesa in senso ampio), ovvero (2) ritenere che la fonte legislativa statutaria non abbia competenze strettamente limitate a quelle ad essa esclusivamente riservate. E’ interessante notare che in Sardegna – dove, con ogni evidenza, si sono ritenute valide dette condizioni – l’istituzione del CAL con l’ordinaria l.r. 17 gennaio 2005, n. 1 (e la sua effettiva costituzione con d.p.g.r. 17 ottobre 2005) non ha distolto la Regione – come abbiamo visto – dall’intenzione di introdurre una previsione di principio che garantisca e rafforzi la funzione istituzionale di detto organo nell’ambito della speciale legge sulla forma di governo regionale (creando una catena normativa tra la legge statutaria e la legge regionale di attuazione).
(135) Alla Consulta di garanzia (art. 34) spetterebbe, in particolare, nei casi e con gli effetti previsti (art. 35): a) esprimere parere sulla conformità allo Statuto speciale e alla legge statutaria delle delibere legislative, prima della loro promulgazione; b) esprimere parere obbligatorio sulla legittimità dei regolamenti, prima della loro emanazione; c) esprimere parere sui conflitti di competenza tra organi della Regione; d) decidere sulla regolarità e sull'ammissibilità delle proposte di iniziativa legislativa popolare e dei referendum; e) contestare ai componenti della Giunta le cause di incompatibilità e decidere su di esse; f) decidere sulla sussistenza delle cause di incompatibilità previste per il Presidente, i consiglieri e gli assessori; g) dichiarare la sussistenza dell'impedimento permanente del Presidente della Regione.
(136) Per le liste che fanno parte di una coalizione che abbia ottenuto almeno il 15% dei voti la clausola di sbarramento è invece del 1,5% (ma v. ulteriormente l’art. 26.3 della cit. legge statutaria di governo).
(137) In precedenza, nella materia elettorale v. la l.r. Sicilia 3 giugno 2005, n. 7, la l.p. Trento 5 marzo 2003, n. 2 (norme per l’elezione diretta del Consiglio provinciale e del Presidente della Provincia), la l.p. Bolzano 14 marzo 2003, n. 4 (legge elettorale transitoria) e la l.r. Valle d’Aosta 13 gennaio 2002, n. 21 (modifica della legge elettorale).
(138) Questa legge è stata impugnata dal Governo per violazione degli artt. 2, 3 e 51 Cost. (ricorso del 6 giugno 2007 in riferimento all’art. 2, co. 1, lett. S e co. 2, lett. E) e dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui prevedeva che non sarebbero stati eleggibili alla carica di consigliere regionale i professori, i ricercatori di ruolo ed i titolari di contratti di insegnamento in corsi universitari realizzati in Valle d’Aosta (Corte cost., sent. 13 febbraio 2008, n. 25). La Consulta ha ritenuto, invece, non irragionevole la disposizione che prevede che non sia eleggibile alla medesima carica il Rettore dell’Università della Valle d’Aosta, in ragione del fatto che la peculiare disciplina differenziata della Regione prevede una significativa influenza dell’amministrazione regionale che si evidenzia, in particolare, nelle modalità di nomina del Rettore.
(139) Su questa legge è stata promossa, da un comitato di elettori, la raccolta delle firme necessarie per la richiesta di referendum confermativo (v. annuncio in GURS n. 52 del 2 novembre 2007). Non è stato raggiunto tuttavia il numero di firme necessario all’indizione della consultazione popolare sul testo deliberato dall’Assemblea regionale.
(140) In precedenza, specificamente nella materia dell’ineleggibilità e incompatibilità v. la l.r. Friuli Venezia Giulia 29 luglio 2004, n. 21.
(141) In precedenza la l.r. (statutaria) 13 novembre 2002, n. 21, prevedeva semplicemente che le liste elettorali per il rinnovo del Consiglio regionale dovevano comprendere candidati di entrambi i generi a pena di invalidità (art. 2).
(142) Vale a dire, tra le due liste (o gruppi) che hanno ottenuto un maggior numero di voti al primo turno.
(143) La l.r. 25 giugno 2003, n. 19 così come modificata dalla l.r. 14 marzo 2006, n. 5, infatti, consente al corpo elettorale – a determinate condizioni – di approvare direttamente le proposte di legge d’iniziativa popolare di cui l’assemblea non abbia recepito i principi ispiratori ed i contenuti essenziali. Un analogo procedimento di legislazione popolare si riscontra anche nella Provincia autonoma di Bolzano (l.p. 18 novembre 2005, n. 11, art. 15) e nella Provincia autonoma di Trento (l.p. 5 marzo 2003, n. 3, art. 19.8). Il referendum propositivo disciplinato dalla Regione Friuli Venezia Giulia (l.r. 7 marzo 2003, n. 5, art. 23.4), pur rafforzando l’ordinaria iniziativa legislativa, non ha invece carattere deliberativo.
(144) P.d.l. n. 138/XII.
(145) P.d.l. n. 140/XII.
(146) Pd.l. n. 139/XII.
(147) P.d.l. n. 141/XII.
(148) Con distinte deliberazioni del 18 e 19 aprile 2007 il Consiglio regionale ha approvato le proposte di legge di iniziativa consiliare (nn. 167 e 168) e ha respinto le quattro proposte di legge di iniziativa popolare presentate il 15 novembre 2006.
(149) Secondo quanto previsto dalla l.r. 25 giugno 2003, n. 19, in caso di deliberazione legislativa del Consiglio della Valle che non si limiti ad approvare senza modificazioni la proposta di legge di iniziativa popolare, ma comunque intervenga sulla materia, è compito della Commissione regionale per i procedimenti referendari e di iniziativa popolare (art. 40) verificare che la legge approvata dal Consiglio recepisca “i principi ispiratori ed i contenuti essenziali” della proposta medesima (art. 13.4). Nel caso specifico, in seguito alle deliberazioni di cui alla precedente nota, il Presidente della Regione con lettera del 27 aprile 2007 comunicava alla Commissione che era intervenuta l’approvazione da parte del Consiglio regionale di deliberazioni legislative recanti, in materia, un testo diverso rispetto a quelle oggetto delle iniziative legislative popolari. Il conseguente parere reso dall’organo di garanzia, con deliberazione del 6 giugno 2007, risultava negativo per le leggi approvate dal Consiglio.
(150) Il Presidente della Regione (ancora con la lettera del 27 aprile 2007) – oltre a quanto già segnalato nella precedente nota – trasmetteva alla Commissione regionale per i procedimenti referendari copia della risoluzione del 19 aprile 2007 con la quale il Consiglio regionale - considerate le perplessità emerse circa la compatibilità del procedimento del referendum propositivo di cui alla l.r. 19/2003 con quello della legislazione c.d. statutaria sulla forma di governo regionale e le altre materie di cui all’art. 15 dello Statuto speciale - invitava il detto organo di garanzia, in buona sostanza, a riesaminare l’ammissibilità delle proposte di legge di iniziativa popolare da sottoporre a referendum propositivo. La Commissione accoglieva l’invito a esprimere il proprio parere sulla fondatezza dei dubbi segnalati, ritenendo senz’altro ammissibile il referendum propositivo nelle materie di legislazione regionale c.d. statutaria in mancanza di limitazioni esplicite che possano essere tratte, al riguardo, dalla Costituzione, dallo Statuto speciale e dalla legge (statutaria) che disciplina l’iniziativa legislativa popolare e il referendum propositivo. Si faceva notare in questo parere, peraltro, che il procedimento del referendum propositivo aveva già trovato pacifica applicazione, in precedenza, in una delle materie di legislazione regionale c.d. statutaria (e si tratta proprio della l.r. 14 marzo 2006, n. 5, che ha recepito i principi ispiratori ed i contenuti essenziali della proposta di legge di iniziativa popolare tesa ad attribuire al referendum propositivo, di cui all’art. 14 della l.r. 19/2003, il suo attuale carattere deliberativo).
(151) A seguito del parere della Commissione regionale per i procedimenti referendari e di iniziativa popolare (depositato il 6 giugno 2007), il Presidente della Regione – ai sensi dell’art. 13.4 della l.r.19/2003 – ha indetto i referendum propositivi con decreto 8 giugno 2007.
(152) Preferenza unica (27,6); Elezione diretta della giunta regionale (27,5); Dichiarazione preventiva delle alleanze politiche (27,6); Equilibrio della rappresentanza tra i generi (27,4).
(153) La revisione organica del regolamento interno del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia era stata approvata con d.c.r. 6 ottobre 2005 ed era entrata in vigore il 1° gennaio 2006.
(154) In precedenza, a seguito delle riforme del 2001, erano già state apportate alcune modifiche ai regolamenti consiliari delle regioni Sicilia (2003 e 2006), Valle d’Aosta (2005) e Sardegna (2005) e delle province autonome di Trento (2002) e Bolzano (2001 e 2003).
 
  
Tabelle:
 
 
 
6.1. Introduzione
Un esame delle attività legislative delle regioni nel campo dell’assistenza sanitaria, con riferimento all’anno 2007, conferma ancora una volta come esse siano da considerare attori chiave nel processo di policymaking in questo settore. Il ruolo regionale com’è descritto in questo capitolo potrebbe perfino rappresentare una sottovalutazione di quanto effettivamente svolto dalle regioni, dal momento che queste non sempre descrivono in modo esauriente le proprie attività nelle risposte al questionario elaborato per la redazione del presente rapporto.
Come osservato negli anni precedenti, le regioni disegnano e attuano proprie politiche e non si limitano ad essere il braccio esecutivo del governo centrale. Si è notato, tuttavia, nel capitolo sulle tendenze legislative delle regioni in campo sanitario nel Rapporto per il 2006, che l’esecutivo centrale sta diventando sempre più deciso nell’usare i propri poteri costituzionali riguardanti la sanità, nonché il suo potere della borsa, per indurre le regioni ad adottare comportamenti desiderati a livello centrale. Tramite lo strumento dell’accordo intergovernativo e la promessa di finanziamenti supplementari, le regioni sono state indotte a disegnare ed attuare programmi riguardanti sia il governo della spesa (in particolare strumenti di contenimento), sia la tutela della salute (specialmente la prevenzione). Tutte le regioni – quelle sotto sorveglianza speciale da parte del centro per la precarietà delle loro finanze ma anche quelle in, o vicine al, pareggio – si lamentano ancora di più, rispetto agli anni precedenti, a proposito delle barriere finanziarie che ostacolano iniziative significative nel campo della tutela della salute. 
Questo capitolo inizia offrendo una panoramica delle attività svolte dalle regioni nel corso del 2007 nei due campi del governo della spesa sanitaria e della tutela della salute; pur dovendo operare in un contesto caratterizzato da una permanente austerità, o forse proprio per questo motivo, alcune delle regioni dimostrano una notevole capacità innovativa nella scelta di strumenti, programmi e politiche. Successivamente, partendo dall’ipotesi che il fenomeno dell’innovazione e del suo trasferimento interregionale si possa considerare avvantaggiato nei sistemi decentrati di governo rispetto a quelli unitari, le singole regioni vengono esaminate come “laboratori” nei quali le innovazioni vengono prima sperimentate, per essere successivamente adottate in modo più esteso oppure abbandonate, a seconda della valutazione della loro efficacia.
 
6.2. Governo della spesa
Nel 2007 tutte le regioni, senza eccezioni, hanno dedicato la maggiore parte delle proprie energie in tema di politica sanitaria al governo della spesa. Sette regioni – Abruzzo, Campania, Lazio, Liguria, Molise, Sicilia e, da ultimo, Sardegna – sono state particolarmente attive a questo riguardo. In quanto regioni classificate ufficialmente “in difficoltà”, ad esse sono stati garantiti aiuti finanziari straordinari dallo Stato per eliminare i propri disavanzi pregressi, a condizione che si impegnassero, firmando un accordo bilaterale con i Ministeri dell’economia e finanze e della salute, ad attuare un Piano di rientro ad esso allegato e si sottomettessero alla sorveglianza dettagliata delle autorità centrali del suo rispetto.
Tutte le regioni “in difficoltà” hanno preparato un Piano di rientro e hanno firmato l’accordo bilaterale con lo Stato entro il 2007. I Piani sono stati accompagnati da iniziative miranti a contenere e razionalizzare la spesa sanitaria e a ridurre il rischio di nuovi disavanzi nel futuro, spesso in attuazione di indicazioni dettate da normative esistenti. Ad esempio, l’Abruzzo ha annunciato un piano di contenimento della spesa ospedaliera più un piano di risanamento finanziario del sistema sanitario regionale per il triennio 2007 – 2009. Anche il Lazio si è proposto di riorganizzare la rete ospedaliera, nonché la medicina fisica e riabilitativa, mentre la Liguria ha previsto la riorganizzazione della rete delle strutture pubbliche di diagnostica di laboratorio.
Iniziative simili, tuttavia, sono state intraprese anche dalle altre regioni che, sebbene non definite “in difficoltà”, sono comunque tenute a rispettare il principio del pareggio di bilancio in base all’Accordo Stato - Regioni e Province Autonome del 23 marzo 2005. Ad esempio, Piemonte, Marche e Calabria hanno preparato piani pluriennali di riqualificazione dell’assistenza sanitaria, come parte integrale del Piano sanitario regionale e/o separatamente, come nel caso delle Marche, con il suo piano per la riorganizzazione della rete delle strutture pubbliche e private accreditate eroganti prestazioni specialistiche e di diagnostica di laboratorio (prevista dalla legge finanziaria 2007, l. 296/2006, art. 1, c. 796, lettera l) ). La regione Piemonte ha preparato iniziative per la riorganizzazione delle attività riabilitative e per la riorganizzazione e razionalizzazione delle attività di laboratorio di analisi, la Lombardia ha previsto il riordino della residenzialità psichiatrica e la Sardegna ha annunciato piani per la riqualificazione delle cure domiciliari integrate.
Oltre queste attività di riorganizzazione e razionalizzazione a livello macro, le regioni hanno preso numerose iniziative a livello micro, indirizzate al contenimento, riqualificazione e razionalizzazione dei costi delle aziende sanitarie locali (ASL). La singola voce di spesa maggiormente interessata a questo riguardo è stata l’assistenza farmaceutica, anche in attuazione di quanto previsto dal Patto per la salute siglato il 28 settembre 2006 (punto 4.18). Alcune regioni hanno preparato un piano di contenimento della spesa farmaceutica convenzionata (ad esempio, Molise, Calabria, Sardegna), mentre altre hanno affrontato la questione della spesa farmaceutica ospedaliera e territoriale (ad esempio, Basilicata e Umbria). Ci sono stati degli interventi ancora più mirati, ad esempio: il monitoraggio dei consumi dei farmaci acquisiti direttamente dai cittadini e dei farmaci utilizzati nel canale ospedaliero (per esempio Abruzzo); l’aggiornamento della lista di farmaci ad alto costo di cui sono state definite le modalità di prescrizione e di distribuzione (Basilicata); l’istituzione ed attivazione di una commissione regionale per il farmaco (Abruzzo); indirizzi regionali alle ASL per l’impiego di medicinali per indicazioni terapeutiche diverse da quelle autorizzate (Umbria); un accordo fra la regione Valle d’Aosta, le organizzazioni sindacali dei farmacisti, la società Uniforma distribuzione e le ASL, che disciplina l’acquisto e la distribuzione da parte delle farmacie convenzionate; la regolamentazione della distribuzione diretta dei farmaci (Puglia). Di particolare interesse è l’approvazione di uno schema di convenzione fra l’impresa Evidentia srl e la regione Abruzzo finalizzata alla istituzione di una rete regionale di centri di informazione indipendenti sui farmaci.
Anche il personale rappresenta un’importante voce di spesa ed è stato quindi frequente oggetto di politiche di contenimento finanziario, come peraltro previsto dal Patto per la salute (punto 4.8) riprendendo le disposizioni delle leggi finanziarie dei due anni precedenti (art. 1, c. 98, l. 311/2004; art. 1, c. 198, l. 266/205). Una direttiva della Giunta regionale della Basilicata, ad esempio, ha impegnato le ASL ad una rideterminazione delle dotazioni organiche ed all’adozione di un programma annuale per la revisione delle consistenze di personale finalizzata alla riconduzione della relativa spesa nei parametri necessari per il conseguimento dell’obiettivo dell’equilibrio di bilancio. Un’altra regione, la Calabria, ha introdotto un regime di controllo e di autorizzazione in materia di concorsi, assunzione, trasferimenti, mobilità e progressione del personale, nonché in materia di consulenze. Nella regione Umbria è stata proposta l’istituzione di una commissione d’inchiesta su “Assenteismo all’interno delle strutture sanitarie della regione Umbria e attività di controllo posta in essere per ridurre tale fenomeno”. Non sembra invece esistere un legame diretto fra l’obiettivo del contenimento della spesa e l’approvazione, da parte di alcune regioni (ad esempio Lombardia, Liguria e Sardegna), di piani per il superamento del precariato nella sanità pubblica.
Un importante strumento per contenere la spesa, cui si è fatto spesso ricorso negli anni precedenti, è quello della centralizzazione delle strutture amministrative regionali, nonché dei processi di erogazione e di acquisto. Una regione, la Calabria, nel 2007 ha previsto la riduzione del numero delle ASL da undici a cinque con la dichiarata speranza di ridurre i costi di struttura e di funzionamento, mentre nella regione Friuli Venezia-Giulia un disegno di legge regionale ha previsto la revisione dell’assetto istituzionale ed organizzativo del Servizio sanitario regionale tramite la riduzione da sei a tre delle ASL territoriali e la corrispondente suddivisione del territorio regionale in altrettante aree vaste. La stessa legge prevede un’intensificazione del processo di centralizzazione della gestione delle attività tecnico-amministrative e di supporto del Servizio sanitario regionale. In Umbria, una serie di delibere di Giunta hanno avviato la cosiddetta “reingegnerizzazione” dei processi gestionale-aziendali per la razionalizzazione della spesa sanitaria, ad esempio l’attivazione di un laboratorio unico interaziendale e il monitoraggio e controllo delle prescrizioni relative alle prestazioni di protesica ed assistenza integrativa e dei consumi sanitari. Nella regione Basilicata, la Giunta regionale è stata autorizzata a disciplinare, con propria direttiva, procedure unificate in materia di acquisto di beni e servizi da parte delle ASL tramite unioni di acquisto. La stessa regione ha richiesto la collaborazione della CONSIP a sostegno delle attività di progettazione degli strumenti di centralizzazione degli acquisti in campo sanitario e ha predisposto un progetto per la realizzazione di una rete regionale degli acquisti per il Servizio sanitario regionale.
Le regioni, incoraggiate dallo Stato, hanno continuato la loro ricerca di strumenti contabili adatti alle loro esigenze gestionali-finanziarie. Alcune regioni hanno emanato direttive per i direttori generali delle ASL riguardanti l’implementazione della contabilità analitica per centro di costo e di responsabilità (ad esempio, il Molise). Altre hanno consolidato il loro sistema di budgeting attraverso la negoziazione, con le singole ASL, dei costi da inserire nel budget annuale (ad esempio, le Marche). L’Umbria ha avviato una procedura di gara per la riorganizzazione e revisione contabile dei bilanci delle ASL. La regione Puglia ha posto una serie di divieti concernenti pratiche contabili ‘creative’, ad esempio l’utilizzo di dichiarazioni di infungibilità o la definizione di spese straordinarie come spese correnti. Varie regioni hanno introdotto nuovi sistemi ispettivi regionali; ciò comporta generalmente il monitoraggio, almeno trimestrale, dei trend economico-finanziari verificatisi e il loro confronto con gli obiettivi prefissati per la verifica del rispetto dell’equilibrio economico-finanziario della gestione (ad esempio Puglia e Marche).
Massimizzare l’appropriatezza dei consumi sanitari può comportare delle importanti implicazioni positive per la tutela della salute ed il rispetto di questo criterio nei processi decisionali clinici è stato promosso dal Ministero della salute a partire almeno dal 1999, con l’approvazione del decreto legislativo n. 229 dello stesso anno. Negli ultimi tempi, tuttavia, il miglioramento dell’appropriatezza viene anche visto come uno strumento per contenere la spesa e molte regioni hanno perciò intrapreso delle iniziative in materia. Per esempio, l’Abruzzo ha avviato un programma regionale per l ‘attivazione di idonei e sistematici strumenti di controllo sulle prestazioni sanitarie erogate in ordine di appropriatezza e ha emanato disposizioni in merito al passaggio dal ricovero acuto a riabilitazione o lungodegenza o viceversa. Il Molise si è posto come obiettivo la promozione dell’utilizzo corretto del farmaco secondo i criteri basati sull’appropriatezza di prescrizione, sicurezza ed economicità in ambito ospedaliero. Ha anche individuato centri per la redazione dei piani terapeutici per assicurare il rispetto per l’appropriatezza dei LEA in campo farmaceutico. Lo stesso Molise ha approvato provvedimenti per l’estensione dei progetti di diffusione della medicina basata sulle prove (evidence based medicine) all’intero territorio regionale. La Sardegna ha avviato interventi per promuovere l’appropriatezza dei ricoveri ospedalieri e ha definito percorsi per i LEA afferenti alla branca specialistica di medicina fisica e riabilitativa. L’Umbria ha emanato direttive vincolanti circa la strutturazione dei percorsi prescrittivi per le protesi. Alcune regioni hanno elaborato delle linee guida afferenti alla promozione dell’appropriatezza, clinica e organizzativa. Ad esempio, la Sardegna ha preparato linee guida e protocolli per la gestione e il trattamento delle patologie coronariche acute e per il corretto funzionamento dei posti letto di assistenza ospedaliera a ciclo diurno.
Anche le attività di autorizzazione e accreditamento delle strutture sanitarie, da parte delle regioni, incidono non soltanto sulla tutela della salute, ma anche sul governo della spesa e le regioni – pure in questo campo incoraggiate dalle autorità centrali - hanno avviato numerose iniziative in proposito. Ad esempio, le Marche hanno stabilito procedure e prerequisiti per l’autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio delle strutture sanitarie, nonché requisiti minimi per l’autorizzazione alla realizzazione di unità autonome dedicate di day surgery extraospedaliera nella regione. L’Umbria ha approvato il regolamento interno del nucleo di valutazione per l’accreditamento istituzionale. L’Abruzzo ha fissato norme regionali in materia di autorizzazione, accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private. L’Emilia-Romagna ha stabilito requisiti specifici di accreditamento delle strutture, ha elaborato un catalogo regionale dei processi clinico-assistenziali in materia di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza e ha fissato requisiti specifici per l’accreditamento nei campi della medicina nucleare e radioterapia, dello screening del tumore alla cervice uterina e alla mammella. Il Friuli Venezia Giulia ha approvato requisiti e procedure per l’autorizzazione e l’accreditamento sia delle strutture sanitarie pubbliche eroganti prestazioni di medicina trasfusionale, sia delle strutture sanitarie, pubbliche e private, eroganti prestazioni di procreazione medicalmente assistita. Infine, sempre a titolo di esempio, la regione Valle d’Aosta ha attivato nuove linee regionali per l’attivazione, l’organizzazione e il funzionamento delle attività di day surgery e chirurgia ambulatoriale nelle strutture pubbliche e private operanti nel territorio regionale. 
 
6.3. Tutela della salute
Numerose iniziative regionali adottate nel 2007 hanno riguardato specifiche prestazioni sanitarie. Iniziative che possono essere classificate con riferimento alle specifiche patologie oppure alle categorie di assistenza coinvolte. Per quanto concerne le prime, ad esempio, l’Umbria è intervenuta sulla profilassi contro il carbonchio ematico per il periodo 2007-2008 e il Piemonte ha elaborato un programma per l’eradicazione e il controllo della malattia di Aujeszky. L’Emilia-Romagna ha promosso l’utilizzo dei defibrillatori semi-automatici in ambienti extra-ospedalieri. La regione Marche ha organizzato l’assistenza integrativa a soggetti affetti da particolari condizioni morbose ad elevato impatto socio-sanitario, nel caso specifico la sensibilità chimica multipla. 
La maggior parte delle iniziative riguardanti le prestazioni sanitarie, tuttavia, hanno avuto come oggetto le categorie di assistenza o di pazienti. La regione Piemonte, ad esempio, ha promosso una rete regionale di assistenza intensiva neonatale. Regioni come il Molise, la Valle d’Aosta e il Piemonte sono intervenute con riferimento a soggetti sottoposti a trapianto d’organo. La Puglia e la Toscana - nell’ambito delle iniziative umanitarie – hanno promosso l’erogazione di assistenza per cittadini neocomunitari e/o extracomunitari. In Lombardia è stato approvato un progetto per un’unità mobile sanitaria di pronto impiego. L’Umbria è un esempio di regione che si è attivata nella promozione del benessere degli anziani, fra l’altro erogando un assegno per l’assistenza a domicilio degli anziani gravemente non auto-sufficienti. La stessa regione ha firmato un patto con l’Università di Perugia per la promozione del benessere degli anziani. Alcune regioni, quali ad esempio l’Emilia-Romagna, la Lombardia, la Liguria, l’Abruzzo e la Basilicata, nel 2007 hanno affrontato la questione del controllo del dolore e delle cure palliative.
Infine, nonostante il contesto di austerità finanziaria, varie regioni hanno deciso di estendere ulteriormente la protezione sanitaria extra-LEA (ad esempio, Trento, Emilia-Romagna e Lombardia).
Come descritto nel capitolo sulle politiche sanitarie regionali del Rapporto per il 2006, accordi intergovernativi hanno incentivato le regioni a prendere iniziative nel campo della prevenzione, che si sono intensificate nel corso del 2007. Le regioni sono state particolarmente attive in alcuni campi specifici. A titolo di esempio, la regione Basilicata sta realizzando una campagna informativa riguardo al rischio di malattie cardiovascolari, mentre la Lombardia, nel caso della patologia cardiocerebrovascolare, ha posto l’accento sui network di patologie riferiti allo scompenso cardiaco, all’ipertensione e al diabete. Alcune regioni hanno dedicato risorse ai problemi dell’obesità (ad esempio, l’Abruzzo, la Basilicata e la provincia autonoma di Bolzano), dell’alcoolismo (ad esempio, l’Abruzzo) e del tabagismo (ad esempio, l’Emilia–Romagna), compresa la protezione dei non-fumatori (Bolzano). Alcune regioni hanno valorizzato l’obiettivo della riduzione dei fenomeni infortunistici nei luoghi di lavoro in generale (per esempio, la Basilicata), nonché in specifici settori produttivi. Ad esempio, il Piemonte, il Lazio e la Lombardia nel 2007 hanno predisposto piani biennali per la riduzione degli incidenti nell’edilizia. Una serie di regioni hanno introdotto dei provvedimenti mirati a prevenire i danni alla salute provocati da eccessive ondate di calore (ad esempio, il Piemonte, la Lombardia, il Molise e l’Umbria). La regione Umbria ha attivato un programma di screening audiologico neonatale e l’Abruzzo il Progetto SMILE, un servizio di monitoraggio ed intervento precoce per la lotta agli esordi della sofferenza mentale e psicologica nei giovani. Alcune regioni, per esempio la Lombardia, la Liguria e la provincia autonoma di Bolzano, hanno promosso campagne di comunicazione, educazione e promozione della salute ed alcune hanno concesso fondi ad enti pubblici e privati per attività di informazione, promozione ed educazione alla salute.
Nel corso del 2007 varie regioni hanno approvato un piano sanitario triennale, ad esempio la Calabria, il Piemonte, la provincia autonoma di Trento e le Marche. Altri piani pluriennali sono stati adottati in campi specifici, quali le cure palliative (Liguria), la gestione di sangue e plasma (Molise) e l’assistenza sanitaria per immigrati (Marche). Il piano sanitario regionale può segnalare cambiamenti fondamentali di strategia. Ad esempio, il piano delle Marche sposta quanto più possibile la sede di erogazione dei servizi a livello territoriale e particolare enfasi viene posta sull’integrazione socio-sanitaria, mentre quello piemontese conferma la scelta organizzativa di passare da un’assistenza sanitaria di tipo ospedaliero ad una di tipo alternativo al ricovero, definendo la mappa dei gruppi di cure primarie e delle case della salute. Svolte strategiche possono essere delineate anche in altre forme di documenti programmatori: ad esempio, l’Emilia-Romagna enfatizza lo sviluppo del ruolo dei medici di medicina generale e la riorganizzazione distrettuale come parte dell’obiettivo del progressivo potenziamento dei nuclei delle cure primarie.
Edizioni precedenti del presente capitolo hanno sottolineato come le regioni abbiano cercato sempre di più di esercitare un controllo stretto sulle modalità di attuazione nel territorio, da parte delle ASL e di altri enti, degli strumenti, dei programmi e delle politiche formulati dal governo regionale. Anche nel 2007, le regioni hanno fatto ampio ricorso a linee guida e strumenti simili. Nel caso, per esempio, della tutela della salute: le Marche hanno emanato linee guida riguardanti le politiche di prevenzione, sorveglianza e controllo della malattia tubercolare; l’Umbria ha emanato linee guida vincolanti per le ASL finalizzate al miglioramento della pratica vaccinale e per la sorveglianza e controllo della zanzara tigre; la Calabria ha adottato linee guida per la tutela della salute mentale; il Piemonte ha stabilito norme per l’uso di sostanze psicotrope su bambini ed adolescenti; l’Emilia-Romagna ha approvato linee guida per il controllo del dolore in travaglio di parto; la Basilicata, infine, ha introdotto linee guida per la concessione di assistenza finanziaria a favore dei soggetti affetti da dislessia e da altre difficoltà specifiche di apprendimento.
Alcune regioni hanno fatto ricorso allo strumento più generico delle linee di indirizzo. Per esempio, nel 2007 l’Emilia-Romagna ha approvato le linee di indirizzo per l’organizzazione dell’assistenza integrata al paziente con ictus (Programma Stroke) e la Sardegna ha trasmesso linee di indirizzo alle ASL per la riqualificazione delle attività sanitarie e socio-sanitarie nell’area materno-infantile. Ancora più generali sono state le linee guida elaborate dall’Abruzzo per la redazione del Piano sanitario regionale 2007-2009, che prevede il riordino della rete ospedaliera, e le linee indirizzo delle Marche per il consolidamento e lo sviluppo del suo Servizio sanitario regionale. 
L’Accordo Stato-regioni del 23 marzo 2005 ha posto particolare enfasi sulla formazione del personale, prevedendo un piano nazionale in materia. Agli interventi delle regioni adottati nel 2006 – già segnalati nel precedente Rapporto – se ne aggiungono altri decisi nel 2007, soprattutto per quanto riguarda la dimensione clinica. Alcune regioni sono state attive nella medicina specialistica; l’Umbria e la Sardegna hanno istituito un Osservatorio regionale per la formazione in questo settore. La regione Basilicata ha progettato attività di formazione nel settore della terapia del dolore, mentre il Piemonte e la Sardegna sono intervenuti per la formazione del personale nel campo della prevenzione. Infine, la Lombardia è stata attiva nell’attuazione del suo sistema formativo “Educazione continua in medicina”.
Concludendo questa breve panoramica delle attività regionali concernenti la tutela della salute, vanno menzionati i numerosi interventi volti al contenimento dei tempi e delle liste di attesa, sempre in attuazione degli impegni presi con l’Accordo Stato-regioni del 23 marzo 2005 e contenuti nel Piano nazionale per il contenimento dei tempi di attesa e delle liste di attesa 2006-2008. Alcune regioni hanno continuato a seguire le strategie già predisposte nel 2006 (ad esempio, la Lombardia e il Friuli Venezia Giulia); altre hanno approvato nel 2007 dei piani attuativi (ad esempio, il Piemonte, Bolzano, la Sardegna, la Liguria, le Marche); altre ancora hanno approvato specifici progetti per l’abbattimento delle liste di attesa (ad esempio, il Lazio).
 
6.4. Laboratori del federalismo
Le informazioni fornite dalle regioni sulla propria attività legislativa del 2007 indicano che esse continuano ad avere un ruolo decisivo nel processo di policymaking sanitario. Gli stimoli ai quali reagiscono sono di natura esogena o endogena. Molte iniziative sembrano infatti rappresentare risposte a pressioni dal centro, ad esempio tramite l’utilizzo del potere della borsa (descritto nel capitolo sulla sanità nel Rapporto sul 2006), in particolare in alcuni campi, quali la prevenzione, il contenimento delle liste di attesa e il controllo della spesa. Molte altre iniziative sembrano, invece, nascere per autonoma iniziativa delle singole regioni, in risposta ad esigenze locali. L’autonomia nel policymaking goduta dalle regioni nel tempo ha generato una notevole eterogeneità nel modo in cui esse affrontano le loro responsabilità per la tutela della salute ed il governo della spesa, dando luogo a preoccupazioni diffuse circa l’impatto che ciò può avere sui principi fondamentali del Servizio sanitario nazionale. Questo spiega l’enfasi posta sui LEA e il ruolo chiave assegnato allo Stato nella loro applicazione.
D’altro canto, l’eterogeneità può essere vista come un esito positivo e desiderabile di un sistema di governo decentrato, esito che potrebbe riflettere – almeno in una certa misura – l’esigenza di soddisfare preferenze e bisogni percepiti localmente. Si può ipotizzare, infatti, che per i suoi proponenti una caratteristica essenziale della devoluzione è precisamente quella dell’eterogeneità.
Un ulteriore merito attribuito al decentramento - distinto da, ma connesso a, l’eterogenità - è che esso offre ai governi subcentrali la possibilità, nel promuovere gli interessi dei propri cittadini, di innovare e sperimentare nuovi strumenti, programmi e politiche. Per rappresentare questo fenomeno è stato coniato il termine “federalismo da laboratorio” e, per alcuni osservatori, essa rappresenta un merito importante del sistema di governo americano. In una dissenting opinion, il noto giudice della Corte suprema statunitense Louis Brandeis, nel 1932 (New York Ice v. Leibman, 385, U.S. 242, 1932, p. 311), sostiene: “E’ uno degli imprevisti felici del sistema federale che un singolo stato coraggioso possa, a patto che i propri cittadini siano d’accordo, funzionare come laboratorio e svolgere degli sperimenti sociali ed economici nuovi senza rischio per il resto del Paese”. Un’innovazione riuscita in un dato stato, secondo questa tesi, tenderà ad essere adottata da altri stati, mentre gli insuccessi con tutta probabilità non andranno oltre le frontiere dello stato-innovatore. Verosimilmente, un paese dotato di cinquanta “stati-laboratorio”, quale gli Stati Uniti, registrerà un tasso di innovazione superiore a quello di un paese con sistema di governo unitario. Questo ultimo tenderà infatti ad innovare su scala nazionale, il che significa, da un lato, poter massimizzare i benefici nel caso di innovazioni riuscite, ma anche, dall’altro, generalizzare gli esiti negativi delle innovazioni fallite.
La nozione di “laboratorio del federalismo” ha riscosso negli anni un certo successo nella giurisprudenza americana e ha avuto un ruolo influente nell’analisi delle politiche in contesti federali, ma è stata anche oggetto di critiche. In particolare, suscita preoccupazione l’uso impreciso delle metafore “laboratorio” e “sperimentazione”. Nel caso specifico della sanità, si sostiene, un sistema sanitario non può essere equiparato ad un laboratorio scientifico, cioè a un contesto creato appositamente per permettere esperimenti replicabili e, quindi, potenzialmente confutabili. Inoltre, l’ipotesi che le innovazioni riuscite verranno trasferite dagli stati-innovatori ad altri stati ignora le barriere rappresentate dalle differenze istituzionali, amministrative, economiche e perfino ideologiche che contraddistinguono i singoli sistemi sanitari. Altri osservatori, invece, propendono per un approccio più pragmatico: il centralismo ha prodotto risultati deludenti e la metafora del laboratorio del federalismo, pur essendo imprecisa, può aiutare ad ottenere risultati migliori dai processi di decentramento governativo.
Nel capitolo sulla sanità del Rapporto per il 2006 si è ipotizzato che le regioni siano coinvolte in un processo continuo di “apprendimento sociale” (social learning): nella speranza di migliorare gli esiti delle politiche sanitarie, esse ricalibrano gli strumenti esistenti (cambiamento di primo ordine), adottano strumenti nuovi (cambiamento di secondo ordine) o perfino stabiliscono nuovi obiettivi (cambiamento di terzo ordine). Sulla base delle informazioni fornite dalle regioni riguardo alle proprie attività nel 2006, si era anche concluso che le innovazioni più comuni introdotte quell’anno erano di primo e secondo ordine e ciò sembra confermato anche con riferimento al 2007.
Il termine “innovazione” si riferisce essenzialmente a modifiche nel modo di fare le cose rispetto al passato: nuovi meccanismi, procedure, metodi, pratiche, forme organizzative. Un’innovazione può tuttavia essere endogena, generata all’interno di una regione, oppure esogena, il prodotto di un trasferimento da altre regioni. Molte delle azioni intraprese nel 2007 possono essere considerate innovative nel senso che rappresentano per la singola regione in questione un cambiamento rispetto al passato, ma poco originali se valutate nel contesto dell’universo delle regioni. Per esempio, la centralizzazione delle attività amministrative o di acquisto può essere un’importante innovazione per la regione che prende tale iniziativa, ma non per il sistema regionale nel suo insieme, essendo già una politica diffusa in un numero piuttosto elevato di regioni. Lo stesso può essere vero per l’adozione dei sistemi contabili analitici per centro di costo e di responsabilità, per l’integrazione dell’assistenza sociale e quella sanitaria per determinate categorie della popolazione oppure per piani per prevenire i danni alla salute da ondate estive di calore eccessivo.
I capitoli su regioni e sanità delle precedenti edizioni del Rapporto contengono esempi di innovazioni adottate da parte di singole regioni che, forse, hanno rappresentato novità per il sistema regionale italiano nel suo insieme nel periodo di riferimento. Per esempio, nel 2006, il Veneto ha approvato un progetto per la creazione delle strutture residenziali extra-ospedaliere per pazienti terminali o in stato vegetativo permanente. Inoltre, è stata costituita una vasta area integrata tra la regione Veneto e le province autonome di Trento e Bolzano per la cura delle malattie rare. Sempre nel 2006, la Toscana ha costituito una fondazione per la promozione della ricerca medica e l’Emilia-Romagna si è fortemente impegnata per il sostegno alla ricerca e l’innovazione nell’ambito del Programma Ricerca e Innovazione per l’Emilia-Romagna (PRI E-R).
I dati suggeriscono la presenza di alcune innovazioni dello stesso tipo anche per il 2007. Esse sono, per così dire, in “fase sperimentale”, ma potrebbero “superare l’esame” ed essere adottate da altre regioni. A titolo di esempio, una legge regionale del Friuli Venezia Giulia contiene disposizioni in materia di valorizzazione e responsabilizzazione delle professioni sanitarie e la professione di assistente sociale in un’ottica di miglioramento delle condizioni per la compiuta realizzazione del diritto alla salute, di prosecuzione nel processo di aziendalizzazione del SSR, di realizzazione dell’integrazione socio-sanitaria e di miglioramento dell’organizzazione multiprofessionale del lavoro. La stessa regione ha istituito un “Comitato di regia”, per il coordinamento delle attività degli enti del SSR (aziende sanitarie territoriali, ospedaliere, ospedaliero-universitarie, IRCCS), composto dai rappresentanti dei medesimi enti.
La Lombardia ha avviato un progetto inusuale, “l’Area sanitaria protetta”, cioè la realizzazione di una struttura di accoglienza campale avanzata da attivare in caso di emergenze o disastri. L’Umbria, con la legge regionale n. 16 del 2007, ha istituito l’Agenzia Umbria Sanità - dotata di personalità giuridica pubblica ed autonomia gestionale, amministrativa, organizzativa e finanziaria -, che svolgerà per conto delle aziende sanitarie regionali le funzioni relative all’acquisizione di beni e servizi, alla gestione dei programmi di investimento, del patrimonio e delle tecnologie sanitarie ed informatiche, accanto ad attività riguardanti la misurazione dei costi, l’omogeneizzazione dei sistemi di gestione contabile e la promozione di modelli organizzativi. La Toscana ha introdotto delle norme contro la violenza di genere, con l’obiettivo di creare una rete di soggetti pubblici e privati sul territorio chiamati a prevenire e proteggere dalla violenza di genere.
Due regioni hanno intrapreso interventi mirati a semplificare i processi amministrativo-regolamentari: la Toscana, nell’ambito di un programma regionale più ampio in materia di semplificazione e deregolamentazione, ha approvato una legge regionale finalizzata a terminare il monopolio, da parte dell’ASL, della funzione di controllo e certificazione dei funghi freschi spontanei destinati alla vendita; la Lombardia, invece, ha avviato un processo di abolizione di certificati ed autorizzazioni valutati inutili, sostituendoli con criteri di approccio che prevedono la programmazione delle attività di vigilanza e ispezione sulla base delle conoscenze del territorio. La Puglia, invece, ha elaborato delle linee guida per la partecipazione del cittadino alla redazione del Piano regionale della salute.
Innovativo è stato anche l’Abruzzo, che ha approvato il già citato schema di convenzione con una società privata per la creazione di una rete regionale di centri di informazione indipendenti sui farmaci. Così come l’Emilia-Romagna, sempre in materia di prestazioni sanitarie, con la citata legge regionale per la promozione dell’utilizzo dei defibrillatori semi-automatici in ambiente extra-ospedaliero e con la pubblicazione delle linee guida per le ASL per il controllo del dolore in corso di travaglio di parto.
A livello locale, citiamo il caso di una ASL abruzzese, che ha avviato un servizio di monitoraggio ed intervento precoce per la lotta agli esordi della sofferenza mentale e psicologica nei giovani.
Affinché i laboratori del federalismo producano i benefici ipotizzati, occorre, tuttavia, che abbiano luogo dei processi di trasferimento dalle regioni-innovatrici alle regioni-importatrici. Cosa niente affatto ovvia. Ipotizzando due Paesi, uno unitario e con un basso tasso di innovazione, ma un rapido processo di attuazione delle poche innovazioni ideate, e uno federale che genera molte innovazioni, ma ben poche delle quali vengono però trasferite, potrebbe addirittura risultare più efficiente il Paese unitario.
Infatti, affinché il laboratorio del federalismo possa produrre i risultati sperati è necessario che, a livello nazionale, vengano posti in essere idonei meccanismi per pubblicizzare le innovazione ed incentivarne il trasferimento. Ma in Italia interventi centrali di questo tipo potrebbero essere considerati dalle regioni come “cavalli di Troia” per aprire la strada all’ingerenza dello Stato nelle aree di propria competenza e, quindi, essere osteggiati.
Un’ulteriore difficoltà che può ostacolare il buon funzionamento del laboratorio del federalismo è rappresentata dal fatto che spesso le regioni innovatrici sopportano da sole tutti i rischi e gli oneri finanziari connessi alle proprie sperimentazioni, senza disporre di alcun contributo dallo Stato, anche per conto delle regioni che importano le innovazioni riuscite. In una situazione del genere, è prevedibile che si riscontrino tassi di innovazione sub-ottimali.
Ciò aiuterebbe anche a spiegare perché i tentativi da parte dello Stato di promuovere la sperimentazione gestionale nel settore sanitario (ex art. 9-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992), ma scaricandone i costi sulle regioni-pioniere, abbiano finora prodotto risultati piuttosto limitati come emerge anche dalle ricognizioni effettuate dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari.
 
 
 
7.1. Contenuti dell’analisi e premessa metodologica
Lo studio è finalizzato ad analizzare il complesso della produzione normativa - leggi, regolamenti ed atti amministrativi - di Regioni e Province autonome nel settore socio-assistenziale, relativi al 2007. Tuttavia, prima di esaminare i dati raccolti, si ritiene opportuno svolgere una breve premessa metodologica, al fine di comprendere i contenuti, la portata e i limiti del presente lavoro.
Tutti i provvedimenti sono stati analizzati sulla base della tipologia (legge, progetto di legge, regolamento, atto amministrativo), e della materia disciplinata. La classificazione degli atti per materia è finalizzata ad evidenziare le scelte e gli indirizzi privilegiati dalla Regione o Provincia autonoma. La individuazione delle materie, non essendo codificate, è stata fatta tenendo conto dei criteri utilizzati da Regioni e Province per classificare e segnalare gli atti normativi sugli strumenti di maggiore diffusione, quali siti internet ufficiali, news letters delle Regioni stesse, etc. . Sulla base di queste considerazioni sono state apportate alcune variazioni rispetto al precedente Rapporto, che verranno segnalate, al fine di consentire la confrontabilità dei dati.
Le leggi oggetto dell’indagine non rappresentano in assoluto la totalità della produzione legislativa in materia socio-assistenziale. Sono state escluse le leggi a contenuto misto, per esempio socio-sanitario, o altre leggi che disciplinano materie contigue al settore, ma diversamente classificate ai fini del Rapporto, di cui comunque si farà menzione. Sono state invece prese in esame leggi finanziarie regionali per il 2008, relativamente alle disposizioni in materia socio-assistenziale.
Quest’anno si è ritenuto opportuno presentare anche i dati relativi ai progetti di legge (1), in modo da fornire un quadro il più possibile completo delle tendenze e politiche socio-assistenziali delle Regioni e Province autonome.
Sono oggetto di indagine esclusivamente gli atti amministrativi che sono stati segnalati (nel questionario) dalle Regioni e Province autonome; pertanto l’indagine, a questo riguardo, non presenta carattere di esaustività.
Nella lettura dello studio, infine, bisogna tenere conto che si tratta di una “fotografia” delle politiche socio-assistenziali delle Regioni e Province autonome, limitata al solo 2007. In quest’ottica dovranno essere considerati i limiti oggettivi che questa analisi presenta, quali: l’esiguità delle leggi emanate, la disomogeneità dei provvedimenti, il diverso ruolo e rilievo che i diversi atti rivestono a seconda del contesto in cui sono assunti.
Si è infine ritenuto opportuno, data la rilevanza dei provvedimenti, inserire due brevi approfondimenti, relativi il primo alle leggi di riordino dei sistemi socio-assistenziali e il secondo ai piani sociali regionali approvati nel corso del 2007.
 
7.2. La produzione legislativa
Le Regioni e Province autonome, nel corso del 2007, hanno emanato 30 leggi in materia socio-assistenziale (tab.1), lo stesso numero rispetto al 2006 (2), nonostante 5 Regioni non abbiano legiferato in questo settore. 
Il numero medio di leggi emanate è pari a 1,4, senza significative differenze tra le aree geografiche: 1,6 nel sud ed isole, 1,3 nel centro e 1,2 nel nord. Ugualmente il dato non presenta significative differenze tra Regioni a statuto speciale e Regioni ordinarie, rispettivamente con una media di 1,3 per le Regioni a statuto speciale e 1,4 per le Regioni ordinarie.
La produzione legislativa nel settore socio-assistenziale costituisce il 4,6% (tab.1) della produzione legislativa complessiva delle Regioni e il 9,3% di quella residuale, senza significativi scostamenti rispetto al 2006 (3).
Un’analisi trasversale del complesso della legislazione regionale in materia socio-assistenziale, che prescinde dalle materie disciplinate, consente di evidenziare: la presenza di un numero significativo di leggi di pianificazione, ossia di provvedimenti che disciplinano intere materie, pari al 33%, della produzione legislativa in materia socio-assistenziale, quali leggi di riorganizzazione di tutto il sistema regionale socio-assistenziale, o che regolamentano il settore del volontariato o della promozione sociale; un 26% di leggi dedicato a fasce particolari di utenza; un 23% costituito da leggi di manutenzione; un 10% rappresentato da leggi che istituiscono figure o organismi specifici. La restante parte dei provvedimenti è relativa a particolari istituti o attività quali, per esempio, il prestito d’onore o la distribuzione dei prodotti alimentari. Questi dati evidenziano uno sforzo da parte delle Regioni di abbandonare una politica settoriale riferita a particolari fasce di utenza, assumendo provvedimenti di carattere generale, importanti per il coordinamento dei diversi settori all’interno del sistema socio-assistenziale regionale. Si tratta di leggi che incidono trasversalmente sul settore, disciplinando servizi, interventi ed attività diretti ad una pluralità di utenze (anziani, soggetti non autosufficienti, minori, donne, ecc.) come le leggi sull’associazionismo, sul volontariato o sul servizio civile.
 
7.2.1. Analisi per materia
L’analisi per materia (tab.2) evidenzia come, a fronte di un numero di leggi che rimane invariato rispetto all’anno precedente (tab.8), si modifica la distribuzione delle stesse tra le varie aree. Il dato più significativo è quello relativo alle politiche di genere (4), che costituiscono una vera e propria novità, sia rispetto al 2006 che agli anni precedenti. Questa rappresenta altresì la materia sulla quale le Regioni e Province autonome hanno legiferato di più: il 23% (tab.2) sul totale delle leggi approvate nel settore, rispetto al 4% dell’anno precedente. Dei provvedimenti emanati nel 2007, 7 sono dedicati alla tutela contro la violenza sulle donne (in alcuni casi anche sui minori) o discriminazione di genere e 1 sola legge è di manutenzione. Si tratta di un vero e proprio balzo in avanti della legislazione in questa materia, in quanto dal 2000 erano state emanate poche leggi (5) dedicate alla tutela delle donne. La maggior parte di questi provvedimenti è stata adottata in Regioni del sud; tra questi, quello di portata sicuramente più ampia è la legge della Regione Puglia, che affronta complessivamente la tematica delle politiche di genere e rappresenta quasi un unicum nel panorama legislativo regionale (6).
La maggior parte delle leggi si distribuisce su quattro aree: organizzativa, gestionale e finanziaria, che raccoglie il 17% (tab.2) delle leggi approvate nel settore socio-assistenziale; politiche per la famiglia e materno –infantili, che raggiunge il 13%; terzo settore e servizio civile, che raccolgono ognuna il 10% delle leggi del settore. La restante parte dei provvedimenti, complessivamente il 16%, è distribuito anch’esso su quattro aree: anziani (7%), povertà ed inclusione sociale (3%), detenuti (3%), e varie (3%). In altre materie come quelle della dipendenza, della disabilità ed invalidità o delle politiche abitative non è stato assunto alcun provvedimento. In merito alle politiche abitative va comunque segnalata la presenza di alcune disposizioni in leggi finanziarie, regolamenti ed atti amministrativi.
L’area relativa all’organizzazione, gestione e finanziamento dei servizi registra un deciso calo rispetto al 2006, passando dal 40% (7) delle leggi del settore socio-assistenziale al 20%. Tra queste sono state approvate 3 leggi di riordino dei servizi (8), di cui si tratterà più ampiamente nel paragrafo successivo, e 2 di manutenzione dei sistemi stessi. La Regione Lombardia ha invece approvato la legge di riordino nel corso dei primi mesi del 2008 (9) (sarà pertanto oggetto di analisi nel Rapporto del prossimo anno).
Nella voce politiche per la famiglia e materno-infantili sono state raggruppate le leggi sulla famiglia in senso stretto e sui minori, con esclusione di quelle sulle politiche per i giovani (10), nel questionario diversamente classificate. La quasi totalità delle leggi sui minori è relativa al garante per infanzia e l’adolescenza (11): questa importante figura istituzionale è già prevista in 8 Regioni (12) cui si aggiunge, nel 2007, la Provincia autonoma di Trento, mentre 1 sola legge di manutenzione (13) è relativa ai servizi socio-educativi per l’infanzia, che pur rientrano tra i servizi più importanti all’interno delle politiche per la famiglia. Va comunque considerato che questi servizi sono già da tempo ampiamente disciplinati nella legislazione regionale e sono generalmente oggetto di interventi legislativi di manutenzione o di un cospicuo numero di atti amministrativi relativi alla gestione, organizzazione e finanziamento.
Le leggi regionali in materia di terzo settore, approvate nel 2007, sono costituite da leggi di carattere generale, tese a disciplinare interi comparti, come quello del volontariato (14), della promozione sociale, e delle IPAB (15). A questo elenco si ritiene opportuno aggiungere la legge della Regione Toscana relativa alla “Disciplina della Conferenza permanente delle autonomie sociali”, che costituisce il massimo organismo “espressivo della sussidiarietà sociale nella Regione” (16). La legge della Puglia sull’associazionismo porta a 11 il numero di Regioni ad aver legiferato su questa materia dal 2001, mentre il numero di Regioni che hanno legiferato nel settore del volontariato, sempre a partire dal 2001 raggiunge il numero di 3, con la legge della Regione Molise. E’ inoltre opportuno segnalare che la Lombardia ha emanato nel 2008 (pertanto al di fuori di questo studio) la legge n. 1, Testo unico delle leggi regionali in materia di volontariato, cooperazione sociale, associazionismo e società di mutuo soccorso. Complessivamente si coglie nelle Regioni la volontà di completare il quadro normativo del terzo settore, anche sulla spinta delle disposizioni nazionali, cui la legislazione regionale frequentemente si richiama. Si evidenzia inoltre l’intenzione dei legislatori regionali di dare corpo al principio di sussidiarietà orizzontale, favorendo le forme aggregative di tutte le componenti sociali presenti nel territorio.
Il servizio civile regionale rappresenta una delle materie su cui le Regioni hanno ampiamente legiferato anche in passato. Nel 2007 sono state emanate 3 leggi (17), cui, per completezza, è necessario aggiungere le disposizioni inserite in una legge multisettore (diversamente classificata nel Rapporto) della Provincia autonoma di Trento (18) e quelle contenute nel piano sociale regionale della Regione Toscana (relative all’attuazione della l.r. n. 35/2006, Istituzione del servizio civile regionale).
Le 4 leggi disciplinano congiuntamente l’applicazione delle disposizioni nazionali ed il servizio civile locale e portano a 9 il numero totale di Regioni (19) che, dopo l’emanazione del decreto legislativo n. 77/2002, Disciplina del servizio civile nazionale a norma dell'articolo 2 della legge 6 marzo 2001, n. 64, hanno scelto di disciplinare il settore. Va infatti ricordato che, sebbene la materia sia stata ascritta, a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale (20), tra le competenze esclusive dello Stato, la Corte ha comunque riservato alla Regione “la possibilità di regolare l’esercizio di funzioni specifiche, riguardanti aspetti materiali che rientrano nella sua competenza”. I legislatori regionali hanno dimostrato di reputare il servizio civile uno strumento utile al coinvolgimento della popolazione giovanile in attività che non attengono alla difesa (di competenza esclusiva dello Stato), ma alle politiche sociali ampiamente intese. Il servizio civile è stato, per esempio, finalizzato a “ promuovere e sviluppare interventi di integrazione e coesione sociale, o relativi ai servizi alla persona” (21); a “realizzazione di progetti atti a soddisfare i bisogni della comunità stessa in ordine a problematiche sociali” (22) o infine a “valorizzare le forme di cittadinanza attiva orientate allo svolgimento di concrete attività di solidarietà e di servizio alla comunità” (23). 
Infine si ritiene opportuno segnalare due leggi di carattere generale, ma attinenti a materie diverse: la legge della Provincia autonoma di Bolzano che disciplina gli interventi per l’assistenza a persone non autosufficienti, sui quali altre Regioni sono intervenute, ma non in via legislativa; la legge della Regione Liguria, relativa a disposizioni sull’accoglienza e l’integrazione sociale delle cittadine e dei cittadini stranieri immigrati. In questa materia altre 5 Regioni sono intervenute in via legislativa, diversamente altre hanno preferito agire in via amministrativa, pianificando una serie di interventi, spesso finanziati attraverso il fondo nazionale per le politiche migratorie.
 
7.2.2. Verso il completamento delle leggi regionali di riordino del sistema dei servizi socio-assistenziali
Le tre leggi regionali di riordino dei servizi socio-assistenziali emanate nel 2007 e quella della Lombardia del 2008 portano a 12 (24) il numero delle Regioni e Province che hanno assunto tale tipo di provvedimento successivamente alla riforma costituzionale, sebbene ora la materia sia ascrivibile tra le competenze delle regioni. Nel caso della Provincia autonoma di Trento e della Basilicata si tratta di provvedimenti che vanno a sostituire precedenti leggi, nel caso della Campania è la prima legge regionale a disciplinare in modo organico la materia.
Non è possibile in questa sede svolgere un’analisi accurata delle tre leggi, tuttavia si ritiene utile evidenziarne alcuni aspetti quali l’applicazione del principio universalistico, che segna l’abbandono di politiche settoriali; le modalità con cui si attua la programmazione nei due livelli istituzionali, regionale e locale; le diverse modalità di partecipazione del terzo settore, in cui si concretizza il principio di sussidiarietà orizzontale. Infine, si ritiene utile dare delle brevi indicazioni sulle modalità di finanziamento del sistema, previste dalle leggi in esame.
Le leggi di riordino della Campania e della Basilicata presentano alcuni punti di contatto, mentre la legge della Provincia autonoma di Trento ha una sua specificità dovuta a diversi fattori, quali la specialità dell’ordinamento provinciale, la situazione socio-economica ed una significativa tradizione in materia, che non possono non riflettersi su tale tipo di normativa. I primi due provvedimenti infatti sono molto focalizzati sugli aspetti organizzativi, quali la definizione della rete dei servizi di assistenza e delle funzioni dei soggetti istituzionali coinvolti. La legge della Provincia autonoma di Trento appare di più ampio respiro essendo strutturata sugli obiettivi, sulle politiche e sugli strumenti di monitoraggio. La legge della Basilicata contiene tuttavia una clausola valutativa, riferita agli atti di programmazione regionale e locale.
Per Campania e Basilicata la legge n.328/2000 continua a rimanere una legge di riferimento, mentre nelle disposizioni della Provincia autonoma di Trento è assente qualsiasi riferimento alla legge nazionale. Le prime due Regioni manifestano una certa “soggezione” nei riguardi di quest’ultima, tanto che la legge della Campania, già nella titolazione, si qualifica di “attuazione“ e la legge della Basilicata dichiara esplicitamente di “adeguarsi” (25) alla legge n. 328/2000. Questa legge è indicata, dalle disposizioni regionali, come fonte per il riconoscimento del ruolo assegnato ai Comuni, accanto alla legge regionale (26), e per colmare eventuali lacune normative (27). Traspare pertanto una sorta di rinuncia a disciplinare in autonomia il nuovo settore loro affidato, che può essere letta o come mancanza di volontà nel ricercare soluzioni adeguate alla situazione locale o una oggettiva difficoltà a superare il modello nazionale.
Quanto al carattere universalistico, si colgono delle significative differenze in merito ai destinatari degli interventi, che forse, in alcuni casi, sembrano ridurne la portata.
La Provincia autonoma di Trento riconosce il diritto di usufruire delle prestazioni previste nei livelli essenziali di assistenza sociale (LIVEAS) e di altre specifiche prestazioni a tutti coloro, cittadini della UE, stranieri ed apolidi, a due condizioni: la residenza anagrafica e lo “stato anche temporaneo di bisogno effettivo o potenziale”. Assicura invece il diritto a fruire di tutte le prestazioni indicate nella legge solo a coloro che sono residenti da più di 3 anni nel territorio provinciale. Per coloro che comunque si trovino nel territorio (stranieri senza permesso di soggiorno, apolidi e profughi) la Provincia autonoma di Trento garantisce quelle prestazioni “che hanno carattere di indifferibilità in relazione allo stato di bisogno”.
La legge della Regione Campania non distingue tra prestazioni comprese nei LIVEAS ed ulteriori prestazioni assicurate dalla Regione e non pone limiti al diritto di fruizione delle prestazioni erogate dai servizi sociali. Queste sono garantite ai cittadini italiani residenti o temporaneamente presenti nel territorio (la residenza non è pertanto condizione per l’esercizio del diritto, ma è previsto il diritto di rivalsa nei confronti del Comune di residenza) (28), ai cittadini dell’Unione europea, agli stranieri extracomunitari e apolidi, residenti sul territorio (solo per questi ultimi il requisito della residenza è richiesto). Per coloro che comunque si trovino nel territorio (stranieri senza permesso di soggiorno, apolidi e profughi) la Regione Campania garantisce solo misure di pronto intervento sociale.
La Basilicata non pone limitazioni alla tipologia di prestazioni, che si estendono a tutte quelle previste dalla legge di riordino, mentre l’ambito dei destinatari è riferito a “tutte le persone residenti o domiciliate nel territorio“, senza limitazioni temporali, cui sono equiparate le donne straniere in stato di gravidanza e i minori (per i quali non è previsto il requisito della residenza o domicilio). Per i soggetti stranieri, apolidi e profughi, “che versino in condizioni contingenti di difficoltà e bisogno”, il diritto di usufruire delle prestazioni è condizionato dal “rispetto delle norme dello Stato e degli accordi internazionali“. Per quest’ultimo profilo, pertanto, la legge delle Basilicata sembra più restrittiva di quelle della Campania e della provincia di Trento, che comunque garantiscono a questi ultimi soggetti delle prestazioni urgenti ed indifferibili correlate allo stato di bisogno.
Gli strumenti di programmazione - piano sociale regionale (PSR) o provinciale e i piani locali - sono sostanzialmente gli stessi nelle tre leggi, mentre sono diversificate le modalità con cui la programmazione si realizza. Nella Provincia autonoma di Trento si tratta di un processo dinamico di interazione ed aggiornamento reciproco tra il “piano sociale di comunità” e il piano sociale provinciale. Quest’ultimo risulta vincolante per i piani sociali di comunità, ma questi a loro volta sono lo strumento che “concorre alla formazione del PSR” e lo aggiornano “in una dinamica di interazione” sulla base dei bisogni che esprimono. Le leggi di Basilicata e Campania prevedono che la funzione di raccordo tra il livello regionale e locale sia svolta da un organismo (29) con funzioni consultive in fase di predisposizione del piano sociale regionale, cui partecipano rappresentanti di amministratori locali, di operatori, di organizzazioni del terzo settore. In Campania è stato individuato un ulteriore strumento di raccordo con la programmazione locale, costituito dalla Conferenza regionale sul Welfare, con cadenza triennale, che rappresenta il “momento di rilevazione dei bisogni per la programmazione del triennio successivo”. Nonostante questi meccanismi, non sembra esistere un rapporto dinamico di interazione tra piano regionale e piani locali. Dalle due leggi traspare un certo centralismo: il processo di programmazione si configura più come un procedimento verticistico, che parte dalla Regione e cui la programmazione locale deve adeguarsi (30).
Un ulteriore elemento di differenziazione tra le tre leggi è costituito dalle modalità di partecipazione del terzo settore alla pianificazione e gestione dei servizi, nel quale si traduce il principio di sussidiarietà orizzontale.
Questo è espressamente richiamato nella legge della Provincia autonoma di Trento, che coinvolge il terzo settore nella realizzazione della rete integrata dei servizi. La partecipazione delle formazioni sociali è prevista nella fase di programmazione, sia provinciale che locale, attraverso una rappresentanza negli organismi (31), che ai diversi livelli hanno funzioni propositive e consultive nella stesura degli atti di programmazione (piano provinciale e piano sociale di comunità) e nella realizzazione di interventi, attraverso la sottoscrizione di accordi di collaborazione. La Provincia autonoma di Trento, inoltre, distingue nettamente la partecipazione al sistema di soggetti privati con o senza scopo di lucro. A questi ultimi riserva specifiche funzioni da esercitarsi nell’ambito del “distretto dell’economia solidale, inteso quale circuito economico a base locale” (art 5. l.p. n. 13/2007), nell’ambito del quale favorisce la “creazione di filiere di finanziamento, produzione, distribuzione e consumo di beni e servizi.” 
La Campania prevede una “collaborazione e cooperazione” tra i diversi soggetti che partecipano alla rete dei servizi. Il terzo settore è chiamato, ad un livello paritario con le istituzioni pubbliche, all’attuazione della legge (32), in un rapporto di “corresponsabilità dei soggetti istituzionali e sociali, che concorrono alla costruzione di una comunità solidale”. A questa enunciazione di principi, tuttavia, non sembra seguire una strumentazione tale da consentire una effettiva partecipazione del terzo settore, in quanto, nella fase di programmazione, le formazioni sociali partecipano solo attraverso una attività consultiva (peraltro non procedimentalizzata), ma non è previsto alcun coinvolgimento nella fase di predisposizione del piano sociale. Nella fase successiva di valutazione è prevista la partecipazione alla Conferenza triennale sul Welfare “quale momento di confronto pubblico sull’attuazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”. A livello locale, invece, il terzo settore partecipa in fase di programmazione, esprimendosi sul piano di zona, attraverso la sottoscrizione di protocolli di adesione all’accordo di programma necessario per l’adozione del piano.
La legge della Regione Basilicata prevede una “partecipazione su scala regionale e territoriale” del terzo settore “ai processi di programmazione, attuazione e valutazione delle politiche sociali integrate”. Questa partecipazione è esplicitata a livello regionale con la rappresentanza del terzo settore nella Consulta permanente per la programmazione regionale, che ha una funzione consultiva nei riguardi della Giunta, per ciò che riguarda le “scelte di programmazione attinenti alla organizzazione degli interventi e dei servizi di tutela e promozione della salute e salvaguardia e sviluppo dei diritti sociali”. A livello locale, invece, non risulta molto chiaro il coinvolgimento del terzo settore, in quanto non è prevista la partecipazione alla Conferenza istituzionale di ambito, ma è solo genericamente contemplata una “istruttoria pubblica di consultazione e programmazione.. a cui partecipano i soggetti pubblici e sociali….. le formazioni del terzo settore.” Non sembra rintracciabile, nel testo della legge, una qualche forma di partecipazione del terzo settore ad attività di monitoraggio e valutazione sullo stato di attuazione delle politiche sociali, mentre a livello regionale sono previste con “cadenza periodica regolare” “conferenze sociali per la verifica e valutazione dello stato di attuazione del piano locale”.
Un altro aspetto rilevante nelle leggi di riordino è rappresentato dalle modalità individuate per il finanziamento del sistema, che attualmente avviene sostanzialmente tramite risorse provenienti dallo Stato (fondo sociale), dalla Regione, dagli enti locali. Questo quadro è destinato a cambiare, nel caso dovesse completarsi il sistema di federalismo fiscale, rimanendo a carico dello Stato il compito di assicurare esclusivamente le risorse destinate a garantire i LIVEAS.
Le leggi della Basilicata e della Campania prevedono che il sistema venga finanziato attraverso il fondo sociale regionale (FSR), nel quale confluiscono tutte le risorse provenienti dallo Stato (fondo sociale), dalla Regione, dagli enti locali, dall’Unione europea e quelle provenienti da altri soggetti pubblici e privati.
La legge deIla Regione Basilicata stabilisce che nel FSR sia compreso il fondo per la non autosufficienza, mentre esclude che il FSR possa finanziare progetti innovativi o sperimentali, che dovranno essere sovvenzionati diversamente. E’ assente una esplicita disposizione che preveda il finanziamento dei LIVEAS attraverso il FSR, ma per la disciplina si rinvia al piano sociale regionale. Diversamente, la legge della Campania assicura prioritariamente la copertura dei LIVEAS tramite il fondo sociale regionale. In Campania, il sistema di assistenza sociale è sempre finanziato dal FSR (istituito con la legge di riordino), ad esclusione degli interventi strutturali, per i quali è istituito un fondo specifico per le spese di investimento. E’ previsto uno specifico vincolo di destinazione del FSR nei riguardi dei piani di zona e delle azioni a regia regionale.
Le modalità di finanziamento del servizio di assistenza in Basilicata e Campania sembrano diversificarsi nella valenza politica che al fondo sociale viene data. Nel caso della Basilicata, la programmazione degli interventi previsti dai piani di zona sembra essere determinata più dalla capienza del FSR, in quanto “i piani intercomunali… dimensionano i loro interventi all’entità dei finanziamenti”, che dai bisogni espressi a livello locale.
Diversa sembra l’impostazione delle regione Campania, che vincola in primo luogo le risorse del FSR al finanziamento dei piani di zona, e comunque alla “copertura dei servizi regionali di sistema e dei livelli essenziali di assistenza sociale a livello territoriale”. E’ quindi già in fase di stanziamento del FSR che si tiene conto dei bisogni di assistenza espressi a livello locale (tramite i piani di zona) e dei LIVEAS, facendo dei piani di zona l’elemento che condiziona le risorse e non viceversa.
La legge della Provincia autonoma di Trento, diversamente dalle precedenti, non contiene alcun riferimento al fondo sociale (33), ma prevede invece un finanziamento voce per voce dei singoli interventi previsti dalla legge di riordino.
 
7.3. I progetti di legge
I progetti di legge in materia socio-assistenziale in esame presso i Consigli sono 162, un numero piuttosto corposo, pari a circa il 9% della totalità dei progetti di legge, quasi il doppio rispetto a quello relativo al rapporto tra leggi nel settore socio-assistenziale e totalità delle leggi regionali emanate (tab.1). Se si confronta il dato medio relativo a leggi e progetti di legge, si può concludere che su 7 progetti di legge, solo 1,4 diventa legge.
La lettura di questi dati può avere chiavi di interpretazione diverse: un interesse crescente della classe politica delle Regioni e Province autonome per il settore; una difficoltà oggettiva dei progetti di legge a superare il procedimento legislativo; una mancanza di volontà nel portare avanti le proposte presentate, che avrebbero una mera valenza di vetrina politica.
Si può notare come ad un alto numero di progetti di legge non corrisponda un congruo numero di leggi emanate: infatti, regioni come il Piemonte, che presenta in assoluto più progetti di legge (31) o la Lombardia (19), non hanno approvato alcuna legge nel corso del 2007. Segno, forse, che in queste Regioni è in atto una significativa attività preparatoria che potrebbe portare ad un intensificarsi dell’attività legislativa nel settore sociale nel 2008.
Il settore della famiglia è quello che riceve maggiore attenzione, raccogliendo più del 38% dei progetti di legge presentati (tab. 3 - la più alta percentuale tra i progetti presentati in materia socio-assistenziale), di cui un cospicuo numero dedicati proprio alle politiche per la famiglia in senso stretto (spesso più di uno per Regione). Vi sono, inoltre, progetti relativi alla figura del garante per l’infanzia e l’adolescenza che sono stati presentati in 5 Regioni (34). Confrontando i valori percentuali dei progetti di legge in materia di politiche per la famiglia con quelli relativi alla legislazione appare evidente come i progetti di legge risultino essere il 25% in più rispetto alle leggi emanate. La presenza di un così alto numero di progetti riguardanti le politiche per la famiglia, e di più progetti sullo stesso oggetto, può essere letta, da un lato, come un indicatore di grande interesse e fermento politico per il settore, dall’altro come il segno di scelte politiche non coincidenti. La selezione degli strumenti di sostegno alla famiglia e la nozione stessa dell’istituto della famiglia possono infatti variare in modo significativo a seconda dell’orientamento politico dei proponenti. Queste diversità, d’altra parte, già si registrano nelle leggi in vigore e inevitabilmente riflettono i contesti politici in cui sono nate.
La materia delle politiche di genere presenta un esiguo numero di progetti di legge, che superano di poco il 5% di quelli presentati in materia sociale (35) (tab.3) a fronte, invece, di un significativo incremento della legislazione in questo settore. Questo dato può avere una duplice lettura: da un lato uno scarso interesse per la materia in alcune Regioni, che non hanno alcun progetto di legge in merito, dall’altro le Regioni che si dimostrano sensibili alla problematica arrivano più facilmente all’approvazione della legge. Tuttavia, quando la materia è oggetto di esame dei Consigli regionali, vi sono casi in cui sono presenti due diversi disegni di legge per Regione, rispettivamente relativi alla tutela contro la violenza e alle politiche di genere (ad esempio in Piemonte e Marche), e quasi tutti in Regioni che non hanno ancora disciplinato la materia.
L’area relativa all’organizzazione, gestione e finanziamento dei servizi presenta un esiguo numero di progetti di legge, che costituiscono solo il 6% di quelli presentati. Confrontando questo dato con quello relativo alla legislazione, si nota come il valore sia significativamente più basso. Tra questi progetti di legge, si segnalano quelli di Abruzzo e Veneto (36), relativi al riordino dei servizi; pertanto, su 9 regioni dove non è ancora stata ancora adottata una legge di riordino dal 2001, solo due hanno al momento un progetto di legge in merito. Il Veneto ha anche un progetto di legge relativo al piano sociale, che generalmente nelle altre Regioni è inserito in delibere di Giunta o Consiglio.
Riguardo agli altri progetti di legge, l’area che presenta il maggior numero di atti è quella della disabilita ed invalidità, con il 12% dei progetti presentati nel settore socio-assistenziale (tab.3), equamente distribuiti tra Regioni del nord e sud e uno solo nel centro. Poco più della metà di questi progetti di legge è relativa ad interventi destinati a particolari fasce di utenza, mentre il resto è costituto da proposte di carattere generale che prevedono misure di sostegno per tutti i soggetti che soffrono di una qualsiasi disabilità. Tuttavia, in questa materia, nel corso del 2007, non è stata emanata alcuna legge, ed anche nel 2006 si è registrato un numero esiguo di provvedimenti.
Infine, la materia del terzo settore assorbe l’8,7% dei progetti di legge presentati, a fronte del 10% delle leggi emanate. Si segnalano solo due progetti di carattere generale, riferiti alla riorganizzazione di associazioni di promozione sociale (Lombardia) e della cooperazione (Abruzzo). Il più corposo gruppo di progetti (5, di cui 4 della sola regione Marche) è dedicato al riconoscimento della funzione sociale degli oratori (sono 9 le regioni che dal 2001 hanno emanato leggi al riguardo). Vi sono poi due progetti nella regione Veneto sulla trasformazione delle IPAB, che vanno letti congiuntamente al progetto di riordino dei servizi e a quello sul piano sociale, costituendo tutti un indicatore della volontà della Regione di riorganizzare in modo completo il quadro normativo dell’assistenza sociale.
Anche l’area degli anziani e della non autosufficienza raggiunge l’8,7% dei progetti presentati, un valore leggermente più alto rispetto all’attività legislativa, che è pari al 7% della legislazione in materia socio-assistenziale. Tra i progetti presentati solo uno è relativo alla proposta d’istituzione del fondo per la non autosufficienza (Calabria), la cui previsione generalmente avviene all’interno di leggi più articolate. La restante parte dei progetti è relativa ad iniziative abbastanza disparate e dirette per lo più a fornire contributi per interventi o attività di sostegno mirate a sviluppare azioni di cittadinanza attiva delle persone anziane.
I progetti di legge in materia di immigrazione sono pari appena al 2% dei progetti presentati, dato che risulta significativamente più basso di quello relativo alle leggi emanate in questa materia, che costituiscono il 7% della legislazione in materia socio-assistenziale. Tutti gli atti segnalati dalle Regioni non prevedono interventi sulla gestione complessiva del fenomeno, ma sono relativi solo alle popolazioni nomadi; fa eccezione il Piemonte, che ha segnalato una proposta di deliberazione relativa ad un Piano regionale integrato dell’immigrazione per il triennio 2007-2009 (destinata a diventare un atto amministrativo).
Tra i progetti in materia di povertà ed esclusione sociale, che costituiscono il 6% dei progetti presentati in materia socio-assistenziale, si segnalano quello della Calabria, relativo all’introduzione del reddito sociale, e quello del Lazio, in materia di reddito minimo e di ultima istanza.
 
7.4. Leggi finanziarie regionali per il 2008
Sono 12 le Regioni che, all’interno della legge finanziaria per il 2008 (37), hanno previsto disposizioni relative ai servizi sociali. Si tratta, per lo più, data la natura dello strumento, di disposizioni relative a contributi e finanziamenti o di disposizioni di manutenzione. In alcuni casi sono presenti sia alcuni interventi settoriali, sia l’istituzione di fondi specifici, tra i quali meritano di essere segnalati: il fondo per la famiglia previsto dalla Provincia autonoma di Trento, destinato a finanziare una serie di interventi in questo settore; il fondo per la non autosufficienza previsto dalla Provincia autonoma di Trento e dal Veneto. Dall’analisi delle disposizioni, emerge che non esiste una significativa correlazione tra una scarsa produzione legislativa nel settore delle politiche sociali e l’eventuale ricorso alla legge finanziaria, se non (forse) nel caso delle Regioni Lazio e Veneto. Queste ultime, a fronte di una scarsa o nulla produzione legislativa nel settore, nel corso del 2007, hanno previsto nella legge finanziaria un cospicuo numero di disposizioni, rispetto alle altre Regioni. La legge finanziaria del Lazio, per esempio, reca disposizioni programmatiche ed organizzative, quali un piano di lotta all’esclusione sociale ed azioni di sostegno per persone anziane, con l’indicazione degli interventi prioritari da realizzare, o l’istituzione di servizi nuovi, come le “comunità territoriali di servizio sociale”, destinate ai giovani in difficoltà. Si ricordano, inoltre, disposizioni a favore di fasce particolari di popolazione, quali, ad esempio, contributi destinati ai servizi per l’educazione dei minori e ai servizi innovativi per l’infanzia, nonché contributi destinati a sostenere l’apprendimento di alunni con difficoltà (Lazio e Veneto), o alla famiglia come, ad esempio, un bonus bebè (Lazio).
L’altro settore che ha ricevuto l’attenzione di alcuni legislatori regionali nella legge finanziaria è quello della politica per la casa, oggetto, per esempio, di finanziamenti e contribuiti nelle leggi finanziarie delle Regioni Sardegna e Veneto.
 
7.5.La produzione di regolamenti e degli atti amministrativi
La produzione dei regolamenti in materia socio-assistenziale è quasi pari alla produzione legislativa, con 29 atti emanati (tab.4), ma in aumento rispetto al 2006 (45% in più - tab. 8). Pur tenendo conto del fatto che l’anno precedente non era disponibile il dato per due Regioni, il valore percentuale rispetto alla totalità dei regolamenti approvati dalle Regioni e Province autonome, rispetto al 2006, risulta comunque in aumento, passando dal 6% all’8,2% (tab. 4); analogo aumento si registra anche rispetto al complesso della produzione normativa in materia socio-assistenziale: dal 7% al 9% (tab.8).
I regolamenti emanati solo in parte si riferiscono all’attuazione di leggi emanate nel 2007 (5 regolamenti, per lo più della Regione Friuli Venezia Giulia), 6 sono relativi a leggi del 2006. Quasi il 45% dei regolamenti è costituito da atti relativi a procedure per la distribuzione o accesso a finanziamenti o contributi.
Si modifica invece la distribuzione per materia, soprattutto riferita ad alcuni settori: i regolamenti emanati in materia di politiche per la famiglia passano dal 30% del 2006 al 13,8%; quelli nel terzo settore e IPAB passano dal 25% del 2006 ad una scarso 7%; quelli in materia di invalidità e disabilità aumentano invece sensibilmente, passando dal 5% al 20,7% (tab.5).
In particolare, l’analisi per materia evidenzia come la maggior parte dei regolamenti, al pari delle produzione legislativa, è relativa ad atti sull’organizzazione e gestione del sistema: il 24% (tab.5) della produzione complessiva (quasi equivalente a quella del 2006).
L’altro settore dove si concentra il maggior numero di atti è quello delle disabilità, con il 20%, mentre a livello legislativo non è stata approvata alcuna disposizione. Anche in questo settore, la quasi totalità dei regolamenti è relativa ad aspetti finanziari e contributivi, con 1 solo provvedimento di manutenzione. Relativamente alle altre materie, meritano di essere segnalati due regolamenti emanati dalla Regione Friuli Venezia Giulia, in esecuzione della legge regionale di riordino del sistema di assistenza del 2006, che - rispettivamente - danno attuazione al fondo per l’autonomia possibile e provvedono all’attivazione sperimentale del reddito di base per la cittadinanza. L’attivazione di questo istituto rappresenta una scelta politica importante che la Regione ha fatto per contrastare il fenomeno della povertà e dell’esclusione sociale, sul quale ha avviato un progetto di sperimentazione quinquennale.
Gli atti amministrativi superano l’80% della produzione normativa complessiva in materia socio-assistenziale, con 262 atti (tab. 6), sebbene tale dato non esaurisca tutta la produzione amministrativa della Regioni in questa materia. Nella lettura dei dati, è infatti necessario tenere conto di alcuni elementi: le Regioni hanno utilizzato criteri di valutazione diversi nel segnalare gli atti: per esempio, la Regione Abruzzo ha indicato la totalità degli atti emanati nel settore, mentre alcune Regioni e Province autonome hanno ritenuto opportuno non segnalare alcun atto; altre hanno più genericamente indicato i settori dove hanno emanato un complesso di atti, segnalando solo alcuni a titolo esemplificativo (per esempio la Provincia autonoma di Trento). Date queste premesse, una analisi comparata del dato quantitativo tra le diverse Regioni e Province va intesa come un indicatore di massima delle politiche in materia socio-assistenziale.
Fatte queste preliminari e necessarie considerazioni si può notare come l’area ove si concentra il maggior numero di atti è quella relativa alla gestione, organizzazione e finanziamento del sistema, con quasi il 30% del complesso degli atti emanati; segue l’area delle politiche per la famiglia, che copre il 19% degli atti; il terzo settore raggiunge quasi il 18% (nella lettura di questo dato bisogna tuttavia tenere presente che circa il 60% di questi atti è riferibile a singoli provvedimenti di riordino di IPAB della Regione Abruzzo: la vera consistenza del dato è pertanto intorno al 9%); l’area delle disabilità, che supera il 9% (tab.6). Questi dati non si discostano in modo significativo da quelli dell’anno precedente, confermando l’azione politica di Consigli e Giunte regionali e provinciali. Analizzando più nel dettaglio i dati si rileva che, se il valore assoluto può essere variato, non si è invece sostanzialmente modificata la ripartizione percentuale tra le materie. Pertanto, in quei settori dove già si registrava un numero maggiore di atti il dato è rimasto invariato.
In particolare, gli atti relativi all’organizzazione, gestione e finanziamento del sistema fanno registrare un calo percentuale rispetto al precedente anno, dal 33% al 29%. Il 27% degli atti in materia di organizzazione è rappresentato da provvedimenti relativi all’assegnazione dei finanziamenti (fondo sociale) o di contributi particolari, il 38% è costituito da atti relativi al piano sociale regionale (PSR). Alcuni di questi sono invece particolarmente rilevanti, trattandosi, nel caso di Liguria e Toscana, dell’approvazione del Piano sociale regionale, cui si aggiungono, per Umbria e Campania, le delibere preparatorie alla predisposizione del piano. I piani sociali rappresentano l’atto più significativo che la Regione assume in questa materia: dopo la legge di riordino, costituiscono infatti lo strumento attraverso il quale la Regione pianifica interventi e servizi da realizzare sul territorio, generalmente nel triennio. Si tratta di documenti molto corposi di carattere tecnico, ai quali la legge di riordino frequentemente rinvia per definire gli aspetti tecnico-operativi e finanziari, e rappresentano altresì la sede ove vengono definiti gli obiettivi, programmati gli interventi e stanziate le risorse, sulla base dei bisogni rilevati. In alcuni casi il piano sociale sembra quasi svolgere una funzione sostitutiva della legge di riordino, ove questa manchi, come per esempio nel caso dell’Abruzzo (38).
La restante parte degli atti amministrativi regionali è relativa alla gestione ed organizzazione del sistema; 3 provvedimenti sono relativi alla costituzione di organismi collegiali previsti dalle rispettive leggi di riordino.
In materia di politiche per la famiglia, quasi il 56% degli atti è relativo a servizi dedicati a minori: per lo più si tratta di linee guida o contributi per i servizi socio-educativi; il 13% è costituito da atti di contenuto programmatico dedicati alle politiche per i giovani. Tre Regioni e province autonome (39) hanno assunto provvedimenti relativi a piani di intervento a favore delle famiglie. In particolare la Provincia autonoma di Trento, continuando una politica già avviata da tempo in questo settore, ha adottato, accanto ad un piano di interventi per la famiglia, alcuni provvedimenti di approvazione di intese Stato-Provincia in tema di politiche familiari.
Gli atti relativi all’area delle disabilità sono il 10% e sono costituiti da provvedimenti con specifici destinatari, da atti relativi a finanziamenti o contributi ed infine da provvedimenti generalmente riferibili alle modalità di organizzazione dell’assistenza residenziale o semiresidenziale anche domiciliare.
 
7.6. Piani sociali regionali 2007
I piani sociali regionali (PSR) di Liguria e Toscana rappresentano lo strumento di attuazione delle leggi di riordino dei sistemi di assistenza sociale regionale. Nei piani vengono definiti gli obiettivi, i compiti, le funzioni dei vari soggetti istituzionali, la partecipazione del terzo settore e le risorse per il finanziamento del sistema. Sono entrambi documenti molto corposi di carattere tecnico-programmatorio, che tuttavia presentano alcune diversità strutturali e di contenuti.
Il PSR della Toscana definisce in primo luogo gli obiettivi generali di “benessere sociale” ed in particolare indica come “obiettivi strategici” l’elaborazione di risposte adeguate al problema degli anziani e in generale della disabilità e alla promozione di processi di inclusione degli immigrati. Tra gli obiettivi generali di “benessere sociale” la Regione Toscana include anche i “livelli base di cittadinanza regionale“ (40), in assenza di una definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali da parte dello Stato. Il PSR Toscano indica successivamente gli strumenti della programmazione regionale e locale, includendo il finanziamento del sistema, nel capitolo dedicato alla programmazione. Diversamente, la Liguria definisce in via prioritaria le azioni e gli obiettivi del piano, non riserva un apposito spazio agli strumenti della programmazione e riunisce in un unico capitolo le modalità di finanziamento, l’indicazione dei livelli di assistenza sociale (41) e le modalità di verifica della realizzazione del piano.
Entrambi i PSR individuano, in modo piuttosto analitico, le azioni prioritarie e definiscono gli interventi da intraprendere in tutti settori che rientrano nell’ambito dell’assistenza sociale. Nella scelta delle politiche da privilegiare, entrambi prediligono l’area della non autosufficienza, della famiglia (42), dei minori e dei giovani. Tuttavia le due Regioni si differenziano, in modo significativo, nella scelta degli ulteriori settori individuati come aree di intervento: la Liguria opta per le politiche finalizzate alla non discriminazione e crescita sociale, alla promozione di stili di vita per migliorare le condizioni psico-fisiche; la Toscana si indirizza verso politiche di contrasto alla povertà, politiche dirette a soggetti stranieri e di particolari etnie (richiedenti asilo, rifugiati, Rom, Sinti), politiche rivolte a persone soggette a misure dell’autorità giudiziaria, politiche mirate al sostegno di percorsi di uscita dalla prostituzione e da situazioni di violenza ed infine politiche di promozione delle pari opportunità e armonizzazione dei tempi e degli spazi delle città.
Entrambi i PSR dedicano uno spazio alle politiche integrate con altre aree contigue al settore socio-assistenziale. La Toscana sembra privilegiare l’obiettivo di una integrazione completa tra interventi sociali e sanitari, attraverso la realizzazione di un unico piano regionale socio-sanitario, mentre la Liguria estende lo strumento delle politiche sociali integrate ad altre aree, oltre alla sanità. Ai fini dell’integrazione socio-sanitaria, la Toscana sostituisce al piano di zona il piano integrato di salute (PIS), la Liguria definisce le priorità del distretto socio-sanitario (43) (previsto dalla legge di riordino, l.r. n. 12/2006 ed avviato nel 2007).
La Liguria prevede politiche integrative anche per altre aree, quali l’inserimento scolastico, l’immigrazione, il contrasto del disagio economico e le pari opportunità. In particolare, il PSR della Liguria indica il piano regolatore sociale come nuovo strumento locale di programmazione per le politiche integrate, destinato alle aree metropolitane e finalizzato a progettare e realizzare sistemi cittadini di servizi ed interventi sociali.
 
7.7. Conclusioni
La produzione normativa complessiva delle Regioni e Province autonome nel corso del 2007 appare in aumento rispetto al 2006 (tab.8): il 13,4% in più (44), con 320 atti complessivi; tuttavia, non si registrano variazioni di rilievo sulla distribuzione degli atti, in quanto la produzione legislativa permane intorno al 9-10% (tab.8) della produzione complessiva; aumentano i regolamenti, che passano dal 7% al 9%; non vi sono significative differenze negli atti amministrativi, che permangono intorno all’ 80% della produzione complessiva. Anche analizzando i dati relativi alle singole Regioni non si evidenziano significativi scostamenti se non in pochi casi, come per il Friuli Venezia Giulia, che ha quasi raddoppiato la produzione normativa e regolamentare; in particolare, va evidenziato come la Regione privilegi lo strumento del regolamento rispetto all’atto amministrativo. Il Lazio e il Veneto presentano un aumento molto significativo della produzione normativa complessiva, che è però tutta concentrata sugli atti amministrativi, alcuni anche di un certo rilievo, in quanto di tipo programmatorio. Nel caso della Liguria si registra una diminuzione di oltre il 50%, della produzione normativa complessiva, che si concentra negli atti amministrativi, tra i quali tuttavia rientra il piano sociale, che rappresenta l’atto più importante nel settore, dopo la legge di riordino (approvata nel 2006).
Analizzando la distribuzione degli atti per materia (tab.9), si registrano alcune differenze rispetto al 2006. La maggiore concentrazione degli atti permane nel settore organizzativo, gestionale e finanziario, che assorbe il 28% della produzione complessiva, ma appare in calo rispetto al 2006, quando raggiungeva il 34%, sebbene in termini assoluti il dato risulti sostanzialmente invariato. In alcune materie si registrano degli scostamenti significativi tra le due annualità. E’ in diminuzione la produzione normativa nella materia delle politiche per gli anziani, che passa dall’8,3% (della produzione complessiva) del 2006 al 5,3% nel 2007 e nella materia delle politiche abitative, che scende dal 2,2% allo 0,6%. Sono in aumento gli atti in materia di politiche di genere, che passano dallo 0,7% (della produzione complessiva) del 2006 al 3,1 del 2007. Nelle altre materie non si registrano significativi scostamenti, in quanto le politiche familiari si attestano intorno al 17,8%, il terzo settore al 15%, le politiche per la disabilità ed invalidità al 9,7%.
La riduzione della produzione normativa nella materia organizzativo-gestionale si registra sia nell’attività amministrativa che in quella legislativa. Tuttavia, è in quest’ultima che il calo è più evidente: dal 40% della produzione in materia socio assistenziale del 2006 al 20% del 2007. Si ricorda inoltre che anche i progetti di legge rappresentano solo il 6% di tutti quelli presentati. Pertanto, mentre nel 2006 l’attività dei legislatori regionali sembrava diretta principalmente ad una implementazione dei sistemi, nel 2007 l’orientamento appare cambiato. Questi valori possono essere letti da un lato come l’avvio di un processo di completamento della legislazione di questo tipo da parte di alcune regioni, dall’altro come una rinuncia da parte di altre ad esercitare la loro competenza in materia.
In materia di politiche per la famiglia, il dato percentuale rispetto alla produzione normativa complessiva è invariato, mentre si registra un aumento significativo degli atti amministrativi, che passano dal 15,9% del 2006 al 18,8% del 2007 rispetto alla produzione amministrativa in materia socio-assistenziale. Tali dati devono essere letti come segno di un interesse crescente da parte delle Regioni per questo settore, nel quale stanno assumendo un complesso di provvedimenti di dettaglio ed operativi molto significativi. Il 21% dei provvedimenti in materia di politiche per la famiglia è relativo ad interventi di programmazione, potenziamento, finanziamento dei servizi per l’infanzia. Il numero piuttosto cospicuo di tali provvedimenti è in parte dovuto ai finanziamenti previsti dal Fondo per la famiglia e per i servizi socio educativi, previsti dalla legge finanziaria 2007 (l.n. 296/2006, articolo 1, commi 1250 e seguenti), come segnalato in diversi atti regionali, come ad esempio nel caso della Puglia, del Lazio, della Lombardia, del Molise e del Veneto. Sempre nei riguardi dei minori si sono registrati alcuni interventi significativi, oltre a quelli relativi ai servizi socio-educativi, quali quelli relativi all’istituito del garante per l’infanzia, e quelli contenuti nei due piani sociali della Toscana e della Liguria, relativi all’affido, al problema dei maltrattamenti e abbandono, allo sviluppo dei servizi al di fuori della famiglia e ai minori non accompagnati. 
Un’altra parte di provvedimenti è relativa alla famiglia in senso stretto e gli atti si sostanziano spesso in forme di agevolazioni e riduzioni per la fornitura di beni e fruizioni di servizi importanti per la vita familiare, come, per esempio, i provvedimenti previsti in Friuli Venezia Giulia (carta famiglia), in Lombardia, nella Provincia autonoma di Trento e in Puglia. Altre Regioni, pur non avendo assunto provvedimenti specifici nella materia, sono intervenute sul fronte del finanziamento, privilegiando questo settore rispetto ad altri comparti del sociale: è il caso, per esempio, del Piemonte, del Veneto e della Valle d’Aosta. Infine, in questo settore va segnalata l’interessante disposizione, contenuta nella legge di riordino della Provincia autonoma di Trento, coerente con una politica per le famiglie già avviata da tempo dalla Provincia e relativa alla previsione di una “valutazione di impatto familiare” (45). Questo è stato individuato come uno strumento finalizzato a “orientare le strategie complessive di governo al sostegno della famiglia” e costituisce strumento per indirizzare le politiche tributarie e tariffarie previste dalla Provincia in ogni settore, secondo criteri di differenziazione e proporzionalità in rapporto alla composizione del nucleo familiare e alla sua condizione economica”.
La vera novità nel panorama delle politiche sociali regionali è comunque rappresentata dal complesso di provvedimenti in materia di politiche di genere, che, pur costituendo solo il 3% della produzione complessiva nel 2007, segnano un deciso aumento rispetto al 2006, quando la produzione normativa rappresentava solo lo 0,7%. Si tratta anche di un aumento qualitativo, in quanto la maggior parte dei provvedimenti è costituito da leggi di settore. A queste bisogna aggiungere alcune disposizioni della legge di riordino della Provincia autonoma di Trento, che prevede l’adozione del bilancio di genere, “da parte della Provincia, come strumento di monitoraggio e valutazione delle politiche provinciali”.
In materia di terzo settore si coglie la volontà di molte Regioni di completare il quadro normativo con provvedimenti di carattere generale, che vanno dal riordino delle IPAB, alle disposizioni che regolano il settore del volontariato, alla cooperazione sociale. In questa direzione si è mossa anche l’attività amministrativa, con provvedimenti che non sono solo relativi a contributi e finanziamenti per settori specifici, ma piani di intervento per la cooperazione in Veneto o il volontariato in Puglia.
Infine, va segnalata una particolare attenzione che le Regioni e Province autonome hanno rivolto al settore degli anziani o comunque dei soggetti non autosufficienti, sebbene la produzione normativa in questo settore sia solo il 5,3% di quella complessiva, con la costituzione di appositi fondi o l’assunzione di specifici provvedimenti. Tra gli atti più rilevanti figura la legge della Provincia autonoma di Bolzano, che rappresenta una sorta di testo unico della materia, evitando la dispersione in molti provvedimenti di disposizioni a riguardo, come invece avviene in molte Regioni. La legge, oltre a prevedere l’istituzione del fondo per la non autosufficienza, definisce la nozione di soggetto non autosufficiente, individuando così i suoi destinatari, e disciplina tutta la gamma di servizi e prestazioni che la Provincia rende disponibili. Provvedimenti in merito al fondo per non autosufficienti, nel corso del 2007, sono stati assunti anche dal Lazio, dalla Liguria, dalla Sardegna, dal Friuli Venezia Giulia e dalla Basilicata (all’interno della legge di riordino). Sempre nell’area delle non autosufficienza e disabilità sono state finanziate diverse iniziative sperimentali in Abruzzo, Veneto e nel Lazio (per esempio un corso di formazione per badanti).
Guardando al complesso della produzione normativa e amministrativa delle Regioni e province autonome, si registra un’attività piuttosto significativa nel settore socio-assistenziale, sebbene le modalità di intervento e gli strumenti prescelti per disciplinare medesimi settori, analoghi istituti o attività, possano talvolta risultare diversi. Tale diversità tuttavia non va letta negativamente, attenendo, peraltro, alla sfera di autonomia di ogni Regione, ma piuttosto come il risultato di culture politiche e tradizioni normative differenti, che portano i legislatori ad approcciare diversamente simili problematiche. La diversità nella produzione normativa è anche dovuta alla situazione pregressa. E’ di tutta evidenza che Regioni con un quadro normativo definito o una tradizione di politiche socio-assistenziali avviata da tempo sono portate ad assumere provvedimenti più “di nicchia”, come per esempio nel caso dell’Emilia- Romagna con la legge sulla distribuzione dei prodotti alimentari. In altre regioni è più pressante la necessità di assumere leggi di riordino o comunque di carattere generale, cui presumibilmente seguirà, nei prossimi anni, un aumento dei provvedimenti di attuazione, siano questi regolamenti o atti amministrativi. E’ tuttavia possibile cogliere in molte Regioni, anche collocate in diverse aree geografiche, una generalizzata spinta a completare il quadro normativo del settore, anche se con modalità e velocità diverse. In altre regioni è invece da registrare una sorta situazione di “stallo”: come si evince anche dalla normativa in itinere, esse non sembrano interessate al settore o, in alcuni casi, appaiono più preoccupate dell’adozione di provvedimenti settoriali piuttosto che di riorganizzare la materia con leggi o atti di programmazione.
 
 
_____________
NOTE
 
(1) Questo è il primo anno che viene rilevato il dato relativo ai progetti di legge in materia socio-assistenziale.
(2) Le leggi in materia socio-assistenziale emanate nel corso del 2006 erano 30, in questo dato sono state incluse anche le leggi di Campania e Puglia, che lo scorso anno non avevano risposto al questionario e che rispettivamente, hanno emanato 2 e 3 leggi.
(3) Nel 2006 la legislazione regionale nel settore socio-assistenziale costituiva il 4,4% della produzione legislativa complessiva ed il 10% di quelle residuale esclusiva.
(4) Nel Rapporto 2006 la materia era stata denominata “donne”.
(5) L.r. Campania n. 11/2005, Istituzione di centri e case di accoglienza ed assistenza per le donne maltrattate, l.r. Abruzzo n. 31/2006, Disposizioni per la promozione ed il sostegno dei centri antiviolenza e delle case di accoglienza per le donne maltrattate, L.r. Friuli Venezia Giulia n.17/2000, Realizzazione di progetti antiviolenza e istituzione di centri per donne in difficoltà, l.r. Lazio n.64/1993, Norme per l'istituzione di centri antiviolenza o case rifugio per donne maltrattate nella Regione Lazio.
(6) Simili sono le leggi dell’Abruzzo l.r. n. 40/2005, Politiche regionali per il coordinamento e l'amministrazione dei tempi delle città, e della Toscana L.r. n. 63/2004, Norme contro le discriminazioni determinate dall'orientamento sessuale o dall'identità di genere.
(7) La voce relativa agli aspetti finanziari, presente nel Rapporto 2006, e stata riunita nella voce aspetti istituzionali, organizzativi, gestionali e finanziari.
(8) L.r. p.a. Trento n. 13/2007, Politiche sociali nella Provincia di Trento, l.r. Basilicata n. 4/2007, Rete regionale integrata dei servizi di cittadinanza sociale, l.r. Campania n. 11/2007, Legge per la dignità e la cittadinanza sociale. Attuazione della legge 8 novembre 2000, n. 328.
(9) L.r. Lombardia n. 3/2008, Governo della rete degli interventi e dei servizi alla persona in ambito sociale e socio-sanitario.
(10) Queste leggi sono state inserite tra i servizi alla persona nella voce altro, non essendo strettamente pertinenti alla materia dei servizi socio-assistenziali, si segnalano comunque la l. r. Friuli Venezia Giulia n. 12/2007, Promozione della rappresentanza giovanile, coordinamento e sostegno delle iniziative a favore dei giovani e la l.r. Liguria n. 8, Istituzione del parlamento regionale degli studenti della Liguria.
(11) L.p. a. Trento n. 10/2007, Istituzione del garante dell’infanzia e dell’adolescenza, l.r. Liguria n. 9/2007, Disciplina dell’ufficio del garante regionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, l.r. Emilia Romagna n. 1/2007, Modifica dell’indennità di carica del garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza.
(12) L.r. Calabria n. 28/2004, l.r. Campania n. 17/2006, l.r. Emilia Romagna n. 9/2005, l.r Lazio n. 38/2002, l.r. Marche n. 18/2002, l.r. Molise n. 32/2006 l.p.a. Trento n. 10/2007. La l.r. Liguria n. 12/2006 art.33 ( la l.r. n. 9/2007 Disciplina l’ufficio del garante), e l.r. Puglia n. 19/2006 art.30 hanno previsto questa figura all’interno della legge di riordino del sistema dei sevizi sociali. La regione Basilicata ha previsto un organo collegiale la Consulta regionale di protezione e pubblica tutela dei minori, con funzioni e compiti similari al garante per l’infanzia, ma che non presenta quelle garanzie di terzietà proprie della figura istituzionale del garante. Mentre per la carica è prevista sostanzialmente da tutte le leggi regionali la incompatibilità con qualsiasi lavoro subordinato o autonomo e con cariche elettive o incarichi politici, la Consulta della Basilicata è presieduta dal presidente della regione (o un suo delegato) e da rappresentanti di associazioni professionali che operano con i minori o di organismi istituzionali (es. presidente tribunale dei minori, difensore civico, dirigenti scolastici ecc.).
(13) L.p. a. Trento n. 17/2007, Modificazioni della legge provinciale 12 marzo 2002, n. 4 (Nuovo ordinamento dei servizi socio-educativi per la prima infanzia).
(14) l.r. Puglia n .39/2007, Norme di attuazione della legge 7 dicembre 2000, n. 383 (Disciplina delle associazioni di promozione sociale).
(15) l.r. Molise n. 10/2007, Nuove norme per la promozione del volontariato nella Regione Molise, e l.r. n. 23/2007 Disciplina in materia di Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza operanti nel Molise.
(16) L r. Toscana n. 20/2007, questa legge non è stata inclusa nei dati delle tabelle perché diversamente classificata ai fini del Rapporto.
(17) l.r. Friuli Venezia Giulia n. 11/2007, l.r. Sardegna n. 34/2007, l.r. Valle d’Aosta n. 30/2007.
(18) La legge della p.a. di Trento n. 5/2007, disciplina insieme al servizio civile regionale, una serie di interventi in materia di politiche per i giovani, pertanto nel Rapporto è stata classificata sempre nella voce dei servizi alla persona, ma all’interno della voce altro.
(19) Le altre Regioni che hanno emanato leggi sul servizio civile regionale sono: l.r. Emilia Romagna n. 20/2003, l.r. Lombardia n. 2/2006, l.r. Marche n. 15/2005, l.r. Toscana n. 35/2006, l.r. Veneto n. 18/2005.
(20) La materia del servizio civile rientra tra le competenze dello Stato, anche se non è tra quelle espressamente elencate nell’articolo 117 della Costituzione. La questione è stata chiarita dalla Corte Cost. con la sent. n. 228/04, cha ha accolto la tesi del servizio civile “come modalità operativa concorrente e alternativa di difesa dello Stato, con mezzi e attività non militari” e quindi la ha ascritta nell’ambito della difesa sebbene, il servizio civile si potrebbe esplicare nello volgimento di attività di vario tipo non necessariamente rientranti nella materia della difesa come l’assistenza sociale, la tutela dell’ambiente.
(21) L.p. a. Trento n. 5/2007 art.16.
(22) L. r. Friuli Venezia Giulia n. 11/2007 art.2.
(23) L.r. Valle d’Aosta n. 30/2007 art. 2.
(24) Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana e P. a. Trento.
(25) L. r. Basilicata n. 4/2007 art. 31 c.4.
(26) L.r. Basilicata n. 4/2007 art. 11c.1.
(27) L.r. Basilicata n. 4/2007 art.1 c. 4 “Le norme della presente legge si armonizzano e si integrano con quelle contenute nella legge 8 novembre 2000 n. 328, nonché nel D. Lgs. 19 giugno 1999 n. 229, e ad esse fanno rinvio per quanto non espressamente previsto e laddove applicabili e congruenti”.
(28) Non si comprende bene come questo possa essere esercitato nel caso di prestazione al di fuori dei LIVEAS.
(29) La Consulta regionale permanente per la programmazione sociale e sanitaria in Basilicata e la Consulta delle autonomie locali in Campania.
(30) Una logica inversa segue invece, per esempio, la regione Emilia Romagna che ha scelto di adottare prima i piani locali di zona e solo dopo il PSR.
(31) A livello Provinciale è prevista la partecipazione di rappresentanti del terzo settore al Comitato per la programmazione sociale, a livello territoriale è prevista la partecipazione di almeno un terzo dei componenti al Tavolo territoriale.
(32) La presente legge si attua….. con il concorso delle istituzioni pubbliche e delle formazioni sociali” l.r. Campania n. 11/2007, art. 1 c. 1.
(33) Si deve ritenere, in via di abrogazione, la disposizione istitutiva del fondo socio-assistenziale prevista dalla l.r. n. 14/1991 art.40, in quanto è prevista l’abrogazione della suddetta legge al momento dell’emanazione di regolamenti di esecuzione della legge n. 13/2007.
(34) Pr. l.r. Abruzzo n. 262/2007, Basilicata, Pr. l. r. Piemonte nn. 126,182, 339, Pr. l. r. Lombardia n. 209 e Pr. l. p.a. Bolzano n. 154 ma del 2008.
(35) Sono esclusi da questo dato i disegni di legge giunti ad approvazione.
(36) Il Veneto pur non avendo una vera e propria legge di riordino del sistema socio-assistenziale, successiva al 2000, ha disciplinato in via provvisoria la materia con la legge n. 11/2001, Conferimento di funzioni e compiti amministrativi alle autonomie locali in attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.
(37) Sono state prese in esame le leggi finanziarie dell’anno 2008 in quanto la maggioranza di queste è stata approvata nel corso del 2007.
(38) Il piano dell’Abruzzo risale al 2006, ma nel corso del 2007 sono stati approvati 21 atti in attuazione del piano.
(39) Liguria, Molise e p.a. Trento
(40) Questi si sostanziano in quattro funzioni da garantire in ogni ambito zonale: servizio sociale professionale, segretariato sociale, pronto intervento sociale, punto unico di accesso.
(41) La Regione Liguria individua i seguenti livelli da garantire in ogni distretto: segretariato sociale, servizio sociale professionale, assistenza domiciliare, servizio pronto intervento sociale, strutture residenziali e semiresidenziali per soggetti fragili, centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario.
(42) Nel piano della Liguria è ribadita la scelta della Regione, di non avere una legislazione specifica dedicata alla famiglia.
(43) Si ricordano, a titolo di esempio, le DGR n. 271/2007, Insediamento della conferenza permanente per la programmazione socio-sanitaria, DGR n. 838/2007, Approvazione di un schema di convenzione AUSL/Comuni per la gestione integrata dei servizi socio-sanitari, della Regione Liguria.
(44) Il dato rimane comunque positivo, più 11,5%, anche qualora si consideri che per il 2006 non erano disponibili i dati di Campania e Puglia.
(45) Artt. 28 e 29 l. p. a. Trento n. 13/2007
 
 
Tabelle:
 
 
 
8. Le leggi finanziarie regionali per il 2008 (Enrico Buglione)
8.1. Introduzione
Le leggi finanziarie regionali sono un ottimo esempio della costante evoluzione del regionalismo italiano e della difficoltà di riuscire a documentarlo, monitorarlo e valutarlo. Ciascuna legge è preparata, ovviamente, tenendo conto della situazione finanziaria del Paese, ma anche, e in primo luogo, delle particolari esigenze di bilancio e delle aspirazioni programmatiche di ogni regione, nonché per adeguare la normativa vigente, in modo da far fronte con immediatezza ad emergenze economiche e sociali. Lo studio sistematico e, nei limiti del possibile, comparato di tali provvedimenti è, quindi, un passaggio essenziale. Questo è l’obiettivo del presente capitolo.
Dopo l’analisi delle innovazioni del 2007 in merito alla disciplina e ai contenuti delle leggi finanziarie, si affrontano tre questioni. In primo luogo, viene considerata la problematica della durata del processo di bilancio, dalla presentazione al Consiglio del disegno di legge finanziaria e degli altri strumenti della manovra, alla definitiva approvazione in Aula e alla pubblicazione nel bollettino ufficiale della regione. I tempi, salvo alcune eccezioni, appaiono abbastanza contenuti (in media 40 giorni per l’approvazione in Aula), ma il ritardo con il quale il ddl viene presentato al Consiglio da parte della Giunta fa sì che, anche per le finanziarie per il 2008, alcune risultino approvate nel corso dello stesso esercizio. D’altra parte, appare in netto aumento, rispetto a quanto visto per le precedenti, il numero delle finanziarie per il 2008 approvate entro dicembre 2007.
Una seconda problematica, la cui importanza appare spesso sottovalutata, è la “struttura” delle leggi finanziarie. Si tratta, qui, di alcune caratteristiche chiave che, se presenti, possono favorire la leggibilità di tali provvedimenti: il numero di articoli e di commi, la lunghezza degli stessi, una rubricazione degli articoli significativa del loro contenuto, la suddivisione in titoli o capi, la presenza di un indice. L’analisi rivela notevoli differenze strutturali fra le leggi finanziarie delle singole regioni.
La restante parte del capitolo è dedicata all’analisi degli interventi previsti nelle finanziarie 2008 e degli eventuali collegati. Si  presenta una panoramica di quelli più significativi di ciascuna legge, basata sulle sintesi a questo scopo predisposte dalle stesse regioni. Inoltre, si effettuano degli approfondimenti su alcuni temi di grande interesse, del resto oggetto di attenzione anche nei precedenti rapporti. Ci si riferisce, nello specifico: ai provvedimenti per il contenimento della spesa pubblica, cercando per la prima volta di mettere in evidenza anche il livello di informazione del Consiglio sugli effetti delle misure adottate con le precedenti manovre; agli interventi in materia di finanza locale; alle innovazioni apportate alla disciplina dei tributi e delle altre entrate proprie delle regioni.
 
8.2. Innovazioni nella disciplina delle leggi finanziarie.
In materia risultano di particolare interesse i casi del Friuli Venezia Giulia e dell’Emilia-Romagna (1).
Il Friuli Venezia Giulia ha sempre elaborato leggi finanziarie particolarmente complesse. Ad esempio, quella per il 2007 si articolava in oltre 700 commi e, dati i suoi contenuti, poteva senza dubbio essere considerata un provvedimento omnibus. Con la l. r. 8 agosto 2007, n. 21, “Norme in materia di programmazione finanziaria e di contabilità regionale”, la regione, nell’ambito di un complessivo riordino della disciplina contabile e finanziaria, ha tuttavia ridefinito i contenuti ammissibili della legge finanziaria, nonché i tempi e le procedure per la sua approvazione. I contenuti ammissibili vengono limitati agli aspetti strettamente contabili e finanziari. In particolare, l’art. 9 della l. r. 21 del 2007 dispone che la legge finanziaria, in attuazione degli altri documenti di programmazione regionale, provveda:
a) alle variazioni delle aliquote e alle altre misure che incidono sulla determinazione dei tributi propri della Regione;
b) alla determinazione dell’ammontare delle previsioni di entrata;
c) all’autorizzazione del limite massimo del ricorso al mercato finanziario mediante contrazione di mutui o emissione di buoni ordinari regionali, prevedendone le condizioni generali;
d) a disporre gli opportuni rifinanziamenti o definanziamenti di unità di bilancio, in misura adeguata per garantire nella fase gestionale lo svolgimento delle attività e l’attuazione degli interventi, avuto anche riguardo alle concrete capacità operative dell’amministrazione regionale nell’assunzione degli impegni di spesa;
e) alla modulazione delle quote di spese pluriennali;
f) all’accantonamento nei fondi globali delle risorse necessarie per far fronte alla copertura dei provvedimenti legislativi di cui si preveda il perfezionamento dopo l’approvazione del bilancio;
g) alla determinazione degli stanziamenti degli altri fondi previsti agli articoli 18, 19, 20, 21 e 22.
La stessa legge n. 21 del 2007 prevede, tuttavia, che la manovra di bilancio possa essere completata con una “legge strumentale”. Tale provvedimento – che, in definitiva, rappresenta un collegato alla finanziaria – in base all’art. 8, c. 1, potrà disporre “modifiche e integrazioni a disposizioni legislative regionali aventi riflessi sul bilancio”. In base al c. 2 dello stesso articolo, da tali modiche e integrazioni restano comunque escluse “le fattispecie che, per oggetto o complessità, necessitino di nuova disciplina normativa organica”. Lo stesso comma precisa infine che “i destinatari degli interventi sono, di norma, prevedibili solo a livello settoriale o di tipologie omogenee”, così escludendo che nella legge strumentale possano essere introdotte norme di tipo microsettoriale, largamente presenti nelle leggi finanziarie finora adottate dalla regione. Il regolamento interno del Consiglio, come da ultimo modificato per adeguarlo alla l. r. n. 21 del 2007, prevede che il Presidente del medesimo, “qualora verifichi che talune parti del disegno di legge finanziaria o strumentale alla manovra di bilancio siano estranee al contenuto proprio dei disegni di legge stessi, sentita la I Commissione permanente ne dispone lo stralcio per l’esame secondo le procedure ordinarie” (2).
Per quanto riguarda i tempi, l’art. 6 della l.r. n. 21 del 2007 prevede che il disegno di legge finanziaria e quello della legge strumentale, qualora la Giunta decida di predisporlo, siano presentati al Consiglio regionale entro il 15 novembre, insieme alla relazione politico-programmatica e al disegno di legge di approvazione del bilancio annuale e pluriennale (3). Come risulta dal regolamento interno del Consiglio, gli strumenti della manovra di bilancio dovranno essere esaminati annualmente in una apposita sessione di bilancio da concludere entro il 31 dicembre (art. 120 e art. 122, c. 1).
Per l’Emilia Romagna, il nuovo regolamento interno dell’Assemblea legislativa (decreto n. 1 del 4 dicembre 2007, in vigore dal 1° gennaio 2008), è intervenuto sull’iter della legge finanziaria regionale. In particolare:
a) i termini massimi dell’esame in Commissione sono stati fissati in 24 giorni per le Commissioni consultive più 21 giorni per la Commissione referente (articolo 36, commi 3 e 4);
b) è stato attribuito un ruolo più incisivo alle Commissioni consultive di settore ed è stato previsto il rinvio a queste ultime per l’esame di eventuali emendamenti non attinenti alla materia del bilancio (articolo 37, comma 2) (4).
 
8.3. Il processo di bilancio relativo alla manovra finanziaria 2008
Per quanto riguarda il processo di bilancio relativo alla manovra per il 2008, il questionario per il presente Rapporto ha preso in esame tre aspetti: la durata dell’iter legislativo della manovra; se il disegno di legge finanziaria abbia subito modifiche rilevanti nel corso del suo esame da parte del Consiglio; l’influenza della legge finanziaria dello Stato per il 2008 sui contenuti delle leggi finanziarie regionali per lo stesso esercizio.
Circa la durata dell’iter della manovra - anche se le risposte delle regioni non presentano tutte lo stesso livello di dettaglio - sono sempre presenti tre punti di riferimento: la data di presentazione al Consiglio della proposta di legge finanziaria da parte della Giunta (ovviamente insieme agli altri strumenti della manovra, a partire dal bilancio di previsione), la data di approvazione in Aula e la data di pubblicazione sul bollettino ufficiale della regione o della provincia autonoma (5). Tra la presentazione della proposta al Consiglio e la sua approvazione in Aula trascorrono, mediamente, 40 giorni e solo in tre casi si riscontrano tempi nettamente superiori (cfr. grafico 1) (6).
Tenendo presente che la fase dell’iter alla quale si è appena fatto riferimento comprende l’esame della legge finanziaria e degli altri strumenti di programmazione da parte della competente Commissione consiliare, i tempi sembrano essere abbastanza contenuti. Ciò vale, del resto, anche per la pubblicazione della legge sul bollettino ufficiale - e, quindi, per la sua entrate in vigore – visto che essa, mediamente, interviene 13 giorni dopo l’approvazione in Aula (7).
Dei 40 giorni di permanenza media del disegno di legge finanziaria e degli altri strumenti di programmazione presso il Consiglio, solo una parte è effettivamente costituita da giornate di dibattito sui provvedimenti stessi. Ad esempio, dai dati forniti da alcune regioni emerge che il dibattito in Aula spesso si svolge in non più di tre sedute. Da ciò deriva che, in genere, i testi presentati dalla Giunta all’esame del Consiglio non subiscono modificazioni di rilievo. In base alle indicazioni pervenute dalle regioni, per la legge finanziaria 2008 il caso che più si discosta da questa regola è quello del Veneto dove, come si è visto, la durata dell’iter consiliare della legge finanziaria è stato tra i più lunghi: a fronte di un testo originario, presentato dalla Giunta, di 30 articoli, quello finale approvato dal Consiglio risulta composto di 111 articoli e la stessa Giunta ha presentato un maxiemendamento sostitutivo per le norme di bilancio (8).
Modifiche “in corso d’opera” al disegno di legge finanziaria sono state apportate anche in Sardegna. E’ stato infatti necessario, in seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 102 del 2008 su alcuni tributi propri introdotti negli anni precedenti dalla regione, modificare sia le previsioni di bilancio, sia la disciplina di alcuni di questi tributi (9).
Infine, circa le disposizioni della legge finanziaria dello Stato riguardanti le regioni, va osservato che, fino a quando esse continueranno ad entrare in vigore immediatamente prima dell’inizio dell’esercizio al quale si riferiscono, le finanziarie regionali approvate entro dicembre – come, del resto, è buona norma che avvenga - non potranno tenerne conto. Per quelle approvate in corso di esercizio, le risposte al questionario mettono invece in evidenza, in molti casi, un immediato adeguamento alle nuove indicazioni provenienti dallo Stato, in particolare per quanto riguarda il contenimento dei costi della politica e la stabilizzazione del personale precario. Da parte di alcune regioni – ad esempio la Sardegna e l’Umbria – sono stati anche segnalati effetti della normativa statale in merito alla strutturazione degli interventi in alcuni settori (10).
 
8.4. Tempi di approvazione, struttura e leggibilità delle leggi finanziarie 2008
Per favorire una corretta gestione delle risorse, la manovra di bilancio va approvata prima dell’inizio dell’esercizio nel quale essa deve produrre i suoi effetti e, per quella delle regioni relativa al 2008, sotto tale profilo, si registra un certo miglioramento. La legge finanziaria – insieme agli altri strumenti della manovra – è stata infatti approvata entro dicembre da 13 regioni su 22, contro 9 per la manovra relativa al 2007 e 10 per quella del 2006 (cfr. tab. 1 e grafico 2). Inoltre sono complessivamente 19, come per il 2007, le regioni che hanno approvato la legge finanziaria entro il mese di aprile. Nelle tre regioni restanti, la legge finanziaria è stata approvata a maggio in Molise e Piemonte e a giugno in Calabria.

 
Tab. 1 - Leggi finanziarie regionali per il 2008
Regioni e
Province Autonome
Estremi della
legge
n. articoli
n. commi
Allegati
Abruzzo
31/12/2007 n. 47
3
56
tab. rifinanz.
Basilicata
27/12/2007 n. 28
58
151
tab. rifinanz.
Calabria (*)
 
 
 
 
Campania
30/01/2008 n. 1
97
314
no
Emilia Romagna
21/12/2007 n. 24
48
65
no
Friuli Venezia G.
28/12/2007 n. 31
5
20
tab. rifinanz.
Lazio
28/12/2007 n. 26
88
241
tab. rifinanz.
Liguria
28/04/2008 n. 9
26
53
tab. rifinanz.
Lombardia
28/12/2007 n. 35
2
14
tab. rifinanz.
Marche
27/12/2007 n. 19
45
115
tab. rifinanz.
Molise
09/05/2008 n. 12
26
85
tab. rifinanz.
P.a. Bolzano
21/12/2007 n.14
29
59
tab. rifinanz.
P.a. Trento
21/12/2007 n. 23
78
315
tab. rifinanz.e altro
Piemonte (*)
 
 
 
 
Puglia
31/12/2007 n. 40
3
51
tab. rifinanz. e altro
Sardegna
05/03/2008 n. 3
12
280
tab. rifinanz.
Sicilia
06/02/2008 n. 1
36
84
tab. rifinanz. e altro
Toscana
21/12/2007 n. 67
24
44
tab. rifinanz.
Trentino A.A.
04/12/2007 n. 4
4
13
no
Umbria
26/03/2008 n. 4
14
21
tab. rifinanz.
Valle d'Aosta
12/12/2007 n. 32
79
227
tab. rifinanz. e altro
Veneto
27/02/2008 n. 1
111
301
tab. rifinanz.
 

Un miglioramento sembra anche manifestarsi per la struttura delle leggi finanziarie, visto che il numero complessivo dei commi diminuisce del 20,5% (11). Questo dato è tuttavia poco rappresentativo di quanto verificatosi nelle singole regioni. Per cogliere tale aspetto è necessario fare riferimento al grafico 3, nel quale è riportato il numero di commi delle leggi finanziarie di ogni regione e provincia autonoma, relative agli esercizi 2006, 2007 e 2008. Limitandosi ai due ultimi anni, è in primo luogo evidente che in alcune regioni la struttura della legge finanziaria non ha subito variazioni significative. Appartengono a questo gruppo la Calabria, il Trentino-Alto Adige, la Lombardia e l’Umbria – che, tra l’altro, sono costantemente le regioni con le leggi finanziarie più snelle (numero di commi inferiore a 25) – nonché, in ordine crescente per numero di commi della finanziaria 2008, le regioni Liguria (53), Emilia-Romagna (65), Basilicata (151), Lazio (241) e la provincia autonoma di Trento (315).
In altre regioni il numero di commi della legge finanziaria 2008 aumenta in modo sensibile rispetto a quello riscontrato nel precedente esercizio. Ciò si verifica nella provincia autonoma di Bolzano (da 24 a 59) e nelle regioni Molise (da 38 a 85), Marche (da 76 a 115), Valle d’Aosta (da 123 a 227), Veneto (da 185 a 301) e Campania (da 207 a 314).
Significative diminuzioni del numero di commi si registrano, invece, in sei regioni: Puglia (da 89 a 51), Abruzzo (da 81 a 56), Piemonte (da 180 a 183), Sardegna (da 337 a 280), Sicilia (da 198 a 84) e soprattutto Friuli Venezia Giulia (da 759 a 20), la quale, tra l’altro, cede così alla provincia autonoma di Trento il primato della legge finanziaria più complessa, ovviamente dal punto di vista qui in esame.
Il caso del Friuli merita un approfondimento. Il drastico snellimento della sua legge finanziaria è, infatti, la conseguenza della prima applicazione della l. r. n. 21 del 2007, con la quale, come si è detto, i contenuti della legge sono stati limitati a quelli strettamente contabili e finanziari. Si è anche osservato, tuttavia, che la stessa legge n. 21 consente di adottare, unitamente alla legge finanziaria, la cosiddetta legge strumentale, per introdurre “modifiche e integrazioni a disposizioni legislative regionali aventi riflessi sul bilancio”. Nonostante le limitazioni previste anche per i contenuti della legge strumentale, quella approvata con la finanziaria per il 2008 – la l.r. 28 dicembre 2007, n. 30 – si presenta indubbiamente complessa, componendosi di 493 commi distribuiti su 8 articoli. Potrebbe quindi ritenersi che, in termini concreti, gli effetti della riforma siano piuttosto limitati.
Nel questionario utilizzato per il presente Rapporto, è stato chiesto per la prima volta alle regioni di specificare il numero di caratteri delle leggi finanziarie. Questo dato è molto utile in quanto permette di effettuare una valutazione comparata della complessità delle singole leggi in base non solo al numero dei commi, ma anche al numero medio di caratteri per comma. Per l’insieme delle leggi finanziarie 2008 la lunghezza media dei commi è di 482 caratteri e, nella maggior parte delle leggi, si riscontrano valori molto simili a questo dato: il minimo è, infatti, di 311 caratteri per comma e solo in quattro casi si va oltre i 600 (cfr. graf. 4) (12).
E’ stata valutata, infine, la leggibilità delle finanziarie in base ad alcuni elementi che, normalmente, la favoriscono, soprattutto quando si tratta di leggi complesse, come spesso si verifica. A tale scopo, riprendendo la metodologia utilizzata nel precedente Rapporto, si è tenuto conto della presenza o meno di una rubricazione degli articoli significativa del loro contenuto, nonché di una suddivisione in titoli o capi e di un indice del provvedimento (cfr. grafico 5). La prima caratteristica – che è forse la più importante per favorire la leggibilità (13) – è presente in tutte le leggi finanziarie considerate, salvo che in due casi (14). In dieci leggi si riscontra anche la suddivisione in titoli o capi e in quattro casi la presenza di tutti e tre gli elementi qui considerati, indice compreso. In definitiva, anche per le leggi finanziarie per il 2008, va confermato un giudizio complessivamente positivo sul loro grado di leggibilità, soprattutto se tiene conto di quello, scarsissimo, della legge finanziaria dello Stato per lo stesso esercizio: quest’ultima si compone infatti di 1.192 commi distribuiti su 3 articoli la rubricazione dei quali, pur presente, non permette comunque di individuare con facilità i temi trattati e le norme relative a ciascuno di essi.
Sempre per quanto riguarda la struttura delle leggi finanziarie va, infine, ricordato che in alcune regioni esse sono accompagnate o precedute da provvedimenti collegati. In base alle risposte al questionario, ciò risulta per la Liguria, la Lombardia, l’Umbria, la Calabria e, come si è già detto, per il Friuli Venezia Giulia (15). In tutti questi provvedimenti gli articoli hanno una rubricazione significativa del loro contenuto.
 
8.5. Contenuti delle leggi finanziarie
Avendo descritto le caratteristiche strutturali delle leggi finanziarie e degli eventuali provvedimenti collegati, si offre ora una panoramica dei loro contenuti. Per avere elementi in proposito, nel questionario è stato chiesto alle regioni di specificare la presenza o meno, in tali provvedimenti, di disposizioni concernenti una serie di temi indicati in una lista appositamente predisposta e, ovviamente, la presenza di quelli attinenti alla manovra di bilancio risulta molto diffusa (cfr. grafico 6). Più del 70% delle regioni, infatti, è intervenuta in materia di: quantificazione delle autorizzazioni di spesa su capitoli già presenti in bilancio; entrate proprie (tributi, canoni e concessioni); contabilità e controlli. Più del 55% delle regioni, inoltre, introduce nelle finanziarie o nei collegati disposizioni concernenti: l’individuazione di limiti al ricorso al mercato finanziario; il rispetto del patto di stabilità; la finanza locale (16).
D’altra parte va pure sottolineato che nel 95% dei provvedimenti esaminati si riscontrano nuove autorizzazioni di spesa e praticamente in tutti modifiche alla legislazione vigente. Nell’ambito degli interventi di modifica della legislazione - alcuni dei quali da considerare, comunque, attinenti alla manovra di bilancio in quanto effettuati per favorire il contenimento e la razionalizzazione delle spese - tra le materie alle quali fa riferimento il grafico risultano particolarmente diffusi quelli riguardanti il personale della regione e/o degli enti e organismi da essa dipendenti (presenti nell’83% dei casi), nonché l’assistenza sanitaria (80%) e i servizi sociali (75%).
Nel questionario è stato chiesto alle regioni di indicare i principali settori nei quali sono intervenute le rispettive leggi finanziarie 2008 e le leggi collegate, ove presenti. Le risposte pervenute – delle quali di seguito viene presentata una sintesi – mettono bene in evidenza l’importanza di tali provvedimenti che, in molti casi, cercano di far fronte ad emergenze economiche e sociali come, ad esempio, quelle della casa, del costo dell’energia, della sicurezza in generale e nei luoghi di lavoro, del sostegno finanziario agli studenti meritevoli, dell’ambiente, della stabilizzazione del personale precario.
Abruzzo. Con la legge finanziaria la regione è intervenuta nei settori: sanità; lavori pubblici; personale; agricoltura; sport; cultura; contabilità regionale; funzioni di controllo del Consiglio su enti e società regionali.
Basilicata. Come di “particolare spessore” vengono citate le norme della legge finanziaria relative ai seguenti settori: riduzione del costo dell’energia (abolizione dell’addizionale regionale sul consumo di gas metano – arisgam - e utilizzo dei proventi delle royalties da estrazione); interventi per i giovani (programma giovani 2015 e “prestito ponte università lavoro”); razionalizzazione della gestione delle aziende sanitarie (centralizzazione degli acquisti e accreditamento delle strutture); attività produttive (incentivi alle imprese manifatturiere); sicurezza (Fondo prevenzione e solidarietà per le vittime di usura e estorsione); sostenibilità ambientale (costruzione di sistemi di contabilità ambientale e bilanci ambientali per supporto alle decisioni politiche locali).
Emilia-Romagna. I settori oggetto di intervento della legge finanziaria sono: sistemi informativi dell’amministrazione regionale (manutenzione e sviluppo); valorizzazione del patrimonio storico (manifestazioni, contributi, ricerche); cartografia tematica regionale (interventi di sviluppo); attività produttive (foreste, bonifiche, turismo); salvaguardia del territorio (patrimonio storico-artistico, fondo per la conservazione della natura, sistemazione idraulica e forestale, protezione civile); trasporti (porti, investimenti per tpl, rete viaria, sicurezza); assistenza e sanità (integrazione dei finanziamenti del Servizio sanitario nazionale, potenziamento delle strutture, istituzione del fondo regionale per la non autosufficienza); istruzione, formazione, cultura (edilizia, contributi ad enti locali, iniziative regionali per giovani, finanziamento di enti e associazioni culturali).
Friuli Venezia Giulia. Con la legge finanziaria la regione è intervenuta soprattutto in materia di ricorso al mercato finanziario e di tributi propri (riduzione delle aliquote Irap). Per la legge strumentale i settori di intervento più rilevanti sono: finanza locale (disciplina dei trasferimenti indistinti e trasferimenti per finalità specifiche); sanità e assistenza sociale (contributi a favore di soggetti mutilati, invalidi del lavoro e audiolesi, a favore di ospiti accolti in strutture residenziali per anziani non autosufficienti e a favore dei comparti socio-assistenziale, socio-educativo e socio-sanitario, finanziamenti per la realizzazione di soluzioni abitative protette per disabili, contributi per la gestione dei nidi d’infanzia e a sostegno della famiglia in formazione); interventi per ambiente, territorio, edilizia e trasporti (contributi per la bonifica di siti inquinati, per la realizzazione dei lavori di adeguamento e di completamento di un impianto di depurazione centralizzato, nonché per i lavori di adeguamento e di potenziamento di un depuratore sito in zona industriale e a favore dei comuni per l’incentivazione della raccolta differenziata dei rifiuti urbani); edilizia sovvenzionata; infrastrutture per il trasporto (in particolare su ferrovia).
Lazio. Con la legge finanziaria la regione è intervenuta nei settori: servizi alle persone e alla comunità (disposizioni in materia di coesione sociale e contrasto alla povertà, servizi sanitari e sociali, sviluppo dell’occupazione e della cultura, disposizioni in materia di politiche per la casa); territorio, ambiente, infrastrutture (disposizioni in materia di lotta ai cambiamenti climatici e tutela del paesaggio, disposizioni per la riqualificazione ambientale, disposizioni in materia di trasporto pubblico locale); sviluppo economico e attività produttive (disposizioni in materia di ricerca, innovazione, sviluppo socio-economico, disposizioni per lo sviluppo turistico e occupazionale del litorale laziale).
Lombardia. Con la legge finanziaria la regione è intervenuta in materia di: tributi (riduzione dell’addizionale Irpef, abolizione delle norme regionali di applicazione dei canoni delle acque pubbliche, riduzione dell’Irap per le scuole materne private); attività produttive (consolidamento degli interventi a favore delle aziende pubbliche di servizi alla persona). Con la legge collegata la regione ha, invece, dettato norme in materia di: razionalizzazione delle spese (prima attuazione del codice degli appalti, istituzione della centrale regionale di acquisto, provvedimenti per favorire il ricorso a sistemi elettronici e informatici di acquisto); programmazione negoziata (norme per favorirne la rapida attuazione, possibilità per la regione di contribuire al finanziamento); trasporti urbani (potenziamento della infomobilità, miglioramento del sistema sanzionatorio nel trasporto pubblico locale e norme in materia di sicurezza urbana); tributi regionali (modifiche al testo unico della disciplina dei tributi regionali, in particolare per quanto riguarda il recupero del gettito Irap, al fine di attuare il principio costituzionale della territorialità delle risorse relative ai tributi che incidono sulla comunità rappresentata); struttura organizzativa del Consiglio regionale (segreterie e staff dei gruppi, accorpamento dei gruppi in nuove formazioni).
Marche. La legge finanziaria interviene in materia di: territorio e ambiente (lavori pubblici, organizzazione amministrativa dei parchi); turismo (agriturismo e incentivazione del turismo religioso); sanità e assistenza sociale (sicurezza alimentare, affidata all’Azienda sanitaria unica regionale, modifiche alla legge regionale su portatori di handicap, individuazione dei requisiti minimi delle residenze protette per anziani); tributi regionali e canoni.
Bolzano. Con la legge finanziaria la provincia autonoma ha modificato la legislazione vigente riguardante: il personale delle Aziende sanitarie locali; l’esercizio delle funzioni delegate in materia di igiene e sanità pubblica, medicina legale; servizi pubblici locali; utilizzazione di edifici, attrezzature e impianti scolastici per attività culturali e sportive extrascolastiche.
Trento. La legge finanziaria della provincia autonoma è intervenuta soprattutto nei settori: personale (contrattazione); politiche sociali (istituzione di fondi); tributi e tariffe (soprattutto riduzione dell’Irap, in generale di mezzo punto e di un altro mezzo punto per le imprese “virtuose”).
Puglia. I principali settori di intervento della legge finanziaria sono: sanità, tributi regionali, servizi sociali.
Sardegna. Con la legge finanziaria è stato disciplinato il trasferimento di funzioni in materia di: attività produttive; sanità e assistenza (dalla regione alle Aziende sanitarie locali); opere pubbliche e trasporti (dall’agenzia regionale, soppressa, alla direzione generale per il trasporto pubblico locale). Sempre la legge finanziaria è poi intervenuta nei settori: attività produttive (soppressione del dipartimento per l’incremento ippico, riordino delle aree industriali con la soppressione dei consorzi sovracomunali, istituzione dello sportello unico); tributi regionali; personale; contenimento dei costi degli organi istituzionali; istruzione, formazione e cultura; ambiente e territorio.
Toscana. La legge finanziaria è intervenuta principalmente nel settore tributario (stabilendo, confermando o modificando aliquote di alcune imposte regionali e intervenendo sui canoni relativi a permessi di ricerca). Un altro settore d’intervento è stato quello relativo alla programmazione regionale, con la modifica di disposizioni della legge sulla programmazione (l.r n. 49/1999) e la proroga di alcuni strumenti di programmazione settoriale. Infine, rileva la costituzione del fondo per nuovi investimenti industriali, nazionali ed esteri sul territorio regionale, per un ammontare complessivo di 15 milioni di euro nel triennio 2008-2010.
Umbria. I contenuti principali della legge finanziaria sono: il finanziamento aggiuntivo regionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione e il finanziamento del Consiglio delle autonomie locali. Per il collegato rilevano, invece: l’accelerazione del processo di attuazione della riforma delle comunità montane e la riduzione del 10% delle indennità per i Presidenti delle comunità stesse; l’individuazione del soggetto istituzionale responsabile del procedimento unico per l’autorizzazione per determinati impianti energetici; interventi volti a razionalizzare/semplificare il quadro delle società regionali (anche con fusioni, scioglimenti e alienazione di partecipazioni).
Valle d’Aosta. I principali settori di intervento della legge finanziaria sono: finanza locale (ammontare dei trasferimenti per il 2008); politiche del lavoro (con il finanziamento di un apposito piano in materia); programmi comunitari (autorizzazione dei cofinanziamenti regionali); personale (personale regionale e fondi pensione); sanità e assistenza sociale; agricoltura (nuova disciplina in materia di agricoltura e sviluppo rurale).
Veneto. I settori oggetto di intervento della legge finanziaria sono: trasporti (soprattutto investimenti in infrastrutture e viabilità); politiche per la casa (contributi in conto interessi sulla prima casa e rinvio delle azioni esecutive delle banche); contenimento dei costi dell’energia (riduzione del prezzo dei carburanti nelle zone di confine e contributi sul riscaldamento nelle zone di montagna svantaggiate); assistenza sociale (istituzione del Fondo per le non autosufficienze e altri servizi sociali, compresi servizi innovativi per l’infanzia, contributi ai familiari delle vittime sul lavoro); sicurezza (contributi ai comuni per iniziative in materia e alle Aziende sanitarie locali per controlli nei pronto soccorso); prevenzione degli incidenti sul lavoro (destinazione di una quota delle multe a imprese per finanziare progetti nel campo); istruzione, cultura e formazione (soprattutto sostegni economici a studenti); ambiente; attività produttive; interventi locali (tra cui il completamento della progettazione della linea ferroviaria Venezia Chioggia); riduzione dei costi della politica, in recepimento di norme nazionali (costi di assicurazione per l’esercizio del mandato a carico dei consiglieri); personale (stabilizzazione dei precari); settore del non profit (fondo di garanzia per investimenti a finalità sociale e albo regionale dei gruppi di acquisto solidale).
 
8.6. Politiche di contenimento della spesa pubblica

8.6.1. Oggetto delle domande del questionario
Data la rilevanza della problematica del contenimento della spesa pubblica, nel questionario per il presente rapporto si è scelto di considerare diversi profili. In particolare, oltre alla domanda tradizionale volta ad evidenziare i nuovi provvedimenti in materia adottati dalle regioni con le leggi finanziarie per il 2008 e con i provvedimenti collegati, ove presenti, sono state posti ulteriori quesiti riguardanti quello che potrebbe essere definito il livello di informazione del Consiglio sugli effetti prodotti dalle misure già adottate negli anni precedenti. Infine, una specifica domanda ha riguardato l’attuazione del patto di stabilità nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome.
Di seguito, viene presentata una sintesi, in primo luogo, delle risposte concernenti i provvedimenti contenuti nelle leggi finanziarie per il 2008 e, successivamente, delle risposte sugli altri aspetti sopra richiamati.
 
8.6.2. Interventi previsti nelle leggi finanziarie 2008
Come si è già osservato, interventi per il contenimento della spesa pubblica e, quindi, per favorire il rispetto del Patto di stabilità, si riscontrano nella maggior parte delle leggi finanziarie per il 2008 (17). Nel questionario, con una apposita domanda, è stato tuttavia chiesto alle regioni di specificare quelli di maggiore interesse, tenendo conto, ovviamente, anche dei provvedimenti collegati, ove presenti.
Dalle risposte pervenute risulta che tali interventi hanno inteso promuovere: una riduzione dei cosiddetti costi della politica, delle spese per il personale e per l’amministrazione generale; un rafforzamento degli strumenti di monitoraggio e controllo; una razionalizzazione delle spese in specifici settori, tra i quali spicca, ovviamente, quello dell’assistenza sanitaria, dato il suo peso nei bilanci di questo livello di governo. Dalle regioni e province ad autonomia differenziata, sono stati segnalati interventi anche per il contenimento delle spese degli enti locali.
In merito ai costi della politica, oltre alla riduzione dei compensi, indennità e rimborsi spese dei consiglieri, in alcuni casi si è promossa una razionalizzazione delle spese di funzionamento del Consiglio (18). Nell’ambito degli interventi sui costi della politica possono rientrare anche quelli – spesso adottati in attuazione di norme statali e, in particolare, della legge n. 296 del 2006 - volti a contenere le spese relative a commissioni, organismi, enti e società regionali, in particolare attraverso: il divieto di ampliare il numero di quelli già esistenti, il taglio delle spese di organizzazione e funzionamento, la riorganizzazione degli organismi esistenti anche con la soppressione di alcuni, la razionalizzazione delle partecipazioni regionali (19).
Come si è detto, con le leggi finanziarie 2008, le regioni hanno, inoltre, provveduto a contenere le spese di amministrazione generale e quelle del personale, anche in questo caso spesso in attuazione di norme statali. Per quanto riguarda le prime, si registrano diversi interventi volti alla razionalizzazione dell’acquisto di beni e servizi – in generale e nello specifico settore della sanità – nonché alcuni relativi al contenimento dei costi di comunicazione tra pubbliche amministrazioni (come previsto all’art. 2, commi 591-593, della legge finanziaria dello Stato per il 2008) (20). Per il personale, gli interventi segnalati consistono nel contenimento delle nuove assunzioni, nonché delle spese di missione e per oneri previdenziali (21).
Circa il rafforzamento degli strumenti di monitoraggio, le innovazioni segnalate mirano, in primo luogo, a rafforzare la vigilanza su organismi, enti e aziende (comprese quelle sanitarie) dipendenti dalle regioni, ma anche sulle associazioni che da esse ricevono contributi. In secondo luogo, a garantire che, nella gestione del bilancio, le autorizzazioni di spesa non eccedano gli stanziamenti. In terzo luogo, a rendere più rispondenti alla realtà l’ammontare dei residui attivi e passivi iscritti in bilancio (22).
Per quanto riguarda le spese operative – a prescindere dai provvedimenti relativi alla sanità, esaminati nel capitolo del presente Rapporto ad essa dedicato –, alcune regioni, come ad esempio Lazio e Molise, sono intervenute con provvedimenti a carattere multisettoriale, altre con riferimento a specifiche materie, come la Sardegna (23).
Infine, la provincia autonoma di Trento e la regione Valle d’Aosta hanno segnalato disposizioni volte a favorire il rispetto del Patto di stabilità da parte degli enti locali (24).
 
8.6.3. Livello di informazione del Consiglio sugli effetti delle misure di contenimento
Nel questionario è stato innanzi tutto preso in esame il profilo del “trasferimento” di informazioni al Consiglio, da parte della Giunta, sugli effetti prodotti dalle misure già in essere. In base alle risposte pervenute, risulta che informazioni in proposito vengono trasmesse e che, spesso, sono oggetto di dibattito nelle Commissioni competenti e, alcune volte, anche in Aula. Nella maggior parte dei casi, tali informazioni vengono fornite nei Rapporti di gestione e nelle relazioni che accompagnano la presentazione dei disegni di legge relativi al rendiconto e al bilancio di previsione (25). Si riscontra, tuttavia, anche la presentazione di documenti specifici tra i quali, ad esempio: i risultati conseguiti in materia di riduzione del deficit sanitario, nel Lazio e nel Piemonte; una descrizione delle misure adottate dall’inizio della legislatura in Sardegna (contenuta nel programma regionale di sviluppo 2007-2009, presentato ad aprile 2007). Alcune regioni, come la Lombardia, imputano la mancata presentazione, da parte della Giunta, di informazioni specifiche sui risultati delle misure per il contenimento delle spese – ulteriori rispetto a quanto indicato nella relazione al rendiconto e nel rapporto di gestione – all’assenza di previsioni normative in proposito (26).
A prescindere dalle informazioni fornite dalla Giunta, si è anche cercato di capire se il Consiglio disponga, comunque, di dati sugli effetti delle misure di contenimento che lo riguardano in modo diretto. Le risposte al quesito – per la verità fornite da un numero ristretto di regioni – suggeriscono che tali dati sono disponibili, cosa che indubbiamente appare positiva. Inoltre, nei casi in cui nel questionario è stato indicato l’ammontare delle riduzioni di spesa, i risultati conseguiti sono spesso di tutto rilievo. In particolare: in Abruzzo, le previsioni 2007 risultano inferiori a quelle del 2006 del 3,9% (dati relativi solo ad attività di rappresentanza e struttura di supporto stampa); in Basilicata, pur essendo aumentate sia le esigenze di tipo logistico (trasferimento del Consiglio in una nuova sede, con superfici triplicate rispetto a quelle precedenti), sia le indennità dei consiglieri regionali, le spese per l’anno 2007, per effetto delle misure di contenimento, sono in linea con gli stanziamenti approvati in fase di assestamento dell’anno 2006; in Calabria, le spese per il trattamento fisso del personale delle strutture speciali nel bilancio del Consiglio sono state ridotte di 2,9 milioni di euro e tale somma è stata destinata al finanziamento di stages presso la pubblica amministrazione di giovani neo laureati; in Emilia-Romagna, le politiche di contenimento delle spese dell’Assemblea legislativa adottate nel 2007 hanno comportato una riduzione delle spese del 9,6% (27); nelle Marche, le voci di spesa relative al Consiglio hanno subito riduzioni comprese tra un minimo del 10% per indennità e servizi e un massimo del 55% per le collaborazioni; nella provincia di Trento, gli stanziamenti di spesa per il 2007 sono inferiori, rispetto al 2006, del 5,5% (28); in Sardegna, la dotazione richiesta per il 2008, rispetto a quella del 2007, registra una riduzione di circa il 10% e il volume della spesa complessiva è sceso del 6,5% circa; in Valle d’Aosta, le indennità dei Consiglieri si sono ridotte del 10%.
 
8.6.4. Il Patto di stabilità nelle regioni e province ad autonomia differenziata
La legge finanziaria dello Stato per il 2007, come le precedenti, all’articolo 1, comma 660, prevede che le regole del Patto di stabilità, in presenza di determinate condizioni, nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome possano subire degli adattamenti, rispetto a quanto stabilito per le regioni e gli enti locali del restante territorio nazionale. In particolare, la norma citata stabilisce che le regioni e province ad autonomia differenziata, entro il 31 marzo di ciascun anno, possano:
- concordare con il Ministro dell'economia e delle finanze il livello complessivo delle loro spese correnti e in conto capitale, nonché dei relativi pagamenti, in coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica per il periodo 2007-2009;
- stabilire le modalità del concorso degli enti locali dei rispettivi territori al rispetto del Patto di stabilità.
Rappresenta, invece, una novità quanto previsto al comma 661, sempre della legge finanziaria 2007, in base al quale le regioni speciali e le province autonome “concorrono al riequilibrio della finanza pubblica, oltre che nei modi stabiliti dal comma 660, anche con misure finalizzate a produrre un risparmio per il bilancio dello Stato, in misura proporzionale all'incidenza della finanza di ciascuna regione a statuto speciale o provincia autonoma sulla finanza regionale e locale complessiva, anche mediante l'assunzione dell'esercizio di funzioni statali, attraverso l'emanazione, entro il 31 marzo 2007 e con le modalità stabilite dai rispettivi statuti, di specifiche norme di attuazione statutaria; tali norme di attuazione precisano le modalità e l'entità dei risparmi per il bilancio dello Stato da ottenere in modo permanente o, comunque, per annualità definite”.
 Tenendo conto di quanto sopra detto, nel questionario è stato chiesto alle regioni speciali e alle province autonome di indicare:
- se siano state raggiunte intese con il Ministero dell’economia circa le regole del Patto nei loro stessi confronti, in assenza delle quali si applicano le regole previste per le regioni ordinarie;
- se abbiano o meno provveduto a definire le regole del concorso al risanamento della finanza pubblica per i propri enti locali, in assenza delle quali essi sono soggetti alle regole previste nella legge finanziaria per il resto del territorio nazionale;
- se sia stata data attuazione al comma 661.
Per quanto riguarda il primo punto, in tutti i casi si sono ottenute risposte positive, con l’eccezione della Sardegna dove, pur essendo state trasmesse due proposte di Patto del 2007 al Ministero, non si è riusciti a raggiungere un accordo entro il termine previsto (29).
Una situazione analoga si riscontra anche per il secondo punto, visto che regole specifiche per il rispetto del patto di stabilità da parte degli enti locali sono state definite, previa intesa con gli enti stessi, da tutte le regioni in oggetto, salvo che dalla Sicilia e dalla Sardegna (30).
Infine, circa il comma 661 della legge finanziaria 2007 dello Stato, va osservato che i suoi contenuti richiamano, in buona sostanza, quanto previsto all’articolo 19, comma 2, del disegno di legge “Delega al Governo in materia di federalismo fiscale” - presentato alla Camera dei deputati il 29 settembre 2007 (AC 3100) – al fine di far partecipare le province autonome e le regioni a statuto speciale, in particolare quelle del nord, al finanziamento della perequazione nei confronti delle aree a minore capacità fiscale. Verificarne l’attuazione può assumere, quindi, il significato di un test sull’effettiva praticabilità di quanto previsto nel disegno di legge delega. Dall’analisi delle risposte emerge che, in materia, sono intervenute: la Sardegna, con alcune deliberazioni di Giunta (31); le province autonome di Bolzano e di Trento, nelle quali le norme di attuazione dello Statuto sono in fase di elaborazione e nelle quali sono state altresì accantonate le risorse finanziarie necessarie; e soprattutto la Valle d’Aosta, che ha già adottato norme di attuazione dello Statuto per la regionalizzazione del catasto (decreto legislativo 3 agosto 2007, n. 142) e in tema di motorizzazione civile e tasse auto (decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 13). Dall’analisi dei provvedimenti della Valle d’Aosta, non emergono, tuttavia, risparmi per lo Stato particolarmente significativi: in materia di catasto dovranno essere assegnate alla regione risorse finanziarie non inferiori al 95% di quanto speso dallo Stato prima del trasferimento, al netto dei tributi speciali catastali incassati dalla regione stessa; per l’altro settore dovrà, invece, essere aumentata la compartecipazione della regione al gettito della tassa automobilistica nella misura necessaria alla copertura delle spese relative alle funzioni trasferite.
 
8.7. Interventi in materia di finanza locale
A proposito dei contenuti delle leggi finanziarie si è visto che il 66% delle regioni prevede norme in materia di finanza locale. Nella maggior parte dei casi si tratta, tuttavia, di disposizioni che assegnano alla generalità degli enti locali e/o a singole amministrazioni, finanziamenti vincolati alla realizzazione di interventi specifici. Al centro di questo paragrafo, invece, sono le disposizioni a carattere generale – eventualmente prese anche con leggi diverse dalla finanziaria - con le quali le regioni intervengono, ad esempio, per valorizzare l’autonomia finanziaria di comuni e province, per promuoverne l’efficienza e la capacità operativa o per migliorare la trasparenza dei flussi finanziari.
Norme di questo tipo vengono adottate soprattutto dalle regioni a Statuto speciale e, in particolare, dalla Valle d’Aosta, dal Friuli Venezia Giulia e dalle province autonome di Trento e di Bolzano, essendo esse competenti per l’assegnazione agli enti locali dei trasferimenti generici necessari a garantire il normale esercizio delle loro funzioni e, più in generale, in materia di finanza locale (32). Nei precedenti Rapporti sulla legislazione è stato dedicato ampio spazio alle disposizioni delle leggi finanziarie di queste regioni e province autonome, volte a disciplinare il sistema dei trasferimenti ordinari agli enti locali. Si è, quindi, preferito concentrare l’attenzione su alcune innovazioni, segnalate nelle risposte al questionario, introdotte da altre regioni.
Da questo punto di vista, rilevano, in primo luogo, due leggi dell’Umbria: la l.r. 9 luglio 2007, n. 23, e la l.r. 23 luglio 2007, n. 24:
- la prima, con l’articolo 26, detta norme generali per il finanziamento delle funzioni conferite agli enti locali, valide fino all’attuazione, da parte del legislatore statale, dell’articolo 119 della Costituzione, del quale, per altro, la norma citata riprende i principi, in particolare per quanto concerne la tutela dell’autonomia finanziaria. Infatti le funzioni trasferite, a differenza di quelle delegate, dovranno essere finanziate con fondi a destinazione libera – uno per i comuni, uno per le province e uno per le comunità montane – ripartiti in base a parametri oggettivi. Inoltre, agli enti locali spetteranno i proventi di tasse, diritti, tariffe e corrispettivi sui servizi relativi alle funzioni conferite dalla Regione. Infine, ogni ulteriore adempimento attuativo in materia – come la definizione dei parametri per il riparto dei fondi – sarà rimesso ad accordi da concludersi tra la regione e gli enti locali destinatari;
- la seconda legge (n. 24) definisce le regole per il finanziamento delle comunità montane. In particolare: l’articolo 9 prevede che la regione non possa coprire eventuali loro disavanzi e che esse applichino le leggi di contabilità degli enti locali; l’articolo 13 elenca le modalità con le quali la regione potrà concorrere al loro finanziamento; l’articolo 15 individua i criteri di riparto e le modalità di erogazione del fondo per la gestione delle funzioni conferite e del fondo per gli investimenti.
Sempre facendo riferimento alle segnalazioni pervenute, possono inoltre essere richiamati i casi seguenti:
- l’articolo 16 della legge finanziaria della Basilicata che prevede, nell’ambito del Fondo di coesione interna, uno stanziamento destinato ad interventi infrastrutturali o di sostegno di servizi essenziali, prioritariamente per quelli proposti dai comuni che effettuano la stabilizzazione di lavoratori socialmente utili o di lavoratori precari;
- gli articoli 60 e 73 della legge finanziaria della Campania. Il primo istituisce una “stazione unica appaltante” presso gli uffici del Genio civile di ogni provincia, d’intesa con le prefetture competenti per territorio, “a cui i comuni, in modo convenzionato, possono trasferire le procedure d’appalto per lavori superiori a 250 mila euro”. Il secondo, al fine di favorire l’avvio dell’esercizio delle funzioni catastali da parte dei comuni, prevede il cofinanziamento regionale di azioni formative e informative, nonché per l’elaborazione di studi di fattibilità per i comuni che, entro il 15 luglio 2009, devono pronunciarsi sulla gestione catastale;
- l’articolo 9, comma 2, della legge finanziaria del Lazio, che prevede una collaborazione tra la Regione e l’Istituto per la finanza e l’economia locale (IFEL), nonché con l’Associazione regionale delle autonomie locali del Lazio (ARALL), al fine di realizzare un modello statistico ed una banca dati dei bilanci comunali in grado di individuare i diversi livelli di ricchezza e la relativa distribuzione sul territorio regionale, nonché i trasferimenti regionali;
- l’articolo 1, comma 12, della legge finanziaria della Sardegna in base al quale - fino al completamento delle procedure necessarie per il trasferimento dei servizi e delle funzioni alle costituende unioni di comuni, e comunque non oltre il 31 dicembre 2008 - le risorse destinate al finanziamento delle funzioni svolte dai comuni in forma associata sono assegnate ai consorzi di comuni costituiti per la gestione associata di servizi e l’esercizio associato di funzioni in cui il territorio coincida, anche parzialmente, con quello delle unioni di nuova istituzione;
- l’articolo 43 del provvedimento collegato alla legge finanziaria della Liguria, in base al quale i canoni in materia di ambiente, difesa del suolo e energia sono introitati dalla regione e dalle province secondo le rispettive competenze e destinati per almeno l’80% ad interventi prioritari di manutenzione ordinaria per la difesa del suolo e per la tutela delle risorse idriche;
- l’articolo 7 della legge finanziaria della Sicilia, che istituisce in favore dei comuni una compartecipazione del 10% al gettito dell’Irpef. La compartecipazione sarà efficace dal 1° gennaio 2009 e, a partire dalla stessa data, verranno ridotti di pari importo i trasferimenti a carico del bilancio regionale. Gli eventuali incrementi di gettito che, nel tempo, dovessero manifestarsi, saranno ripartiti tra i comuni in base a criteri perequativi definiti con decreto dell’Assessore al bilancio “previa intesa in sede di Conferenza Regione – Autonomie locali” (comma 3);
- la deliberazione della Giunta della regione Veneto del 31 luglio 2007, n. 2360, relativa alle modalità di conteggio dei trasferimenti regionali a favore delle amministrazioni provinciali ai fini del patto di stabilità interno 2007, 2008 e 2009.
 
8.8. La politica fiscale
Sembra ormai divenuta una prassi il fatto che il Governo centrale, al fine di contenere la pressione fiscale nazionale, intervenga in primo luogo sui tributi delle regioni e degli enti locali. Oltre alle manovre sull’Ici – quella contenuta nella legge finanziaria 2008 e quella decisa nelle fasi iniziali della XVI legislatura – un altro esempio al riguardo è costituito dalle disposizioni sull’Irap di cui all’articolo 1 sempre della finanziaria 2008. Oltre alla completa regionalizzazione dell’imposta a partire dal 1° gennaio 2009 (anche se la manovrabilità del tributo dovrà comunque rispettare i limiti previsti dalla legislazione statale), è previsto un ampliamento della base imponibile (indeducibilità degli ammortamenti anticipati, riduzione delle deduzioni forfetarie e di quelle da lavoro dipendente), ma anche l’esclusione dall’Irap per i contribuenti minimi (che, tuttavia, dovranno versare allo Stato un’imposta sostitutiva), la riduzione dell’aliquota di base dal 4,25% al 3,90%, nonché la riparametrazione delle aliquote decise dalle regioni sulla base di un coefficiente pari a 0,9176. L’effetto combinato di queste disposizioni dovrebbe assicurare alle regioni l’invarianza del gettito, ma dubbi sul fatto che ciò si verifichi sono più che legittimi. Molto opportunamente, quindi, è anche previsto che, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza Stato – regioni – province autonome, si provveda alle regolazioni debitorie necessarie a garantire tale risultato.
Le regioni, comunque, continuano ad attribuire molta importanza alla loro autonomia tributaria, come ampiamente dimostrato dal numero delle disposizioni da esse segnalate in risposta al quesito sui contenuti della politica fiscale attuata con le leggi finanziarie per il 2008 (e/o con altri provvedimenti del 2007, diversi dalle leggi finanziarie per questo esercizio, già esaminate nel precedente Rapporto).
Di seguito, vengono in primo luogo illustrate le disposizioni relative all’Irap, all’addizionale Irpef e alle tasse automobilistiche, cioè ai tributi più importanti in termini di gettito. Vengono poi considerati gli interventi relativi alla tassa regionale sulla benzina e ai tributi autonomamente istituiti dalle regioni a statuto speciale. Infine, vengono forniti alcuni dettagli sulle disposizioni concernenti gli altri tributi regionali, nonché i canoni e le tariffe. Va anche segnalato che alcune regioni – come del resto messo in evidenza anche nei precedenti Rapporti - oltre ad intervenire su specifiche imposte, hanno adottato norme a carattere generale, in particolare per contrastare l’evasione fiscale e per assicurare una migliore tutela del contribuente (33).
 
Irap
La Lombardia, con l’articolo 2 del provvedimento collegato alla legge finanziaria, ha introdotto il principio della riscossione diretta in materia di Irap limitatamente alle attività correlate al recupero di gettito dell’imposta derivante da attività di controllo, accertamento fiscale e contenzioso tributario (34). Le altre regioni sono invece intervenute sulle aliquote o hanno modificato il regime delle agevolazioni a favore di particolari categorie di soggetti passivi. In questo ambito è anche interessante mettere in evidenza che un numero sempre crescente di regioni cerca di utilizzare lo strumento delle agevolazioni per favorire la diffusione di imprese considerate “virtuose” – in quanto, ad esempio, hanno ottenuto la certificazione di qualità dei prodotti, presentano positivi risultati di gestione, rispettano le norme di sicurezza sul lavoro, favoriscono l’assunzione di personale a tempo indeterminato, reinvestono in azienda una quota rilevante degli utili – pur restando diverse da regione a regione sia la misura dell’agevolazione, sia i criteri utilizzati per individuare le imprese che ne hanno diritto.
In particolare, le regioni hanno segnalato i seguenti provvedimenti:
Puglia. Al fine di assicurare la copertura dei disavanzi di gestione in materia sanitaria, ha provveduto ad aumentare di un punto le aliquote dell’imposta (articolo 3, comma 6);
Friuli Venezia Giulia. Con l’articolo 2 della legge finanziaria 2008, ha ridotto tutte le aliquote vigenti nella regione in conformità a quanto indicato al comma 50 dell’articolo 1 della legge finanziaria dello Stato per il 2007;
Provincia autonoma di Bolzano. L’articolo 1 della legge finanziaria 2008 ha ridotto di mezzo punto le aliquote dell’imposta (comma 1) e ha dato facoltà a determinati soggetti o categorie di optare per un’ulteriore riduzione di mezzo punto percentuale a determinate condizioni (preclusione della possibilità di presentare domanda per le agevolazioni previste da alcune leggi provinciali) (comma 2). Con l’articolo 2 ha, poi, esentato dall’imposta il rimborso spese mensile a favore dei volontari a carico del fondo provinciale per il servizio civile, fatto salvo l’obbligo dell’eventuale presentazione della dichiarazione ai fini IRAP;
Provincia autonoma di Trento. E’ stata prevista una riduzione generalizzata delle aliquote pari allo 0,5% e una ulteriore riduzione, sempre dello 0,5%, per le imprese virtuose (articoli 15 e 16 della legge finanziaria 2008);
Campania. L’aliquota a carico delle Onlus e delle cooperative sociali è stata ridotta di un punto (articolo 75 della legge finanziaria);
Toscana. La legge finanziaria 2008 ha confermato per i periodi d’imposta 2008-2010 le agevolazioni Irap previste per le imprese EMAS o certificate ISO14001 e SA8000 dalle leggi finanziarie 2005-2006 (articoli 1 e 2), ha esteso ai soggetti con qualifica di impresa sociale la riduzione dell’aliquota Irap già prevista dalla l.r. n. 2 del 2001 (articolo 3), ha introdotto il principio della riscossione diretta dei proventi Irap da controllo fiscale (articolo 4);
Marche. La legge finanziaria 2008 è intervenuta in materia di aliquote a carico delle cooperative sociali e ha innovato la disciplina delle agevolazioni a favore delle imprese virtuose, tra l’altro introducendo criteri più rigidi rispetto al passato per la loro concessione (articolo 34);
Valle d’Aosta. L’articolo 1, comma 1, della legge finanziaria 2008 ha previsto una riduzione delle aliquote pari ad un punto percentuale a favore delle imprese virtuose;
Sardegna. La legge finanziaria 2008 ha introdotto una riduzione delle aliquote pari ad un punto percentuale, anche in questo caso a favore delle piccole e medie imprese virtuose operanti nel territorio della regione, regolando la materia in modo indubbiamente complesso (articolo 2, commi da 1 a 14);
Umbria. La l.r. n. 36 del 2007, “Disposizioni in materia tributaria e di altre entrate della Regione Umbria”, è intervenuta in materia di agevolazioni a favore delle cooperative sociali e delle ONLUS, introducendo altresì incrementi di aliquota a carico di alcuni settori di attività economiche (articoli 21 - 24);
Veneto. La l.r. n. 36 del 2007, “Disposizioni in materia di tributi regionali”, prevede: agevolazioni per le aziende pubbliche di servizi alla persona succedute alle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (articolo 2); la riscossione diretta dei proventi Irap da controllo fiscale (articolo 3); modifiche dell’articolo 5 della l. r. n. 27 del 2006 in materia di agevolazioni per le cooperative sociali (articolo 4).
 
Addizionale Irpef
Interventi al riguardo si registrano nei casi seguenti:
Liguria. Con la legge finanziaria 2008 è stata introdotta la differenziazione delle aliquote per scaglioni di reddito, fino al massimo dell’1,4% per quelli superiori a 25.000 euro (articolo 3), nonché l’applicazione dell’aliquota minima dello 0,9% per i soggetti con almeno quattro figli fiscalmente a carico, a prescindere dal reddito;
Lombardia. La legge finanziaria regionale dispone all’articolo 1, commi 1, 2, 3 e 4, a decorrere dal 2008, modifiche alla disciplina delle aliquote per scaglioni di reddito dalle quali dovrebbe derivare una riduzione di gettito pari 186 milioni ed una conseguente diminuzione della pressione fiscale nei confronti dei cittadini lombardi;
Puglia. Con la legge finanziaria 2008 è stata introdotta la differenziazione delle aliquote per scaglioni di reddito, con l’aliquota minima fino a 28.000 euro e la massima per tutti gli scaglioni di reddito successivi.
Veneto. L’articolo 1 della l. r. n. 36 del 2007 ha rideterminato le aliquote, fissandole tra un minimo dello 0,9% per i redditi non superiori a 29.500 euro ed un massimo dell’1,4% per i redditi superiori a 29.650 euro. Lo stesso articolo prevede, inoltre, l’applicazione dell’aliquota minima per i soggetti con tre figli fiscalmente a carico, a condizione che i soggetti stessi non abbiano un reddito superiore a 50.000 euro. Tale soglia è aumentata di ulteriori 10.000 euro per ogni figlio a carico oltre il terzo.
 
Tassa automobilistica
Dalle risposte al questionario risultano essere intervenute in materia le seguenti regioni:
Campania. L’articolo 7 della legge finanziaria detta norme in materia di gestione della tassa;
Liguria. L’articolo 5 della legge finanziaria provvede, da un lato, ad esentare dal tributo i veicoli nuovi a doppia alimentazione (benzina e GPL/metano) in attuazione di norme statali, dall’altro, per autonoma iniziativa della regione, ad esentare anche i veicoli dello stesso tipo già in circolazione sui quali l’impianto a gas sia stato collaudato prima dell’entrata in vigore della legge;
Marche. L’articolo 28 della legge finanziaria modifica la normativa vigente sotto diversi aspetti (tassazione dei veicoli storici, abolizione della tassa su massa rimorchiabile fino a 3,5 tonnellate, compensazione degli importi pagati in caso di perdita del possesso o rottamazione);
Molise. L’articolo 9della legge finanziariaha disposto che siano esentati dal pagamento i veicoli, utilizzati a fini istituzionali, di proprietà delle organizzazioni iscritte all’albo regionale di volontariato di protezione civile e che siano effettivamente adibiti a tale servizio;
Provincia autonoma di Bolzano. L’articolo 1, comma 1, della legge finanziaria esenta i piccoli ciclomotori dal pagamento delle tasse automobilistiche provinciali. Inoltre con la l.p. n. 4 del 2007 sono stati esentati dal pagamento i proprietari di rimorchi ad uso speciale e di rimorchi adibiti al trasporto di persone (articolo 1) ed è stata disposta la proroga delle agevolazioni fiscali per i veicoli dotati di un filtro antiparticolato (articolo 3);
Veneto. La regione segnala due delibere di Giunta del 2007: la Dgr n. 211, relativa alla approvazione dello schema di accordo per la costituzione del partenariato interregionale per la cooperazione nella realizzazione, conduzione ed evoluzione del sistema interregionale della "Tassa automobilistica"; la Dgr n. 1453, per l’approvazione dell’accordo transattivo relativo all’inadempimento di Poste s.p.a. alla convenzione del 20/07/2004 disciplinante la gestione delle notifiche degli avvisi di accertamento in materia di tassa automobilistica regionale.
 
Imposta regionale sulla benzina
In materia sono stati segnalati interventi da parte delle regioni Marche e Puglia. Entrambe, con le rispettive leggi finanziarie 2008, hanno provveduto a disciplinare l’imposta e a fissare la relativa aliquota. Quest’ultima risulta pari a 0,0200 euro/litro nelle Marche (articolo 27) ed a 0,0258 euro/litro in Puglia (articolo 3, comma 8) dove, per altro, la tassa in questione era già stata istituita fin dal 1994, ma non disciplinata e, quindi, applicata. Allo stadio attuale, le regioni che hanno introdotto questo tributo sono cinque: oltre a Marche e Puglia, la Liguria, la Campania e il Molise.
 
Tributi istituiti dalle regioni a statuto speciale e dalle province autonome.
Dalle risposte al questionario le novità più interessanti riguardano la regione Sardegna.
Da un lato la Giunta, come già si è detto, è dovuta intervenire sul disegno di legge relativo al bilancio 2008, dopo la sua presentazione al Consiglio, per far fronte alla perdita di entrate conseguente alla dichiarazione di illegittimità costituzionale, ad opera della sentenza n. 102 del 2008, delle imposte regionali sulle seconde case per uso turistico di proprietà dei non residenti e di quelle relative alle plusvalenze sulle compravendite di tali case.
Dall’altro, con la legge finanziaria 2008, è stata modificata l’imposta regionale sullo scalo turistico degli aeromobili e delle unità da diporto, anch’essa oggetto della sentenza suindicata, unitamente all’imposta regionale di soggiorno prevista dall’articolo 5 della l. r. n. 2 del 2007. Relativamente a questi due tributi, la Corte ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Governo, ma, per il primo, la dichiarazione di infondatezza non riguarda una serie di ipotesi sulle quali la Corte ha sospeso il giudizio e, per la prima volta, ha effettuato il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea, ai sensi dell’articolo 234 del trattato (35).
Tra le innovazioni alla disciplina dell’imposta regionale sullo scalo turistico apportate con la legge finanziaria 2008 (articolo 2, commi da 15 a 17) – anche per prevenire una valutazione negativa da parte della Corte di giustizia – rientrano: il cambiamento della denominazione del tributo in “Tassa regionale per la tutela e la sostenibilità ambientale sullo scalo turistico degli aeromobili e delle unità da diporto”; la soppressione dell’espressione “avente domicilio fiscale fuori del territorio regionale” ai fini dell’individuazione dei soggetti passivi; la trasformazione, da annuale a settimanale, del periodo di tempo entro il quale la tassa è dovuta; la rimodulazione degli importi della tassa; la revisione delle sanzioni.
 
Altri tributi, canoni e tariffe.
Gli interventi in materia sono risultati particolarmente numerosi e riguardano non solo i tributi minori in termini di gettito – tra i quali, in particolare, il tributo speciale sul deposito di rifiuti in discarica e l’addizionale regionale sul gas metano – ma anche le tariffe e i canoni, il che dimostra un interesse delle regioni a valorizzare tutte le possibili forme di autofinanziamento. Per ogni regione, si riportano in nota gli estremi dei provvedimenti e la tipologia di entrata sulla quale incidono (36).
 
8.9. Sintesi dei risultati
A livello statale, in occasione della legge finanziaria per il 2008, si sono riproposti tutti i problemi ai quali, da anni, si cerca invano di dare una soluzione: l’estrema complessità di questa cruciale fase del processo di bilancio, l’ampia presenza di contenuti estranei rispetto all’obiettivo primario del provvedimento di garantire l’osservanza del Patto di stabilità e la razionalizzazione della spesa pubblica; la sua approvazione nell’ultimo giorno utile del 2007, nonostante esso contenga, tra l’altro, disposizioni che gli enti territoriali dovrebbero immediatamente recepire nella loro manovra di bilancio; l’assenza di elementi che favoriscano la leggibilità del provvedimento, nonostante le sue elefantiache dimensioni.
Qualche miglioramento si registra, invece, a livello regionale. Significativa, ad esempio, è la l.r. n. 21 del 2007 del Friuli Venezia Giulia, con la quale, tra l’altro, sono stati definiti in modo molto restrittivo i contenuti ammissibili della legge finanziaria, finora una delle più complesse: la legge finanziaria per il 2008 è così divenuta un provvedimento molto snello e mirato, anche se buona parte dei contenuti esclusi sono stati travasati nella “legge strumentale”, prevista dalla stessa riforma. 
La prima parte del capitolo, inoltre, ha messo in evidenza: un aumento del numero di regioni che, nel rispetto di basilari esigenze di buona amministrazione, approvano la legge finanziaria e gli altri strumenti di programmazione prima dell’inizio dell’esercizio nel quale essi devono produrre i propri effetti; tempi di approvazione da parte del Consiglio contenuti al massimo entro 40 giorni a partire dalla presentazione del disegno di legge da parte della Giunta, salvo poche eccezioni; la diffusa presenza delle condizioni che favoriscono la leggibilità di questi provvedimenti – indubbiamente complessi, essendo il numero di commi in molti casi superiore a 100 – visto che in tutti quelli esaminati, salvo due, si rileva la presenza di una rubricazione significativa degli articoli nonché, in molti, la suddivisione in titoli o capi e, almeno in cinque casi, anche l’indice della legge; la relativa semplicità del testo dei singoli commi, visto che, in media, essi si compongono di 486 caratteri e che solo in un caso si superano abbondantemente i 1.000 caratteri.
La maggior parte delle leggi finanziarie regionali per il 2008 – e i relativi collegati, ove presenti – sono comunque leggi che, come le precedenti, intervengono su un ventaglio molto ampio di settori. Le disposizioni riguardano i temi tipici delle leggi finanziarie (manovra delle entrate, limite di indebitamento, contenimento delle spese, rinnovo di autorizzazioni di spesa) ma, nella quasi totalità dei casi, si riscontra anche la previsione di nuove autorizzazioni di spesa e modifiche alla legislazione vigente, queste ultime spesso adottate, come risulta dalle sintesi predisposte dalle regioni, per fronteggiare importanti emergenze economico – sociali (ad esempio quelle della casa, del costo dell’energia, della sicurezza in generale e nei luoghi di lavoro, del sostegno finanziario agli studenti meritevoli, dell’ambiente, della stabilizzazione del personale precario).
Nel capitolo sono poi stati considerati gli interventi delle regioni su alcuni specifici temi, in questo caso prendendo in considerazione le leggi finanziarie 2008 e provvedimenti addottati nel 2007 (diversi dalle finanziarie per questo esercizio, essendo esse state oggetto del precedente Rapporto). In particolare ci si è concentrati sul contenimento della spesa pubblica, sulla finanza locale e sulla politica fiscale.
Per il primo tema, le segnalazioni pervenute indicano che le regioni sono intervenute soprattutto: per ridurre i costi degli organi istituzionali della regione (e, in quelle a statuto speciale, anche degli enti locali), quelli degli enti e organismi dipendenti, nonché le spese per il personale e per l’amministrazione generale; per rafforzare gli strumenti di monitoraggio e controllo; per razionalizzare le spese in specifici settori, tra i quali spicca, ovviamente, la sanità. Sempre per il contenimento della spesa pubblica, sono stati affrontati altri due aspetti: il livello di informazione del Consiglio sugli effetti delle misure già adottate e l’attuazione del Patto di stabilità nelle regioni e province ad autonomia differenziata. Sul livello di informazione del Consiglio è emerso che, in vari casi, la Giunta ha predisposto apposite relazioni, ma che la situazione potrebbe migliorare in presenza di norme volte a rendere cogenti referti della Giunta su questo aspetto. In risposta ad uno specifico quesito, sono stati anche forniti dati sull’entità dei risparmi effettivamente conseguiti sulle spese del Consiglio e, nelle regioni che hanno risposto, i risultati sono senza dubbio di rilievo. Circa l’attuazione del Patto di stabilità nelle regioni speciali e province autonome, risulta che praticamente tutte hanno sfruttato la facoltà di intervenire sulle regole del Patto per introdurre adattamenti rispetto a quanto previsto a livello nazionale per le regioni e per gli enti locali. Appare invece appena avviata – e solo in certe realtà - l’attuazione dell’articolo 1, comma 661, della legge finanziaria dello Stato per il 2007, in base al quale le regioni speciali e le province autonome possono concorrere al riequilibrio della finanza pubblica, anche adottando norme di attuazione dei rispettivi Statuti dalle quali derivino risparmi per il bilancio statale.
In materia di finanza locale, il tratto forse più interessante è la disponibilità a ristrutturare il sistema di finanziamento in modo da valorizzare l’autonomia degli enti locali. Nei precedenti Rapporti è stata già segnalata l’adozione di norme di questo tipo da parte delle regioni speciali e province autonome. Si aggiunge, ora, il caso dell’Umbria che, con una apposita legge, ha riformato il sistema di finanziamento delle funzioni conferite a comuni, province e comunità montane adottando criteri ispirati a quelli dell’articolo 119 della Costituzione. Di rilievo sono pure gli interventi delle regioni volti a fornire assistenza agli enti locali in vari campi: ad esempio, per l’esercizio delle nuove funzioni in materia di catasto, per la costruzione di banche dati regionali sulla finanza pubblica o, ancora, per la stipula degli appalti di opere pubbliche.
Infine, per quanto concerne le politiche fiscali, a prescindere dall’oggettiva ambiguità del Governo centrale in merito alla convenienza del riconoscimento alle regioni (e agli enti locali) di poteri in questo campo, un risultato evidente dell’analisi svolta è la propensione delle regioni ad utilizzare, in modo prudente e mirato, i poteri finora ad esse riconosciuti.
L’ampia casistica richiamata nel presente capitolo indica, infatti, che aumenti di aliquote si sono manifestati solo nelle regioni in situazione di deficit sanitario e tali aumenti, anche se obbligati, sono comunque da valutare positivamente rappresentando la disponibilità di queste amministrazioni (e dei rispettivi contribuenti) a farsi carico di una parte dei costi derivanti da una non ottimale gestione delle risorse, come è nella logica del federalismo fiscale. Gli altri interventi riguardano soprattutto misure a difesa dei diritti del contribuente, le modalità di gestione dei tributi - come la riscossione diretta dei proventi Irap derivanti da attività di controllo fiscale – o modifiche delle aliquote volte a favorire particolari categorie di contribuenti ritenute meritevoli di un sostegno pubblico. Gli interventi sull’Irap e sull’addizionale Irpef sono emblematici in proposito. Per l’Irap è in aumento il numero di regioni che adottano aliquote agevolate non per attirare comunque nuova base imponibile ma per favorire lo sviluppo di attività che abbiano una particolare valenza economico – sociale. Rientra in questo ambito, ad esempio, l’ulteriore diffusione di agevolazioni a favore del settore non profit o a favore di imprese che presentino, in base a criteri diversi da regione a regione, caratteristiche tali da farle considerare “virtuose”: ad esempio la certificazione di qualità dei prodotti, positivi risultati di gestione, il rispetto delle norme di sicurezza sul lavoro, l’assunzione di personale a tempo indeterminato, il livello degli investimenti. Per l’addizionale Irpef, d’altra parte, sta aumentando il numero di regioni che adottano aliquote diversificate per livello di reddito – in modo da agevolare quelli più bassi – e che prevedono specifiche agevolazioni per le famiglie numerose, in entrambi i casi venendo incontro ad esigenze largamente diffuse.
 
 
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 NOTE
 
(1) Nel corso del 2007, diverse regioni hanno introdotto modifiche alla normativa in materia di contabilità e finanza, che, tuttavia, non concernono in modo specifico la legge finanziaria. A titolo di esempio, possono essere richiamati i casi seguenti: per l’Abruzzo, la legge finanziaria 2008 (art. 1 cc. 38-42) e la l.r. n. 34 del 2007 (art. 69); per la provincia autonoma di Bolzano la l.p. 14 del 2007 (art. 19) e la l.p. 15 del 2007 (art. 12). Alcune regioni hanno poi modificato, con provvedimenti amministrativi, il procedimento di costruzione del bilancio regionale. Ad esempio, il Veneto con la Dgr n. 2359 del 31 luglio 2007 ha emanato specifiche direttive ai centri di responsabilità per la formazione delle proposte di budget 2008, volte a creare le premesse per la successiva formulazione di un bilancio di previsione che corrisponda nel migliore modo possibile al quadro delle condizioni e dei vincoli nei quali la regione deve operare.
(2) A proposito dei destinatari degli interventi previsti nella legge strumentale, il regolamento prevede che “è ammessa eccezionalmente l’individuazione di singoli destinatari, qualora sussistano ragioni di necessità esplicitate in un’apposita relazione redatta dal proponente” (art. 121, c.1, lett. C).
(3) Entro il 31 luglio deve invece essere presentato il Documento di programmazione economica e finanziaria regionale. Il Consiglio dovrebbe approvare il DPEFR entro il primo ottobre di ogni anno. Qualora ciò non si verifichi, la Giunta procede ugualmente alla presentazione degli altri strumenti della manovra di bilancio, nei termini indicati nel testo.
(4) La norma citata dispone che, se in Commissione Bilancio vengono presentati emendamenti o nuovi articoli che riguardano materie non attinenti al bilancio o alla sua gestione, gli stessi sono esaminati dalla Commissione competente, appositamente convocata d’urgenza dal suo Presidente, oppure congiuntamente alla Commissione Bilancio, per l’espressione del relativo parere di merito; analogamente, se tali emendamenti o nuovi articoli sono presentati in Aula, l’Assemblea decide se esaminarli presso le Commissioni competenti, quindi le Commissioni si riuniscono anche in seduta congiunta e procedono all’esame immediato degli emendamenti stessi.
(5) Ulteriori punti di riferimento, forniti da alcune regioni, sono: la data di assegnazione alla Commissione competente; la data di approvazione da parte della Commissione, la data di trasmissione all’Aula, il numero di sedute dedicate all’esame della manovra da parte dell’Aula e la data di promulgazione della legge finanziaria.
(6) Si tratta di Campania (59 gg.), Veneto (94) e Sardegna (104).
(7) Tempi di pubblicazione superiori a 20 giorni si riscontrano solo in Valle d’Aosta e Veneto (21 gg.), nonché in Campania dove la legge finanziaria, approvata il 29 dicembre 2007, è stata pubblicata il 4 febbraio 2008, cioè 35 giorni dopo.
(8) Gli altri casi, segnalati nei questionari, di interventi sul disegno di legge finanziaria durante l’iter consiliare, sono i seguenti: in Campania la Commissione competente ha rimesso all’Aula il proprio parere con 3 proposte di emendamenti e 23 odg.; nella provincia autonoma di Bolzano sono stati approvati in Commissione 6 emendamenti con altrettanti articoli aggiuntivi e 7 emendamenti soppressivi di interi articoli non aventi carattere contabile/finanziario; in Puglia è stato presentato un maxi subemendamento, sostitutivo quasi dell’intero testo; in Toscana è stato approvato un o.d.g. collegato ai ddl finanziaria e bilancio; in Umbria sono stati presentati 3 emendamenti al collegato alla finanziaria da parte della Giunta direttamente in Aula, dopo l’esame in I Commissione.
(9) Per maggiori dettagli sui contenuti della sentenza citata si rinvia al paragrafo dedicato alla politica fiscale.
(10) Nel caso della Sardegna, l’art. l’art 7, comma 40, della finanziaria 2008 stabilisce che “entro centocinquanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, il Consiglio regionale approva una legge finalizzata alla riallocazione delle funzioni in materia di aree industriali” in attuazione dell’art 2, comma 33 della legge finanziaria dello Stato per il 2008. Tale disposizione prevede infatti che “anche ai fini del coordinamento della finanza pubblica, in attuazione dell’articolo 118 della Costituzione, lo Stato e le regioni, nell’ambito di rispettiva competenza legislativa, provvedono all’accorpamento o alla soppressione degli enti, agenzie od organismi, comunque denominati, titolari di funzioni in tutto o in parte coincidenti con quelle assegnate agli enti territoriali ed alla contestuale riallocazione delle stesse agli enti locali, secondo i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza”. Per l’Umbria, la legge finanziaria prevede interventi in materia di comunità montane e di autorizzazione di impianti energetici, anche in questo caso dando attuazione alle norme in materia contenute nella finanziaria dello Stato.
(11) I commi dell’insieme delle leggi finanziarie 2008 sono 2.597, rispetto ai 3.267 di quelle per il 2007.
(12) Nello specifico il valore minimo si registra per la legge finanziaria dell’Abruzzo e quelli oltre i 600 caratteri per le leggi finanziarie di Emilia Romagna (603), Bolzano (678), Sardegna (675) e Puglia (1.134).
(13) Infatti, se il titolo degli articoli è presente ed è significativo del loro contenuto – cosa che può verificarsi solo se ciascun articolo riguarda un tema specifico - il lettore può comunque individuare abbastanza facilmente, all’interno di una legge plurisettoriale come in genere è la finanziaria, gli argomenti di suo interesse.
(14) Si tratta delle leggi finanziarie di Abruzzo e Puglia. Sul piano formale in entrambe le leggi gli articoli hanno una rubrica, ma essa non può essere considerata significativa del loro contenuto. In particolare ciò vale: nel caso della finanziaria dell’Abruzzo, per l’art. 1 “Disposizioni finanziarie” composto di 54 commi (su un totale di 56); e, nel caso della finanziaria della Puglia, per l’art. 3 “Disposizioni diverse”, composto di 51 commi (su un totale di 54). In quest’ultima legge – e sempre sul piano formale – si riscontra la presenza del Titolo “Disposizioni a carattere finanziario e tributario” che, tuttavia, comprendendo tutti e tre gli articoli della legge stessa, non può essere considerato un’articolazione significativa del testo del provvedimento.
(15) Per il Friuli si tratta della l.r. 28 dicembre 2007, n. 30, già citata. Per la Liguria della l.r. 28 aprile 2008, n. 10 (48 articoli e 133 commi). Per la Lombardia della l.r. 28 dicembre 2007, n. 33 (3 articoli e 24 commi). Per l’Umbria, della l.r. 26 marzo 2008, n. 5 (12 articoli e 25 commi). Per la Calabria della l.r. 13 giugno 2008, n. 15 (56 articoli e 222 commi).
(16) Va, comunque, osservato che norme sul limite di indebitamento e sul patto di stabilità sono in molti casi contenute nelle leggi di approvazione del bilancio di previsione, qui non considerate.
(17) Oltre che con le leggi finanziarie 2008, le regioni sono intervenute in materia anche con altri provvedimenti. Per quelli adottati nel 2007 – diversi dalle finanziarie per questo esercizio, già esaminate nel precedente Rapporto – è stato chiesto di fornire un elenco. Le indicazioni ottenute sono di seguito riportate:
Abruzzo: l.r. n. 4 del 2007, contenente misure finanziare urgenti per il piano di risanamento del sistema sanitario regionale; l.r. n. 7 del 2007, per l’incentivazione all’esodo del personale; l.r. 7 maggio 2007, n. 8 sul contenimento dei costi degli organi politici; l.r. n. 34 del 2007 (art. 8), per la riduzione del costo di funzionamento degli organismi regionali e l’imposizione di parametri prezzo-qualità nei limiti massimi; l.r. n. 35 del 2007, contenente disposizioni in materia di programmazione e prevenzione sanitaria in esecuzione Piano rientro del deficit sanitario.
Calabria: l.r. n. 12 del 2007; l.r. n. 23 del 2007; l.r. n. 24 del 2007; l.r. n. 30 del 2007.
Emilia Romagna: l.r. n. 26 del 2007, recante misure di razionalizzazione in attuazione dei principi della legge 27 dicembre 2006, n. 296; l.r. n. 27 del 2007 per la riduzione del numero di componenti degli organi del Comitato regionale per le comunicazioni (CORECOM) e dell’Azienda regionale per la navigazione interna (ARNI).
Friuli Venezia Giulia: Delibera Ufficio di Presidenza del Consiglio n. 289, del 28/2/2007, con la quale l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale ha provveduto a ridurre del 10% l’importo dei gettoni di presenza spettanti alle commissarie della Commissione regionale per le pari opportunità tra uomo e donna.
Lazio: l.r. n. 2 del 2007 relativa, tra l’altro, alla definizione delle modalità di copertura del disavanzo sanitario per l’esercizio 2006 e per l’ammortamento del debito pregresso al 31.12.2005; l.r. n. 12 del 2007 recante variazioni al bilancio in materia di spesa sanitaria, a seguito della rideterminazione del disavanzo sanitario netto per l’esercizio 2006; l.r. n. 15 del 2007, per il contenimento delle spese del personale del S.S.R (artt. 13 e 19).
Puglia: l.r. n. 1 del 2007; l.r. n. 5 del 2007; l.r. n. 10 del 2007; l.r. n. 11 del 2007; l.r. n. 16 del 2007; l.r. n. 24 del 2007; l.r. n. 25 del 2007; l.r. n. 41 del 2007.
Veneto: Dgr n. 2359 del 2007, concernente direttive ai Centri di responsabilità per la formazione delle proposte di budget 2008; Dgr n. 3314 del 2007, recante ulteriori direttive per la gestione del bilancio 2007 ai fini del monitoraggio del Patto di stabilità.
(18)Per la riduzione del costo dei Consiglieri si possono citare le leggi finanziarie della Campania (art. 2, in attuazione della legge n. 244 del 2007), del Molise (art. 16, c. 3) e della Sardegna (art. 3, comma 19). Per le spese di funzionamento si possono invece citare, sempre a titolo di esempio, la legge finanziaria della Liguria che, con l’art. 14, ha ridotto le spese di rappresentanza, nonché il collegato alla finanziaria della Lombardia che è intervenuto sui costi delle segreterie dei Gruppi consiliari (art. 9). In materia il Friuli Venezia Giulia segnala le delibere del 2008 n. 349 e 355 con le quali l’ufficio di Presidenza ha provveduto ad abolire i viaggi di studio all’estero dei Consiglieri e a dimezzare il budget per il loro aggiornamento.
(19) Come esempi di interventi in materia possono essere citate le leggi finanziarie delle regioni: Basilicata (art.8, c.1), Campania (artt. 1 e 53), Liguria (art. 16), Sardegna (art. 7, c. 38) e Puglia che, con l’art. 3, c. 51, ha posto in liquidazione la FinPuglia S.p.A prevedendo tuttavia il trasferimento alla regione delle partecipazioni, detenute dalla stessa società, ritenute “immediatamente rilevanti per l’attuazione dei programmi comunitari”.
(20) Esempi di interventi per la razionalizzazione degli acquisti sono: l’art. 1, c. 2, del collegato alla legge finanziaria della Lombardia relativo al complesso delle spese regionali in materia; l’art. 26, c. 1, della finanziaria della Basilicata volto al contenimento dei costi di approvvigionamento da parte delle Asl, tramite unioni di acquisto e la sperimentazione della delega di funzioni ad una centrale di committenza; l’art. 12 della finanziaria della Liguria che prevede tetti massimi per alcune spese di funzionamento, per i canoni di locazione, nonché per l’acquisto di stazioni di lavoro e di arredi.   Per la riduzione delle spese di comunicazione, si può invece citare l’art. 8 della finanziaria della provincia di Trento e, di nuovo, l’art. 12 della finanziaria della Liguria.
(21) Esempi in proposito sono: l’art. 4 della finanziaria della Valle d’Aosta, in base al quale viene posto un tetto alle assunzioni a tempo indeterminato, rispetto ai posti vacanti della dotazione organica; l’art. 3, c. 16, della finanziaria della Sardegna, che ha disposto il blocco delle iscrizioni al Fondo per l’integrazione del trattamento di quiescenza; l’art. 12 della finanziaria di Bolzano che, in attuazione della sentenza n. 95/2007 della Corte Costituzionale, prevede la soppressione dell’indennità di missione in caso di mancato adeguamento, entro il 31.03.2008, della vigente disciplina provinciale in materia ai principi stabiliti dalla normativa statale (tale disposizione si aggiunge a quelle, citate nel precedente Rapporto, di cui agli artt. Da 7 a 9 della legge finanziaria 2006, valide anche per il 2007, volte al contenimento delle spese di personale, nonché delle spese di funzionamento, per incarichi esterni e per missioni); l’art. 11 della finanziaria della Liguria che fissa un tetto alle spese di trasferta per il 2008, pari all’ammontare degli impegni assunti nel 2007 diminuito del 20%.
(22) Interventi del tipo di quelli richiamati nel testo sono stati ad esempio segnalati dalle regioni Abruzzo (l.r. n. 34 del 2007 “Disposizioni per l’adeguamento normativo e il funzionamento delle strutture”, artt. 8,16 e 57), Basilicata (legge finanziaria 2008, artt. 8 e 9), Lazio (l.r. n. 15 del 2007 relativa all’assestamento del bilancio, artt. 4 e 8), Molise (legge finanziaria 2008, art. 15) e Sicilia (legge finanziaria 2008, artt. 2 e 3).
(23) In particolare, il Lazio, con l’art. 5 della finanziaria 2008 ha fissato al 75% il limite massimo di impegno rispetto agli stanziamenti. Il Molise, invece, ha imposto il divieto, per l’anno 2008, di erogare anticipazioni ed acconti oltre il limite del 10 per cento ai beneficiari dei finanziamenti pubblici regionali di qualsiasi natura, salve alcune eccezioni (legge finanziaria 2008, art. 15). Per quanto riguarda la Sardegna, l’art. 7, c. 36, della legge finanziaria 2008 ha disposto il trasferimento ai comuni delle competenze di spesa (e delle entrate relative) in materia di industria (opere urbanizzazione, aree attrezzate, impianti fornitura servizi, recupero immobili per programmi deindustrializzazione).
(24) In particolare, la finanziaria di Trento reca disposizioni per il contenimento delle spese di personale e per il relativo monitoraggio da parte della provincia (art. 11), nonché per la riduzione degli oneri relativi all’estinzione anticipata dei mutui, attraverso l’assunzione totale o parziale, da parte della provincia, degli oneri relativi a indennizzi e altre spese derivanti da tali operazioni (art. 12).
(25) In Toscana, ad esempio, la relazione di accompagnamento al progetto di bilancio di previsione per il 2007 contiene informazioni della Giunta sugli effetti delle misure adottate nei precedenti esercizi (soprattutto relativamente all’aumento degli importi della tassa automobilistica regionale, introdotto con la l.r. 52/2006, che ha determinato entrate superiori al previsto) e i contenuti della relazione sono stati oggetto di un ampio dibattito sia in Commissione che in Consiglio regionale. Sottolineano l’importanza dei Rapporti di gestione la Lombardia e il Veneto (dove, nel 2007, è stato presentato quello per il 2006). L’esistenza di un rapporto di gestione è segnalata anche dalla provincia autonoma di Trento (nel 2007 è stato presentato quello per il 2005 in versione definitiva e quello per il 2006 in versione provvisoria).
(26) Al riguardo è interessante citare la legge finanziaria del Lazio che, con l’art. 8, ha introdotto, mediante modifiche a carattere ordinamentale, l’obbligo a carico della Giunta di trasmettere alla Commissione consiliare competente relazioni trimestrali sui conti di cassa della Regione e degli enti da essa dipendenti.
(27) Le riduzioni di spesa, suddivise per funzioni, sono le seguenti: attività degli organi assembleari in carica e oneri derivanti da precedenti legislature -11,1%; relazioni istituzionali -21,2%; logistica -5,2%; sistemi informatici -7,0%; documentazione -20,2%; comunicazione e informazione -16,4%; personale -1,6%; consulenze, alternanze scuola-lavoro, tirocini formativi, ecc. -36,0%.
(28) La diminuzione ha riguardato soprattutto le spese di rappresentanza, per incontri e iniziative varie (riduzione superiore al 10%), quelle per consulenze, studi e progetti (-28,6%), quelle per spese varie di ufficio (-7,4%), oltre alla riduzione delle disponibilità per spese di sistemazione degli uffici.
(29) In alcuni casi sono state fornite indicazioni sui contenuti dell’accordo. Ad esempio, in Friuli Venezia Giulia esso prevede un limite agli impegni di spesa di parte corrente e in c/capitale e un limite per i pagamenti determinato dalla competenza mista, intesa come somma degli impegni di spesa di parte corrente e dei pagamenti in conto capitale. Ai fini del Patto, le spese correnti e in conto capitale sono considerate al netto della spesa per la sanità, dei trasferimenti alle pubbliche amministrazioni e delle concessioni di crediti. In Sicilia, l’accordo dell’agosto 2007 prevede invece: limiti degli impegni 2007 al livello degli impegni assunti nell’esercizio 2005, ridotti del 3,1%; limiti dei pagamenti 2007 al livello dei pagamenti 2005 incrementati del 9%; l’impegno a contenere gli oneri relativi alle spese per il personale, tenendo conto delle risultanze del Piano di riorganizzazione dell’amministrazione regionale previsto dall’art. 11 della l.r. n. 2 del 2007 (finanziaria regionale ).
(30) Per quanto riguarda i contenuti, il Friuli Venezia Giulia cita l’articolo 3, commi 48 e 49, della legge regionale 23 gennaio 2007, n. 1, (Disposizioni per la formazione del bilancio pluriennale e annuale della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia ), nonché il D.P.Reg. 064 del 19/03/2007, Regolamento per la determinazione dei criteri e delle modalità per il concorso degli enti locali della Regione per la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica adottati con l’adesione al patto di stabilità e crescita. In tali documenti è previsto: il conseguimento dell’equilibrio economico di cui all’articolo 162, comma 6, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in termini di competenza e di cassa; la riduzione del rapporto tra debito e prodotto interno lordo nazionale, al fine di conseguire effetti positivi sul contenimento della spesa per interessi e quindi della spesa corrente. Gli enti destinatari sono le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, ma ai comuni con popolazione inferiore e alle comunità montane è data facoltà di aderire alle misure adottate. Ulteriori informazioni sono fornite dalla provincia autonoma di Trento e dalla valle d’Aosta: la prima rinvia al sito www.autonomielocali.provincia.tn.it.; la seconda cita la Deliberazione della Giunta n. 458 del 23/02/2007.
(31) Nello specifico si tratta delle seguenti: Del. G. R. 28/57 del 26/07/2007; Del. G. R. N. 45/16 del 7/11/2007; Del. G. R. N. 48/36 del 29/11/2007.
(32) In materia di finanza locale, la provincia autonoma di Trento, ad esempio, segnala, con riferimento alla legge finanziaria 2008, l’art. 13 relativo ai tempi entro i quali gli enti locali possono decidere variazioni ai propri tributi e l’art. 14 concernente la tariffa rifiuti.
(33) Come esempi in materia si possono citare: per quanto riguarda la lotta all’evasione, l’art. 7 della legge finanziaria della Liguria che, a tal fine, promuove attività di collaborazione, cooperazione e scambio di informazioni con le amministrazioni fiscali dello Stato e degli enti locali, anche mediante la stipulazione di accordi o convenzioni; per la tutela del contribuente, gli artt. da 85 a 88 della legge finanziaria della Campania e il Titolo I della legge n. 36 del 2007 dell’Umbria.
(34) Come sottolinea la regione nel questionario, la norma mira ad attuare il principio costituzionale della territorialità delle risorse relative ai tributi che incidono sulla comunità rappresentata. L’applicazione della nuova modalità di riscossione diretta deve essere inserita nell’attuale sistema di riscossione delle imposte che individua, con apposita convenzione, l’Agenzia delle Entrate come soggetto istituzionale preposto al sistema di versamento unificato e di dichiarazione unificata. Disposizioni analoghe sono state adottate dalle regioni Toscana e Veneto.
(35) In particolare, come indicato al punto 9 della sentenza n. 102 del 2008, le ipotesi per quali è stato effettuato il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea sono le seguenti: “a) se l'art. 49 del Trattato debba essere interpretato nel senso che osti all'applicazione di una norma, quale quella prevista dall'art. 4 della legge della Regione Sardegna 11 maggio 2006, n. 4 (Disposizioni varie in materia di entrate, riqualificazione della spesa, politiche sociali e di sviluppo), nel testo sostituito dall'art. 3, comma 3, della legge della Regione Sardegna 29 maggio 2007, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione – Legge finanziaria 2007), secondo la quale l'imposta regionale sullo scalo turistico degli aeromobili grava sulle sole imprese che hanno domicilio fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti aeromobili da esse stesse utilizzati per il trasporto di persone nello svolgimento di attività di aviazione generale d'affari; b) se lo stesso art. 4 della legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo sostituito dall'art. 3, comma 3, della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, nel prevedere che l'imposta regionale sullo scalo turistico degli aeromobili grava sulle sole imprese che hanno domicilio fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti aeromobili da esse stesse utilizzati per il trasporto di persone nello svolgimento di attività di aviazione generale d'affari, configuri – ai sensi dell'art. 87 del Trattato – un aiuto di Stato alle imprese che svolgono la stessa attività con domicilio fiscale nel territorio della Regione Sardegna; c) se l'art. 49 del Trattato debba essere interpretato nel senso che osti all'applicazione di una norma, quale quella prevista dallo stesso art. 4 della legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo sostituito dall'art. 3, comma 3, della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, secondo la quale l'imposta regionale sullo scalo turistico delle unità da diporto grava sulle sole imprese che hanno domicilio fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti unità da diporto la cui attività imprenditoriale consiste nel mettere a disposizione di terzi tali unità; d) se lo stesso art. 4 della legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo sostituito dall'art. 3, comma 3, della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, nel prevedere che l'imposta regionale sullo scalo turistico delle unità da diporto grava sulle sole imprese che hanno domicilio fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti unità da diporto la cui attività imprenditoriale consiste nel mettere a disposizione di terzi tali unità, configuri – ai sensi dell'art. 87 del Trattato – un aiuto di Stato alle imprese che svolgono la stessa attività con domicilio fiscale nel territorio della Regione Sardegna”.
(36) Abruzzo - L.f. 2008: art. 1, c. 20, proventi del deposito cauzionale sulle concessioni e autorizzazioni idrauliche. L.r. 45/2007: artt. 59-62, tributo speciale rifiuti.
Basilicata - L.f. 2008: art. 31, tariffe per prestazioni diagnostiche e strumentali; art.40, tributo speciale rifiuti; art. 44, tariffe tpl (fondo per compensare aziende da eventuali perdite per attivazione sistema tariffazione integrata).
Campania - L.f. 2008: art. 19, Contributo ambientale a carico di titolari di autorizzazioni estrattive; art. 39, tariffe tpl (adeguamento annuale, al minimo in base al tasso di inflazione programmato); art. 58, diritto proporzionale a carico esercenti concessione imbottigliamento acque minerali.
Lazio - L.f.2008: art. 85, addizionale regionale sul gas metano per uso industriale. L.r. 15/2007: art. 7, diritti a carico dei titolari di concessioni minerarie e di autorizzazione all’utilizzazione delle acque minerali (adeguati dalla regione ogni due anni, tenuto conto delle variazioni degli indici ISTAT).
Liguria - L.f. 2008: art. 6, concessioni regionali.
Lombardia - L.r. 18/2007: art. 7, riforma della disciplina del tributo speciale rifiuti. L.f. 2008: art. 1, c. 2, addizionale regionale canoni utenze acque (abrogata) e tributo speciale rifiuti.
Marche - L.f. 2008: art. 24, disciplina delle attività estrattive e delle relative tariffe; art. 25, canoni utenze acque pubbliche; art. 26, add. Reg. all’accisa sul gas naturale e imposta sostitutiva per le utenze esenti; art. 31, tasse su concessioni regionali; art. 33, tributo speciale rifiuti.
Provincia autonoma di Trento - L.f. 2008: art. 18, canone acque minerali.
Puglia - L.f. 2008: art. 3, c.1, rideterminazione delle aliquote dell’addizionale regionale all'accisa sul gas naturale e dell'imposta sostitutiva di detta addizionale per le utenze esenti.
Toscana - l.f. 2008: art. 8, addizionale regionale all’accisa sul gas naturale; artt. 10-11, canoni dei permessi di ricerca di sostanze minerali e di risorse geotermiche
Umbria - l.r. 36/2007: art. 25, variazione dei diritti annui derivanti da permessi di ricerca o concessioni di acque minerali e di contributi per la tutela ambientale; art. 26, contributi per l’attività di cava e per il riuso di materiali da demolizioni. l.r. 37/2007: Tassa di concessione regionale per l'abilitazione all'esercizio venatorio.
Veneto - l.f. 2008: art 39, aumento del 100% dei canoni per concessioni di derivazione di acque sotteranee destinate a qualsiasi uso e di acque superficiali; destinazione degli introiti per la salvaguardia delle risorse idriche nelle aree interessate. l.r. 36/2007: art. 5, addizionale regionale all’accisa sul gas naturale; art. 6, tasse sulle concessioni regionali.
 
 


 
9.1.La partecipazione diretta al processo normativo comunitario e dell’Unione europea
La partecipazione delle Regioni, “nelle materie di loro competenza”, alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari è un elemento di sicura novità recato dalla riforma del Titolo V della Costituzione. L’articolo 117, quinto comma, della Costituzione completa questa previsione con una riserva di legge statale al fine di stabilire le norme di procedura da rispettare al riguardo (1).
La legge n. 131 del 2003 è intervenuta in prima attuazione, limitandosi proprio alla disciplina delle ipotesi in cui le Regioni, nella fase cosiddetta ascendente, concorrono alla formazione degli atti comunitari in modo diretto, cioè entrando a far parte, attraverso propri rappresentanti, delle delegazioni del Governo che operano in sede comunitaria.
Tale disciplina, contenuta nell’articolo 5 della legge, come è noto ha avuto un seguito difficile e controverso. Ciò non tanto per il fatto di aver circoscritto la partecipazione delle Regioni alle “materie di loro competenza legislativa”, intendendo così in senso restrittivo il nuovo testo costituzionale, quanto perché, preferendo che aspetti importanti delle modalità operative venissero concordati in sede di Conferenza Stato-Regioni, è andata incontro a ritardi, rinvii e soluzioni parziali.
In Conferenza si doveva decidere su due profili distinti. In realtà un “accordo generale di cooperazione”, raggiunto il 16 marzo 2006 in Conferenza, non è quello espressamente richiesto dalla legge al preciso scopo di determinare criteri e procedure per la designazione del Capo delegazione: ed infatti su questo profilo, politicamente impegnativo, la convergenza ancora stenta a realizzarsi. Probabilmente un freno viene dal testo stesso della legge. Infatti, non pare in gioco solo la possibilità (già di per sé delicata) che Capo delegazione sia un Presidente di regione; il tenore della disposizione in esame si presta anche a una lettura incentrata non esclusivamente su quel punto, quanto piuttosto sul preciso riferimento alle materie di competenza residuale (articolo 117, quarto comma, della Costituzione): questo, e non l’altro, sembra essere il presupposto che porta alla necessità di un accordo, poiché la pienezza delle attribuzioni regionali può giustificare la determinazione comune di specifici criteri e procedure che guidino il Governo nella designazione del Capo delegazione anche nel caso in cui questi sia un membro di provenienza governativa (e non regionale).
Peraltro si era avuto modo di concordare alcuni aspetti, forse meno caldi, relativi alla presenza regionale nelle delegazioni. Però neanche questo profilo ha potuto trovare applicazione, mancando da parte regionale la predisposizione della lista dei rappresentanti (per la partecipazione alle attività del Consiglio dell’Unione europea) e dell’elenco degli esperti (per partecipare ai gruppi di lavoro e ai comitati del Consiglio e della Commissione europea).
In una Sessione comunitaria della Conferenza Stato-Regioni, a fine 2006 (2), il Ministro sembrava auspicare un’accelerazione, mentre le Regioni richiedevano una previa individuazione delle riunioni di Consiglio dedicate a materie di competenza regionale (in modo da poter calibrare la propria rappresentanza) e, soprattutto, evidenziavano un delicato punto politico relativo alla composizione della compagine regionale all’interno della delegazione governativa, dato che per legge (3) deve essere prevista la partecipazione di almeno un rappresentante delle Regioni a Statuto speciale su un numero totale comunque ridottissimo di posti a disposizione (in potenziale conflitto con le regioni ordinarie, più numerose).
Quasi a conferma del problema, il punto della piena attuazione del primo profilo richiamato (relativo al Capo delegazione) non sembra più comparire all’ordine del giorno delle Sessioni comunitarie del 2007. Quanto al secondo profilo, il Dipartimento politiche comunitarie ha reso noto di aver ricevuto dalla Conferenza delle regioni, in data 8 novembre 2007, un primo elenco di esperti regionali designati per partecipare all’attività dei gruppi di lavoro e dei comitati in sede europea. Questo poi è destinato ad essere acquisito dalla Conferenza Stato-Regioni. Per una effettiva applicazione mancano però l’elenco dei gruppi di lavoro e dei comitati cui è prevista la partecipazione regionale, nonché un testo relativo alle modalità pratiche di attuazione dell’accordo generale: entrambi i documenti si vanno definendo di comune accordo tra amministrazioni centrali e regionali (che predispongono osservazioni ed eventuali modifiche), in vista di una seduta della Conferenza Stato-Regioni del 2008.
Come segnalato in passato, i tempi delle convocazioni si dilatano ed il canale di partecipazione diretta delle Regioni, previsto dalla legislazione, non può essere percorso in attesa di una completa attuazione, affidata a una regolazione consensuale faticosa da raggiungere. Così l’atto a più bassa formalizzazione, ma ad alto tasso politico e ‘cooperativo’, può accadere che condizioni l’effettiva realizzazione del disegno costituzionale e legislativo.
9.2. La partecipazione indiretta
Modalità rilevanti di partecipazione indiretta alla formazione del diritto comunitario sono previste dalla legge n. 11 del 2005, che quindi, per questo specifico aspetto, soddisfa la riserva di legge posta dal nuovo articolo 117, quinto comma, della Costituzione (4).
In particolare la legge, da un lato, nello stabilire la procedura innovativa che coinvolge esecutivi e legislativi statali e regionali, incardina le Regioni in una sequenza di attività che concorrono alla definizione della posizione nazionale in sede europea; dall’altro, inserisce le Regioni in organismi statali attraverso cui il Governo coordina le linee politiche da portare in sede comunitaria.
Viene in rilievo dunque, da una parte, la creazione e la messa a regime dei meccanismi che consentono una partecipazione informata. Recentemente sono stati compiuti sforzi per organizzare un sistema di trasmissione tempestiva, sistematica e completa della documentazione comunitaria d’interesse regionale (5), che correttamente è inteso come presupposto essenziale di ogni decisione ed architrave di tutta la costruzione procedurale predisposta dal legislatore. Il sistema informatico ha sostituito quello cartaceo, per poter trattare più agevolmente una massa di documenti enorme (6). Nel corso del 2007, infatti, il Dipartimento ha effettuato 74 trasmissioni (7), per un totale di 34.971 documenti, in pari misura tanto alla Conferenza delle Regioni quanto alla Conferenza dei Presidenti dei Consigli. Sono trasmessi i progetti di atti comunitari e dell’Unione europea, gli atti preordinati alla formulazione dei progetti, le loro modificazioni, compresi i documenti di consultazione, quali libri verdi, libri bianchi e comunicazioni, cioè anche gli atti a carattere conoscitivo, consultivo e di indirizzo cui le istituzioni dell’Unione fanno ampiamente ricorso, come preparazione per le decisioni. La possibilità di accesso alla totalità di questi documenti, su base paritaria rispetto allo Stato, ha rappresentato per lungo tempo un obiettivo delle Regioni, per una partecipazione consapevole al processo normativo europeo (secondo quanto definito dall’art. 5 della legge n. 11 del 2005). Oggi, anche se il Programma legislativo comunitario annuale (8) costituisce un valido ausilio all’orientamento per individuare le priorità d’interesse regionale, certamente una trattazione efficiente ed un utilizzo adeguato di una tale quantità di dati sono fonte di preoccupazione per più di una amministrazione regionale.
Dall’altra parte, la conoscenza delle iniziative comunitarie d’interesse regionale è premessa per la presenza regionale in organismi statali di coordinamento, quali il Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE) ed il suo Comitato tecnico permanente (commi 2 e 4 dell’art. 2 della legge n. 11). In base alla legge, quando si trattano questioni che interessano anche le Regioni, queste, rispettivamente, possono chiedere di partecipare al primo, attraverso il presidente della Conferenza dei presidenti, oppure integrano normalmente la composizione del secondo, attraverso gli assessori o loro delegati. Interessante è disporre di elementi in relazione alla effettiva frequentazione regionale di questi percorsi (su cui si tornerà tra breve).
Le Regioni sembrano aver superato l’iniziale diffidenza nei confronti di questo nuovo Comitato interministeriale (9), causata dal timore che esso potesse assumere un ruolo anche solo parzialmente sostitutivo del sistema delle Conferenze, ben collaudato e meglio bilanciato in termini di rapporti di forza tra centro e periferia (10).
Sin dalla suo primo avvio operativo, infatti, si è avuto modo di verificare che le attività poste in essere dal CIACE sono state condotte dal Dipartimento politiche comunitarie, che ne cura il funzionamento, in modo che non eccedessero l’ambito delle materie di esclusiva competenza statale. L’esigenza cui questo organismo tenta di rispondere si conferma quella, dichiarata, di migliorare il coordinamento dei dicasteri e delle amministrazioni centrali per formare una posizione unitaria in vista delle trattative da condurre in sede europea.
In questa linea di rinnovata attenzione verso il tema cruciale della struttura di governo possono inscriversi recenti provvedimenti, quali la creazione di un apparato servente il Comitato (11), o la costituzione della Rete Permanente UE all’interno della Presidenza del Consiglio. In particolare, anche questa nuova formula organizzativa – cui è affidato il compito di realizzare un collegamento tra le tante strutture pubbliche competenti senza crearne di nuove, e cui il Comitato presta il proprio apporto tecnico e documentale – mira a far convergere logiche altrimenti settoriali, puntando sulla maggiore efficacia di un indirizzo comune e condiviso nello scenario delle politiche europee (12).
Certo, oltre all’obiettivo di una migliore efficienza e funzionalità degli apparati (condivisibile e sempre da perseguire), tutto ciò incarna un orientamento teso al rafforzamento del ruolo centrale del Governo nelle relazioni con l’Unione europea. Ora è presto per dire se ciò avverrà in modo unilaterale o all’interno di un processo di crescita complessiva dello stato regionale e delle sue regole; e se poi l’attesa riduzione della frammentazione amministrativa centrale favorirà il confronto con le Regioni, che, forti delle proprie competenze, potranno beneficiare di una posizione statale resa più visibile e univoca; o se invece l’auspicato indirizzo comune assumerà i caratteri di un indirizzo uniforme, con un effetto di compressione sulle Regioni, che in un circuito razionalizzato e irrobustito sono solo uno dei soggetti coinvolti; o se, ancora, un approccio non contrappositivo contribuirà ad individuare, graduare, rappresentare e sostenere meglio gli interessi nazionali (di tutte le articolazioni della Repubblica) nell’arena europea.
9.2.1. Le leggi regionali di procedura per la partecipazione
La tendenza alla concentrazione delle funzioni relative alla materia comunitaria in capo agli esecutivi (nella misura un cui possono ancora dirsi tali in base all’ordinamento vigente) è riscontrabile non solo a livello statale. Fa parte da tempo di un più generale contesto determinato, come è noto, dalle riforme che hanno portato nuovi sistemi elettorali, un diverso sistema politico-partitico, nuove forme di governo, uno spostamento di potere dai Consigli alle Giunte, un diverso rapporto tra maggioranza e opposizione.
E’ comprensibile, quindi, che in un consistente numero di Regioni non vengano compiuti tutti i passi necessari a predisporre un adeguato quadro di regole in ordine al processo di partecipazione regionale alla formazione del diritto comunitario: l’assenza di normativa specifica lascia uno spazio quasi esclusivo alla Giunta o al Presidente.
Altre Regioni, invece, hanno ritenuto di apprestare una disciplina. In tal modo adeguano doverosamente l’ordinamento interno al nuovo quadro costituzionale e legislativo, che presenta, tra i caratteri innovativi, proprio la partecipazione regionale alla fase ascendente, e forniscono un contributo, non solo strettamente attuativo, al consolidamento della trama procedurale nazionale.
I primi interventi di questo tipo sono stati quelli dell’Emilia-Romagna, legge 24 marzo 2004, n. 6, e del Friuli Venezia Giulia, legge 2 aprile 2004, n. 10. Successivamente si sono attivate la Valle d’Aosta, legge 16 marzo 2006, n. 8, e le Marche, legge 2 ottobre 2006, n. 14.
Nel corso dell’anno seguente, una espressa disciplina legislativa al riguardo è stata introdotta dalla Calabria e dall’Umbria, nonché dal Friuli Venezia Giulia, che è tornato a legiferare, con maggiore dettaglio, in materia.
Le scelte operate da ciascun legislatore, peraltro, mostrano elementi di differenza nei contenuti e nel modello di forma di governo adottato.
La Calabria, con la legge n. 3 del 2007 (13), ha ritenuto di non introdurre una normativa dettagliata (al contrario di quanto contestualmente prescelto per la fase discendente), limitandosi a disporre che la posizione della Regione sulle proposte di atto comunitario è definita “d’intesa” da Giunta e Consiglio (art. 2) e che (art. 15), per quanto non espressamente previsto, si applica la legge statale n. 11 del 2005. Questa soluzione, incentrata su una stretta relazione tra legislativo ed esecutivo, ove di norma il Consiglio detiene un potere generale di indirizzo, appare come il tratto caratteristico dell’assetto regionale adottato in materia e trova poi conferma nella previsione di puntuali atti consiliari d’indirizzo alla Giunta per le negoziazioni relative alla programmazione comunitaria (artt. 11 e 12) e agli accordi di programma quadro (artt. 13 e 14).
Il Friuli Venezia Giulia, nella legge n. 17 del 2007 (14), opta invece per una disciplina analitica e posta all’interno di un disegno che prefigura un ruolo della Giunta più marcato. Lo schema di base è tale per cui il Presidente garantisce l’informazione al Consiglio e questo stabilisce il quadro degli indirizzi entro cui il Presidente “promuove” la più ampia partecipazione della Regione alle decisioni dirette alla formazione degli atti comunitari (art. 17, comma 1). Pertanto il Presidente informa tempestivamente il Consiglio sulle proposte relative alla formazione del diritto comunitario (inserite all’ordine del giorno dei Consigli dei ministri, nazionale e dell’Unione europea, cui egli prenda parte), sui temi decisi o in discussione in ambito comunitario, sulle risultanze delle riunioni del Consiglio dei ministri dell’UE (art. 17, commi 4 e 5) (questo circuito informativo interno, che fornisce documentazione ulteriore, non esclude quello ordinario, previsto dalla legge statale, operante tra la Presidenza del Consiglio e le assemblee regionali) (15). In particolare, poi, ove la Giunta intenda esprimersi su specifici progetti di atti comunitari, il Consiglio, ricevuta la documentazione dal Presidente, può formulare osservazioni e adottare ogni opportuno atto di indirizzo alla Giunta (artt. 17, commi 2, 3, 6) (mentre può sempre trasmettere autonomamente osservazioni alla Presidenza del Consiglio (16), come previsto dal regolamento interno). Con queste modalità il Consiglio “concorre alla formazione degli atti dell’Unione europea” (art. 8, 1° comma, lett. d) ).
L’Umbria, con la legge n. 23 del 2007 (17), un provvedimento di riforma plurisettoriale, richiama nel dettaglio i passaggi della procedura nazionale che prefigurano i nuovi spazi per la partecipazione regionale e, in ordine ad essi, dispone una vasta attribuzione di competenza al Presidente. Così la legge, anche dando seguito alla legge statale, si incarica di operare quelle scelte di definizione dei rispettivi ruoli di Giunta e Consiglio, in merito alle quali lo Statuto, indicando genericamente “la Regione”, non si era pronunciato (cfr. art. 25 dello Statuto). Pertanto sono indicati gli strumenti attraverso i quali il Presidente “assicura” la più ampia partecipazione della Regione (sempre secondo le modalità di cui alla legge n. 11 del 2005) nel quadro dell’indirizzo fissato dal Consiglio: partecipazione personale e poteri di nomina (al Comitato delle Regioni, ai gruppi di lavoro e ai comitati del Consiglio e della Commissione europea, al Consiglio dei ministri nel caso di esecuzione regionale di decisioni delle Comunità europee, ai gruppi di lavoro e ai tavoli di coordinamento nazionali), poteri di iniziativa e di impulso (formulare osservazioni al Governo e al Parlamento, richiedere la convocazione della sessione comunitaria della Conferenza Stato-Regioni, proporre al Governo il ricorso dinanzi alla Corte di giustizia della Comunità europea, assumere le ulteriori iniziative per esprimere il parere regionale sugli atti normativi comunitari). Sulle attività svolte il Presidente riferisce al Consiglio.
9.2.2. I regolamenti interni dei Consigli
Lo slittamento, che talora si è osservato, dalla fonte statutaria a quella legislativa si verifica analogamente in direzione dei regolamenti interni, attraverso i quali i Consigli organizzano la propria attività.
In alcune occasioni questa è parsa la sede più opportuna per scelte altrimenti difficili da collocare, anche se gli spazi per poter incidere attraverso questa fonte sugli aspetti più delicati che caratterizzano la forma di governo risultano tanto più utilmente percorribili quanto meno i rapporti tra legislativo ed esecutivo sono definiti dallo Statuto; e anche se, per contro, un minor presidio statutario attenua la garanzia e riduce il parametro utilizzabile all’interno della Regione per il controllo di legittimità.
Ad ogni modo, dato che la legislazione statale disegna un quadro procedurale piuttosto dettagliato, è affidato sicuramente all’ordinamento di ciascuna regione il compito di svilupparne e di adattarne i contenuti scegliendo il punto di equilibrio delle relazioni tra Consiglio, Giunta, Presidente. E si è potuto appunto vedere, quanto alla scelta del tipo di fonte, che taluni contenuti normativi che in una Regione compaiono, ad esempio, nella legge, in un’altra compaiono nel regolamento consiliare.
E’ questo il caso dell’Umbria, ove il nuovo regolamento interno, approvato con deliberazione del Consiglio regionale 8 maggio 2007, n. 141, contiene la disciplina di alcuni aspetti che il Friuli ha invece inteso trattare in sede legislativa (art. 17 della legge n. 17 del 2007), come tutta la parte relativa ai compiti di informazione spettanti al Presidente nei confronti del Consiglio (art. 32, 2° comma). Per altro verso, con riferimento ai progetti comunitari che la Conferenza dei Presidenti delle assemblee legislative delle Regioni trasmette ai Consigli, la previsione che questi deliberino osservazioni a loro volta da trasmettere ai competenti organi statali trova disciplina in sede di regolamento interno sia in Umbria (art. 32, 4° comma), sia in Friuli (art. 191).
Anche l’Emilia-Romagna ha completato l’elaborazione del nuovo regolamento dell’assemblea, ora approvato con deliberazione assembleare 28 novembre 2007, n. 143, ed anch’esso mostra di trattare, propriamente, la medesima questione dell’esame dei progetti comunitari e della formulazione di osservazioni, affidandolo alla Commissione rapporti con l’UE assieme all’altro esame, pure rilevante, del rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità (art. 38, 4° comma). La Regione mostra attenzione al tema anche prevedendo opportunamente l’esame del programma legislativo annuale della Commissione europea e, insieme, la relazione sullo stato di conformità dell’ordinamento regionale a quello comunitario, con iter in commissione riunita in sessione comunitaria (e le medesime procedure previste per l’esame della legge per il periodico recepimento delle direttive, art. 38, 1°, 2° e 3° comma).
9.2.3. I casi di effettiva partecipazione
Le previsioni normative, variamente dislocate in atti di diversa natura ma tutte comunque orientate a costruire una intelaiatura procedurale a sostegno della partecipazione regionale, ancora risultano produrre scarsi effetti. Il processo, certo, è graduale, ma per il momento non è possibile disporre di elementi di valutazione del reale grado di coinvolgimento dei Consigli, perché gli indicatori approntati presentano un ritorno di dati inespressivo.
La stessa legislazione statale prevede per le assemblee regionali, come è noto, forti poteri di informazione e spazi definiti di partecipazione in importanti passaggi del complessivo processo nazionale, che però non sembrano essere stati utilizzati.
I Consigli non segnalano, per l’anno di riferimento, casi di effettiva formulazione e trasmissione di proprie osservazioni al Governo sui progetti di atti comunitari e dell’Unione europea ricevuti dalla Presidenza del Consiglio tramite la Conferenza dei Presidenti delle assemblee, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 11 del 2005. Si ha notizia che alcuni dei meccanismi formalmente previsti, di cui si è dato conto sopra, non hanno avuto ancora applicazione.
Allo stesso modo non emergono casi di esame di proposte normative comunitarie da parte del Consiglio con la conseguente approvazione di atti di indirizzo.
Le eventuali iniziative poste in essere dalle Giunte e dai Presidenti paiono poco visibili in Consiglio.
Si confermano, dunque, al riguardo tutte le considerazioni avanzate con riferimento ad alcuni importanti elementi strutturali, anche interni, che connotano l’attuale sistema regionale e si sommano ad altri fattori di debolezza.
Possono peraltro segnalarsi alcuni rari casi di interessanti forme particolari di partecipazione regionale. Il Consiglio delle Marche è partner della rete sulla sussidiarietà costituita dal Comitato delle regioni dell’Unione europea ed ha quindi partecipato (come già in passato l’Emilia-Romagna) alla II fase del test sulla verifica dei princìpi di sussidiarietà e di proporzionalità proposto dal Comitato delle Regioni.
Allo stesso modo il Consiglio della Toscana che, dopo una fase sperimentale nell’autunno 2006, ha affidato al settore di assistenza generale alle commissioni lo svolgimento dei test proposti dal Comitato.
 
9.3. Regioni ed attuazione del diritto comunitario
 
9.3.1. Le leggi regionali di procedura per l’attuazione del diritto comunitario
Le Regioni che per prime hanno tenuto conto del nuovo quadro, determinato dal nuovo titolo V della Costituzione e dalla conseguente legislazione statale, e in base ad esso hanno predisposto (per lo più contestualmente a norme procedurali per la fase ascendente) una nuova disciplina legislativa sui procedimenti di attuazione del diritto comunitario e dell’Unione europea, sono state l’Emilia-Romagna, con la legge 24 marzo 2004, n. 6, ed il Friuli Venezia Giulia, con la legge 2 aprile 2004, n. 10.
Ad esse hanno fatto seguito la Valle d’Aosta, attraverso la legge 16 marzo 2006, n. 8, e le Marche, con la legge 2 ottobre 2006, n. 14.
Ora a questo piccolo gruppo si aggiungono altre due regioni: la Calabria e l’Umbria.
La Calabria ha prodotto un testo organico, la legge 5 gennaio 2007, n. 3 (18), espressamente dedicato al tema della partecipazione della regione al processo normativo comunitario, con particolare riguardo alla cosiddetta fase discendente. La struttura del provvedimento mostra di tenere conto dell’articolazione procedurale delineata dalla legge dello Stato (cui anzi la norma di chiusura, art. 16, fa esplicito rinvio per quanto non espressamente previsto) e disciplina partitamente le modalità di adeguamento dell’ordinamento regionale agli obblighi comunitari.
Rileva in particolare la previsione dello strumento della legge regionale comunitaria e di una serie di qualificati adempimenti ad essa preparatori o connessi. Infatti è affidato alla Giunta il compito di effettuare una verifica costante della normativa comunitaria, per garantire lo stato di conformità ad essa dell’ordinamento regionale, e di riferire al riguardo al Consiglio nell’ambito della relazione di accompagnamento al disegno di legge comunitaria, in modo che il testo possa essere elaborato e discusso sulla base di dati di conoscenza verificabili e aggiornati (artt. 5 e 3, comma 3, nonché 4, comma 3, lett. b) ). Le risultanze di tale verifica sono, altresì, disponibili per essere trasmesse alla Presidenza del consiglio dei ministri - insieme con quelle parallelamente predisposte dalle altre regioni e con i dati provenienti dai molti apparati coinvolti - e contribuire alla preparazione della legge comunitaria nazionale (secondo le sequenze disposte dalle norme generali di cui alla legge n.11 del 2005, art. 8, soprattutto artt. 3 e 5, con la lieve modifica introdotta dalla legge comunitaria 2007, la n. 34 del 2008).
Secondo la locale legge di procedura, anche in Calabria la legge comunitaria regionale – recante nel titolo tale espressa qualificazione, con l’indicazione dell’anno di riferimento (19) - risponde all’esigenza tipica di garantire il periodico adeguamento dell’ordinamento agli obblighi comunitari. Pertanto, quanto ai contenuti (art. 4), dà attuazione agli atti normativi comunitari (recepisce le direttive, attua i regolamenti), alle sentenze della Corte di giustizia e alle decisioni della Commissione europea, apportando le conseguenti necessarie modifiche alla legislazione regionale vigente; stabilisce una riserva di legge comunitaria nei casi in cui l’adeguamento comporti nuove spese o minori entrate, o l’istituzione di nuovi organi amministrativi; delimita i confini del proprio intervento sia individuando gli atti normativi comunitari cui la Giunta è autorizzata a dare attuazione in via amministrativa, e allora dettando i relativi princìpi e criteri direttivi, sia stabilendo che sia predisposto, in allegato (assieme alla relazione sullo stato di conformità, sopra richiamata), l’elenco delle direttive che non necessitano di provvedimento di attuazione in quanto presentino determinati caratteri (20).
Peraltro la Calabria conferma la preferenza per lo strumento legislativo – in linea con le indicazioni fornite dallo Statuto - anche con riferimento alle ipotesi in cui gli obblighi di adempimento all’ordinamento comunitario impongano tempi più serrati rispetto a quelli prefigurati per la legge comunitaria e pertanto richiedano misure urgenti (cfr. art. 10). In queste ipotesi la Giunta presenta una proposta di legge (fissando il termine per l’approvazione), oppure, di fronte a una particolare urgenza, il Presidente e/o il Consiglio attivano gli strumenti, previsti dal regolamento, della proposta prioritaria e della procedura redigente (sebbene la configurabilità di questa seconda via a livello regionale sia ancora discussa in dottrina).
Dai tratti complessivi del dato normativo regionale pare confermarsi - a differenza di altre regioni - un modello caratterizzato da significativi e frequenti elementi di dialogo e collaborazione tra Consiglio e Giunta, con spazi decisionali importanti spettanti all’assemblea assieme ad una sua visibile presenza nella funzione di indirizzo e controllo (ad esempio anche in occasione delle sessioni comunitarie, artt. 6 e 7), come presupposti tecnico-giuridici per una incidenza effettiva. Coerentemente, l’esecutivo mostra una prevalenza degli elementi di collegialità (a cominciare dalla fase dell’iniziativa) su quelli più tipicamente presidenziali (quali la convocazione della sessione comunitaria della Giunta, di cui all’art. 7, o la richiesta al Governo statale, art. 9, di promuovere ricorso dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee) (21).
Tali tratti distintivi della forma di governo regionale, almeno con riferimento a questa materia, trovano del resto ulteriore terreno applicativo nel contiguo ambito della funzione di programmazione regionale di rilievo comunitario (le cui fasi procedimentali sono disciplinate dagli artt. 11, 12, 13, 14).
Anche la Regione Umbria ha recentemente prodotto una propria normativa procedurale relativa alla tematica europea, ma – come si è visto – con una legge dalla struttura diversa (22), dedicata alla riforma di più settori.
In riferimento alla fase cosiddetta discendente, quindi, la lr. 9 luglio 2007, n. 23, concentra la sua disciplina sul punto dell’adeguamento dell’ordinamento regionale agli obblighi comunitari e del relativo strumento legislativo. Tuttavia, se si guarda ai contenuti, questi non si discostano da uno schema comune presente nella normativa sinora prodotta dalle regioni che si sono attivate al riguardo.
Pertanto – in attuazione del dettato dello Statuto (art. 25, comma 2) - la legge di procedura dell’Umbria individua lo strumento per il periodico adeguamento in una legge apposita e specializzata, a cadenza annuale. Il progetto di tale legge (23) (art. 30) è presentato, anche qui, dalla Giunta e provvede a recepire e attuare normativa e regolamenti comunitari, decisioni della Commissione europea, sentenze della Corte di giustizia; a disporre le conseguenti modifiche e abrogazioni della legislazione vigente; ad individuare, infine, gli atti normativi comunitari la cui attuazione è affidata alla Giunta, apprestando autorizzazione e indicazione dei criteri e princìpi direttivi necessari.
Un riferimento alla connessione (24) tra questo percorso legislativo e il procedimento che, a livello statale, Governo e Camere compiono per predisporre la legge comunitaria è reso esplicito laddove si prevede che il progetto di legge regionale debba essere approvato in tempo utile per poter essere inserito (assieme agli altri) in un ”elenco degli atti normativi” regionali attuativi delle “direttive” comunitarie, elaborato dalla Conferenza delle Regioni per essere a sua volta trasmesso alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche comunitarie (nella denominazione del 2005), che infine deve accluderlo nella propria “nota aggiuntiva” (25) al disegno di legge comunitaria presentato annualmente al Parlamento.
Per analoghi motivi sarebbe opportuna la presenza di una norma dedicata al rilevante processo di verifica costante teso ad assicurare lo stato di conformità dell’ordinamento regionale con la normativa comunitaria (26), pure richiesto alla regione dalla legge generale statale (art. 8, commi 3 e 4, della l. n. 11 del 2005). A parte l’indubbia utilità che possono rivestire all’interno degli apparati regionali, le risultanze di questa verifica sono parte integrante di quel flusso biunivoco di informazioni tra Stato e Regioni istituito dalla legge generale statale, di cui rappresenta uno dei connotati qualificanti e innovativi perché sostanzia il presupposto di una trama di relazioni intergovernative effettivamente cooperative. Inoltre tali dati, trasmessi anch’essi alla Presidenza del Consiglio, vanno a comporre il patrimonio informativo su cui il Governo è tenuto a compiere una verifica complessiva dell’ordinamento, prima di presentare il disegno di legge comunitaria in Parlamento, e quindi sono un elemento essenziale di una corretta progettazione legislativa a tutti i livelli. In questo senso si è avuta una esplicita sollecitazione alle Regioni da parte del Dipartimento politiche comunitarie. Data la pluralità dei soggetti in campo, e la complessità degli intrecci di ruoli e competenze, questa pare la traccia possibile per completare e portare a regime il circuito Stato-regioni in materia comunitaria.
Guardando ora all’insieme di tutte le Regioni, ordinarie e speciali, non può non notarsi un quadro marcatamente differenziato. Oltre agli interventi legislativi sin qui citati, che rappresentano circa un terzo del totale atteso - rimangono molte le Regioni che mancano di attivarsi adeguatamente. Ancora possono avvalersi di leggi della prima generazione, commisurate agli spazi dischiusi (innovativamente, all’epoca) dalla “legge La Pergola”, quando comunque il rapporto con lo Stato e con la dimensione europea era ancora ridotto, sia in quantità, sia in qualità, ed informato a princìpi anche costituzionali diversi, basati su ampia prevalenza di forti componenti di centralismo, su potere statale fondamentalmente indiscusso e ben munito, su criteri gerarchici netti, in un sistema di fonti normative chiaro e semplificato. Ma quelle prime leggi regionali spesso rappresentano uno strumentario ormai datato, ove le carenze e le lacune, lampanti in ordine alla fase ascendente, segnano anche la fase a valle della decisione comunitaria, la trattengono entro una corsia ristretta e rischiano di frenare il ruolo regionale in materia (almeno dal lato dei Consigli), limitandolo agli adempimenti minimi, senza modo di cogliere tutte le implicazioni, e le opportunità, che il nuovo quadro normativo complessivo presenta, anche in termini di inserimento in un circuito istituzionale più vasto e più aperto alle assemblee legislative.
Peraltro, la tematica europea appare tale da destare una crescente attenzione da parte del sistema regionale. Le Regioni stesse, anche per impulso delle loro Associazioni, hanno posto in essere iniziative al riguardo. La Conferenza dei Presidenti ha promosso la costituzione di gruppi di lavoro interregionali, che hanno prodotto utili analisi ricognitive e documenti, in una linea di recupero di soggettività dei Consigli che già mostra un moderato, ma talora tangibile, ribilanciamento sul piano della forma di governo.
Anche la progettazione, che nei casi citati è giunta a conclusione, in altri è stata avviata: Abruzzo, Campania, Piemonte, Sicilia, Veneto, ad esempio, hanno in cantiere progetti di legge.
Comunque – ma è questione sin troppo evidente e di portata generale – la maggiore o minore vitalità dell’iniziativa legislativa, così come, del resto, il grado di effettiva fedeltà al dettato di una normativa approvata e vigente, continuano a dipendere dal tenore delle relazioni tra assemblea e governo e, quindi, da consistenti elementi propri di ciascun sistema, diversi per regione, per legislatura, talora per settore. 
Nel settore comunitario, con riferimento alla fase discendente, la scarsa incidenza di alcuni Consigli regionali appare connessa, se non conseguente, a un ruolo largamente prevalente della Giunta o del Presidente, sia esso basato su presupposti formali o su forti prassi. Ad esempio, un accentramento nelle mani del Governo dell’attività di adeguamento agli obblighi comunitari, quale registrabile in Umbria prima dei recenti interventi normativi, sembra caratterizzare la situazione attuale in Puglia, ove risulta una vasta preminenza presidenziale; o in Veneto, assieme a un carente flusso di informazione al Consiglio (27); o in Sardegna, dove il difficile dialogo con la Giunta ha indotto la commissione competente ad un passo formale per segnalare la perdurante disapplicazione della legge vigente e l’emarginazione del Consiglio, che, se non riceve immediata comunicazione degli orientamenti assunti e dei provvedimenti adottati dalla Giunta in tema di attuazione comunitaria, non può svolgere la propria funzione di indirizzo e controllo (28).
9.3.2. I regolamenti interni
Se queste sono le novità legislative dell’anno, è certo il caso di prestare un’analoga attenzione alla eventuale presenza, sul punto, di norme specifiche introdotte a livello di regolamento interno dei Consigli.
In questo quadro composito va quindi segnalato che alla disciplina della Regione Umbria, limitata all’ipotesi della legge annuale, si affianca quella recata dal Regolamento interno, sempre del 2007 (29). Tale fonte, per la parte che tratta espressamente la legge comunitaria regionale (art. 19), fissa i passaggi del procedimento, l’esame e i pareri delle Commissioni, i tempi e, ancora, criteri e modalità per una votazione finale tempestiva.
Anche l’Emilia-Romagna si è dotata di un Regolamento interno nuovo (30). Anch’esso si occupa espressamente dei profili comunitari dei lavori assembleari (art. 38) e, quindi, dell’iter del progetto di legge per il periodico recepimento delle direttive e degli altri atti normativi comunitari che richiedono un intervento legislativo. In particolare dispone la sessione comunitaria sia per l’esame in commissione referente, ove convergono i pareri delle altre commissioni, sia per la trattazione in aula (e la votazione). La procedura e le sedi sono le medesime previste per l’esame periodico, ed eventualmente contestuale con la legge, del programma legislativo annuale della Commissione europea e della relazione sullo stato di conformità dell’ordinamento regionale a quello comunitario (e per la votazione di una apposita risoluzione).
9.3.3. I casi di effettiva attuazione: leggi regionali comunitarie ed altri provvedimenti attuativi
Le modalità di attuazione del diritto comunitario prescelte dalle Regioni sono comunque molto articolate. Anche laddove i singoli ordinamenti, a cominciare dalle indicazioni statutarie, mostrano una certa preferenza per lo strumento legislativo, questo poi non esaurisce la gamma tipologica degli atti utilizzati.
La legge comunitaria, con la sua periodicità, presenta bensì uno schema di riferimento che favorisce il rispetto degli impegni, il monitoraggio degli adempimenti, la programmazione dei lavori, le stesse iniziative per il futuro. Ma anche la legge non specializzata risulta adottata, non solo per rispondere a scadenze più ravvicinate, ma anche per scelta autonoma, frequente oppure costante ed esclusiva (nel caso della Provincia autonoma di Trento, che da tempo ritiene sovradimensionata rispetto alle proprie esigenze una legge comunitaria). Tuttavia la categoria di provvedimenti attuativi più numerosa e trasversalmente diffusa è rappresentata dalle delibere, in massima parte della Giunta, raramente del Consiglio. Molto pochi i decreti del Presidente, così come i regolamenti concretamente adottati.
Leggi comunitarie in senso proprio sono ancora una stretta minoranza nel panorama regionale.
Il Friuli Venezia Giulia ha aperto la strada nel 2005 ed ha ora approvato la legge regionale 14 giugno 2007, n. 14 – Legge comunitaria 2006, in attuazione delle direttive concernenti gli uccelli selvatici, gli habitat naturali e seminaturali, la flora e la fauna selvatiche  (31).
La Valle d’Aosta è sinora l’unica a seguire, con la legge regionale 21 maggio 2007, n. 8 – Legge comunitaria 2007, sempre in attuazione delle direttive appena citate (32).
Diversamente, nelle Marche non è stata presentata la prima legge comunitaria, nonostante questa sia ormai prevista e disciplinata dalla recente legge di procedura del 2006.
A fianco a leggi dichiaratamente di questo tipo, sono tuttavia presenti (ed in quantità ben più consistente) altre leggi, prive della specifica qualificazione comunitaria. E’ dubbio se la l. n. 11 del 2005, nello stabilire che le direttive attuate siano richiamate nel titolo delle leggi regionali (33), intendesse riferirsi a qualunque legge recante attuazione, oppure alle sole leggi comunitarie: di fatto, pressoché nessuna delle “altre” frequenti leggi attuative reca un siffatto titolo, che, invero, mostrerebbe di rispettare un criterio di buona tecnica legislativa.
Comunque nel 2007 anche il Friuli Venezia Giulia pone in essere questa corsia legislativa “parallela” a quella comunitaria (ma distinta per aspetti procedurali), approvando 3 leggi che danno attuazione a direttive e a regolamenti comunitari. Allo stesso modo si segnalano 6 leggi dell’Abruzzo, 4 dell’Emilia-Romagna, 4 della Liguria, 2 della Lombardia, 2 delle Marche, 1 del Piemonte, 2 della Sardegna, 2 della Sicilia, 2 della Provincia di Trento, 7 della Provincia di Bolzano.
Invece, quanto agli atti di normazione secondaria, si evidenziano 1 regolamento del Piemonte ed 1 della Puglia.
Più arduo raccogliere dati precisi relativi agli atti della Giunta e del Presidente, perché qui evidentemente i Consigli si misurano spesso con le note difficoltà ad ottenere una soddisfacente trasmissione dei documenti e dei dati informativi.
Gli elementi disponibili portano a registrare 2 decreti del Presidente in Friuli Venezia Giulia e 2 nella Provincia di Bolzano.
Quanto alle deliberazioni di Giunta, la distribuzione per regione appare più ampia, con alcuni picchi: 28 delibere in Abruzzo, 2 in Basilicata, 1 in Emilia-Romagna, 11 in Friuli Venezia Giulia, 3 in Liguria, 1 in Lombardia, 4 in Sardegna, almeno 25 nel Veneto, 10 nella Provincia di Bolzano. Ma anche questi dati scontano spesso incertezze alla fonte.
Le deliberazioni del Consiglio, o dell’Assemblea, risultano essere 3 in Emilia-Romagna, 1 in Liguria, 1 in Lombardia, 1 in Toscana.
Nel complesso, si tratta di dati che, con tutti i loro limiti, se raggiungono una ragionevole completezza, possono dare un’idea dell’attività svolta dalle Regioni, della sua ripartizione tra gli organi di vertice e quindi di alcuni caratteri del sistema regionale. Se adeguatamente integrati con qualche ulteriore elemento informativo, nel tempo consentirebbero ulteriori riflessioni in ordine all’andamento della normazione regionale originata, in vario modo, da un impulso comunitario.
Sarebbe interessante, anche da parte regionale, analizzare la propria attività normativa tarandola rispetto ad alcuni parametri, in modo, ad esempio, da conoscere meglio che cosa rappresenta, almeno in termini quantitativi, la parte di diritto comunitario cui è stata data attuazione, rispetto a quella che ancora attende attuazione. Certo, ciò è connesso al tema della cosiddetta verifica di conformità (dell’ordinamento regionale con quello comunitario), ma le risultanze che dovessero discendere da questa lettura renderebbero più espressivi i dati raccolti, valorizzandoli.
Allo stesso modo, lo “stato” dell’ordinamento regionale potrebbe risultare più chiaro anche alla Regione stessa se venisse monitorata, e resa esplicita, quanta e quale è la parte di normativa attuativa posta in via preventiva dallo Stato (ma avente carattere cedevole) che risulta vigente nella Regione perché questa non l’ha ancora sostituita con una normativa attuativa propria; e, corrispondentemente, segnalare quali dei provvedimenti regionali d’attuazione vanno a prendere il posto di una normativa statale preventiva e cedevole. In effetti, dai dati dell’Emilia-Romagna comincia ad emergere un interesse a cogliere ed evidenziare questi elementi, e risulta che 3 leggi su quattro e 1 delibera dell’Assemblea su tre hanno rimosso la preesistente normativa statale, facendole perdere efficacia (34). Anche la Liguria evidenzia di aver fatto ricorso a questo meccanismo con 2 delle sue quattro leggi. Un cenno all’ipotesi opposta è contenuto nella recente legge di procedura della Calabria, laddove si richiede che, nell’elenco (allegato alla legge comunitaria regionale) delle direttive che non necessitano di provvedimento di attuazione, siano inserite quelle per le quali lo Stato abbia già adottato provvedimenti attuativi dai quali la Regione non intende discostarsi.
 
 
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NOTE
 
(1) Alla legge dello Stato il medesimo art. 117, 5° comma, affida anche la disciplina delle modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.
(2) Conferenza Stato-Regioni in Sessione comunitaria, 14 dicembre 2006.
(3) Art. 5, 1° comma, della legge n. 131 del 2003.
(4) L’attuazione del disposto costituzionale tende poi a completarsi con la parte della legge n. 11 del 2005 dedicata alla fase dell’attuazione del diritto comunitario.
(5) Oltre, naturalmente, a quella che interessa sia il livello statale (Parlamento), sia quello locale, sia quello della rappresentanza delle parti sociali (Cnel), di cui, rispettivamente, agli artt. 3, 6, 7 della legge n. 11 del 2005.
(6) Come già auspicato dal Ministro Bonino nel corso della Sessione comunitaria della Conferenza Stato-Regioni, 14 dicembre 2006. Ora, in particolare si è potuto sia migliorare i criteri di ricerca dei documenti e la rapidità di spoglio, sia creare 13 aree tematiche a disposizione degli utenti. A partire dal 28 agosto 2007 è stata attivata un’utenza per tutti i Consigli e le Giunte regionali, con accesso ad un’area riservata del portale del Dipartimento (di fatto utilizzata solo da alcune Regioni, almeno nel primo semestre sino a dicembre).
(7) Altrettante trasmissioni, ma con un totale di documenti diverso, secondo i soggetti destinatari, sono state effettuate: alla Camera dei Deputati (6.279), al Senato (6.279), alla Conferenza Stato-Città ed autonomie locali (7.695), al Cnel (7.695). In tal modo viene alimentata tutta la rete che è chiamata a partecipare alla fase ascendente.
(8) Cfr. “Programma legislativo e di lavoro della Commissione europea per il 2008” (COM(2007)640), presentato dalla Commissione il 23 ottobre 2007 ed esaminato dal Parlamento europeo, che il 12 dicembre 2007 ha approvato una risoluzione. Annualmente il Programma individua le priorità politiche, gli obiettivi e le principali iniziative della Commissione. Può osservarsi che tale documento ha un seguito nel nostro Parlamento: la procedura presso la Camera, ad es., prevede l’esame, per i profili di competenza, da parte di tutte le commissioni permanenti (un relatore riferisce alla XIV commissione), l’esame generale da parte della XIV commissione, anche con audizione degli europarlamentari (e relazione all’assemblea) e infine la discussione in assemblea, con votazione di eventuali strumenti di indirizzo. Il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, ha modificato il Protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali, nel senso di un loro rafforzamento.
(9) Si vedano le posizioni critiche espresse dalle Regioni nel serrato confronto in sede di Conferenza Stato-Regioni, ad es. nella seduta del 13 novembre 2003, durante l’esame del disegno di legge che poi sarebbe divenuto la legge n. 11 del 2005.
(10) Alle riunioni del CIACE può essere ammesso, su richiesta, solo un rappresentante regionale, non è chiaro poi se con funzione meramente consultiva. Diversamente è regolato, invece, il Comitato tecnico in quanto, all’occorrenza, è integrato dai rappresentanti di tutte le Regioni.
(11) Attraverso il disegno di legge comunitaria 2007 (ora legge 25 febbraio 2008, n. 34) che introduce una modifica alla legge n. 11 del 2005 inserendo all’art. 2, dopo il comma 4, un comma 4-bis in questo senso.
(12) Cfr. il D.P.C.M. 13 novembre 2007 “Costituzione della Rete Permanente UE”.
(13) Lr. 5 gennaio 2007, n. 3, “Disposizioni sulla partecipazione della Regione Calabria al processo normativo comunitario e sulle procedure relative all’attuazione delle politiche comunitarie”
(14) Lr. 18 giugno 2007, n. 17, “Determinazione della forma di governo della Regione Friuli Venezia Giulia e del sistema elettorale regionale, ai sensi dell’articolo 12 dello Statuto di autonomia”.
(15) Tramite la Conferenza dei Presidenti dell’Assemblea e dei Consigli regionali, secondo l’art. 5, comma 1, della legge n. 11 del 2005. Contemporaneamente opera il parallelo circuito tra Presidenza del Consiglio e Giunte, tramite la Conferenza delle Regioni.
(16) Secondo l’art. 5, comma 3, della legge n. 11 del 2005.
(17) Lr. 9 luglio 2007, n. 23, “Riforma del sistema amministrativo regionale e locale – Unione europea e relazioni internazionali – Innovazione e semplificazione”.
(18) Lr 5 gennaio 2007, n. 3, “Disposizioni sulla partecipazione della Regione Calabria al processo normativo e comunitario e sulle procedure relative all’attuazione delle politiche comunitarie”.
(19) Singolarmente, però, la legge regionale di procedura tralascia di precisare che la legge regionale (comunitaria e non) reca nel titolo anche il numero identificativo di ciascuna direttiva attuata, come richiesto dall’art 16, comma 2, della l. n. 11 del 2005.
(20) Cfr. art. 4, comma 3, lett. a): perché direttamente applicabili, per il loro contenuto sufficientemente specifico, o in quanto l’ordinamento regionale è già conforme ad esse, o perché lo Stato ha già adottato provvedimenti attuativi delle stesse e la Regione non intende discostarsene (qui con riferimento al meccanismo della eventuale normativa statale preventiva e cedevole, nell’esercizio del potere sostitutivo delineato agli artt. 9, comma 1, lett. h), 16, comma 3, e 11, comma 8, della l. n. 11 del 2005. Cfr. inoltre l’ipotesi ulteriore ora inserita dall’art. 11-bis della l. n. 34 del 2008 (legge comunitaria 2007).
(21) Tale ricorso avverso gli atti normativi comunitari ritenuti illegittimi può essere proposto dal Governo anche su richiesta di una Regione, o della Conferenza Stato-Regioni, secondo quanto stabilito dalla l. n. 131 del 2003, art. 5, comma 2, in attuazione del nuovo art. 117, comma 5, della Costituzione. 
(22) Lr 9 luglio 2007, n. 23, recante “Riforma del sistema amministrativo regionale e locale. Unione europea e relazioni internazionali. Innovazione e semplificazione”.
(23) Da parte della legge di procedura (lr n. 23 del 2007), questa legge viene qualificata come ‘legge regionale di recepimento’. Anche nello Statuto (art. 25, comma 2) non compare la qualificazione di ‘legge comunitaria regionale’, che invece è presente solo nel nuovo Regolamento interno del Consiglio, pur approvato nello stesso anno (art. 19 della deliberazione del Consiglio regionale 8 maggio 2007, n. 141). Inoltre può osservarsi anche qui, come nel caso della Calabria, l’omessa precisazione che il titolo della legge deve recare il numero identificativo delle direttive attuate (affinché sia chiaramente espressivo del contenuto del provvedimento), secondo quanto disposto dalla l. n. 11 del 2005, art. 16, comma 2.
(24) Un riferimento in tal senso non appare espressamente contenuto nella legge di procedura della Regione Calabria, che però fa esplicito rinvio alla l. n. 11 del 2005, affinché questa si applichi per quanto non espressamente previsto dalla legge regionale (e l’applicazione dovrebbe risultare agevole, soprattutto se si tratta di integrare la parte relativa alle scadenze temporali, anche perché i tempi regionali indicati per la presentazione del progetto di legge comunitaria al Consiglio - 1 giugno – sono compatibili con quelli statali).
(25) Originariamente l’elenco era destinato ad essere presentato dal Governo “nell’ambito della relazione al disegno di legge” comunitaria; ora, all’interno di una “nota aggiuntiva” al ddl (secondo la modifica introdotta dalla l. 25 febbraio 2008, n. 34 – legge comunitaria 2007, che così sostituisce l’alinea dell’art. 8, comma 5, della l. n.11 del 2005).
(26) Un riferimento in tal senso è contenuto espressamente nella lr. Calabria n. 3 del 2007, all’art. 5.
(27) In presenza della legge regionale 6 settembre 1996, n. 30.
(28) Anche in questa fase, come in quella c. d. ascendente, si evidenzia l’esclusione del Consiglio dai circuiti decisionali relativi alle tematiche europee, nonostante quanto espressamente previsto dalla legge regionale 3 luglio 1998, n. 20, (con particolare riferimento agli artt. 3 e 11), come lamentato, con nota 9 novembre 2006 indirizzata al Presidente del Consiglio, da parte della II Commissione permanente.
(29) Deliberazione del Consiglio regionale 8 maggio 2007, n. 141, “Regolamento interno del Consiglio regionale”.
(30) Deliberazione dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna 28 novembre 2007, n. 143, - Decreto della Presidente dell’Assemblea 4 dicembre 2007, n. 1, “Regolamento interno dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna”.
(31) Legge regionale 14 giugno 2007, n. 14 “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi della Regione Friuli Venezia Giulia derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Attuazione degli artt. 4, 5 e 9 della direttiva 79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici in conformità del parere motivato della Commissione delle Comunità europee C(2006) 2683 del 28 giugno 2006 e della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (Legge comunitaria 2006)”.
(32) Legge regionale 21 maggio 2007, n. 8 “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi della Regione autonoma Valle d’Aosta derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Attuazione delle direttive 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, e 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche. Legge comunitaria 2007”.
(33) Cfr. art. 16, comma 2, della Legge 4 febbraio 2005, n. 11 “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”.
(34) Secondo il noto meccanismo del potere sostitutivo esercitato in via preventiva ma ad efficacia differita alla scadenza dell’obbligo di attuazione, di cui agli artt. 16, comma 3, e 11, comma 8, della legge 4 febbraio 2005, n. 11.

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