Il Rapporto 2009 sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea è realizzato su iniziativa e con il coordinamento dell'Osservatorio sulla legislazione della Camera dei Deputati ed in collaborazione con gli uffici legislativi delle Regioni e delle due Province autonome.
Si pubblica qui l'Introduzione alla Parte II "Tendenze e problemi della legislazione regionale" (studio elaborato dall'ISSiRFA per la Camera dei deputati)


INTRODUZIONE

 I dati esposti in questa parte del Rapporto confermano che le dinamiche del regionalismo italiano si svolgono ormai nel segno della stabilizzazione.
Tutti gli indicatori considerati, infatti, si pongono in linea di continuità con quelli degli anni precedenti: dalla distribuzione della normazione tra i diversi macrosettori agli interventi sulla qualità della legislazione, dal sistema dei rapporti Consiglio-Giunta alle tendenze in ambiti strategici come la sanità e le politiche sociali, agli interventi rivolti a ridurre i costi della politica. Prosegue, inoltre, il processo di attuazione delle riforme costituzionali del 1999 e del 2001, come confermano: l’entrata in vigore di uno degli statuti che mancavano all’appello, le iniziative assunte per l’adeguamento alle nuove regole istituzionali dei regolamenti interni dei Consigli, l’aggiunta, agli organi omologhi già istituiti, di un Consiglio delle autonomie locali, di un CREL e di un organo di garanzia statutaria… E si potrebbe continuare.
Ciò rende ovviamente difficile evidenziare, nei termini sintetici che si convengono ad un’Introduzione, il proprium dell’anno appena trascorso, rispetto a quelli che lo hanno immediatamente preceduto.
È, tuttavia, sufficiente riportare alla memoria le turbolenze che hanno accompagnato la riforma costituzionale e gli accidentati processi riformatori sviluppatisi all’indomani della sua entrata in vigore, per rendersi conto che questa continuità non è un dato insignificante, ma costituisce – a suo modo – una “notizia”.
Grazie a tale continuità – ed al conseguente consolidamento degli assetti – oggi disponiamo di elementi sufficientemente stabilizzati, i quali ci consentono di apprezzare cosa le Regioni sono (o, comunque, stanno diventando) e come la loro presenza si fa sentire, incidendo sulla vita delle persone.
Relativamente al primo punto, non può non rilevarsi che il volto delle Regioni (per riprendere una nota e felice metafora di Giuliano Amato) presenta ormai tratti chiaramente riconoscibili. Tali enti, infatti, accreditano sempre più la propria centralità in tre ambiti cruciali: quello dei servizi alla persona ed alla comunità, quello dello sviluppo e delle attività produttive, quello del territorio (comprensivo di ambiente ed infrastrutture).
Se, in questi termini, va consolidandosi la loro vocazione funzionale (o, almeno, la loro vocazione prevalente), non può sorprendere la crescente percezione del loro ruolo da parte delle collettività sottostanti. È ad esempio degno di nota che, in occasione di un sondaggio realizzato nel 2007 dalla “Fondazione per la sussidiarietà”, il 64,8% del campione si dichiarasse “molto” o “abbastanza” d’accordo con l’aumento di poteri legislativi alle Regioni, così mostrando di avere metabolizzato il tratto più innovativo della riforma costituzionale del 2001 (ravvisabile, appunto, nel federalismo legislativo).
Questa percezione costituisce il riflesso dell’incidenza della legislazione regionale sulla costruzione dei diritti di cittadinanza. Anche in Italia, infatti, come accade nei paesi a sviluppato policentrismo legislativo, alla comune cittadinanza nazionale si affiancano differenziate cittadinanze regionali, le quali costituiscono il portato delle politiche legislative sviluppate dalle singole Regioni nei campi di propria pertinenza.
La declinazione al plurale della cittadinanza (e dei diritti in cui si articola) trova ormai – come le pagine che seguono pongono in chiara evidenza – testimonianze molto significative.
Si pensi, ad esempio, al grande comparto delle politiche sociali, comprendente una gamma estremamente differenziata di interventi, i quali vanno dalle politiche abitative agli interventi a sostegno degli anziani e dei soggetti non autosufficienti, alle politiche d’inclusione sociale a quelle a supporto delle famiglie, alle misure per l’integrazione degl’immigrati, alle diverse forme di assistenza ai giovani, ai disabili, ai detenuti… Come risulta dal capitolo dedicato al tema, in ambiti così socialmente sensibili, ogni Regione elabora le proprie strategie e stabilisce le proprie priorità.
Il discorso non è dissimile, con riferimento ad altri versanti dell’impegno legislativo delle Regioni. Si pensi, ad esempio, al sostegno alle imprese, mediante l’istituzione di fondi di garanzia rivolti a favorirne l’accesso al credito, alle riduzione delle aliquote IRAP, agli incentivi per la diffusione della qualità e dell’innovazione. Si pensi ancora agli strumenti messi in campo dal livello regionale di governo per aiutare le famiglie a superare una crisi economica senza precedenti o per alleviare le conseguenze di disastri naturali, come il terremoto d’Abruzzo.
Non si può ignorare il rischio che a questo pluralismo di approcci e di soluzioni si accompagna: il rischio che le cittadinanze regionali vengano a differenziarsi in termini eccessivi, immettendo, nell’ordinamento generale, tassi di diseguaglianza non sopportabili. Un rischio – può aggiungersi – la consapevolezza del quale non è estranea ad altre esperienze costituzionali europee. Basti ricordare che una delle finalità che, in Germania, giustificano l’intervento della legislazione federale nelle materie di konkurrierende Gesetzgebung è costituita dalla “instaurazione di condizioni di vita equivalenti nel territorio federale”. Del resto, è noto che proprio in questa prospettiva è stata costruita, dal legislatore costituzionale italiano del 2003, la competenza esclusiva dello Stato in ordine ai “livelli essenziali delle prestazioni”.
Sarebbe, tuttavia, un errore ravvisare nella differenziazione regionale delle risposte ai bisogni individuali e sociali soltanto un problema. Essa è anche una risorsa, una preziosa risorsa. Gli spazi di autonomia di cui le Regioni godono in quest’ambito favoriscono, infatti, la sperimentazione, la concorrenza di modelli e lo scambio di esperienze, attivando processi interattivi analoghi a quelli di cui è normalmente intessuta l’esperienza dei sistemi di tipo federale.
Un interessante spaccato di questa ricchezza è offerto dal capitolo dedicato al servizio sociale che assorbe la massima parte dei bilanci regionali: la sanità. Da esso risulta, con quale varietà di approcci e con quanta creatività le Regioni si confrontano con esigenze comuni, che vanno dalla prevenzione, nelle sue diverse forme, all’assistenza palliativa, all’emergenza-urgenza, all’assistenza domiciliare, alla profilassi delle malattie rare.
Ebbene, non è privo di significato che proprio in un ambito come questo, nel quale i bisogni di tutela individuale e collettiva presentano il massimo di anelasticità (e nel quale la cittadinanza trova uno dei suoi punti più sensibili), i processi di social learning e di esportazione-importazione di best practices siano particolarmente sviluppati.
Se si tiene conto di ciò, e se si tiene conto della prospettiva di autentica autonomia finanziaria aperta dal nuovo art. 119 Cost., deve prendersi atto che il più efficace antidoto che il sistema mette a disposizione per scongiurare sperequazioni non sopportabili tra le cittadinanze territoriali è costituito dalla responsabilità degli organi di governo nei confronti dei propri elettori. I quali, come contribuenti, sono chiamati a sostenere le spese delle politiche della Regione e, come cittadini, sperimentano direttamente, nella quotidianità della propria esistenza, i diritti di cittadinanza cui tali politiche danno vita.
 
 
Antonio D’Atena
 




 

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