Il Rapporto 2012 sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea è realizzato su iniziativa e con il coordinamento dell'Osservatorio sulla legislazione della Camera dei Deputati ed in collaborazione con gli uffici legislativi delle Regioni e delle due Province autonome.
 
L'ISSiRFA-CNR, diretto dal Prof. Stelio Mangiameli, ha curato, con il coordinamento della Dott.ssa Aida Giulia Arabia, il Capitolo II "Tendenze e problemi della legislazione regionale", del Volume secondo, Tomo I  (scaricabile in pdf).
 
INTRODUZIONE
Regioni e autonomie tra crisi della politica
e ristrutturazione istituzionale
 
Sommario:
 
 
 
1. L’incidenza della legislazione statale sull’assetto del sistema regionale e delle autonomie
Il capitolo del Rapporto dedicato alla legislazione statale e la Nota di sintesi sottolineano come il perdurare della crisi economico-finanziaria abbia inciso sulla produzione normativa dello Stato, accelerando talune tendenze in atto da tempo.
La legislazione della crisi offre un punto di vista privilegiato per comprendere il funzionamento del sistema territoriale, le relazioni tra i diversi livelli di governo e la misura dell’efficacia del sistema.
A questo fine, appare utile far precedere il quadro regionale da un sintetico riepilogo delle misure adottate dallo Stato, per mostrare come le Regioni abbiano saputo rispondere all’inevitabile riduzione delle risorse ed all’imposizione di vincoli, talora molto rigidi, dando una prova complessivamente positiva, anche se offuscata dalle vicende giudiziarie che hanno interessato diverse di loro.
Nel periodo che va dal 2008 al 2012, oltre alle leggi finanziarie (poi leggi di stabilità) sono stati adottati una serie di decreti-legge. Complessivamente si tratta di una ventina di atti normativi in genere molto corposi, fino ai recentissimi decreti-legge n. 158 e n. 174 del 2012.
Tale normativa, con caratteristiche talora alluvionali, si è sovrapposta alle prospettive di realizzazione del federalismo fiscale tramite l’attuazione della legge delega n. 42 del 2009, approvata quando già la crisi finanziaria cominciava a far sentire i suoi effetti.
Governo e Parlamento (soprattutto attraverso la Commissione bicamerale istituita ad hoc per l’attuazione del federalismo fiscale) hanno provveduto nel corso del 2010 e del 2011 – sperimentando interessanti e talora innovative forme di “colegislazione” – a predisporre e approvare i decreti legislativi sul federalismo fiscale (1), mentre altri provvedimenti, approvati per lo più in forma di decreti-legge, cominciavano ad erodere l’autonomia finanziaria e le risorse attribuite al sistema regionale e delle autonomie, con una sorta di pendolo, viepiù oscillante nel corso del tempo, tra logica collaborativa propria della riforma istituzionale del federalismo fiscale e logica gerarchica dei provvedimenti assunti nell’emergenza della crisi.
La realizzazione di riforme di carattere sistemico, infatti, ha dovuto fare i conti con interventi di natura emergenziale per fronteggiare la crisi, che rispondono ad una logica diversa.
I provvedimenti che si sono succeduti in materia economico-finanziaria agiscono in una logica di contenimento dei poteri regionali, attirando verso lo Stato le decisioni fondamentali non soltanto sul quantum di risorse da destinare al sistema regionale e delle autonomie, ma anche sull’organizzazione dei livelli territoriali (dall’intervento sul numero dei consiglieri regionali alla riforma delle province, all’esercizio associato di funzioni da parte di piccoli comuni), fino ad arrivare al recentissimo decreto-legge n. 174 del 2012, che ripristina i controlli di legittimità della Corte dei conti sugli atti regionali ed incide profondamente sul funzionamento del sistema regionale e delle autonomie. Il disegno di legge di riforma del Titolo V della Costituzione, in questo quadro, rappresenta una modifica dell’orientamento delle riforme sinora seguito e si pone in continuità con la legislazione della crisi. La situazione di crisi economico-finanziaria, infatti, ha agito anche sul riparto di competenze tra Stato e Regioni, dando vita – ne dà ben conto il capitolo III del Rapporto, curato dall’Osservatorio sulle fonti dell’università di Firenze – ad un incremento del contenzioso costituzionale e diventando una sorta di parametro per la giurisprudenza della Corte, che, a seconda dei casi, le ha annesso o meno rilevanza. Alla legislazione regionale, in questa ottica, restano essenzialmente funzioni attuative e l’adozione di misure volte ad alleviare le conseguenze della crisi.
In buona sostanza, mentre nel disegno costituzionale del Titolo V gli elementi di un rapporto orizzontale tra Stato e Regioni (ed anche autonomie locali), fondato sulla regola della competenza, appaiono prevalenti, sia nella legislazione (v. art. 117, comma 1, Cost.), sia nell’esercizio dei poteri amministrativi (v. art. 118, comma 2, Cost.), risultando residuali quelli di carattere verticale, improntati alla gerarchia (v. art. 119, comma 5, e art. 120, comma 2, Cost.), nelle prassi che si sono generate grazie alla giurisprudenza costituzionale e alla legislazione sulla crisi, si assiste ad una prevalenza delle relazioni di tipo verticale (e gerarchico), i cui effetti sono dati dal restringimento dell’area (orizzontale) ricoperta dal canone della competenza.
Le riforme di carattere sistemico, a partire dalla legge n. 42 del 2009, e con l’eccezione del disegno di legge costituzionale da ultimo presentato dal Governo (XVI Legislatura – AS n. 3520), agiscono in una logica di condivisione delle scelte e quindi delle responsabilità politiche di tipo orizzontale, per approdare, in perfetta sintonia con l’articolo 114 della Costituzione, ad una matrice nella quale Comuni, Città metropolitane, Province, Regioni e Stato sarebbero chiamate a condividere e costruire insieme la Repubblica.
Si tratta – ci si sofferma diffusamente la nota di sintesi, anche con riguardo ai rapporti con l’Unione europea – di abbandonare definitivamente la logica verticale di ri-centralizzazione dei poteri, per assumere, nel rispetto delle competenze, la prospettiva più responsabilizzante per tutti i soggetti istituzionali e caratterizzata dalla condivisione delle scelte.
 
 
2. Il quadro regionale della risposta alla crisi
 
2.1. Gli ordinamenti regionali
Nell’anno 2011, di riferimento del presente Rapporto, gli ordinamenti regionali hanno dovuto tenere conto di un contesto istituzionale e finanziario in rapida evoluzione, partecipando in misura significativa ai sacrifici imposti al sistema Paese. Pur in questa temperie, il sistema regionale ha dimostrato di aver acquisito solidità, come si può evincere dalle politiche istituzionali messe in atto per dare effettiva realizzazione al nuovo Titolo V. Se si riassume per un quadro di sintesi, si osserva quanto segue:
a) l’adozione degli statuti. Come è noto, tutti le Regioni ordinarie hanno adottato il nuovo Statuto con le eccezioni di Molise, la cui vicenda statutaria era conclusa e aveva superato il vaglio della Corte (sentenza n. 63/2012), se non fosse stato ritirato, e della Basilicata, che si accinge ad una fase statutaria proprio in questi giorni.
Molte Regioni hanno già emendato i nuovi statuti in modo sensibile. La Calabria riduce la struttura organizzativa (eliminando la Consulta e il CREL); l’Emilia-Romagna, nel 2009, riduce i consiglieri da 67 a 50; il Lazio introduce la disposizione su Roma Capitale. Infine, anche la Liguria nel 2007, la Toscana e l’Umbria nel 2010 hanno modificato le loro carte statutarie.
Lombardia, Campania e Veneto hanno approvato lo Statuto in tempi molto recenti: rispettivamente 2008, 2009 e 2012. Per la Lombardia sono già presenti 4 proposte di modifica avanzate nel 2011. Una singolarità è data dalla Toscana, che con la legge finanziaria 2012 (legge n. 66/2011) prevede la riduzione del numero di consiglieri a 40, che, però, non ha valore se non sarà seguita dalla modifica dello Statuto. Per il Piemonte e le Marche, nel 2011, sono state presentate rispettivamente 9 e 4 proposte di modifica dello Statuto.
b) le leggi di attuazione. Tutti gli statuti prevedono leggi di attuazione a cominciare da quella elettorale. Il numero delle leggi contemplate dagli Statuti varia sensibilmente, da Statuto a Statuto: da un minimo di 5 (Veneto) ad un massimo di 37 (Emilia-Romagna e Lombardia).
Seguono, poi, le altre Regioni: con 9 leggi l’Abruzzo; 13 la Calabria; 16 la Campania; 17 il Lazio; 21 la Liguria; 26 il Piemonte; 12 la Puglia; 20 la Toscana; 14 l’Umbria.
L’attuazione legislativa maggiore l’hanno avuta gli Statuti della Toscana, dell’Umbria e dell’Emilia-Romagna. Manca ancora nel caso del Veneto e della Campania, atteso che è recente l’approvazione dei loro Statuti. Negli altri casi, l’attuazione è mediamente del 50%.
c) gli organi di garanzia statutaria. Per questi organi la situazione non è omogenea. Vi sono Regioni (Abruzzo, Emilia-Romagna, Liguria, Piemonte e Toscana) che hanno attivato questi organi, il cui lavoro e la cui utilità nel sistema regionale già si manifesta. Altre regioni (Lazio e Umbria) hanno solo la legge di attuazione. In altre Regioni ancora (Campania, Lombardia, Puglia e Veneto) è vigente la sola previsione statutaria. La Calabria ha cancellato l’organo dallo Statuto e le Marche non lo prevedono anche se una norma dello statuto, art. 55, parla di altri organismi regionali indipendenti.
Là dove sono funzionanti, gli organi di garanzia stanno incrementando progressivamente la loro attività consultiva su atti normativi e su richieste di referendum promossi a livello regionale.
d) i Consigli delle autonomie locali (CAL). Anche per questi organi, che hanno una copertura costituzionale nell’articolo 123, la situazione non è omogenea. Molto dipende dalla data dello statuto.
Le Regioni si distinguono anche qui in tre gruppi: quelle con i CAL funzionanti (Toscana dal 2000, Liguria dal 2006 e 2011, Marche dal 2007, Emilia-Romagna, Lazio e Umbria dal 2009, Lombardia e Piemonte dal 2011 e Abruzzo dal 2012); quelle con la sola legge (Calabria, Campania, Puglia) e quelle con la sola previsione statutaria (Veneto). In Basilicata e in Molise, in assenza dello Statuto, sono attive solo delle Conferenze, più o meno strutturate, per la consultazione degli Enti locali.
Dunque, 9 Regioni su 13 hanno ormai il loro CAL attivo, che nel 2011 ha adottato pareri previsti come obbligatori (o anche come facoltativi) sulle leggi di competenza il più delle volte favorevoli, raramente negativi e spesso favorevoli con raccomandazioni o con richiesta di modifiche. Nel 2011 le sedute vanno da 3 a 10 e i pareri oscillano da 6 a 109 (Marche).
L’integrazione tra Regioni ed Enti locali ha avuto un riscontro. Si è assistito, infatti, al coinvolgimento delle Regioni su iniziativa degli Enti locali, sulla base di una norma della legge 131/2003: le Giunte regionali, previa deliberazione del rispettivo CAL, hanno proceduto all’impugnazione dell’art. 16 del d.l. 139/2011 (sui piccoli Comuni) e dell’art. 23 del d.l. 201/2011 (il caso delle Province) davanti alla Corte costituzionale.
e) l’esercizio associato delle funzioni/ATO/Comunità montane. Conferimento di funzioni. La maggior parte delle Regioni non ha seguito le indicazioni del legislatore statale sul tema dell’esercizio associato delle funzioni e sulla destinazione delle funzioni spettanti agli ATO acqua e rifiuti.
Tuttavia, va sottolineato come in molti casi esistevano già forme associate di esercizio di determinate funzioni. Tra le Regioni che hanno attuato le disposizioni statali si segnala la Toscana. La Campania ha avviato le procedure per l’attuazione e la Puglia lo ha fatto solo in parte. In Piemonte e in Veneto sono state presentate sull’argomento proposte di legge di iniziativa della Giunta.
Le Comunità montane sono in genere soppresse o sostituite con l’Unione di Comuni montani. Nel caso della Liguria (che ha scelto la strada della soppressione) le funzioni sono andate alla Regione in materia di agricoltura, ai Comuni in materia di vincolo idrogeologico e alle Province in materia di bonifica. Il Piemonte ha effettuato un riordino del TU per la montagna e la Lombardia ha adottato altre leggi. La Puglia ha proceduto al riordino delle Comunità montane. In Umbria si segnala l’Agenzia Forestale regionale.
Per il conferimento delle funzioni ancora molte Regioni stanno lavorando sulla base del d.lgs. 112/1998 e questo fa comprendere come sarebbe fondamentale una rapida approvazione del Codice delle Autonomie.
f) il potere sostitutivo nei confronti degli Enti locali. In genere non si registrano casi. Fa eccezione la Regione Calabria, che ha dovuto farvi ricorso con una certa frequenza.
Il sistema delle relazioni regionali e delle Regioni con gli Enti locali, sembra ormai avviato ad una condizione di regime ordinario. Anche le diverse varianti e i ritardi si spiegano con le difficoltà tipiche del divario culturale e geografico.
 
2.2. La finanza regionale e le relazioni con gli Enti locali
Su questo versante si nota una certa differenziazione territoriale dovuta alla condizione di debito, al modo in cui la crisi fa sentire il suo peso sulle diverse aree e alle capacità dei diversi sistemi territoriali che fanno capo alle Regioni. In genere la maggior parte delle Regioni, ma non tutte, approvano la legge finanziaria entro il 31 dicembre; alcune sono giunte all’approvazione anche successivamente. Le leggi finanziarie per il 2012 ricalcano i caratteri che ormai da tempo riscontriamo in simili atti, e cioè sono atti che prevedono disposizioni istituzionali e di organizzazione, norme sui tributi, tariffe, canoni e concessioni; autorizzano spese su provvedimenti preesistenti e prevedono nuove autorizzazioni di spesa; modificano e abrogano le normative vigenti; si occupano della finanza locale; contengono norme su organi, personale e su controlli e contabilità; con riferimento a settori di intervento, si possono ricordare la sanità, i servizi sociali e i servizi pubblici locali.
L’influenza della legislazione statale è in questo versante molto meno intensa di quanto non si pensi. Un certo effetto si è riscontrato per il d.l. 112/2008 e il d.l. 78/2010. Si intrecciano così le questioni della finanza regionale e locale con quelle della legislazione sulla crisi.
La varietà dei contenuti indica le specificità e tende a caratterizzare la Regione anche sulla base di eventi occorsi (terremoti, alluvioni, ecc.) e la situazione regionale è variegata con una diversificazione che ricalca il territorio.
A mero titolo esemplificativo, può risultare illuminante il confronto tra la Calabria e la Lombardia.
La Calabria limita l’indebitamento, effettua uno stretto monitoraggio della spesa e ha effettuato tagli consistenti (3,5 milioni di euro) essenzialmente legati all’abolizione dei vitalizi e ai costi della politica; a ciò si aggiunge la previsione di una riduzione superiore al 30% sul rifinanziamento delle leggi regionali e superiore al 15% per le spese di funzionamento; in più anche quest’anno ha dovuto spingere ancora la pressione fiscale. Non può permettersi una fiscalizzazione dei trasferimenti agli Enti Locali. La regionalizzazione del patto di stabilità è ancora più un’aspirazione che non una realtà; e la lotta all’evasione è ferma.
In Lombardia la legge finanziaria contempla limiti all’indebitamento, ma le disponibilità di bilancio sono differenti. Si tratta di 2 miliardi di euro nel triennio e di 750 milioni nel 2012. Per parte corrente sono previsti 578 milioni, di cui 206 nel 2012, e in conto capitale 1.717 milioni, di cui 653 per il 2012. Non si avvertono contenimenti ulteriori di spesa e mancano riferimenti alla finanza locale (fiscalizzazione controlli e indici di virtuosità). La pressione fiscale è pressoché invariata, salvo una maggiorazione dell’addizionale IRPEF tra lo 0,35% e lo 0,50%, a seconda degli scaglioni. Il Patto di stabilità è regionalizzato con una disponibilità verticale di 70 milioni e orizzontale di 5,5 milioni. La lotta all’evasione in convenzione con l’Agenzia delle Entrate ha fruttato per l’addizionale IRPEF 0,7 milioni; per l’IRAP 140,3 milioni; e di tasse automobilistiche 66 milioni.
Tra la situazione della Calabria e quella della Lombardia si collocano tutte le altre Regioni italiane. Più simili alla Lombardia risultano le Regioni del nord, l’Emilia-Romagna, la Toscana e le Marche. In una posizione intermedia le altre Regioni.
a) la finanza locale nelle leggi finanziarie regionali. Tre sono le voci di riferimento: la fiscalizzazione dei trasferimenti agli Enti locali, i controlli sulla spesa locale e la previsione di indici di virtuosità con forme di premialità per gli Enti Locali.
Le Regioni che contengono previsioni del genere sono ancora poche: tra queste, l’Abruzzo, in parte la Calabria per i controlli, e la Toscana.
b) la regionalizzazione del patto di stabilità. Molte Regioni ormai si sono avvantaggiate della previsione della legge 220/2010 (legge di stabilità 2011). Tra queste: l’Abruzzo, ma solo con compensazioni verticali; la Calabria, come aspirazione; la Liguria, con 61 milioni di verticale e un 1.120.000 di orizzontale; la Lombardia con le cifre sopra indicate; il Piemonte, in avviamento; l’Emilia-Romagna, con 84 milioni di verticale e 22/23 milioni di orizzontale; la Toscana con 100 milioni di verticale nel 2009, 60 nel 2010 e 55 nel 2011; con 871.000 euro di orizzontale nel 2010 e 1.020.000 nel 2011; l’Umbria, con 30 milioni di verticale e la richiesta di 32 Enti locali su 34, per cui non si dà il caso dell’orizzontale; infine, il Veneto con 40 milioni nel 2011 e nel 2012, senza orizzontale.
Non ha regionalizzato il patto di stabilità la Regione Marche. Il Lazio, il Molise, la Basilicata e la Puglia non hanno definito forme di compensazione; alcune di queste Regioni hanno attivato degli osservatori per l’analisi delle possibilità di regionalizzazione del patto di stabilità.
c) la lotta all’evasione. Parecchie Regioni, ma non tutte, hanno ormai convenzioni con l’Agenzia delle Entrate per la riscossione e la lotta all’evasione; due Regioni hanno stipulato, rispettivamente, un accordo con i Comuni e con la Guardia di Finanza.
 
 
3. La crisi economica e le reazioni delle Regioni
Le Regioni italiane hanno saputo reagire alla situazione di crisi meglio di quanto appaia, a causa delle vicende giudiziarie che hanno interessato alcune di esse e che ne hanno offuscato l’immagine. Esse, infatti, hanno avviato un’opera di ristrutturazione organizzativa orientata ad una razionalizzazione e riduzione della spesa.
I settori di amministrazione attiva in cui si è avuto e si ha un intervento per contrastare la crisi sono diversi: alcune Regioni privilegiano una disciplina per l’accesso al credito; altre hanno istituito fondi per il sostegno allo sviluppo e alla competitività; alcune Regioni, come il Veneto, stanno prediligendo l’agricoltura; più limitati sono gli interventi per l’innovazione; molto importante il settore dei servizi per contrastare la povertà e il disagio sociale e l’attuazione di forme di sostegno alla famiglia; molto significative anche le politiche attive per il sostegno dei lavoratori colpiti dalla crisi. La spesa per le infrastrutture diminuisce, ma è ancora presente; solo una Regione incomincia a spendere sulla green economy; di una certa consistenza sono le norme di semplificazione per l’edilizia, la riqualificazione degli immobili e l’urbanistica.
 
 
4. Le Regioni a Statuto speciale e le Province autonome
Sebbene abbiano un percorso istituzionale affatto differente, la loro situazione è analoga a quella delle Regioni ordinarie. Le Regioni a Statuto speciale hanno compiuto il percorso di attuazione della legge costituzionale 2/2001 e sono anch’esse impegnate in revisioni della legge statutaria, in qualche caso dello Statuto stesso, ad esempio per la modifica del numero dei consiglieri (Sardegna e Sicilia). Sul piano dell’attuazione ciascuna segue ancora il vetusto sistema dei decreti attuativi per settore.
Dal punto di vista dei rapporti con gli Enti locali hanno tutte il loro CAL già attivo, tranne la Sicilia. Anche se il numero dei pareri varia molto (dai 66 del Friuli-Venezia Giulia alle poche unità della Sardegna). I loro poteri nei confronti degli Enti locali sono in primo luogo ordinamentali. Ciò comporta una maggiore legislazione anche per i conferimenti di funzioni rispetto alle Regioni ordinarie.
I bilanci e le leggi finanziarie delle Regioni speciali hanno in genere disposizioni sulla finanza locale; prevedono la regionalizzazione del patto di stabilità con risorse discrete, fa eccezione la Valle d’Aosta.
Per quanto riguarda il modo di fronteggiare la crisi, tutte stanno adottando misure di contenimento dei costi della politica e dell’amministrazione; inoltre hanno adottato, ancora di recente, disposizioni a favore di interventi per servizi alla persona e alle famiglie; per il sostegno del lavoro. Le Province di Trento e Bolzano appaiono essere quelle che hanno curato meglio le misure anticrisi, per quantità e qualità: Trento nel 2009 ha destinato circa 850 milioni: si tratta di risorse aggiuntive e prelievi dal fondo di riserva; nel tempo la manovra ha raggiunto circa 1.335 milioni; gli obiettivi sono stati il sostegno agli investimenti pubblici; il sostegno all’impresa; interventi per la competitività e la produttività (banda larga e risparmio energetico); nel 2010-2012 assestamento dell’intervento. Bolzano ha stanziato circa 78 milioni a favore della famiglia e circa 212 milioni a favore dell’economia.
 
 
5. Brevi considerazioni conclusive
La Repubblica è stata chiamata in questi ultimi anni a dare risposte che risultassero convincenti per i mercati a fronte di una crisi economico-finanziaria acuta e persistente.
Come già accennato all’inizio, la situazione emergenziale che ne è derivata ha imposto il susseguirsi di una serie di interventi anche molto ravvicinati nel tempo, volti sia a fronteggiare le continue emergenze, sia a disegnare prospettive di più lungo periodo. Ciò spiega il costante ricorso alla decretazione d’urgenza nella quale, come messo in luce nel capitolo del Rapporto dedicato alla normativa statale, si sono concentrati numerosi interventi a carattere multisettoriale, unificati dalla comune finalità di riduzione delle spese e promozione dello sviluppo. Tali decreti-legge hanno spesso inciso sul sistema regionale e delle autonomie, chiamato ad una imponente razionalizzazione delle proprie spese. Si è così assistito ad un movimento pendolare tra l’approvazione e l’implementazione della riforma del federalismo fiscale, ispirata ad una logica di condivisione e di responsabilità politica di tipo orizzontale, e la logica propria dei provvedimenti anticrisi, improntata invece alla prevalenza delle relazioni di tipo verticale (e gerarchico).
Come già accennato, di fronte alla crisi le Regioni sembrano avere dato una prova migliore di quella che solitamente si pensa: al di là delle vicende giudiziarie che ne hanno sminuito l’immagine e il ruolo svolto, hanno saputo stare vicine ai cittadini, alle famiglie, alle imprese e si sono rivelate una risorsa in quanto hanno funzionato da laboratori del federalismo, che hanno escogitato soluzioni diverse per fronteggiare la crisi, ma poco hanno potuto fare per il rilancio dell’economia nazionale, attesa anche l’insufficienza dei fondi e la mancanza di un quadro normativo di riferimento a livello nazionale.
La “questione morale”, perciò, va tenuta distinta dalla “questione regionale”, se si vuole evitare il rischio di offuscare il lato positivo delle Regioni; e, in questo senso, si è avuta anche una presa di posizione del Presidente della Repubblica.
La questione che si deve porre è se l’attuale fase di crisi possa ricomporre meglio le funzioni pubbliche, per renderle più rispondenti ai processi di integrazione europeo e internazionale. In questa prospettiva, apparirebbe opportuno agire, soprattutto, su due fronti:
a) assicurando un più intenso coordinamento tra lo Stato e le Regioni, attraverso strumenti più leggeri e possibilmente maggiormente consensuali. Proprio la crisi potrebbe favorire, in presenza delle Regioni, una revisione della spesa statale e soprattutto una riduzione e una qualità diversa degli interventi.
b) assicurando una maggiore perequazione tra i territori.
Nella sostanza, si tratta di arrivare ad una maggiore condivisione delle scelte – anche strategiche – tra Stato e sistema regionale e delle autonomie, valorizzando pienamente la visione collaborativa presente nell’articolo 114 della Costituzione, che fa delle competenze di ciascun livello di governo la regola della partecipazione alle politiche pubbliche.
 
Stelio Mangiameli
 
 
(1) I decreti legislativi approvati nel 2010 sono: quello sul federalismo demaniale (85/2010); quello su Roma Capitale (156/2010); quello in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni, Città metropolitane e Province (216/2010). A lungo dibattuti, con ripetute e diverse stesure, nel corso del 2010 sono state le proposte di decreto legislativo riguardante il federalismo fiscale municipale e quello riguardante l’autonomia di entrata delle Regioni a Statuto ordinario e delle Province, al cui interno sono state collocate anche le disposizioni concernenti la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario. Entrambi questi decreti legislativi hanno avuto la luce nel 2011 (il primo d.lgs. 23; e il secondo d.lgs. 68). Sempre nel 2011 sono stati adottati il d.lgs. 88, “Disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione di squilibri economici e sociali”, il d.lgs. 91, “Adeguamento ed armonizzazione dei sistemi contabili”, e il d.lgs. 149, sui “Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a Regioni, Province e Comuni”. Nel 2012 è stato deliberato il d.lgs. 61, “Ulteriori disposizioni recanti attuazione dell’articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di ordinamento di Roma Capitale”.

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