Ricoros n. 63 del 22 agosto 2014 (Regione Veneto)
~~Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 22 agosto 2014 (della Regione Veneto) .
(GU n. 44 del 2014-10-22)
Ricorso proposto dalla regione Veneto (C.F. … - P.IVA
…), in persona del Presidente della Giunta regionale dott.
Luca Zaia (C.F. …), autorizzato con deliberazione
della Giunta regionale n. 1322 del 28 luglio 2014 (allegato n. 1),
rappresentato e difeso, per mandato a margine del presente atto,
tanto unitamente quanto disgiuntamente, dagli avuti Ezio Zanon (C.F.
..) coordinatore dell'Avvocatura regionale, prof. Luca
Antonini (C.F. …) del Foro di Milano e Luigi Manzi
(C.F. …) del Foro di Roma, con domicilio eletto presso
lo studio di quest'ultimo in Roma, via Confalonieri n. 5 (per
eventuali comunicazioni: fax …, posta elettronica
certificata …, contro il Presidente
del Consiglio dei ministri pro-tempore, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato
ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12, per la dichiarazione di
illegittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni del
decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, recante «Misure urgenti per la
competitivita' e la giustizia sociale», convertito con modificazioni
dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale del 23 giugno 2014, n. 143:
1) dell'art. 8, commi 4, 6, 10 per violazione degli articoli
3, 117, III e IV comma, 119 e 120 della Costituzione;
2) dell'art. 14, commi 1, 2 e 4-ter per violazione degli
articoli 3, 97, 117, III comma, 119 della Costituzione e del
principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della
Costituzione;
3) dell'art. 15 per violazione degli articoli 3, 97, 117, III
comma, 119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione
di cui all'art. 120 della Costituzione;
4) dell'art. 24, comma 4, per violazione degli articoli 3,
97, 117, III comma, 119 della Costituzione e del principio di leale
collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione;
5) dell'art. 41, comma 2, per violazione degli articoli 3,
97, 117, I, III e IV comma e 119 della Costituzione;
6) dell'art. 46, commi 6 e 7 per violazione degli articoli 3,
117, III e IV comma, 119 e 120 della Costituzione.
M o t i v i
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 8, commi 4, 6, 10.
6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 46, commi 6 e 7.
L'art. 8 (Trasparenza e razionalizzazione della spesa pubblica
per beni e servizi) del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66,
convertito con modificazioni dalla legge 23 giugno 2014, n. 89,
prevede al comma 4:
«4. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente
decreto, le pubbliche amministrazioni di cui all'art. 11, comma 1,
del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, riducono la spesa per
acquisti di beni e servizi, in ogni settore, per un ammontare
complessivo pari a 2.100 milioni di euro per il 2014 in ragione di:
a) 700 milioni di euro da parte delle regioni e delle
province autonome di Trento e Bolzano;
b) 700 milioni di euro, di cui 340 milioni di euro da parte
delle province e citta' metropolitane e 360 milioni di euro da parte
dei comuni;
c) 700 milioni di euro, comprensivi della riduzione di cui al
comma 11, da parte delle pubbliche amministrazioni di cui all'art.
11, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33.
Le stesse riduzioni si applicano, in ragione d'anno, a decorrere
dal 2015.».
L'art. 8, al comma 6 dispone poi:
«6. La determinazione degli obiettivi di riduzione di spesa per
le regioni e le province autonome e' effettuata con le modalita' di
cui all'art. 46.».
Al comma 10, l'art. 8 stabilisce, infine, che:
«10 Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano
possono adottare misure alternative di contenimento della spesa
corrente al fine di conseguire risparmi comunque non inferiori a
quelli derivanti dall'applicazione del comma 4.».
In questi termini l'art.8 prevede che le regioni ordinarie,
quelle speciali e le province autonome di Trento e Bolzano riducano
la spesa per acquisti di' beni e servizi, in ogni settore, in ragione
di 700 milioni di euro per il 2014 e che le stesse riduzioni si
applichino, in ragione d'anno, a decorrere dal 2015. Va precisato che
l'espressione «in ragione di anno»deve intendersi nel senso che
l'obiettivo fissato per il 2014 e' riferito a otto mesi dell'anno,
considerata la data di entrata in vigore del decreto-legge. Pertanto
l'obiettivo per gli 2015 e seguenti e' rideterminato in aumento
percentuale rispetto agli ulteriori mesi considerati nel 2014,
raggiungendo un importo quasi doppio.
La determinazione degli obiettivi di riduzione di spesa per le
regioni e le province autonome, in base al rimando del comma 6, e'
poi effettuata con le modalita' di cui all'art. 46 (commi 6 e 7). La
connessione che lega, attraverso il comma 6, la disposizione del
comma 4 dell'art. 8 con quella dell'art. 46, commi 6 e 7, ne rende
pertanto opportuna la trattazione congiunta in questo motivo del
ricorso.
In particolare, i commi 6 e 7 dell'art. 46, nello stabilire le
modalita' di riparto del contributo alla finanza pubblica, rinviano
ad un'intesa che, tenendo conto anche del rispetto dei tempi di
pagamento stabiliti dalla direttiva 2011/7/UE, nonche' dell'incidenza
degli acquisti centralizzati, deve essere raggiunta entro il 31
maggio 2014, con riferimento all'anno 2014 ed entro il 31 ottobre
2014 con riferimento agli anni 2015 e seguenti. Piu' precisamente,
tali disposizioni stabiliscono che:
«6. Le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, in
conseguenza dell'adeguamento dei propri ordinamenti ai principi di
coordinamento della finanza pubblica introdotti dal presente decreto
e a valere sui risparmi derivanti dalle disposizioni ad esse
direttamente applicabili ai sensi dell'art. 117, comma secondo, della
Costituzione, assicurano un contributo alla finanza pubblica pari a
500 milioni di euro per l'anno 2014 e di 750 milioni di euro per
ciascuno degli anni dal 2015 al 2017, in ambiti di spesa e per
importi proposti in sede di autocoordinamento dalle regioni e
province autonome medesime, tenendo anche conto del rispetto dei
tempi di pagamento stabiliti dalla direttiva 2011/7/UE, nonche'
dell'incidenza degli acquisti centralizzati, da recepire con Intesa
sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31
maggio 2014, con riferimento all'anno 2014 ed entro il 31 ottobre
2014, con riferimento agli anni 2015 e seguenti. In assenza di tale
Intesa entro i predetti termini, con decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri, da adottarsi, previa deliberazione del
Consiglio dei ministri, entro venti giorni dalla scadenza dei
predetti termini, i richiamati importi sono assegnati ad ambiti di
spesa ed attribuiti alle singole regioni e province autonome di
Trento e Bolzano, tenendo anche conto del Pil e della popolazione
residente, e sono eventualmente rideterminati i livelli di
finanziamento degli ambiti individuati e le modalita' di acquisizione
delle risorse da parte dello Stato.
7. Il complesso delle spese finali espresse in termini di
competenza eurocompatibile di ciascuna regione a statuto ordinario,
di cui al comma 449-bis dell'art. 1 della legge 24 dicembre 2012, n.
228, e' ridotto per ciascuno degli anni dal 2014 al 2017, tenendo
conto degli importi determinati ai sensi del comma 6.».
Tali complesse disposizioni degli articoli 8 e 46, realizzano nel
loro insieme un sistema di tagli sulla spesa per acquisti di beni e
servizi della regione che risulta costituzionalmente illegittimo
sotto diversi profili, analiticamente esposti qui di seguito:
a) innanzitutto il primo aspetto che deve essere considerato
e' il carattere meramente lineare del taglio che viene imposto.
Nessuna distinzione qualitativa viene, infatti, effettuata in merito
all'obbligo di contenimento, in ogni settore, della spesa pubblica
regionale per acquisti di beni e servizi. Questa viene, infatti,
incisa da una misura dal carattere assolutamente generico, idoneo a
ricomprendere non solo la cosiddetta spesa cattiva (quella spesa
cioe' la cui riduzione, nell'ambito delle manovre e' senz'altro
opportuna), ma anche la cosiddetta spesa buona; ad esempio, la misura
di contenimento ricomprende (si veda Dossier n. 178 del 9 giugno 2014
- allegato n. 2 - del Servizio bilancio della Camera dei deputati, a
pag. 47) sia la spesa corrente che quella in conto capitale (che dal
2009 in Italia, per l'effetto di manovre di taglio lineare analoghe a
quella in oggetto si e' ridotta di circa 20 miliardi, che erano
gestiti, per oltre il 70% a livello sub statale: si tratta di un dato
sintomatico che evidenzia il perverso effetto prodotto dalle manovre
che hanno scacciato la spesa buona e sono risultate poco efficaci
sulla spesa cattiva).
Inoltre, il taglio che viene realizzato e' potenzialmente idoneo
a interferire in ambiti inerenti a fondamentali diritti civili e
soprattutto sociali (date le competenze, ad esempio in materia di
assistenza sociale, costituzionalmente assegnate alle regioni), dove
lo Stato dovrebbe, invece, esplicare la propria fondamentale funzione
di coordinamento attraverso la determinazione dei livelli essenziali
delle prestazioni, proprio al fine di evitare la messa a repentaglio
quel livello di erogazione dei servizi che deve essere uniformemente
garantito su tutto il territorio nazionale (sulla predeterminazione
normativa da parte dello Stato dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali come strumento per
garantire un uso corretto dei poteri regionali codesta ecc.ma Corte
e' piu' volte intervenuta, si veda ad esempio gia' la sentenza n. 320
del 2004 fino alla recente sentenza n. 273 del 2013 dove si evidenzia
la gravita' della inattuazione della individuazione dei livelli
essenziali delle prestazioni assistenza, dell'istruzione e del
trasporto pubblico locale in materia che «costituiscono pertanto
condizione necessaria ai fini della compiuta attuazione del sistema
di finanziamento delle funzioni degli enti territoriali previsto
dall'art. 119 Cost.»). Disponendo un taglio lineare in questi termini
lo Stato non ha, invece, utilizzato alcun parametro idoneo a
consentire una verifica sulla sostenibilita' del taglio stesso
rispetto alla erogazione dei servizi - anche se appunto connessi a
fondamentali diritti civili e sociali.
Infine, la previsione non contiene alcun riferimento a livelli
standard di spesa efficiente (solo per le amministrazioni statali
l'art. 8 prevede, al comma 5, come criterio di virtuosita' quello di
disporre gli acquisti ai prezzi piu' prossimi a quelli di riferimento
ove esistenti), applicandosi in modo generalizzato alla totalita'
delle regioni senza alcuna considerazione dei livelli di spesa
storica sostenuti dalle singole regioni e senza alcuna valutazione
sulla relativa appropriatezza (eppure i bilanci delle regioni
riclassificati in modo omogeneo - permettendo quindi l'analisi delle
singole voci di spesa - sono ormai disponibili dal 2009 in base alla
previsione di cui all'art. 19-bis del decreto-legge n. 135 del 2009).
In questo modo il taglio lineare e' potenzialmente idoneo, dal
momento che nessuna verifica di sostenibilita' e' stata effettuata a
livello centrale, a compromettere l'erogazione dei servizi
soprattutto in quelle realta' regionali che hanno adottato da tempo
misure di contenimento della spesa riducendola a livelli
difficilmente ulteriormente comprimibili senza un vulnus al sistema
dei servizi sociali. Ne' la previsione che la distribuzione del
taglio, sia in termini di importo che di ambiti di spesa, sia rimessa
in sede di autocoordinarnento dalle regioni a un'intesa vale a
superare, come si vedra', le censure inerenti ad un illegittimo
intervento sulla autonomia di spesa delle regioni (peraltro in sede
di coordinamento con le regioni gli unici due criteri che vengono
considerati sono il rispetto dei tempi di pagamento e il grado di
centralizzazione degli acquisti, senza alcun riferimento, appunto,
ne' alla sostenibilita' sociale dei tagli, ne' al grado di
appropriatezza della spesa delle singole regioni).
In questi termini le disposizioni impugnate travalicano la
funzione del «coordinamento»della finanza pubblica e si concretizzano
in misure di «contenimento»che risultano pero' prive degli
indispensabili elementi di razionalita', di efficacia e di
sostenibilita' che dovrebbero quantomeno informare tale funzione.
Da questo punto di vista risultano violati: il principio di
ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. con una diretta ricaduta
sull'autonomia regionale che risulta limitata nella propria capacita'
organizzativa e finanziaria; l'art. 117, III comma, in quanto e'
indebitamente travalicata, da parte della disposizione della legge
statale impugnata, la funzione di coordinamento della finanza
pubblica; l'art. 119, e gli articoli 117, III e IV comma, in quanto
e' indebitamente incisa l'autonomia di spesa della regione e
conseguentemente anche la funzione legislativa della stessa che si
deve svolgere nel rispetto degli equilibri di un quadro finanziario
che viene illegittimamente alterato. La suddetta censura si estende
anche al comma 10 che impone in ogni caso una quantificazione del
taglio corrispondente a quanto stabilito dal comma 4;
b) il secondo aspetto che deve essere considerato e' poi la
natura permanente della riduzione di spesa. L'ultimo periodo del
comma 4 dell'art. 8, afferma, infatti, che «le stesse riduzioni si
applicano, in ragione d'anno, a decorrere dal 2015».
Codesta ecc. ma Corte costituzionale, nella sentenza n. 193 del
2012 (e nella successiva sentenza n. 79 del 2014) ha avuto modo di
precisare con molta chiarezza l'incostituzionalita', per violazione
dell'art. 119 Cost., di «misure restrittive in riferimento alle
regioni ordinarie, alle province ed ai comuni senza indicare un
termine finale di operativita' delle misure stesse», in quanto
possono essere ritenute principi fondamentali in materia di
coordinamento della finanza pubblica, ai sensi del terzo comma
dell'art. 117 Cost., le norme che «si limitino a porre obiettivi di
riequilibrio della finanza pubblica, intesi nel senso di un
transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della
spesa corrente e non prevedano in modo esaustivo strumenti o
modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi (sentenza n.
148 del 2012; conformi, ex plurimis, sentenze n. 232 del 2011 e n.
326 del 2010)».
Il carattere permanente della misura di riduzione della spesa
regionale ne inficia quindi certamente, alla luce della
giurisprudenza costituzionale, la legittimita'.
Non e' peraltro chiaro il raccordo, a questo riguardo, del comma
4 dell'art. 8 (che si conclude, come gia' ricordato, affermando: «le
stesse riduzioni si applicano, in ragione d'anno, a decorrere dal
2015») con l'art. 46, commi 6 e 7, dove l'ambito di applicazione
della misura di contenimento della spesa regionale viene precisato
solo per l'anno 2014 e per ciascuno degli anni dal 2015 al 2017,
senza alcun riferimento agli anni successivi.
La circostanza e' stata evidenziata anche dal gia' citato Dossier
n. 178 del 9 giugno 2014 (allegato n. 2) del Servizio bilancio della
Camera dei deputati, dove a pag. 47 si afferma: «Si rileva, infine,
che le norme recate dall'ultimo periodo del comma 4 stabiliscono che
le riduzioni di spesa hanno natura permanente mentre l'art. 47 (46),
che include le riduzioni di spesa recate dall'articolo in esame,
fissa obiettivi di risparmio per gli enti territoriali solo fino al
2017. Appare, pertanto, necessario che il Governo chiarisca se la
riduzione delle spese prevista dall'articolo in esame abbia natura
permanente».
In ogni caso, siccome le disposizioni dei commi 6 e 7 dell'art.
46, che sembrano limitare l'effetto in termini temporalmente
circoscritti, hanno carattere meramente applicativo, non e' possibile
ascrivere alle stesse la forza di stabilire un termine alla
applicabilita' dello stesso comma 4 dell'art. 8. Il carattere
permanente del taglio che deriva da tale disposizione risulta quindi
violare sia la previsione dell'art. 117, III comma, sul coordinamento
della finanza pubblica, sia l'autonomia di spesa della regione di cui
all'art. 119 della Costituzione;
c) un terzo aspetto che deve essere considerato e' infine
quello, gia' prima accennato, inerente alla disciplina del riparto in
sede di coordinamento regionale.
L'art. 46, al comma 6, prevede infatti una intesa in sede di
Conferenza permanente allo scopo di definire sia il riparto degli
importi, sia i relativi ambiti di spesa (al riguardo si precisa che
per il 2014 l'Intesa e' stata raggiunta in data 29 maggio 2014). Si
prevede altresi' che tra i criteri da assumere a tale fine e in
quella sede vengano in considerazione il rispetto dei tempi di
pagamento stabiliti dalla direttiva 2011/7/UE e l'incidenza degli
acquisti centralizzati.
Tuttavia, (ormai in relazione agli anni successivi a' 2014)
qualora la suddetta intesa non venga raggiunta, l'art. 46, comma 6,
dispone che, in tal caso, il riparto del taglio e i relativi ambiti
siano definiti «con decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri, da adottarsi, previa deliberazione del Consiglio dei
ministri, entro venti giorni dalla scadenza dei predetti termini, ...
tenendo anche conto del Pil e della popolazione residente».
In questa ipotesi, pertanto, i due criteri che vengono assunti
dallo Stato per definire il riparto e gli ambiti del taglio vengono
identificati nel Pil regionale e nella popolazione residente. E' di
tutta evidenza non solo come tali criteri non abbiano una attinenza
costituzionalmente corretta con lo scopo della norma che e' quello
del coordinamento (rectius: contenimento) della spesa regionale, ma
soprattutto che addossare, in questi termini, un maggiore onere alle
regioni con un Pil piu' elevato travalica l'ambito dell'art. 119
della Costituzione.
Codesta ecc.ma Corte ha avuto modo di precisare con chiarezza
nella sentenza n. 79 del 2014, in relazione all'art. 16 del
decreto-legge n. 95 del 2012, che un taglio alle risorse regionali
applicato in misura proporzionale anche alle spese sostenute per i
consumi intermedi, nel senso di imporre maggiori riduzioni a quelle
regioni che abbiano effettuato maggiori spese per i suddetti consumi
intermedi, realizza «un effetto perequativo implicito, ma evidente,
che discende dal collegare la riduzione dei trasferimenti statali
all'ammontare delle spese per i consumi intermedi, intese quali
manifestazioni, pur indirette, di ricchezza delle regioni».
In questi termini la sentenza n. 79 del 2014 ha ritenuto che «una
simile misura perequativa, tuttavia, contrasta con l'art. 119 Cost.
in quanto non soddisfa i requisiti ivi prescritti, in particolare al
terzo ed al quinto comma».
Nel richiamare la propria consolidata giurisprudenza, la suddetta
sentenza ha precisato, infatti, che «gli interventi statali fondati
sulla differenziazione tra regioni, volti a rimuovere gli squilibri
economici e sociali, devono seguire le modalita' fissate dall'art.
119, quinto comma, Cost., senza alterare i vincoli generali di
contenimento della spesa pubblica, che non possono che essere
uniformi» (sentenze n. 46 del 2013 e n. 284 del 2009)». Ha quindi
ribadito «che, ove le risorse acquisite siano destinate ad un
apposito fondo perequativo, esse devono essere indirizzate ai soli
"territori con minore capacita' fiscale per abitante" (art. 119,
terzo comma, Cost.)».
Nella previsione dell'art. 46, comma 6, qui impugnata, il
legislatore statale ha sostituito il riferimento ai consumi intermedi
con quello al Pil regionale (e alla popolazione). Tale riferimento,
tuttavia, non vale in alcun modo a superare la sostanza della censura
che era contenuta nella sentenza n. 79 del 2014, ma ricade anzi
pienamente nella stessa medesima logica censurata.
Nella sentenza n. 79 del 2014, infatti, codesta Corte ha,
infatti, precisato che «mentre il concorso agli obiettivi di finanza
pubblica e' un obbligo indefettibile di tutti gli enti del settore
pubblico allargato di cui anche le regioni devono farsi carico
attraverso un accollo proporzionato degli oneri complessivi
conseguenti alle manovre di finanza pubblica (ex plurimis, sentenza
n. 52 del 2010), la perequazione degli squilibri economici in ambito
regionale deve rispettare le modalita' previste dalla Costituzione,
di modo che il loro impatto sui conti consolidati delle
amministrazioni pubbliche possa essere fronteggiato ed eventualmente
redistribuito attraverso la fisiologica utilizzazione degli strumenti
consentiti dal vigente ordinamento finanziario e contabile (sentenza
n. 176 del 2012)».
La previsione dell'art. 46, comma 6, qui impugnata, addossando un
maggiore onere a carico delle regioni che abbiano un Pil piu'
elevato, determina pertanto, dal punto di vista sostanziale, la
stessa alterazione dei corretti criteri costituzionali della
perequazione che codesta ecc.ma Corte ha censurato nella sentenza n.
79 del 2014 (e' di tutta evidenza, ad esempio, che il dato del Pil
sia, in ogni caso, cosa diversa dalla capacita' fiscale - cui fa
riferimento l'art.119 Cost - che implica invece il riferimento ai
dati standardizzati di gettito delle imposte e che quindi non
sussiste una correlazione necessaria tra Pil e capacita' fiscale,
esistendo elementi che concorrono a determinare il Pil che non
rientrano necessariamente, o nello stesso modo, nella dinamica
impositiva).
Anche in relazione alla complessa fattispecie definita dal
combinato disposto degli articoli 8, comma 4, e 46, commi 6 e 7, del
decreto-legge n. 66 del 2014, non risultano quindi in alcun modo
rispettate le condizioni richieste della sentenza a 79 del 2014, le
cui conclusioni ben possono essere specularmente riportate in
relazione al caso di specie, posto che le disposizioni qui censurate,
anch'esse «non contengono alcun indice da cui possa trarsi la
conclusione che le risorse in tal modo acquisite siano destinate ad
un fondo perequativo indirizzato ai soli "territori con minore
capacita' fiscale per abitante" (art. 119, terzo comma, Cost.), ne'
che esse siano volte a fornire quelle "risorse aggiuntive", che lo
Stato - dal quale, peraltro, dovrebbero provenire - destina
esclusivamente a "determinate" regioni per "scopi diversi dal normale
esercizio delle loro funzioni" (art. 119, quinto comma, Cost.: ex
plurimis, sentenze n. 273 del 2013; n. 451 del 2006; n. 107 del 2005;
n. 423, n. 320, n. 49 e n. 16 del 2004), con riferimento a specifici
ambiti territoriali e/o a particolari categorie svantaggiate".»
Le disposizioni dell'art. 46, commi 6 e 7, nella parte in cui
dispongono nei termini descritti l'intervento sostitutivo statale nel
caso della mancata intesa, risultano pertanto violare l'art. 119 e in
particolare i commi III e V, oltre che l'art. 120 Cost.
2) Illegittimita' dell'art. 14, commi 1, 2 e 4-ter.
L'art. 14, comma 1, relativo al controllo della spesa per
incarichi di consulenza, studio e ricerca, stabilisce che le regioni,
in quanto rientranti nell'elenco delle amministrazioni interessate
dalla disposizione, a decorrere dall'anno 2014, non possano conferire
incarichi di consulenza, studio e ricerca quando la spesa complessiva
sostenuta nell'anno per tali incarichi sia superiore ad una certa
percentuale della propria spesa per il personale, come risultante dal
conto annuale del 2012, pari al 4,2% per le amministrazioni con spesa
di personale pari o inferiore a 5 milioni di euro, e all'1,4% per le
amministrazioni con spesa di personale superiore a 5 milioni di euro.
Lo stesso art. 14, al comma 2 prevede la stessa dinamica di
contenimento della spesa riguardo ai contratti di collaborazione
coordinata e continuativa, statuendo che le regioni, in quanto
rientranti nell'elenco delle amministrazioni interessate dalla
disposizione, non possano stipulare contratti di collaborazione
coordinata e continuativa quando la spesa complessiva per tali
contratti sia superiore rispetto alla spesa del personale, come
risultante dal conto annuale del 2012, al 4,5% per le amministrazioni
con spesa di personale pari o inferiore a 5 milioni di euro, e
all'1,1% per le amministrazioni con spesa di personale superiore a 5
milioni di euro.
Il comma 4-ter dell'art.14 stabilisce, infine, per le regioni e
le province autonome di Trento e di Bolzano (oltre che per province,
Citta' metropolitane e comuni) la facolta' di rimodulare o adottare
misure alternative di contenimento della spesa corrente, al fine di
conseguire risparmi comunque non inferiori a quelli derivanti
dall'applicazione dei corrimi 1 e 2. Obbliga quindi le regioni
comunque al conseguimento di un contenimento di spesa quantificato in
base ai criteri di cui ai commi 1 e 2.
Tali disposizioni nel fissare in questi termini tetti alla spesa
per incarichi di consulenza, studio e ricerca, nonche' per i
contratti di collaborazione coordinata e continuativa, appaiono
radicalmente irragionevoli e lesive delle attribuzioni costituzionali
delle regioni.
In primo luogo in quanto, peraltro in assenza di intesa, non
contengono principi di coordinamento ma misure puntuali e
dettagliate: al riguardo la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte e'
stata quanto mai chiara nell'affermare che possono essere ritenute
principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza
pubblica, ai sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost., solo le norme
che «si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza
pubblica, intesi nel senso di un transitorio contenimento
complessivo, anche se non generale, della spesa corrente e non
prevedano in modo esaustivo strumenti o modalita' per il
perseguimento dei suddetti obiettivi» (sentenza n. 148 del 2012;
conformi, ex plurimis, sentenze n. 232 del 2011 e n. 326 del 2010).
Si realizza pertanto una violazione del III comma dell'art. 117 Cost.
e dell'art.119 della Costituzione.
Solo a titolo informativo si ricorda peraltro che lo stesso, gia'
citato, dossier n. 178 del 2014 della Camera dei deputati (allegato
n. 2) aveva avanzato dubbi di costituzionalita' (pag. 68), in
relazione alle disposizioni in oggetto, evidenziando: «che la Corte
costituzionale ha affermato che qualora la legge statale vincolasse
regioni e province autonome all'adozione di misure analitiche e di
dettaglio (in una determinata materia), essa verrebbe a comprimere
illegittimamente la loro autonomia finanziaria, esorbitando dal
compito di formulare i soli principi fondamentali della materia. Cfr.
sentenza n. 159 del 2008. In essa si afferma testualmente che «Tutto
cio' porta a concludere che il comma 730 (della legge n. 296/2006) e'
costituzionalmente illegittimo perche' irriducibile a quanto
prescritto nell'ultimo periodo del terzo comma dell'art. 117 della
Costituzione: quand'anche la norma impugnata venga collocata
nell'area del coordinamento della finanza pubblica, e' palese che il
legislatore statale, vincolando regioni e province autonome
all'adozione di misure analitiche e di dettaglio, ne ha compresso
illegittimamente l'autonomia finanziaria, esorbitando dal compito di
formulare i soli principi fondamentali della materia".».
In secondo luogo perche', in spregio ad ogni criterio di
razionalita' e di buon andamento della pubblica amministrazione e ai
criteri che dovrebbero informare anche i processi di spending review,
le norme impugnate vanno a penalizzare indebitamente le
amministrazioni virtuose che hanno contenuto la spesa per il
personale e a favorire quelle che invece hanno ecceduto in tale
spesa.
Piu' precisamente, dall'esame dei bilanci delle regioni
riclassificati in base alla previsione di cui all'art. 19-bis del
decreto-legge n. 135 del 2009 emerge, ad esempio, che nel 2012 la
spesa per il personale della regione Veneto e' stata pari a
144.826.690, mentre quella della regione Campania e' stata pari a
329.794.972, mentre quella della Sicilia addirittura e' stata di
1.699.525.095 (allegato n. 3), pur trattandosi di regioni
sostanzialmente omogenee in termini di popolazione (intorno ai 5
milioni di abitanti). Le disposizioni dei commi 1 e 2 dell'art. 14,
peraltro, anziche' determinare il contenimento della spesa pubblica
possono addirittura determinare un paradossale effetto espansivo
della spesa nelle amministrazioni regionali in cui si registra un
eccesso di spesa storica per il personale, dal momento che e' proprio
questo dato che viene irragionevolmente identificato quale parametro
sul quale calcolare la percentuale di spesa consentita sia in ordine
agli incarichi di consulenza, studio e ricerca sia per i contratti di
collaborazione coordinata e continuativa.
In altre parole, proprio alle amministrazione regionali che meno
avrebbero bisogno di rivolgersi all'esterno (consulenze) o ricorrere
a collaborazioni coordinate o continuative, perche' gia'
caratterizzate da un eccesso di personale, si consente una maggiore
spesa per queste fattispecie.
Tali disposizioni, peraltro di carattere permanente - e quindi in
violazione del principio di transitorieta' richiesto invece da
codesta ecc ma Corte per le misure di coordinamento della spesa
pubblica - risultano pertanto lesive, oltre che del III comma
dell'art.117 Cost. e dell'art. 119 Cost. (violato peraltro, anche in
relazione ai commi III e IV per l'effetto perequativo implicito e
distorto che le disposizioni impugnate producono), anche degli
articoli 3 e 97, la cui violazione ridonda nella lesione delle
competenze regionali, dal momento che i criteri di cui ai commi 1 e 2
dell'art. 14, valgono in ogni caso a identificare, per effetto del
comma 4-ter, la misura del risparmio a cui ogni singola regione e'
tenuta, con violazione quindi della autonomia organizzativa e
finanziaria. Infine, la mancanza della previsione di una intesa
determina la violazione del principio di leale collaborazione di cui
all'art. 120 della Costituzione.
3) Illegittimita' dell'art.15.
L'art.15, relativo alla spesa per autovetture, modificando il
comma 2 dell'art. 5 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95,
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135,
prevede che dal 1° maggio 2014, le regioni, in quanto rientranti
nelle amministrazioni interessate dalla disposizione, non possano
effettuare spese di ammontare superiore al 30 per cento della spesa
sostenuta nell'anno 2011 per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio
e l'esercizio di autovetture, nonche' per l'acquisto di buoni taxi.
Tale disposizione, peraltro anch'essa di carattere permanente e
anch'essa senza la previsione di un'intesa, risulta lesiva delle
competenze e prerogative regionali dal momento che si tratta di una
disposizione puntuale priva del carattere di principio fondamentale
di coordinamento della finanza pubblica. Al riguardo si rimanda
pienamente alle motivazioni, che si ripropongono interamente,
sviluppate al punto precedente riguardo alla violazione degli art.
117, III comma, 119 Cost. e del principio di leale collaborazione di
cui all'art. 120 della Costituzione.
Inoltre, la disposizione, introducendo un meccanismo di blocco
della spesa senza nessun rapporto con standard medi, finisce
irragionevolmente per avvantaggiare quelle regioni che hanno
effettuato nell'anno 2011 spese maggiori, senza alcuna considerazione
del principio del buon andamento della pubblica amministrazione. Tale
disposizione risulta pertanto lesiva anche degli articoli 3 e 97
della Costituzione che ridonda, stante il carattere generale del
vincolo, sulle competenze costituzionalmente assegnate alla regione,
che risulta limitata nella propria capacita' organizzativa.
4) Illegittimita' dell'art. 24, comma 4.
L'art. 24, comma 4, estende anche alle regioni la normativa di
cui all'art. 3 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito,
con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135. In particolare,
a seguito della novella, il nuovo comma 7 dell'art. 3 del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, statuisce ora che le previsioni
di cui ai precedenti commi 4 e 6 si applichino anche alle regioni, in
quanto compatibili. Nello specifico, con riferimento ai contratti di
locazione passiva aventi ad oggetto immobili a uso istituzionale i
canoni di locazione sono ridotti a decorrere dal l° luglio 2014 nella
misura del 15 per cento di quanto corrisposto, applicando tale
decremento anche ai contratti di locazione scaduti o rinnovati dopo
tale data. Tale riduzione del canone di locazione si inserira'
automaticamente nei contratti in corso ai sensi dell'art. 1339 c.c.,
anche in deroga alle eventuali clausole difformi apposte dalle parti,
salvo il diritto di recesso del locatore. E' previsto, poi, che il
rinnovo del rapporto di locazione sia consentito solo in presenza e
coesistenza della disponibilita' delle risorse finanziarie necessarie
per il pagamento dei canoni, degli oneri e dei costi d'uso, per il
periodo di durata del contratto di locazione e della permanenza delle
esigenze allocative. Similare disciplina e' introdotta per i
contratti di locazione passiva, aventi ad oggetto immobili ad uso
istituzionale di proprieta' di terzi, di nuova stipulazione. L'art.
24, comma 4, introduce anche nel novellato comma 7 dell'art. 3 del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, la facolta' per le regioni di
adottare misure alternative di contenimento della spesa corrente al
fine di conseguire comunque risparmi non inferiori a quelli derivanti
dall'applicazione della medesima disposizione.
In questi termini la norma, imponendo, peraltro senza intesa, una
misura permanete e dettagliata di riduzione di una specifica voce di
spesa concretizza una disposizione puntuale priva del carattere di
principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica e
pertanto contrasta con gli articoli 117, III comma e 119 della
Costituzione. Al riguardo si rimanda pienamente alle motivazioni, che
si ripropongono interamente, sviluppate ai punti precedenti riguardo
alla violazione degli art. 117, III comma, 119 Cost. (ivi compresa
anche la violazione dei commi III e IV per l'effetto perequativo
implicito e distorto che le disposizioni impugnate producono) e del
principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della
Costituzione. Inoltre, la norma in oggetto, imponendo una
generalizzata e irragionevole riduzione dei canoni di locazione a
prescindere dalla loro congruita', risulta anche lesiva degli
articoli 3 e 97 la cui violazione ridonda in una lesione delle
competenze costituzionalmente garantite alla regione, e in
particolare sull'autonomia finanziaria e organizzativa, derivante dal
fatto che le regioni sono comunque tenute a garantire, in ogni caso,
risparmi non inferiori a quelli derivanti dall'applicazione dei
criteri irragionevoli stabiliti dalla disposizione impugnata.
5) Illegittimita' dell'art. 41, comma 2.
L'art. 41, comma 2, statuisce che, al fine di garantire il
rispetto dei tempi di pagamento di cui all'art. 4 del decreto
legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, le regioni, che, sulla base
dell'attestazione dei tempi di pagamento, registrano tempi medi
superiori a novanta giorni nel 2014 e a sessanta giorni a decorrere
dal 2015, rispetto a quanto disposto dal decreto legislativo 9
ottobre 2002, n. 231, nell'anno successivo a quello di riferimento
non possano procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo,
con qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa e di somministrazione, anche
con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto. E' previsto,
inoltre, il divieto di stipulare contratti di servizio con soggetti
privati che si configurino come elusivi della presente disposizione.
Tale disposizione appare irragionevole oltreche' lesiva delle
competenze e prerogative regionali. Essa, infatti, introduce una
«sanzione» del tutto disomogenea rispetto alla violazione cui e'
connessa, e potenzialmente contrastante con la stessa, senz'altro
corretta, finalita' che la dovrebbe ispirare. Risulta inoltre priva
di ogni criterio di proporzionalita' e congruita'. Al mancato
rispetto dei tempi di pagamento da parte della pubblica
amministrazione, la norma impugnata invece di collegare «sanzioni»o
rectius ripercussioni connesse e proporzionate all'inadempimento,
prevede, anche in violazione del principio del buon andamento della
pubblica amministrazione, un irragionevole «blocco»totale delle
assunzioni, sotto qualsiasi forma, che potrebbe addirittura anche
condurre ad un ulteriore incremento dei tempi di pagamento, ove il
ritardo degli stessi sia dovuto proprio alla carenza di personale.
Si precisa, peraltro, che la suddetta violazione dei principi di
ragionevolezza e di buon andamento ridonda certamente in una
violazione delle competenze costituzionali della regione, dal momento
che questa viene indebitamente limitata nella propria capacita' di
organizzazione amministrativa: si realizza pertanto una indebita
interferenza con il IV comma dell'art.117 che riconosce in tale
ambito una competenza legislativa residuale regionale.
Inoltre, la disposizione stabilendo una misura permanete e
dettagliata di blocco totale di una specifica voce di spesa
concretizza una disposizione puntuale priva del carattere di
principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica e
pertanto, come gia' ricordato in precedenza, contrasta con gli
articoli 117, I e III comma, nonche' con l'art. 119 della
Costituzione.
P.Q.M.
La regione del Veneto chiede che l'ecc.ma Corte costituzionale
dichiari l'illegittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni
del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 recante «Misure urgenti per
la competitivita' e la giustizia sociale», convertito con
modificazioni dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale del 23 giugno 2014, n. 143:
1) illegittimita' costituzionale dell'art. 8, commi 4, 6, 10
per violazione degli articoli 3, 117, III e IV comma, 119 e 120 della
Costituzione;
2) illegittimita' costituzionale dell'art. 14, commi 1, 2 e
4-ter per violazione degli articoli 3, 97, 117, III comma, 119 della
Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui all'art.
120 della Costituzione;
3) illegittimita' costituzionale dell'art.15 per violazione
degli articoli 3, 97, 117, III comma, 119 della Costituzione e del
principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della
Costituzione;
4) illegittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 4, per
violazione degli articoli 3, 97, 117, III comma, 119 della
Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui all'art.
120 della Costituzione;
5) illegittimita' costituzionale dell'art. 41, comma 2, per
violazione degli articoli 3, 97, 117, I, III e IV comma e 119 della
Costituzione;
6) illegittimita' costituzionale dell'art. 46, commi 6 e 7
per violazione degli articoli 3, 117, III e IV comma, 119 e 120 della
Costituzione.
Si depositano:
1. deliberazione (allegato n. 1) della giunta regionale n.
1322 del 28 luglio 2014, di autorizzazione a proporre ricorso e
affidamento dell'incarico di patrocinio per la difesa regionale;
2. allegati n. 2 e n. 3.
Venezia-Roma, 6 agosto 2014
avv. Zanon - avv. prof. Antonini - avv. Manzi