N.   1  RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 4 gennaio 2011.
 
Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria  il 4 gennaio 2011  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 

(GU n. 8 del 16-2-2011)


    Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato
e assistito dall'Avvocatura generale dello Stato presso i cui  Uffici
in Roma, via dei Portoghesi 12, e' domiciliato, nei  confronti  della
Regione Campania, in persona del suo presidente, per la  declaratoria
della illegittimita' costituzionale della legge regionale 25  ottobre
2010, n. 11, pubblicata sul BUR n. 72 del 2  novembre  2010,  recante
modifica alla legge regionale 21 gennaio 2010, n. 2 (Disposizioni per
la formazione  del  bilancio  annuale  e  pluriennale  della  regione
Campania - Legge finanziario anno 2010). 
 
                           Fatto e diritto 
 
    La legge regionale n. 11 del 25 ottobre 2010,  recante  «Modifica
alla legge regionale 21 gennaio  2010,  n.  2  (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale della regione  Campania
- Legge finanziaria anno 2010)», si compone di tre articoli: 
    art. 1, comma 1, che sostituisce il comma  13  dell'art. 1  della
citata legge regionale n. 2 del 2010; 
    art. 2, che  interpreta  «le  norme  relative  al  rinnovo  delle
concessioni previste dalla legge  regionale  29  luglio  2008,  n.  8
(Disciplina della ricerca ed utilizzazione delle  acque  annerirli  e
termali, delle risorse geotermiche delle acque  di  sorgente)  e  del
successivo regolamento attuativo n. 10/2010, emanato con decreto  del
Presidente della Giunta regionale 9 aprile 2010,  n.  95  (Disciplina
della ricerca ed utilizzazione delle acque minerali e termali,  delle
ricerche geotermiche e delle acque di sorgente): 
    art. 3, che  dichiara  urgente  la  legge,  disponendone  la  sua
entrata in vigore «il giorno successivo alla  sua  pubblicazione  nel
bollettino ufficiale della regione Campania». 
    Al riguardo si osserva quanto segue. 
    1. L'articolo 1, comma 1, che sostituisce il comima 13  dell'art.
1 della legge regionale 21 gennaio 2010,  n.  2,  prevede,  al  terzo
periodo del predetto comma  13  nella  sua  riformulazione,  che  «le
strutture turistiche ricettive e balneari, in deroga  alla  normativa
primaria  e  speciale  e  agli  strumenti   urbanistici   paesistici.
sovracomunali e comunali vigenti, possono realizzare piscine,  previo
parere della competente Sovrintendenza ai beni ambientali e culturali
e della competente autorita' demaniale». 
    La previsione in esame, che peraltro si pone in  netto  contrasto
con la gerarchia delle fonti, in quanto la  normativa  regionale  non
puo' operare deroghe alla legge ordinaria o speciale  in  materia  di
esclusiva competenza dello Stato, contrasta con la Costituzione sotto
diversi profili. 
    1. Innanzitutto, la deroga indicata dalla norma in commento  agli
strumenti paesistici che, nella Regione Campania, sono costituiti dai
decreti ministeriali  adottati  dallo  Stato  in  sostituzione  della
Regione Campania, lede  la  competenza  legislativa  esclusiva  dello
Stato  prevista  dall'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s)  della
Costituzione. 
    In particolare la previsione regionale si pone in  contrasto  con
quanto previsto, in punto  di  «pianificazione  paesaggistica»  e  di
tutela del paesaggio dagli artt. 135 e  143  del  d.lgs.  22  gennaio
2004, n. 42 (Codice dei beni culturali  e  del  paesaggio,  ai  sensi
dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2006, n. 137), in base ai quali
le modifiche e le eventuali deroghe  alla  pianificazione  paesistica
vigente possono essere introdotte esclusivamente mediante  una  nuova
pianificazione paesistica conforme ai contenuti regolatori  stabiliti
dal medesimo Codice e dettata con  intesa  dello  Stato  (almeno  per
quanto riguarda le aree sottoposte a vincolo paesaggistico). 
    La  norma  censurata,  quindi,  introducendo  una   deroga   alla
disciplina contenuta nelle richiamate disposizioni statali,  lede  il
riparto della potesta' legislativa tra  Stato  e  Regioni,  invadendo
quella esclusiva statale in materia di tutela dei beni  culturali  di
cui al citato art. 117, comma 2, lett. s) della Costituzione. 
    2. La possibilita'  per  i  titolari  di  strutture  balneari  di
realizzare piscine «in deroga alla normativa primaria  e  speciale  e
agli  strumenti  urbanistici  paesistici.  sovracomunali  e  comunali
vigenti...»  eccede  dalla  competenza  concorrente  attribuita  alla
Regione in materia di  governo  del  territorio,  cosi  ponendosi  in
contrasto con i principi fondamentali dettati dal legislatore statale
ai sensi dell'art. 117, comma 3 della Costituzione. 
    In particolare la previsione non si attiene alle disposizioni del
Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia (d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380). 
    Secondo quanto piu' volte affermato  dalla  Corte  di  cassazione
(Cfr. sentt. Cass., Sez. III 25 novembre 1997, n.  10709;  1º  giugno
1994, n. 6367; 11 luglio 1983, n. 9377; 22 giugno 1983, n. 9069  ;  3
giugno 1980, n. 10211, da ult. sentenza della III Sezione  Penale  n.
25631 del 6 luglio 2010), infatti, le  piscine  costituiscono  lavori
edilizi che necessitano del  preventivo  rilascio  della  concessione
edilizia (sostituita dal permesso di costruire a seguito dell'entrata
in vigore del  citato  d.P.R.  n.  380/2001),  non  soltanto  per  la
realizzazione di manufatti che si elevano al di sopra del  suolo,  ma
anche per i lavori  edilizi  in  tutto  o  in  parte  interrati,  che
trasformano in modo durevole l'area impegnata dai lavori stessi. 
    La predetta realizzazione,  quindi,  deve  essere  sottoposta  al
previo rilascio di un permesso di costruire, cosi come  previsto  dal
sopra menzionato Testo unico di cui al d.P.R. n. 380/2001,  normativa
di  rango  primario,  non  suscettibile  di  deroga  da  parte  della
normativa regionale, le cui previsioni determinerebbero una  modifica
del titolo concessionario derivante da una nuova  destinazione  d'uso
dell'area occupata con una nuova quantificazione del canone. 
    3. E ancora, la norma  regionale,  nella  parte  in  cui  prevede
esclusivamente il «previa parere  della  competente  Sovrintendenza»,
contrasta con  l'art.  146  del  Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio di cui al d.lgs. n. 42 del 2004, che  impone,  invece,  una
diversa procedura  speciale  (parere  vincolante  del  Sovrintendente
sulla proposta di  autorizzazione  presentata  dall'autorita'  locale
competente):  l'intervento  regionale  e'  pertanto  invasivo   della
competenza esclusiva dello Stato nella materia  di  tutela  dei  beni
culturali  di  cui  all'articolo  117,  comma  2,  lett.  s),   della
Costituzione. 
    Al quarto periodo del comma 13 dell'art. 1 della legge  regionale
21 gennaio 2010, n. 2, come riformulato dall'art. 1,  comma  1  della
legge regionale in esame, si prevede che «In attesa dell'approvazione
del Piano di utilizzo delle  aree  demaniali  (Puad)  e  della  legge
regionale  sul  turismo,  e'  consentita  a  tutti  gli  stabilimenti
balneari  del  litorale  regionale  campano   la   permanenza   delle
istallazioni e delle strutture, realizzate per  l'uso  balneare,  per
l'intero anno solare». 
    La disposizione consente dunque che, in  localita'  sottoposte  a
tutela paesaggistica (e tali sono le coste per una profondita' di 300
metri dalla linea di battigia, ai sensi dell'articolo 142,  comma  1,
lett. a), del citato d.lgs. 
    n. 42/04, del  Codice  dei  beni  culturali)  siano  realizzabili
strutture che permagono oltre  il  periodo  stagionale  in  forza  di
un'autorizzazione legislativa prevista anche in deroga agli  ordinari
vincoli fissati dalla legislazione statale. 
    La  norma  viola  gli  articoli  146  e  149  del  citato  Codice
(quest'ultima  norma  individua  tassativamente   le   tipologie   di
interventi, in aree  vincolate,  realizzabili  anche  in  assenza  di
autorizzazione paesaggistica). 
    In fattispecie  pressoche'  analoga  (riguardante  l'impugnazione
della legge  della  Regione  Puglia  23  giugno  2006,  n.  17  sulla
«disciplina della tutela dell'uso della costa»,  che  consentiva,  in
localita' sottoposte  a  tutela  paesaggistica,  la  possibilita'  di
realizzare o mantenere interventi senza la necessaria autorizzazione,
secondo quanto previsto dal d.lgs. n. 42 del 2004 - Codice  dei  beni
culturali) codesta ecc.ma Corte costituzionale, con sentenza  del  27
giugno 2008, n. 232, ha chiarito che «...da un lato,....la disciplina
amministrativa dell'uso del territorio, come delineata  nei  principi
generali sanciti dal legislatore statale, nella materia  del  governo
del  territorio,  prevede  il  rilascio  di  titoli  abilitativi   ad
edificare; dall'altro, che l'art. 146 del d.lgs. n. 42 del  2004,  ai
fini della salvaguardia del paesaggio e dell'ambiente,  richiede  che
intervenga, da parte dell'Amministrazione,  la  positiva  valutazione
della  compatibilita'  paesaggistica,  mediante  il  rilascio   della
relativa autorizzazione. Cosi' delineato il  contesto  normativo  nel
cui ambito si inserisce la norma regionale  oggetto  di  censura,  e'
fuor di dubbio che essa leda l'art. 117, secondo comma,  lettera  s),
Cost., in relazione al citato  art.  146  del  n.  42  del  2004.  Il
suddetto art. 146, infatti, prevede che i proprietari,  possessori  o
detentori a  qualsiasi  titolo  di  immobili  ed  aree  di  interesse
paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini  del  precedente  art.
142 (tra i quali rientrano  i  territori  costieri  compresi  in  una
fascia della profondita' di 300 metri dalla linea  di  battigia)  non
possono  distruggerli,  ne'  introdurvi  modificazioni  che   rechino
pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di  protezione  ed  hanno
l'obbligo di presentare alle amministrazioni competenti  il  progetto
degli interventi che intendono intraprendere al fine di  ottenere  il
rilascio della autorizzazione paesaggistica; quest'ultima costituisce
atto autonomo da valere come  presupposto  rispetto  al  permesso  di
costruire   e   agli   altri   titoli    legittimanti    l'intervento
urbanistico-edilizio.  La  norma  sottoposta  a  scrutinio,   invece,
consente il mantenimento delle opere precarie in questione, oltre  il
periodo autorizzato in relazione alla durata della stagione balneare,
in mancanza della necessaria positiva valutazione  di  compatibilita'
paesaggistica. Come questa Corte ha gia' avuto modo di affermare,  la
tutela ambientale e paesaggistica, la quale ha  ad  oggetto  un  bene
complesso  ed  unitario,  che  costituisce  un  valore  primario   ed
assoluto, rientra nella competenza legislativa esclusiva dello  Stato
(sentenze IL 367 del 2007 e n. 182 del 2006)». 
    Analogamente, la  legge  regionale  in  esame,  disciplinando  la
materia in contrasto con le disposizioni sopra richiamate del  Codice
dei beni culturali, viola l'articolo 117, comma 2,  lett.  s),  della
Costituzione, in materia di tutela dei beni culturali. 
    Il quinto periodo del comma 13 modificato dalla  legge  in  esame
prevede  l'obbligo  del  Comune  «di  rilasciare  apposite   autonome
autorizzazioni per le attivita' che, in alta stagione, si  presentano
collegate  e  connesse  alla  prevalente  attivita'  di  stabilimento
balneare». 
    La disposizione postula la necessita' del rilascio favorevole del
titolo  autorizzatorio  finalizzato  alla  stabilizzazione   e   alla
destagionalizzazione degli impianti balneari in questione anche sotto
il profilo paesaggistico, trattandosi di aree  normalmente  ricadenti
nel vincolo della legge  Galasso.  Siffatta  previsione  si  pone  in
evidente contrasto con l'art. 146 del Codice dei beni culturali e del
paesaggio, che assegna alle amministrazioni competenti (ivi inclusi i
Comuni) un'ampia facolta'  di  valutazione  tecnico-discrezionale  in
ordine alla compatibilita' del manufatto con i  valori  paesaggistici
protetti. Tale verifica autorizzatoria preventiva, naturalmente,  non
puo' non essere richiesta anche al fine  di  rendere  definitiva  una
istallazione di manufatti strumentali all'attivita' di balneazione. 
    Cosi'  disponendo  la  Regione  eccede   dalla   sua   competenza
legislativa invadendo quella esclusiva statale in materia  di  tutela
dei beni culturali di cui all'articolo 117, comma 2, lett. s),  della
Costituzione. 
    Inoltre, l'ultimo capoverso del comma 1, a mente del  quale  «Non
e' possibile prevedere  biglietti  di  ingresso  per  l'accesso  alla
battigia ove l'unico  accesso  alla  stessa  e'  quello  dell'uso  in
concessione ai privati», disciplina le  modalita'  di  ingresso  alla
battigia. 
    In tal modo  la  norma  si  pone  in  contrasto  con  il  riparto
costituzionale delle competenze perche' la  materia  appartiene  allo
Stato, il quale ha gia' provveduto con l'art. 3 del  d.l.  5  ottobre
1993. n. 400. conv. in legge 4 dicembre 1993, n. 494 e  s.m.i.,  che,
al comma 1, lettera e) stabilisce I'«obbligo  per  i  titolari  delle
concessioni di consentire il libero e gratuito  accesso  e  transito,
per il raggiungimento della  battigia  antistante  l'area  ricompresa
nella concessione, anche al fine di balneazione». 
    In particolare. nel  disciplinare  tale  fattispecie  la  Regione
Campania lede l'art. 117, comma 2, lett. l)  della  Costituzione.  in
materia di ordinamento civile, in  relazione  alle  disposizioni  del
codice civile di cui all'art. 822 e ss. in tema di demanio marittimo,
in cui si afferma che appartengono allo Stato italiano e fanno  parte
del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia balneare, le  rade
e i porti, i fiumi, i torrenti, i laghi e  le  altre  acque  definite
pubbliche dalle leggi in materia nell'area comunale. 
    E' censurabile, inoltre, la  previsione  dell'art.  1,  comma  1,
lettera c), della legge regionale in commento secondo  la  quale  «le
strutture degli  stabilimenti  balneari  ed  elioterapici  realizzate
prima del 2009 sono di competenza della Regione Campana dal punto  di
vista della valutazione paesaggistico ambientale, tutte le  strutture
da realizzare ex  novo o  in  ampliamento  sono  soggette  al  regime
dell'autorizzazione paesaggistica semplificata». 
    Tale disposizione si pone in contrasto  diretto  con  il  riparto
delle competenze normative in materia di tutela del paesaggio  e  con
la normativa primaria e  secondaria  vigente  (art.  146  del  citato
d.lgs. n. 42 del 2004, che assegna alla Regione ed  al  Ministero  il
potere autorizzatorio, e allegato 1 del d.P.R. n. 139  del  2010  che
reca un elenco tassativo degli interventi di «lieve entita'»). 
    Per i suddetti motivi, quindi. la normativa  in  esame  contrasta
non solo con gli artt. 117. comma 2, lettera s), Cost.,  che  assegna
alla  competenza  esclusiva   statale   la   materia   della   tutela
dell'ambiente. dell'ecosistema e dei beni culturali, e con il  Codice
dei beni culturali e del paesaggio, che e' espressione della suddetta
potesta'  legislativa  esclusiva.  ma  coinvolge  la  violazione   di
principi  tutelati  dall'art.  9  Cost..  nella  parte  in   cui   le
disposizioni regionali diminuiscono o eliminano le misure  di  tutela
dei beni paesaggistici previste dalla vigente disciplina statale. 
    L'art. 2 cosi' dispone:  «Le  norme  relative  al  rinnovo  delle
concessioni previste dalla legge  regionale  29  luglio  2008,  n.  8
(Disciplina della ricerca e  utilizzazione  delle  acque  minerali  e
termali, delle risorse geotermiche e delle acque di sorgente)  e  nel
successivo regolamento attuativo n. 10/2010 emanato con  decreto  del
Presidente della Giunta regionale 9 aprile 2010,  n.  95  (Disciplina
della ricerca e utilizzazione delle acque minerali e termali.  delle,
ricerche geotermiche e delle tregue di sorgente) si interpretato  nel
senso che, alle stesse, non si applicano le disposizioni del  decreto
legislativo  26  marzo  2010,  n.  59  (attuazione  della   direttiva
2006/123/CE: relativa ai  servizi  nel  mercato  interno)  in  quanto
afferenti  ad   attivita'   sanitarie   sottratte   alla   disciplina
comunitaria sui Servizi ai sensi dell'articolo 7, comma 1, lettera b)
del medesimo decreto legislativo». 
    L'intervento regionale e'  censurabile  in  quanto.  nel  fornire
un'interpretazione delle norme relative al rinnovo delle  concessioni
in materia di utilizzazione delle acque  minerali  e  termali,  delle
risorse geotermiche e delle acque di sorgente, sottrae queste  ultime
dall'applicabilita'  delle  disposizioni  del   d.lgs.   n.   59/2010
(Attuazione della  direttiva  2006/123/CE  relativa  ai  servizi  nel
mercato interno) in quanto ritiene che le norme  in  questione  siano
«afferenti alle attivita' sanitarie». 
    Premesso che non sussiste alcuna norma che permetta di  collegare
le concessioni di demanio idrico alle attivita' sanitarie, la Regione
Campania.  cosi'  disponendo,  evita  che  le  concessioni  demaniali
idriche siano soggette alla disciplina statale di cui al d.lgs. n. 59
del 2010, il cui art. 7, al comma 1, richiamato dall'art.  2  ora  in
esame,  prevede  che   le   attivita'   sanitarie   siano   sottratte
dall'applicabilita' della direttiva  servizi,  ma  nulla  dispone  in
materia di esclusione del demanio idrico. 
    Il decreto attuativo della cd. direttiva  servizi,  peraltro,  e'
emanato, come espressamente disposto all'art. 1, comma 2,  «ai  sensi
dell'art. 117, comma 2, lettere e) ed m), della Costituzione, al fine
di garantire la liberta' di concorrenza secondo  condizioni  di  pari
opportunita' e il corretto ed  uniforme  funzionamento  del  mercato,
nonche' per assicurare ai consumatori  finali  un  livello  minimo  e
uniforme di condizioni di accessibilita' ai  servizi  sul  territorio
nazionale.». 
    Invero. in  riferimento  alle  concessioni  del  demanio  idrico,
codesta ecc. Corte (da  ultimo  proprio  in  riferimento  alla  legge
Regione Campania n. 8/2008: cfr sent.  n.1/2010).  ha  ricondotto  la
disciplina del demanio idrico nella competenza esclusiva  statale  in
materia di tutela dell'ambiente di cui all'art. 117, comma  2,  lett.
s) della Costituzione. 
    Ancora una volta, il legislatore regionale viola l'articolo  117,
commi 1 e 2, lett. e), m) ed  s):  il  comma  1,  in  riferimento  ai
vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario: le lettere e) ed  m),
in riferimento alla liberta' di  concorrenza  secondo  condizioni  di
pari opportunita' e il corretto ed uniforme funzionamento del mercato
nonche' in riferimento al livello minimo e uniforme di condizioni  di
accessibilita' ai servizi sul territorio nazionale; la lettera s), in
riferimento alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema. 
    Inoltre, l'art. 2 della legge  regionale  si  autoqualifica  come
norma di interpretazione autentica della legge regionale  n.  8/2008;
ma e' del tutto evidente che le disposizioni riguardano la  normativa
statale ed, in particolare. l'art. 7 del d.lgs. n. 59/2010. 
    Affinche' possa aversi interpretazione autentica occorre  che  vi
sia  coincidenza  tra  il  soggetto  cui   risale   la   disposizione
interpretata e quello cui risale la  disposizione  interpretante:  la
Regione  non  puo'  interpretare  una  legge   statale.   Quella   di
interpretazione autentica, infatti, e' «una legge  espressione  della
potesta'  legislativa  -  e  non  gia'  di  una  soggettiva  volonta'
chiarificatrice del suo autore», il che implica che «l'emanazione  di
una legge di  interpretazione  autentica  presuppone  la  sussistenza
della potesta' legislativa da parte  dell'organo  legiferante»  (cfr.
Sent. Corte cost. n.23/2006). La Regione. quindi, si e' sostituita al
Parlamento, con cio'  violando  i  limiti  necessariamente  esclusivi
della competenza statale risultanti dall'art. 70 della Costituzione. 
    Sotto tale profilo si osserva che nessuna valenza potrebbe essere
riconosciuto all'eventuale obiezione secondo cui il  contenuto  della
norma statale sarebbe comunque equivalente alla normativa  regionale,
posto che cio' che rileva e' la  circostanza  che  la  Regione  abbia
legiferato con riguardo a un ambito che e' sicuramente coperto  dalla
legislazione statale. 
    Inoltre,  essendo  l'efficacia  retroattiva  una   caratteristica
indefettibile delle leggi  di  interpretazione  autentica,  la  legge
regionale pretenderebbe di determinare  effetti  retroattivi  su  una
norma di legge statale. 
    Per tali ragioni la Corte costituzionale  ha  chiarito,  fin  dai
tempi piu' remoti. che «non e' ammissibile che la Regione regoli  con
una  sua  norma.  avente  efficacia  retroattiva,   situazioni   gia'
disciplinate da una legge statale. Il potere che, entro limiti piu' o
meno ampi, ha la Regione di  dettare  nuove  e  diverse  nonne  nella
stessa materia gia' regolata da leggi statali  non  puo'  riflettersi
sul passato, essendo ovvio  che  la  Regione  non  puo'  annullare  o
togliere l'efficacia ad atti che si sono compiuti nell'ambito del suo
territorio  in  base  a   leggi   statali.   Una   diversa   opinione
contrasterebbe con il principio ormai pacifico, secondo cui la  legge
statale entra in vigore e produce tutti i  suoi  effetti  nell'intero
territorio dello Stato. Tali effetti non possono  essere  paralizzati
da una legge  regionale,  senza  violare  il  principio  fondamentale
dell'unita' dell'ordinamento giuridico dello Stato: unita' la  quale,
se consente che una nuova legge regionale deroghi. sempre nei  limiti
consentiti, per l'avvenire  ad  una  precedente  legge  statale,  non
tollera che la legge regionale si sovrapponga con con effetti ex tunc
ad una legge statale». (Cfr. Sent. Corte cost. n. 44/1957). 
    E' chiaro che l'interpretazione dell'ambito applicativo dell'art.
7 del d.lgs. n. 59/2010 spetta  agli  organi  giurisdizionali  e,  al
limite, alla legge statale. ma non certo alla legge regionale. 
    In conclusione l'intervento legislativo all'esame  ha  invaso  la
competenza esclusiva dello Stato di cui ai richiamati artt. 70,  117,
comma 2, lett. e), lett. l). lett. m), lett. s) della Costituzione. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Si conclude perche' le  disposizioni  regionali  impugnate  siano
dichiarate costituzionalmente illegittime. 
    Si producono: 
    estratto  della  delibera  del  Consiglio  dei  Ministri  del  17
dicembre 2010: 
    relazione, allegata alla medesima delibera, del  Ministro  per  i
rapporti con le regioni 
          Roma, addi' 21 dicembre 2010 
 
             L'Avvocato dello Stato: Gabriella D'Avanzo 
 

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